COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 5 dicembre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MAURIZIO TURCO

La seduta comincia alle ore 9,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro del commercio internazionale, Emma Bonino, in merito alle questioni legate ai rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario in materia di riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del Ministro del commercio internazionale, Emma Bonino, in merito alle questioni legate ai rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario in materia di riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani.
Do la parola al Ministro Emma Bonino.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale. Mi auguravo che, a partire da questo tema specifico, fosse possibile discutere insieme anche di un complesso più generale di problemi, ossia di tutto quello che «bolle in pentola» (o «non bolle in pentola», il che è anche più preoccupante), al fine di valutare la possibilità di mettere in piedi qualche iniziativa che ci consentisse di proseguire il lavoro sul complesso delle norme riguardanti il made in e il commercio internazionale in generale.
Mi farebbe, peraltro, piacere se - in un momento che la Camera riterrà opportuno, magari alla ripresa dei lavori - fosse possibile organizzare un momento di discussione più generale sull'export italiano. Nonostante la fase obiettivamente favorevole che stiamo attraversando ed abbiamo davanti a noi, infatti, vedo arrivare all'orizzonte alcune nubi: sarebbe forse utile prendere insieme delle iniziative perché esse non si trasformino in temporale. Affinché siano efficaci, è opportuno che tali iniziative, perlomeno di contenimento del danno (in questo momento penso, per esempio, al mercato americano), siano preventivamente intraprese.
Oggi iniziamo, dunque, una discussione - che spero possa, però, continuare in un altro momento, magari a gennaio - basata su un'analisi dei dati di cui disponiamo, diversificati per mercati e per settori merceologici. Non è vero, infatti, che tutto va benissimo: l'export è cresciuto di più del 10 per cento e va, dunque, bene nel complesso e nella statistica generale, ma forse sarebbe meglio esaminare in modo più raffinato lo stato di questo settore, per capire dove invece abbiamo dei punti deboli e dove sarebbe utile prendere l'iniziativa.
Ritornando all'oggetto dell'audizione odierna, passo ad esaminare la proposta di legge n. 664. Essa, obiettivamente, riprende un provvedimento in qualche modo bipartisan già esaminato nella scorsa legislatura e non portato a termine innanzitutto a causa della fine della legislatura, in secondo luogo, per il periodo di sospensione definito dalla Commissione europea.


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Infatti, quest'ultima, nell'esprimere un parere motivato, ha chiarito i limiti di aderenza comunitaria di questa proposta di legge, richiedendo una sospensione fino al 23 gennaio 2006 nell'applicazione della regola di stand still.
Il parere motivato sull'ex proposta di legge, che vi ho ritrasmesso e che quindi avete a disposizione - credo abbiate letto tutti le nove cartelle contenenti le varie motivazioni, che pertanto non vi leggerò - è applicabile, in buona sostanza, anche alla proposta che voi avete discusso. Non ho molto da aggiungere rispetto a tali motivazioni, fornite dalla Commissione.
Indipendentemente da quello che ognuno di noi ne pensa, complessivamente o nel merito, il Parlamento, fatta salva la sua autonomia, deve sapere che, se ritenesse di andare avanti, ciò ci farebbe andare incontro a un'infrazione. Anche recentemente si è verificato un altro episodio che dà una conferma in questa direzione: faccio riferimento alla famosa questione dell'etichettatura del pollame che, come sapete, è stata rifiutata dalla Commissione europea.
In linea di massima, la Commissione europea fa valere sia le regole doganali, sia le regole del mercato unico, sia le regole della concorrenza, ma non sto a ripetervi fatti che già conosciamo.
Per quanto mi riguarda, non posso darvi un'altra interpretazione e devo dire che, come Ministro e come rappresentante del Governo, non faccio mio e non apprezzo il metodo di chi inizia un lavoro pensando che sarà poi qualcun altro a sbrogliarlo, nell'ambito di un'altra legislatura e con un altro Governo. È un comportamento che non si può accettare e che certamente non mi appartiene; esso ha rappresentato uno dei motivi per i quali si è raggiunto il numero di 286 infrazioni!
