COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 2 agosto 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANNI PAGLIARINI

La seduta comincia alle 8,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche tramite la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, sulle linee programmatiche del suo dicastero, con specifico riferimento alle tematiche del pubblico impiego.
Prima di dare la parola al ministro, faccio presente che, dopo la relazione, i deputati potranno formulare considerazioni e domande. L'intervento di replica del ministro concluderà l'audizione.
Do quindi la parola al ministro Nicolais che ci illustrerà la sua relazione.

LUIGI NICOLAIS, Ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione. Signor presidente, onorevoli deputati, rivolgo a voi tutti un ringraziamento per la possibilità che oggi mi accordate di presentare le linee di azione strategica che il mio Ministero e il Governo tutto intendono promuovere nel settore dell'innovazione e della modernizzazione della pubblica amministrazione.
Un punto fondamentale dell'azione di Governo è rappresentato dal forte rilancio della concertazione con le parti sociali. Non è infatti possibile immaginare di riformare e innovare la pubblica amministrazione senza il consenso e, soprattutto, senza il contributo attivo dei lavoratori stessi. La concertazione, infatti, va rilanciata con forza, ma va anche innovata. Vi è la necessità di discutere con le forze sociali non solo le legittime tenute salariali ma anche, con coraggioso confronto a tutto campo, il modo in cui riorganizzare uno dei comparti più strategici e preziosi affinché esso diventi il pilastro attorno al quale rilanciare la competitività del nostro Paese.
A tal fine, per sancire da subito un nuovo inizio, ho convocato, dopo pochi giorni dal mio insediamento, le organizzazioni sindacali ed ho proposto loro, ricevendo piena disponibilità, un percorso articolato in quattro tavoli tecnici di lavoro che riguardano rispettivamente il precariato, la formazione, la contrattazione collettiva e la previdenza complementare. Vi è già uno specifico programma di incontri ed il lavoro inizierà questa stessa settimana.
Ho voluto mettere subito al centro della discussione il tema della precarietà che, assieme a quello del ringiovanimento del comparto, rappresenta una priorità per la nostra azione di Governo. Attraverso il tavolo dedicato e valorizzando il lavoro già avviato dagli uffici del Dipartimento della funzione pubblica dovremo, in tempi brevi, avere una reale radiografia del


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mondo del precariato presente nell'amministrazione. Ciò significa comprendere l'entità del fenomeno e individuare le forme contrattuali utilizzate, i settori di impiego, il livello delle competenze, gli anni di esperienza.
Comprendere a fondo lo stato reale del problema ci consentirà di evitare il solito e negativo balletto di cifre, solitamente fra le più variegate e in contrasto tra loro, che non aiutano certo ad entrare nel merito delle questioni e, quindi, ad elaborare soluzioni sostenibili e condivise. Si tratterà poi, dati alla mano, di operare scelte politiche innovative e, certo, non ulteriormente gravose per i conti pubblici dello Stato né tantomeno in contrasto con i principi della Costituzione. Il costo dei lavoratori precari è già infatti annualmente previsto nel bilancio dello Stato. Occorre soprattutto razionalizzare e consolidare tale spesa.
Alcune valutazioni generali, però, al momento si possono già fare, a partire da quella che, essendo la gran parte di questi lavoratori giovani, il tema del precariato finisce naturalmente con l'intrecciare le esigenze di un forte ringiovanimento del comparto. Ritengo, infatti, che ci siano le condizioni strutturali di una più ampia politica di ringiovanimento del pubblico impiego sulla scorta anche di un rapporto non paritario, almeno sotto il profilo anagrafico, tra uscite ed entrate. L'obiettivo tendenziale dovrebbe essere sostituire almeno un quarto delle uscite naturali con giovani funzionari e dirigenti.
Questo indirizzo potrebbe portare a delineare negli anni una pubblica amministrazione più giovane e più qualificata, più moderna e meno costosa. In tale contesto va considerato anche l'istituto della mobilità che, attraverso la concertazione con le organizzazioni sindacali, deve consentire una più razionale distribuzione del personale a livello territoriale, utilizzando anche appositi incentivi di merito.
Considerando, infatti, il tasso di pensionamento naturale annuo, stimato in circa il 2,8 per cento, tasso che va a crescere nei prossimi anni - parliamo di 90 mila unità -, l'abrogazione con il decreto-legge n. 223 del 2006 della norma che prevedeva la permanenza in servizio oltre i 67 anni e la messa a punto di meccanismi di incentivazione per accelerare le uscite previste dal pensionamento naturale, si potrebbe provare a costruire le condizioni strutturali di una più ampia politica di ringiovanimento del pubblico impiego, sulla scorta anche di un rapporto non paritario, almeno sotto il profilo anagrafico, tra uscite ed entrate.
In particolare, secondo questi indirizzi generali, il settore della ricerca deve essere rafforzato attraverso un programma di assunzioni selettive che consenta l'ingresso in forma stabile delle professionalità che operano con contratti flessibili nelle amministrazioni della ricerca, anche al fine di incrementare il numero dei ricercatori, particolarmente basso nel nostro Paese, e prevedendo un'osmosi fra il settore pubblico della ricerca e l'università. Si deve consentire, pertanto, agli enti di ricerca, in considerazione della propria autonomia, e così come avviene per le università, di procedere nelle politiche di reclutamento per piani e programmi connessi alle attività istituzionali sulla base delle risorse proprie, nonché in considerazione dei fondi stabili provenienti dall'esterno. Tutto questo quadro, come detto prima, va inserito in un assetto di forte riduzione degli sprechi e di razionalizzazione della spesa. Avete avuto sicuramente modo di leggere o ascoltare direttamente pochi giorni fa la relazione annuale della Corte dei conti, che ha denunciato lo stato difficile della spesa pubblica, sia quella generale che quella specifica del pubblico impiego.
Così come non è possibile fare riforme esclusivamente a costo zero, allo stesso modo va messo un freno a fenomeni degenerativi che tendono, in un quadro economico generale difficile, a colpire l'intero assetto della pubblica amministrazione. Nei primi giorni del mio mandato, di concerto con la Presidenza del Consiglio, ho, ad esempio, cassato una commissione di esperti dal costo di circa 1,5 milioni di euro l'anno. Più complessivamente, nell'ambito delle politiche di contenimento della spesa pubblica occorrerà


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attivare una serie di misure volte a contenere il ricorso alle consulenze e alle collaborazioni, nonché ai soggetti esterni, al fine di favorire il pieno utilizzo e la migliore valorizzazione del personale in servizio.
Nel decreto-legge n. 223 del 2006 ho proposto una norma che stabilisce condizioni più restrittive per le amministrazioni nell'attivare contratti di consulenza e che impone la massima diffusione sui siti web degli incarichi conferiti. Inoltre, ho dato mandato agli uffici del Dipartimento della funzione pubblica di avviare un approfondito monitoraggio sulle consulenze e di predisporre in tempi brevi una direttiva quadro in materia. Tale volontà nasce anche dall'esigenza di rendere ancora più trasparente l'uso dello strumento delle consulenze. Alcuni enti infatti non comunicano neanche, come previsto, il numero e l'importo delle stesse, rendendo così impossibile un monitoraggio continuo del fenomeno. L'uso di una direttiva, quindi, deve servire sempre, nel rispetto dei poteri delle autonomie locali, a riportare il pur utile strumento della consulenza in un quadro di certezza e di trasparenza.
Sempre nel citato decreto, ho proposto l'inserimento di una norma tesa alla moralizzazione degli stipendi dei direttori generali e dei capi dipartimento dei ministri. La parte accessoria della retribuzione dell'alta dirigenza non sarà più lasciata all'autonomia del singolo ministro, ma un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, stabilirà i parametri e i tetti massimi.
Nel frattempo ho emanato una direttiva a tutti i ministeri che stabilisce un limite sulla retribuzione accessoria per i decreti di conferimento di incarico di livello dirigenziale generale, fino all'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio.
Logicamente, centrale nella politica di concertazione è il tema del rinnovo dei contratti per il biennio 2006-2007. Nel DPEF è richiamata la necessità di un ordinato svolgimento dei rinnovi contrattuali, rafforzando lo sforzo della moderazione salariale. A tal fine i contratti collettivi dovranno individuare meccanismi premianti collegati a strumenti di valutazione e controllo di gestione. Il ricorso a questi strumenti dovrà consentire la costruzione di percorsi di carriera che diano al personale della pubblica amministrazione un quadro di certezze e di adeguati incentivi. Nel tavolo di lavoro con le forze sociali, inerente la contrattazione collettiva, ritengo indispensabile riprendere il percorso interrotto nella precedente legislatura relativo alla piena privatizzazione del rapporto di lavoro. A tal fine, ritengo necessario non mettere in campo interventi legislativi che generino pericolose sovrapposizioni sulla contrattazione collettiva. Inoltre, occorre riaffermare con forza il principio di distinzione tra politica e gestione, rafforzando a tale scopo l'autonomia della dirigenza pubblica. Lo strumento principale per raggiungere tale obiettivo consiste nell'attivare un efficace sistema di valutazione sia nella definizione degli obiettivi sia nel loro reale conseguimento.
Un capitolo a parte merita la previdenza complementare. Su tale materia, nel lavoro pubblico occorre adottare tutte le misure già previste dall'attuale legislazione per completare l'istituzione dei fondi pensione nel settore pubblico. Ad oggi, l'unico fondo avviato è quello - spero - per il comparto scuola.
Ho intenzione, con il supporto del presidente Errani, di sbloccare i procedimenti di approvazione del fondo pensioni per i dipendenti di regioni, enti locali e sanità, fermo da oltre due anni, e di concludere l'iter di approvazione dell'atto di indirizzo per l'istituzione del fondo pensione dei ministeri e degli enti pubblici non economici e del fondo per l'università e per la ricerca.
In conclusione, aggiungo che le linee programmatiche generali che ho presentato alla I Commissione della Camera dei deputati sono a vostra disposizione. Avrei piacere di lasciarle anche per un discorso più ampio che riguarda l'attività del mio Ministero. Vi ringrazio per l'attenzione.


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PRESIDENTE. La ringrazio, signor ministro.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.

