COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 8 febbraio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANNI PAGLIARINI

La seduta comincia alle 14,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, sullo stato di attuazione del programma di Governo nelle materie di sua competenza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, sullo stato di attuazione del programma di Governo nelle materie di sua competenza.
Nel dare la parola al ministro Damiano, faccio presente che, al termine della sua relazione, i deputati potranno formulare considerazioni e rivolgergli domande. Abbiamo circa un'ora di tempo. Come di consueto, l'intervento di replica del ministro concluderà l'audizione.
Do subito la parola al ministro Damiano, affinché illustri la sua relazione.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ringrazio il presidente e la Commissione. Ho avuto modo di svolgere la mia prima audizione presso la Commissione lavoro della Camera il 27 giugno scorso e in quella occasione ho enunciato le linee-guida del Governo sui temi del lavoro. Ho altresì spiegato che non sarei stato in grado di fornire un quadro definitivo dei provvedimenti da adottare, non tanto per un atteggiamento poco rispettoso nei confronti della Commissione - per me è un luogo di lavoro essenziale -, ma perché il Governo, in quella fase, attraverso atti di concertazione, stava definendo concretamente le sue linee d'azione.
È evidente che, trascorso un tempo relativamente breve, ma pur sempre significativo, dopo l'approvazione della legge finanziaria e, prima di essa, l'approvazione di altri atti legislativi, è oggi possibile fornire un quadro più puntuale della situazione, ma soprattutto, per quello che mi riguarda, verificare se vi sia coerenza fra l'audizione del 27 giugno scorso e gli atti successivi.
Mi sforzo di mantenermi coerente, naturalmente, ma non è detto che ci riesca sempre. In ogni caso, sono profondamente convinto che l'azione di Governo, al di là delle parole e dei programmi, vada valutata dal Parlamento e dai cittadini attraverso la definizione di provvedimenti concreti. Come ho già avuto modo di dichiarare in altre occasioni, il punto di partenza per me è rappresentato dal programma elettorale dell'Unione, che mi auguro diventi, in particolare per le parti che mi riguardano, programma di Governo e legislazione concreta, a vantaggio dei cittadini.
Nella scorsa audizione avevo sottolineato i temi della competitività del paese, da accompagnare con i problemi della tutela del lavoro; la scelta - per me irrinunciabile - della concertazione; il


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«no» alla politica dei due tempi; la capacità di coniugare rigore, sviluppo ed equità; le tematiche specifiche del cuneo fiscale, per quanto riguarda sia le problematiche dell'impresa, sia le problematiche del lavoro; l'esigenza di ridare al lavoro a tempo indeterminato, come modalità di impiego dei lavoratori, un ruolo fondamentale e prevalente; una particolare attenzione ai giovani e alle donne fra i 35 e i 45 anni e agli over 50, ossia alle figure deboli nel mercato del lavoro; l'esigenza di elevare i contributi pensionistici del lavoro parasubordinato, per diminuire la differenza fra questa forma contrattuale e quella dei lavoratori cosiddetti a tempo indeterminato; l'esigenza di prevedere iniziative sul tema degli ammortizzatori sociali e dell'estensione dei diritti universali di base, come maternità, paternità e malattia, per quanto riguarda il lavoro flessibile; la lotta al lavoro nero, a partire dal settore dell'edilizia; un'iniziativa relativa alla stabilizzazione del lavoro, a partire dal settore dei call-center; il potenziamento auspicabile delle ispezioni, attraverso nuove assunzioni di ispettori del lavoro; l'esigenza di revisione del sistema degli appalti. Queste sono le questioni direttamente attinenti al mercato del lavoro. Infine, avevo posto l'esigenza - secondo le mie testuali parole della relazione - di dare il via ad un nuovo impulso nel settore delle pensioni complementari.
Queste erano state, a grandi linee, le argomentazioni e i temi che avevo affrontato in quella occasione. Ora si tratta di vedere, come ho già anticipato, se tra quelle argomentazioni e le azioni concrete del Governo esista o meno una relazione, una coerenza, un primo segnale di marcia in quella direzione.
Partendo dal tema della concertazione, ho fiducia in questo strumento, che credo di aver utilizzato in una misura significativa con le parti sociali. Non voglio entrare in polemica con il precedente Governo, anche perché è ovvio che un Governo di centrosinistra abbia scelte di fondo diverse da quelle di un Governo di centro-destra, senza che questo comporti che tali scelte siano giuste o sbagliate. Ognuno opera in base alle proprie convinzioni. Tuttavia, è evidente che, a differenza del Governo precedente, che l'aveva accantonata, abbiamo fatto della concertazione un punto importante. Con questo non voglio dire che tutti i passi compiuti siano stati privi di contraddizioni; del resto, questa prima fase è stata una sorta di rodaggio. Direi, però, che le azioni contenute negli atti legislativi che ho provveduto ad emanare sono state tutte realizzate sotto il segno della concertazione con le parti sociali.
Il secondo aspetto è quello della competitività e della tutela del lavoro. Come ho già avuto modo di dire, abbiamo lavorato non alla politica dei due tempi, ma nella legge finanziaria abbiamo coniugato rigore, sviluppo ed equità.
Avevo anticipato l'esigenza di un intervento sul cuneo fiscale. Questa esigenza si è trasformata in atti di Governo, sia a vantaggio delle imprese che a vantaggio del lavoro. Allo stesso modo, avevo annunciato nella scorsa audizione l'intenzione del ministro del lavoro di condurre una battaglia, nell'ambito della discussione della legge finanziaria, che qualificasse in termini selettivi la diminuzione del cuneo fiscale relativo al costo del lavoro e delle imprese. Devo dire che quelle parole corrispondono alle nostre decisioni. Infatti, risulta confermata la scelta, che avevo anticipato, di destinare le risorse del cuneo fiscale - tre punti percentuali, stimabili in circa 5 miliardi di euro strutturali, a partire dal 2008, a vantaggio della diminuzione del costo del lavoro per le imprese - esclusivamente al lavoro a tempo indeterminato, sia esso full-time o part-time. Credo che questo sia un risultato estremamente importante, che conferma le scelte che, molti mesi fa, avevano caratterizzato questo Ministero, al fine di qualificare la manovra sul cuneo fiscale.
Avevamo altresì escluso, in queste manovre, l'ipotesi di toccare i cosiddetti contributi previdenziali. Infatti, la manovra non tocca i contributi previdenziali, anche al fine di salvaguardare le potenzialità del sistema pensionistico pubblico.
Per quanto riguarda gli interventi a vantaggio del lavoro, da questa manovra


