COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 27 giugno 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANNI PAGLIARINI

La seduta comincia alle 16,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche tramite la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Prima di dare la parola al ministro, al quale do il benvenuto e che ringrazio per aver aderito al nostro invito, desidero svolgere alcune considerazioni riguardanti i gravi infortuni sul lavoro verificatisi nei giorni scorsi.
Rivolgo un pensiero, certo di incontrare la vostra sensibilità, alle vittime e ai loro famigliari. Oggi pomeriggio, poco dopo le 13.30, si è consumato l'ultimo dramma: un operaio impegnato nella ristrutturazione della facciata di una palazzina a Frosinone è morto schiacciato dal ponteggio, che ha ceduto all'improvviso, mentre un suo collega è rimasto gravemente ferito.
Nei giorni scorsi invece un grave infortunio ha coinvolto ben quindici lavoratori, che erano impegnati nella costruzione di un viadotto lungo l'autostrada Catania-Siracusa. Un ragazzo di venticinque anni, a lavoro in quel cantiere da tre giorni, è morto tra le macerie ed altri tredici operai sono rimasti feriti.
Stiamo parlando di due drammi che rappresentano soltanto gli ultimi anelli di una tragica catena. Peraltro, gli ultimi dati ufficiali forniti dall'INAIL, relativi al 2003, delineano i tratti di quella che si presenta come una vera e propria emergenza: 1.394 morti sul lavoro, con una media di cinque al giorno, in quasi 978 mila infortuni, 24.261 malattie professionali denunciate, con il triste primato, a carico del settore edile, di 350 morti nel 2003. È questo un settore che sconta storicamente un grave deficit nel rispetto delle condizioni di sicurezza, per non dire della pesante incidenza del lavoro nero. Va aggiunto che il costo sociale complessivo degli infortuni si aggira intorno ai 28 mila miliardi di euro.
L'insicurezza nei cantieri e nelle fabbriche ha molteplici cause, ma tra queste non figura quasi mai la fatalità. Questi dati ci dicono che in Italia si continua a morire sul lavoro come avveniva cinquant'anni fa, segno che il progresso scientifico e tecnologico troppo spesso non ha trovato un valido riscontro in adeguate misure di prevenzione e di tutela nei luoghi di lavoro.
Signor ministro, mi rivolgo a lei in particolare: il Governo è chiamato ad una


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rigorosa attività di controllo del rispetto della normativa riguardante la sicurezza sul lavoro.
Lei certamente, già nell'audizione di oggi, potrà fornirci indicazioni sulla linea che il Governo intende seguire in materia di sicurezza sul lavoro. Per mio conto, anche facendo seguito all'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione lavoro della Camera, nella XIII legislatura, su sicurezza e igiene del lavoro, e sulla base delle risultanze della Commissione d'inchiesta istituita presso il Senato nella XIV legislatura, avente ad oggetto: «Infortuni sul lavoro con particolare riferimento alle cosiddette morti bianche», sottoporrò alla valutazione della Commissione ogni iniziativa utile affinché sia definito, nel più breve tempo possibile, il Testo unico sulla sicurezza con cui potere garantire a tutti i lavoratori il diritto alla salute.
Detto questo, nel dare la parola al ministro, faccio presente che dopo la sua relazione i deputati potranno formulare considerazioni e rivolgere eventuali domande. L'intervento di replica del ministro concluderà l'audizione.
Avverto anche che il ministro dovrà lasciare la Commissione non più tardi delle 18,30; qualora non fossero esauriti gli interventi dei membri della Commissione, l'audizione proseguirà in altra seduta.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ringrazio la Commissione per l'invito a partecipare a questo incontro, che mi consente di illustrare per punti essenziali le linee di intervento che intendo seguire nell'azione ministeriale.
Mi auguro che sia l'inizio di una forma utile di collaborazione e di dialogo serrato ed approfondito tra Governo e Parlamento. Mi limiterò anche per questo ad esporre in via sintetica alcune linee dell'agenda di lavoro, per lasciare spazio al dibattito. Mi riservo di intervenire nel seguito della discussione, anche in relazione agli interventi e ai suggerimenti che vorrete fornirmi.
Naturalmente, il primo impegno è quello di adottare, in tempi compatibili con le necessarie esigenze di approfondimento, le iniziative che il paese attende in attuazione degli impegni assunti nel programma di Governo.
In questa sede, come nelle altre sedi istituzionali, cercheremo di sciogliere i nodi che via via si presenteranno attraverso un confronto di idee e di opinioni.
Nell'illustrare il mio punto di vista - il punto di vista del Governo - sui temi del lavoro, vorrei dire che il mio compito è reso più facile per il fatto che esiste un programma con il quale l'Unione si è presentata al paese nel corso della campagna elettorale e che per me rappresenta il punto di ispirazione fondamentale per le linee di Governo. Si sa che un programma si attua nell'ambito di una legislatura, ma i primi passi che si compiono sono sempre molto importanti per far comprendere qual è l'indirizzo che si intende seguire.
Innanzitutto, se vogliamo parlare efficacemente di problemi del lavoro non possiamo assolutamente prescindere da un argomento, quello dello sviluppo e della competitività del nostro paese. Sono sempre stato fra coloro che pensano che per ridistribuire reddito bisogna prima produrlo e, soprattutto, quando si tratta di ridistribuire reddito a favore del lavoro, per la sua quantità e la sua qualità questo è assolutamente un fattore prioritario.
Sappiamo che l'Italia ha problemi di sviluppo e di competitività. Poiché anche a livello internazionale si stanno manifestando dei segnali di ripresa, il primo interrogativo al quale dobbiamo saper rispondere è in che modo l'Italia si prepara per agganciare tale ripresa, portando il paese verso uno sviluppo qualitativo e, soprattutto, essendo in grado di sviluppare quei livelli di competitività necessari nella globalizzazione dell'economia.
Penso da sempre - o meglio, da molti anni - che un ingrediente fondamentale per questo paese sia sicuramente la concertazione. Per me questo è un punto essenziale, un punto di valore, ma soprattutto è un metodo che questo Governo, sicuramente il ministero che dirigo, intende


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perseguire come modalità per individuare le grandi coordinate di sviluppo del paese.
Permettetemi di chiarire il mio punto di vista sulla concertazione. So che su questo argomento ci sono molte opinioni: c'è chi ritiene la concertazione un laccio, un rallentamento e chi, come me, ritiene la concertazione un metodo necessario (anche perché attraverso la concertazione si crea quel bene invisibile ma essenziale per lo sviluppo di un paese che si chiama coesione sociale, senza la quale, se il paese è diviso, se il paese è contro, è molto difficile per le nazioni industrialmente avanzate raggiungere i propri obiettivi).
Per me la concertazione non significa imporre decisioni già assunte dal Governo, ma ricercare una sintesi nel confronto con le parti sociali, naturalmente, ferme restando le prerogative del Governo ed in ultima istanza del Parlamento, soprattutto quando ciò avviene a valle di mancanza di decisioni o di accordi. La concertazione è un metodo importante che va trattato con cura, che richiede, ovviamente, pazienza e confronto.
Ritengo che questo sia un punto di partenza che riguarderà, nel medio-lungo periodo, un iter di confronto con le parti sociali (del resto, per quanto mi riguarda, in termini informali sto già provvedendo a sentire il nutrito drappello delle parti sociali dell'impresa e del sindacato che costituiscono il panorama delle associazioni presenti in Italia).
Se ci poniamo come obiettivo, attraverso la concertazione, di riportare il paese verso la strada della competitività e dello sviluppo, il primo punto sul quale interrogarsi è definire il segno fondamentale dell'azione di Governo. Noi sappiamo di trovarci in una situazione di conti pubblici non perfettamente in regola. Eviterò qualsiasi allusione al Governo precedente e qualsiasi polemica perché non mi interessa; ciò che mi interessa è spiegare quello che intendo fare. Non c'è dubbio, però, che siamo di fronte ad una situazione che ha bisogno davvero di rimettere i conti pubblici in ordine se vogliamo ridare fiato allo sviluppo; tuttavia sono anche profondamente contrario ad una logica che alcuni definiscono la politica dei due tempi. Il nostro Governo non vuole perseguire la logica dei due tempi.
Ritengo che la parola rigore che, purtroppo, è necessaria stante la cattiva salute dei conti pubblici, possa essere separata dalla parola sviluppo e dalla parola equità. Di questo il paese ha profondamente bisogno in quanto ritengo che, soprattutto negli ultimi anni, qualche segno di minore equità sia stato percepito concretamente dai cittadini.
Quindi, rigore, sviluppo, equità, rappresentano per me e per l'azione del Governo un trinomio indissolubile, un rapporto stringente che guarda ad un'idea di sviluppo competitivo, basato sulla qualità delle produzioni, dell'innovazione tecnologica e della risorsa umana.
Da qui le azioni di Governo. Penso, ad esempio, che il documento di politica economica e finanziaria che il Governo varerà a breve dovrà contenere le prime indicazioni della linea di marcia che l'esecutivo intende attuare. Quindi, anche da questo punto di vista, ritengo importante che questo documento sia capace di sintetizzare gli indirizzi di rigore, di sviluppo e di equità.
Sappiamo la differenza che intercorre fra un documento di politica economica e finanziaria e la legge finanziaria vera e propria. La linea di marcia che si segue è sempre un fatto essenziale. Io sono persona prudente, moderata, che ama i piccoli passi, ma è importante che i piccoli passi si indirizzino nella direzione giusta.
In tutta la nostra discussione è sicuramente emerso un punto, collegato al tema della competitività e dello sviluppo, un punto che, in termini ormai gergali, si definisce cuneo fiscale. Voi sapete di cosa si parla, naturalmente: si tratta della differenza, vistosa in Italia, tra quello che è il salario netto, o meglio la retribuzione netta percepita dal lavoratore, e la retribuzione lorda e, ancor più, il costo del lavoro; si tratta di un rapporto di uno a quasi due se parliamo del costo del lavoro.
È evidente che un'azione sul cuneo fiscale, del resto non sconosciuta nelle


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passate legislature, potrebbe non risolvere tutti i problemi che abbiamo di fronte. Io non penso mai che ci sia una soluzione definitiva attraverso un unico strumento. Uno strumento può aiutare, indirizzare, sollecitare, può mettere in movimento una tendenza positiva e sicuramente il cuneo fiscale può mettere in atto, se abbassato, una tendenza virtuosa, ma il problema è come attuare questa manovra. Spiegherò ora in breve qual è l'intenzione del mio ministero nella discussione del Governo, e l'impostazione assunta in più occasioni trattando di questo argomento.
Vorrei fissare alcuni criteri. Non porterò in questa Commissione dei provvedimenti definitivi; non per un atteggiamento di poco rispetto verso la Commissione, che per me è un luogo di lavoro essenziale, ma perché nei luoghi deputati alla concertazione si troveranno le soluzioni tecniche adatte a risolvere i problemi. In questa sede mi limiterò ad indicare alcuni criteri che hanno una piena sintonia con quello che, a mio avviso, rappresenta il nucleo essenziale dell'elaborazione del nostro programma come Unione.
Il primo problema è che il beneficio deve andare nei confronti dell'impresa e del lavoro: non solo nei confronti dell'impresa, non solo nei confronti del lavoro. Abbiamo bisogno di sviluppare un'azione simultanea di beneficio che può in modo sicuro premiare l'impresa, abbassando il costo della sua manodopera, dei suoi dipendenti e al tempo stesso può far migliorare il potere d'acquisto delle retribuzioni attraverso una manovra, ad esempio, fiscale.
Ritengo, dunque, che la manovra che si riferisce al cuneo fiscale debba avere questo primo criterio di riferimento. Naturalmente, la discussione consentirà di stabilire qual è concretamente la divisione di questi benefici. Un imprenditore può avere un beneficio nel momento in cui il costo del lavoro dei suoi dipendenti diminuisce e ha sicuramente un beneficio se per via fiscale aumenta la retribuzione dei suoi dipendenti, i quali a loro volta avranno un beneficio da questa azione.
Seconda questione. Dobbiamo attribuire questa manovra all'insieme del sistema oppure dobbiamo selezionare le imprese che potranno godere di questo beneficio? Anche su questo punto c'è una discussione.
Mi permetto di dare un'indicazione. Per me la via maestra è sicuramente quella di una selettività. Non ritengo che si possa andare nella direzione di una generalizzazione di questo intervento. Per selettività intendo agganciare questa manovra ad un criterio che abbia una sua oggettività.
Una selettività che non abbia un criterio oggettivo può prestarsi alle mediazioni della politica. Sarei molto contrario ad un'idea di premio o non premio nei confronti dell'azienda in riferimento a parametri discutibili, non oggettivi. Esiste un tale criterio? Secondo me esiste e può cogliere una serie di obiettivi.
Il criterio che io propongo e che trova udienza nella discussione di Governo è quello di assegnare la diminuzione, il beneficio fiscale alle imprese insieme a tutti i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. Su questo voglio fare una precisazione. Quanto parlo di lavoratori a tempo indeterminato (naturalmente, voi siete esperti di questa materia, sulla quale, in parecchi casi, c'è molta confusione) mi riferisco allo stock dei lavoratori dipendenti e, ovviamente, alle nuove assunzioni a tempo indeterminato.
Voglio anche precisare che questo criterio rappresenta per l'industria, dal punto di vista dello stock occupazionale, il 90 per cento degli attuali dipendenti. È una selezione, ma è una selezione mirata, che si fonda su un criterio inoppugnabile. Questo vale anche per l'artigianato. Naturalmente, ci sono settori che hanno nel loro stock occupazionale una maggiore o minore presenza di lavoratori stabili o di lavoratori flessibili, dipende anche dalle tipologie.
Io credo, però, che questo criterio abbia un vantaggio, quello di essere oggettivo, traducibile e al tempo stesso di andare nella direzione che il Governo intende perseguire - soprattutto il ministro del lavoro - cioè di far tornare in Italia


