COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 12 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANNI PAGLIARINI

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche tramite la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ricordo che nella seduta dello scorso 27 giugno il ministro ha svolto una relazione, alla quale sono seguiti interventi e domande dei colleghi. Si erano inoltre iscritti a parlare, in quella occasione, i deputati Cordoni, Murgia, Baldelli, Prestigiacomo e Compagnon. Se nella seduta di oggi, ovviamente, vi fossero altri colleghi che intendono parlare, possono chiederlo.
Dopo gli interventi dei colleghi, il ministro Damiano parlerà in sede di replica. Do quindi la parola ai commissari che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ELENA EMMA CORDONI. Signor presidente, signor ministro, anche io, come altri colleghi già intervenuti, voglio sottolineare l'importanza sia delle dichiarazioni che il ministro ha reso nella precedente audizione, sia di ciò che leggiamo sui giornali. Egli afferma di attenersi sempre strettamente al programma che l'Unione ha sottoscritto, il quale ci permette di affrontare questa fase sicuri di poter trovare un'intesa forte ed ampia nella coalizione. Si tratta, per l'appunto, di un lavoro che dura da anni, non essendo legato soltanto al momento elettorale.
Credo che sia importante adottare uno stile di governo di questo tipo, perché è il terreno sul quale ci siamo impegnati sia tra di noi, sia con il paese. Ritengo altresì importante uno stile di governo che parli per atti e per fatti, in modo da mettere il Parlamento in condizione di esprimere la propria opinione, sostenendo, discutendo o perfino criticando le proposte avanzate.
Nell'ambito di tale stile di lavoro, reputo importante un criterio che abbiamo deciso di assumere: mi riferisco alla concertazione. Sottolineo ciò perché non credo sia una questione banale, né che si tratti di un elemento che si possa mettere in discussione. Essa non significa che, alla fine, non viene adottata alcuna decisione; la concertazione, al contrario, rappresenta uno stile di governo. Si tratta di un confronto, vale a dire di un modo con cui si costruisce, rispetto alle priorità e alle emergenze esistenti, anche un processo unitario nel paese. Io apprezzo per tali ragioni la concertazione, poiché ci deve essere una condivisione dello stato del paese, nonché degli interventi che si devono realizzare. Possono anche sussistere differenze su come raggiungere quegli


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obiettivi, ma è comunque importante sapere che abbiamo all'ordine del giorno scopi comuni.
Ritengo pertanto importante il lavoro che si sta compiendo. Vorrei inoltre che si ribadisca, così come ha fatto il ministro, che non accettiamo la politica dei due tempi, vale a dire prima il risanamento e successivamente la redistribuzione. Si tratta di una fase che appartiene al passato, che abbiamo già conosciuto e sperimentato. La nostra scommessa è quella di far crescere il paese, poiché desideriamo mettere in moto tutte le sue energie per favorirne lo sviluppo, dal sud al nord, soprattutto con l'obiettivo di aumentare l'occupazione e la stabilità del lavoro.
All'interno di tale percorso, sono convinta che troveremo le risorse, i mezzi e le energie per affrontare, contemporaneamente, anche il problema del risanamento dei nostri conti pubblici. Tuttavia, non voglio soffermarmi più di tanto su tale questione, perché, a partire da domani, si svolgerà la discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria. Sarà quella la sede nella quale discuteremo su come abbiamo trovato i conti dello Stato e su come siamo obbligati, per dare forza al nostro sistema economico, a delineare un serio programma di rientro dal deficit per evitare che il nostro paese sia «declassato» non tanto dalla Commissione europea, quanto dalle agenzie di rating internazionali.
Esistono, quindi, due terreni su cui dovremo sicuramente lavorare. Penso, peraltro, che non si potrà fare tutto e subito, ma bisognerà avere una visione chiara e comunicare al paese il senso degli obiettivi che perseguiremo.
Il primo di essi è quello che il ministro ha già consegnato alla nostra riflessione: noi, infatti, vogliamo riaffermare, nel paese, il valore del lavoro a tempo indeterminato. Ciò significa non la rimessa in discussione di una concezione della flessibilità (perché così è il mercato del lavoro), ma che il lavoro a tempo indeterminato deve tornare ad essere un valore da tutelare. Dobbiamo avviare una battaglia di carattere culturale, già di per sé sufficiente ad alzare di molto il livello rispetto agli anni che abbiamo alle spalle, anche se da sola non può essere in grado di modificare sia ciò che è avvenuto sia ciò che potrebbe avvenire. È bene, quindi, mettere in campo le politiche necessarie a tradurre in fatti concreti il principio della stabilizzazione del lavoro.
È sicuramente importante, in tal senso, l'utilizzo di incentivi come la riduzione del cuneo fiscale o la concessione del credito di imposta. Ritengo importanti, altresì, gli interventi sulla legge n. 30 del 2003, al fine di modificarne le parti inutili o ridondanti, che rappresentano comunque un messaggio a favore della flessibilità e che non condividiamo.
Rispetto alle questioni che ha richiamato, in maniera puntigliosa, il ministro la volta scorsa, oltre allo staff leasing e ad alcuni istituti che ritengo da modificare e da superare, richiamo l'attenzione su un articolo della legge n. 30 del 2003 (non ricordo se sia il 7 o il 9), riferito a soggetti svantaggiati. In tale disposizione, infatti, si afferma, per legge, che si possono abbassare i diritti, le tutele e i salari. Per di più, il Governo di centrodestra ha pensato di applicare in maniera letterale la norma, inglobandovi come soggetto svantaggiato anche le donne.
Secondo questo principio, le donne potevano essere assunte, con un salario ed un inquadramento inferiori rispetto ai colleghi maschi. Si tratta di un provvedimento ritirato precipitosamente lo scorso anno, in quanto si stava assistendo ad un paradosso determinato proprio da un articolo di tale legge. Infatti, non solo venivano riconosciuti meno diritti all'immigrato, al disoccupato da lungo tempo, al soggetto in difficoltà fisiche o mentali, ma, per l'appunto, si facevano rientrare in questa condizione anche le donne.
Pertanto, ci metteremo sicuramente al lavoro per abrogare tutte le parti della ricordata legge n. 30 che non condividiamo. Io ho citato un elemento che penso possa essere condiviso, in quanto è previsto dal programma dell'Unione. Peraltro, così come il ministro ha sostenuto, dobbiamo riprendere in mano due provvedimenti


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adottati dal Governo di centrodestra: quello relativo al tempo determinato e quello riguardante il part time, istituti modificati durante la precedente legislatura. Senza entrare nel merito, vorrei evidenziare un aspetto: uno degli obiettivi perseguiti da quegli interventi era evitare di coinvolgere il sindacato nella contrattazione delle causali di allungamento dell'orario di lavoro del part time e nel rinnovo dei contratti a tempo determinato. In tal modo, nell'applicazione di tali istituti si lasciano soli i lavoratori nel loro confronto con l'impresa. Penso, dunque, che vi sia bisogno di riformare anche questi strumenti.
Ne ho citati alcuni e non pretendo di farne un elenco esaustivo. Il lavoro che abbiamo davanti ci condurrà sicuramente ad operare i giusti e necessari interventi, proprio per raggiungere lo scopo cui noi puntiamo: la stabilizzazione dei rapporti di lavoro.
L'altro argomento che mi preme sottolineare - che non compete esclusivamente e direttamente al ministro del lavoro, ma fa parte della politica del Governo in carica - è il problema dei salari e del valore delle pensioni nel nostro paese. Noi pensiamo di approntare strumenti in grado di aiutare la rivalutazione del potere di acquisto.
Desidero citare due obiettivi del nostro programma, partendo, innanzitutto, dalla restituzione del fiscal drag a lavoratori e pensionati. In verità, il Governo di centrodestra, cinque anni fa, come primo suo atto, non solo abbassò le tasse a chi aveva redditi più alti, ma eliminò lo strumento che evitava che gli aumenti contrattuali fossero interamente fiscalizzati. Vi è anche un altro capitolo, relativo ai pensionati, che tuttavia affronterò fra pochi minuti, quando giungerò a trattare il tema della previdenza.
Il punto che vorrei sottolineare è che ci aspettiamo molto dal nostro Governo, fiduciosi che le nostre aspettative non saranno deluse. Noi contribuiremo a indirizzare in tal senso l'azione di governo: infatti, accanto alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, è necessario varare una politica di sviluppo e di aumento dell'occupazione femminile. Le donne italiane rappresentano la maggioranza dei disoccupati e fanno registrare il tasso di occupazione più basso del nostro paese: ciò ci impedisce di avvicinarci agli obiettivi fissati dall'Agenda di Lisbona. L'aumento dell'occupazione femminile è oggi non solo una risposta giusta al protagonismo ed alla soggettività della donna, la quale chiede di impegnarsi nel mercato del lavoro, ma anche la premessa per lo sviluppo del nostro paese.
È in tale ambito, infatti, che c'è forza da lavoro da impiegare per offrire risposte al paese; tuttavia, dobbiamo sapere che dobbiamo dimostrare un'attenzione maggiore quando costruiamo le politiche per il lavoro destinate alle donne. Essendo le donne soggetti più complessi rispetto agli uomini, contemporaneamente all'offerta di lavoro qualificata e professionale, si deve anche costruire una politica volta a conciliare la vita familiare con il carico di lavoro richiesto dal mercato. Ciò perché tutto questo ha dei risvolti sia sul terreno dei cosiddetti congedi parentali sia rispetto ad un sistema adeguato di servizi sociali che consenta, con libertà, di usufruire di tale possibilità.
Altra questione sul tappeto che il ministro ci ha sottoposto, e su cui vi è la volontà di mantenere gli impegni che ci siamo assunti, è l'esigenza di affrontare il tema dello «scalone», nonché di realizzare il sistema pensionistico integrativo. Come i colleghi ricordano, non abbiamo condiviso le modalità con cui il Governo di centrodestra ha voluto dare corso alla previdenza integrativa, anche se era un tema non più rinviabile dopo l'entrata in vigore della cosiddetta riforma Dini - che ha introdotto un sistema di calcolo della pensione su base contributiva -, di cui rappresenta la cosiddetta seconda gamba.
Sulla fase di applicazione, tuttavia, vorrei rivolgere una domanda al ministro. Ho letto di difficoltà rappresentate dalle banche rispetto al tema del fondo di garanzia. Con riferimento all'applicazione della pensione integrativa, vi è ora l'intenzione di tornare alle modifiche che facevano parte


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dell'accordo siglato tra sindacati e Confindustria nell'aprile del 2004? Ricordo che, all'epoca, quelle proposte non furono recepite dal Parlamento, perché sul tema dei fondi pensionistici di settore si aprì un forte dibattito sul ruolo delle assicurazioni, sui fondi chiusi e su quelli aperti e via dicendo. Oppure, in alternativa, si pensa, al fine di non ritardare il processo, di procedere comunque in tal senso, correggendo via via parte di quelle norme che tanta discussione avevano suscitato?
Sulla questione dello «scalone», penso che sicuramente troveremo il modo e la forma per attuare l'impegno che abbiamo assunto. Quando affronteremo tale capitolo, dovremo sicuramente farci carico del fatto che la riforma in questione abbia determinato minori costi per lo Stato; pertanto, dovremmo individuare soluzioni idonee per effettuare questa modifica della normativa vigente senza aumentare la spesa pensionistica.
Io sono altresì d'accordo sull'aumento dei contributi previdenziali per i lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o di collaborazione a progetto. Contemporaneamente, però - dunque, non in due tempi diversi -, debbono essere costruite quelle risposte sul terreno della protezione, degli ammortizzatori sociali e dei diritti di paternità e maternità. Si tratta di tutele che questi lavoratori, pur disponibili all'aumento dei loro contributi, non si vedono fino ad oggi riconosciute.
Mi richiamo, in tal senso, al nostro programma e ad alcune proposte di legge che, nella precedente legislatura, avevamo presentato in Parlamento: rammento, alla memoria di tutti noi, quindi, contenuti che avevamo già elaborato e condiviso.
Vorrei sottoporle una questione, signor ministro: non so se sarà in condizione di rispondere oggi, ma intendo comunque segnalargliela lo stesso. Intanto vorrei evidenziare un problema di fondo con il quale, negli scorsi anni, questa Commissione ha spesso avuto a che fare, ed ora non vorremmo ripetere le esperienze passate. Infatti, venivano iscritti all'ordine del giorno molti provvedimenti che, tuttavia, nonostante le buone intenzioni - anche unitarie - della Commissione, immancabilmente si bloccavano presso la Commissione bilancio. Certo, quella a cui mi riferisco è una questione che comporta oneri finanziari, che tuttavia mi piacerebbe riuscire ad affrontare: nessuno, infatti, nega che il problema esista e tutti siamo d'accordo che vada risolto. Bisognerebbe trovare, quindi, un modo per realizzarla assieme al Governo. Parlo della normativa relativa agli invalidi del lavoro, con specifico riferimento al superamento del divieto di cumulo fra rendita INAIL e pensione da lavoro.
È una decisione che tutti abbiamo riconosciuto essere ingiusta, e che fu il frutto di un emendamento, sul quale è stata posta la questione di fiducia, presentato alla cosiddetta riforma Dini. Ricordo che entro il 2001 superammo questo problema per le vedove, per le quali non esiste più detto limite al cumulo. Noi, e non solo noi, negli anni successivi abbiamo tuttavia continuato a lavorare per superare questo problema ed eravamo arrivati anche a predisporre un testo condiviso. Vorremmo riprenderlo, avendo tuttavia a disposizione i tempi necessari per portare a termine tale obiettivo.
Allo stesso modo, vorremmo riuscire a modificare la legge sugli infortuni domestici - interverrà sicuramente su questo, se non lo ha già fatto, la collega Federica Rossi Gasparrini, che ha elaborato e proposto al Parlamento tale provvedimento -, abbassando il valore di alcuni parametri. Anche su questo aspetto, tuttavia, abbiamo bisogno di essere «accompagnati», perché si tratta di modifiche che, rispettando quanto prevede la stessa legge, non dovrebbero comportare dei costi. Infatti, le persone versano i contributi, lo Stato incassa ma non viene restituito nulla, in quanto i parametri sono troppo alti. Dal momento che, in base alla normativa sulla contabilità dello Stato, ciò che non si spende viene acquisito dal Tesoro, anche su questo versante dobbiamo riuscire ad offrire delle risposte.
Ho evidenziato solo due questioni non perché non ve ne siano altre, ma poiché