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esce confermata la nostra previsione circa l'intenzione - realizzata nella legge finanziaria da questo Governo, a differenza di quello precedente - di valorizzare l'intervento fiscale a vantaggio delle famiglie e dei redditi medio-bassi, fino a circa 40 mila euro lordi annui. Del resto, queste cifre sono state confermate, nel mese di gennaio, dalle prime buste paga e dalle prime rilevazioni, per cui fino a 40 mila euro c'è un vantaggio, che può essere più o meno accentuato - meno per i singles, di più per le famiglie - anche a seguito delle modifiche in materia di assegni familiari, sui quali il Governo è intervenuto in modo piuttosto preciso.
Avevo parlato di lavoro nero, facendo riferimento in particolare al settore dell'edilizia. Voglio a tale proposito ricordare che, già a partire dal cosiddetto decreto Bersani (il decreto-legge n. 223 del 2006), nel mese di agosto avevo provveduto ad inserirvi una sorta di «pacchetto sicurezza» che, in particolare, voleva affrontare il tema del lavoro nero a cominciare dai cantieri nel settore dell'edilizia. Quali norme abbiamo introdotto? La prima, che ritengo fondamentale, prevede la possibilità di sospensione dei cantieri edili in caso di impiego di personale in nero (in misura pari al 20 per cento o più dei lavoratori regolari); la seconda misura dispone l'obbligo dei datori di lavoro di munire tutti i lavoratori edili di una tessera di riconoscimento, che gli stessi sono tenuti ad esporre; inoltre, abbiamo introdotto l'obbligo della comunicazione di assunzione antecedente a quella dell'instaurazione del rapporto di lavoro per i datori di lavoro dell'edilizia; ancora, abbiamo stabilito l'inasprimento delle sanzioni per l'omessa iscrizione nei libri obbligatori dei lavoratori e, infine, la reintroduzione dell'indennità di trasferta a favore del personale ispettivo, abrogata con la legge finanziaria del 2005.
Queste sono le misure che sono state introdotte; ora si tratta, a mio avviso, di verificarne l'efficacia. Abbiamo provveduto, tramite le direzioni generali competenti, ad un monitoraggio della situazione sul lavoro nero, a partire dal settore dell'edilizia. Sono in grado di confermarvi - questi sono gli ultimi dati a nostra disposizione - che dal 12 agosto al 31 dicembre del 2006 abbiamo sospeso 518 cantieri, nei quali abbiamo riscontrato più del 20 per cento di lavoratori in nero, e ne abbiamo riaperti 199. Questo scarto esiste perché, in molti casi, le piccole imprese, piuttosto che pagare la sanzione, preferiscono «dileguarsi» e i lavoratori vengono regolarizzati dall'impresa capocantiere.
Quali sono stati i risultati di questa azione? Rispetto al 2005, il 2006 porta nel settore dell'edilizia un saldo occupazionale di più 43.304 unità a fine dicembre e un saldo positivo di contributi riscossi dall'INPS, a fine dicembre, pari a più di 23 milioni di euro. Questo risultato è tanto più significativo perché il saldo occupazionale di 44 mila persone in più è da ascriversi totalmente agli ultimi quattro mesi dell'anno. In assenza di queste normative, il saldo occupazionale del settore dell'edilizia nel 2006 sarebbe stato, a tendenza costante, negativo, anziché positivo. Credo che questo sia un ulteriore dato che dobbiamo considerare.
Secondo i rilievi che ci ha fornito l'INAIL in riferimento ai lavoratori assunti da settembre a dicembre 2006 - i nuovi assunti del settore dell'edilizia ammontano a 283.177 unità -, sconosciuti all'INAIL risultavano 45.583 (in quattro mesi). Di questi, 31 mila sono italiani, 13 mila sono stranieri. Non necessariamente si tratta di lavoratori tutti in nero. Voglio persino accettare la versione secondo la quale tra questi «sconosciuti» ci saranno certamente lavoratori che, per la prima volta, entrano nel settore dell'edilizia. Tuttavia, considerando il fatto che i due terzi di questi nuovi lavoratori emersi dal nulla hanno più di trent'anni, questa tesi restringe notevolmente il campo. Pertanto, si può dire, secondo l'INAIL - e questo è confermato - che la quasi totalità di questi 45 mila lavoratori emerga dal settore del lavoro nero.
Credo che questa strada intrapresa dal Governo sia molto importante. Devo anche dire che le norme che abbiamo introdotto sono il frutto di un'azione con le parti


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sociali, condivisa pienamente dai sindacati confederali, ad esempio, nel settore dell'ANCE e delle altre associazioni dell'edilizia. Aggiungo che questa azione ha trovato un vasto consenso nell'ambito dei partiti non solo della maggioranza, ma anche dell'opposizione.
Naturalmente queste norme hanno trovato una loro ulteriore estensione nell'ambito della legge finanziaria: ad esempio, l'utilizzo del documento unico di regolarità contributiva diventerà per noi lo strumento base per la certificazione della regolarità dell'impresa, al fine di ottenere non solo i contributi nazionali, ma anche quelli europei. Vorrei segnalarvi che nel 2004, prima della nostra legislazione sul documento unico di regolarità, erano stati emessi 34 documenti di regolarità (dati dell'INPS); nel 2005 ne sono stati emessi 20.878; nel 2006, dopo la nostra normativa, ne sono stati emessi 878.627 e soltanto nel mese di gennaio del 2007, 84.364. Il totale dei documenti emessi è 983 mila. Ritengo prudenzialmente di poter dire che, con l'anno in corso, saremo in grado di arrivare a quasi 2 milioni di documenti unici di regolarità contributiva, a fronte di una platea di 4 milioni di imprese esistenti in Italia.
Aggiungo che, per quanto riguarda il settore dell'agricoltura, stiamo lavorando all'introduzione di questo sistema, che dovrebbe essere collegato anche ai fondi derivanti dall'Unione europea.
Sempre stando ai dati dell'INPS, voglio riferire alcune cifre relative agli incassi da recupero crediti, attività molto importante: nel 2003 gli incassi di recupero erano pari a 2 miliardi e 98 milioni di euro, mentre nel 2006 l'importo è stato pari a 3 miliardi e 640 milioni di euro.
Per quanto riguarda l'attività ispettiva e il controllo del lavoro nero e irregolare, segnalo che, per ciò che riguarda i rapporti di lavoro annullati nel settore dell'agricoltura - secondo i dati dell'INPS -, nel 2003 sono stati annullati 3.805 rapporti, passati nel 2006 a 127.388.
L'attività degli ispettori, dal primo trimestre del 2006 all'ultimo trimestre, ha visto un incremento dal 38,92 al 44,66 per cento di attività esterna. Mi ripropongo, entro il 2007, di superare la soglia del 50 per cento nel rapporto tra attività esterna e attività interna. Come vedete, si tratta di «lavori in corso», ma estremamente importanti. Questo incremento di attività è avvenuto anche a seguito dell'assunzione degli ispettori, più di mille: 800 in una prima tranche, altri 300 con l'ultima legge finanziaria e 60 provenienti dal nucleo carabinieri, che si aggiungono agli ispettori preesistenti. Le attività di ispezione non solo si intensificano, ma cercano anche di utilizzare strumenti molto più avanzati.
In agricoltura, recentemente abbiamo utilizzato in Puglia, per la prima volta, l'elicottero per le ispezioni. Può sembrare strano, ma vi assicuro che, quando si interviene in determinati campi, come l'agricoltura o l'edilizia, si è in presenza di situazioni non tanto normali e a volte di pericolo. Calarsi dall'alto con l'elicottero, balzare al suolo e fermare letteralmente la fuga dei lavoratori irregolari fa parte, purtroppo, dell'attività ispettiva che siamo costretti a svolgere, giorno dopo giorno, attività che sta portando a risultati molto importanti.
Come ho detto, la lotta al lavoro nero comporterà l'estensione di queste norme all'insieme dei settori, dal documento unico di regolarità all'obbligo di comunicazione dell'avvenuta assunzione il giorno prima dell'inizio del lavoro. La circolare su questo argomento è già stata emessa ed è operativa dal 1o gennaio 2007. Oltre a questo, abbiamo provveduto, nella legge finanziaria, a rendere concreta la normativa per la stabilizzazione del lavoro, a partire dai call-center, ma non solo. Sapete che nel mese di giugno ho emanato una circolare applicativa della legge n. 30. In seguito c'è stato un avviso comune delle parti sociali che è stato recepito nella legge finanziaria. In questo particolare aspetto della normativa esiste una precisa discontinuità con le azioni precedenti, in quanto io considero il ruolo della contrattazione sindacale con le parti sociali un punto fondamentale di riferimento, tanto che ho