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l'idea che la modalità di lavoro a tempo indeterminato sia la normale modalità di assunzione.
Chiarisco meglio: non si tratta di tornare al posto fisso dei miei tempi, degli anni '70. Non propugniamo l'idea del ritorno al posto fisso, anzi, sosteniamo l'esigenza per l'impresa moderna, che si misura nella globalizzazione, di avere a disposizione strumenti di buona flessibilità.
Gli strumenti di buona flessibilità sono la possibilità di utilizzare lavoratori a termine, in aggiunta a dei lavoratori regolarmente assunti a tempo indeterminato, quando il mercato presenta richieste improvvise, non programmabili, che vanno soddisfatte, che vanno colte. In questo modo si avvicinano persone al lavoro, si crea ricchezza per l'impresa, che può essere ridistribuita.
Non è, quindi, un ritorno al posto fisso, ma è l'idea di questo Governo di perseguire una linea, di favorire percorsi di stabilizzazione che possano consentire un passaggio dalla flessibilità alla stabilizzazione del lavoro, combattendo la precarietà.
La buona flessibilità non è precarietà. La precarietà è l'utilizzo di lavoratori a tempo determinato, ad esempio con il lavoro a progetto, un lavoro parasubordinato, in sostituzione di normali lavoratori a tempo indeterminato. Quando ciò avviene si crea, addirittura, ed è paradossale, una concorrenza sleale che mette fuori mercato le imprese più virtuose.
Credo, quindi, che questo criterio sia oggettivo, forte, e dia un'indicazione di tendenza al Paese.
Ritengo, inoltre, che andrebbero considerate le tipologie particolarmente coinvolte in percorsi di precarizzazione, non solo i nostri giovani laureati, diplomati che incontrano un lavoro precario che si prolunga per troppo tempo, ma molte volte le donne tra i 35 e i 45 anni o gli over 50 che perdono un posto di lavoro tradizionale.
Come attuare la manovra? Non tratterò nella odierna audizione il problema del reperimento delle risorse, sul quale ho, peraltro, degli argomenti fondati e delle proposte (sarà argomento che verrà trattato, ovviamente, dal ministro dell'economia).
Per quanto riguarda la manovra, dobbiamo stabilire un principio, al quale tengo moltissimo: è possibile fare questa manovra senza toccare i contributi pensionistici. È possibile, a partire dagli oneri impropri e da altre manovre, arrivare al risultato agendo, nel caso della rivalutazione del potere d'acquisto delle retribuzioni, per via fiscale attraverso una rimodulazione delle aliquote che, ovviamente, a differenza del recente passato, avvantaggi le retribuzioni e i redditi medio-bassi e non le retribuzioni alte della scala sociale.
C'è un'ultima questione, abbinata a questa manovra, che si collega all'attuale disparità di contributi che gravano, in particolare, sul lavoro parasubordinato.
Sapete perfettamente che mentre il lavoro dipendente, determinato o indeterminato, ha delle aliquote di circa il 33 per cento per quanto riguarda i contributi pensionistici, vi sono poi aliquote molto diverse fra di loro per altri tipi di lavoro (cito quella del 18 per cento per quanto riguarda il lavoro a progetto). Questa scala di offerta nei confronti delle imprese può favorire quei fenomeni di sostituzione di manodopera stabile con manodopera con contratto parasubordinato che può essere utilizzata al posto del lavoro a tempo indeterminato.
Ritengo, quindi, che il Governo debba proporre una manovra, per così dire, «a tenaglia» garantendo l'abbassamento dei contributi nei confronti del lavoro a tempo indeterminato e il graduale innalzamento dei contributi che riguardano il lavoro parasubordinato, le partite IVA e gli associati in partecipazione, distinguendo in questo numero assai rilevante di lavoratori che fanno riferimento al cosiddetto fondo speciale dell'INPS le varie tipologie (so perfettamente che andiamo dagli amministratori di condominio ai dipendenti di call-center, ai professionisti senza casse integrative; si tratta, quindi, di discernere il grano dal loglio, per fare le misure di correzione che siano adatte alle diverse tipologie di lavoro).


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Questo, in sintesi, è il primo punto riferibile alla questione del cuneo fiscale.
Sul secondo punto, quello del mercato del lavoro, che è di competenza di questo Ministero e dell'attività collegiale del Governo, dobbiamo innanzitutto, sulla base del metodo della concertazione, aprire un tavolo con le parti sociali perché nel medio periodo si possano affrontare alcune questioni.
Come ho detto e come è scritto nel programma dell'Unione, noi non intendiamo abrogare la legge n. 30, né intendiamo semplicemente completare tale legge. Io intendo cancellare le forme di lavoro più precarizzanti, quelle già indicate, dal job on call allo staff leasing, al contratto di inserimento, del resto scarsamente utilizzate dal sistema delle imprese; non mi sembra però questo il punto fondamentale. È fondamentale, invece, dotare il sistema del mercato del lavoro di alcuni strumenti, purtroppo rimasti nel cassetto del precedente Governo, come gli ammortizzatori sociali e i diritti di sicurezza sociale, in termini più moderni.
Gli ammortizzatori sociali di cui dispone il sistema in Italia sono quelli ascrivibili alla grande impresa fordista-taylorista degli anni '60, giunta all'apice del suo sviluppo all'inizio degli anni '70, un modello che è ormai nei fatti superato e sostituito dalle nuove regole della globalizzazione e della flessibilità.
Quindi, nuovi ammortizzatori sociali significa dotare il sistema di un nuovo abito su misura capace di cogliere i problemi di sicurezza sia dei lavoratori a tempo indeterminato sia dei lavoratori flessibili, stendendo anche delle reti di sicurezza per il lavoro flessibile. Mi riferisco, ad esempio, ad alcuni diritti universali di base; ne cito uno per tutti: quello della maternità e della paternità dei lavoratori che passano attraverso lunghi periodi di lavoro flessibile.
Un'altra intenzione del ministro è quella di occuparsi, tra le tante cose, della situazione dei disabili e del collocamento obbligatorio.
Infine, c'è la tematica, ascrivibile anche questa al capitolo del mercato del lavoro, del lavoro nero, di cui il presidente ha parlato giustamente ad inizio di seduta.
I dati riportati sono a conoscenza di tutti. Abbiamo 1.300 infortuni mortali all'anno, 250 ed oltre soltanto nel settore dell'edilizia, con la caduta dall'alto che costituisce il principale fattore di morte. Il 12 per cento di questi morti nell'edilizia risultano al primo giorno di lavoro. Viene il sospetto che siano iscritti post-mortem.
Questo aspetto mette in luce la grave situazione di irregolarità e di lavoro nero presente, non solo in questo settore, ma in molti altri. Il settore dell'edilizia è però particolarmente esposto.
Per questa ragione colgo volentieri la sollecitazione del presidente, che mi sembra assolutamente adatta alle situazioni tragiche verificatesi ancora in questi giorni. Sarà cura di questo Governo riprendere un argomento rimasto insoluto nella passata legislatura, cioè la riedizione e la riscrittura di un testo unico sul tema della salute e della sicurezza. Sarà anche cura di questo Governo verificare se nell'immediato si possono produrre alcune misure, modeste, graduali, di miglioramento.
Faccio un esempio: perché non prevedere la notifica dell'assunzione agli enti previdenziali il giorno prima dell'assunzione? Perché non estendere il documento unitario di regolarità contributiva all'insieme dei settori produttivi, in modo tale che senza costi si possano produrre quegli elementi di trasparenza e di avanzamento di civiltà di cui tutti abbiamo bisogno? Ciò vuol dire anche sviluppare un'azione ispettiva molto efficace. Per quanto riguarda il Ministero in particolare, sto cominciando a comprendere tutte le varie situazioni. Sapete infatti che in questa mia nuova attività sono un neofita (sia come ministro, sia come parlamentare) pur avendo alle spalle 38 anni di lavoro che sicuramente mi aiutano nell'orientamento, ma non mi è ancora consentito di comprendere a fondo quali sono tutti i meccanismi di un Ministero assai complesso. Ho, però, voluto informarmi sull'attività degli ispettori. Mi risulta che i nostri ispettori per il 55


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per cento svolgono azioni burocratiche e soltanto per il 45 per cento svolgono un'azione territoriale.
Mi risulta che i nostri ispettori siano messi in una condizione di difficoltà dal punto di vista delle indennità, rispetto ad altri ispettori di istituto, e che non abbiano neanche le risorse per far uscire le loro automobili (dovendo mettere la benzina per fare le ispezioni). Essendo io legato alle piccole cose che possono determinare anche i grandi cambiamenti, ritengo che certe azioni, come ad esempio riportare la maggioranza degli ispettori nel territorio e dotarli di quegli strumenti minimi per poterlo osservare, debbano essere prodotte.
Mi risulta anche che siano stati assunti 800 nuovi giovani ispettori, laureati e diplomati. Sicuramente è una risorsa giovane, qualificata. Con loro ho parlato attraverso una videoconferenza raccomandando una cosa essenziale, dopo le congratulazioni per aver raggiunto un posto di lavoro a tempo indeterminato (che sicuramente potrà fare del bene a loro per quanto riguarda le prospettive di carriera e di famiglia), cioè di avere una vocazione particolare; essendo ispettori ho raccomandato loro di non pensare ad un'attività burocratica ma di indagare le difficoltà, le disuguaglianze, i problemi che esistono sul territorio, perché queste sono le cose di cui il paese ha bisogno.
Io penso (nell'ultimo Consiglio dei ministri ne ho parlato con il ministro Di Pietro, che si sta occupando dei general contractor) che si debba rivedere anche il sistema degli appalti. É mia profonda convinzione che noi non sconfiggeremo il lavoro nero, il «grigio», o irregolare e non aiuteremo la diminuzione di quella riserva rappresentata dal lavoro precario, se all'alto non costruiremo, come intendiamo proporre, un sistema di incentivi che spinga le imprese ad assumere a tempo indeterminato e, al basso, non rivedremo, ad esempio, quella formula particolare del sistema di appalti al massimo ribasso che oggi, non avendo nessun riferimento qualitativo alla manodopera impiegata per la prestazione di un servizio e nessun aggancio ai minimi contrattuali delle categorie di riferimento sulla base dell'appalto che viene stipulato, costituisce un serio problema e consente di sviluppare un'azione di dumping sociale che molte volte vede addirittura coinvolti dai ministeri alle pubbliche amministrazioni, ai grandi committenti.
Ritengo che questa sia un'azione indispensabile. Il Governo ha già annunciato l'esigenza, da questo punto di vista, di attuare un'azione di revisione del sistema degli appalti, attraverso una discussione con le parti sociali, in modo da consentire, entro la fine dell'anno, di emanare nuove regole.
Infine, la questione delle pensioni. Anche su questo argomento, ritengo che si tratti di avere un atteggiamento di grande rigore e grande prudenza. Personalmente, insisto sulla mia «bussola», cioè la riforma Dini del 1995. Penso che occorra lavorare intorno a quella «bussola».
È una «bussola» perché quella riforma ha consentito di equiparare la condizione pensionistica del lavoro pubblico e del lavoro privato; ha consentito di introdurre un sistema contributivo, sicuramente non esente da problemi che vanno esaminati; ha consentito un risparmio valutabile, fra il 1996 ed il 2000, di 100 miliardi di euro, che ha salvato il sistema pubblico e lo ha messo tendenzialmente in equilibrio, ed è un sistema che contiene al suo interno i meccanismi di riequilibrio nel rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo.
Non si tratta, quindi, di fare annunci di nuove riforme pensionistiche, ma di preoccuparci che la spesa pensionistica sia equa, in equilibrio e che si tolgano, ovviamente, residui di privilegi laddove questi esistono.
Si tratta di cambiare alcune distorsioni che, a mio avviso, sono state introdotte (lo dico a bassa voce, senza voler fare nessuna discussione particolare). Una di queste è sicuramente lo «scalone» introdotto dal ministro Maroni, che va corretto in quanto iniquo, così come va dato il via a quel sistema, che è già decollato alla metà degli anni '90 nel sistema privato, che è il


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sistema delle pensioni integrative. Esso richiede oggi di avere un nuovo impulso sia nel sistema privato sia, soprattutto, per quanto riguarda la sua estensione nel settore pubblico.
Bisognerà riprendere gli accordi stipulati, ci sono alcuni problemi da risolvere, ma non credo che sia questa la sede per una discussione tecnica e di merito. Ho già provveduto, d'intesa con la COVIP, a fare in modo che entro la fine di questo mese ci sia l'emanazione delle direttive. Si tratta, quindi, di un nuovo mattone che si aggiunge alla costruzione di una rete di fondi di previdenza integrativa fra i lavoratori pubblici e privati che può consentire una portabilità e un accompagnamento di pensioni private accanto alle pensioni pubbliche. Da questo punto di vista sarebbe molto utile interrogarsi sul modo con il quale anche il lavoro flessibile possa entrare all'interno di questo sistema, non soltanto come previsione ma anche come meccanismo di funzionamento.
Questi sono gli aspetti che ho scelto di rappresentare. Mi rendo perfettamente conto che un programma è più vasto, che le attese del paese sono al di là della mia misurata presentazione (sicuramente modesta), però penso di aver rappresentato, anche in termini relativamente circostanziati, il significato dell'indirizzo che il Governo intende attuare per quanto riguarda problematiche così rilevanti, così complesse come quelle legate al tema del lavoro. Naturalmente, questi intendimenti dovranno fare i conti con risorse da reperire e da ridistribuire in una logica di equità sulla quale vogliamo lavorare.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per l'illustrazione delle linee programmatiche. Vi ricordo ancora che la sua disponibilità è fino alle 18.30; invito quindi i colleghi ad intervenire tenendo conto dei tempi.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Ringrazio il signor ministro per la sua disponibilità oggi a rappresentare alla Commissione (che per la prima volta si riunisce in seduta plenaria) gli indirizzi suoi e del Governo su problemi fondamentali come quelli del lavoro.
Non effettuerò una disamina su tutti gli aspetti che lei ha voluto sottolineare nel suo intervento. Mi riferirò essenzialmente a quelli che appartengono alla mia esperienza ed alle mie conoscenze (anche perché, avendo presieduto nella scorsa legislatura la Commissione bicamerale di controllo sugli enti di previdenza, un minimo di riferimento a questi problemi da parte mia è opportuno).
Inizio il mio intervento partendo proprio dal problema della previdenza. Nella sua introduzione, lei ha affermato che la linea di direzione del Governo e del suo Ministero sarà quella di guardare allo sviluppo ed alla competitività del sistema Italia.
Nella scorsa legislatura, il varo della riforma strutturale (cosiddetta riforma Maroni), quella previdenziale, che è andata a portare a compimento e a rimodulare, secondo nuove esigenze, la riforma Dini che aveva iniziato un percorso, rientrò tra le norme che la stessa Comunità europea sollecitava in maniera forte al Governo italiano, in riferimento alle necessità della ripresa dello sviluppo e della competitività che bisognava dare al sistema Italia. Tuttavia, è necessario riferirsi anche, come lei ha fatto, al programma che l'Unione ha presentato in occasione della campagna elettorale.
Ebbene, in quel programma l'Unione faceva riferimento alla riforma del centrodestra, come se questa si fosse mossa essenzialmente in una direzione di sostenibilità finanziaria.
Quando però si parla di pensioni, bisogna considerare due aspetti fondamentali. Il primo è quello della sostenibilità. Se così non fosse, infatti, ci troveremmo di fronte ad un sistema che andrebbe in implosione immediata. Del resto, se la riforma Dini nacque, fu perché bisognava dare sostenibilità finanziaria ad un sistema che, così com'era, con tutta una serie di privilegi che venivano garantiti nel vecchio sistema pensionistico a base retributiva, non potevano essere più mantenuti. La fiscalità generale non era più in grado