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sono quelle che si protraggono, ormai, da troppo tempo; spero che, in questa legislatura, si riesca ad offrire risposte adeguate.
Le questioni pensionistiche, signor ministro, saranno un tema, che, come detto in precedenza, affronteremo già nella discussione generale del DPEF e sicuramente, in modo più ravvicinato, quando sarà presentato il disegno di legge finanziaria. Avremo modo e tempo, quindi, di confrontarci e di ragionare su tali temi.
Credo, tuttavia, che dobbiamo avviare, così come abbiamo scritto nel programma, una discussione riguardante le questioni della pensione integrativa, il superamento dello «scalone», la flessibilità del sistema pensionistico; dovremmo altresì farci carico di coloro che cominciano ad essere sottoposti completamente al sistema contributivo, affrontando quindi il tema del valore delle pensioni.
Voglio infatti richiamare - lo faccio perché, nel dibattito che si svolge sui giornali, spesso qualche tema sparisce dal confronto e dalla discussione, mentre se ne enfatizzano altri - il problema del valore delle pensioni. Non mi riferisco a quelle sociali, né a quelle che prevedono l'integrazione al minimo, ma alle pensioni da lavoro di milioni di pensionati italiani.
Ricordo che, nel 1992, a causa della difficile situazione economica del paese, uno dei primi atti adottati fu sganciare il sistema pensionistico dall'andamento del prodotto interno lordo e dei salari, introducendo una rivalutazione legata alla dinamica dell'inflazione. Tale intervento - insieme all'innalzamento dell'età pensionabile sia per le donne, che passò da cinquantacinque a sessanta anni, sia per gli uomini, che venne elevata da sessanta a sessantacinque, nonché ad altre misure che non importa ricordare in questa sede - procurò grandi risparmi all'Italia e permise, altresì, di rientrare dalla crisi che attraversavamo, vale a dire dal rischio di crack finanziario del nostro paese.
Dal 1992, però, sono passati quattordici anni. Nella riforma Dini prevedemmo di istituire una apposita commissione affinché valutasse il modo per introdurre nuovi meccanismi di rivalutazione delle pensioni. Affermo ciò perché anche in questo Parlamento, spesso - penso, ad esempio, alla proposta avanzata dall'onorevole Fiori sulle pensioni pubbliche -, vengono presentate misure finalizzate alla rivalutazione degli importi pensionistici, ma sempre a favore di un determinato settoreo di certe categorie. Il problema è, invece, di carattere generale.
Allora, non so come si potrà fare - non posso negare a me, e neanche al paese, che ci troviamo in una situazione finanziaria delicata -, tuttavia è importante riconoscere che questo è uno dei problemi in campo. Quindi, probabilmente è necessario ricostituire la commissione prevista dalla riforma Dini non per tornare al 1992 (poiché, chiaramente, ciò non è possibile), ma per individuare un sistema di rivalutazione delle pensioni compatibile con la spesa pubblica e, al contempo, capace di far recuperare anche un po' di valore alle pensioni (dal momento che c'è stato un abbassamento generale del loro potere d'acquisto).
Ho fatto un cenno rapido ai temi che dobbiamo affrontare e che, indubbiamente, sono molti. Il lavoro che svolgeremo nei prossimi anni ci permetterà sicuramente di confrontarci sulle numerose altre questioni che non ho richiamato, a cominciare dal problema del lavoro nero, poiché avremo modo di farlo.
Ciò che intendo sottolineare è che dobbiamo fare in modo che, con la nostra azione complessiva di governo, nonché con la capacità di mettere in campo una politica che abbia l'aumento dell'occupazione come suo obiettivo prioritario, si riesca a costruire una «orchestra» che, attraverso le politiche fiscali, quelle del lavoro e le misure a favore delle imprese, ci aiuti a raggiungere tale obiettivo.
Infatti, se riuscissimo a conseguire l'obiettivo di far crescere il paese e la sua capacità di competizione internazionale, se fossimo in grado di dare al paese una nuova forza, tale da produrre nuove occasioni di lavoro e, allo stesso tempo, costruire un modello del mercato del lavoro più stabile, meno precario e più


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coeso, avremmo mantenuto i nostri impegni e - aspetto non meno importante - avremmo restituito al paese la fiducia nel proprio futuro.

SIMONE BALDELLI. Signor presidente, siamo consapevoli del fatto che esistono differenti modalità di approccio rispetto a questi temi molto delicati ed importanti, che riguardano interessi collettivi e diffusi, e la vita di molti cittadini. Vi è, ad esempio, un approccio da scontro elettorale ed un po' propagandistico da un lato, ed un'approccio più costruttivo e serio dall'altro. Leggendo il resoconto stenografico della precedente seduta - la volta scorsa, come il presidente ricorderà, si era verificata una sovrapposizione tra i lavori dell'Assemblea e quelli della Commissione, e dunque non potei assistere all'intervento del ministro - ho apprezzato l'evidente sforzo del ministro Damiano di dare un approccio costruttivo a questo incontro.
Una seconda distinzione da compiere, in questa materia, è quella tra l'approccio liberale e riformista da una parte e l'approccio statalista dall'altra. Anche riguardo a questo aspetto, rispetto ai toni usati da molti esponenti dell'Unione in campagna elettorale - toni che, purtroppo, si ascoltano tutt'oggi, nelle aule parlamentari, da parte di alcuni colleghi del ministro Damiano - apprezzo lo sforzo compiuto dal ministro nel ricercare un approccio più riformista, anche se forse non liberale.
Comunque, credo che leggere nella relazione presentata nella scorsa seduta che il Governo non intende abrogare la legge n. 30 del 2003, la cosiddetta legge Biagi, né vuole semplicemente completarla, ma desidera solamente cancellare le forme di lavoro più «precarizzanti», rappresenti un segnale importante, di cui prendiamo atto. Infatti, dal momento che sulla legge Biagi ne abbiamo ascoltate di tutti i colori, è evidente che, in questa maniera, si riconosce implicitamente la sostanziale giustezza dell'impianto legislativo che il professor Biagi ha voluto dare alla citata legge n. 30, e che non è quello dell'introduzione della precarietà. E sarebbe giusto, perlomeno quando ci confrontiamo su questo tema, parlare di flessibilità, anziché di precarietà, poiché è un termine niente affatto simpatico.
Credo che la flessibilità in questo paese - a parte il fatto che è un fenomeno naturale e dinamico delle società moderne - intesa anche in termini di legislazione contrattuale, sia arrivata sostanzialmente sotto il Governo Prodi con i cosiddetti collaboratori coordinati e continuativi (noti come co.co.co.). Se la flessibilità (e non la precarietà), che, peraltro, è stata utile per dare a tanti giovani una possibilità d'ingresso nel mercato del lavoro, ha un padre ed una madre - decidete voi chi è il padre e chi è la madre, in base alla vostra apertura o meno sulle unioni di fatto -, questi genitori sono Tiziano Treu e Romano Prodi (Commenti della deputata Cordoni) ... Scusi, io sono anche...

ELENA EMMA CORDONI. Era una battuta sulle famiglie e sulle unioni di fatto! È un Pacs politico!

SIMONE BALDELLI. Consentitemi questa sorta di Pacs politico! Ricordo, quindi, che i co.co.co. sono stati, insieme all'introduzione del lavoro interinale e ad altre tipologie di lavori atipici, il primo grande elemento di espansione di massa del contratto a tempo indeterminato per i giovani, diventando la porta d'ingresso per l'accesso nel mercato del lavoro. Poi, si può anche sostenere che deve esserci la flessibilità in entrata e non quella in uscita, ma sappiamo che è difficile avere una porta che si apre da una parte sola. Infatti, questa porta o si apre, oppure è chiusa, e se è chiusa a chiave, è peggio ancora!
Da questo punto di vista, la cosiddetta legge Biagi ha riorganizzato alcune tipologie lavorative. Quando si afferma che questa legge ha ridotto alcune garanzie, forse sarebbe il caso di riflettere sul fatto che ai co.co.co. non riconoscevano giorni di ferie, giorni di malattia e diritto alla maternità, mentre i contratti a progetto, invece, prevedono queste tutele. Bisogna pertanto chiedersi se sia vero che la legge


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Biagi abbia penalizzato questi lavoratori, che forse costituiscono la maggioranza. Vorrei inoltre rilevare che le tipologie che il ministro Damiano ha affermato di voler cancellare dalla legge Biagi - lo staff leasing, il job on call ed altri istituti - sono assolutamente marginali nell'economia generale dei modelli contrattuali che vengono realmente utilizzati.
Esprimo sicuramente il mio apprezzamento per lo sforzo di affrontare concretamente, senza condizionamenti ideologici o accanimenti terapeutici elettorali, il tema in questione; tuttavia, resta qualche dubbio sulla realizzabilità di queste misure, e anche una certa contraddittorietà di alcuni elementi politici che sono venuti sovrapponendosi. Mentre qui in Commissione si parlava della riduzione del cuneo fiscale, infatti, in Aula, quasi al «piano di sotto», si votava il decreto in materia di IRAP, che, oggettivamente, è una tassa indiretta sul lavoro.
Riguardo a questo aspetto, è importante comprendere se vi sia effettivamente la volontà di sopprimere questa imposta, o di rimodularla in modo che non gravi indirettamente sul lavoro, oppure di lasciarla invariata: si tratta di una iniziativa che può essere assunta dal ministro Damiano.
Chiederemo sicuramente al ministro Padoa-Schioppa, inoltre, attraverso quali risorse sia possibile garantire la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale; credo che altri colleghi abbiano formulato una richiesta più dettagliata al ministro riguardo agli strumenti idonei a quantificare i costi dell'operazione di riduzione di cinque punti percentuali del cuneo fiscale. Si potrebbe, attraverso il DPEF, capire effettivamente - in ragione anche della forte querelle politica che si è verificata all'interno della maggioranza sull'argomento - la natura della «cassa» che finanzia questa operazione di politica fiscale.
Occorre, quindi, fare chiarezza non solo su questo punto, ma anche su quel meccanismo selettivo che il ministro ha spiegato essere l'obiettivo principale su cui il Ministero punta, da un lato, per la riduzione del cuneo fiscale per le imprese e, dall'altro, per la lotta all'eccessiva flessibilizzazione - possiamo utilizzare questo termine, invece del più antipatico «precarietà»? - nei confronti dei giovani alla prima occupazione.
Se si riducesse il cuneo fiscale, e si facessero pagare meno contributi alle imprese che impiegano più lavoratori a tempo indeterminato, non si rischia paradossalmente, di penalizzare le aziende che hanno un numero maggiore di lavoratori a tempo determinato e, in ultima analisi, i lavoratori stessi? Non si rischia, cioè, di creare una discriminazione, anziché un incentivo? Questa è una domanda alla quale dobbiamo cercare di dare una risposta.
Credo che la questione della stabilizzazione del lavoro a tempo determinato riguardi, principalmente, i nuovi occupati. Che il lavoro a tempo indeterminato sia oggi la norma, infatti lo dicono i fatti. Ritengo giusto, tuttavia, procedere attraverso una lettura «generazionale», prestando una particolare attenzione alle fasce più giovani. Ritengo che questa operazione debba compierla lei, signor ministro.
Infatti, quando il ministro Melandri - da un punto di vista politico, questo potrebbe essere definito un contratto a progetto, visto che l'onorevole Melandri gestisce un ministero dalle deleghe un po' curiose - chiede di lavorare sull'occupazione giovanile, si presuppone, in realtà, che l'occupazione possa essere separata fra quella giovanile e quella non giovanile, cosa a cui non credo. La questione della flessibilità deve essere affrontata in maniera disaggregata, nell'ambito del tema generale del lavoro.
In tal senso, credo che l'interessamento del ministro sull'effettiva sorte della cosiddetta legge Moratti, in particolare per la parte in cui essa prevede l'alternanza scuola-lavoro, sia opportuno. Il quadro di riforme, che comunque il centrodestra ha varato nel corso della passata legislatura - condivisibile o meno da parte dei colleghi dell'attuale maggioranza parlamentare -, costituiva, in qualche modo, una gestalt completa. Si trattava, infatti, di un quadro