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attribuito le opere di emersione e di stabilizzazione alla contrattazione aziendale o di territorio.
A seguito di queste normative, della circolare e dell'avviso comune, posso dirvi che abbiamo cominciato a monitorare l'applicazione delle nuove norme nell'ambito dei call-center, al fine di trasformare il lavoro parasubordinato in lavoro subordinato. Non solo, il Gruppo Atesia finalmente - il problema si trascinava ormai dal 1999 - ha stabilizzato 6.400 lavoratori, impegnati in attività outbound e inbound, con contratti a tempo indeterminato part-time, ma anche altre aziende faranno altrettanto.
Posso dire - e qui mi riferisco ad una cifra in difetto - che dal mese di gennaio 2007 ad oggi abbiamo raggiunto accordi che hanno comportato la stabilizzazione di almeno 8 mila persone, per lo più giovani, diplomati e laureati, nel settore dei call-center. Ho provveduto nei giorni scorsi ad istituire, presso il Ministero del lavoro, un osservatorio congiunto con le parti sociali, per monitorare l'applicazione degli accordi nel campo dei call-center, in quanto la normativa scade entro il mese di aprile del 2007. Abbiamo destinato risorse per l'emersione e la stabilizzazione che potrebbero riguardare, soltanto in questo comparto, circa 60 mila persone.
Ci auguriamo che gli accordi sindacali riguardino le 700 aziende del settore e coinvolgano i 250 mila lavoratori dello stesso. Questo è quanto risulta secondo le nostre statistiche. Naturalmente la stabilizzazione di 60 mila lavoratori dimostrerebbe un'inversione di marcia formidabile. La norma parte dai call-center, ma naturalmente vale per l'insieme.
Per quanto riguarda il miglioramento delle condizioni dei lavoratori parasubordinati, così come avevo annunciato, anzi, più di quello che avevo annunciato a giugno, abbiamo introdotto miglioramenti per il lavoro subordinato, con misure di tutela per malattia e per gravidanza (soprattutto nel caso di gravidanze a rischio). Le normative saranno attuate nel breve termine, alcune lo sono già.
Per ciò che concerne i lavoratori apprendisti, per la prima volta è stata prevista una tutela per malattia, che non esisteva in precedenza. Inoltre, abbiamo provveduto ad innalzare i contributi previdenziali dal 18 al 23 per cento, inserendo una clausola che fa riferimento, in termini di salvaguardia per i lavoratori, anche ai livelli retributivi contenuti nei contratti nazionali di lavoro, in ogni caso con una previsione di far carico in quota maggioritaria al datore di lavoro, anche per il lavoro parasubordinato, dei maggiori oneri che derivino dall'evoluzione dei contributi previdenziali.
Tutto questo va in una direzione che per me è molto chiara: il lavoro flessibile deve costare più del lavoro stabile. Incentiviamo la stabilizzazione del lavoro. Anche questo è un elemento di discontinuità con il passato Governo, che ha compiuto legittimamente una scelta diversa, ad esempio quella di sospendere il credito di imposta a vantaggio del lavoro a tempo indeterminato. Invece, io ho voluto introdurre, attraverso il cuneo fiscale, un legame esclusivo fra diminuzione del costo del lavoro e fattispecie di lavoro a tempo indeterminato.
Non si tratta di tornare al posto fisso di antica memoria, ma di creare dei percorsi di stabilizzazione. Oggi il problema della flessibilità è distinguere la precarietà dalla buona flessibilità e sapere che, purtroppo, tre fattispecie - i nostri giovani, laureati e diplomati, le donne di età tra i trentacinque e i quarantacinque anni e coloro che perdono il lavoro dopo i cinquant'anni, ben 200 mila persone, secondo i dati dell'INPS - rimangono in molti casi intrappolate all'interno di lunghi periodi di lavoro flessibile o precario, discontinuo o addirittura di assenza di lavoro. Su questo abbiamo inteso intervenire, con le norme che abbiamo emanato.
Per quanto riguarda la questione degli appalti, d'intesa con il ministro Di Pietro, abbiamo già provveduto, nel corso di un Consiglio dei ministri, due settimane fa, ad emanare uno schema di decreto legislativo


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recante disposizioni correttive e integrative per quanto riguarda il problema degli appalti nel settore pubblico.
In particolare, abbiamo previsto che, tra i requisiti soggettivi per la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni di appalti di lavori, servizi e forniture, e per la stipulazione dei relativi contratti pubblici, anche il possesso della regolarità contributiva sia un attestato di accesso. In altre parole, abbiamo introdotto una relazione fra il DURC e la possibilità di partecipare alle procedure di affidamento degli appalti pubblici.
In secondo luogo, abbiamo introdotto nel codice degli appalti la definizione di tutela dei diritti dei lavoratori. In terzo luogo, si è data maggiore incisività al ruolo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale nel rapporto con l'osservatorio dei contratti pubblici, sotto il profilo del collegamento tra il sistema informatico dell'osservatorio e quello dei ministeri interessati.
Inoltre, abbiamo voluto introdurre una normativa sul costo del lavoro: nella determinazione dei costi standardizzati per tipo di lavoro, servizi e forniture si tiene conto del costo del lavoro come determinato periodicamente dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale: esso farà riferimento ai livelli retributivi dei contratti nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative (dico «maggiormente rappresentative» perché, a volte, vi sono contratti di lavoro di organizzazioni sindacali meno rappresentative, con il rischio di una concorrenza contrattuale che ovviamente mette in difficoltà i lavoratori).
Infine, abbiamo previsto sempre in queste disposizioni correttive, con la modifica dell'articolo 38, il contrasto al lavoro sommerso, in modo tale da escludere dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni degli appalti dei lavori, servizi e forniture coloro che sono già stati destinatari di provvedimenti di sospensione di lavoro a seguito di riscontro di utilizzo di personale non risultante da scritture o da altra documentazione probatoria. Ciò vuol dire che se un cantiere viene chiuso per la presenza di lavoratori irregolari, quella società non potrà partecipare successivamente a gare pubbliche di appalto. Si tratta di una norma che ho voluto introdurre insieme al ministro Di Pietro per favorire la regolarizzazione e la trasparenza.
Ci sarebbero molte altre considerazioni da aggiungere, ma non voglio tediarvi. Vi segnalo soltanto che, nella giornata di ieri, è stato concluso un accordo tra il Ministero del lavoro e la regione Calabria per una prima stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili. È nostra intenzione «svuotare» questo bacino che comprende 20 mila lavoratori. Abbiamo inserito nella legge finanziaria una norma che consente una stabilizzazione di almeno 2.450 lavoratori socialmente utili, su base nazionale, da assumere nei comuni fino a 5 mila abitanti. Questi lavoratori, il più delle volte, garantiscono essi stessi l'organizzazione e la sopravvivenza dei comuni, per le mansioni che svolgono: possono trasportare i bambini, curare le pulizie delle strade, provvedere alla guardiania ed altro. Si tratta di procedere alla loro stabilizzazione, anche perché oggettivamente si sostiene già un costo.
Ovviamente, come tutti sanno, il Governo prevede di aprire alcuni tavoli di concertazione: uno sullo sviluppo e sulla competitività del sistema produttivo; un altro sullo Stato sociale, in particolare sugli ammortizzatori sociali, la revisione delle normative sul mercato del lavoro e la manutenzione del sistema pensionistico; un terzo tavolo relativo al settore pubblico. Per quanto riguarda quest'ultimo settore, nella legge finanziaria abbiamo provveduto, d'intesa con il ministro Nicolais, ad emanare alcune normative di stabilizzazione di quote di lavoratori pubblici che abbiano un contratto di lavoro a tempo determinato di almeno tre anni e abbiano superato un concorso, così come prevede la regola della pubblica amministrazione. Abbiamo ovviamente stabilizzato le risorse per gli ammortizzatori sociali, che pongono il Ministero nelle condizioni di intervenire nelle situazioni socialmente più esposte.