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di coprire le spese sproporzionate del sistema previdenziale così organizzato. Quindi, si passò al sistema contributivo, si diedero una serie di indicazioni e, in modo particolare, si previdero delle finestre che permettevano un pensionamento a determinate condizioni.
Quelle stesse condizioni, rapportate alla situazione italiana, erano diventate anch'esse insostenibili ed avevano bisogno di essere riviste. Ecco perché si è arrivati alla riforma Maroni, per ridare una sostenibilità al sistema e per far sì che la sproporzione di spesa per le pensioni (o per il sistema previdenziale nel suo complesso) non fosse sempre a carico dei cittadini attraverso un aumento inopinato della fiscalità generale. Insomma, l'obiettivo che si intendeva raggiungere era quello di creare delle condizioni (e di qui la logica dello scalone e di tutti gli interventi previsti) che potessero servire a dare una sostenibilità, senza comportare un aggravio maggiore, anche attraverso una forte lotta all'evasione contributiva. Quest'ultimo è un settore sul quale si è iniziato pesantemente ad intervenire, anche da parte dell'Istituto nazionale di previdenza sociale. L'invito che rivolgiamo al Governo è quello di continuare su quella strada e di combattere l'evasione contributiva (se non addirittura la truffa contributiva) per quanto riguarda il settore agricolo.
In alcune zone del Mezzogiorno, in particolare nella provincia di Foggia (personalmente, tra l'altro, vengo da una di queste regioni), proprio a seguito delle nostre denunce, sono state arrestate persone che erano collegate a questo sistema. Un sistema che, mensilmente, pesava sull'INPS per miliardi e miliardi, attraverso una gestione che, a volte - come è stato riscontrato -, veniva addirittura portata avanti dalla delinquenza organizzata attraverso aziende e assunzioni fasulle che servivano solamente a creare la possibilità di ricevere i contributi e la cosiddetta «disoccupazione». Quindi, questo è certamente un percorso virtuoso sul quale ci siamo impegnati.
Il secondo aspetto che vorrei affrontare è quello dell'adeguamento delle pensioni alla realtà. Non possiamo pensare che, passando da un sistema retributivo ad uno contributivo, si possa mantenere lo stesso livello di pensione. Questo è assolutamente impossibile.
Prima le pensioni venivano calcolate sulla migliore retribuzione degli ultimi dieci anni; invece con il sistema contributivo la pensione viene valutata su quello che una persona, nel suo percorso lavorativo, ha versato. In maniera molto semplificata, la questione è questa.
Quindi, pensare che la pensione base possa essere adeguata a quelle che erano le pensioni in passato non è possibile. Tra l'altro, anche da questo punto di vista esiste una sacca di privilegi di pensioni che, pur riferite a settori ristrettissimi del mondo del lavoro, causano forti sbilanci di deficit all'INPS (alcune di queste realtà derivano dalle gestioni degli ex telefonici, o degli ex ferrotranviari). Insomma, esistono diverse situazioni che l'istituto si porta ancora avanti e che pesano notevolmente sui bilanci dello stesso. Al di là di questo, lo ripeto, ipotizzare che la pensione base possa essere paragonata a quella che si percepiva col sistema retributivo è assolutamente impensabile.
Ecco perché nella scorsa legislatura si era pensato, e alla fine si è dato luogo, al processo (come è stato anche ricordato dal ministro Damiano) della realizzazione di quel secondo pilastro che è la previdenza complementare che, indubbiamente, diventa uno strumento indispensabile per cercare di adeguare il livello pensionistico tra pensione base e pensione eventualmente complementare.
Mi auguro, quindi, che su questo percorso non si abbia il totem della riforma Dini, che ha dimostrato di essere utile nel suo sviluppo, ma insufficiente. Necessariamente, dunque, bisognava intervenire su una condizione in cui l'Europa ci chiedeva una riforma strutturale.
La stessa Europa, peraltro, ci ha indicato come Governo e come nazione che ha saputo prevedere un'ottima riforma pensionistica. Ritengo che questo sia stato il frutto di un lavoro che mira a garantire, nel tempo, il principio che è alla base del


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sistema previdenziale e che è necessario salvaguardare. Sto parlando del patto intergenerazionale che lega i giovani e gli anziani. Questi, infatti, non devono vivere il problema delle pensioni come uno scontro frontale tra chi vuole conservare dei privilegi e chi non ha alcuna prospettiva di prendere la pensione. Quindi, il Governo deve intervenire in maniera tale che questo patto sia veramente il fondamento di un processo riformatore (che indubbiamente va completato). Sul fatto che qualche aspetto della vicenda vada rivisto e completato, siamo d'accordo. Questo è un percorso che, certamente, ci deve vedere - e, per quanto ci riguarda, ci vedrà - attenti e disponibili.
Vorrei sottolineare, inoltre, che non ho sentito nella relazione del ministro Damiano alcun riferimento al problema degli ammortizzatori sociali. Chiedo scusa, forse ero distratto in quel momento e non l'ho percepito. Ad ogni modo, questo è un passaggio sul quale gradirei da parte del ministro un approfondimento. Già nella passata legislatura, presso la Commissione lavoro, è stato predisposto un disegno di legge, il famoso n. 848 che, purtroppo, non è andato avanti e che, quindi, non ha permesso una revisione della vecchia disciplina della legge n. 223 del 1991, che prevedeva casi limitati di ammortizzatori sociali.
Come dicevo, sono originario di una regione, la Puglia, che in questi giorni sta vivendo un dramma, quello dei dipendenti di un'importante emittente televisiva (i ventisei dipendenti che lei ha incontrato, come anche il presidente Paglierini) che oggi rischiano un licenziamento in tronco e non hanno alcuna prospettiva.
Oltre a ciò, ormai da più di dieci anni si trascina il problema gravoso degli ex CCR, al quale penso che bisognerà dare una soluzione in maniera definitiva. Anche da questo punto di vista, una maggiore sollecitazione da parte della regione Puglia ad attuare una serie di situazioni che erano state concordate con il Governo andrebbe eventualmente indicata.
Concludo sottolineando che, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, la nostra posizione è perfettamente in linea con quella del ministro Damiano, quando afferma che bisogna intervenire in maniera forte e intensa sul controllo per evitare questi drammi. Noi, insieme al senatore Fabbri, che faceva parte di quella Commissione, abbiamo ribadito più volte che proprio dall'INAIL ci giungevano i dati relativi al fatto che buona parte degli incidenti sul lavoro erano denunciati il primo giorno di lavoro. Questo era un segnale forte dell'esistenza di una grande fascia di evasione e di lavoro nero che mette a rischio la vita dei lavoratori.
Chiediamo, quindi, una maggiore capacità di intervento e una sburocratizzazione del sistema di controllo. È pur vero che esiste una diversità tra i vari sistemi di controllo da parte del Ministero del lavoro e da parte, ad esempio, degli enti, per cui a volte si crea una sorta di rivalità tra i responsabili dei vari settori. Tuttavia, è altrettanto vero che, spesso, gli ispettori del Ministero del lavoro «lasciano a desiderare» su certi tipi di interventi che vengono operati. Anche da questo punto di vista, quindi, andrebbe seguito maggiormente un settore che è importante e indispensabile per evitare certi fenomeni.

AUGUSTO ROCCHI. Ringrazio il presidente Pagliarini e il ministro Damiano. Mi pare che il ministro abbia esposto con coerenza un impianto di scelte che, d'altronde, erano enunciate nel programma con il quale ci si è candidati a governare il paese. Riconosco che c'è una coerenza di fondo con quell'impianto programmatico. Quindi, nell'apprezzamento generale dell'impianto proposto, desidero soffermarmi solo su alcuni aspetti come contributo di arricchimento alla valutazione del ministro Damiano e all'operato che si dovrà realizzare.
Parto dalla ovvia valutazione positiva sul fatto che si voglia enfatizzare e valorizzare il ruolo del confronto con le parti sociali. Si tratta di un confronto preventivo in merito alle misure sul quale questo è richiesto, ed è utile per lavorare a soluzioni di sintesi condivise.


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Ho parlato di metodo del confronto (penso che il ministro Damiano me lo permetterà, visto che veniamo entrambi da una lunga esperienza di militanza sindacale, per cui sappiamo di cosa parliamo), perché la concertazione era in sé non solo metodo, ma anche merito di una strategia.
Dunque, ritengo importantissimo il metodo del confronto con le parti sociali e la ricerca della sintesi di questo, come uno strumento che aiuta la capacità e l'efficacia di scelta.
In secondo luogo, ritengo importante e doveroso che il presidente della Commissione abbia aperto i lavori della nostra seduta odierna sul tema della sicurezza nel lavoro. In proposito, ringrazio il presidente per aver operato questa scelta e rivolgo un ringraziamento anche al ministro Damiano per le misure che ha proposto in merito. Ormai, come sappiamo da tempo, siamo allo stillicidio giornaliero.
Su questi temi è stato svolto un lavoro positivo ed unitario dalla Camera e dal Senato. Ritengo importante che, a partire da questo lavoro unitario realizzato, il Governo si impegni, attraverso le forme che riterrà opportune, a raggiungere quell'obiettivo che il presidente della Commissione proponeva per tutti noi, ossia la realizzazione di un Testo unico sulla sicurezza nel lavoro.
Il paese attende dagli anni novanta questa misura che costituirebbe uno strumento unico ed efficiente.
Penso che andare a lavorare, e vivere di lavoro, non possa diventare persino più grave e rischioso (basta leggere le statistiche) del partecipare ad azioni militari in zone di guerra. Infatti, per quanto riguarda il nostro paese, dai dati dell'andamento degli infortuni sul lavoro emerge che ci sono stati più morti sul lavoro dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi che militari caduti in quella guerra. Basta da sé questo dato, per far riflettere tutti.
Per quanto riguarda gli strumenti immediati (oltre a quelli che il ministro Damiano ci ha proposto, ossia la comunicazione del giorno prima e il DURC, che ritengo importantissimi) suggerirei quello che usciva all'unanimità dalla relazione della Commissione lavoro del Senato. Sto parlando del tesserino di riconoscimento per chi opera nei cantieri (qualsiasi tipo di cantiere sia).
Gli ispettori raccontano che quando si recano presso i cantieri per fare le ispezioni assistono spesso ad un fuggi fuggi generale e che, a volte, gli è impossibile identificare tutti quelli che operano all'interno del cantiere. Quindi, così come per entrare in qualsiasi luogo di lavoro i dipendenti devono avere un tesserino di riconoscimento, questo valga anche per i cantieri, siano essi edili, navali, o di altro genere.
In secondo luogo, riguardo alla questione degli interventi proposti per il mercato del lavoro, riconosco la coerenza con l'impianto programmatico dell'Unione.
Come è noto, per quanto riguarda la forza politica che rappresento, abbiamo un giudizio più radicale su alcune di queste misure. Tuttavia, riterrei utile e importante se tra di noi, al di là degli atteggiamenti e dei giudizi di partenza diversi che ci appartengono, fossimo in grado di fare una fotografia della realtà di questo paese.
Ovviamente, ho un'opinione di parte e ritengo che quella che viene chiamata flessibilità sia stata uno strumento potente, enorme, ma a tutto svantaggio dei lavoratori e delle lavoratrici, di riduzione del costo del lavoro.
In moltissimi casi, si sono usate le varie forme di lavoro a termine al posto di un corretto utilizzo del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Quindi, condividendo le linee che il Governo espone (di favorire, con la disincentivazione del costo, il contratto a tempo indeterminato e, contestualmente, di aumentare dall'altra parte il costo per quelle funzioni del contratto a termine nelle varie forme, così come previsto), penso che sarebbe importante se riuscissimo ad avere una fotografia della realtà. Dico questo pensando, ad esempio, all'uso, in base alle causali, di forme di rapporti di lavoro non a tempo indeterminato, nelle varie espressioni, perché non