Vi assicuro che, a parte le altre ragioni, un Paese con 286 infrazioni non appare molto credibile, quando si deve presentare a Bruxelles per qualsiasi tipo di negoziato.
Spero di poter annunciare la settimana prossima (entro l'11 dicembre) il raggiungimento di un obiettivo ottenuto anche grazie ad un lavoro piuttosto difficile realizzato quest'anno; mi riferisco alla possibilità discendere sotto le 200 infrazioni, risultato che, se raggiunto, rappresenterebbe un passo avanti importante per me e per il Governo.
In ogni caso, è chiaro che, se il Parlamento decidesse di andare avanti, il Governo non potrà che rimettersi all'Assemblea: non credo che sia pensabile una presa di posizione di altro tipo.
Contemporaneamente vorrei, invece, darvi un'informazione sugli sviluppi - o sui mancati sviluppi, ahimé! - dell'altro noto dossier riguardante il regolamento del made in, cioè l'etichettatura obbligatoria dei prodotti provenienti da Paesi non membri dell'Unione europea.
Come sapete, l'esame di questo dossier - che implicherebbe l'etichettatura obbligatoria in otto settori merceologici (tessile, abbigliamento, calzature, piastrelle e ceramica, pelle e cuoio, vetro, gioielli, mobili di arredo) - si è arrestato nell'ambito del Comitato 133, mancando la maggioranza qualificata necessaria per la sua approvazione.
In particolare, per avere tale maggioranza qualificata servono 255 voti (la minoranza di blocco è pari a 91 voti) e, a conclusione dell'intera vicenda, abbiamo un numero di voti favorevoli variabile tra i 166 e i 190, mentre abbiamo 152 voti contrari. Se fosse stata sufficiente la maggioranza semplice, il dossier sarebbe evidentemente già passato, ma, poiché è richiesta la maggioranza qualificata, ciò non è ancora accaduto.
Guardando la lista dei Paesi favorevoli e quella dei Paesi contrari, è chiaro che non serve spostare i soli voti dei Paesi piccoli, essendo soprattutto necessario convincere i Paesi grandi. Recentemente abbiamo preso alcune iniziative e siamo riusciti a spostare - credo - i voti della Bulgaria (peraltro con l'aiuto della Commissaria ai consumatori) e, per altro verso, anche della Romania (dove andrò domani); questo ci porta, però, dai 166 ai 190 voti favorevoli, laddove rimangono pur sempre 152 voti contrari, che sono più della minoranza di blocco (che, come vi ho detto, è pari a 91 voti).


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Per ottenere questo risultato, intanto, bisogna agire sull'Inghilterra e sulla Germania, con quello che questi due grandi Paesi si portano dietro. Noi abbiamo fatto molti sforzi su Malta, per esempio, e probabilmente riusciremo ad ottenere i suoi voti, ma questo non ci aiuta, perché tale Paese, con tutto il rispetto che possiamo avere nei suoi confronti, porta soltanto tre voti.
Quanto alla Germania, abbiamo avuto una serie di contatti e la questione è stata anche oggetto del vertice italo-tedesco, svoltosi recentemente. Non c'è un dissenso totale, da parte del Governo, bensì una certa attenzione al tema, anche se, come sapete, gli equivalenti tedeschi di Confcommercio e Confindustria sono molto schierati contro questo dossier, nonostante la notevole pressione esercitata da Confindustria italiana.
Si è delineata un'apertura, caratterizzata, però, da inaccettabili contro-richieste inerenti altri dossier, che implicherebbe un ragionamento relativo ai prodotti finali invece che ai settori. Tuttavia questa proposta è abbastanza in alto mare, perché non piace ad altri alleati del gruppo che somma i 190 voti; stiamo, quindi, prendendo contatti con le varie capitali per capire se la prospettiva che immagina di guardare ai prodotti finali anziché ai settori merceologici abbia una qualche consistenza.