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organico che accompagnava il giovane sin dalla prima formazione, anticipando i percorsi di studio, lo studio delle lingue straniere, l'apprendimento dell'informatica ed altro, e prevedendo altresì l'alternanza scuola-lavoro, nell'ambito di un quadro che garantisse l'avvicinamento di questi due mondi, spesso distanti o incomunicabili. Attraverso la legge Biagi, questo quadro organico di riforme conduceva lo studente dalla fine del ciclo secondario della scuola fino all'interno del mercato del lavoro.
Questa è una visione d'insieme, che può essere mantenuta, distrutta, cambiata o sostituita da una versione leggermente diversa, oppure da un quadro completamente alternativo. Poiché manca un quadro alternativo dal punto di vista della disciplina del lavoro, ci piacerebbe capire se esista un progetto diverso per l'istruzione pubblica e privata. Anche su questo aspetto, dunque, è necessario effettuare una verifica.
Per quanto concerne la questione dello «scalone» previdenziale, vorrei rilevare che la prospettiva generazionale dovrebbe essere tenuta, in qualche modo, in debita considerazione, dal momento che, in Italia, il problema delle nuove generazioni è una delle grandi questioni discriminanti. Su questo problema, il Governo precedente si era impegnato su diversi fronti, ad esempio con l'abolizione del servizio di leva (che aveva, tra l'altro, un'origine legislativa ascrivibile alla precedente maggioranza di centrosinistra), rimuovendo un altro vincolo dell'accesso dei giovani al mondo del lavoro. Da questo punto di vista, sappiamo che la questione della previdenza è stata ed è tuttora importantissima. Vorrei ricordare che lo «scalone» previdenziale è stato giudicato iniquo dal ministro, ma sottolineo che una riforma entra in vigore da un certo momento in avanti, poiché esiste la curiosa regola di individuare tempi e date per l'entrata in vigore delle norme. Pertanto, si potrebbe rimodulare l'operatività dello «scalone» anticipandone i tempi. Questa potrebbe essere una scelta, anche se non mi sembra questa l'intenzione del Ministero del lavoro e del Governo. Se si volesse soltanto affrontare il problema della gradualità, sarebbe comunque una scelta in qualche modo comprensibile.
Non dimentichiamo che vi è stata una polemica proprio sulla riforma previdenziale, la quale è stata accusata - e successivamente prosciolta dall'accusa - di essere stata un provvedimento concepito per fare cassa (come se far cassa attraverso una riforma strutturale, senza svaligiare le case degli italiani, fosse un grave reato).
Come sapete, una serie di ragioni hanno indotto a differire l'entrata in vigore della riforma al 2008, ma non vorrei che ogni minuto di ritardo nell'applicazione di tale intervento fosse salutato, con gioia, come un segno di gradualità. Se deve esserci gradualità, essa può essere stabilita prima, ma vorrei osservare che ogni minuto di ritardo pesa sulle spalle delle nuove generazioni. Una riforma che oggettivamente dopo tanti anni di ritardo, fosse rivolta, almeno in parte, a beneficio delle nuove generazioni senza troppi scadenzamenti, nell'ambito di un passaggio strutturale definitivo e decisivo dal sistema retributivo a quello contributivo, era necessaria ed è stata realizzata. Credo che debba essere ascoltata, allora, la preghiera di fare attenzione affinché, se dovesse esserci una rimodulazione, essa non vada a pesare sulle spalle delle nuove generazioni.
Proprio in queste ore, infine, siamo in attesa di votare la fiducia posta dal Governo sul disegno di legge di conversione del cosiddetto decreto-legge sullo «spacchettamento». Credo che il tema degli ammortizzatori sociali sia centrale rispetto al tema del lavoro, poiché costituisce, per chi ha un'impostazione riformista e liberale, l'altra faccia della medaglia di questo sistema. Innanzitutto, vorrei capire come sia possibile reperire le risorse finanziarie: in ordine agli ammortizzatori sociali, infatti, la questione è sostanzialmente questa. È indubbio che sia necessario realizzarli in maniera coerente, rendendoli meccanismi effettivi di compensazione, specie per le tipologie di lavoro a tempo determinato


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che comportano momenti di disoccupazione. È altresì innegabile che questi ammortizzatori debbano essere accompagnati dall'obbligo formativo del lavoratore, o di colui che momentaneamente rimane in una fase di disoccupazione. Ma a chi spetta effettivamente la competenza di tale disciplina, in un quadro di riordino complessivo delle competenze dei ministeri?
Crediamo, quindi, che la riflessione che dobbiamo svolgere non possa separare la disciplina del lavoro dagli ammortizzatori sociali. I due argomenti devono, infatti, procedere di pari passo, integrandosi a vicenda, proprio perché fanno parte di un unico aspetto.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Signor ministro, la ringrazio per essere tornato in Commissione. Il mio intervento, che segue quelli ormai svolti da numerosi altri colleghi, compresi quelli dell'opposizione, sarà abbastanza breve, anche perché, sinceramente, ciò che mi preme maggiormente è ascoltare la sua replica.
Nella sua relazione, lei ha tracciato le linee generali del suo programma, ma ha solamente sfiorato i temi fondamentali, nel senso che non ha fornito risposte convincenti. Il suo intervento, infatti, è stato molto vago sia per quanto riguarda la legge Biagi (la legge n. 30 del 2003), sia per quanto concerne la riduzione del cuneo fiscale, sia per quanto riguarda, infine, lo «scalone» pensionistico. Vorrei segnalare che abbiamo registrato un'insoddisfazione di fondo anche negli interventi dei colleghi della maggioranza che si sono succeduti, i quali, evidentemente, si aspettavano ben altre parole. Da parte nostra, comunque, sussiste l'esigenza di comprendere esattamente le intenzioni del Governo, anche alla luce di una differente comunicazione. Mi riferisco non solo alla sua, signor ministro, ma anche a quella di altri suoi colleghi di Governo, i quali in Parlamento affrontano temi delicati anche con una comprensibile prudenza e, successivamente, sui giornali rilasciano dichiarazioni di tono diverso, forse per tranquillizzare, in qualche modo, parti dell'elettorato ed azionisti della maggioranza, come ad esempio il sindacato.
Le chiederei pertanto di chiarire in sede di replica, molto più di quanto ha fatto nella sua relazione iniziale, come intende modificare la legge n. 30 del 2003, poiché il collega Bandelli sostiene di aver appreso che non la volete cambiare. Al di là del linguaggio utilizzato, infatti, è innegabile che avete fatto una campagna elettorale affermando che la legge Biagi - voi la chiamate legge n. 30 - è un provvedimento che ha creato il precariato in Italia e che va abolito.
Lei ha affermato prudentemente, in questa sede, che volete non abrogare la legge n. 30 del 2003, ma soltanto intervenire su alcune tipologie contrattuali. Ci faccia capire meglio, signor ministro. La realtà, infatti, è che la legge n. 30 è applicata da pochissimo tempo; quindi, essa non ha potuto nemmeno dispiegare fino in fondo i suoi effetti. Alcune forme contrattuali, peraltro, sono ancora sconosciute alla maggior parte del mondo del lavoro, poiché non sono state nemmeno comprese. Se volete fare un'operazione di facciata abrogando tali forme contrattuali, ne prendiamo atto, purché si sappia che si tratta solamente di un'operazione di facciata, vale a dire di un dazio politico pagato ad alcuni settori della maggioranza, ma di fatto l'impianto della legge n. 30 del 2003 resta immutato. Diversamente, se intendete abolire forme contrattuali come, ad esempio, il contratto di ingresso - una tipologia che, invece, sta avendo successo, poiché va a vantaggio di categorie svantaggiate, essendo diretta ai giovani, agli anziani ed alle donne - allora ditelo con chiarezza. Da parte nostra, vorremmo denunciare situazioni molto delicate che riguardano il mercato del lavoro, e pensiamo che una forma di lavoro come il contratto d'ingresso sia stata e sia tuttora una forma di lavoro utilissima a contrastare il lavoro nero, ad esempio nel Mezzogiorno. La nostra preoccupazione è che la cancellazione di tale tipo di contratto potrebbe rigettare nuovamente nel settore sommerso centinaia, se non migliaia, di


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giovani, di donne e di anziani che, magari, sono fuoriusciti proprio dal sommerso.
Per quanto riguarda la riduzione del cuneo fiscale, lei ha parlato di «cuneo fiscale selettivo». Comprendiamo sicuramente il significato del termine «selettivo», ma vorremmo capire meglio, visto che, francamente, da quanto ha affermato in sede di Commissione non è chiaro cosa si intenda con tale espressione. Lasciare fuori le imprese che utilizzano contratti a tempo determinato significherebbe, infatti, negare tale vantaggio anche al lavoratore assunto con tale tipologia contrattuale. Comunque, l'idea che forme di lavoro che noi consideriamo moderne debbano essere in qualche modo punite ci preoccupa moltissimo, perché si tratta delle forme di lavoro più diffuse in Europa.
Pertanto, se si compie un intervento che deve essere utile per le imprese e deve lasciare qualcosa in tasca ai lavoratori, ma lo si concepisce come una misura punitiva per le forme moderne di lavoro, si tratta, a mio avviso, veramente di un approccio contro lo sviluppo, che denunceremo in maniera forte.
Per quanto concerne la copertura della riduzione del cuneo fiscale, vorrei osservare che lei non ci ha detto nulla. Capisco che non può avere i provvedimenti attuativi in mano e, chiaramente, si tratta anche di scelte politiche; comprendiamo altresì che esse non investono un solo ministero, ma riguardano l'intero Governo, tuttavia avrebbe potuto dirci qualcosa di più su come pensa di coprire, dal punto di vista finanziario, tale intervento.
Questa è stata una polemica della campagna elettorale, ma adesso sono passati diversi mesi e ancora nessuno di noi ha chiaro tale aspetto. Ci preoccupa, peraltro, il fatto che Cofferati e Berlusconi sono d'accordo nell'affermare che, comunque, non bisogna incidere sul sistema pensionistico, ma vogliamo conoscere la sua opinione al riguardo.
Per quanto riguarda, infine, lo «scalone» pensionistico, lei ha detto in Commissione che giudica l'intervento del ministro Maroni iniquo e che, quindi, vorrebbe superarlo. Lei deve dirci cosa farà il Governo, perché possiamo anche condividere, in altra sede, le sue buone intenzioni, tuttavia lei qui rappresenta l'esecutivo: quando si fa un'affermazione così importante, non può evitare di dirci come intenda affrontarlo, rimettendosi alle decisioni del Ministro dell'economia e delle finanze Si tratta di una decisione politica non indifferente, quindi se lei giudica iniquo lo «scalone» pensionistico, ci indichi cortesemente quali vie intende seguire il Governo.
Concludo con una constatazione un po' triste, poiché riguarda il tema della sicurezza, che a me sta personalmente molto a cuore. Lei, signor ministro, è venuto in Commissione, se non sbaglio, il giorno dopo che un gravissimo incidente era accaduto in Sicilia; si trattava, peraltro, proprio nella mia città, Siracusa, dove è caduto un pezzo di ponte di un'autostrada in costruzione. Il suo sottosegretario Montagnino (persona che stimo) è stato tempestivo nel convocare tutti i parlamentari nazionali e regionali in prefettura, a Siracusa, preannunciando iniziative da parte del Governo.
Quella è stata la sede da cui è partita questa speculazione, che definirei vergognosa, sulla cosiddetta legge obiettivo. Subito dopo quell'incidente, infatti, si è tanto parlato del fatto che, probabilmente, tutto ciò derivava da una scarsa attenzione nell'assegnazione degli appalti e, dunque, si trattava di una buona occasione per mettere in discussione la legge obiettivo.
Nelle due settimane successive si sono verificati numerosi altri incidenti nei luoghi di lavoro, ma non sono stati determinati dagli appalti assegnati sulla base della legge obiettivo; quindi, si è capito che esiste un problema di attenzione e di sicurezza sui luoghi di lavoro che non ha nulla a che fare con tale legge. Eppure, vorrei sottolineare che né il Governo, né la Commissione hanno deciso di assumere un'iniziativa al riguardo. Lei ha detto: «faremo, faremo, faremo», ma sono passate due settimane, si sono verificati tanti altri incidenti e non abbiamo ancora visto concretamente nulla.