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ne esiste solo una. Se volete, posso fare alcuni esempi, anche molto concreti, al riguardo.
Quando scopro che un neolaureato, per iniziare a lavorare in banca, per contratto nazionale di lavoro, in applicazione di una legge di questo paese, deve fare quattro anni di apprendistato, essendo una persona che in banca ha lavorato da impiegato per cinque anni, mi viene da ridere. Tutti sanno, infatti, che quel neolaureato, ragazzo o ragazza che sia, andrà a lavorare, dopo una settimana se va bene, al riscontro di corrispondenza, o al settore merci, o in cassa, e nel giro di sette giorni sarà già in grado di svolgere tranquillamente il suo lavoro. Avere un contratto di quattro anni di apprendistato - parlo di neolaureati o neodiplomati - mi sembra una cosa assurda!
Così come ritengo assurda la condizione di aziende che hanno il cento per cento dei dipendenti con contratti a tempo determinato. Un'impresa del genere non dovrebbe neanche stare in piedi. Se tutto il suo lavoro, infatti, è fatto di commesse che si riferiscono in modo stagionale al mercato, capite che dovrebbe trattarsi di un'impresa a cui bisognerebbe fare attenzione, perché potrebbe crollare in pochi secondi.
Ho citato questi due casi per dire che, siccome le leggi prevedono il ricorso a contratti a tempo non indeterminato per delle cause, l'utilizzo di quelle forme contrattuali deve essere ridotto a queste cause. Esse, dunque, non devono diventare uno strumento sostitutivo del contratto a tempo indeterminato che, invece, deve tornare ad essere lo strumento centrale di assunzione. Penso che un'indagine a tutto campo su questi aspetti potrebbe essere utile e che la Commissione lavoro potrebbe contribuire, da questo punto di vista, ad offrire degli elementi di analisi e di valutazione anche all'operato del Governo.
Concludo il mio intervento con due brevissime considerazioni. Avendo ascoltato l'intervento del collega Amoruso, capisco il senso che il ministro Damiano ha posto nel riferimento alla legge Dini e apprezzo che venga ricordato il fatto che l'intervento sul cosiddetto scalone del 2008 ha modificato la legge Dini. Ritengo, quindi, che questo punto vada affrontato e rimosso.
Allo stesso tempo, tuttavia, ritengo che debbano essere pienamente realizzate alcune parti della legge Dini che, invece, non vengono attuate. Mi riferisco, ad esempio, all'unificazione dei sistemi pensionistici sull'INPS. Perché no? Perché la pensione integrativa può essere determinata solo sul mercato privato e non anche attraverso un fondo ad hoc dello stesso INPS?
In secondo luogo, dobbiamo considerare la materia relativa ai lavori usuranti. Non possiamo continuare questo dibattito alquanto assurdo, parlando di età anagrafica e contributiva per uomini o per donne, a prescindere dalle caratteristiche del lavoro che una lavoratrice ed un lavoratore svolgono: hanno un approccio e una realtà sulle condizioni materiali, di salute, di vita delle persone e di aspettative sulla loro esistenza totalmente differenti.
Avremo modo di approfondire quanto ci ha detto il ministro Damiano, tuttavia bisognerebbe smetterla di ragionare sulle questioni del sistema pensionistico considerandolo come uno dei terreni su cui bisogna tagliare per fare cassa, e bisognerebbe tornare, invece, ad avere una strategia socialmente equa, dal punto di vista del lavoro. Una strategia che affronti il problema della pensione riguardo anche a condizioni di vita e di lavoro profondamente diverse.
Ovviamente, apprezzando l'impianto generale che il ministro Damiano ci ha proposto a nome del Governo e avanzando anche una parte di un ragionamento che potrebbe essere un terreno di lavoro della Commissione, ritengo che potremmo approfondire alcuni temi, senza fermarci semplicemente ad uno scontro e ad una discussione ideologica tra di noi.

LUIGI FABBRI. Signor ministro, la ringrazio per essere venuto in Commissione. Lei ha parlato di sviluppo, di competitività e anche della concertazione come metodo. A questo proposito, poi, il collega Rocchi


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ci ha ricordato che la concertazione è metodo e merito.
Personalmente, mi permetto di porle qualche domanda nel merito di alcune questioni (tre o quattro, non di più), per lasciare spazio ai colleghi che, giustamente, debbono intervenire.
Non so se lei ha già ragionato sul fatto che la strategia europea per l'occupazione ci ha posto dei traguardi irraggiungibili. In questi anni c'è stata una crescita occupazionale, anche se modesta, in controtendenza rispetto al periodo di bassissima crescita economica, c'è stato un aumento dell'occupazione femminile e anche, «paradossalmente», un aumento nel sud. Tuttavia, siamo ormai nel 2006 e i traguardi indicati a Lisbona sono lontani. Mi sembra difficile che si possano raggiungere!
Le competizioni si vincono se abbiamo una squadra in cui tutti i giocatori - quindi gli imprenditori, il Governo, le leggi e il paese - sono validi.
Sicuramente lei saprà che il livello di istruzione della forza lavoro del nostro paese è molto basso. In Europa il 20 per cento dei lavoratori è laureato: in Italia lo è meno del 10 per cento.
Per quanto riguarda la forza lavoro che ha incarichi di livello esecutivo, lei sa che oltre il 65 per cento di queste persone non ha la licenza media. Coloro che ce l'hanno, l'hanno ottenuta attraverso le centocinquanta ore, che sono un'istituzione benefica, ma che comunque non dà la possibilità di un adeguato livello di istruzione. Anzi, mi pare che la concorrenza dei lavoratori stranieri ad un certo livello (faccio il medico del lavoro, per cui chiedo scusa se entro nel merito dell'argomento, parlando di esperienze personali), come l'arrivo di alcuni operai dai paesi dell'est che hanno una maggiore cultura, rappresentino un rischio di concorrenza vera e propria. Alcuni lavori, infatti, già oggi non vengono più svolti nel nostro paese. Parlo degli addetti alle macchine utensili, tanto per citare un settore in cui bisogna avere, comunque, un minimo di istruzione. Pertanto, la concorrenza verrà anche da questi lavoratori che arrivano dai paesi dell'est.
Della formazione non abbiamo parlato molto, per cui le chiedo un impegno in proposito. Mi riferisco alla formazione continua, quella che tutti oggi predicano e che ci consente di evitare l'esclusione sociale di molte persone.
Le chiedo, dunque, qual è l'impegno del Governo in merito, e se il Governo sa - come credo - che la formazione, oggi, serve prevalentemente ai formatori. Infatti, anche in questo campo esistono delle sacche di utilizzo quantomeno improprio dei fondi destinati a questo tipo di promozione. La competitività aumenta se abbiamo anche dei lavoratori istruiti!
Un'ulteriore domanda che le porgo riguarda la bilateralità. Cosa intendono fare in proposito il Governo e il ministro Damiano? Vogliono utilizzare questo strumento, o lo considerano come uno degli aspetti della legge Biagi da emarginare?
La bilateralità, che ha avuto funzione meritoria proprio relativamente agli ammortizzatori sociali, di cui abbiamo parlato tutti prima, ha avuto dalla legge Biagi anche altre funzioni. Inoltre, penso che anche nel campo della formazione essa possa dire la sua in modo determinante.
Per quanto riguarda i contratti flessibili, questi in Europa vengono utilizzati da sempre. Alcuni paesi, come la Spagna, esagerano. Infatti, ad esempio, hanno il 31 per cento dei lavoratori in affitto. La media dei paesi del nord è al 5 per cento, mentre noi siamo a metà. Non abbiamo introdotto noi questo tipo di flessibilità, ma una persona della quale sono amico, il professor Treu, che non ha dovuto far altro che seguire e istituzionalizzare ciò che già esisteva nel mercato.
I contratti flessibili, che ha citato il ministro Damiano, come il job sharing - anzi mi sembra che abbia parlato del lavoro a chiamata, il job on call - e via elencando, sono realtà microscopiche che, numericamente, non hanno un valore rilevante, anche se riconosco che possono essere utilizzati a sproposito.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Il job sharing non l'ho citato!


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LUIGI FABBRI. Personalmente, purtroppo sono stato tra coloro che hanno insistito per l'utilizzo di tali forme contrattuali, che sono state inserite soprattutto per evitare il «nero» che caratterizza alcuni settori. Mi riferisco, ad esempio, a coloro che hanno degli esercizi che rimangono aperti il venerdì, il sabato e la domenica e che, generalmente, pagano in nero (come le discoteche, le sale da ballo e tutte quelle attività che sono aperte in alcuni giorni della settimana). Lo fanno ancora, ma bisogna fare in modo che utilizzino i contratti che la legge prevede.
A proposito del contratto di apprendistato, ad esempio, su cui le aziende nutrono molte speranze (anche perché è l'unico che consente dei risparmi fiscali) vorrei conoscere la sua opinione.
Personalmente, ero relatore del Testo unico sulla sicurezza, che poi è stato criticato da più parti perché non andava bene. In effetti, era un tomo della Treccani. Mi rendo conto che la sua funzione principale era quella di essere un manuale di facile utilizzazione, ma che in realtà la sua farraginosità ne impediva un utilizzo corretto. Ad ogni modo, voglio ribadire che è troppo importante in questa legislatura occuparsi del Testo unico.
Come ha ricordato il collega Rocchi, noi abbiamo lavorato in Senato con questa Commissione d'inchiesta e abbiamo registrato che l'aumento delle morti e degli infortuni sul lavoro si è arrestato due anni fa (l'ultimo dato in crescita era quello relativo al 2003).
Il fatto che in Italia ci siano ancora tre morti sul lavoro al giorno significa una cosa sola, ovvero che la legge n. 626, e quant'altro ne consegue (personalmente ho fatto anche il relatore dei lavori in altitudine), come tutti quei recepimenti di direttive della Comunità europea, non sono serviti a nulla!
Se aumenta la mortalità e il numero degli infortuni, vuol dire che questa legge (che risale al 1994, quindi è in funzione e si deve utilizzare da dodici anni), in realtà è soltanto una norma sulla carta, per come viene fatta rispettare oggi. È sufficiente che una persona produca una documentazione adeguata per essere in regola, ma poi comunque non si raggiunge il risultato che si spera.
Devo ammettere che c'è un fattore di confusione in questi numeri, rappresentato dagli infortuni in itinere, ossia gli incidenti stradali. La riprova di questo è che con l'introduzione della patente a punti tale tipo di infortuni è diminuito. Quindi, dobbiamo anche fare una scrematura dei dati, onde evitare di fare del terrorismo.
Ho apprezzato il fatto che il ministro Damiano citasse i disabili, perché in Italia vi sono 2 milioni e mezzo di disabili, 650 mila dei quali sono in grado di lavorare. Queste persone, dunque, meritano non soltanto il rispetto, ma anche l'aiuto. Non so se la legge n. 68 del 1999 abbia ancora la forza di soddisfare queste esigenze, ma se viene preso un impegno in questo senso, ci sarà senz'altro la collaborazione delle forze di opposizione.
Da ultimo, vorrei chiedere al ministro se pensa che ci siano degli esuberi nell'ambito dei dipendenti statali e se le varie vie risolutive che i giornali suggeriscono (come l'incentivazione attraverso lo scivolo che le banche hanno adoperato, e anzi hanno rinnovato la convenzione fino al 2020) possono essere utilizzate, oppure se si tratta soltanto di propaganda. Vale a dire, come si diceva prima, che saranno mandati in pensione 100 mila dipendenti pubblici per assumere 50 mila giovani.
Su questi argomenti noi le chiediamo di assumere un impegno. La competitività, infatti, non si risolve e non si migliora con un «oplà» e un tocco di bacchetta magica. Sono troppi i deficit strutturali che abbiamo (tra i quali, ad esempio, ho citato quello dell'istruzione).
Il Governo precedente non a caso ha messo mano a queste cose: all'istruzione, al mercato del lavoro e alle pensioni che sono strettamente collegate.
In ogni caso, voglio sottolineare che troverà degli interlocutori attenti nella nostra Commissione (parlo per il mio gruppo) che sapranno, di volta in volta, valutare l'opportunità, se ci verrà data, di collaborare attivamente alla formulazione


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di leggi che possono essere utili per migliorare la competitività, la formazione, la sicurezza o anche l'occupazione dei disabili, a cui abbiamo dato particolare ascolto nella precedente legislatura.