Si è, inoltre, aggiunto il problema francese. Anche se la Francia è sempre stata «tiepidamente a favore» del dossier, benché certamente non molto attiva, l'attuale governo di quel paese ha ultimamente espresso riserve particolari. Al vertice di Nizza esso ha confermato un parere positivo, ma ognuno di voi è abbastanza politico per sapere che ci sono molti modi di dire «sì» e che, per quanto riguarda il Governo francese, esiste una riserva maggiore, che non è tanto di buon auspicio.
Un terzo elemento concerne l'atteggiamento inglese, che si è particolarmente irrigidito dopo un cambio di posizione italiana su altri dossier. Nonostante nella sostanza questi ultimi non c'entrino niente, in teoria contengono alcuni elementi di collegamento.
Siamo, quindi, in questa situazione. Ritorno ora da Madrid, dove si è svolto oggi il vertice italo-spagnolo e dove gli spagnoli hanno confermato grande interesse per questo dossier, a differenza della presidenza portoghese, che non siamo invece riusciti a smuovere.
Sta ora per iniziare la presidenza della Slovenia, che non ha grande interesse a questo dossier e che arriva dopo una presidenza francese, la quale dobbiamo ancora capire che cosa voglia fare.
Da questo punto di vista avevo segnalato tempo fa e mi permetto di segnalarvi nuovamente che riterrei molto utile - da parte di una delegazione della vostra Commissione, dell'omologa Commissione del Senato o di una Commissione mista Camera-Senato, a seconda di come deciderà autonomamente la Camera - un contatto con i vostri colleghi tedeschi e francesi o una visita nei rispettivi Paesi, perché credo che sarebbe molto utile avere un dialogo diretto con essi.
Dico questo - e concludo - perché nel frattempo i colleghi italiani di tutti i partiti hanno dato luogo ad una dichiarazione del Parlamento europeo - sarà annunciata in Aula, il 13 dicembre - che ha raccolto la maggioranza assoluta dei voti e che, tra i suoi sottoscrittori, conta personaggi molto autorevoli, sia tedeschi, sia francesi (non so se voi ne abbiate visto la lista; in caso contrario, ve la trasmetterò). In particolare, segnalo che, tra i tedeschi, ha firmato il Presidente del Parlamento europeo, l'onorevole Pöttering, che non è precisamente un personaggio ininfluente. Per quanto riguarda gli inglesi ci sono non solo tutti i liberali, ma anche autorevoli firmatari sia tra i conservatori, sia tra i laburisti. Anche da parte della Francia - l'altro Paese, diciamo così, più «fragile» - ci sono firmatari di grande autorevolezza.
Se, quindi, alla ripresa dei lavori, si potessero «utilizzare» - scusate l'espressione - anche i rapporti parlamentari, oltre ai rapporti governativi, credo che


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impiegheremmo al meglio questi tre o quattro mesi che ci rimangono a disposizione.
La presidenza slovena non porterà avanti questo dossier per ragioni abbastanza evidenti, però si potrebbe già lavorare, in questo periodo, per riuscire poi a raggiungere questo obiettivo nel corso della presidenza francese, anche perché la Francia in questo momento sta esaminando una serie di dossier (dal brevetto in poi) che intende portare a casa nel corso della propria presidenza. Potrebbe, dunque, esserci anche un interesse di questo tipo.
Noi stiamo lavorando molto per raggiungere un compromesso sul brevetto comunitario che non penalizzi le nostre imprese, ma che, al contempo, sia ragionevole rispetto alle altre imprese che non ne vogliono sentire parlare. Con l'inizio della presidenza francese, ci possono, quindi, essere anche margini per progredire insieme su alcuni dossier.
Questa è, dunque, la situazione per quanto riguarda marchi e brevetti.
Infine, sulle indicazioni di origine, che riguardano un altro settore, pur facendo parte di tutto questo complesso problema, è chiaro che il blocco del negoziato del WTO Doha Round «mette in frigorifero» per un periodo piuttosto lungo anche questa iniziativa.
La presa di posizione molto decisa espressa nei giorni scorsi dalla senatrice Clinton riguardo agli accordi multilaterali mi fa pensare, come ho cercato di dire da gennaio di quest'anno, che gli Stati Uniti, in questo periodo elettorale, non sono in grado di procedere su questo dossier.