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Questo è il punto al quale siamo arrivati. Mi pare che ci si trovi di fronte ad azioni evidenti e concrete, di un qualche significato. È chiaro che fare emergere dal lavoro nero 45 mila persone - gli abitanti della città in cui sono nato, Cuneo - è un fatto rilevante. Tuttavia, di fronte a 3 milioni e 500 mila lavoratori in nero è ancora insignificante, è poco più dell'1 per cento.
Comunque, sono una persona concreta, che guarda al miglioramento della realtà, e credo che, passo dopo passo, possiamo produrre ulteriori risultati. A mio parere, 10 mila lavoratori stabilizzati nei call-center rappresentano un primo passo, ma si tratta pur sempre di lavoratori che finalmente godranno di quei diritti fondamentali, di cui prima erano privi - come le ferie, la tutela per malattia, l'infortunio, la maternità e quant'altro -, che caratterizzano il lavoro stabilizzato. Devo ricordare che queste persone già svolgevano un lavoro di carattere indeterminato e subordinato.
Questi mi sembrano elementi che individuano la strada che abbiamo intrapreso.
Inoltre, vogliamo condurre una battaglia sui temi della tutela della salute del lavoro. Nella discussione aperta nel mese di giugno dell'anno scorso, avevo anticipato l'intenzione del Governo di elaborare un testo unico sulla salute e sulla sicurezza, da presentare con una legge delega nel corso della legislatura. Posso confermare che il testo è pronto; è stato redatto con il coinvolgimento ed il consenso delle parti sociali (imprese, lavoro, regioni) ed è stato oggetto di una discussione nel corso della seconda Conferenza nazionale sul tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, svoltasi a Napoli. Il testo è stato presentato ieri al Consiglio dei ministri e su di esso domani verrà effettuata una valutazione tecnica.
Mi auguro che questo testo normativo, che non è soltanto compilativo ma anche innovativo, possa essere rapidamente valutato in un dibattito parlamentare che abbia il più vasto contributo di tutti i partiti. Del resto, sappiamo che su questo argomento si sono pronunciati il Presidente della Repubblica, L'Osservatore Romano, le parti sociali, i Presidenti di Camera e Senato. È stata istituita presso il Senato una Commissione d'indagine sui problemi della sicurezza sul lavoro, presieduta dal senatore Tofani, con il quale siamo in rapporto molto stretto di collaborazione e di reciproco apprezzamento.
Concludo con un cenno sulla previdenza complementare. Nel mese di giugno dell'anno scorso auspicavo un'accelerazione e posso dire di essere stato in grado di anticipare di un anno il decollo della previdenza complementare. Il 27 dicembre scorso si è conclusa la votazione sulla legge finanziaria ed è stata indicata una scadenza, il mese di gennaio del 2007. Entro quella data abbiamo firmato i relativi decreti interministeriali. Ieri il Presidente del Consiglio e i due ministri interessati hanno firmato il decreto riguardante le iniziative di carattere informativo nei confronti dei cittadini. Abbiamo altresì attivato un numero verde, che riceve circa 1.200 telefonate al giorno, ed avviato con la Rai - televisione e radio - alcuni spot che invitano i cittadini ad affrontare il tema della previdenza complementare.
Naturalmente si tratterà di affrontare il tema relativo all'estensione della previdenza complementare nel settore del pubblico impiego, un altro obiettivo che abbiamo in mente e sul quale stiamo lavorando.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor ministro, per la relazione ricca di dati, che può consentire ai colleghi di esprimere valutazioni e considerazioni.
Al fine di agevolare la più ampia partecipazione alla discussione, rivolgo a tutti l'invito a contenere gli interventi nell'ambito dei cinque minuti ciascuno.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

TITTI DI SALVO. Chiedo scusa in anticipo, ma ho un problema improvviso: la baby sitter mi ha «abbandonato». Dopo


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l'intervento, dunque, sarò costretta a lasciare i lavori per andare a prendere la bambina a scuola alle 16,30.
Raccogliendo l'invito alla brevità del presidente Pagliarini, formulerò quattro rapide osservazioni.
In primo luogo, considero particolarmente rilevanti le scelte che la legge finanziaria ha compiuto sui temi del lavoro. Ho già avuto molto di dire, in molte sedi, che la ritengo la parte più organica e sicuramente apprezzabile della legge finanziaria.
Naturalmente, c'è un piano di legislatura da realizzare, e il ministro Damiano lo ricorda sempre. Condivido il passo lento delle scelte concrete e credo sia giusto riconoscere al ministro Damiano e al Governo quanto qui è stato ricordato con dovizia di particolari. La direzione di marcia intrapresa è assolutamente coerente con l'ispirazione del programma, con la lettera del programma e con la cultura politica che lo sostiene, che ha nella scelta del lavoro a tempo indeterminato, come scelta fondamentale, il tratto di profilo. Ho avuto modo di dire qualche giorno fa, proprio in questa Commissione, che si tratta di una scelta europea, poiché riflette esattamente i principi fondamentali del trattato costituzionale.
In secondo luogo, già in questa legge finanziaria, al di là del programma di legislatura, ci sono interventi su tutti gli aspetti legati alla precarietà del lavoro: in particolare sul lavoro nero, che ne è la fonte principale, ma anche sull'emersione dei contratti di collaborazione e sull'annuncio, già posto in agenda, di un tavolo con le parti sociali sulla riforma della legge sul mercato del lavoro (legge Biagi). Sui contratti a termine si rileva un'iniziativa del Ministero, che condivido.
A tale riguardo, mi permetto di esprimere una considerazione relativa alle indagini che questa Commissione - come il ministro Damiano sa - svolge sulla precarietà. Nel corso delle audizioni svolte con diversi soggetti, proprio qualche giorno fa, sul tema dei contratti a termine, sulla modifica della legge n. 368 e soprattutto sulla necessità (avvertita da chi vi parla, ma anche da altri membri della Commissione e, mi pare, contenuta anche nella proposta avanzata dal Ministero) di riproporre le causali per la stipula dei contratti a termine, la Confindustria, nella persona autorevole del suo vicepresidente, ha proposto un altro punto di vista. Essa ha ribadito che, in realtà, le causali sono già contenute nella legge n. 368, nel senso che sono descritte in qualunque contratto individuale che venga stipulato.
Allora, qui intendo evidenziare una questione: naturalmente, condivido quanto il ministro Damiano ha detto ed effettivamente esiste un problema riguardante la contrattazione collettiva, come fonte primaria di regolazione. Penso che sia sbagliato - ma i punti di vista possono essere i più vari e, in questo caso, quello di Confindustria è legittimo - auspicare che siano le leggi a regolare, in quanto queste ultime non sempre arrivano a risultati positivi. La contrattazione è sicuramente un'altra cosa. Credo che forse su questo tema converrebbe non aspettare oltre e provvedere ad un'iniziativa ministeriale.
In terzo luogo, sugli ammortizzatori sociali non dico tutto ciò che andrebbe detto. Permettetemi solo di sottolineare che la scelta principale sta nel delineare un modello di competitività del paese che spinga sulla qualità e si ponga il problema del cambio del modello di specializzazione.
So di toccare un tasto, quello degli ammortizzatori sociali, sul quale il ministro Damiano è sensibile, ma credo debbano esserlo anche tutti gli altri ministri di Governo. Se si vuole parlare di cambio del modello di specializzazione del paese, bisogna anche parlare di ammortizzatori sociali.
Da ultimo, sempre nel corso dell'indagine svolta dalla Commissione, è emerso che le donne sono le più penalizzate nei lavori discontinui o precari. La legge finanziaria ha già compiuto delle scelte: questa mattina è stata depositata una lettera al Presidente della Camera, firmata dalle parlamentari di tutti gli schieramenti, che chiede una corsia di urgenza, preferenziale, ai sensi dell'articolo 69 del