EMILIO DELBONO. Innanzitutto vorrei esprimere grande apprezzamento per alcune caratteristiche dell'intervento del ministro Damiano. Mi riferisco, in primo luogo, alla grande prudenza che ho letto nelle sue parole. La prudenza non è l'atteggiamento di chi vuole eludere o nascondere i problemi, ma è un comportamento dettato dall'esigenza di un ritorno anche alla serietà, che è apprezzabile, da parte degli esponenti del Governo. Infatti, anziché fare dichiarazioni, a volte anche fuori posto, essi riportano dentro le sedi istituzionali del Parlamento la discussione, il dibattito e le linee di indirizzo programmatico.
La seconda caratteristica dell'intervento del ministro che ho apprezzato è la concretezza con cui egli ha affrontato alcuni degli obiettivi, che - è vero - sono contenuti nel programma del centrosinistra, ma che sono comunque condivisibili e apprezzabili. Tali obiettivi, inoltre, pur essendo ambiziosi, dal momento che necessitano di reperimento di risorse, sono raggiungibili.
Vorrei richiamare alcune delle considerazioni che ha svolto il ministro Damiano, con sottolineature che considero importanti.
Non spendo una parola sul cambio di ritmo e di metodo. Il ministro ha parlato dell'esigenza di una concertazione efficace prima di assumere delle decisioni. Noi la rispettiamo, anche se sappiamo bene che questo implica per il Parlamento una qualche riduzione del suo ruolo e della sua funzione. Tuttavia la consideriamo apprezzabile, perché siamo convinti che il paese supererà le difficoltà solo attraverso una grande capacità di collaborazione e, quindi, di concertazione.
Vengo ora ai punti del discorso del ministro che ho apprezzato particolarmente. Innanzitutto, il «no» alla politica dei due tempi, che lei ha evidenziato in modo molto chiaro. Un'affermazione del genere, fatta dal ministro del lavoro, mi sembra decisiva e vorrei che questo venisse sottolineato politicamente.
Non si può pensare di vivere una prima fase di lacrime e sangue, di rigore, di risanamento dei conti pubblici, per poi sperare che una sorta di ripresa economica aiuti il nostro paese ad avere uno sviluppo ed una crescita. È chiaro che il risanamento dei conti pubblici andrà, e deve andare, di pari passo con manovre che aiutino lo sviluppo e la crescita nel paese. L'Italia, infatti, non è in condizione di vivere una politica dei due tempi.
Questo lo dico anche in relazione alle dichiarazioni sui tagli ai ministeri. Lei ha fatto un accenno molto rapido proprio relativamente all'attività ispettiva.
Anche i cosiddetti tagli ai ministeri, compreso il Ministero del lavoro, vanno operati in modo selettivo. Non è più accettabile un'idea che fissi un taglio generico ai ministeri e che vada a colpire indistintamente qualunque ramificazione del ministero stesso, a prescindere dallo stato di salute di quel ramo dell'amministrazione e a prescindere dalle risorse e dal personale che ha a disposizione. Del resto, sull'attività ispettiva ad esempio, lei ha già registrato (e l'ha già anticipato) una condizione di grande difficoltà. Difatti, anche in presenza di nuovi ispettori, registriamo una grande difficoltà da parte degli stessi a svolgere con efficacia la loro attività, perché mancano loro le risorse, le dotazioni informatiche, e a volte persino le scrivanie!
Talvolta, anche gli indirizzi di circolari ministeriali, che noi sollecitiamo che vengano rapidamente modificati, creano problemi in questo senso. Mi riferisco, ad esempio, all'impossibilità di svolgere attività ispettiva fuori dalle città capoluogo. Come lei sa bene, infatti, vi è una circolare ministeriale che dice esattamente questo agli ispettori!
Ebbene, credo che, da questo punto di vista, sia necessario porre attenzione alla selettività del risparmio. Laddove effettivamente vi sono sprechi ed esuberi, certamente va operata una razionalizzazione


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delle risorse; laddove, invece, la pubblica amministrazione non funziona per mancanza di risorse, occorre decisamente assumere un ben altro tipo di atteggiamento.
Un'ulteriore questione molto importante di cui vorrei parlare è quella relativa al cuneo fiscale. Oggi, signor ministro, lei ha detto cose importanti.
In modo particolare, vorrei sottolineare due punti del suo intervento. Il primo è che l'attività che lei metterà in atto sarà quella di individuare, concertandolo, quanto rimane al lavoratore e quanto all'imprenditore. Quindi, parliamo di una riduzione che aiuti la liquidità delle imprese, ma anche, eventualmente, i benefici per i lavoratori.
In secondo luogo, lei non ha partecipato alla gara per l'elenco dei criteri selettivi. Spesso, infatti, leggiamo sui giornali dichiarazioni di tutti i tipi (non sue, ma in generale) in cui si presenta un elenco numeroso di criteri selettivi, per applicare la riduzione delle tasse sul lavoro.
Lei, invece, si è concentrato su uno di quei criteri, quello di incentivare i contratti a tempo indeterminato e, quindi, di premiare coloro che hanno assunto a tempo indeterminato. Non ha inserito numerosi altri criteri selettivi che sicuramente sono molto più opinabili, discutibili e anche molto più pericolosi negli effetti, a seconda dei comparti che, ovviamente, sono diversi gli uni dagli altri.
Anche per quel che riguarda la cosiddetta legge n. 30, lei si è attenuto all'impegno che abbiamo assunto con il programma di Governo. Quindi, da una parte, ha parlato di completamento della legge n. 30, in riferimento agli ammortizzatori sociali e al nuovo sistema di protezione sociale; dall'altro, non ha aderito ad una visione distruttiva di tutto il sistema della flessibilità nel nostro paese, che, peraltro, non saremmo assolutamente in grado di reggere.
L'ultima considerazione che intendo svolgere riguarda il sistema pensionistico. A tal proposito, giustamente, lei ha fatto riferimento al ritorno e all'applicazione della legge Dini, in quanto quella normativa presenta gli strumenti necessari per correggere gli eventuali squilibri del sistema.
So bene che anche la legge Dini fa riferimento, per correggere gli squilibri del sistema, a metodi non indolore, come la modifica dei coefficienti di trasformazione. Tuttavia, ritengo che questa strada sia molto più condivisibile che non il continuo ritocco dell'innalzamento dell'età pensionabile o dell'età di anzianità contributiva. Quindi, il ritorno alla legge Dini è molto apprezzabile. Dico questo anche per quel che riguarda il rilancio della previdenza complementare ed integrativa, poiché su questo punto il precedente Governo ha svolto un lavoro che rinvia e che risulta essere a metà, dal momento che c'è il grande tema della previdenza integrativa per il pubblico impiego. Lei non ha toccato questo tasto in modo specifico, ma sono certo che, quando faceva riferimento al rilancio della previdenza integrativa, si riferiva anche al pubblico impiego.
Mi fermo qui, ringraziandola ancora per l'estrema chiarezza del suo intervento.

CARMELO PORCU. Mi associo di cuore e sentitamente all'intervento del presidente Pagliarini, riguardo la situazione drammatica che si è profilata - non da oggi, per la verità -, nei cantieri di lavoro, soprattutto in quelli edili.
Questa emergenza, che tutti quanti hanno sottolineato, merita effettivamente un intervento molto forte da parte del Governo ed una presa di coscienza generale dell'opinione pubblica che, spesso e volentieri, superate le prime ore di sgomento, tende a rimuovere e a dimenticare queste situazioni che riguardano l'umanità delle persone, oltre che un vero e proprio dramma sociale.
Abbiamo ascoltato con attenzione la presentazione del programma da parte del ministro Damiano e abbiamo avuto modo di constatare come fossero vere alcune cose che avevamo già avuto modo di notare in questo periodo in cui, se il Parlamento si è riunito poco, i ministri hanno pure parlato molto attraverso la stampa e i mezzi di comunicazione di


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massa. L'approccio del ministro del lavoro ci è sembrato concreto e ha toccato alcuni punti essenziali della politica del lavoro.
Tuttavia, vorrei sottolineare la diversità dell'approccio e dei toni che il ministro Damiano ha portato alla nostra conoscenza. Il suo approccio è sembrato diverso da quello di chi, ad esempio, in campagna elettorale e all'indomani di essa, diceva che la legge Biagi faceva schifo e che andava completamente cambiata. Il ministro Damiano, infatti, ci dice oggi che non siamo qua per stravolgere nulla, ma per migliorare le cose. Ebbene, noi non possiamo che essere disponibili a migliorarla.
L'approccio alla concertazione è positivo: la destra politica ce l'ha nel DNA l'approccio alla concertazione con le parti sociali! Certamente, il precedente Governo può aver fatto qualche tentativo in questa direzione che, forse, non è stato sufficientemente improntato alla decisione. Se si ritornasse ad una concertazione generale, con tutte le parti sociali, saremmo contenti e disponibili.
Le parti sociali sono una ricchezza del paese. Siamo fortemente convinti che portarle al tavolo e farle discutere, per poi assumere delle decisioni per il bene della comunità, sia particolarmente utile.
Allo stesso modo, è importante riconoscere che quando un ministro assume la carica, non si deve attardare in polemiche con chi lo ha preceduto, con il vecchio Governo o con l'attuale opposizione, ma deve guardare alle cose che può fare, che può affrontare e che può risolvere.
Avremmo voluto, tuttavia, che il ministro Damiano avesse potuto svolgere le sue considerazioni in maniera più autorevole, in qualità di ministro del lavoro in senso ampio, come aveva previsto la riforma del senatore Bassanini. Invece, ci troviamo di fronte a un ministro depotenziato. Un ministro del lavoro che avrebbe dovuto iniziare il suo discorso indicando quali sono le competenze che sono rimaste al suo dicastero dopo lo spacchettamento. In realtà, infatti, questo aspetto non si è capito bene: è ancora sub iudice del Parlamento!
Speriamo di sbagliare, ma temiamo che sia messa in pericolo la grande capacità di incidere che ha avuto l'amministrazione del lavoro nei problemi sociali del paese. Questo è stato possibile grazie ad una prospettazione ampia delle problematiche sociali del lavoro, che soltanto un Ministero con quel tipo di radicamento e di variegati interventi che poteva fare, poteva assicurare.
Mi riferisco, signor ministro, ad una cosa molto importante. Penso che la situazione più grave - fra le tante difficili situazioni esistenti in Italia - sia quella della spaccatura, della divisione drammatica del paese sui temi del lavoro tra il nord e il sud. Al nord c'è una piena occupazione, un sovrappiù di richiesta di occupazione, mentre al sud si vive una drammatica crisi occupazionale.
Queste realtà, ormai, sono quasi strutturali, ma non dobbiamo rassegnarci al fatto che permanga una situazione di questo genere.
Penso che affrontare questo tipo di difficoltà possa essere una competenza proprio del ministero della socialità in senso ampio, comprensivo quindi anche del lavoro. In quest'ottica, dunque, forse lo spacchettamento dei ministeri, come quello che è avvenuto, ritarderà e condizionerà in maniera negativa l'approccio del ministro stesso alla soluzione di questo drammatico problema. Del resto, questo tema richiede una convergenza molto ampia di iniziativa e di decisione politica.
Spero che la collegialità, che il Governo ha tante volte vantato, si attuerà di fronte a questo problema. Ho l'impressione però che stiamo andando in una direzione sbagliata, rispetto alla complessità dei problemi, l'organizzazione della politica e anche la tradizione europea in questo senso.
Signor ministro, le auguro buon lavoro. Tuttavia, in quel Ministero ci sono stato nel 1994, per un brevissimo periodo, in qualità di sottosegretario al lavoro, e so quanto sia complesso e ricco il lavoro in quelle situazioni drammatiche, quando tutte le emergenze sociali vengono scaricate sulle strutture del Ministero.


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Le porto l'esperienza di una regione come la Sardegna, che vive una situazione drammatica. Infatti, la crisi del lavoro e la chiusura di numerosissimi impianti industriali che ancora sussistono creano problemi di allarme sociale ogni giorno.
Concludo il mio intervento sottolineando il fatto che l'approccio corretto alle problematiche del lavoro obbligatorio non può prescindere dalla necessità di controllare, in particolar modo, cosa fa la pubblica amministrazione a tal proposito. Vorrei sottolineare che, spesso, i privati rispondono in maniera efficace (i datori di lavoro privati hanno questo tipo di problematica). Invece, chi non risponde affatto, è in ritardo e in difficoltà è la pubblica amministrazione!
Vorrei che il ministro Damiano prendesse nota di questo aspetto e adottasse un'azione incisiva nel cercare di portare la pubblica amministrazione all'adempimento dei suoi doveri per quanto riguarda l'occupazione dei disabili.
Bisogna considerare, inoltre, un altro aspetto molto importante della questione. Le cifre relative al numero dei disabili disoccupati in Italia sono spesso falsate dal fatto che le liste di disoccupazione della legge n. 68 sono piene di persone che, pur avendo un'età avanzata e non volendo assolutamente lavorare, sono costrette a far parte di quelle liste per ricevere il beneficio economico che prima veniva dato dal Ministero dell'interno e ora dall'INPS, in base a delle leggi particolari che esistono nel settore. Quindi, forse, sarebbe opportuno intervenire per cercare di alleggerire quelle liste e questo permetterebbe di fare un buon uso di coloro che vi resteranno iscritti.
Signor ministro, le situazioni sono gravissime. Io spero veramente che la situazione politica permetta di risolvere, almeno in parte, alcuni di questi problemi. Non siamo partiti con il piede giusto, a causa di questo proliferare di dichiarazioni spesso allarmistiche. Tuttavia, troveremo il modo, in questa Commissione, di valutare l'operato del Governo secondo i contenuti che ci presenta, dal grado di collaborazione che ci verrà offerta e anche dalla giustezza delle problematiche che dovranno essere affrontate.

ALBERTO BURGIO. Ringrazio il presidente Pagliarini e il ministro Damiano. Ho ascoltato con grande attenzione la sua relazione, ministro, apprezzandone e condividendone molti passaggi. Non nascondo, tuttavia, di aver provato qualche perplessità in altri. Per non togliere tempo ai colleghi, mi limito a sottolineare due punti in particolare, sui quali avverto il bisogno di qualche precisazione.
Il primo riguarda la questione della concertazione, che temo diventi un riferimento un po' ideologico. Nessuno pensa che il conflitto sia un fine e nessuno ignora l'importanza della coesione sociale. Tuttavia, il conflitto è un passaggio essenziale e lo è comunque e oggettivamente.
Pertanto, non vorrei che l'enfasi che è stata posta sul tema della sintesi, come fosse quasi un a priori, celi, non certo in lei, ma nel paese (come alcuni interventi, anche in questa Commissione, testimoniano) una certa insofferenza per i conflitti di lavoro. Di questo sarei naturalmente al quanto preoccupato.
Anche il riferimento critico al posto fisso che lei ha fatto nel suo intervento desta in me qualche allarme. Certamente nessuno di noi ignora i cambiamenti che sono intervenuti nei sistemi produttivi, ma penso che il posto fisso debba pur diventare l'approdo di un percorso. Altrimenti, anche il suo riferimento al contratto a tempo indeterminato, che ho fortemente condiviso, diventa per me alquanto difficile da decifrare. Senza dubbio, il posto fisso non può sempre essere un a priori e neanche una prima battuta. Però, ritengo che esso debba costituire un fine e credo che questa sia l'unica interpretazione accettabile di quella flessibilità che ella definisca «buona».
Non sono interessato a sviluppare un confronto ideologico in questa sede, quindi, molto telegraficamente, mi limito a sollevare due problemi di merito intorno ai quali mi piacerebbe avere una chiarificazione.