Vi segnalo, però, che, mentre il negoziato multilaterale del Doha Round è bloccato, procedono in modo abbastanza spedito gli accordi bilaterali. Noi, come Unione europea, ci siamo dedicati molto, anche in termini di risorse umane e di attenzione, al Doha Round, com'era giusto che fosse, mentre siamo più in ritardo rispetto allo sviluppo di altri eventuali negoziati bilaterali.
Questo ci porta ad una situazione peculiare; infatti, va considerato che, nonostante si sia puntato molto su un multilateralismo efficace - Lamy andrà a Bali ugualmente -, dalle informazioni che possiedo, anche sulla base della riunione dei Ministri del commercio svoltasi a latere della Conferenza di Bali, non risultano esserci molte speranze. Si è, però, complessivamente provveduto a ritardare la spinta sugli accordi bilaterali e credo, quindi, che questo andrà rivisto. È stata convocata una cena informale per esaminare il da farsi da questo punto di vista.
A grandi linee, questo è il quadro - così variegato e complesso - della situazione relativa al dossier sui marchi, sulle indicazioni geografiche e sul made in, che vi dà un panorama, secondo me, non brillantissimo dei vari aspetti che lo costituiscono.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ANDREA LULLI. Ringrazio il Ministro per l'esposizione chiara e completa degli argomenti.
Sul tema del Doha Round non entro, anche perché avremo occasione di svolgere una riflessione su quanto detto in merito quando, a gennaio, affronteremo il tema più ampio dell'export, che è anch'esso certamente importante.
Vengo invece agli altri due punti.
Parlando con il presidente Capezzone, avevamo già preso in considerazione l'idea di visitare i Parlamenti tedesco e inglese - ma potrebbe essere utile visitare anche quello francese - perché credo che vada esercitata una pressione nei loro confronti , pur sempre nel rispetto, com'è scontato, della loro autonomia e dei loro punti di vista. Questo è importante anche perché tra i caratteri fondativi e programmatici dell'Unione europea vi è anche la tutela e l'informazione dei consumatori.
Credo che, tutto sommato, il problema per cui l'Europa è l'unico grande mercato in cui non vige l'obbligo di un'indicazione d'origine non possa essere lasciato cadere (per tanti motivi, ma ora non voglio farla lunga). Credo che sia bene, pur con le


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opportune cautele e consapevolezze, far sentire questa voce.
Certamente questo impegna tutti a un comportamento più leale e trasparente nella concorrenza. Anche se non sarà possibile svolgere in Commissione un'ulteriore indagine conoscitiva in merito, credo sia necessario programmare una serie di audizioni sul fenomeno della contraffazione, legato a tutte queste problematiche. Mi sembra che vi sia un incremento delle guerre commerciali che fanno leva sul fatto che, in questa particolare situazione, il made in Italy è sicuramente nell'occhio del ciclone, sul piano internazionale, per vari motivi.
È vero, per fortuna, che abbiamo una ripresa dell'export, ma è anche vero che, almeno per certi comparti, grandi organi di informazione stanno nuovamente sollevando la questione se il made in Italy sia fashion, come viene detto, oppure sia falsificato da tanti fattori.
Credo che noi dobbiamo giocare questa partita in un certo modo; sarà molto importante insistere sulla questione dell'indicazione di origine e, nello stesso tempo, approfondire queste tematiche.
È chiaro che noi non siamo in condizione di istituire per legge un marchio obbligatorio sui prodotti interamente realizzati in Italia, perché esso avrebbe sicuramente dei problemi di compatibilità comunitaria (ci sono altre realtà ed anche altri Paesi che, in altri settori, hanno tentato nel passato di realizzare questi marchi).
C'è, però, un punto politico su cui credo che valga la pena riflettere e che potrebbe portare a valutare se non sia il caso di indicare una sorta di «marchio etico» (ovviamente sempre di tipo volontario, considerato che non è possibile fare diversamente) per un certo tipo di produzioni.