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regolamento, per la legislazione che riguarda le iniziative sulla vita e sul lavoro delle donne. È un'iniziativa del Parlamento, delle donne parlamentari, e dunque mi permetto di avanzare una richiesta al ministro Damiano in questo senso, anche perché mi pare che questa materia sia contenuta nella sua relazione.

SESTINO GIACOMONI. Ringrazio il ministro Damiano per la sua presenza e ringrazio anche l'onorevole Di Salvo che, implicitamente, ha riconosciuto almeno un merito al precedente Governo, ovverosia quello di aver consentito di regolarizzare la baby-sitter.

TITTI DI SALVO. Mi riferivo all'accordo di Schengen.

SESTINO GIACOMONI. La mia era solo una battuta. Comunque, alla fine, nella scorsa legislatura circa 700 mila lavoratori immigrati sono stati regolarizzati. Anche questa è emersione dal lavoro nero e credo che sia un dato positivo. Ne abbiamo regolarizzati molti.
Detto questo, vorrei ripartire, anche per essere sintetico, dalle parole del ministro Damiano. Lei, giustamente, ha detto che rappresentate la discontinuità, facendo poi l'esempio della concertazione. Innanzitutto, le vorrei ricordare che durante il Governo Berlusconi la concertazione è stata utilizzata, ad esempio, per la sottoscrizione del patto per l'Italia, per il recepimento della direttiva europea sui contratti a tempo determinato, o per la previdenza complementare, tutti provvedimenti che hanno visto la luce grazie alla concertazione. Poi, una componente sindacale, la CGIL, spesso, per altri motivi, non certo quello della tutela dei lavoratori, non era presente alle trattative o non le ha condivise.
Inoltre, signor ministro - questo lo dico con rammarico - lei ha affermato che a suo avviso la Commissione rappresenta un luogo di lavoro essenziale. Le rivolgo, spero anche a nome degli altri colleghi, un invito, come giovane parlamentare: per la prima volta in questa Commissione, almeno da quando la presenzio, siamo riusciti ad approvare un emendamento all'unanimità, riguardante proprio la previdenza complementare. Voi infatti, nel fare cosa meritoria, ossia nell'anticipare la riforma del Governo Berlusconi - che abbiamo condiviso -, avete imposto termini incredibili, addirittura il 31 dicembre 2006, per i fondi privati. Entro questo termine ci si doveva adeguare, per poter collocare i fondi stessi. La Commissione, all'unanimità, ha sottolineato che si trattava di un termine irrealizzabile, ragion per cui, presentando un emendamento, vi avevamo chiesto di concedere almeno tre mesi di proroga. Il bello è che questo stesso emendamento è stato poi trasformato in ordine del giorno dal Parlamento e accolto dal Governo. Ebbene, se lei viene qui a dirci che questo è un luogo di lavoro essenziale, ma poi, quando la Commissione si esprime all'unanimità e il Parlamento approva una indicazione, lei la ignora completamente, mi viene naturale il dubbio - non volevo crederci, ma adesso purtroppo ne abbiamo quasi la conferma - che quella norma sia stata scritta dai sindacati. Quindi, non si tratta più di concertazione; a volte, evidentemente, si scrive sotto dettatura. Non esiste altra spiegazione razionale. Ignorare in quel modo la volontà del Parlamento è qualcosa che, personalmente, mi ha ferito.
Inoltre, lei ha toccato il tema dell'intervento fiscale per le fasce di reddito basse. Le ricordo che una trasmissione televisiva come Ballarò, che tutto è, meno che una trasmissione favorevole al centrodestra, ha mostrato chiaramente buste paga di 1.095 euro a novembre o dicembre diventate di 1.030 euro a gennaio: si sono viste le buste paga chiaramente filmate. Quindi, anche quei redditi hanno avuto una perdita. Cinquanta o sessanta euro sembrano pochi, ma vi assicuro che per un reddito di mille euro rappresentano sempre una somma non indifferente. Oltretutto, a marzo ci saranno le addizionali e la rivalutazione degli estimi, quindi stiamo attenti a dire che i redditi bassi non hanno subito danni.


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Un altro esempio riguarda il cuneo fiscale. Lei ha vantato l'intervento sul cuneo fiscale, ma le imprese non se ne sono accorte, anche perché contestualmente il costo del lavoro è aumentato, con l'aumento dei contributi per i lavoratori dipendenti, per gli autonomi e per i co.co.co. Su questi ultimi apro una breve parentesi, poiché in questa Commissione, nel corso dell'audizione del presidente dell'INPS, è emerso un fatto grave. Innanzitutto, l'aumento dei contributi ha portato in passato - e sta portando ancora di più oggi - al non utilizzo di quella forma come contratto per l'ingresso dei giovani. Ma il fatto più grave, che abbiamo scoperto tutti quanti, credo, per la prima volta, è che i giovani che pagano i contributi previdenziali - da lei aumentati dal 18 al 23 per cento - non maturano il periodo contributivo previdenziale se non lavorano almeno sei anni come collaboratori. Al di sotto di quel periodo avranno «regalato» quei soldi all'INPS. L'invito che le rivolgiamo - spero che ci possa rispondere - è di arrivare finalmente alla totalizzazione dei periodi contributivi, cosicché un giovane che lavora con contratto co.co.co. per tre anni, come potrebbe essere normale, per poi diventare lavoratore a tempo indeterminato, veda quei contributi sommarsi al suo montante contributivo.
Lei ha fatto riferimento al lavoro nero. Quando sento dire che sono stati chiusi 518 cantieri a fronte di soli 199 aperti (o quali che siano), il dato mi preoccupa. Siamo tutti a favore dell'emersione del lavoro nero - facevo prima l'esempio degli immigrati, che comunque sono emersi -, ma l'obiettivo di un Governo, a suo dire liberale, sicuramente non dovrebbe essere la repressione tesa a far chiudere le aziende. Anzi, il Governo dovrebbe far nascere nuove aziende. Facciamo in modo che le aziende aprano, con lavoratori regolari, non che chiudano.
Un altro esempio riguarda il problema call-center, che lei ha richiamato. A me risulta (veniamo contattati come rappresentanti dell'opposizione e credo che risulterà anche a lei) che molti call-center, in realtà, non solo non stanno assumendo nuovi lavoratori, ma purtroppo si stanno trasferendo in Brasile e nell'Europa dell'est. Lei riporta il bel dato di 8 mila regolarizzati, facendo l'esempio di una società che non cito, ma da una semplice verifica risulta che la stessa società sta aprendo dei call-center in Brasile. Allora, non guardi soltanto ai lavori regolarizzati, guardi anche ai lavori non nati e a quei giovani che probabilmente non avranno più quell'opportunità, in quanto gli italiani non andranno certo in Brasile a lavorare.
La invito ad una riflessione. Stiamo svolgendo delle audizioni sulla precarietà. Sono emersi dati interessanti e sicuramente un dato innegabile, analizzando le cifre fornite da Istat e INPS, è che la legge Biagi ha funzionato. Oggettivamente, dai dati dell'Istat, risulta che sono stati creati nel quinquennio precedente 1 milione e 720 mila posti di lavoro in più. La inviterei a riflettere bene, prima di cancellare le nuove figure contrattuali previste dalla legge Biagi. Proprio ieri i rappresentanti di Confesercenti ci hanno detto che lo staff leasing e il lavoro a chiamata nel settore del turismo sono molto importanti per l'emersione del lavoro nero. Dopodiché, quello che serve, e che tutti siamo pronti a verificare con lei, non è abrogare la legge Biagi o eliminare quelle figure da lei qualificate come marginali, bensì completare la riforma Biagi introducendo gli ammortizzatori sociali. Su questo credo che tutti noi siamo pronti ad un confronto, e speriamo che le nostre idee e le nostre proposte, dell'opposizione o mi auguro congiunte, vengano accolte dal Governo.
Cito infine due temi che lei non ha toccato, ma che reputo importanti e sui quali ci aspettiamo una risposta. Lei venne qui, tempo fa, dicendo che fra i suoi obiettivi c'era l'abolizione dello «scalone» di cui oggi non ha parlato. Ho sentito Treu affermare che introdurrete gli «scalini». All'epoca le chiesi di farci sapere chi avrebbe pagato. Ci risulta che l'abolizione dello «scalone» costi molto, ma all'epoca lei non seppe quantificarcelo. Credo che