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Il primo riguarda la questione del cuneo fiscale. Lei ha parlato di una esigenza redistributiva e l'ha connessa a necessità di sviluppo e di competitività. Queste sono affermazioni condivisibili. In seguito, ha fatto riferimento ad esigenze di equità, che mi sembrano altrettanto fondamentali.
Personalmente, ritengo che il tema dell'equità sia davvero cruciale, quando pensiamo alla redistribuzione. Redistribuire implica anche effettuare interventi di riequilibrio in questo paese, signor ministro. Negli ultimi quindici anni, si è avuto un trasferimento di dieci punti di PIL dai redditi da lavoro a quelli da capitale.
Per assurdo, dunque, dobbiamo ragionare pensando che sarebbe possibile redistribuire anche in assenza di risorse nuove, perché comunque c'è un'esigenza di riequilibrio che non dobbiamo ignorare. Dico ciò perché, come lei sa, nel Governo ci sono anche voci che pongono l'accento su una esigenza di moderazione salariale, che personalmente trovo irricevibili.
Lei ha detto che il Governo non intende toccare i contributi pensionistici, e questo è molto importante. Allo stesso tempo, considero molto positivo il criterio del tempo indeterminato come vincolo per l'assegnazione dei benefici del taglio del cuneo fiscale. Inoltre, capisco e apprezzo l'esigenza di chiarire che i destinatari dei benefici saranno tanto l'impresa quanto il lavoro, ma mi chiedo se potrebbe essere più specifico nelle proporzioni. Dico questo, innanzitutto, perché dentro un cento ci può essere un uno contro un novantanove, così come un cinquanta contro un cinquanta, e, in secondo luogo, perché si tratterebbe di capire a beneficio di chi vada la maggiore o la minore misura.
L'ulteriore questione che mi permetto di avanzare riguarda la previdenza integrativa. Vorrei conoscere gli orientamenti del Ministero e del ministro Damiano circa la questione dello sviluppo della previdenza privata. Più in particolare, vorrei sapere come lei giudica la possibilità di consentire la destinazione di parte o della totalità del TFR all'INPS, piuttosto che ad istituti assicurativi, o a fondi pensione.

SESTINO GIACOMONI. Buonasera presidente, buonasera ministro. È la prima volta per me in Parlamento e in Commissione, però, a dire il vero, signor ministro, mi sento veramente deluso come parlamentare, per gli stessi motivi per cui l'onorevole Delbono si è detto invece entusiasta del suo intervento.
Leggendo i giornali, infatti, sento esprimere posizioni forti (più o meno estremiste, ma comunque convinte), mentre in Parlamento ho ascoltato un intervento, attraverso il quale, in sostanza, ci ha riportato in modo assolutamente generico dei punti programmatici che conosciamo, dal momento che tutti abbiamo fatto la campagna elettorale.
A due mesi dal voto e dopo un mese da quando lei ha assunto la carica di ministro, sinceramente, mi aspettavo in Commissione un intervento più mirato. Pensavo che ci avrebbe spiegato come sta cercando di affrontare le cose ma, soprattutto, come pensa di realizzare il programma elettorale, con particolare riferimento alle coperture finanziarie.
Lei ha dichiarato mille volte sui giornali - e l'ha ripetuto anche qui - che abolirete lo scalone. Per quanto ne so, lo scalone porterà, dal 2008 in poi, circa 50 miliardi di euro di risparmi nei prossimi 5-6 anni. Come parlamentare, dunque, mi aspettavo che in questa sede lei oltre a dire che lo scalone verrà abolito e ci informasse circa il modo in cui questo sarà fatto, ossia con quali coperture finanziarie.
Signor ministro, lei ha affermato che la riforma Dini, dal 1996 al 2000, ha procurato 100 miliardi di risparmi. Allora, io le dico che la riforma che ha varato il Governo Berlusconi, dal 2008 in poi questa riforma produrrà circa 50 miliardi di risparmi, non è stata varata perché ci faceva piacere allungare l'età pensionabile, ma per dare un equilibrio alle finanze, a quei conti pubblici che lei sostiene essere in difficoltà.
Dunque, visto che è vostra intenzione abolire lo scalone, le chiedo di comunicarci la cifra dei mancati risparmi - lei


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dovrebbe avere i conti -, e dirci come pensa di sostituire questa mancata copertura.
Lei ha parlato di cuneo fiscale (anche a questo proposito ha affermato genericamente che affronterete il problema), ma non ci ha detto quanto costa (magari ci può dire quanto costa un punto di cuneo).
L'unica affermazione chiara che è scaturita questa sera è che aumenterete i contributi per i co.co.pro., e per coloro che hanno la partita IVA, quindi, per gli artigiani, i commercianti e i liberi professionisti. L'ha detto in maniera franca e non è stata sollevata alcuna osservazione!
A questo punto, tuttavia, mi chiedo: i commercianti, gli artigiani e i lavoratori autonomi saranno tassati per coprire, da un lato, il costo del cuneo fiscale e, dall'altro, l'abolizione dello scalone? Sinceramente mi sembra eccessivo.
Sempre a tal proposito, gira voce - non so se è vera - che, proprio per abolire lo scalone, qualcuno sta pensando di aumentare l'età pensionabile per le donne, per realizzare le vere pari opportunità. Chiedo a lei se è vero o meno, dal momento che anche questo l'ho letto sui giornali.
L'unico dato che lei ci ha fornito - e mi rincuora - è che farà applicare il taglio del cuneo in modo selettivo. Dopodiché, la sua selettività consiste nel dire che applicherete tale provvedimento ai lavoratori a tempo indeterminato che, stando a quanto lei dice - unico dato da lei fornito - , sono il 90 per cento dei lavoratori italiani.
Da ciò emerge un dato positivo, ovvero la percentuale del 90 per cento, dei lavoratori italiani ha un contratto a tempo indeterminato. La stessa che è sempre stato indicata in campagna elettorale dalla C.D.L. Dunque in Italia non c'è tutta questa precarietà, perché se il 90 per cento dei lavoratori ha un contratto a tempo indeterminato, vuol dire che solo il 10 per cento lo ha a tempo determinato.
Ciò che mi preoccupa è che quel 10 per cento dei lavoratori, ossia i precari, che hanno un contratto a tempo determinato, subiranno anche un ulteriore danno. Infatti, in sostanza, lei aumenterà le buste paga dei lavoratori a tempo indeterminato, mentre quelle dei precari, che già oggi sono molto basse, alla fine non avranno alcun vantaggio dal taglio del cuneo fiscale.
Ho vissuto in prima persona delle difficoltà per entrare nel mondo del lavoro, quindi, capisco la situazione di un giovane che deve entrare nel mondo del lavoro. Se lei premia solo coloro che oggi entrano nel mondo del lavoro con un contratto a tempo indeterminato, mi chiedo cosa darà a tutte le persone che hanno già un contratto fisso.
Da ultimo, signor ministro, lei ha esaltato la riforma Dini, che è stata fatta nel 1995. Personalmente, apprezzo quella riforma, perché ha introdotto il sistema contributivo. Tuttavia, le posso dire, come giovane, che nel 1995, insieme al contributivo, sarebbe dovuta partire anche la previdenza complementare che, purtroppo, non è mai partita.
Francamente, avrei apprezzato maggiormente se lei oggi ci avesse detto che, con la prossima finanziaria, da domani o dopodomani, ridurrete subito di 5 punti il cuneo fiscale (perché il presidente Prodi ha detto che i cinque punti verranno ridotti nel corso del primo anno) indicando le relative coperture necessarie e che anticiperete l'avvio della previdenza complementare.
Ebbene, queste cose non le ho sentite. Piuttosto, le ho sentito dire che procederete sempre attraverso la concertazione. Da questa affermazione deriva la mia profonda delusione, perché la concertazione, così come il dialogo e il confronto, vanno benissimo, tuttavia mi auguro che le leggi non le scrivano i sindacati, come purtroppo è avvenuto, ma il Parlamento, in Commissione e nelle sedi parlamentari.
Questo glielo dico, come diceva il nostro capogruppo, con lo spirito costruttivo di voler collaborare a formulare delle leggi che servano a migliorare sia il mercato del lavoro, che il sistema previdenziale.

SALVATORE BUGLIO. Prima di entrare nel merito di alcune questioni, vorrei sottolineare il tema dell'eredità difficile che lei, signor ministro, ha dovuto ricevere.


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Alcune volte, infatti, sembra di sentir parlare dei marziani.
Stiamo vivendo una situazione che, fino ad ora, è stata caratterizzata da un forte scontro sociale. Quindi, quando lei parla di concertazione fa bene, perché non è vero che, come dice qualcuno, essa delegittima il conflitto. Quando non si trova un accordo nella concertazione, è di tutta evidenza che il sindacato può mettere in atto il conflitto. Non c'è alcuna contraddizione in questo. Tuttavia, in questa società c'è uno scontro delle parti sociali. Tutti i sindacati erano contro il Governo, c'era un problema di mancanza di diritti. Queste cose dobbiamo dirle, dobbiamo sottolinearle: i diritti latitavano!
Pertanto, da una parte, abbiamo avuto uno scontro sociale, dall'altra, un processo di esclusione del mondo dei diritti. Questa è la situazione in cui ci troviamo, e non vorrei che qualcuno lo dimenticasse. Questa è l'eredità che lei sta ricevendo! Condivido, dunque, l'impostazione del suo intervento perché è completamente diversa, perché essa è l'impostazione di un modello di società che è inclusivo, sia a livello istituzionale, sia sociale.
Si include il livello istituzionale proprio perché se prima c'era lo scontro con le parti sociali, ora invece si cerca di dialogare con queste. Tale atteggiamento non si traduce in un'accettazione passiva e neanche nell'estromissione del Parlamento nel suo ruolo istituzionale, ma vuol dire confronto. Anche se non ci siamo più abituati, considero ciò un fatto virtuoso.
Allo stesso tempo, come dicevo, si considera anche il livello sociale, ossia il processo di inclusione di milioni di lavoratori che oggi sono emarginati. Il modo in cui lei ha affrontato il problema del cuneo fiscale costituisce già una risposta a questa sofferenza.
Sempre a proposito del mondo del lavoro, desidero sottolineare una questione di cui sono a conoscenza anche per esperienza personale. Dobbiamo fare qualcosa per i quarantacinquenni e i cinquantenni. Forse si tratta di un'esperienza del tutto personale, ma questi lavoratori non hanno alcun mercato. Nessun imprenditore, oggi, è interessato ad assumere un dipendente di 45 o 50 anni. Le persone di questa età sono totalmente fuori non solo dal mondo dei diritti, ma anche da quello del lavoro: sono rifiutate! Questo è un punto che dobbiamo sottolineare e al quale dobbiamo cercare di dare una risposta nella modulazione del cuneo fiscale.
A tal proposito, devo dire che sono d'accordo con lei anche quando parla della selezione del cuneo fiscale. Lo dico perché quando Luca Cordero di Montezemolo ripete che il taglio del cuneo deve andare prevalentemente alle aziende, in misura uguale per tutti, risulta chiaro che la Confindustria non vuole la selezione dei beneficiari. Questo è un errore che già nel passato, non solo la Confindustria, ma in parte anche il sindacato ha commesso.
Il taglio del cuneo - dice il presidente Montezemolo - serve a ricostruire la competitività. A questo punto, tuttavia, le chiedo: che dobbiamo fare con aziende come l'Enel, la Telecom, la Società Autostrade, le ex municipalizzate, i petrolieri, le banche, le assicurazioni e tanti altri tipi di aziende poco esposte alla concorrenza internazionale che, a mio avviso, già guadagnano benissimo? Credo che quando lei dice che dobbiamo selezionare, intenda dire che le aziende con queste caratteristiche debbano assolutamente essere messe da parte.
Ecco perché bisogna cercare la selezione e non farsi condizionare dalle lobby, come quella di Confindustria, in questo caso, che tende in qualche misura a conservare il suo mondo, senza porsi il problema della collettività.
L'altra questione che voglio affrontare riguarda il fatto che, ormai, il mercato del lavoro italiano non è più bipartito (questo lei l'ha sottolineato altre volte in qualche intervista), bensì tripartito. Abbiamo i protetti, i non protetti e quelli a bassa protezione e poi abbiamo gli invisibili, gli irregolari, ossia quelli che hanno zero protezione e che sono dimenticati da tutti (più avanti tornerò sulla questione degli edili e via dicendo).
Questa fascia di milioni di persone che non ha alcuna protezione è la più alta