So bene che tale questione è molto controversa, nel mondo imprenditoriale e sui mercati internazionali, tuttavia, c'è ancora una fascia vastissima di imprese, nel nostro Paese, che non ha la forza di avere un proprio brand, pur rappresentando, in gran parte, una struttura produttiva portante che ha nel made in Italy il suo punto di forza. Quest'ultimo, nonostante sul piano internazionale si fondi su un equivoco - infatti, il made in Italy non è un marchio - ha un certo appeal, rispetto al quale si dimostra una certa disponibilità (ora sto affrontando l'argomento a grandi linee, non intendendo svolgere un'analisi approfondita).
È chiaro che, in via prioritaria, sarebbe stato e sarebbe opportuno che a trovare una soluzione pratica fossero le aziende, autonomamente, però il dato di fatto è che così non avviene. Vorrei segnalare che in Italia arrivano ormai ordinativi e commesse esteri - dal Giappone o dagli Stati Uniti - nei quali si comincia a specificare che si vogliono prodotti veramente realizzati in Italia.
Se questo si unisce alla campagna che soprattutto Vogue America sta portando avanti, al fine di mettere in dubbio la veridicità del made in Italy, noi dobbiamo stare molto attenti, poiché una parte rilevante della nostra occupazione manifatturiera di piccole dimensioni è legata a questo mondo, ad alcuni settori particolari di questa economia. È chiaro che gli elettrodomestici o i prodotti bio-tech hanno altre problematiche però, in relazione all'industria manifatturiera dei beni di consumo alla persona, alla questione della qualità italiana bisogna in qualche modo sforzarsi di trovare una risposta.
È, infatti, una questione molto sentita nei distretti manifatturieri, anche se molto meno dai vertici delle associazioni. Non è solo un fatto psicologico, come si potrebbe pensare, continuando a fare affidamento sull'appeal del made in Italy. Occorre, invece, fare attenzione, perché sui mercati c'è stato più di un segnale in questo senso: quando nelle commesse si comincia a chiedere che il prodotto sia veramente realizzato in Italia, ciò significa che evidentemente si stanno mettendo in moto delle dinamiche che rischiano di inficiare l'appeal generale del made in Italy sui mercati internazionali.
Può darsi che questi segnali di allarme che ho ricevuto contino poco, ma mi permetto di segnalarli a mia volta, dato


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che ho decine e decine di avvertenze in questo senso, non solo una o due. Credo quindi che non si possa fare un ragionamento equivoco sul made in Italy come marchio realizzato integralmente in Italia; è chiaro che il Parlamento ha seguito quella strada anche per cercare di sollevare la problematica.
D'altra parte, c'è però bisogno di dare una risposta a quell'universo di piccole aziende artigiane, e non solo artigiane, che non hanno la forza di imporre il loro brand e che, se lasciate così, segnalano di trovarsi costantemente in difficoltà.
Credo che il Parlamento debba, in qualche modo, assumersi il compito di esaminare la questione per vedere se può trovare una soluzione (a grandi linee, naturalmente, perché qualsiasi nostra scelta dovrà lasciare all'autonomia delle imprese il compito di stabilire come realizzare un prodotto con un certo marchio). Mi verrebbe da ridere se io dovessi mettermi a spiegare alle imprese che cosa devono fare, ma credo che una un quadro di riferimento che le supporti - quelle tra esse che desiderano farlo - a promuovere questo marchio potrebbe essere compatibile anche con la normativa comunitaria.

LUIGI LAZZARI. Interverrò molto rapidamente. Prima di tutto vorrei ringraziare il Ministro, con estrema sincerità.
Passando poi alle domande, vorrei capire se l'abbinamento dei problemi che stiamo trattando, non solo al settore industriale, ma anche al settore agricolo, migliori o peggiori il quadro di percorribilità. È stato intrapreso un percorso di questo tipo, che possa ipoteticamente rafforzare la capacità di penetrazione?