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oggi, dopo nove mesi, sia in grado di farlo. Vorremmo capire quanto costerà abolirlo e chi pagherà.
Un altro tema di cui si è parlato in questi giorni riguarda i PACS, che non rientrano nella competenza della nostra Commissione, ma ai quali si lega una parte relativa alle pensioni di reversibilità. Circola una voce, non so quanto vera, secondo cui per pagare queste nuove pensioni di reversibilità si sta pensando all'aumento dell'età pensionabile per le donne. Cerchiamo di dialogare su questo tema: sono a favore del riconoscimento per le donne dei contributi figurativi quando sono madri lavoratrici, cosa che oggi non hanno, ma sicuramente riconoscere la reversibilità a tutti, facendo pagare qualcun altro, suscita qualche dubbio.
In conclusione, le rivolgo un appello abbastanza accorato. Vorrei che il Parlamento, in questo caso la Commissione, fosse un po' più rispettata dal Governo. Fino a prova contraria, siamo ancora in una Repubblica parlamentare e non in una Repubblica «sindacale». Credo che la sovranità appartenga al popolo e non al sindacato e per questo la inviterei, se fosse possibile, oltre che a riferirci dati e a darci risposte, a prendere atto - qualche volta - delle decisioni che maturano in questa Commissione.

FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Intanto, mi complimento con il signor ministro, perché l'attività svolta, soprattutto per l'emersione del lavoro nero in edilizia, è preziosa. Quando si afferma che su 518 aziende chiuse solo 199 hanno riaperto, io dico «meno male», perché chi ha seguito il lavoro sul territorio sa che esistono aziende criminali. Se c'è un settore delicato della nostra società, è proprio quello dell'edilizia.
Desidero fare riferimento alla citazione, ripetuta dal ministro, sul tema della concertazione. Ricordo che la legge n. 493 del 1999 stabilisce che il lavoro svolto dalle donne nell'ambito del proprio nucleo familiare ha per il paese un valore economico. Queste lavoratrici, le casalinghe, pagano oggi un'assicurazione obbligatoria all'INAIL, hanno un fondo pensione di categoria proprio, regolarmente iscritto all'albo Covip, ed è l'unico fondo chiuso italiano nato dalle donne. Tuttavia, questo numero enorme di donne è dimenticato, in un'indifferenza culturale e politica terribile.
Poiché conosco la sua sensibilità - ne approfitto per ringraziarla della norma nella legge finanziaria che ha migliorato la legge sugli infortuni domestici -, le chiedo che venga istituito un tavolo per il lavoro non retribuito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Il Ministero dell'interno ha già aperto un tavolo, ma esso è riferito all'immigrazione e riguarda prettamente il lavoro familiare. Nell'anno dedicato alle pari opportunità, non ci sarebbe niente di più bello, per milioni di donne, dell'apertura di un tavolo su queste questioni al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Le ricordo che nel centro-sud - sono dati emersi dagli studi sul voto degli italiani - su 100 cittadini con diritto di voto, 30 sono casalinghe. Questa è una forza di cui bisogna tener conto. Le affido, pertanto, un messaggio positivo: un tavolo di concertazione con le organizzazioni proprie di questa categoria e l'impegno ad applicare positivamente quanto deliberato a Lisbona, ovvero più donne nel mercato del lavoro. Le donne non entrano nel mercato del lavoro perché sono isolate, abbandonate e non aiutate culturalmente.

SIMONE BALDELLI. Signor ministro, la ringrazio della sua presenza e della disponibilità per questa audizione. Lei ha detto che il lavoro flessibile deve costare più del lavoro stabile. È qui ben evidente una differente impostazione tra chi crede che il lavoro flessibile debba essere un imbuto che porta al lavoro stabile e che quindi debba essere conveniente per i datori di lavoro, e chi invece lo ritiene quasi un ostacolo all'accesso al lavoro e, pertanto, lo rende più difficile come strada da percorrere per coloro i quali vogliono arrivare al mercato del lavoro.