ANTONINO LO PRESTI. Ringrazio il presidente e lei, signor ministro, per questa audizione. Sarò molto sintetico, anche perché a me interessa trattare solo un punto della sua relazione, vale a dire quello del rinnovo dei contratti del pubblico impiego, che lei ha esposto in modo quasi marginale.
Mi scusi per questa piccola critica, ma lei dei tanti passaggi del DPEF che riguardano il pubblico impiego ne ha citato uno solo. Mi riferisco al punto dove si dà una sorta di «contentino» o si traccia una visione ottimistica, senza, però, fornire risposta all'obiettivo, alla richiesta che, evidentemente, molti pongono, al dubbio che assale molti: se si darà luogo ad una stagione di rinnovi contrattuali per il quadriennio 2006-2009. A questo proposito mi permetta, signor ministro, di citarle alcuni passaggi del DPEF che sono significativi e che mettono seriamente in dubbio l'apertura di questa nuova stagione contrattuale (li ho appuntati proprio perché ritengo che sia necessaria molta chiarezza su questo argomento).
A pagina 24 del DPEF viene dato conto dell'accentuata dinamica della crescita della spesa, in particolare si afferma: «La nuova stima della spesa primaria corrente sconta una crescita dei redditi di lavoro dipendente al 4-5 per cento, quale riflesso della conclusione della tornata contrattuale 2002-2005 per tutto il pubblico impiego e della relativa corresponsione degli arretrati». Questa è una prima considerazione che non sembra preludere a nulla di buono in merito ai possibili rinnovi contrattuali.
Esprimo una seconda valutazione. A pagina 31 del DPEF, in riferimento ai «criteri di valutazione e di retribuzione pubblica, che sono stati valutati scontando gli effetti connessi alla corresponsione dell'unità di vacanza contrattuale, per i bienni 2006-2007, 2008-2009 e 210-2011», si evidenzia che prevedere risorse, appunto, per l'indennità di vacanza contrattuale equivale ad ammettere che non si ha intenzione di destinare risorse per i rinnovi contrattuali fino al 2011. Anche questa è una nota dolente.
Infine, a pagina 116 del DPEF, si legge quanto segue: «Agli interventi essenziali per il rilancio della crescita della produttività vanno, comunque, associate misure strutturali dirette a piegare la dinamica della spesa pubblica. Per far ciò è indispensabile non solo operare sul fronte delle entrate ma anche intervenire sui grandi comparti da cui scaturisce la parte predominante della spesa pubblica, e cioè l'apparato dell'amministrazione pubblica e di conseguenza il pubblico impiego, il sistema pensionistico pubblico e complementare, il servizio sanitario nazionale, la finanza degli enti decentrati».
Come vede, signor ministro, la questione nel DPEF viene trattata in modo preoccupante, con una visione negativa riguardo alle aspettative dei dipendenti del pubblico impiego. Pertanto, la domanda che Alleanza nazionale, la Casa delle libertà intende porle a questo proposito, tenendo anche in considerazione che proprio di recente il ministro dell'economia Padoa-Schioppa avrebbe in qualche modo paventato addirittura riduzioni di personale sul fronte del pubblico impiego, è la seguente: ci sono risorse disponibili per rinnovare i contratti del pubblico impiego o la vacanza contrattuale - l'indennità che viene attribuita per quei periodi in cui non si stipulano i contratti - è in qualche modo in contrasto con la volontà di procedere ai rinnovi? Inoltre, quali sono i meccanismi premianti collegati a strumenti di valutazione e controllo di gestione, ormai affinati da anni di sperimentazione, così come citato nel DPEF, che dovrebbero garantire certezza e incentivo per i lavoratori del pubblico impiego?
Queste sono le domande che le rivolgo, augurandomi che si possa in qualche modo pervenire a un punto di chiarezza su questo argomento che, ripeto, preoccupa non poco i dipendenti pubblici.


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TITTI DI SALVO. Intanto, vorrei ringraziare il ministro per aver condiviso con noi l'alzata mattutina. Quindi, vorrei ringraziarlo per l'illustrazione delle linee fondamentali e anche per la disponibilità al confronto e ad un proseguimento dello stesso in futuro.
Detto questo, mi preme fare solo pochissime osservazioni. Innanzitutto, il rigore dei conti pubblici è una scelta che noi abbiamo condiviso totalmente (quando dico noi intendo, in questo caso, la Commissione lavoro nel suo insieme). La scelta del rigore, ovviamente, si può realizzare in molti modi; l'opzione che noi abbiamo condiviso con il DPEF è quella di tenere insieme il rigore, lo sviluppo e l'equità sociale. Questa è la prima considerazione che mi sentivo di svolgere perché penso che la direzione imboccata sia quella giusta, secondo quanto emerge anche dalle parole del ministro. È un messaggio importante - da trasmettere all'opinione pubblica, ai lavoratori e alle lavoratrici del pubblico impiego, e alla collettività tutta -, quello secondo il quale il lavoro pubblico, più esattamente i lavoratori di questo settore sono soggetti rilevanti dei processi di riforma che si vogliono perseguire, per giungere al rigore e allo sviluppo di cui si diceva. Affermo questo perché esiste un senso comune che va contrastato e che è stato nel tempo, invece, anche incentivato, che fa riferimento agli sprechi che sarebbero legati non tanto a questioni strutturali del sistema ma a un fantomatico scarso impegno del lavoratore pubblico medesimo. Processi di riforma, quindi, e non tagli.
Vengo, dunque, alla seconda osservazione. Molti dei grandi capitoli che il DPEF affronta, per aspetti diversi, interessano esattamente i lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego, sia che si parli di sanità sia che si discuta di altro. Reputo, allora, di rilievo quanto il ministro ci proponeva, cioè il tavolo di confronto e la concertazione. Forse, proprio perché le scelte riguarderanno sia il Ministero dell'economia sia il Ministero del lavoro sia il Ministero per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, sarebbe importante che ci fosse un tavolo coordinato dal ministro Nicolais che facesse interagire tutti i soggetti coinvolti.
Infine - sono aspetti già sottolineati dallo stesso ministro - io ritengo importante, pensando ai processi di riforma, che i lavoratori del pubblico impiego siano valorizzati e non penalizzati; da questo punto di vista, i rinnovi contrattuali costituiscono sicuramente un elemento fondamentale. Allo stesso modo, è significativa la fine dell'esclusione dalla previdenza complementare; obiettivamente, non si capisce la ratio di una questione di tal genere.
Una cosa vorrei sottolineare: la stabilizzazione del rapporti di lavoro per questo settore - dico una banalità - rappresenta una questione oggettivamente realistica, che, però, non riesce a trovare ancora soluzione. Ricordo, del resto, che la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, in questo settore, vuol dire qualità del servizio prestato dalle persone che vi operano, e quindi qualità per gli utenti, per le persone tutte, e per la collettività.
È naturale che se esiste una prestazione di lavoro stabile, ad essa dovrà corrispondere un lavoratore con un rapporto di lavoro anch'esso stabile. Si tratta non semplicemente di una scelta di contrasto alla precarietà, ma di qualcosa in più, che parla alle persone ed alla collettività. Credo che questo punto, citato dal ministro, debba caratterizzare il profilo di un intervento ben definito, il quale tenga conto di adeguati processi di riforma, della qualità del servizio reso e, quindi, di corrispondenti contratti e della stabilizzazione del rapporto di lavoro.

EMILIO DELBONO. Ministro, insisterei anch'io su un punto del dibattito che la collega ha recuperato: il precariato. Lei ha annunciato la nascita di un tavolo tecnico con le organizzazioni sindacali sul precariato nella pubblica amministrazione. Sarebbe interessante che, al più presto, lei ci fornisse anche un quadro della dimensione di questo precariato, perché sempre di più noi veniamo coinvolti nella richiesta di una conoscenza approfondita della sua


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dimensione nella pubblica amministrazione. A me pare che sia in crescita costante, creando non pochi problemi, come si diceva prima, per la qualità del servizio, per la buona funzionalità degli uffici e per quanto riguarda la prospettiva dei lavoratori. Credo che ogni collega sia perfettamente a conoscenza del fatto che, se non vi fosse, nel suo territorio, una dimensione significativa del precariato, molti degli uffici della pubblica amministrazione non potrebbero funzionare. Tuttavia, questo è un dato patologico, perché la pubblica amministrazione non può reggersi su una condizione di precariato diffuso, che porta progressivamente ad atteggiamenti di demotivazione del personale precario. Quindi, le chiedo di anticipare, se possibile, alcune delle linee di indirizzo riguardanti modi e forme di contrasto a questo fenomeno nella sua macrodimensione.
Le domando, inoltre, se vi sia connessione tra quanto lei ha detto sullo svecchiamento, sul ringiovanimento della pubblica amministrazione e questa dimensione del precariato. Le pongo una simile domanda perché tale aspetto rappresenta uno dei punti più controversi da affrontare. In altri termini, mi chiedo se una parte di questo precariato, progressivamente formatosi, e costato alla pubblica amministrazione in termini di formazione e di riqualificazione, non possa essere ricondotto, nelle modalità concertate - vedremo quali -, dentro questo processo di svecchiamento e di riqualificazione della pubblica amministrazione.
La seconda questione che molto rapidamente le pongo riguarda le piante organiche. Questo è un altro tema assai complesso che avrebbe bisogno di una razionalizzazione. Noi siamo un paese un po' strano, in cui molte delle piante organiche sono datate, in quasi tutti i rami della pubblica amministrazione e non corrispondono neanche più alle esigenze del territorio. Vi sono alcune province che hanno subito delle modificazioni, per quanto riguarda numero degli abitanti e complessità, e altre che, invece, hanno subito processi di indebolimento e persino di impoverimento della propria dimensione economico-sociale e culturale; registriamo, quindi, degli esuberi in alcune province ed enormi disfunzioni, inadeguatezze nelle piante organiche di altre province in aree fondamentali per lo sviluppo del paese. Questo è un problema serio perché crea anche una condizione di iniquità e di ingiustizia. Spesso, la mobilità viene utilizzata per «ingrassare» la dimensione della presenza del pubblico impiego in alcune province piuttosto che in altre, e ciò, secondo me, è un problema davvero serio perché crea una reazione, un giudizio non positivo nei confronti della pubblica amministrazione italiana.
L'ultima questione riguarda la previdenza complementare. Mi pare fondamentale che il tema abbia una qualche contestualità con gli interventi che il Governo ha intenzione di effettuare sulla previdenza nel pubblico impiego. In tal senso, la tempistica è delicata. Noi abbiamo già detto, credo anche nel Documento di programmazione economico-finanziaria, e in altre occasioni, che riteniamo fondamentale la contestualità: il pubblico impiego non può essere destinatario di una riforma del sistema previdenziale senza che, contestualmente, si metta mano alla previdenza complementare del pubblico impiego. Questa contestualità non è chiarissima e sarebbe interessante, ministro, se lei, oggi, dicesse parole chiare su questo tema.