La mia seconda domanda è più in linea con quanto diceva l'onorevole Lulli. Credo che dovremmo studiare un atto di furbizia, se mi passate il termine. Visto che difficilmente si può approdare a sbocchi positivi attraverso il percorso naturale e la porta principale, le chiedo se non sia il caso di ricorrere a qualche furbizia - in senso lecito - al fine di ottenere un risultato che consenta al mondo delle imprese - a tale proposito, condivido quanto detto dal collega Lulli, che non ripeto - di far fronte all'allarme esistente ed ai danni che già ci sono, pur nell'ambito di un livello di protezione più basso.
La prospettiva è piuttosto preoccupante; quindi, se non è possibile realizzare atti fondamentali, almeno derubrichiamo questi ultimi in quelli che ho definito «atti di furbizia» o comunque in protezioni più limitate, che non solo diano un segnale di difesa dei prodotti, ma che anche non suscitino allarme in sede europea.
Non credo che si possa sciupare un patrimonio quale quello esistente nel nostro Paese, fatto di prodotti tipici e caratteristici e, che rischierebbe così di essere vanificato e messo alla mercé di qualsiasi iniziativa di contraffazione e di imitazione. Sarebbe grave depauperare un simile patrimonio.

LUIGI D'AGRÒ. Farò riferimento ai due dossier che sono stati portati all'attenzione del Ministro.
Quanto al primo di essi, credo che non ci sia una pervicace volontà di questa Commissione - né in questa né nella scorsa legislatura - su un tema così delicato come il made in Italy, di cercare di rompere quegli schemi che, in qualche misura, anche nelle audizioni che abbiamo svolto con le associazioni di categoria, hanno visto diviso il mondo del sistema imprenditoriale italiano. In modo particolare, abbiamo visto che Confindustria è assolutamente contraria all'ipotesi di «affibbiare» il marchietto ai prodotti italiani.
Nella sostanza abbiamo, però, incontrato anche una variegata realtà, rappresentativa delle imprese, che hanno espresso la volontà di sentirsi a casa loro nel produrre, come se ci fosse una voglia di rinascimento attorno al prodotto, un'identità nuova o rinnovata.
Credo che il principio stesso della rivitalizzazione dell'export sia legato al lusso, al fare bene, al percepire il prodotto anche come espressione di un'identità del luogo. Credo che questa identità del luogo abbia valenza per tutti e non riguardi soltanto il sistema Italia.


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Se mi permette, signor Ministro, credo sia anche una maniera per cercare di evitare le cattive abitudini che ci sono anche in questo Paese. Sappiamo, infatti, perfettamente che, in termini di contraffazione, non siamo secondi a nessuno: siamo bravissimi anche a fare questo. Ciò vuol dire che c'è una parte di Paese che vuole il meglio e una parte di Paese che vuole, anche nella produzione, usare la solita furbizia per giocare sul mercato scorretto.
In sostanza, la volontà della Commissione - o meglio del Parlamento, in questo caso - aveva questa duplice valenza.
Comprendiamo perfettamente le sue valutazioni; la provocazione che abbiamo messo in atto sostanzialmente si scontra ancora con una realtà difficile ed anche, qualche volta, culturalmente incapace di comprendere, anche a livello europeo. Molte volte, in relazione a qualche dossier depositato in quella sede, pare che la diplomazia estera tra i Paesi valga molto di più che non una vera volontà di tutela.
Speravo, però, che nel secondo dossier ci fosse qualcosa di più positivo. Dopo la risoluzione approvata dal Parlamento europeo e anche considerando l'atteggiamento che ormai hanno anche grandi Paesi come gli Stati Uniti, che vogliono l'etichettatura, ritenevo infatti che almeno la Germania, il primo Paese manifatturiero europeo, potesse desiderare in modo particolare questo genere di tutela. Questo Paese ha però, probabilmente, dei co-interessi di capitali che giocano su partite internazionali, in modo particolare in Cina, in ragione dei quali mettere la cosiddetta etichettatura obbligatoria potrebbe creare grandi problemi.
Sembra anche che il sistema di internazionalizzazione delle nostre imprese, in qualche misura e in alcune aree di alcuni settori, in modo particolare nell'estremo oriente, sia ancora un po' deficitario e quindi non abbia forza.