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C'è, dunque, una differenza di impostazione. Ovviamente, noi crediamo che la nostra sia valida, l'altra meno valida. Sta di fatto che, nel corso dell'indagine conoscitiva che la Commissione lavoro sta svolgendo sul precariato, sono numerose le categorie produttive che ci confermano che la flessibilità, in effetti, è uno strumento virtuoso e che, quindi, mortificarlo rendendolo più costoso non serve certo ad entrare nella sfera del lavoro a tempo indeterminato, ma semmai a riaprire la porta della precarietà, che non è quella del lavoro flessibile, ma probabilmente quella della disoccupazione e del lavoro sommerso.
Tengo a ribadire questa differenza di impostazione, perché probabilmente ciò ha comportato alcuni dei provvedimenti che il Governo ha posto in essere nell'arco di questi mesi che ci separano dalla sua prima audizione e che abbiamo giudicato in maniera negativa. Peraltro, sulla materia relativa al cuneo fiscale pesa ancora l'incognita del parere di Bruxelles, la cui mancata espressione lascia in sospeso una questione importante, riguardante non solo le imprese, ma anche i lavoratori. Questa è un'incognita e mi piacerebbe che il ministro Damiano ci dicesse cosa accadrebbe nel caso in cui non dovesse esserci l'assenso da parte di Bruxelles.
Pongo ora una questione di metodo. In questa Commissione, come sottolineato con puntualità dal collega Giacomoni, abbiamo discusso veramente poche questioni, alcune delle quali non sono state neanche prese in considerazione dal Governo, ma su questo tornerò fra qualche istante. È evidente, però, che tutte le modifiche normative che lei ha vantato - dal suo punto di vista con una certa coerenza - in tema di lavoro, sono state poste in essere dal Governo sostanzialmente prescindendo dal lavoro della Commissione. Difatti, la maggior parte di queste iniziative di carattere legislativo, a parte quelle propriamente ministeriali, sono approdate in Parlamento attraverso la legge finanziaria, quindi attraverso il maxiemendamento su cui è stata posta la questione di fiducia. È evidente pertanto che la Commissione non solo non ha avuto modo di discutere in maniera approfondita tali argomenti, ma anche qualora avesse avuto modo di pronunciarsi le sue valutazioni non sarebbero state accolte, così come è accaduto nel campo della previdenza complementare.
Lei ha rilasciato un'intervista in cui ha affermato che, tutto sommato, il lavoro a progetto previsto dalla legge Biagi va bene. Poi ha svolto un'audizione qui, qualche mese fa, nel corso della quale ha sostenuto che vanno abolite dalla legislazione vigente alcune fattispecie della legge Biagi che considera minoritarie, poco utilizzate e sostanzialmente più precarizzanti. Come ha già detto il collega Giacomoni, Confesercenti e Confcommercio hanno sottolineato che forme di lavoro quali il job on call e lo staff leasing, tutto sommato, in certi settori non solo sono utilizzate, ma addirittura sono considerate virtuose. Allora, delle due l'una: o sono utilizzate o non lo sono per niente. In entrambe le ipotesi, se sono utilizzate evidentemente sono utili, se non sono utilizzate evidentemente non c'è necessità di abolirle. Su questo argomento non comprendiamo quale possa essere la posizione politica del Governo, se non quella di offrire una sorta di «contentino» di carattere virtuale all'area politica che chiede l'abrogazione della legge Biagi. In realtà, il Governo non la può e non la vuole cassare, però ci tiene a far vedere che qualcosa toglie.
Inoltre, lei dichiara a Panorama Economy che, se ci fossero norme utili, non le abrogherebbe, come ha fatto con il lavoro a progetto, una delle principali figure che vengono messe sul «banco degli imputati» da una certa sinistra nel processo contro la cosiddetta precarizzazione. Siamo convinti del contrario e ci fa piacere che lei lo riconosca, però la discussione si fa su quello. Peraltro, in questa Commissione è stata avanzata una proposta, da parte di un partito che sostiene la maggioranza, che ridefinisce tutta la normativa sul lavoro flessibile. Su ciò vorremmo conoscere l'opinione del Governo.
Il discorso sulle pensioni, poi, diventa un elemento su cui non solo non c'è una


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grande chiarezza da parte della maggioranza - non si riesce a capire quale sia la sua posizione -, ma sul quale abbiamo anche in questo momento esigenze di cassa stringenti. Lei, signor ministro, invece di venire in Commissione lavoro, va a Domenica in e si pronuncia sull'opportunità dell'abbassamento dell'età pensionabile. Il giorno dopo, tuttavia, il presidente Almunia, leggendo i risultati del patto di stabilità, sostiene che ciò non è possibile e che occorre seguire la direzione del rigore e della sostenibilità del sistema. Io credo che dovremmo tenere in considerazione le opinioni dell'Unione europea, visto che il Governo si è assunto un impegno molto chiaro nei confronti di quest'ultima, in ordine anche a cosa sarebbe successo in Italia all'indomani dell'approvazione della legge finanziaria in materia di pensioni.
Vorrei sottolineare anche alcune questioni di carattere marginale: il Governo ha bocciato talune modifiche di autorganizzazione presentate dalla Cassa nazionale forense. Ciò ci stupisce, perché alcune di queste andavano verso una maggiore sostenibilità del sistema. Nel periodo di discussione della legge finanziaria, esponenti del Governo si erano pronunciati a favore di una maggiore autonomia della Cassa nazionale forense. Francamente, ci sorprende il fatto che vengano bocciate le norme di autorganizzazione, a meno che questa bocciatura non sia particolarmente motivata.
Inoltre, esiste il progetto di unificazione di una serie di enti che si occupano di materia previdenziale. Però, ci domandiamo quali siano i reali vantaggi di una riunificazione e se non sia preferibile lavorare su un progetto di riorganizzazione.
Lo «scalone» previdenziale - un'altra questione su cui, come diceva il collega Giacomoni, lei non è entrato nel merito - è un problema serio, che va affrontato. È già stato approvato dal Parlamento: rimuoverlo - o superarlo, come si dice più diplomaticamente - costa, per cui o è prevista una copertura finanziaria, oppure è meglio evitare qualunque modifica e godere dei risparmi virtuosi della riforma.
Per quanto riguarda la previdenza complementare, abbiamo già fatto presente in precedenza l'emendamento sui termini della riforma. Voi avete lasciato decadere un decreto su cui la Commissione ha lavorato. Abbiamo approvato all'unanimità un emendamento, abbiamo qui approvato un ordine del giorno, abbiamo approvato un altro emendamento in sede di legge finanziaria, sempre qui in Commissione, eppure i termini non sono stati prorogati. Esiste una ragione per la quale i termini dei fondi pensione privati non sono stati prorogati?
Inoltre, signor ministro, le offro anche l'occasione per darci un chiarimento su un esposto presentato dallo Slai Cobas, secondo cui lei è titolare di un presunto conflitto di interessi. In esso, infatti, si sostiene che il ministro Damiano, ferreo sostenitore dei fondi pensione, è stato presidente del Fondo pensione Cometa, il fondo integrativo dei metalmeccanici. Inoltre, consulente del ministro Damiano al Ministero è Giovanni Pollastrini, presidente del Fondo Fonte per i lavoratori del commercio, consigliere del Fondo Priamo per i trasporti pubblici e commissario straordinario dell'Enasarco. Non sono amante di coloro che credono che la politica si faccia attraverso le aule giudiziarie, le denunce o i ricorsi, però esiste una questione politica in ordine a questi fondi e una questione politica più in generale sulla previdenza, che credo vada affrontata.
In ultimo, per quanto riguarda il pubblico impiego, pongo una questione. La maggioranza, nella legge finanziaria, fa passare nel modo che si è visto - ritorna la questione di metodo prima richiamata - una normativa sul pubblico impiego che realizza una sanatoria indiscriminata. Questa normativa - ci tengo a dirglielo, signor ministro - a nostro avviso, è incostituzionale. Non è vero che si tratta solo di persone che hanno vinto un concorso. Lo sappiamo benissimo, signor ministro, che non è così. È una sanatoria indiscriminata, che supera la normativa sui concorsi, le previsioni costituzionali e che, nei fatti, fa saltare ogni criterio di meritocrazia.


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Il vostro Governo non può permettersi di parlare di meritocrazia, dopo un memorandum come quello che avete firmato sul pubblico impiego.
Sul pubblico impiego serve la responsabilizzazione dei dirigenti, non serve dividere con il sindacato, in maniera concertata, la progressione delle carriere. Questo è un meccanismo sbagliato, non ha nulla a che vedere con il meccanismo del pubblico impiego e di una pubblica amministrazione efficiente ed efficace. È sul tavolo una proposta, di Pietro Ichino, su cui bisognerebbe poter discutere. Nel memorandum sul pubblico impiego questa proposta non c'è. Evidentemente, anche su questa materia si parte col piede sbagliato.