ELENA EMMA CORDONI. Esporrò altre considerazioni, non perché non voglia affrontare la questione del precariato, ma perché vorrei sottolineare una cosa che lei ha detto e che ritengo importantissima, signor ministro, nella convinzione che sia nelle nostre possibilità realizzare l'intento da lei riferitoci. Mi riferisco alla piena privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, che vuol dire sottrarre alle Assemblee parlamentari l'intervento su carriere e promozioni; cose che con fatica, negli anni passati, abbiamo provato a costruire, per quel vizio, in verità non ancora del tutto abbandonato, di cercare, nel Parlamento e nei parlamentari, una


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sponda alle spinte e controspinte che non trovano risposta dentro la contrattazione.
Sottolineo questo perché lo trovo un punto significativo. Quando penso a ciò ho presente tutti i settori, perché, chiaramente, il pubblico impiego riguarda numerosi settori. Allora, bisogna avere un'attenzione puntuale perché possono sfuggire delle cose non solo dal lavoro parlamentare, che è forse più aperto, ma anche dai commi e «commetti» che si mettono dentro specialmente in quei maxiprovvedimenti direttamente provenienti dall'interno della pubblica amministrazione.
L'altra questione importante è quella che si riferisce alla partenza della previdenza integrativa. Si vuole ridare spessore a questo concetto pieno di privatizzazione del rapporto di lavoro: in tal senso, mi sembra si riprendano quei filoni con cui, a partire dagli anni Novanta, si era cercato di costruire un'omogeneità di condizioni tra settore pubblico e settore privato. Molti strumenti sono andati in questa direzione, molte normative sono cambiate per equiparare, là dove era chiaramente equiparabile, questo tipo di lavoro. Credo che l'utilizzo del TFR e l'introduzione della previdenza integrativa facciano parte di questo capitolo, perché, anche per i lavoratori pubblici, dal 1995, è cambiato il sistema di calcolo delle pensioni; siamo arrivati a prevedere anche per loro il sistema contributivo e anche per loro ci saranno gli effetti di questo tipo di cambiamento.
Penso, però, che dovremmo ragionare anche su un'altra disposizione, introdotta con il Governo di centrodestra. In occasione della famosa legge n. 30 del 2003, sulla riforma del contratto di collaborazione coordinata e continuativa in contratto a progetto, fu deciso che questo non si sarebbe applicato nel pubblico impiego. Nelle forme e nei modi che oggi si reputino più adeguati, nelle forme e nei modi che consentano di ridurre l'uso di tale strumento, credo sia necessario ragionare, anche da questo versante, su come rendere omogeneo il trattamento, anche nel pubblico impiego, delle persone che possono avere contratti di questo tipo.
Ritorno, ora, alla questione della lotta al precariato e della stabilizzazione. Considero già importante questa parola d'ordine, che spero abbia un seguito anche come messaggio culturale, oltre che come soluzioni normative che possano andare in tale direzione. Ormai, in questi anni, nel paese il concetto si è molto diffuso e le convenienze per le pubbliche amministrazioni si sono estese, perché i costi di un collaboratore coordinato sono inferiori ai costi di un lavoratore pubblico. È chiaro che quando lanciamo questo messaggio è importante far capire, da una parte, che è finita una fase, che tutto deve essere ridotto a ciò che serve, ossia al minimo e non alla sostituzione di lavoratori a tempo indeterminato con lavoratori o collaboratori a tempo determinato o con contratti di altra natura (le forme di prestazione sono le più varie) che svolgono le stesse funzioni, e, dall'altra, che è importante, mentre si costruisce un programma di questo tipo, mettere insieme anche il capitolo «risorse».
È vero che alcuni Ministeri già da dieci-quindici anni impiegano lavoratori con contratti a tempo determinato, ormai sicuramente entrati nella spesa ordinaria di quei Ministeri, ma ci sono anche molti collaboratori coordinati e continuativi in giro per l'Italia, certamente a carico dell'amministrazione, ma ad un costo diverso da quello che si avrebbe con la trasformazione del rapporto del lavoro. Quindi, quando si costruisce un progetto di questo tipo si deve tener conto del fatto che non è necessariamente a costo zero per le amministrazioni. Quando si costruisce un progetto di questo tipo, dunque, ci si deve dare un obiettivo, da raggiungere in alcuni anni, e si deve costruire un percorso che porti nella direzione prefissata.
È certo importante conoscere l'entità del fenomeno, il quadro di insieme. Spesso, i dati che ci vengono messi a disposizione hanno il difetto di venirci presentati come unità annue, che non significa che corrispondano alla quantità effettiva dei lavoratori precari che, quindi, sembrano sempre di meno del loro ammontare effettivo. È bene tenere insieme


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tutto il quadro. Non so se nella sua illustrazione del problema lei abbia pensato anche al Servizio sanitario nazionale. Io ci aggiungo, comunque, anche la scuola, che ha una forma di precariato con le sue regole e con i suoi percorsi.
Credo, infatti, che sarebbe importante fare il quadro dell'entità del fenomeno, costruire questo quadro di insieme e indicare - non so se nel disegno di legge finanziaria o in qualche altro disegno di legge -, come raggiungere l'obiettivo della stabilizzazione, nel giro di quegli anni che si riterranno necessari. La Francia, negli anni passati, ha compiuto un'operazione di questo genere; non so se sia trasportabile in Italia; lì c'è una pubblica amministrazione diversa, però ci si è dati un obiettivo di questo tipo.
L'altra questione correlata da affrontare è che fra uscite e nuovi ingressi potrebbe succedere che i precari non siano proprio i più giovani: credo, pertanto, che difficilmente l'operazione di ringiovanimento possa passare attraverso la strada della stabilizzazione dei precari, perché il precariato che conosco io non è più giovane. Sono anni e anni che versa in questa condizione; non è, certo, vicino all'età pensionabile, anche se per una parte di esso è così: se penso ai lavoratori socialmente utili siamo anche in questa fascia di età. Nelle altre situazioni, comunque, non ci troviamo certo nella fascia dei giovani laureati o diplomati, ma in un altro contesto.
Quindi, occorrerà tenere insieme le diverse politiche, tra l'esigenza del ringiovanimento da un lato, i nuovi ingressi e la stabilizzazione dall'altro - probabilmente bisognerà trovare forme di accesso diversificate -, per riuscire a mantenere in piedi questi obiettivi. Ciò vorrà dire, io spero, che nella legge finanziaria non ritroveremo ancora, come avviene da molto tempo, il blocco delle assunzioni. Questo è stato uno dei modi con cui si è proceduto in questi anni, con il risultato che le scappatoie per l'amministrazione sono così diventate quelle dei tipi di contratto di collaborazione coordinata. Peraltro, in base alle ultime formule introdotte (mi riferisco all'uno ogni cinque), per molti piccoli comuni - che sappiamo essere numerosi nel nostro paese - , mai e poi mai sarà possibile fare operazioni di questo tipo, trattandosi di strutture con modeste piante organiche.
Dietro questo precariato, ci sono diverse formule di impiego: alcuni lavoratori hanno fatto concorsi per essere selezionati, certuni vengono assunti per chiamate nominative, altri in base a chiamate per anzianità di collocamento. Insomma, i percorsi sono diversificati e non sono tutti identici.
Vorrei che nella prossima legge finanziaria riuscissimo a indicare un cammino chiaro: non mi vorrei ritrovare, ancora una volta, davanti ad una di quelle norme - potrei citargliele a memoria, ministro - fatte per prevedere tutte le esclusioni e le proroghe possibili. Già in questa settimana cominciamo a ricevere pressioni dai lavoratori dell'INPS, dai lavoratori LSU. Si può cominciare da dove si vuole ma tutti hanno la loro storia, spesso una storia motivata, e ritengono di dover essere destinatari di soluzioni che vadano verso la stabilizzazione.
Sarebbe meglio che, invece di rispondere solo a spinte, giuste, di gruppi di lavoratori, riuscissimo a trovare un indirizzo generale che ci permettesse di dire a tutti che, nel giro di un certo numero di anni, saremo in grado, a determinate condizioni, di venire incontro alle diverse esigenze.
Mi interessa sapere se siamo in grado di individuare forme e modi con cui ottenere questa stabilizzazione, ammesso che si trovino le risorse, ammesso che si faccia questo piano, ammesso che la volontà politica sia questa, perché nel pubblico impiego, io penso giustamente, vige la norma del concorso pubblico, che permette a tutti di partecipare, e che, però, può entrare in conflitto con la stabilizzazione di quei lavoratori che siano già dentro il mercato del lavoro.
Le questioni, pertanto, non sono semplici, e trovare la soluzione non è facile. Credo che sia questo uno degli argomenti principali da trattare. Potremmo anche


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assumere nel pubblico impiego ma non è detto che i destinatari sarebbero automaticamente coloro che sono precari. Sarà sicuramente questo uno dei punti da affrontare in quei tavoli che lei ha messo in piedi: la sua soluzione diventa praticamente una priorità, anche se non in maniera esclusiva.
Le dicevo prima della questione della sanità. Dai dati di cui dispongo - stiamo cercando di mettere insieme un po' di informazioni a tale riguardo - ho la sensazione che qualcosa continui a sfuggirci, perché nel Sistema sanitario nazionale ci sarà il tempo determinato, ci saranno i contratti di formazione lavoro, ma ci sono pure, per esempio per il personale specializzato, medico, contratti di prestazione, non meglio definiti, corrispondenti a vere forme di assunzione (sono 10-12 ore, in cui si fa ambulatorio e si presta servizio nel reparto). È il modo con cui oggi pure la sanità risponde a questa esigenza. Anche questi contratti, però, segnalano le difficoltà del settore.
Per tenere insieme tutto questo quadro, qualcuno suggeriva la presenza di un coordinamento da parte del Governo. Piuttosto che intendere il Ministero della funzione pubblica soltanto come il «Ministero dei ministeri» o come il soggetto che detta degli indirizzi per gli enti locali e per le regioni, si dovrebbe costruire una effettiva sinergia nelle azioni che si compiono.
Credo che quanto lei ci ha elencato rispetto alle iniziative già intraprese - riduzione delle consulenze, pubblicità degli incarichi, venir meno della possibilità di innalzare l'età pensionabile a settant'anni (ipotesi che riguarda solo alcune figure e non la generalità di esse) - costituiscano dei fatti importanti, significativi. In questa direzione, reputo possibile individuare anche altri interventi che ci siano di ausilio nel cammino da lei delineatoci.