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Siccome siamo molto attenti a tale tema - non c'è nulla di più drammatico, infatti, che perdere la vita, tragicamente, durante lo svolgimento del proprio lavoro -, vorremmo poterla sostenere e collaborare, su questo tema, con il Governo e con la maggioranza. Pertanto, la invitiamo a presentare in Parlamento un provvedimento al riguardo sul quale confrontarci in maniera assolutamente costruttiva, così come dovrebbe avvenire anche su tutti gli altri provvedimenti.
Sappia, infatti, che lo spirito con il quale siamo qui è sicuramente costruttivo. Difenderemo certamente le nostre riforme, qualora il Governo e la maggioranza intendessero cancellarle; tuttavia, siamo disponibili ad approvare modifiche che possano migliorare provvedimenti che sono stati concepiti per il bene del nostro paese. Se saranno necessari alcuni correttivi, preannuncio che, su questi, vi sarà la nostra totale disponibilità. Saremo vigili e sempre pronti, comunque, nel denunciare un diverso comportamento - poiché un inizio lo avvertiamo nelle sue parole - sia all'interno del Parlamento, sia nelle piazze.
Se si vince la campagna elettorale con un programma che propone l'abrogazione della legge Biagi, infatti, dopo bisognerebbe essere così coerenti da farlo veramente. Il punto è che la cosiddetta legge Biagi non la cancellerete, e questo deve saperlo molto bene quella parte della vostra maggioranza che su questo ha siglato un patto elettorale con voi!
Naturalmente ne siamo contenti, perché per il bene e per lo sviluppo economico del nostro paese è essenziale che, anche in Italia, vi sia il lavoro flessibile. Siamo stati gli ultimi in Europa ad introdurlo, e su questo aspetto, con tanti altri colleghi qui presenti ci siamo confrontati a lungo negli anni passati. Chiediamo, tuttavia, lealtà e chiarezza da parte sua. Se lei con noi sarà chiaro, signor ministro, potremmo anche avere idee diverse, ma la rispetteremo, perché non è venuto qui a dirci delle bugie. Siamo pronti, quindi, a stabilire un rapporto franco, purché fondato sulla chiarezza.

ANGELO COMPAGNON. Signor presidente, sarò ancora più breve della collega precedentemente intervenuta, perché credo che, ormai, sia stato detto tutto sull'argomento. Era importante, almeno per me, ascoltare il ministro e conoscerne la sua linea politica, al fine di poter impostare un atteggiamento coerente in questa Commissione, rispettando anche le posizioni di tutti. Fin dall'inizio la Commissione lavoro ha tentato (almeno così mi è parso) di creare le condizioni per instaurare un rapporto fra maggioranza e opposizione che consenta di affrontare, in maniera costruttiva, i temi, così numerosi e delicati, che la stessa Commissione si trova a trattare.
Evidentemente, questa richiesta di audizione, vale a dire lo sforzo di trovare un punto di sintesi e di riferimento, dopo lo scontro frontale della campagna elettorale, risponde al tentativo di affrontare con responsabilità alcuni temi, poiché quelli trattati da questa Commissione sono argomenti delicati. Alla luce delle prime esperienze, anche in sede di Assemblea, la preoccupazione diventa, evidentemente, ancora più grande.
Ho riscontrato - e spero, nella sua replica, di comprendere ciò ancora meglio - una posizione del ministro che non sempre risulta in linea con la sua maggioranza (e ciò non può che farmi molto piacere). Ho riscontrato, infatti, una posizione responsabile su determinati argomenti, nonché le nostre stesse preoccupazioni su altri temi. Mi riferisco, ad esempio, agli infortuni mortali testé richiamati, che sono stati il motivo di una lunga riflessione del ministro sulle percentuali degli incidenti; tali percentuali, peraltro, sono legate anche alla non corretta applicazione delle normative vigenti.
Ho ascoltato numerosi componenti della sua maggioranza, signor ministro, parlare molto bene di questo Governo, poiché sostengono che si tratta di un esecutivo che parla per fatti e per atti, e sento altresì parlare di «stile di governo». Ebbene, vorrei osservare che lo stile che abbiamo visto in questi ultimi due giorni,


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sia in questa sede, sia in Assemblea, in materia di concertazione è davvero molto distante da tali affermazioni.
Infatti, non è stata data a tutti la possibilità di discutere il decreto-legge relativo al cosiddetto spacchettamento non tanto perché si voleva fare ostruzionismo, quanto perché intendevamo mostrare la nostra preoccupazione rispetto a ciò che un provvedimento del genere rischia di produrre. Spero non accadrà altrettanto in materia di liberalizzazioni, anche se mi sembra che, dalla maggioranza, si riconosca da alcuni segnali che, forse, la proposta avanzata non va esattamente nel verso auspicato. La stessa preoccupazione, sempre riguardo al futuro del lavoro di questa Commissione, nutriamo circa il rapporto che avremo con una pluralità di ministeri, dopo l'odierna approvazione di tale provvedimento da parte dell'Assemblea della Camera.
Vorrei sapere dal ministro, pertanto, se sul problema del cuneo fiscale e della sicurezza le sue posizioni siano effettivamente di apertura, se gli appalti al massimo ribasso, come lei ha sostenuto, producano, se non rivisti, situazioni sicuramente negative (poiché vi è la necessità, per certe imprese, di comportarsi in maniera non corretta). Vorrei allora chiederle se il coraggio di non avere riserve mentali la induca a varare, conseguentemente, una modifica delle norme sulla sicurezza; vorrei altresì sapere se sia vero, come mi è parso di cogliere, che non è in discussione l'aumento dell'età pensionabile delle donne, come da più parti si è sentito affermare, anche in quest'ultimo periodo. Ebbene, tutte queste situazioni delicate devono essere propedeutiche ad un approfondimento, al fine di comprendere - ed è l'ultima cosa che chiedo al ministro - se egli avrà il coraggio, almeno in questa Commissione, di mettere l'opposizione nelle condizioni di fornire contributi concreti per migliorare alcuni provvedimenti o le situazioni delicate in atto.
Ci rendiamo conto della differenza di ruoli esistente. Chi si trova all'opposizione vi è stato mandato dall'elettorato, ed esso va rispettato; tuttavia, se il buongiorno si vede dal mattino, come si è visto in sede di Assemblea, sono veramente molto preoccupato.
Pertanto, in conclusione, le chiedo se, per il futuro - anche per dare modo a questa Commissione di svolgere quel lavoro che, all'inizio, si era prospettato di condurre insieme, nell'interesse del paese -, avrà il coraggio di metterci in condizione di poter incidere in questa sede, come invece non è accaduto in sede di Assemblea.

JOHANN GEORG WIDMANN. Signor ministro, innanzitutto le voglio riconoscere di aver scelto di utilizzare una saggia cautela nell'esporre il programma di Governo. Abbiamo già sentito troppi annunci e troppe esternazioni, che hanno fatto solamente aumentare i dubbi sulle intenzioni del Governo per sanare il paese e portarlo sulla via del progresso e dell'equità.
Vorrei segnalare che noi risultiamo, nell'Unione europea a 15, fra gli ultimi paesi che devono ancora imboccare la strada del rinnovamento e della competitività economica a livello mondiale. Dobbiamo trovare un equilibrio fra la conservazione delle norme che hanno dato esiti positivi nei diversi settori ed il rinnovamento che ci può garantire l'aggancio alla competitività mondiale, partecipando al progresso ed essendo propensi a garantire sempre di più l'equità sociale.
Per realizzare una politica del genere, bisogna valorizzare la concertazione fra la politica e la società civile, ovvero le categorie che rappresentano il motore della società. Concertazione non può significare esporre le proprie intenzioni e raccogliere le proprie opinioni per decidere, poi, autonomamente. Concertazione, infatti, significa discutere, trovare e concordare insieme le soluzioni migliori. Concertazione non significa nemmeno rallentare ed impedire intenzionalmente le decisioni. Le categorie che non sono in grado di proporre e di trovare compromessi, ma si limitano a ricusare le proposte altrui e a


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dire solo «no», devono subire le decisioni della politica, che è chiamata a decidere dopo un tempo congruo.
L'abbattimento del cuneo fiscale è una manovra necessaria, perché, da troppo tempo, il fattore lavoro è stato costretto ad assumersi costi estranei. Tale fattore è stato sovraccaricato di oneri, rendendolo non più competitivo né per l'impresa, né per lo stesso lavoratore. Sostengo con convinzione un provvedimento nel merito, tuttavia mi permetto di chiedere che, prima della discussione parlamentare, il Governo senta le parti sociali, per concordare insieme come reperire la copertura finanziaria di questo disavanzo. Non vorrei che fosse l'attuale Stato sociale a farne le spese, a svantaggio dei lavoratori, dei pensionati e di altre fasce deboli.
A mio avviso, il welfare non può essere toccato finché non è stata concordata una riforma dello stesso. Mi riferisco ad una riforma che garantisca la piena solidarietà verso chi ne ha veramente bisogno e che escluda tutti coloro che, attraverso l'evasione fiscale e contributiva, si sono rifiutati di dare il proprio contributo al welfare State ed al funzionamento stesso della vita sociale. Una riforma del welfare dovrebbe contenere, a mio avviso, norme di razionalizzazione, affinché i mezzi siano destinati a chi ne ha diritto, cercando di eliminare tutte le furbizie, sempre e ovunque presenti.
Concordo che l'abbattimento del cuneo fiscale debba essere selettivo e debba andare a favore delle imprese che assumono a tempo indeterminato, che favoriscono la formazione professionale e che valorizzano la sicurezza sul lavoro.
La cosiddetta legge Biagi deve essere riformata, nel senso che devono essere evitati tutti gli abusi che, nel frattempo, sono diventati molteplici. Per i giovani che faticano a trovare lavoro le norme della citata legge Biagi possono essere un aiuto per fare conoscenza o per fare la prima conoscenza con il mondo del lavoro. Purtroppo, tuttavia, nel frattempo troppi rapporti di lavoro sono diventati a tempo determinato, producendo tanta insicurezza economica e sociale.
Questa flessibilità esagerata mina, di fatto, ogni politica a favore delle giovani famiglie, che tanto auspichiamo si formino. Come possono, infatti, i giovani fondare una famiglia, comprare una casa e mettere al mondo dei figli se, spesso fino all'età di trentacinque anni ed oltre, non hanno un lavoro sicuro ed una sicura retribuzione che dia loro sicurezza sociale?
Lo sviluppo economico mondiale chiede una certa flessibilità alle aziende ed ai lavoratori, ma tale flessibilità non può essere illimitata e selvaggia e, soprattutto, non può essere solo a carico dei lavoratori. Per evitare l'adozione di provvedimenti del genere, è preferibile una più profonda concertazione fra le parti sociali al momento del rinnovo dei contratti di lavoro. In quella sede, è loro specifica competenza stabilire le varie flessibilità nei diversi comparti, per poter competere sul mercato, evitando - si auspica - eccessivi interventi del legislatore.
Desidero sottolineare, con ciò, le ampie responsabilità delle parti sociali ad essere riformatrici nel proprio campo. Non salviamo né le aziende, né i diritti dei lavoratori, infatti, se ci neghiamo a tutte le riforme: ognuno deve fare la sua parte.
Prima di pensare ad una nuova riforma pensionistica, inoltre, è indispensabile individuare strumenti adatti per combattere l'evasione fiscale e contributiva. Per tale attività non necessitano eserciti di finanzieri e controllori, ma sarebbero sufficienti norme serie e pesanti contro chi viola questi principi costituzionali; si tratta di norme che devono essere applicate, poi, senza alcuna remora. Nell'ambito della mastodontica evasione che si registra, si devono trovare i mezzi necessari per sanare il bilancio pubblico: solo dopo si potranno chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini onesti.
Bisogna anticipare il trasferimento del trattamento di fine rapporto nei fondi pensionistici; occorre valutare, altresì, i risultati raggiunti dalla riforma pensionistica varata nel 1995. Solo successivamente si potrà, semmai, iniziare una nuova discussione ed avviare la concertazione


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per approvare una riforma pensionistica, facendo riferimento anche alle norme che vigono in altri paesi dell'Unione europea.
Non posso fare a meno di chiedere al Governo ed a lei, signor ministro, di trasformare, in tempi brevissimi, in norme precise la risoluzione in materia di sicurezza sul lavoro attualmente all'ordine del giorno di questa Commissione. Ogni morto, ogni incidente sul lavoro è, infatti, un grave reato commesso contro la persona da chi non rispetta le regole e gli impegni. Forse è anche necessario semplificare le norme vigenti, spesso difficilmente applicabili per la loro complessità. Alle norme semplici debbono affiancarsi, tuttavia, pesantissime sanzioni, che anche in questo campo devono essere applicate senza remore.
Voglio menzionare, infine, un problema meno pesante, ma molto sentito da numerosi giovani della nostra provincia che, nel tempo libero, si esibiscono come musicisti. Si tratta, per la maggior parte, di persone che lavorano e che già pagano i contributi ai diversi istituti di previdenza, e si sentono derubate dallo Stato, in quanto, per tale attività marginale, devono versare ulteriori contributi all'ENPALS. Tale obbligo verso l'ENPALS rappresenta anche un fattore di concorrenza con musicisti che vengono da oltre confine, i quali chiedono un importo fisso senza ulteriori oneri. Sarebbe auspicabile, per ovviare a ciò, un semplice intervento legislativo.
Auguro, dunque, al Governo, a lei ed alla maggioranza di poter riuscire nell'opera di risanamento, di adottare una politica occupazionale che produca ricchezza e, nel garantire un alto livello di equità sociale, di riacquistare un ruolo importante e propositivo nell'ambito dell'Unione europea.