Non so se abbandoneremo il principio del made in Italy, ma, avendo depositato una proposta di legge al riguardo, cercheremo di trovare qualche marchingegno «di furbizia» che risolva il problema.
Certamente ci preoccupa di più, invece, l'etichettatura obbligatoria, perché sappiamo perfettamente che questo ha attinenza con altri aspetti, tra cui quello relativo alla salute, di ordine etico e sociale.
Credo che questo abbia una valenza molto più forte nella coscienza stessa dell'Europa, la quale da questo dovrebbe prendere esempio per tutelare i diritti in altre parti del mondo; attraverso questo sistema, l'Europa potrebbe in qualche modo far sentire la sua voce anche in questo campo.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per la replica.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale. Vorrei trattare due questioni.
La prima riguarda il regolamento del made in obbligatorio, su cui non ho intenzione di desistere - la cocciutaggine è una mia caratteristica - perché penso che abbiamo ragione, in considerazione di tutti gli aspetti che sono stati citati, quali la concorrenza leale e i diritti dei consumatori. Infatti, questi ultimi, se vanno a comprarsi un paio di scarpe, devono poter decidere se le vogliono made in China o di altra provenienza.
È chiaro che anche il prezzo, per una famiglia, è obiettivamente una discriminante vera che dobbiamo prendere in considerazione (questo non è quindi il problema), ma è evidente che, se qualcuno va a comprarsi un paio di scarpe, ha il diritto di sapere se sono made in Bangladesh o made in Italy.
Si sono verificati mille episodi - tra cui l'episodio Mattel di quest'estate, per esempio - che confermano le nostre ragioni. È indubbio che noi, su questo tema, ci scontriamo in un'Europa dove - come vi dicevo l'altro giorno, ridendo ma non troppo - di Paesi manifatturieri ne sono rimasti uno e mezzo: la Germania e buona parte dell'Italia. Gli altri, anche i Paesi a crescita economica spettacolare come la Spagna, sono cresciuti per ragioni diverse, connesse al mercato immobiliare, all'edilizia


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o ad altri settori, ma non a quello manifatturiero.
Evidentemente, il sistema economico verso cui si è già orientata l'Europa non è di tipo manifatturiero, ma non per questo dobbiamo evitare in tutti i modi di far valere le nostre ragioni.
Su questo dossier dobbiamo proseguire sia irrobustendo la posizione della Francia - questa non ci deve abbandonare, perché allora avremmo veramente perso la speranza - sia insistendo con la Germania. Credo che altri Paesi in seguito potranno aggiungersi (servono perlomeno altri sei mesi di lavoro intenso).
Per questo insisterei veramente per fare un'azione sinergica: sarebbe utile se voi, alla ripresa dei lavori, poteste mettere in cantiere una serie di visite in varie capitali, per incontrare sia i vostri colleghi, sia le parti produttive, ad esempio in Germania, anche se occorre ricordare che Confcommercio ha un certo tipo di posizione, di cui Confindustria è ostaggio, in qualche modo.
Penso che se nei prossimi mesi potreste individuare una serie di visite ben preparate, anche valutando i firmatari della dichiarazione, questo potrebbe rafforzare il nostro lavoro.
Sulla qualificazione di origine - vengo al made in Italy - è chiaro che non si possono fare marchi di qualità. Ovviamente, capisco i produttori più piccoli del nostro Paese - li incontro ogni giorno - che non riescono ad arrivare ad un brand, ma che hanno un altro tipo di esigenza. Stiamo cercando di capire se esiste nelle maglie dei vari regolamenti qualche altra possibilità - per ora non l'ho trovata, altrimenti ve l'avrei ovviamente annunciata - come, ad esempio, quella di arrivare non ad un marchio di qualità, ma ad un marchio di origine. Se troveremo una soluzione, ve la farò sapere.
Infine, c'è il tema della contraffazione. Penso che voi abbiate contatti con l'alto commissario per la contraffazione, Kessler. C'è un'idea francese di avere un alto commissario a livello europeo, perché il problema, evidentemente, non è solo italiano.