SESTINO GIACOMONI. Ringrazio il ministro ed i colleghi che, nonostante l'orario sindacale e il fatto che sia agosto, sono intervenuti in modo numeroso. In Commissione riusciamo, forse, ad instaurare quella dialettica costruttiva spesso assente in Assemblea.
Prima di iniziare il mio intervento, vorrei porre una domanda al ministro: nel gioco degli «spacchettamenti» e degli «accorpamenti» fatti come primo atto dal Governo Prodi, se ho ben capito, il suo dicastero dovrebbe essere il frutto della fusione o dell'accorpamento tra l'innovazione e la funzione pubblica: l'innovazione è solo riferita alla pubblica amministrazione oppure vale anche in generale? Le chiedo questo perché credo che il tema dell'innovazione nella pubblica amministrazione sia fondamentale, in quanto consentirebbe di raggiungere tre risultati: la riduzione degli sprechi, il ringiovanimento - le nuove tecnologie sono, di fatto, legate ai giovani -, migliori servizi per i cittadini.
Le chiedo, a tal fine, di fornirci qualche indicazione in più sulla parte riguardante l'innovazione, di cui si è parlato poco, per capire quello che era stato fatto e quello che lei intende fare.
Se ho ben colto tra le righe, lei dà anche molta importanza al ringiovanimento. Mi sembra abbia detto che almeno un quarto degli ingressi deve riguardare i giovani. Sulla base di questo principio, giustissimo, si intende forse che siano quattro i lavoratori ad uscire ed altrettanti ad entrare, oppure che - a fronte dei quattro uscenti - sia solo uno il lavoratore giovane ad entrare? Glielo domando perché a me sembra che si stia affermando, invece, quest'ultimo criterio, giacché la pubblica amministrazione sembra essere sovradimensionata dal punto di vista del personale. Desidererei, dunque, un chiarimento su questo.
Vengo, quindi, all'ultima questione. Speravo che, dopo la campagna elettorale, così come in Italia non si parla più di declino - anzi c'è una florida ripresa economica -, non si parlasse più di precarietà. Ero convinto che fosse un tema da campagna elettorale, anche perché, dai pochi dati che il ministro del lavoro ha presentato quando è venuto qui in audizione, è emerso chiaramente che il 90 per cento dei contratti in Italia è a tempo indeterminato. Proprio perché intendo


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non già fare polemica, ma lavorare con spirito costruttivo, chiedo al presidente se non sia il caso di deliberare un'indagine conoscitiva sulla precarietà in Italia. Il ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione sta costituendo un tavolo: sarebbe utile sapere, in percentuale, quanti sono i precari nella pubblica amministrazione sul totale. Sarebbe opportuno che la Commissione lavoro svolgesse un'indagine sulla precarietà, per stabilire un punto fermo da cui partire.
Rivolgo anche un altro invito al presidente: è possibile ascoltare in audizione i rappresentanti del CNEL? Recentemente, sono stato alla presentazione del rapporto annuale sul mercato del lavoro: un rapporto ben fatto, pur tra luci ed ombre. Sono andato a questa presentazione spontaneamente, ma non sarebbe male se il CNEL, l'organo costituzionale preposto a questo, venisse qui a riferire.
Detto questo, pregherei il ministro di approfondire meglio tre temi: quello relativo ai risparmi, quello del ringiovanimento - legato soprattutto all'innovazione - e quello relativo al miglioramento dei servizi per i cittadini.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Giacomoni. Sulle due domande che mi ha posto risponderò al termine degli interventi, prima della replica del ministro

TOMMASO PELLEGRINO. Intendo, innanzitutto, ringraziare il ministro per la coerenza e la decisione con cui è intervenuto nella riduzione della spesa pubblica, o meglio degli sprechi pubblici. Fissare l'obiettivo di avere più trasparenza nella pubblica amministrazione credo rappresenti un punto di partenza importante. Spesso, molte persone, numerose associazioni e categorie hanno chiesto proprio una maggiore trasparenza nell'ambito della pubblica amministrazione.
Ritengo che l'attuale Governo abbia di fronte a sé una sfida importante. In modo particolare, alcuni aspetti di questa sfida riguardano proprio il suo Ministero. Mi fa piacere che, all'inizio della sua relazione, lei abbia parlato di innovazione, connessa con un forte processo di ringiovanimento della pubblica amministrazione. Un problema serio e centrale che abbiamo oggi è proprio quello della valorizzazione, della considerazione di tanti giovani professionisti che troppe volte, nell'ambito del mercato privato, sono mal pagati e tenuti lontani dalla pubblica amministrazione. Mi riferisco a numerosi giovani professionisti bravi e validi. Anche alla luce della discussione che, in questi giorni, stiamo portando avanti con il decreto in via di approvazione presso la Camera dei deputati penso che una riflessione su questo tema sia particolarmente importante.
Vengo, dunque, al tema del precariato. Condivido la proposta del collega Giacomoni. Anch'io ritengo che la Commissione potrebbe, effettivamente, avviare questa indagine conoscitiva sulla situazione del precariato nel nostro paese. La scelta del precariato, fino ad oggi, è stata una scelta politica. Nel momento in cui, come si diceva in precedenza, viene determinato il blocco delle assunzioni, le forme di assunzione più utilizzate - molto spesso le uniche - nella pubblica amministrazione sono, con tutta evidenza, quelle orientate alla definizione di rapporti di lavoro a tempo determinato. Dobbiamo, dunque, assolutamente operare un'inversione, perché abbiamo assunto un impegno in campagna elettorale, lo abbiamo inserito in modo molto chiaro nel nostro programma. Il fatto che il ministro, oggi, lo abbia ribadito penso sia un segnale importante ed incoraggiante per il paese, per i tanti giovani che hanno grosse aspettative in questa direzione. Rispetto al precariato, a mio avviso, sono due i passi fondamentali da compiere. Il primo è conoscere la situazione reale. Oggi, registriamo la presenza di tante e diverse forme di precariato. In tal senso, vorrei richiamare la vostra attenzione sui numerosi contratti atipici oggi diffusi in Italia, che riguardano migliaia di giovani.
Prima si parlava della sanità: proprio nella sanità sono circa 10 mila i giovani assunti con forme contrattuali atipiche, sulle quali bisogna intervenire. Al termine


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di un iter universitario lungo, complesso, difficile, si arriva ad una non valorizzazione di questi nostri professionisti, con contratti atipici, anche questi, purtroppo, sottopagati. Bisogna assolutamente cercare una soluzione concreta a questo problema. È ovvio che se non partiamo dalla conoscenza del fenomeno, se non partiamo dalla conoscenza delle diverse situazioni di fronte alle quali ci troviamo, possiamo intervenire con molta difficoltà.
Il secondo passaggio importante è quello di darci degli obiettivi. Una volta che conosciamo la reale dimensione del problema, dobbiamo dirci quali sono gli obiettivi, soprattutto rispetto alla stabilizzazione che vogliamo proporre; anche questo ritengo che sia fondamentale.
Un altro punto che voglio sottolineare, e mi fa piacere che il ministro lo abbia tenuto in considerazione, è quello della ricerca. La ricerca, oggi, in Italia, a mio avviso, ha bisogno di tanta innovazione, di più giovani. Troppo spesso, i ricercatori giovani non trovano spazio nella ricerca italiana. Il problema, tante volte richiamato, della fuga dei cervelli e del far ritornare i nostri ricercatori, penso rappresenti uno dei tanti paradossi italiani. Noi, in passato, abbiamo cercato di porre in essere una politica per far ritornare i giovani ricercatori in Italia, ma non si è fatto assolutamente nulla per farli restare nel nostro paese. Credo che un segnale vero che dobbiamo dare sia proprio quello di cercare di valorizzare i nostri ricercatori, facendolo, però, nelle nostre strutture, nei nostri enti.
Poi, occorrerà intervenire non solo sugli enti di ricerca autonomi ma anche sulle università. Oggi, tra gli aspetti che vanno migliorati nelle università italiane, che pure hanno tanti meriti, - il ministro ha delle competenze specifiche rispetto a questo tipo di problemi, perché viene proprio dal mondo universitario - c'è appunto quello della ricerca. A volte si riscontra una tutela della propria nicchia senza avere l'idea di un'apertura seria nei confronti della ricerca. Dobbiamo adoperarci, dunque, affinché le università italiane mutino mentalità, e vi sia una giusta apertura. La ricerca italiana richiede riorganizzazione e razionalizzazione, e questo non si può fare senza coinvolgere le università italiane, senza dare un ruolo importante alle nostre università.
Questo della ricerca è sicuramente un momento significativo di coinvolgimento di tanti giovani. Ritengo che la strada intrapresa, secondo quanto è emerso anche dalla sua relazione, ministro, sia valida: dà tante speranze, soprattutto ai molti giovani che oggi guardano alla pubblica amministrazione, all'università e alla ricerca come a qualcosa di distante da loro. Invece, l'obiettivo, come lei ha precisato e giustamente ha detto, deve essere quello di avvicinare la pubblica amministrazione, l'università, la ricerca ai giovani.

ENRICO FARINONE. Mi associo anch'io ai colleghi, nel rivolgere ringraziamenti al signor ministro per la sua relazione. Sono già stati trattati molti punti negli interventi precedenti. Sottolineo, in particolare, il tema della ricerca, toccato dal collega Pellegrino e che avrei voluto affrontare anch'io. Non ripeterò, ad ogni modo, le cose che sono state dette. Siamo tutti consapevoli di quanto sia importante ricercare di più, mantenere le intelligenze nel nostro paese e - al tempo stesso - di quanto sia difficile, perché sappiamo che la competizione internazionale su questo punto è molto avanti.
Vorrei sottolineare solo un aspetto tra i tanti che sono stati esaminati dalla relazione del signor ministro. Apprezzo il discorso relativo alla diminuzione delle consulenze, che è già stato avviato e che mi sembra doveroso, anche al fine di valorizzare le professionalità interne che ci sono nella pubblica amministrazione, che vanno evidenziate. Se ho ben capito c'è anche l'idea di valorizzare, con modalità incentivanti, quindi anche retributive, le professionalità interne con meccanismi legati ai risultati.
È evidente che non si può entrare qui nel dettaglio tecnico ma mi piacerebbe capire come si intenda lavorare su questo versante, tenendo presente che quando si parla di pubblica amministrazione è molto


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importante la cosiddetta customer satisfaction, ossia il ritorno in termini di soddisfazione da parte dell'utenza, cioè dei cittadini.
Costoro, nel momento in cui interfacciano la pubblica amministrazione, hanno di fronte, in qualche misura, lo Stato: ne consegue che la buona efficienza e l'efficacia del lavoro della pubblica amministrazione, per i cittadini, non siano altro che il segnale del buon andamento della macchina statale, obiettivo che è nell'interesse di tutti noi perseguire.