GIUSTINA MISTRELLO DESTRO. Signor ministro, ho seguito con molta attenzione la sua relazione svolta il 27 giugno scorso e sto altresì seguendo con attenzione, in questi giorni, anche i vari interventi che vengono divulgati, attraverso la stampa, su vari temi.
Ancora oggi si legge sui quotidiani che, nella sua agenda di lavoro, lei prevede di effettuare entro settembre la revisione dello «scalone» pensionistico. Si legge, altresì, che lei troverà, in accordo con le parti sociali, soluzioni che possano determinare lo stesso livello di risparmio. Penso che ciò dovrà avvenire prima dell'elaborazione del disegno di legge finanziaria. Questo comporterà - se ho ben compreso dalla lettura della stampa - anche una revisione della riforma Tremonti e Maroni, la quale prevede, a partire dal 2008, l'innalzamento da 57 a 60 anni dell'età pensionistica per coloro che hanno maturato almeno 35 anni di contributi.
Queste sono le dichiarazioni che ho letto oggi dai quotidiani, che peraltro hanno sollevato anche le reazioni del sindacato, in particolare da parte del segretario della CISL, Bonanni. Egli, infatti, ha affermato che la soppressione dello «scalone» costerebbe 4 miliardi di euro, quindi la invita a lasciar perdere e ad occuparsi, piuttosto, delle politiche a favore dei giovani in maniera forte e determinante.
Penso che si tratti di un tema veramente importante, poiché il futuro del paese passa attraverso l'investimento sui giovani, che rappresentano il nostro grande patrimonio, garantendo agli stessi la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro e di avere un futuro legato, in maniera forte, allo sviluppo del nostro paese.
D'altro canto, sappiamo benissimo che la ripresa economica è ormai avviata da alcuni mesi; lo dicono, oltre alle statistiche, anche le dichiarazioni di alcuni vostri ministri. Il sistema industriale ha dato segnali molto incoraggianti, soprattutto in alcune regioni, e non solo in quelle dove il tessuto imprenditoriale è già forte ed ha aiutato la crescita del sistema economico italiano. Credo che, rispetto a tali segnali, dobbiate dare alcune risposte alle categorie che le stanno aspettando, in particolare alle piccole industrie ed al settore del commercio, poiché dovete impegnarvi nei confronti di questi soggetti.
Signor ministro, conosco il suo modo di operare, perché ho avuto occasione di


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apprezzarlo negli anni in cui è stato attivo nel nostro territorio. La invito, pertanto, ad agire in maniera concreta e pragmatica nei confronti di queste imprese e, soprattutto, del mondo dei giovani Mi aspetto da lei, tuttavia, un atteggiamento di chiarezza: come hanno testè affermato l'onorevole Prestigiacomo ed altri colleghi che mi hanno preceduto, infatti, ribadisco anch'io che desideriamo capire fino in fondo come affronterete la modifica della legge n. 30 del 2003 - con orgoglio, noi preferiamo chiamarla legge Biagi -, che ha impresso una svolta al mercato del lavoro ed al sistema delle imprese.
Vorrei che mi confermasse, signor ministro, la sua volontà di mettere mano al cosiddetto scalone pensionistico. Vorrei comprendere, soprattutto, come affronterà la riforma della previdenza integrativa e quale politica vorrà condurre nei confronti dei giovani. Il tema delle politiche giovanili - su questo aspetto, il collega che mi ha preceduto ha evidenziato un passaggio interessante - è molto ampio, tuttavia credo che, in materia di lavoro, lei abbia un ruolo importante e di grande responsabilità.

PRESIDENTE. Do ora la parola al ministro per la sua replica.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Vi ringrazio innanzitutto per la quantità e per la qualità degli interventi svolti. Come ho già annunciato nella scorsa seduta, nonostante qualche accento polemico che ho sentito da parte di esponenti dell'opposizione, non intendo seguire questa strada e spiegherò, invece, ciò che intendo fare. Questo, naturalmente, misurando le parole, senza dire più del necessario non per mancanza di rispetto nei confronti della Commissione - con la quale intendo collaborare, anche al di là della consuetudine -, ma perché, essendo io moderato e gradualista (come tutti sanno), intendo procedere per piccoli passi. Soprattutto, non intendo trovarmi in una circostanza che non amo particolarmente, vale a dire rilasciare la volta precedente, affermazioni che vengono contraddette la volta successiva. Le mie parole saranno sempre misurate, anche a rischio di non soddisfare le domande.
Vorrei rilevare che, da parte di alcuni esponenti dell'opposizione, si insiste sulla tesi secondo la quale il ministro non sarebbe in linea o in sintonia con la propria maggioranza. Al riguardo - per fortuna, vi sono i resoconti stenografici - utilizzo le parole dell'onorevole Augusto Rocchi, poiché è il primo deputato della mia maggioranza intervenuto nella scorsa seduta. Dopo la mia esposizione, infatti, l'onorevole Rocchi afferma: «Ringrazio il presidente e il ministro. Mi pare che il ministro abbia esposto con coerenza un impianto di scelte che, d'altronde, erano enunciate nel programma con il quale ci si è candidati a governare il paese. Riconosco che c'è una coerenza di fondo con quell'impianto programmatico».
Mi fermo qui, perché credo che ulteriori parole sarebbero assolutamente inutili. Ciò che intendo evidenziare è il fatto che tutti gli esponenti della maggioranza intervenuti in questa Commissione hanno condiviso le opinioni che ho espresso, nonché la coerenza tra tali opinioni e l'impianto programmatico. Inviterei, dunque, a lasciar da parte questo argomento, fermo restando che, naturalmente, in politica si può fare di tutto.
Vorrei informare che avevo anche preparato un testo scritto ma, com'è mia abitudine, non lo utilizzerò. Posso anche consegnarlo alla Commissione, perché esso risponde, puntualmente, a tutte le questioni sollevate nella scorsa seduta da ciascun deputato. Anche in questo caso, si trattava di una forma di rispetto per coloro che intervengono, essendo abituato a prendere appunti e a rispondere nella misura possibile.
Cercherò, pertanto, di organizzare i numerosi argomenti che sono stati richiamati. Per quanto mi riguarda, la volta scorsa ho agito spiegando, in termini essenziali, l'impegno del mio Ministero relativamente alle tematiche del lavoro, avendo in mente un punto per me fondamentale. Infatti, quando il 27 giugno ho


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esposto le mie tesi, mentre parlavo la domanda di fondo che mi ponevo era la seguente: sto esponendo una tesi che avrà delle conseguenze nel Documento di programmazione economico-finanziaria, oppure corro il rischio di esporre idee che non avranno parentela con tale Documento? A questo punto, essendo stato pubblicato il Documento di programmazione economico-finanziaria, ritengo di poter affermare che le le scarse o numerose affermazioni rese nella scorsa seduta sono perfettamente coerenti con il testo letterale del DPEF. Mi permetto, con una qualche civetteria, di dire che ho «persino» contribuito a scrivere quel testo.
Parto, dunque, da alcuni punti che ritengo essenziali e che rappresentano una sequenza logica di interventi sui quali vorrei cimentarmi. La sequenza logica in oggetto, per me, è la seguente: in primo luogo, la definizione dei temi della competitività e del cuneo fiscale; in secondo luogo, la definizione dei problemi previdenziali; in terzo ed ultimo luogo, la questione del mercato del lavoro.
Aggiungo che, per quanto ne sappia, l'intervallo che intercorre tra la presentazione del Documento di programmazione economico-finanziaria e quella del disegno di legge finanziaria è relativamente breve. Immagino che il disegno di legge finanziaria verrà presentato alla fine di settembre, o al massimo ai primi di ottobre (mi pare che sia questo il periodo temporale «naturale»); entro tale data, quindi, il Governo e i ministri dovranno compiere alcuni atti fondamentali, ed io intendo rispettare quel percorso temporale.
Quali sono gli atti fondamentali, dunque? Intanto, secondo me - intendo confermarlo, perché questo argomento è stato evidenziato anche nel corso dell'audizione odierna - si tratta, una volta enunciati alcuni principi di fondo, di descrivere compiutamente le azioni del Governo non improvvisando, ma attraverso la concertazione con le parti sociali. Pertanto, non ho intenzione di anticipare alcuna soluzione tecnica senza aver preventivamente vagliato, in termini informali e formali, la sua realizzabilità nell'ambito del rapporto con le parti sociali. Tra l'altro, come ho già detto durante la scorsa audizione, credo che 38 anni di lavoro e di esperienza negoziale mi abbiano insegnato qualcosa. Ribadisco, quindi, che non amo annunciare decisioni che non hanno nessuna attinenza con la realtà, poiché ritengo che si tratti di un esercizio di vuota declamazione.
È chiaro che annetto alla concertazione un valore. Ciò vuol forse dire che non sono in grado di anticipare un'architettura, un indirizzo od una scelta di fondo? Certo, l'ho già fatto la scorsa volta, e chi ha letto bene fra le righe - ed anche «nelle» righe - avrà ben compreso che la mia esposizione è stata animata da un'idea di fondo.
Il primo problema, dunque, si riassume così: riduzione del cuneo fiscale, pensioni e mercato del lavoro. I temi del cuneo e delle pensioni saranno sicuramente affrontati nell'intervallo tra la presentazione del DPEF e e quella del disegno di legge finanziaria. Credo che, per quanto riguarda il mercato del lavoro, data anche la complessità della materia, vi saranno tempi relativamente più lunghi, anche circa il confronto concertativo con le parti sociali. Mi rivolgo, in tal senso, sia alla maggioranza, sia all'opposizione.
Il programma dell'Unione, presentato da Prodi nel giorno della fiducia a questo Governo, è un molto robusto ed articolato; ricordo che, da un punto di vista politico, è stato anche oggetto di dileggio da parte di alcuni esponenti dell'opposizione. Ebbene, vorrei sottolineare che a quel programma voglio essere il più possibile fedele. Troverete raramente, infatti, uno scostamento tra quelle linee essenziali e ciò che mi sforzo di realizzare concretamente. So anche, essendo persona pratica, che un programma così complesso si realizza non in trenta, sessanta o novanta giorni, ma nel corso di una intera legislatura.
Ciò che mi preoccupo di fare è perseguire, con i primi atti del Governo, una linea di applicazione coerente con l'impostazione di tale programma, al fine di lanciare alcuni segnali essenziali al paese. È inutile pensare che riusciremo, di qui alla presentazione del disegno di legge


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finanziaria, il 30 settembre, a realizzare tutto; se fossimo così bravi, infatti, francamente mi stupirei, e potremmo non aver più niente da fare per i restanti quattro anni!
Questa è la sequenza; accanto ad essa, tuttavia, sussistono alcune emergenze. Mi fa molto piacere che l'onorevole Prestigiacomo abbia sollevato un tema che le sta particolarmente a cuore, vale a dire la questione della sicurezza. Mi permetta di farle un delicato «rimprovero», onorevole Prestigiacomo: lei è stata disattenta, altrimenti avrebbe notato che, nella giornata di sabato, il ministro si è recato a Torino, all'indomani di quel grave incidente occorso ad un immigrato (è stato ritrovato il corpo l'altro giorno), mentre il ministro Pollastrini e il sottosegretario del mio ministero Rinaldi erano presenti, in quello stesso giorno, ai funerali di altre due vittime (le due donne della Campania).
In tale occasione, ricordo di aver annunciato l'adozione di un intervento che le sta a cuore, onorevole Prestigiacomo, e sul quale chiedo la collaborazione sua e di tutta l'opposizione: mi riferisco ad un «pacchetto sicurezza» che certamente piacerà alla maggioranza, ma non spiacerà all'opposizione (Commenti del deputato Prestigiacomo). Questo «pacchetto sicurezza» sarà presentato come emendamenti al cosiddetto decreto-legge Bersani, d'intesa con il ministro Di Pietro, che ho incontrato questa mattina. Vorrei altresì segnalare che, ieri, ho incontrato il presidente della regione Campania, Antonio Bassolino, con il quale ho deciso di tenere in quella regione, nei prossimi mesi di ottobre e novembre, la II Conferenza nazionale sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Le proposte emendative che ho testé annunciato contengono i seguenti dispositivi, peraltro già inseriti nel Documento di programmazione economico-finanziaria: se avrete la bontà di leggerlo, li ritroverete. Credo anche che li condividerete e, quindi, ritengo che mi darete una mano per farli approvare in sede di conversione del citato decreto-legge.
Si tratta, in primo luogo, dell'applicazione del Documento unico di regolarità contributiva (DURC), negoziato dalle parti sociali, che dovrà non solo essere pienamente applicato nel settore dell'edilizia, ma anche esteso ad altri comparti.
In secondo luogo, propongo di introdurre una regola che non dovrebbe essere applicativa solo nell'edilizia: mi riferisco alla segnalazione, agli enti preposti, dell'avvenuta assunzione almeno il giorno prima dell'inizio del lavoro, al fine di conseguire una maggiore trasparenza in ordine alla regolarità delle assunzioni, dal momento che ricordo che il 12 per cento delle morti nell'edilizia sono riferite a persone assunte post mortem.
In terzo luogo, vorrei evidenziare che ho accolto prontamente un suggerimento avanzato dall'onorevole Rocchi, che ha segnalato, proprio in questa Commissione, l'esigenza di dotare i lavoratori dell'edilizia di un tesserino di riconoscimento, da utilizzare nei cantieri edili, recante fotografia, dati anagrafici e dati di regolarità contributiva, magari adottando - nei grandi cantieri - un badge elettronico per registrare la presenza quotidiana nei cantieri stessi, in modo da consentire agli ispettori di svolgere meglio la loro attività.
In quarto luogo, propongo di compiere una revisione delle norme in materia di sanzioni amministrative e, soprattutto, di riscuotere effettivamente le sanzioni comminate.
Infine, d'intesa con il ministro Di Pietro, propongo la possibilità di sequestrare il cantiere nel caso in cui sia scoperto un certo numero di lavoratori in nero e irregolari, nonché la sua riapertura a condizione che essi vengano regolarizzati.
Ho citato alcune norme che saranno immediatamente presentate come emendamenti al testo del cosiddetto decreto-legge Bersani. Chiedo, ovviamente, il concorso più largo di forze per approvare tali disposizioni - che ho definito «pacchetto sicurezza» - finalizzate ad ottenere ciò che tutti quanti dobbiamo auspicare: regolarizzazione e trasparenza. Esiste un comune interesse di maggioranza e opposizione, infatti, a tutelare il lavoro e la