Noi abbiamo una specificità: siamo così bravi che produciamo sia le cose vere, sia le cose false, auto-copiandoci tra di noi.
A parte i grandi organi di stampa - però anche su questo facciamo attenzione a non buttarci troppo giù - io trovo, per esempio, assolutamente straordinario (nel senso di fuori dall'ordinario) che sulla black list dei nostri amici americani ci sia l'Italia. Non è molto accettabile far parte di quella black list e ritengo che dovremmo intraprendere un'iniziativa per uscirne . Non si può negare l'esistenza nel nostro Paese di casi, anche notevoli, di contraffazione, ma questo non autorizza gli Stati Uniti, a mio avviso, anche in termini di volume, ad avere l'Italia sulla propria black list.
Va inoltre considerato, per esempio, che basta cambiare il settore merceologico e considerare l'italian sounding nell'agro-alimentare americano per poter aprire un dossier rilevante. Dico questo con tutto il rispetto dovuto e senza voler dire che noi non abbiamo contraffazione nel nostro Paese (contraffazione che ha altre motivazioni).
Ho provato diverse volte a dirlo agli Stati Uniti e allo stesso ambasciatore Spogli: dare lezione ad altri non va bene, però se si considerasse il volume dell'italian sounding nell'agro-alimentare americano, tra mozzarella del Massachusetts e altri prodotti strampalati, credo che emergerebbero diversi problemi.
Credo che un vostro contatto con Kessler possa essere utile. In merito vi posso solo dire che, come promesso dalla legge precedente, i 14 desk anti-contraffazione sono stati finalmente aperti, dopo mille problemi. Spero che essi aiutino sia in tema di contraffazione, sia in tema di deposito dei marchi.
Infine, c'è il tema dell'abbinamento con la questione agricola.
Diciamo che con alcuni Paesi esso funziona e con altri no. Come potete immaginare, basta dare un'occhiata alla cartina geografica per riscontrare delle alleanze variabili.
Stiamo, però, percorrendo questo sentiero per vedere se sono maggiori le alleanze


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che si creano o se invece sono maggiori le rotture, e dove queste si verifichino. È chiaro che non sempre la cosa funziona; anzi devo dire che non abbiamo mai formalizzato tale abbinamento, anche se ci abbiamo provato sia io, sia il collega De Castro, mediante contatti informali. Non lo abbiamo mai formalizzato perché il risultato finale non è positivo, per il momento, dal punto di vista numerico.

ANDREA LULLI. Sono due cose diverse.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale. Noi non lo formalizziamo: il problema è capire se si possa creare una congiuntura che favorisca dei passi in avanti. Non l'abbiamo mai verificato, lo ripeto, per le ragioni che sono evidenti, ma ci siamo limitati ad un livello informale di dialogo. Come avete visto, anche se spesso io e il Ministro De Castro facciamo missioni comuni, finora non abbiamo ottenuto questo risultato.
Non ho altro da aggiungere, se non comunicarvi che sono disponibile a proseguire questa discussione con voi a gennaio, nell'ambito di una nuova audizione che avremo modo di concordare, compatibilmente con i vostri impegni. Rimango a vostra disposizione al fine di aiutarvi ad organizzare le visite e gli eventi di cui vi ho già parlato.
Ribadisco che, continueremo a lavorare con molta determinazione nei prossimi sei mesi, al termine dei quali faremo un ulteriore bilancio.

ANDREA LULLI. Il marchio etico, secondo me, è la strada più probabile che si possa percorrere.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale. Sì, a livello italiano. Se lei mi manda una nota con la quale mi spiega le vostre idee, avrò modi di fare le opportune verifiche e di fornirvi una risposta.

ANDREA LULLI. Vi sono esempi in altri Paesi.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale. Le ripeto, se lei ha più conoscenza di questo dossier, mi mandi una nota ed io velocissimamente interloquirò con lei.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro per l'esauriente relazione svolta e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle ore 10.