ALBERTO BURGIO. Signor ministro, mi associo anch'io ai ringraziamenti per la sua cortesia e per la sua relazione, che ha evidenziato la difficoltà del compito che lei ha davanti. È evidente che lei si trova a dover conciliare elementi che non sono immediatamente convergenti. Si tratta da una parte di razionalizzare, com'è stato detto dai colleghi prima di me, cominciando dalla lotta agli sprechi e dall'altra, contemporaneamente, di rilanciare la pubblica amministrazione. Le due cose, com'è chiaro, non si tengono insieme immediatamente e si tratta di trovare, a me pare, una giusta via di mezzo, di contemperare investimenti sulla qualità senza ignorare - questo è il punto che intendo sottolineare - i risvolti quantitativi delle scelte che, immagino, il suo ministero si troverà ad assumere.
Ritengo positivo il metodo che è stato suggerito dalle sue parole, dell'ascolto delle organizzazioni sindacali, il metodo dei tavoli, direi il metodo della ricognizione e della conoscenza dei problemi prima di precipitarsi a compiere delle scelte che potrebbero rivelarsi improvvide. Se posso permettermi non una raccomandazione ma un promemoria, le chiedo che in questi tavoli non si trascuri il dato dell'effettiva rappresentatività delle organizzazioni sindacali che, talvolta, viene posto un po' tra parentesi.
Vorrei soffermarmi su pochi punti, chiedendole, se è possibile, qualche supplemento di informazione. Lei ha parlato di ringiovanimento della pubblica amministrazione, di un rapporto non paritario, almeno sul piano anagrafico, tra uscite ed entrate, ha parlato di una pubblica amministrazione meno costosa. Ora, tutti questi elementi messi insieme, sintetizzati, centrifugati evocano lo spettro - inutile negarlo -, l'eventualità di una riduzione dell'occupazione nel pubblico impiego. Vorrei che lei su questo fosse più esplicito, possibilmente fugando il timore che si vada in questa direzione. Come lei sa, il DPEF ha messo in evidenza che si è già passati dal 12 per cento all'11 per cento del PIL nella spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni nell'arco degli ultimi 12-13 anni.
Dunque, forse sarebbe il caso, come diceva anche l'onorevole Delbono facendo riferimento all'obsolescenza delle piante organiche delle pubbliche amministrazioni, di essere più cauti. Lei lo sa meglio di tutti noi: bisogna anche difendersi da un senso comune e dai luoghi comuni che si generano. La pubblica amministrazione in Italia non è quantitativamente pletorica. Nell'ambito dei Paesi europei la pubblica amministrazione italiana non è affatto tra le più cospicue ed è sicuramente molto meno massiccia (per fare l'esempio più significativo, visto che spesso e volentieri si evoca il mondo anglosassone come un modello di efficienza e di razionalità economica) della pubblica amministrazione inglese.
Bisognerebbe tenere presenti questi aspetti. Nel considerare il profilo della quantità, occorrerebbe fare riferimento anche al tema della qualità del rapporto di lavoro. È stato detto dai colleghi prima di me, dunque non mi soffermo sul punto: credo anch'io che la precarizzazione del pubblico impiego sia, intanto, poco funzionale ai fini della qualità dei servizi e poi non accettabile dal punto di vista, vorrei dire, persino dell'etica politica. Forse infrango un tabù o forse, semplicemente, sono portatore di vedute che qualcuno potrebbe definire anacronistiche.
Signor ministro, sulla questione della pubblica amministrazione la mia posizione si differenzia anche rispetto al tema della privatizzazione. Io ho l'impressione che su questo tema si potrebbero eccepire diverse


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cose, se non altro perché alla privatizzazione talvolta si accompagna anche una compromissione delle tutele del rapporto di lavoro: su questo vorrei essere tranquillizzato.
Soprattutto, il problema è che il rapporto privato di lavoro, legittimamente, si insedia sul terreno della pura e semplice razionalità economica. Il rapporto pubblico di lavoro non ha queste caratteristiche perché non ha fini di lucro e perché coinvolge anche il tema dei diritti e, in primo luogo, il tema del diritto fondamentale, costituzionalmente riconosciuto, al lavoro.
Credo che questo sia un elemento che bisognerebbe valutare soprattutto da parte della sinistra. Non c'è solo un problema di razionalità economica e di conti, ma anche un problema di compatibilità sociale. Mi rendo conto che questo è un tema delicato. Vorrei fugare ogni eventuale preoccupazione: non ho in mente nessuna funzione assistenzialistica della pubblica amministrazione e del pubblico impiego; tuttavia questo elemento non dovrebbe essere rimosso.
Vengo all'argomento delle esternalizzazioni. Come lei sa, signor ministro, nel programma dell'Unione si parla dell'esigenza di una verifica delle esternalizzazioni. Credo che questo argomento delle esternalizzazioni, che è contiguo al tema da lei sollevato delle consulenze esterne, bisognerebbe effettivamente affrontarlo con un piglio più deciso: si dovrebbe andare verso una secca riduzione di questa pratica, anche perché foriera di effetti negativi sul terreno, oltre che della qualità dei servizi, persino dei costi economici.
Signor ministro, vorrei che lei fornisse un commento su questo: il vero tema della pubblica amministrazione è quello dei controlli di qualità dei servizi prestati. Il controllo interno, in termini di qualità e persino di produttività del lavoro, potrebbe essere sostituito a quella che a me pare talvolta una scorciatoia: non si interviene sulla qualità previo controllo e invece si interviene sulla quantità come se si trattasse di ridurre e basta.
Concludo con due questioni molto puntuali. Credo che sia corretta l'impostazione che va nella direzione dell'autonomia della dirigenza pubblica da logiche politiche. Considero corretto porre l'accento sull'esigenza del rendimento e della professionalità; anche in questo caso si tratta di verificare la qualità del servizio prestato. Vorrei sapere se in questo ragionamento rientri anche un'istanza di verifica dei cosiddetti «stipendi d'oro» dei dirigenti pubblici, degli alti gradi della dirigenza pubblica.
Infine, per quanto riguarda l'università e la ricerca mi associo alle osservazioni espresse circa il problema della fuga dei cervelli: questo sì che è un vero spreco. Il nostro Paese è ricchissimo di capacità; nelle nostre università, nei nostri istituti, persino nelle nostre scuole ci sono giovani di grande valore che, spesso e volentieri, devono andare via dall'Italia.
Per evitare questa fuga forse bisognerebbe prestare maggiore attenzione ancora una volta al tema della certezza del lavoro. Se noi precarizziamo i giovani - parlo soprattutto in termini tecnici, riferendomi alla riforma Moratti -, se pensiamo che si possano trascorrere otto, dieci anni di gavetta in uno stato di precarietà non dobbiamo lamentarci poi delle conseguenze.
Non dimentichiamo che nelle università prima di accedere alla fascia dei ricercatori bisogna rimanere per dieci anni nel sommerso; chi frequenta le nostre università lo sa bene. Il lavoro nero non è semplicemente quello dei cantieri o delle fabbriche o dei campi, è anche il lavoro degli istituti e, talvolta, anche degli istituti pubblici come le università. Ebbene, se ai dieci anni di lavoro non riconosciuto noi aggiungiamo anche dieci anni di precariato, allora i nostri giovani, soprattutto quelli bravi che hanno la possibilità di scegliere di andare altrove, molto difficilmente opteranno per rimanere. Paradossalmente, noi operiamo una selezione del peggio se andiamo avanti così.
Poiché siamo tutti reduci dalla vicenda dei tagli di ben 200 milioni di euro sulle spese di funzionamento delle università -


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lei sa che mi sto riferendo alla «manovrina» - che avranno pesanti ripercussioni in termini di affitti, di riscaldamento, persino di spese di cancelleria, su questo una sua parola di tranquillizzazione sarà benvenuta.

ANGELO COMPAGNON. Signor ministro, mi rendo conto che un uomo, arrivato - grazie all'impegno politico - a governare il paese e a ricoprire il ruolo di ministro, si spogli di tutto ciò che è stata la campagna elettorale e cerchi di ottenere, in una visione più ampia, nell'interesse di quello stesso paese, i migliori risultati possibili.
Le ruberò pochi secondi perché ho una sola domanda da porre, anche alla luce di tale considerazione. Ultimamente, pur trovando in questa Commissione un buon rapporto dialettico, come opposizione, siamo ridotti a fare gli spettatori su tutto, anche su provvedimenti importanti che sicuramente incideranno molto sul futuro del nostro Paese. L'audizione di oggi, dunque, per la nostra parte, almeno qui dove si può ancora parlare, continua ad essere uno dei tanti momenti nei quali si può cercare di incidere portando un contributo.
Vengo quindi alla domanda che intendo rivolgerle. L'impostazione che lei ha dato è certamente comprensibile, su di essa si potrebbero trovare delle convergenze e, per quanto mi riguarda, vi è la massima disponibilità al riguardo. Tuttavia, vedendo cosa sta accadendo in riferimento al DPEF, tenendo presente tutte le situazioni che, evidentemente, contrastano con le cose che lei ha detto a proposito della disponibilità e della possibilità di contribuire, sentendo, anche in questa sede, alcune posizioni della maggioranza che pongono dei paletti, continuando ad ascoltare l'esasperazione della terminologia «precariato», che indubbiamente ha più del politico che del concreto, le chiedo quanto sarà in grado di tenere duro sulla sua posizione, non tanto rispetto a noi dell'opposizione - in cui potrà sicuramente trovare, nell'interesse del Paese, il sostegno per una politica costruttiva -, quanto rispetto alla sua maggioranza, stante la situazione che io colgo di contrasto e di contraddizione non da poco.

LUIGI FABBRI. Sarò molto sintetico, signor ministro, riallacciandomi alle dichiarazioni già rese da altri colleghi. Le faccio, innanzitutto, gli auguri perché si trova di fronte ad un'impresa veramente titanica. Ha ragione il collega Burgio: quando si devono far convivere il risparmio con il buon funzionamento, in un comparto, come quello pubblico, che impegna l'11 per cento del PIL ed è così importante, le cose sono senz'altro difficili.
Noi siamo un paese - non so se è un luogo comune questo; ognuno di noi ha delle esperienze personali e professionali specifiche - nel quale non sempre sono stati resi dei buoni servizi da parte della pubblica amministrazione. Devo dire che neanche il Governo la tratta bene, signor ministro, perché, mentre lei si impegna, aprendo anche un apposito tavolo tecnico, sulle collaborazioni coordinate e continuative, assai numerose nella pubblica amministrazione, nei provvedimenti che andiamo a votare sta scritto che bisogna prolungare la possibilità di utilizzare questi contratti flessibili. La sua impresa, allora, diventa ancor più titanica e le si presentano ulteriori difficoltà da affrontare.
Lei ci ha detto che farà un tavolo anche sulla formazione. Devo dire che la formazione, di solito, non si fa in questo Paese. La si fa soprattutto nella pubblica amministrazione. Quindi, almeno in questo settore, lei trova una strada più agevole rispetto alle altre difficoltà che ha di fronte.
Ha anche parlato di moralizzazione negli stipendi. Esiste un libro di due miei ex colleghi, Villone e Salvi, che ha squarciato un velo su questo argomento, in maniera direi inquietante per un paese come il nostro che non naviga nell'oro.
La privatizzazione dei rapporti di lavoro, come diceva la collega Cordoni, deve costituire, forse, l'impegno di maggiore importanza per quanto riguarda la sua azione politica. Dal punto di vista concettuale,


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riscontro un ritorno ad una sorta di neocentralismo culturale, perché questi problemi hanno una soluzione diversa e più facile se ragioniamo in termini di autonomia e di federalismo. È questo l'impegno che noi vi chiediamo; altrimenti - non me ne voglia nessuno - ci troveremo davvero di fronte ad un arretramento. Noi crediamo nella sussidiarietà e pensiamo che i problemi possano essere risolti più agevolmente là dove essi si pongono; chi si trova a fare i conti con il problema, infatti, può più agevolmente trovare una soluzione adeguata.
Le consulenze e le collaborazioni esplose negli ultimi dieci anni sono frutto della legge Bassanini. Chiunque abbia fatto il sindaco avrà visto che i nostri funzionari, i nostri dirigenti, prima di assumersi delle responsabilità - giacché sono stati abituati a non averne, perché ad assumersele, in precedenza, erano il politico, il sindaco, l'assessore -, chiedono consulenze (il capo dell'urbanistica chiede un parere pro veritate; altri ne domandano ulteriori). Si tratta, dunque, di un aspetto che occorre considerare.
Dicevo l'altro giorno, qui in Commissione, che proprio Il Sole 24 Ore della giornata mostrava come l'amministrazione periferica dello Stato costasse cinque volte di più rispetto a quella centrale. Anche su questo punto l'impresa che le chiedono di realizzare è veramente titanica, fermo restando che non sembrano darle una mano: come è possibile, infatti, fare la lotta al precariato quando i co.co.co. continueranno ad essere, per alcune amministrazioni, uno strumento cui ricorrere, seppure in base a motivazioni legittime, giustificabili, a cui facevano riferimento prima alcuni colleghi, come l'onorevole Pellegrino?
Inoltre, come si concilia il ringiovanimento, quando in questi stessi decreti si chiede di far rimanere, nella pubblica amministrazione - lo dicevo l'altro giorno in Commissione - i dipendenti fino a 70 anni di età? Delle due l'una.