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sicurezza in questo paese, dunque mi aspetto davvero che mi aiutiate. Raccolgo positivamente, quindi, l'invito rivolto dall'onorevole Prestigiacomo.
Fin qui le iniziative che intendo immediatamente assumere. Per quanto riguarda la questione degli appalti, rispondo molto volentieri anche su tale aspetto. Vorrei infatti segnalare che, questa mattina, con il ministro Di Pietro abbiamo convenuto, di comune accordo, di creare una task force congiunta tra i due ministeri (la sinergia, come è ben noto, aiuta) per far in modo che, entro l'anno, sia adottata una nuova normativa sugli appalti, in grado di affrontare sia la questione del general contractor, sia il problema degli appalti al massimo ribasso.
Anticipo che, applicando ciò che abbiamo scritto nel programma dell'Unione, vorrei che la normativa degli appalti al massimo ribasso facesse finalmente riferimento, nei suoi criteri ispiratori, ai minimi tabellari contenuti nei contratti nazionali di lavoro, al fine di introdurre un elemento di trasparenza nella catena degli appalti. Segnalo il fatto che il citato decreto Bersani ha posto in capo all'azienda che appalta - vale a dire, al soggetto che si trova in cima alla catena - l'obbligo della trasparenza contributiva e dell'IVA. Vorrei evidenziare, infatti, che anche questo è un elemento che fa pulizia, al fine di individuare una soluzione a quei problemi di irregolarità che si sono determinati.
Non so se riterrete questa mia risposta soddisfacente, ma sicuramente potete ben comprendere che, dal 27 giugno scorso ad oggi, non sono trascorsi molti giorni. Tuttavia, ricordo che ho presentato un testo (che sto elaborando e che verrà successivamente proposto, per il suo esame, al Parlamento), proprio sulle tematiche che hanno interessato, nell'ambito della discussione pubblica che si è svolta su questi eventi luttuosi, L'Osservatore Romano, la Chiesa, il Presidente della Repubblica e la comunità in generale.
Mi pare che, da questo punto di vista, il Governo non abbia affatto dimostrato inettitudine nel prendere a cuore una questione che, personalmente, vivo come un problema intenso sotto il profilo della tutela sia delle persone, sia della loro sicurezza. Naturalmente, ciò si accompagna alla previsione di riforma, che stiamo già mettendo in cantiere, del testo unico sulla sicurezza. Anche tale punto, infatti, fa parte dell'attività che questo Governo intende intraprendere. Questi sono gli impegni che intendiamo assicurare nell'immediato.
Di qui al 30 settembre (sperando anche di fare qualche giorno di ferie), ci occuperemo invece di altre questioni. Il primo problema è la riduzione del cuneo fiscale. È stato detto che non mi sono espresso con chiarezza; in genere mi dicono il contrario, ma può darsi che l'altra volta mi fossi espresso in maniera confusa. Ribadisco, infatti, che per quanto concerne il cuneo fiscale abbiamo voluto imprimere un carattere molto stringente alla manovra in tale ambito. Vorrei, per un puro esercizio di confronto, che voi verificaste il testo della mia audizione con quanto è contenuto all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria, poiché rilevereste che non ci sono assolutamente differenze. Ciò che ho affermato il 27 giugno scorso, quindi, e che ad alcuni di voi è parso come una comunicazione vuota, è proprio l'impianto che si riferisce al tema della riduzione del cuneo fiscale contenuto nel Documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal Governo. Si trattava, quindi, non di un esercizio vuoto, ma della previsione di un comportamento.
Su questo tema, pertanto, intendiamo procedere in primo luogo attraverso lo sgravio di un costo per le imprese, determinando un miglioramento delle retribuzioni e delle pensioni (in seguito spiegherò come). In secondo luogo, la manovra in oggetto sarà selettiva; infine, il criterio oggettivo della selezione sarà il lavoro a tempo indeterminato. Oltre ad essere un criterio effettivamente oggettivo, infatti, esso ha anche una valenza sociale, in quanto rompe una logica, purtroppo prevalsa nel corso degli ultimi anni, in base alla quale una maggiore flessibilità - o precarietà, che dir si voglia - rappresenta,


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in qualche modo, la risposta ai problemi del paese o alle esigenze delle imprese. Non credo, infatti, a tale tesi.
Senza tornare al «posto fisso» di antica memoria, ritengo che un incentivo alla stabilizzazione del lavoro non solo faccia parte del programma dell'Unione, ma costituisca il caposaldo di una politica che, senza negare la flessibilità del lavoro, spinga il sistema a stabilizzare i rapporti lavorativi.
Mi avete chiesto di offrire una risposta ai giovani: ebbene, questa è una risposta ai giovani. Si tratta, altresì, di una risposta a quelle donne, di età compresa tra i 35 ed i 40 anni - anche in una regione come l'Emilia-Romagna, sicuramente importante e forte dal punto di vista della ricchezza e del benessere -, che rappresentano la maggior componente della flessibilità, pur non avendo un'età proprio giovanile. Essa è, infine, una risposta per quei lavoratori che, superati i 50 anni, perdono il posto di lavoro che ha caratterizzato la loro vita e sono costretti a navigare nell'incertezza. Agire su queste figure dominanti, per fragilità, nel mercato del lavoro è, dunque, l'intendimento del Governo in carica.
È stato obiettato che, se si privilegia il lavoro a tempo indeterminato - questo ha dichiarato, il giorno della mia prima audizione, l'onorevole Prestigiacomo -, ciò significherebbe premiare non le imprese che innovano, che sono competitive ed attive, ma solo quelle che assumono a tempo indeterminato. È stato affermato, in altri termini, che ciò equivarrebbe a caricare le aziende di ulteriori costi sul lavoro per poi praticare loro uno sconto. Mi permetto di dissentire da tale affermazione, tuttavia la utilizzo perché descrive esattamente le differenti filosofie esistenti, fra destra e sinistra, proprio sul tema del lavoro.
Noi pensiamo, infatti, di privilegiare il lavoro a tempo indeterminato e di incentivare la stabilizzazione del lavoro, ma che ciò non deve significare privare le aziende della buona flessibilità che, attraverso le leggi e la contrattazione, debbono avere a disposizione.
Ora, si eccepisce che se si interviene, attraverso tale «sconto», sul lavoro a tempo indeterminato, si escludono altri lavoratori dai benefici sulla retribuzione. Mi dispiace, ma ciò non è vero. Chiunque può capire perfettamente cosa significhi concedere uno sgravio non alle imprese, ma ad un lavoratore a tempo determinato, tuttavia ritengo che occorra garantire - attraverso una manovra fiscale che privilegi i ceti medio-bassi, anziché, come è stato fatto in precedenza, quelli alti - i livelli di retribuzione che si riferiscono ai lavoratori. In questo caso, saranno i lavoratori a tempo indeterminato, quelli a tempo determinato, i lavoratori a progetto, i pensionati, gli incapienti ed i dipendenti sia pubblici, sia privati, poiché è questo il senso della manovra che vogliamo attuare. L'affermazione cui ho precedentemente fatto riferimento, dunque, è assolutamente priva di fondamento logico.
Per quanto riguarda, poi, l'osservazione formulata rispetto al problema dei contributi pensionistici...

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Scusi, signor ministro, può spiegarlo meglio, poiché non abbiamo capito il funzionamento?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Forse non l'avrà capito lei. Credo che tutti gli altri l'abbiano capito.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. No, non lo abbiamo capito tutti!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Comunque, lo spiego molto volentieri. La manovra di riduzione del cuneo fiscale, come lei sa, si divide in due parti: c'è una operazione a vantaggio dell'impresa ed un'altra a vantaggio del lavoro. Per quanto riguarda l'impresa, la manovra ha carattere selettivo...

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Solo per le imprese?


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CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Solo per l'impresa la manovra avrà carattere selettivo...

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Solo per le imprese? Allora abbiamo capito!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Certo, per l'impresa la manovra ha un carattere selettivo, in quanto indirizza gli incentivi a vantaggio del lavoro a tempo indeterminato. Per quanto riguarda le posizioni lavorative e pensionistiche, si potrebbe agire attraverso una manovra sulle aliquote fiscali la quale, ovviamente riguarda indistintamente tutti i redditi, sia quelli da lavoro dipendente a tempo indeterminato, sia derivanti da dipendente a tempo determinato, sia i redditi da pensione. Si tratta, in altri termini, di una manovra orizzontale.

SESTINO GIACOMONI. Vi sarà una busta paga più ricca soprattutto per chi ha un contratto a tempo indeterminato?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Solo chi avrà...

SESTINO GIACOMONI. Per i lavoratori, come dicevamo, il vantaggio della riduzione del cuneo andrà solo a coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Assolutamente no: l'ho appena spiegato.

SESTINO GIACOMONI. Quindi, tale beneficio andrà anche ai ragazzi che hanno sottoscritto un contratto a tempo determinato (Commenti della deputata Cordoni)?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Riguarderà sicuramente tutti i lavoratori. Ho spiegato or ora, infatti, che, se la manovra ha un carattere fiscale, si tratta di un intervento universale nei confronti del lavoro, nelle sue forme determinate e indeterminate. Essa, aggiungo, vale anche per le prestazioni pensionistiche poiché si parla di reddito. È come restituire, ad esempio, il drenaggio fiscale: si tratta di una manovra a carattere universale...

AUGUSTO ROCCHI. È come il fiscal drag!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Il fiscal drag, infatti, non discrimina tra le diverse tipologie di lavoro.
Quindi, la selettività dell'incentivo caratterizza, oggettivamente, la manovra nei confronti delle imprese, ma se per il mondo del lavoro si ricorre ad un intervento di carattere fiscale, attraverso la rimodulazione delle aliquote, vi sarà un vantaggio universale per il mondo del lavoro.
Per quanto riguarda, infine, la questione dei contributi previdenziali, voi apprezzerete il fatto che l'esclusione della fiscalizzazione dei contributi previdenziali è chiaramente descritta nel Documento di programmazione economico-finanziaria, come del resto ho affermato anche il 27 giugno, in questa stessa sede. Ribadisco, pertanto, che non intendiamo toccare la colonna dei contributi previdenziali; si possono utilizzare, tecnicamente, altre forme di intervento, che stiamo studiando, ovviamente, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze.
Come avevo già anticipato l'altra volta, infine, esiste il problema dell'innalzamento dei contributi pensionistici per il cosiddetto lavoro parasubordinato. Anche tale intervento risponde ad una logica: lo sconto fiscale per il lavoro a tempo indeterminato si accompagna, infatti, all'innalzamento graduale e progressivo dei contributi a carico del lavoro parasubordinato...

SESTINO GIACOMONI. Signor ministro, solo per i parasubordinati o anche per le partite IVA?


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CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. In un caso si incoraggia, in un altro si scoraggia il ricorso a determinate tipologie di rapporti contrattuali. Ad esempio, riferendomi alla legge n. 30 del 2003, voi sapete perfettamente che ho applicato un dispositivo di essa che il precedente Governo, non so per quale motivo, non aveva attuato. Ho tirato fuori dai cassetti del ministro Maroni, infatti, una circolare relativa al lavoro nei call center, la quale spiega la distinzione esistente tra lavoro subordinato e lavoro parasubordinato. Sappiamo ciò che avviene, in moltissimi casi, in quel settore, che impiega 250 mila persone: infatti, a partire dal call center del mio stesso Ministero, pur svolgendo le quindici persone che rispondono agli utenti su questioni complesse un lavoro subordinato, nell'ambito di quell'appalto sono riconosciute come esercitanti un lavoro parasubordinato. Dovremmo mettere ordine a partire da casa nostra, quindi, al fine di ispirare, ovviamente, un'azione complessiva in tale ambito.