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registrata nei paesi sviluppati. Secondo alcuni calcoli, sembra che si tratti del 15 per cento del prodotto interno lordo: un fatto drammatico!
Una nuova sfida, certamente difficile, titanica, è quella di far passare questo mondo dal bacino del lavoro irregolare a quello del lavoro regolare.
Termino il mio intervento con una questione che mi sembra essere stata dimenticata, non da noi, ma che ha avuto un rilievo mediatico e sulla quale il Papa, poi il Presidente Napolitano, poi il Presidente della Camera, e infine lei avete detto che bisogna dare una risposta. Voglio ricordare in proposito il caso di un ragazzo, Antonio Veneziano, di 28 anni, che è morto dopo pochi giorni di lavoro. Con la Commissione senatoriale abbiamo prodotto uno strumento di lavoro e una grande ricerca, tuttavia non credo che sia sufficiente. Del resto, diciamocelo francamente: abbiamo prodotto molta ricerca, ma non uno strumento legislativo per cercare di fronteggiare questo dramma. Ogni volta che muore qualcuno, non possiamo limitarci a dire «poveraccio», a chiederci cosa fare o a proporci di istituire una Commissione d'indagine all'indomani dell'accaduto. In questi casi le Commissioni di indagine sono quasi uno strumento di purificazione per ognuno di noi. Il problema è che abbiamo questi strumenti e dobbiamo utilizzarli. Qualcuno ha parlato della necessità di produrre un Testo unico sulla sicurezza. Su questo penso anch'io che dobbiamo lavorare e dare delle risposte. Infatti, non dobbiamo occuparci unicamente della questione della sicurezza in senso lato, non dobbiamo andare a verificare se gli operai hanno l'elmetto e quant'altro.
Lei sa benissimo, ad esempio, che a proposito della legge obiettivo, dei subappalti, insomma in tutta questa materia abbiamo molti strumenti legislativi da cambiare, per dare una risposta seria rispetto al dramma di queste persone che, purtroppo, quotidianamente perdono la vita.
In ultimo, vorrei esprimere il mio accordo sull'interpretazione da dare alla legge Biagi, ovvero completarla. Anche per esperienza personale, posso dire che quando si discute di flessibilità bisogna stare molto attenti, perché c'è un approccio ideologico, una guerra tra guelfi e ghibellini!
Le riporto un esempio chiarissimo al riguardo. Per una persona che ha una grande professionalità, la flessibilità è una grande occasione. Se si ha grande professionalità, una formazione continua che ci accompagna nei posti di lavoro, sono le aziende stesse che ci vengono a cercare, non siamo noi che andiamo a cercarle. In quel caso, la flessibilità non può essere demonizzata! Invece, bisogna trovare delle risposte per quelle categorie, come il terzo livello, quelle di bassa professionalità e via dicendo. Infatti, in quei casi si tratta di soggetti deboli sui quali dobbiamo intervenire. La risposta che lei propone, ossia quella di dare un incentivo (il credito d'imposta credo che l'abbia indirizzato soprattutto sul meridione) per queste fasce deboli ritengo sia opportuna. Tuttavia, è necessario cercare di avere un approccio meno ideologico.
Questa è per me la flessibilità e questo l'approccio che dobbiamo avere.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Di Salvo, mi sembra giusto svolgere alcune considerazioni. La prima riguarda l'apprezzamento e la condivisione che voglio segnalare circa l'illustrazione che il ministro ha fatto sul programma del suo dicastero. Un programma delicato che riguarda le questioni del lavoro, che toccano nel vivo milioni di persone.
Mi hanno convinto sia il merito sia il metodo di tale illustrazione. Mi ha convinto il metodo, relativamente al confronto (preferisco usare questo termine, perché l'altro è stato abusato nel suo significato). Penso, infatti, che il confronto su temi così delicati, come la capacità di ascolto e di costruire sinergie, sia un elemento importante. Credo che esso vada vissuto come un valore, e non come un vincolo o una sostituzione dei ruoli. Dopodiché, ognuno, in piena autonomia e nel suo ruolo, assume le proprie decisioni e svolge le proprie


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valutazioni. Il Governo, dunque, farà i suoi passi. Le organizzazioni sindacali e i lavoratori, se non saranno soddisfatti, hanno tutti gli strumenti necessari, compreso il conflitto, da mettere in campo.
Inoltre, come dicevo, mi ha convinto il merito. A mio avviso, il ministro ha fatto delle affermazioni importanti, indicando anche un percorso significativo, a partire dalla questione del «no» alla politica dei due tempi. Egli ha parlato del risanamento del paese e ha sottolineato la necessità di occuparsi di tale problema evitando la politica dei due tempi che in questo paese ha già prodotto, a mio avviso, dei danni.
Bisogna evitare, dunque, di intervenire in una prima battuta, facendo il carico del risanamento sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati, a cui dovrebbe seguire un secondo tempo che prevede la redistribuzione, che però non c'è mai. Questo è un film già visto che dobbiamo evitare, perché non è utile al paese.
Importante e coraggiosa è stata anche l'indicazione sul cuneo fiscale. Intanto, il ministro ha detto in modo chiaro che questo provvedimento riguarderà sia le imprese, sia i lavoratori. Tale affermazione non era scontata e, infatti, è in corso una discussione nel paese al riguardo. Sappiamo che alcuni settori del paese hanno richiesto questo intervento esclusivamente per loro. Mi riferisco a Confindustria che l'ha dichiarato in modo esplicito.
In un secondo momento, poi, si discuterà della ripartizione. Tuttavia, ai fini di un primo giudizio, questo aspetto mi interessa poco; ritengo più importante l'indicazione secondo cui il beneficio deve andare sia alle imprese, sia ai lavoratori.
Mi pare significativo anche il tema della selettività. Anche su questo punto ho sentito sollecitazioni nel paese e il fatto che il ministro si sia assunto la responsabilità di indicare un parametro oggettivo, quello di premiare le imprese che assumono a tempo indeterminato, mi pare una questione di grande valore. In questo modo, infatti, si dà un segno effettivo di cambiamento e di svolta, nonché un segnale sul tema della precarietà. Anche da questo punto di vista, dunque, posso dire di condividere l'approccio del ministro.
Non voglio entrare in una diatriba nominalistica sulla questione della legge n. 30, affermando se essa va abrogata, modificata o quant'altro. Penso, però, che su questo tema l'ipocrisia non serva a nessuno. Tutti dobbiamo essere coscienti che la questione della precarietà, in questo paese, ha assunto dimensioni che mettono complessivamente non solo i lavoratori, ma l'intera società in una condizione di precarietà. Quando un'intera società diventa precaria, quando le nuove generazioni non hanno più prospettive e non possono fare le cose normali della vita (come, ad esempio, costruire una famiglia), non è un bel segno. Questo significa, infatti, che è in corso una degenerazione collettiva.
Pertanto, credo che ragionare su questi argomenti sia utile. Qualcuno suggeriva di svolgere un'indagine. Questo può essere un approccio positivo, come veniva detto, non ideologico, per verificare come eliminare quella che personalmente definisco una piaga della nostra società.
Sia chiaro: una cosa è la flessibilità, ovvero le esigenze che le imprese possono avere in determinati momenti - quella che viene definita la buona flessibilità -, altra cosa è che il rapporto di lavoro normale diventa quello a tempo determinato, perché più conveniente. Si tratta di due cose diverse da questo punto di vista.
L'ulteriore questione che desidero toccare attiene alle pensioni. Ha fatto bene il ministro ad ancorarsi alla riforma Dini.

SIMONE BALDELLI. Mi scusi, ma questo è un suo intervento da presidente della Commissione?

PRESIDENTE. Preciso che questo è un mio personale intervento. Sono il presidente di questa Commissione ma sono anche un parlamentare e il rappresentante di un gruppo. Di conseguenza, ho le stesse prerogative di tutti gli altri parlamentari. L'ho già specificato quando mi sono dato la parola. È chiaro che sto svolgendo il mio intervento non in qualità di presidente della Commissione!


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Come dicevo, riguardo la questione delle pensioni, mi ha convinto l'ancoraggio alla riforma Dini e, in qualche modo, al fatto che il ministro ha preferito non sbilanciarsi, e quindi prendere tempo per una valutazione più attenta.
Nello stesso tempo, tuttavia, il ministro ha detto una cosa che considero importante, ossia che lo scaglione è iniquo. Se una cosa è iniqua, a mio avviso, va eliminata: margini di mediazione su questo ce ne sono pochi!
Ribadisco che si è trattato di un intervento personale, dal punto di vista delle mie prerogative di parlamentare.

TITTI DI SALVO. Naturalmente può sembrare scontato che chi siede da questa parte del tavolo pronunci parole di apprezzamento nei confronti dell'intervento del ministro Damiano. Tuttavia, ritengo che tale intervento sia stato effettivamente importante, perché ha tracciato con chiarezza la direzione di marcia e l'impegno di legislatura su temi che considero molto rilevanti. L'apprezzamento che esprimo, quindi, non è scontato, né banale.
In primo luogo, il richiamo al programma è molto significativo. Intendo sottolineare, in particolare, alcuni punti. Tutti gli argomenti affrontati dal signor ministro si inseriscono perfettamente dentro il programma e non li richiamo tutti. Tuttavia, alcuni di essi mi paiono significativi.
In primo luogo, considero non banale e non scontata, ma anzi di straordinaria rilevanza, l'affermazione secondo la quale il Ministero e il Governo lavoreranno per abrogare la precarietà e per incentivare il lavoro a tempo indeterminato. È ovvio che stiamo parlando di due terreni differenti. Abrogare la precarietà vuol dire che, in nome di una flessibilità positiva, un lavoro, ancorché flessibile, deve avere alcuni diritti fondamentali minimi riconosciuti.
Lavorare per abrogare la precarietà, per esempio (giusto per passare da affermazioni generali a cose concrete, e pensando allo studio più recente di Confindustria, che sottolinea come le imprese usino particolarmente il lavoro a tempo determinato) vuol dire ragionare su come si possano ripristinare le causali, vale a dire le motivazioni di fronte alle quali si accende il lavoro a tempo determinato. Le causali, di fronte a esigenze e picchi produttivi, hanno senso e sono motivate.
Naturalmente, l'eliminazione delle motivazioni per accendere un rapporto di lavoro a tempo determinato è un problema. Ho ascoltato l'intervento di un collega che prima ha parlato della necessità che le leggi non vengano scritte dai sindacati. Capisco il senso di quell'affermazione ma, ovviamente, auspico che ai sindacati non venga impedito, come invece è stato fatto con la legge n. 368, di contrattare le ragioni per accendere rapporti di lavoro a tempo determinato.
L'ulteriore aspetto che vorrei affrontare riguarda l'incentivazione del lavoro a tempo indeterminato. Da questo punto di vista, condivido la nettezza di impostazione che il ministro ha dato sul tema del cuneo fiscale. È evidente che la scelta che il Governo compie è quella di orientare.
Ci tengo a sottolineare che la questione dell'incentivo del lavoro a tempo indeterminato e dell'abrogazione della precarietà costituisce una scelta tra quelle possibili riferendosi allo sviluppo e alla competitività. Si possono utilizzare strade differenti, ma penso che eliminare la precarietà e incentivare il lavoro a tempo indeterminato sia non soltanto una questione di equità sociale, ma anche un modo per evitare distorsioni nella competitività e nello sviluppo.
I problemi del paese, dal punto di vista del sistema produttivo, si chiamano: dimensione delle imprese, scarsità di ricerca e innovazione e modello di specializzazione. Ebbene, scegliere una strada per quanto riguarda il lavoro vuol dire aiutare le imprese a non prendere scorciatoie.
Un ulteriore argomento importante è quello del lavoro nero. Ha fatto bene il presidente Pagliarini a iniziare il suo discorso affrontando questo tema.
Intanto, devo dire che condivido assolutamente la centralità che il ministro sceglie come terreno di impegno, così come le proposte avanzate. Si tratta di scendere più nel dettaglio e di cercare le


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strade migliori. Forse, bisogna rendersi conto che esiste un problema di sistema, che non esiste una misura che di per sé possa risolvere il problema, ma che ci sono tante azioni che si devono mettere insieme. Bisogna considerare, ad esempio, che dei 4 milioni 500 mila lavoratori che lavorano in nero, ovunque nel nostro paese, la maggior parte sono lavoratori non nati in Italia. È chiaro, dunque, che la soluzione del problema implica tanti interventi di sistema.
Penso, ad esempio, agli indici di congruità, come strumento che può misurare lo scarto tra le dimensioni di un'impresa e ciò che effettivamente essa fa. Indici che, effettivamente, possono aiutare anche ad individuare l'entità del fenomeno. Penso, altresì, alla scelta del potenziamento dei servizi ispettivi e quant'altro.
Infine, vorrei svolgere una riflessione sul fatto che, come è noto, il mondo del lavoro è particolarmente discriminatorio, quasi ostile, nei confronti delle donne per tante ragioni che non è il caso qui di sottolineare.
Tuttavia - mi rivolgo contemporaneamente al presidente della Commissione e al ministro -, è probabile che un impegno comune del Ministero delle pari opportunità e del Ministero del lavoro, e un'iniziativa delle Commissioni da questo punto di vista, potrebbero aiutarci, intanto, a conoscere meglio la dimensione del tema e, in seconda istanza, ad immaginare azioni che possano eliminare discriminazioni nel mondo del lavoro nell'accesso, nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento del lavoro, nella valorizzazione delle competenze.

LUIGI FABBRI. Signor presidente, stante il fatto che il signor ministro alle 18,30 si deve allontanare e che non sappiamo quante persone sono iscritte a parlare, le chiedo se sia logico proporre un aggiornamento per la risposta del ministro.

PRESIDENTE. Il ministro sta valutando la possibilità di fermarsi, oppure di aggiornare la seduta. Nel giro di un paio di interventi decideremo cosa fare.