ELENA EMMA CORDONI. Con il decreto Bersani questa norma è stata eliminata...!

LUIGI FABBRI. Ad ogni modo, vedete che ci sono delle difficoltà. Anch'io, come il collega Giacomoni, non ho capito se lei lavorerà per rinnovare e modernizzare solo la pubblica amministrazione o se si interesserà anche dell'innovazione in generale. «Innovazione» è una parola magica, a cui in molte circostanze si ricorre in politica. Sono cinque anni che sentiamo parlare i presidenti di varie associazioni - a partire da Confindustria e Confartigianato - e gli stessi sindacalisti, di competitività e di innovazione. Si dà la colpa a chiunque. Si dice che è colpa dell'università. Il collega Burgio, giustamente, ha fatto riferimento anche alla precarietà nell'università, perché questo succede. Nel comparto medico, l'onorevole Pellegrino lo ha accennato, è possibile rimanere nell'università anche 5, 6, 7 anni, facendo i lavori più strani, per vedere di entrare nella «famosa» terza fascia.
I problemi, come vede, sono enormi. Credo che lei sarebbe sicuramente aiutato se questa mentalità autonomista - non uso la parola «federalista», che magari le può dare fastidio - facesse parte della sua progettualità politica, perché questa ricentralizzazione non aiuta assolutamente nessuno.
Comunque, auguri, signor ministro.

RODOLFO GIULIANO VIOLA. Ringrazio anch'io il ministro. È evidente che l'audizione di un ministro dà la stura a tutti noi per poter dire quello che pensiamo, non solo e non tanto su quello che ci è stato proposto oggi. Devo dire che il ministro ha posto, secondo me, tre o quattro capisaldi di quello che sarà il suo impegno. Inevitabilmente, non poteva entrare nel dettaglio perché questo sarà il suo lavoro, speriamo, per lungo tempo. Penso, infatti, che ci sia bisogno di un tempo lungo per attuare delle riforme importanti nella pubblica amministrazione.
Per quanto mi concerne, cercherò di essere rapido e di andare per spot.


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Parto dall'ultima considerazione dell'onorevole Fabbri sulla questione dell'innovazione - penso, peraltro, che in questa sede parleremo soprattutto di innovazione nella pubblica amministrazione -, riallacciandomi alla premessa. È evidente che l'innovazione della pubblica amministrazione è una parte dei processi; quando questa parte politica, in campagna elettorale, parlava di innovazione si riferiva all'innovazione di tutto il sistema Italia. I due processi devono avvenire contemporaneamente. Ci deve essere innovazione da parte della pubblica amministrazione, e certamente questo sarà compito del Governo, ma ci deve essere innovazione anche nel sistema privato, perché questo deve essere in grado di accogliere, per esempio, i ricercatori di valore (faccio riferimento a quello di cui si parlava adesso, alla fuga dei cervelli). Non possiamo pensare che l'università accolga tutte le menti che abbiamo: è evidente che queste dovrebbero trovare occupazione stabile in un sistema privato che investa, che innovi nel proprio settore. Questa è la grande sfida dei prossimi anni.
L'altra grande innovazione sarà quella delle funzioni della pubblica amministrazione, perché tutto il ragionamento non sta in piedi se noi continuiamo ad appesantire la pubblica amministrazione di funzioni a volte anche pletoriche. Noi, a volte, ci ingegniamo a creare leggi per stabilire chi deve controllare cosa, creando, spesso anche artificiosamente, una «bassa funzione» di pubblica amministrazione, che non fa altro, da questo punto di vista, che alimentare in maniera ultronea - scusate il brutto termine - il lavoro della pubblica amministrazione stessa.
È evidente che la razionalizzazione della pubblica amministrazione è una delle questioni che abbiamo davanti. Sollevo questo argomento perché mi pare che questo compito spetti a tutti noi insieme: tutti insieme dobbiamo dire che l'amministrazione pubblica deve essere più snella, più capace; non deve essere vessatoria nei confronti del cittadino. Potrei citare l'esempio che è stato ripreso da molti: oggi, per aprire una pubblica impresa, un'attività privata, ci vogliono 70-80 autorizzazioni; questo deve finire. È evidente che 70-80 autorizzazioni vogliono dire se non 70-80, forse, la metà di pubblici funzionari: sono comunque tanti. Su questo noi dobbiamo intervenire.
Da questo punto di vista, diventa fondamentale l'analisi di sistema. Mi riferisco a quello che prima ho sentito dire in questa sede: tutti ci chiediamo quale sia il livello della pubblica amministrazione, quanti pubblici funzionari abbiamo, in che ruoli sono impiegati. L'invito, al riguardo, è di fare presto e bene questa indagine, magari non costituendo un'apposita Commissione ma affidandoci al lavoro del Ministero, che è il nostro riferimento importante: esso deve dirci rapidamente come siamo messi.
Chiaramente, in questa sede, non possiamo fare un discorso dettagliato su tutto il territorio nazionale, o su tutti i tipi di pubblica amministrazione. Ci sono però i ministeri (vorrei capire quanto è cresciuta la spesa nei ministeri in questi ultimi anni); ci sono gli enti locali, distinguendo fra regioni, province e comuni. Come diceva prima l'onorevole Cordoni, ci sono i piccoli comuni, che rappresentano la grande maggioranza degli enti locali nel nostro territorio, che sono già tirati per il collo, che non ce la fanno più. Se noi proponiamo loro la riduzione di uno su quattro, come veniva proposto prima, e mi pare che sia scritto anche nelle norme dell'ultima legge finanziaria, questi comuni non ce la faranno più.
Su sanità e scuola, dovremo avere un quadro organico della situazione. Le politiche di stabilizzazione sui livelli di precarietà, da una parte, e le politiche di implementazione e innovazione sul piano anche anagrafico, dall'altra, devono essere usate con equilibrio rispetto al dato numerico, come forma di nuovo investimento per il futuro. Da questo punto di vista, penso che la stabilizzazione diventerà un valore assoluto della pubblica amministrazione e nello stesso tempo ci permetterà di introdurre nuove forme e nuove figure professionali più adeguate alla realtà dei


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tempi. Quindi, è evidente che possiamo affrontare la questione delle piante organiche, che ho sentito citare, solo sulla base di un dato di analisi che deve essere il più preciso possibile.
Torno a quello che ho detto all'inizio, sul tema dell'innovazione: nella pubblica amministrazione è uno strumento, ma non può essere solo quella che viene chiamata easy tech, innovazione tecnologica punto e basta (i computer, tanto per usare un termine): ci deve essere anche un'innovazione culturale e di idee. Su questo, penso che la grande sfida non riguardi semplicemente un ministero. Io colgo - lo dico perché sono ormai diversi mesi che lavoriamo insieme - uno spirito positivo dentro questa Commissione. Ritengo che sia fondamentale perché si possa costruire un percorso di collaborazione con il ministro: l'obiettivo, nel caso specifico, è quello di lavorare per rendere la pubblica amministrazione più aderente alle richieste dei nostri cittadini.

AMALIA SCHIRRU. Vorrei solo esplicitare una preoccupazione, che probabilmente il ministro già conosce, per verificare insieme cosa fare.
Non c'è dubbio che oggi ci sia bisogno di conoscere meglio, come si diceva prima, la questione del precariato nella pubblica amministrazione. Occorre poi individuare gli strumenti per superarlo. Occorre, però, anche attivare una ricerca più puntuale e precisa intorno al fenomeno della esternalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione, in particolar modo, in alcuni settori molto delicati (penso all'ambito dei servizi sociali e all'ambito dei servizi alla persona, quelli di carattere socio-sanitario, educativi)... Le pubbliche amministrazioni, in particolar modo gli enti locali, in questi anni, proprio a causa del blocco delle assunzioni, hanno dovuto attivare tali esternalizzazioni attraverso sistemi di appalto o di convenzione con organizzazioni, cooperative o altri soggetti. Questi servizi sono spesso affidati con sistemi che guardano, più che alla qualità del servizio offerto e alla delicatezza dell'intervento, a sistemi e modalità tesi al risparmio, con delle ricadute negative nei confronti dei lavoratori.
Mi chiedo e le chiedo, quindi, in che modo sia possibile responsabilizzare la pubblica amministrazione, in particolare gli enti locali, affinché individuino - fermo restando che alcuni interventi possono essere sempre affidati all'esterno - sistemi che non comportino precarietà per i lavoratori, perché le retribuzioni che essi percepiscono non permettono loro di mantenersi adeguatamente.
Questo era il problema che volevo evidenziare. Occorrerebbe interrogarsi sul modo con cui il Ministero potrebbe intervenire pensando a regole da far applicare alle pubbliche amministrazioni.