SESTINO GIACOMONI. Se è possibile, vorrei avere un chiarimento su questo tema. Nel corso della scorsa seduta, infatti, lei ha pronunciato le stesse parole, ma ai parasubordinati ha aggiunto anche le partite IVA.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ho parlato di associati in partecipazione e della misura fiscale relativa alle partite IVA esclusivamente riconducibili alla gestione speciale dell'INPS: non sto parlando di lavoratori autonomi.

SESTINO GIACOMONI. Per essere chiari, quindi, non stiamo parlando di un aumento dei contributi previdenziali anche per commercianti e artigiani?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Assolutamente no.

SESTINO GIACOMONI. Quindi, lo esclude?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Per quanto riguarda l'azione che ho previsto in quanto ministro del lavoro, mi riferisco esclusivamente a ciò che è riconducibile alla fattispecie della gestione speciale dell'INPS, vale a dire al lavoro parasubordinato nelle sue varianti fiscali. Come lei sa, infatti, la partita IVA è una variante fiscale del lavoro parasubordinato. Non mi riferisco, pertanto, ad altre tipologie di prestazione d'opera, anche se mi sembra di essere stato comunque chiaro in ordine a tale questione.
Per quanto concerne la questione delle pensioni, oltre al fatto che saranno oggetto di concertazione, come ho peraltro già sostenuto, tengo a chiarire che il problema non è riformare il sistema per destinare risorse all'obiettivo generale del risanamento dei conti, perché non si tratta di questo. Occorre, semplicemente, garantire l'equilibrio del sistema pensionistico, anche con riguardo alle future generazioni. Credo, infatti, che non si possano compiere manovre di altra natura.
Verificheremo quindi, conti alla mano, la situazione esistente. Vi sono alcune problematiche, tra le quali rientrano sicuramente il cosiddetto scalone, le pensioni integrative e la piena applicazione dei dispositivi di adeguamento previsti dalla cosiddetta legge Dini, oltre alla questione, posta dall'onorevole Cordoni, relativa ai meccanismi di rivalutazione delle pensioni minime. Si tratta, infatti, di tematiche che dovremo gradualmente affrontare.
Per quanto riguarda la soppressione dello «scalone», in primo luogo, è vero che esso comporta un costo pari a 4 miliardi di euro.

SESTINO GIACOMONI. Quattro miliardi di euro il primo anno?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sono 4 miliardi di euro...

SESTINO GIACOMONI. Si riferisce solo al primo anno, signor ministro. Se lo


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«scalone» lo consideriamo su una base di dieci, venti o forse anche trenta anni (gli effetti prodotti dalla riforma, infatti, si estendono fino al 2030), il costo non può essere solamente di 4 miliardi di euro. L'eliminazione dello «scalone» produrrà i suoi effetti a partire dal 2008, ma la sua abolizione determinerà comunque maggiori costi per il sistema fino al 2030. Credo, quindi, che il valore complessivo sia molto più elevato di 4 miliardi.

ELENA EMMA CORDONI. Se lo eliminassimo subito, il costo sarebbe di 4 miliardi!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L'impatto iniziale è sicuramente di 4 miliardi di euro, poi verranno elaborate altre proiezioni. Il problema non è fare i conti in questa sede: se si dovesse abolire semplicemente lo «scalone», vorrei far rilevare che ciò comporta un costo di questa entità.
Il problema del cosiddetto scalone, allora, verrà affrontato assieme alle parti sociali. Tecnicamente parlando, esistono tantissime soluzioni, che vanno dall'abolizione al suo «addolcimento» (termine che ho usato anche nel corso di audizioni e di dichiarazioni pubbliche). Lo «scalone» può essere completamente abolito così come può essere attenuato, e valuteremo ciò con le parti sociali. È chiaro che si debbono reperire risorse alternative per coprire il costo che si verrebbe a determinare.
Per quanto riguarda le pensioni integrative, inoltre, mi sono orientato ad adottare una misura che ritengo saggia. Rivolgendomi alle parti sociali, ho chiesto loro cosa si tratta di fare. Se è stato stipulato un accordo dal precedente Governo, quando era ministro del lavoro l'onorevole Maroni, lo applicherò. Se esiste un buon accordo, infatti, non ho nessun problema ad attuarlo, chiunque lo abbia siglato. Manterremo le parti della legge n. 30 del 2003 che riteniamo giuste - la circolare sui call center che ho richiamato, infatti, applica la citata legge n. 30 -, ma ciò che di tale provvedimento non va bene - ed è molto - lo cancelleremo.
Il problema, poi, è rappresentato non solo dalla legge n. 30 del 2003, ma anche da ciò che la precede. Mi riferisco, ad esempio, al decreto legislativo n. 368 del 2001 sulle causali del rapporto di lavoro a tempo determinato, oppure all'equilibrio, riformato negativamente, del rapporto fra prestazioni di lavoro e tempo libero relativo al part-time, o alle normative sugli appalti. Credo che dobbiamo correggere profondamente numerosi elementi riguardanti la materia lavoro nel suo complesso.

AUGUSTO ROCCHI. Vorrei rivolgerle solo una domanda tecnica, signor ministro. Proprio per quanto è stato sostenuto in merito al mercato del lavoro, domando se non sia ipotizzabile, anche su questo tema, predisporre una delega - da collocare, ovviamente, in sede di sessione bilancio - al Governo ed al Ministero del lavoro finalizzata a modificare la legislazione proprio in materia di mercato del lavoro. Affermo ciò proprio perché il problema non è solo la legge n. 30 del 2003, ma la normativa nel suo insieme.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Concordo con tale asserzione. Insisto, infatti, che concentrare la nostra attenzione sulla più volte citata legge n. 30 del 2003 è un errore. Bisogna affrontare il complesso della legislazione sul lavoro, dal decreto legislativo n. 368 del 2001 fino al decreto legislativo n. 276 del 2003, vale a dire l'insieme delle normative che hanno caratterizzato l'azione del precedente Governo. Non voglio esprimere giudizi su tale azione, sebbene non la condivida. Credo che debbano essere introdotte alcune riforme, e che queste richiedano tempo, nonché che si debba procedere ad un confronto approfondito con le parti sociali, ma di tale questione parlerò successivamente.
Sulla questione delle pensioni integrative, il problema è, purtroppo, che non mi trovo di fronte ad un accordo esigibile, vale a dire, per usare una metafora, ad


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una macchina che ha sia il motore, sia la benzina. Dispongo, infatti, di un accordo incompleto, in quanto, rispetto al famoso fondo di garanzia a copertura degli esborsi delle aziende che vedranno impegnato il loro trattamento di fine rapporto, esiste un «buco». Quell'accordo, che non ho rintracciato nel mio Ministero - pare non essere stato firmato da tutti i contraenti e non è a disposizione di nessuno -, contiene dispositivi che il Ministero dell'economia e delle finanze e la Ragioneria di Stato contestano, e dovrà passare al vaglio dell'Unione europea. Potrei entrare nei dettagli, ma preferisco fermarmi qui.
Come ho già annunciato alle parti sociali, pertanto, mi trovo di fronte non ad una possibile riforma della previdenza integrativa, ma ad una riforma incompiuta, che purtroppo dovrò completare. Allora, ho fatto in modo che la COVIP emanasse le direttive generali per aggiungere un altro mattone alla costruzione delle riforme relative alla previdenza integrativa. Tali direttive della COVIP sono state adottate con il consenso di tutte le parti sociali e sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Ho voluto ciò anche perché rientrava nell'ambito delle mie possibilità.
Vorrei avviare, inoltre, un'azione di monitoraggio sull'implementazione della previdenza integrativa nei settori pubblici. Come sapete, infatti, soltanto il comparto della scuola, con 50 mila iscritti su un milione di dipendenti, ha avviato la costituzione della propria previdenza complementare Segnalo che, in tal senso, altri accordi giacciono presso l'ARAN, mentre altri ancora dovranno essere stipulati presso la stessa agenzia. Mi piacerebbe che tali accordi divenissero operativi e che fossero stipulati quelli che ancora non lo sono.
Come vedete, non voglio presentarmi in questa sede con grandi promesse, poiché da me non proverranno grandi promesse. Come lei diceva, onorevole Mistrello Destro, mi ha conosciuto all'opera nella sua terra (dalla quale, peraltro, ho imparato molto). Cerco di procedere per piccoli passi, l'importante è che la direzione sia quella che immagino: mi riferisco ad un percorso che, in questo caso, è finalizzato a costruire il cosiddetto secondo pilastro previdenziale. Su tale aspetto, comunque, credo non esistano assolutamente differenze fra di noi.
Voglio segnalare alla Commissione lavoro, anche per l'importanza di questa nostra interlocuzione, che mi trovo di fronte alla necessità di costruire ex novo una parte importante di quel pilastro. Ciò richiederà tempo e lunghe discussioni con le parti sociali, perché, purtroppo, stante la situazione attuale, non siamo in condizione di far decollare la previdenza complementare.
Sulla questione del mercato del lavoro, credo...

ELENA EMMA CORDONI. Sta parlando del fondo di garanzia o di altre questioni?

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sto parlando del fondo di garanzia, onorevole Cordoni. La COVIP ha deliberato in tal senso, come già affermato, mentre per le pensioni pubbliche ci stiamo attivando.
Per quanto riguarda la fiscalità, anche in tal caso vi sono, da parte delle imprese e del sindacato, osservazioni che andranno affrontate, perché su tale argomento non si registrano opinioni totalmente condivise, e vi è una serie di problemi.

ELENA EMMA CORDONI. Tale questione è chiusa, in quanto esiste la norma di riferimento; quindi, se la si vuole applicare lo si farà, sempre che si riescano a superare positivamente gli altri passaggi che lei ci ha illustrato. Mi riferivo al fatto che, durante la discussione parlamentare, era rimasta aperta non solo nel confronto tra maggioranza e opposizione (allora invertite), ma anche nell'interlocuzione delle parti sociali la questione dell'equilibrio tra i fondi chiusi e quelli aperti. Volevo comprendere, dunque, quali fossero le intenzioni del Governo in tal senso.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Onorevole


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Cordoni, per quanto mi risulti dalla mia interlocuzione con le parti sociali, mi sembra che, concordemente, esse ritengano di modificare il meno possibile ciò che è stato realizzato. Ebbene, se le parti sociali intendono toccare il meno possibile la situazione attuale, vorrei rilevare che non sarà il ministro a promuovere un'azione di natura diversa. Per mia natura, infatti, mi limito ad intervenire su questioni che mi viene riferito non essere state risolte.

SESTINO GIACOMONI. Ministro Damiano, quindi l'accordo c'è. Ricordo, infatti, tutta la polemica di fine legislatura...

ELENA EMMA CORDONI. Sta parlando del fondo di garanzia!

SESTINO GIACOMONI. Sì, ma la polemica di fine legislatura nacque dal fatto che si decise di far entrare in vigore nel 2008 la riforma della previdenza integrativa, contemporaneamente alla riforma complessiva delle pensioni. Dunque, l'accordo raggiunto in materia di fondi chiusi e di fondi aperti rimane quello? Se ho compreso bene le sue parole, se le parti sociali non intendono metterlo in discussione, dovrebbe rimanere valido quello raggiunto all'epoca. Credo che non lo faranno, visto che l'avevano firmato loro.

ELENA EMMA CORDONI. I sindacati non avevano firmato!

SESTINO GIACOMONI. Io ricordo che la polemica riguardava il differimento a partire dal 2008, non il contenuto.

ELENA EMMA CORDONI. Il ministro adesso ci sta dicendo che non intende toccare nulla, ma che è ancora aperta, invece, tutta la questione del fondo di garanzia...

SESTINO GIACOMONI. Questo sì.

ELENA EMMA CORDONI. ... e se non si risolve tale questione, non si fa nulla!

SESTINO GIACOMONI. Non può partire, certo!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Scusate, non so se sia rituale tale interruzione....

ELENA EMMA CORDONI. No!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. È rituale: perfetto! Se è rituale, per me allora va benissimo!

AUGUSTO ROCCHI. Siamo un po' ribelli!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sì, sì. Tu stai calmo, mi raccomando, perché se cominci tu...