ANTONINO LO PRESTI. Intanto, mi scuso con i colleghi e con il ministro per essere arrivato in ritardo a questa audizione, alla quale mi sarebbe piaciuto partecipare sin dall'inizio, per ascoltare la relazione. Purtroppo, un ritardo incomprensibile di quattro ore del volo da Palermo mi ha impedito di farlo. Ahimè, sono i soliti problemi dell'Alitalia che affronteremo - spero - a breve.
Ho ascoltato attentamente il dibattito che si è sviluppato da quando sono arrivato e mi sono fatto un'idea di quello che è stato detto e di quello che, probabilmente, il ministro ha riferito.
Non avendo ascoltato direttamente la relazione, non mi permetterò assolutamente di chiosare o di intervenire su di essa. Piuttosto, colgo l'occasione della presenza del ministro Damiano - al quale ovviamente auguro buon lavoro - per porre alcuni quesiti sganciati dal contesto della sua relazione che, ripeto, non conosco, ma che leggerò domani. Tali domande sorgono - come direbbe qualcuno - spontanee dal dibattito e dalle affermazioni che ho colto, nonché dai contributi che alcuni colleghi hanno fornito.
In particolare, desidero cominciare dalla questione tanto dibattuta del precariato in Italia. Il presidente, nel suo intervento, ha sottolineato l'esigenza, dal suo punto di vista, di rivedere tutto ciò che è necessario, pur di ricondurre nell'ambito dei contratti a tempo indeterminato le figure di un precariato che - secondo l'affermazione del presidente e anche di qualche collega - sembrerebbe aver occupato tutti gli spazi produttivi del nostro paese.
Non mi pare che sia così, se è vero, com'è vero, che i dati più recenti mostrano l'Italia come uno dei paesi che in Europa hanno un minor numero dei lavoratori occupati a tempo determinato, e quindi in fasce assimilabili al cosiddetto precariato. Sempre a tal proposito, bisogna considerare anche che la Spagna - che ormai da tre anni ha cambiato indirizzo politico - è il paese che in Europa ha il maggior numero di lavoratori precari (credo che la


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loro percentuale si attesti intorno al 30 o 36 per cento, mentre in Italia sembra essere del 12, 13 per cento).
Alla luce di questi dati, non mi pare che il quadro nell'ambito dal precariato sia così disastroso. Semmai, voglio ricordare ai colleghi che proprio in una seduta inaugurale di questa Commissione abbiamo tutti convenuto sull'opportunità di avviare un'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro in Italia. Lo scopo di tale indagine dovrebbe essere quello di avere tutti gli elementi utili per giudicare, eventualmente, sul da farsi, in ordine a quelle modifiche, integrazioni e miglioramenti che sicuramente tutti vogliamo apportare alla legge Biagi (che pochissimi vogliono cancellare del tutto).
A mio avviso, sarebbe più prudente riferire al ministro circa questo atteggiamento che la Commissione ha voluto assumere, dal momento che non so se egli ne sia al corrente. Spero che il proposito espresso dalla Commissione, dunque, avrà un seguito concreto nelle prossime settimane. Infatti, quello che ci si è proposti di assumere è un atteggiamento di valutazione complessiva del problema del precariato in Italia, di conferma - se è possibile - o di modifica dei dati che attualmente circolano ma, soprattutto, di valutazione approfondita dei vari settori nei quali evidentemente il complesso mondo del lavoro italiano si sviluppa e si articola.
La prima questione che pongo al ministro, quindi, è se egli condivida questa impostazione e se sia d'accordo con la Commissione in merito allo sviluppo di un confronto su questo terreno, per poi arrivare, eventualmente, a quelle proposte di modifica che, con spirito costruttivo, tutti vogliamo portare alla legge Biagi.
Tali modifiche dovrebbero essere apportate senza stravolgere determinati principi della legge che, a nostro avviso, sono essenziali proprio per aiutare alcune imprese - a cui qualcuno faceva riferimento - ad uscire dalla loro condizione di nanismo; una delle condizioni avvilenti del sistema economico produttivo italiano che vede la presenza di imprese nane, piccole, perché impaurite, possibilmente, dalla rigidità di un sistema di mercato del lavoro che non consente loro alcun tipo di flessibilità. Tali imprese, infatti, devono dare conto e fare i conti con un sistema di regole legittime, assolutamente corrette, ma che non consentono loro di muoversi in questa direzione.
Il nanismo delle imprese, dunque - la collega lo ricordava poco fa -, è uno degli elementi sul quale dovremo confrontarci e che deve essere valutato attentamente, essendo uno di quegli elementi che vanno discussi e affrontati nel quadro che ho sottolineato.
Vorrei poi chiedere al ministro cosa pensa degli ultimi episodi di cronaca che hanno visto la tragedia di Siracusa, ormai consegnata alle cronache, ma ancora viva nel ricordo di coloro che l'hanno vissuta.
Desidero conoscere l'opinione del ministro relativamente al fatto che oggi la Costituzione italiana (che gli italiani hanno confermato a grande maggioranza, con il referendum svoltosi appena ieri) prevede, tra le materie di potestà legislativa concorrente, proprio la tutela e la sicurezza del lavoro. Cosa ne pensa, signor ministro, del fatto che proprio su questa materia le regioni hanno potestà regolamentare esclusiva?
Non voglio certamente attribuire ad alcuno responsabilità su fatti che nulla hanno a che vedere con l'impianto legislativo costituzionale che è attualmente vigente. Per fortuna, infatti, ancora nessuna regione si è permessa di intervenire in modo concorrente con lo Stato su una materia così delicata.
Qual è la sua opinione in merito? Vogliamo veramente avviare una seria riforma di questo articolo 117 che è oggi vigente e che in subiecta materia può comportare dei problemi, dei rischi, dei pericoli?
Immagini, ministro, cosa possa significare vivere in un paese dove le regioni possono legiferare in modo concorrente con lo Stato, magari una in modo diverso dall'altra, e poi, addirittura, regolamentare,


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con una potestà autonoma, esclusiva, le materie afferenti la tutela e la sicurezza sul lavoro.
Ritengo, signor ministro, che questa sia una risposta da dare in termini reali, molto veloci, perché il referendum che si è svolto ha negato la possibilità di ricondurre questa materia nell'alveo della potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Infine, qualcuno lo ha già fatto, parliamo della questione degli esuberi tra gli statali. È mai possibile che la prima cosa da fare sia quella di tagliare 400 mila posti di lavoro - perché questo ha detto il ministro Padoa-Schioppa - nell'ambito del comparto degli statali?
È ancora più grave, da parte del ministro dell'economia, quello che dà la battuta sulla politica del Governo, affermare che bisogna addirittura bloccare qualsiasi rinnovo contrattuale, soprattutto degli statali, perché questo comporta un onere non indifferente.
Per concludere, signor ministro, un altro argomento è stato toccato appena, non direttamente, in modo superficiale, cioè il problema dei privilegi sindacali che in questo paese ancora esistono e imperversano.
Qual è la sua opinione circa le migliaia e migliaia di distacchi, di permessi sindacali che costano alla collettività decine e decine di milioni di euro? Non do cifre al riguardo, perché non ne sono in possesso, tuttavia sappiamo tutti che il sistema dei privilegi dei sindacati è stato evidenziato come uno dei punti sui quali si deve concentrare la politica del Governo (sto parlando di una politica di risanamento, di riduzione dei costi della spesa pubblica).
Cosa ne pensa di quello che ha detto il suo collega Padoa-Schioppa a proposito dei privilegi dei sindacati, attirandosi le ire e gli strali dei congressisti della UIL, che non hanno perso tempo a puntualizzare subito la loro posizione ferma?

PRESIDENTE. Abbiamo verificato il tempo a disposizione. Il quarto d'ora aggiuntivo, di cui si poteva eventualmente disporre, non consente comunque di terminare la discussione. Personalmente, consiglio di mantenere l'orario di chiusura dei lavori alle 18,30 come avevamo indicato all'inizio. Fino a quell'ora il ministro ci ha dato la sua disponibilità.
Nell'ufficio di presidenza di domani cercheremo di definire i tempi per la prosecuzione dell'audizione.

ENRICO FARINONE. Vista l'ora, mi limito a proporre alcune sottolineature.
Innanzitutto, esprimo la mia profonda soddisfazione nei confronti dell'intervento del ministro, sia per la concretezza e la precisione con cui ha tracciato le linee guida del suo futuro operato, sia, soprattutto, per la sobrietà con la quale ha parlato. Una sobrietà che lo ha contraddistinto anche nella settimana che abbiamo alle nostre spalle e che mi sarebbe piaciuto vedere in tutti i ministri, ma così purtroppo non è stato.
Ho molto apprezzato il riferimento a quella che il ministro ha definito la bussola, ossia il programma con il quale l'Unione si è presentata ai cittadini e ha vinto le elezioni. Si dovrebbe riesumare il costume della politica secondo cui, una volta eletti, si cerca di attuare ciò che si promette agli elettori e su cui si richiede il consenso. Avendo svolto, come tutti noi dell'Unione, la campagna elettorale con molta intensità su questi argomenti, penso che in quel programma ci sia sicuramente una linea guida maestra che il Ministero farà bene a seguire.
Rispetto al tema del mercato del lavoro crediamo che la legge n. 30 sia utile, da correggere ma non da abolire completamente. La sottolineatura, che è stata fatta anche da altri colleghi, è che se da un lato la flessibilità serve nel mercato del lavoro di oggi per favorire l'occupazione, dall'altro è pur vero che esiste occupazione e occupazione. Pertanto, noi non vogliamo che la flessibilità si trasformi, come troppo spesso è successo negli ultimi tempi, in precarietà strutturale di fatto.
Da questo punto di vista, la legge n. 30 va profondamente rivista in alcuni suoi punti, in quanto sono troppo numerose le tipologie di lavori che vi vengono previste. Molte di esse sono state assolutamente


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inutili, molte altre sono state sostanzialmente poco adottate dalle imprese, ma alcune sono particolarmente insidiose, pericolose dal punto di vista della precarizzazione strutturale che, invece, dobbiamo superare.
Quindi, da questo punto di vista, rilanciare la tipologia del contratto a tempo indeterminato, al di là di quello che poi si riuscirà effettivamente a fare, é corretto. Ritengo che sia la bussola di riferimento di cui si parlava prima.
Un'ulteriore sottolineatura che voglio svolgere riguarda la parola «confronto», a proposito della quale c'è stato un breve dibattito. Personalmente, a differenza di un collega che è intervenuto prima, pongo l'enfasi sulla parola «confronto» sempre e comunque. Proprio per quella tendenza a cercare di trovare mediazioni alte, positive in tutte le questioni umane, non pongo l'enfasi sul conflitto. Il conflitto c'è quando c'è, ed è giusto che ci sia, tuttavia il nostro compito e quello del Governo deve consistere nel cercare di favorire il confronto tra le parti sociali per giungere poi ad una posizione di sintesi alta, che possa essere nell'interesse collettivo.
Se poi vogliamo utilizzare la parola «confronto» invece di «concertazione» a me sta bene (francamente mi piace anche di più), ma porrei l'attenzione su questo punto. Sono d'accordo con la proposta del collega Rocchi - tornando al tema della legge n. 30 - di effettuare una verifica.
Se fosse possibile, sarebbe bene svolgere un'indagine conoscitiva per verificare lo stato di attuazione della legge nel nostro paese. Peraltro, credo che un lavoro di questo tipo si potrebbe effettuare anche in tempi relativamente brevi.
Infine, ritengo che sia emerso in termini davvero bipartisan, anche nell'incontro di questo pomeriggio, il fatto che il testo unico sulla sicurezza va ricercato, definito in tempi brevi, perché la situazione con la quale ci troviamo a fare i conti, ormai da troppo tempo e in maniera intensa tutti giorni, non è da paese civile.
Quindi, il Parlamento deve assolutamente reagire con una normativa che sia adeguata, per far diminuire le possibilità di rischio che sono troppe e in troppi settori (anche se evidentemente riguardano soprattutto il settore edile).

SIMONE BALDELLI. Presidente, intervenendo sull'ordine dei lavori, proprio in forza del fatto che stiamo per aggiornare questa audizione, le faccio presente un'esigenza. Per una questione di sensibilità sua e dell'ufficio di presidenza, e anche per rispetto nei confronti dei colleghi della Commissione, suggerirei, nella scelta della data in cui ministro verrà nuovamente in Commissione, di evitare la sovrapposizione con i lavori d'Aula. Infatti, io stesso e molti altri colleghi, impegnati in Assemblea, non abbiamo potuto ascoltare la relazione introduttiva del ministro.
Pertanto, per la delicatezza politica degli argomenti trattati e per l'importanza della presenza del ministro nella prima sessione di lavori della Commissione (durante la quale viene in qualche misura illustrato il programma, e dunque si tratta di dichiarazioni programmatiche vere e proprie) proporrei di evitare la sovrapposizione con l'Aula.
È una questione che attiene ai lavori di questa Commissione, come di altre Commissioni.

PRESIDENTE. Sicuramente terremo conto di questa osservazione nella discussione di domani.

LORENZO BODEGA. Signor ministro, dopo aver ascoltato con attenzione la sua relazione e, in modo particolare, le linee di intervento che intende seguire nella sua azione ministeriale, posso dirle con tranquillità che nulla di nuovo c'è sotto il sole, particolarmente torrido in queste ore e in queste giornate.
Più scottante è il modo con il quale lei ha disegnato un programma che vuole di fatto cestinare, o meglio modificare, in alcune parti essenziali, tutti quei provvedimenti legislativi e quegli interventi normativi che hanno caratterizzato l'attività del precedente Governo.
Volete smantellare indicando soluzioni che non hanno niente di miracoloso, né di


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nuovo. Se è vero che la parola d'ordine sta in quella concertazione, che ci riporta indietro di qualche lustro, se il dialogo con tutte le parti sociali è fondamentale (e questo va bene, ci mancherebbe altro), ho l'impressione che sia o sarà il sindacato a dettarvi l'agenda e non viceversa. Spero tanto che non sarà così, signor ministro.
Inoltre, anche alla luce del voto referendario di ieri (che ha ribadito alcune diversità fra zone del nostro paese, fra il nord e il sud, confermando una spaccatura già evidente alle elezioni politiche di aprile), voglio sottolineare brevemente, senza entrare nel dettaglio degli argomenti, come la ricetta proposta sia del tutto generica e inattuabile. A mio parere occorrono interventi diversificati e mirati, che vanno effettuati calibrandoli sulla specificità di ogni singola regione, e anche sulla peculiarità delle singole province italiane.
Crede forse, signor ministro, che il suo intervento, il suo discorso troverebbe la stessa accoglienza a Bari o nella mia Lecco? Lecco è una città che ha una lunga tradizione industriale. Era la prima al mondo in campo industriale ed ora è costretta ad affidarsi alla capacità, all'orgoglio e alla fantasia dei singoli imprenditori e dei lavoratori, per confrontarsi con un mercato che impone regole spesso impossibili da reggere.
Desidererei che non venissero cancellate, per ragioni di schieramento, quelle impostazioni che hanno dato comunque dei buoni frutti. Del resto, lo stesso suo collega, ministro Bersani, ha più volte riconosciuto la validità dell'azione dell'ex ministro Maroni.
Termino qui, ricordando che noi forniremo il massimo della partecipazione e della collaborazione affinché - e me lo auguro - nelle pieghe del programma dell'Unione, su cui l'azione del ministro si basa, ci possano essere degli spazi per poter dialogare e costruire qualche cosa di utile per il nostro paese.

PRESIDENTE. Come convenuto, non essendosi esauriti gli interventi, l'audizione proseguirà in altra seduta, quando tutti gli onorevoli che hanno chiesto di intervenire avranno facoltà di farlo.
Rinvio pertanto il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 18,30.