PRESIDENTE. Prima di rispondere alle due domande che mi sono state poste direttamente dal collega Giacomoni, vorrei esprimere alcune considerazioni di carattere generale e alcune sollecitazioni.
Intanto, mi associo anch'io ai ringraziamenti che diversi colleghi hanno rivolto al ministro per la disponibilità manifestata. Trovo questa audizione interessante, ed è importante che si sia svolta prima della pausa estiva, perché ha consentito alla Commissione di fare una panoramica generale sulle linee del programma del Governo, attraverso l'ascolto dei vari ministri, e sulle questioni emerse nelle audizioni, sia pure di carattere informale, che abbiamo tenuto con le associazioni.
La ringrazio nuovamente, signor ministro, per la sua disponibilità e le rivolgo i miei auguri e il mio in «bocca al lupo», ben sapendo che l'aspetta un compito non semplice, in un dicastero piuttosto complicato, quello per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione.
A mio avviso, c'è una necessità di fondo, di carattere generale, quella di superare quel luogo comune che descrive la pubblica amministrazione come un luogo inutile e improduttivo. C'è questa tendenza nell'aria e credo che sia suo compito eliminare questa stortura, che è tutta italiana. Non è così, infatti, nel panorama europeo. In altri paesi, a partire dalla Francia, c'è una grande considerazione


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della pubblica amministrazione e della sua utilità. Sono convinto che una pubblica amministrazione che funziona sia anche propedeutica a creare sviluppo e occupazione, al servizio dei cittadini, ma anche al servizio delle imprese.
È anche necessario riconoscere al lavoro pubblico quel ruolo sociale che la Costituzione garantisce ad esso. Quando la Costituzione, all'articolo 3, parla di uguaglianza sostanziale, indica la pubblica amministrazione come il luogo che deve onorare quell'impegno e garantire quella parte della Carta costituzionale. Fra l'altro, non dobbiamo dimenticare che esiste una differenza sostanziale fra l'attività pubblica e privata; se continuiamo a non riconoscerla rendiamo un cattivo servizio a noi stessi.
Mentre l'attività privata è finalizzata a fare profitto - anche questo è previsto dalla Carta costituzionale - la pubblica amministrazione nasce per soddisfare i bisogni dei cittadini. Sono finalità profondamente diverse, e penso che qualsiasi intervento di riforma e di innovazione debba tener conto della profonda diversità esistente fra i due ambiti di intervento.
Devo dire che ho particolarmente apprezzato tre passaggi della sua relazione, che possono risultare utili rispetto al problema di carattere generale che ho posto. Il primo riguarda le consulenze, e lei ha posto con forza il tema della sua verifica. Personalmente sono d'accordo, non solo per una questione di razionalizzazione della spesa e di controllo dei costi della pubblica amministrazione, ma anche perché penso che debba essere interrotto quel meccanismo, che si è prodotto e stratificato negli anni, dei doppi apparati all'interno della pubblica amministrazione: uno pubblico, che di fatto conta sempre meno, e uno costruito in modo discrezionale dall'amministratore di turno. Penso che questo meccanismo debba essere rivisto e corretto.
Il secondo tema che lei ha posto nella relazione, e che io sottolineo positivamente, è quello della separazione della competenza fra politica e gestione all'interno di un processo di trasparenza e di assunzione delle responsabilità, che vale per tutti. Una volta chiarite le competenze e le responsabilità, abbiamo già compiuto un passo avanti.
Il terzo passaggio è quello del ruolo che lei assegna al confronto con le parti sociali. È chiaro che il confronto è efficace se produce atti concreti, se fornisce risposte, se non rimane vago. Allora, sul tema del rinnovo dei contratti - so bene che non è questa l'occasione, né questo è il luogo dove si fanno i contratti -, penso che il Governo debba porvi particolare attenzione, intanto per rompere usi e costumi sbagliati di questo paese. Non capisco, infatti, perché i contratti debbano essere sempre rinnovati con ritardo; peraltro, quando si rinnovano faticosamente, essi perdono anche la loro efficacia, sia economica, in termini di tutela del potere di acquisto, sia rispetto alle parti innovative in essi contenute. Quando un contratto arriva dopo uno o due anni dalla scadenza, evidentemente perde anche la sua efficacia.
Il tema della certezza del diritto e dei tempi, quindi, ha a che fare anche con l'efficacia della strumentazione. A questo riguardo, voglio aprire una breve parentesi. Gli ultimi contratti del pubblico impiego sono stati caratterizzati dal processo di delegificazione - preferisco usare questo termine, invece che «privatizzazione», che si confonde con la privatizzazione dei servizi, o comunque qualcuno vuole fare questa confusione - del rapporto di lavoro. Questo grande processo riformatore era stato accompagnato da due strumenti inseriti nei contratti: la formazione, prevedendo addirittura il suo finanziamento contrattuale, e la valutazione, attraverso sistemi permanenti. Mi permetto di dire, e me ne assumo la responsabilità, che questi due strumenti sono falliti. Su questo, signor ministro, è bene che indaghi in modo profondo.
Dico che questi strumenti sono falliti innanzitutto perché non esiste un sistema formativo nel nostro paese, dove, in genere, si verificano le competenze dei formatori e, in relazione ad esse, si organizzano i corsi di formazione. Questo non ha nulla a che vedere con il processo di


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formazione. Il sistema formativo è piegato alla disponibilità dei formatori, e non alle esigenze degli enti. Si potrebbe pensare a un investimento con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, per cercare di costruire un sistema formativo più efficace.
Il secondo strumento è quello dei sistemi permanenti di valutazione. Se la valutazione è individuale, se riguarda il carattere della persona, vale quel che vale, o meglio, non vale niente. Il problema è la valutazione sulla capacità professionale, ma io la sfido, signor ministro, a recarsi in qualsiasi pubblica amministrazione, locale o centrale, e scoprirà che presso i relativi uffici del personale non ci sono neppure i curricula personali dei lavoratori. Il datore di lavoro, in pratica, non conosce neppure le caratteristiche dei suoi dipendenti. È complicato valorizzare le capacità, in una situazione di questo tipo.
Su questi due istituti - formazione e valutazione -, che erano stati posti al centro della stagione della riforma del pubblico impiego, probabilmente c'è la necessità di ritornare, per perfezionarli. Potenzialmente, infatti, possono essere validi se svolgono effettivamente la loro funzione.
Sulla questione della previdenza complementare - la cito come titolo - non è il caso di ritornare, poiché è già stata descritta. Analogamente sulla questione del precariato, ma con un'aggiunta. Concordo con chi ha richiamato l'esigenza di un piano complessivo di stabilizzazione del precariato nella pubblica amministrazione, con i tempi e i modi possibili. Anche il tema del rigore lo abbiamo ben presente, tenendo conto dei problemi legati alla stabilizzazione e al rispetto delle norme di accesso previste dalla Carta costituzionale.
Esiste, però, una parte di precariato che potrebbe trovare soluzione da subito, e su questo le rivolgo un invito esplicito. Mi riferisco ai contratti di formazione e lavoro, che ormai si stanno rinnovando anno dopo anno: parlo di lavoratrici e lavoratori che sono in regola con il tema dell'accesso e del rispetto della Carta costituzionale. Ciò considerato, all'interno di un percorso complessivo di stabilizzazione, si potrebbe partire dalle situazioni meno complicate, appunto dai CFL. Potrebbe prevedersi, da questo punto di vista, un provvedimento immediato già in sede di finanziaria, che potrebbe dare una prima e significativa risposta.
Ci sono altri temi che meritano la nostra attenzione, ma non è il caso di trattenere ancora il ministro, che, fra l'altro, in modo informale, ha manifestato la sua disponibilità a ritornare, quindi a mantenere un rapporto di dialogo costante con la Commissione. La prendo in parola, signor ministro, ritenendo che questa sia una modalità utile, che possiamo prevedere per il futuro.
Vengo alle due domande che mi erano state poste dal collega Giacomoni, premettendo una precisazione: quando il ministro Damiano ha citato il dato del 90 per cento di precarietà, ad onor del vero si riferiva all'industria. Al di là di questo elemento, devo dire che più volte, all'interno dell'ufficio di presidenza, abbiamo condiviso un ragionamento teso alla necessità di capire meglio il fenomeno del precariato nel nostro Paese, per cercare di costruire una base comune di riferimento che possa consentire ad ognuno di noi di sviluppare le sue opzioni strategiche su questo tema.
In coda all'audizione odierna si svolgerà l'ufficio di presidenza e credo che, in quella occasione, si potranno delineare tappe più precise. Infine, sulla questione del CNEL, abbiamo già detto che non vi è alcun ostacolo all'audizione, proprio per completare questa attività di ricognizione.
Do la parola al ministro per la sua replica.

LUIGI NICOLAIS, Ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione. Voglio davvero ringraziare tutti voi, perché credo sia stata anche per me molto istruttiva questa discussione. È stata così ampia che, forse, non riuscirò a rispondere nel dettaglio a quello che mi avete chiesto. Penso, ad ogni modo, che sia


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opportuna un'esposizione di carattere un poco più generale, alla luce di tutte le domande poste.
Si sta lavorando all'analisi della situazione attuale; stiamo ottenendo dei risultati dal punto di vista quantitativo e discuterò con voi, con piacere, sulla base di questa elaborazione. Per quanto riguarda tutta la situazione del precariato, è un gruppo interno dell'amministrazione che vi sta lavorando. Uno dei problemi che abbiamo con la pubblica amministrazione è che, generalmente, parliamo di un sistema macroscopico di circa 3,5 milioni di dipendenti; i problemi, però, sono diversi da comparto a comparto: dobbiamo, quindi, in qualche modo entrare un po' più nel dettaglio del dato per poter dare una risposta più attenta. Anche questa è la ragione della grande difficoltà che si incontra nel rispondere su tale questione e nel preparare un documento che sia oggettivamente verificabile. In ogni caso, questo lavoro sta andando avanti con gli uffici. Abbiamo bisogno di dati dalle periferie e questa è una operazione un poco più complessa da effettuare. Sicuramente, comunque, nei prossimi mesi sarà mia cura portare alla vostra conoscenza il risultato di questo lavoro, che è fondamentale per prendere delle decisioni.
Spesso affermo che il nostro sistema è in evoluzione con le tecnologie che si inseriscono nell'organizzazione del lavoro. In risposta ad alcune delle vostre domande, aggiungo che l'uso delle nuove tecnologie, in qualche modo, ci viene in aiuto nella riduzione del costo del pubblico impiego: chiaramente, le tecnologie non sono un'aggiunta a quello che facciamo, ma costituiscono un aiuto forte per ridurre il costo dei nostri interventi e per migliorarne l'efficienza. Giustamente, quindi, i due dipartimenti di innovazione tecnologica e di funzione pubblica sono stati accorpati, perché molto del vantaggio dell'innovazione tecnologica deriva dalla capacità di incidere sul lavoro e sulla sua riorganizzazione. Per poter pensare ad una pubblica amministrazione moderna, dobbiamo reingegnerizzare il sistema; dobbiamo riscrivere tutte le regole del flusso di operatività pensando che l'innovazione tecnologica è pervasiva. È questa, secondo me, la sfida centrale del mio Ministero.
Da questo punto di vista, dobbiamo cercare di condividere alcuni punti forti: il primo è certamente la valutazione, che è un problema sostanziale nella mentalità del nostro paese. Noi, infatti, siamo abituati ad una forte valutazione ex ante, che deresponsabilizza il decisore pubblico, e a quasi nessuna valutazione ex post. Ciò vale per la pubblica amministrazione in generale, ma vale molto anche per il settore della ricerca. Abbiamo bisogno, invece, di spostare l'enfasi della valutazione sull'ex post, riducendo quella ex ante, in qualche modo ridando fiducia agli interlocutori: quello di cui pecchiamo, mentalmente e sostanzialmente, è infatti considerare il nostro interlocutore, sia esso cittadino o impresa, come una controparte con la quale dobbiamo avere a che fare, per cui richiediamo il massimo delle garanzie prima di poter prendere una decisione come pubblico amministratore. Questo secondo me è sostanzialmente il punto cruciale del cambiamento sul quale dobbiamo lavorare. Ciò significa semplificare le procedure in ingresso - insomma tutte quelle ex ante - individuando dei criteri e dei parametri di valutazione ex post. Questo vale nella ricerca, nella pubblica amministrazione in generale e in tutte le funzioni che il nostro amministratore pubblico deve ricoprire rispetto al cittadino o all'impresa. Secondo me è un punto centrale su cui tutto il mio piano è stato in qualche modo sviluppato, tenendo conto, d'altronde, che in un sistema in grande evoluzione la formazione è l'elemento essenziale per l'efficienza.
Non possiamo pensare ad una pubblica amministrazione in cui non esiste una obbligatorietà di formazione continua. È impensabile che una persona, entrata nella pubblica amministrazione a trent'anni per uscirne a sessanta, nei suoi trenta anni di permanenza in servizio non entri mai in formazione, e che sia dia per acquisito che debba imparare e debba crescere in maniera autonoma. Dobbiamo introdurre,