GIUSTINA MISTRELLO DESTRO. Il ministro è il più ribelle di tutti!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ripeto ad adiuvandum, dal momento che, giustamente, in questa sede si vuole avere un'idea molto precisa delle misure che si intendono porre in essere. Il mio atteggiamento come ministro del lavoro - ciò vale per le pensioni integrative e per altre questioni -, è che se c'è una buona eredità, io intendo utilizzarla; non sempre, tuttavia, ho constatato esserci una buona eredità nelle mie materie. Nel caso della previdenza complementare, interrogando le parti sociali ho recepito il messaggio in base al quale il risultato che hanno raggiunto è stato estremamente faticoso e combattuto, e dunque occorre intervenire il meno possibile. Mi domando, allora, cosa dobbiamo toccare. Dobbiamo rivedere, inoltre, il regime fiscale dei fondi previdenziali. In tale ambito, infatti, sono state mosse osservazioni che saranno piuttosto complicate da risolvere.
Una seconda questione ancora più grave è l'inesistenza di un accordo - che, tra l'altro, è stato disdetto l'8 febbraio dall'ABI - sul fondo di garanzia, il quale


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rappresenta, per così dire, il «motore» della riforma. Se manca il motore, infatti, vorrei osservare che spingere la macchina a mano fino al traguardo è davvero faticoso. Allora, ho l'esigenza di affrontare tali problemi. Voglio solo segnalarvi che affrontarli non è una questione da poco. Se fosse un problema marginale, infatti, come ad esempio ritoccare una percentuale dal 12 all'11 per cento, è un conto; se si deve montare di nuovo il muro maestro della casa, invece, consentitemi di affermare che servono imbracature abbastanza significative. Segnalo semplicemente che questo è lo stato dell'arte.
Per quanto riguarda un'altra serie di temi che sono stati sollevati, ribadisco che sulla questione delle donne, dei giovani e degli over 50 anni, ad esempio, nutro una sensibilità particolare. Per quanto concerne il problema degli infortuni domestici, inoltre, vorrei rappresentare che ho avuto uno scambio di opinioni, nell'ambito di un colloquio personale, con l'onorevole Gasparrini, e pertanto verificheremo il modo con cui intervenire in tal senso. I problemi legati alla gestione dell'INAIL (che, come vedete, è piuttosto «nervosa» in questi giorni) dovranno essere affrontati, così come dovrà essere trattato il tema degli oneri del sistema assicurativo e via dicendo. Credo, dunque, che andranno affrontate tutte le questioni esposte in questa sede.
Ricordo che l'onorevole Baldelli - mi sembra sia assente, e quindi leggerà nel resoconto la risposta - ha sollevato un problema a proposito degli ammortizzatori sociali. È chiaro che tale questione è in capo al Ministero del lavoro, quindi non esiste una gestione separata del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Queste, dunque, sono le questioni sulle quali intendo lavorare.
Tutti avranno notato, all'interno del DPEF, un dato che, a mio avviso, non rappresenta un indirizzo di secondaria importanza. Noi, infatti, abbiamo fissato l'inflazione programmata al 2 per cento, e predeterminare un simile valore, a fronte di un'inflazione tendenziale al 2,3 per cento, è una scelta diversa dal fissare, come avvenuto in passato, un'inflazione programmata all'1,5-1,7 per cento a fronte di una inflazione reale pari al 2,5-2,7 per cento. Uno scarto dello 0,3 per cento, infatti, è diverso da uno scarto di 1,3 o 1,5 punti percentuali. Credo, quindi che anche ciò segnali l'esigenza di rivalutare le retribuzioni, dal momento che, in un regime di bassa inflazione, l'inflazione programmata si avvicina molto all'inflazione reale. Ciò anche perché le tensioni retributive sono effettivamente rilevanti, come tutti ben sanno, nell'ambito del mondo del lavoro.
Mi fermerei qui; naturalmente, se non ho soddisfatto tutti gli intervenuti, o se vi sono altre domande, posso trattenermi ancora circa 20 minuti e rispondere volentieri. Se, viceversa, vi ho estenuato con le mie affermazioni, possiamo anche fermarci qui.

SESTINO GIACOMONI. Signor ministro, vorrei approfittare brevemente della sua disponibilità. Le avevo rivolto una domanda nella scorsa seduta, alla quale lei non ha tuttavia risposto.
Nella scorsa seduta, infatti, erano emersi due temi di fondo, vale a dire la possibile eliminazione dello «scalone» e la riduzione del cuneo fiscale. Le domande erano quanto costano tali misure e chi paga. Lei ha fatto capire che, per il momento, non può dire cosa farà e che, al 30 settembre, in sede di definizione del disegno di legge finanziaria, si vedrà come intervenire in tali ambiti.
Lei ha più volte ripetuto di essere contento di aver contribuito a scrivere il Documento di programmazione economico-finanziaria e ci ha invitato a compiere un riscontro in tal senso. Ebbene, credo che ciò sia il minimo da fare. Auspico infatti che sia ogni ministro, per la materia di sua competenza, a scrivere sia il DPEF, sia il disegno di legge finanziaria, e non altri. Visto l'impegno che lei profonde nella sua attività ed i contributi che anche noi proviamo ad offrire, la nostra speranza è che il DPEF, per la parte di sua competenza, lo scriva effettivamente lei.


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Se non può dire cosa realizzerà, può invece dirci cosa non farà? Torno sulla questione del cosiddetto scalone perché i 4 miliardi di euro sono relativi solo al primo anno, ma successivamente saranno conseguiti risparmi molto più consistenti. Tra le varie ipotesi di copertura finanziaria di tale misura che ho letto sui giornali - le chiedo se almeno può smentirle - sembra che sia allo studio l'ipotesi di alzare l'età pensionabile per le donne, parificandola a quella degli uomini. Ce lo può confermare o smentire, visto che è una notizia circolata sui giornali?
Infine, vorrei farle notare che nel DPEF della scorsa legislatura, per la prima volta, l'inflazione programmata... (Commenti del deputato Cordoni) fu centrata! Si è trattato, forse, di un caso storico. Mentre oggi possiamo definire il DPEF del Governo Prodi un documento di parole e favole (Commenti del deputato Cordoni), perché è pieno solo di tante belle teorie!
Ebbene, vorrei segnalare che, per la prima volta, con il precedente Governo, l'inflazione reale fu uguale all'inflazione programmata, e quindi non è vero che, tutto andò così male.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per organizzare i nostri lavori in modo che il ministro risponda in maniera complessiva - vi ho precedentemente permesso anche di svolgere una discussione libera, ma vorrei segnalare che esiste un problema di tempi -, chiederei a chi vuole intervenire di farlo presente.

AUGUSTO ROCCHI. Vorrei rivolgere solo due domande tecniche, signor presidente. Ritengo la risposta fornita dal ministro sul tema del mercato del lavoro coerente con l'impianto programmatico del programma dell'Unione, ma anche impegnativa, e sono certo che richiederà lo svolgimento di un lavoro notevole. Per questo motivo, ricordo che ho avanzato l'ipotesi di conferire, in sede di esame del disegno di legge finanziaria, una delega al Governo per elaborare un decreto legislativo finalizzato ad una sistemazione complessiva del mercato del lavoro.
Per quanto riguarda la riduzione del cuneo fiscale, vorrei ricordare che, in ordine alla redistribuzione dei benefici tra imprese e lavoratori, il ministro, nel corso della scorsa seduta, ha affermato che ciò sarà oggetto di trattativa con le parti sociali. Il Governo si presenterà a tale trattativa avendo già una propria impostazione, oppure è aperto ad ogni esito della trattativa stessa?
Inoltre, vorrei sapere se l'entità complessiva del cuneo da ridurre rimanga orientata sull'ipotesi avanzata in campagna elettorale, vale a dire il 5 per cento, oppure...

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. È di 5 punti percentuali.

AUGUSTO ROCCHI. La seconda domanda riguarda lo «scalone» che si verificherà a partire dal 2008. Comprendo il ragionamento svolto sui costi della sua eliminazione. È evidente, infatti, che tale misura comporta sia un costo immediato, sia, come sostenuto dal collega precedentemente intervenuto, un costo derivante da un ovvio effetto di trascinamento sugli anni successivi. Tuttavia, non si tratta di una spesa che ricade sul disegno di legge finanziaria per il 2007, perché parliamo di un intervento che avrà effetti dal 2008. Ci riferiamo, quindi, ad un lavoro da compiere nel 2007, auspicando che, un miglioramento del quadro generale sul fronte delle entrate complessive, della lotta all'evasione contributiva e del tasso di crescita dell'economia possa fornire le risorse necessarie per rendere praticabile l'abolizione totale del cosiddetto scalone per il 2008. Capisco che, nella situazione odierna, a fronte dei «buchi» trovati nei conti pubblici, dei problemi esistenti e del costo che tale operazione comporta, si potrebbe pensare in maniera diversa. È evidente, tuttavia, che questa misura deve essere concepita come un'operazione di giustizia sociale.
Come ha affermato il ministro Damiano, infatti, i casi sono due: o si ritorna alla cosiddetta legge Dini, oppure lo «scalone»


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rappresenta una modifica della stessa legge Dini interamente a carico dei lavoratori e delle lavoratrici, dai quali provengono aspettative e domande rilevanti.
Penso che nessuno dei parlamentari possa dire di non ricevere ogni giorno fax, lettere, scritti, domande o richieste relative alle aspettative pensionistiche.

LUIGI FABBRI. Signor ministro, vorrei tornare sul tema degli ammortizzatori sociali, cui avevo peraltro accennato nel corso del mio intervento svolto il 27 giugno scorso. Mi rendo conto che si tratta di un problema di risorse finanziarie. Ricordo che anche noi, del resto, abbiamo affrontato tale problema nel Patto per l'Italia, ma i pochi fondi disponibili sono stati destinati ad altri interventi per far fronte alle emergenze, ad esempio per la situazione della FIAT.
Mi preme precisare che la flessibilità non l'ha voluta qualche Governo, ma era già presente nel mercato, e credo che gli esecutivi siano intervenuti, per istituzionalizzare una situazione preesistente. Vorrei peraltro rilevare che l'occupazione la crea lo sviluppo, non un ministro od un Governo. Preso dunque atto che la flessibilità esiste e che, rispetto a qualche decennio fa, il posto fisso - come ha sottolineato anche lei, signor ministro - è ormai un ricordo, ritengo che il nostro compito e, soprattutto, il dovere di chi governa sia approntare seri ammortizzatori sociali, capaci di non gettare nell'angoscia il lavoratore che dovesse rimanere senza lavoro.
Segnalo che sui lavoratori ultracinquantenni ho elaborato una mia teoria ed ho organizzato, anche con il mio amico Pizzinato, più di un convegno. Si tratta di una questione non rilevantissima dal punto di vista numerico, anche se rimane pur sempre un problema serio. Diversa è la circostanza che numerosi giovani, da qui in avanti, potrebbero trovarsi in grandi difficoltà, indipendentemente dagli incentivi concessi alle imprese. Vorrei rilevare, peraltro, che è tutto da verificare che l'incentivo costituito dalla riduzione del cuneo fiscale possa effettivamente favorire le imprese. Ritengo si tratti di una proposta seria e sensata, tuttavia bisogna attendere i risultati.
Penso che occorra fare una vera scommessa sugli ammortizzatori sociali e che sia necessario, altresì, reperire le risorse finanziarie adeguate per offrire un ammortizzatore serio, consistente dal punto di vista della somma erogata, e legato, ovviamente, alla formazione ed a tutte quelle operazioni necessarie per favorire il reinserimento del disoccupato all'interno del mondo del lavoro. So che si tratta di un argomento importante, non facile neanche da affrontare, tuttavia intendiamo chiedere al ministro un impegno in tal senso.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sulle questioni pensionistiche, è vero che sono circolate voci sull'innalzamento dell'età pensionabile delle donne, ma vorrei osservare che non ho mai trattato tale argomento, poiché non fa parte delle mie elaborazioni. Per quanto mi riguarda, quindi, dette voci sono destituite di fondamento, come ho sostenuto anche pubblicamente.
Per quanto concerne questo benedetto «scalone», non so cosa debba ancora aggiungere. Lo scalone c'è: o lo si toglie, o lo si diminuisce. Il problema è che la misura, comunque, costa. Ne discuteremo; sicuramente, il mio intendimento è impedire che vi sia un salto di tre anni.
Affronteremo successivamente, inoltre, anche la questione della distribuzione tra lavoratori ed alle imprese del beneficio conseguente alla riduzione del cuneo fiscale. Ho espresso alcune opinioni, ma il Governo nella sua collegialità deciderà come agire.
Gli ammortizzatori sociali sono un tema cruciale, che comporta anch'esso un costo abbastanza rilevante, e sappiamo che non vi sono risorse finanziarie disponibili. Ricordo che la riforma degli ammortizzatori sociali faceva parte dei provvedimenti annunciati dal centrodestra in tale materia, ma - guarda caso - essa rimase nel cassetto, come altre buone iniziative. Vorrei evidenziare che, da parte nostra, si


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tratterà di riprendere nuovamente la discussione su tale materia. Ho già sostenuto che la sequenza che intendo affrontare è «cuneo fiscale, sistema pensionistico, mercato del lavoro». È chiaro che vi sono comprese anche la sanità ed altre questioni, tuttavia esse non fanno parte della discussione che intendo sostenere direttamente.
Per quanto riguarda la coerenza fra ciò che ho anticipato nel corso della precedente audizione ed il Documento di programmazione economico-finanziaria presentato, mi fa piacere che l'onorevole Giacomoni dia ciò per scontato. Probabilmente, con il ministro Tremonti tutti scrivevano il DPEF; vuol dire che Tremonti non se lo scriveva da solo, e questo mi fa piacere...

SESTINO GIACOMONI. Mandavano contributi!

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Contributi ne arrivano tanti, ma il mio problema non è offrire contributi, bensì giungere al traguardo. Ho dato un contributo che è arrivato al traguardo e non mi sembra così scontato.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,20.