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piuttosto, un concetto di formazione permanente con dei crediti formativi, che assicurino ai nostri funzionari l'erogazione di una formazione formalmente controllata. Per far questo, dobbiamo modificare anche tutto il sistema della formazione della pubblica amministrazione, che comprende la Scuola superiore, il Formez e altre strutture; dobbiamo cioè cercare di ridefinire i ruoli in un momento in cui le cose sono cambiate.
Non voglio criticare quel che è stato fatto in passato, ma oggi viviamo una condizione diversa da quella di 10, 20 anni fa. Dobbiamo quindi adeguare tutta la nostra attività a tale nuova realtà. È come un matematico che risolve un'equazione dimenticando di metterci le condizioni a contorno: se queste infatti variano, varieranno anche le soluzioni dell'equazione. È su questo punto che secondo me sarà giusto confrontarsi continuamente. Io sono molto contento di aver potuto oggi parlare con voi e spero di poterlo fare ancora successivamente, perché uno dei nostri problemi è la parte che riguarda il lavoro. Sicuramente tutte le questioni che avete sollevato sono centrali in questo discorso, ma io credo che sia importante, innanzitutto, condividere i punti di forte criticità che vi sono nella nostra pubblica amministrazione.
Come diceva il presidente e come qualcuno di voi ha confermato - della qual cosa sono anch'io assolutamente convinto - la pubblica amministrazione deve diventare il motore dello sviluppo del nostro Paese. Lo deve fare perché ha tutte le potenzialità per farlo. Ma per raggiungere questo obiettivo deve sostanzialmente cambiare attitudini; deve concertare con le forze sociali al fine di lavorare insieme verso questa nuova visione.
Quanto alle autonomie, mi pare più che evidente che dobbiamo spingere verso di esse. Ad esempio, agli enti pubblici di ricerca ed alle autonomie locali dobbiamo trasferire una reale autonomia - non possiamo pensare di avere delle piante organiche fisse negli enti pubblici di ricerca o negli enti locali - e poi valutarli per la capacità che hanno di gestire l'autonomia. Questa è un'autonomia protetta, non una vera autonomia. Dobbiamo avere il coraggio di eliminare le piante organiche e introdurre il concetto di budget in modo da dare autonomia agli enti pubblici di ricerca o agli enti locali, valutandoli poi sulla loro capacità di gestione di questa autonomia.
L'ibridizzazione di sistemi centralistici e di autonomia crea un'impossibilità di valutazione, giacché qualunque disfunzione, secondo tale modello, finirà per essere imputata al centro, ritenuto responsabile di non aver dato la giusta ricchezza alla pianta organica; se, invece, le cose funzionano sarà perché qualcosa è andato bene in periferia. In ogni caso, tutto ciò non può esistere in un mondo che vuole porre al centro la valutazione. Questo sarà uno degli altri punti sui quali proporrò di spingere: eliminare le piante organiche per quanto riguarda gli enti pubblici di ricerca, cosa che avrà come risultato l'immediata apertura dei concorsi. Molti enti pubblici di ricerca, infatti, hanno un'enorme capacità di fare ricerca finanziata da terzi, per portare avanti la quale, non avendo in pianta organica dei posti per giovani ricercatori, sono costretti a fare contratti a tempo determinato: è un cane che continua a mordersi la coda. Pensate solo che se un ente pubblico di ricerca improvvisamente riceve un grant da un ente nazionale o da uno straniero che gli dà una certa quantità di fondi, può andare avanti solo facendo precariato. Non ha altre strade. Il precariato è, quindi, un evidente risultato del blocco delle assunzioni. Né la colpa può essere addebitata all'ente pubblico, che deve sopravvivere (fortunatamente!) e per sopravvivere ha bisogno di giovani e di competenze. E come le recupera se non attraverso il precariato, se noi stessi all'ente pubblico abbiamo bloccato la possibilità di svilupparsi?
È chiaramente una contraddizione in termini su cui tutti dobbiamo lavorare, per poter completare queste operazioni. È chiaro che questo non lo potremo fare in sei mesi o in un anno: abbiamo bisogno di un percorso di stabilizzazione; abbiamo


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bisogno di individuare una condizione per cui siano rispettati i principi di qualità e non vi siano automatismi senza verifiche di qualità. Il caso che citava il presidente è uno di quelli che può essere affrontato, perché ne rappresenta uno in cui tutti gli accertamenti di qualità sono già stati effettuati.
Quanto alle nuove tecnologie, qualcuno mi ha chiesto quale sia lo stato dell'arte e come pensiamo di procedere. Devo dire che lo stato dell'arte è buono, nel senso che ci troviamo in un sistema in cui sono state prese delle decisioni ed effettuate delle spese nella giusta direzione per il momento storico in cui sono state assunte.
Oggi il momento storico è cambiato: non abbiamo bisogno di hardware, ma abbiamo più bisogno di servizi, quindi chiaramente ci sposteremo su questo versante, che però potrà essere perseguito anche perché già esiste un hardware adeguato. Il paese, quindi, oggi ha bisogno molto più di servizi e di riorganizzazione di quanto ne potesse avere bisogno cinque anni fa, e in questa direzione ci stiamo muovendo con molta aggressività.
Abbiamo modificato la carta d'identità elettronica rispetto alla precedente visione che si aveva di questo strumento: prima conteneva dei dati sensibili, oggi, invece, non li conterrà più, ma avrà solo una funzione di accesso ai dati. In tal modo aumenterà la sicurezza e si darà la possibilità a questa carta di diventare utilizzabile per tutta una serie di dati disponibili sul territorio.
Abbiamo ulteriormente spinto verso l'interoperabilità, che è un'iniziativa già avviata nella precedente legislatura, ma che aveva un forte bisogno di rilancio, rappresentando un elemento di debolezza del nostro sistema informatico, che non è interconnesso: pensate che molte delle banche dati che possediamo - alcune di esse molto importanti e fatte molto bene - non sono capaci di dialogare fra di loro.
Nel generale settore dell'innovazione tecnologica, abbiamo un ruolo abbastanza forte e possiamo rapidamente utilizzare l'informatizzazione per migliorare l'attività di tutto il sistema della pubblica amministrazione.
Sull'innovazione nell'impresa - per la quale sono anche delegato - è da tenere in conto che il tessuto imprenditoriale nazionale è diverso da quello di altri paesi. Il nostro è costituito da piccole e medie imprese e, in un mercato globale, non può fare innovazione se non accede alla ricerca. Abbiamo, quindi, fortemente bisogno di spingere sulla ricerca pubblica. Contrariamente a quanto si possa fare negli altri paesi del mondo, noi abbiamo una forte necessità di avere una ricerca pubblica che si interfacci con nuovi modelli di interazione con l'industria privata, che, appunto, è medio-piccola.
L'industria di grandi dimensioni ha altre problematiche, ma il problema centrale del nostro Paese è che l'innovazione deve essere pervasiva nelle imprese di dimensioni medie e piccole. Gli investimenti sulla ricerca devono perciò crescere fortemente, ma deve crescere anche la sensibilità all'utilizzazione dei risultati della ricerca.
I nostri ricercatori, che sono dei bravi scienziati, hanno purtroppo scarsa abitudine ad utilizzare i risultati delle loro ricerche, quindi non sono pronti a trasferire questi risultati alle imprese. È su questo che credo tutto il Governo debba impegnarsi, al fine di sviluppare dei modelli appropriati nel nostro Paese in questo specifico settore.
Vorrei poi rassicurare sul rinnovo del contratto del pubblico impiego, che è stata una delle condizioni di base per avviare i tavoli di lavoro con le organizzazioni sindacali. Lo abbiamo avviato anche sulla base di un impegno forte del ministro Padoa-Schioppa, secondo il quale questo sarà un argomento prioritario nella prossima finanziaria. E questo è certamente un elemento di forza.
Stiamo studiando da dove recuperare i fondi: ci sono diverse opportunità. Come sapete, ho già avviato la dismissione di una quindicina di società collegate al Formez. L'operazione ha permesso di recuperare già all'avvio 5 milioni di euro. Abbiamo


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quindi riportato all'interno del Formez tutte le iniziative che venivano svolte in queste società collegate. E lo abbiamo fatto pensando poi di riorganizzare il Formez stesso. Il Formez - ne parleremo quanto prima, appena avremo le idee più chiare - deve infatti avere un rilancio, in un momento storico in cui il suo ruolo può essere diverso da quello per cui è nato. Probabilmente quel «mez» che sta alla fine del suo nome deve diventare «it», per dire che si sposta da una formazione per il Mezzogiorno ad una per il Paese, per l'Italia. Tutte le nostre regioni, infatti, hanno bisogno di un'attività continua di pungolo, di servizio, di formazione, probabilmente non erogata dallo stesso Formez, ma validata da un ente che si occupi di certificazione della qualità della formazione. È una questione che stiamo studiando nel dettaglio e mi farà piacere tornare da voi prima ancora di prendere delle decisioni sull'argomento.
Come vedete i problemi che abbiamo di fronte sono molteplici. Abbiamo un sistema di equazioni a molte variabili, che dobbiamo cercare in qualche modo di decifrare in tempi rapidi, perché non abbiamo la possibilità di lavorare in maniera lineare, risolvendo e andando avanti, ma dobbiamo costruirci un progetto che ci consenta di governare questa complessità, che decisamente, in questo momento, è uno dei nodi critici per lo sviluppo del Paese.
Ancora una volta, quindi, vi ringrazio e mi scuso se non ho risposto nel dettaglio alle vostre domande, perché sarebbe stato un po' complesso; se volete lo farò per iscritto a chiunque di voi me lo richieda. Spero - ed ho già avanzato richiesta al presidente in tal senso - di poter continuare a discutere con voi e a presentarvi gli avanzamenti dei lavori del mio Ministero.

LUCIA CODURELLI. Partiamo anche dai lavori parlamentari, perché anche questi necessitano di innovazione...!

PRESIDENTE. Nel ringraziare ancora il ministro per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10.