AUGUSTO ROCCHI. Nel ringraziare il ministro Damiano per la presenza e per la volontà di confrontarsi con la Commissione lavoro, gli riconosco totale coerenza tra quanto dallo stesso affermato nel corso dell'audizione di giugno e quanto fatto fino ad oggi. Sono stati, infatti, varati appositi provvedimenti per realizzare nel concreto quanto preannunciato in precedenza dal ministro, e non c'è alcun punto, fra quelli allora discussi, che non abbia trovato una sua realizzazione.
Al ministro Damiano sono state mosse alcune critiche. Personalmente, pur condividendo pubblicamente le ragioni delle mobilitazioni, non ho mai condiviso un atteggiamento che non partisse dal registrare il fatto che, in pochi mesi e di fronte alla costruzione di una finanziaria complessa come quella varata da questo Governo, fossero stati adottati provvedimenti i cui risultati oggi il ministro è in grado di quantificare con dati precisi.
Sono un po' stupito del modo di argomentare dei colleghi dell'opposizione i quali, pur mostrandosi legittimamente critici sul programma elettorale con il quale questa coalizione ha vinto le elezioni, rifuggono completamente dall'analisi dei dati concreti, e, in particolare, dall'esaminare la diversità che questo approccio ha determinato, in termini di risultati, rispetto alle politiche adottate in passato.
A questo riguardo, mi è toccato fare, proprio ieri sera, ospiti di un'emittente televisiva, una polemica un po' spocchiosa con l'onorevole Giacomoni. Dopo quella polemica, il 95 per cento delle telefonate e dei fax che sono giunti alla redazione di quell'emittente - una rete televisiva la cui audience non è composta certo da un popolo di sinistra - riconoscevano, pur attaccando il Governo, chi più chi meno, che le misure adottate dall'esecutivo avevano avuto, in termini di IRPEF e di assegni familiari, effetti positivi sulla retribuzione o sulla pensione.
Detto questo, quindi valutando positivamente le misure fin qui adottate, dico al ministro, con franchezza e sincerità, che è importante, dopo questa fase iniziale, caratterizzata dalla tendenza a realizzare cose concrete e attuabili sebbene limitate, che si faccia un salto di qualità nell'azione del Governo su alcuni temi, previsti nel programma elettorale, che riguardano la condizione di vita delle persone. E ciò potrà realizzarsi anche con il concorso positivo del lavoro e del confronto in Parlamento e in Commissione.
Sono a tutti noti la rilevanza e il peso del ruolo svolto dalla contrattazione con le parti sociali, ma essa non può esautorare le funzioni svolte sia dal Parlamento sia dalla Commissione. Bisogna, pertanto, trovare un giusto equilibrio tra l'opportuno, sacrosanto e positivo lavoro di confronto tra il Governo e le parti sociali e il coinvolgimento degli organi parlamentari - in questo caso, della Commissione lavoro - nella discussione e nella maturazione di prospettive, progetti e disegni di legge. Come sappiamo, il confronto e la contrattazione con le parti sociali su determinate materie, a volte fanno registrare esiti positivi, altre volte le parti in causa non riescono a raggiungere un accordo. Si tratta di una questione di metodo che riguarda i rapporti fra l'esecutivo e il Parlamento, e non, quindi, di una critica rivolta soltanto al ministro del lavoro (la mia non è una critica personale nei confronti di chi svolge questo ruolo). Penso che il problema sia più generale e riguardi il rapporto tra i ruoli del Governo e del


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Parlamento che, in alcuni casi, come per la finanziaria, richiederanno - cosa a cui si sta lavorando - una modifica dello strumento in sé.
Su altri temi, come quelli di pertinenza della nostra Commissione, occorrerà definire modi e forme più adeguate: la Commissione non può svolgere il solo ruolo di espressione del parere in sede referente su provvedimenti che il Governo, di volta in volta, varerà, e limitarsi ad apprendere dagli organi di stampa l'andamento delle trattative con le parti sociali, per poi ratificarne i risultati. Non è mia intenzione assumere atteggiamenti pregiudizialmente negativi, ma ribadisco la necessità che si trovi un giusto equilibrio tra il confronto con le parti sociali da una parte e il ruolo svolto dalla Commissione e dal Parlamento dall'altra.
Sui temi della sicurezza del lavoro, oltre ad aver apprezzato quanto fatto fino ad oggi dal Governo, ritengo importante la scelta di predisporre un testo unico. Invito, dunque, il ministro ad intraprendere in Commissione lavoro sul testo della legge delega prima, sulla costruzione del vero e proprio disegno di legge dopo, un percorso stabile di confronto che permetta alla Commissione, spero unitariamente (maggioranza e opposizione si sono già espresse su questo tema unitariamente), di fornire un proprio contributo all'elaborazione del testo di legge.
In tema di mercato del lavoro, ribadisco quanto già detto nel corso dell'audizione del ministro di giugno, e cioè che considero la discussione sulla legislazione vigente in materia di lavoro un po' sterile. Ritengo, in particolare, che si debba pensare, anche in tema di sicurezza sul lavoro, ad una legge di riordino del mercato del lavoro che superi tutta l'attuale legislazione e che sia in grado, coerentemente con il programma elettorale dell'Unione, di fare del contratto a tempo indeterminato lo strumento principale di assunzione e di governo del mercato del lavoro, e di riformulare - non negandole - ipotesi di rapporti di lavoro flessibili che siano coerenti con esigenze comprovate e non con forme di semplice precarizzazione del rapporto di lavoro. I tempi di lavoro per una legge di riordino sono lunghi. Conseguentemente, alcune tematiche vanno trattate urgentemente. Anch'io ho a cuore il ruolo della contrattazione tra le parti sociali, ma ciò non può far venire meno l'esigenza di disporre di impianti legislativi di riferimento.
Da ultimo, richiamo la vicenda dei contratti a termine e le modifiche introdotte con la legge n. 30 del 2003, che li ha resi uno dei principali strumenti di precarizzazione del lavoro. Quando un soggetto può reiterare un contratto a termine attraverso una semplice interruzione di 20 giorni, e può prolungare per sei, sette, otto anni, o per dieci, quindici, venti volte il contratto a termine avente ad oggetto lo svolgimento di una medesima mansione, allora siamo di fronte ad un lavoro a tempo indeterminato coperto sottoforma di rapporto lavoro precario. Bisogna, pertanto, intervenire legislativamente su aspetti del contratto a termine quali ad esempio causali, non ripetibilità e quant'altro. Lo stesso dicasi per la questione della cessione di ramo d'azienda, così come modificata dalla legge n. 30 del 2003.
All'onorevole Giacomoni, che è già andato via, dico che lui forse non sa che, in una grande azienda come la Wind, i lavoratori del call-center erano stati tutti assunti con contratto a tempo indeterminato. Lì non esiste il problema della regolarizzazione, bensì un problema di strategia aziendale, per cui quell'azienda chiude un call-center per riaprirlo altrove. Quell'esperienza, quindi, non ha nulla a che vedere con la questione del rapporto di lavoro e della sua regolarizzazione. In definitiva, c'è l'esigenza di avere a disposizione strumenti di intervento, anche immediati, di modifica degli aspetti più abnormi che non funzionano nel mercato del lavoro.
Spero vivamente che il ministro Damiano comprenda lo spirito che anima i miei ragionamenti di merito e di metodo: desidererei che il lavoro svolto dal Governo e dal Parlamento riesca a dare


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risposte efficaci alle esigenze manifestate dalle categorie sociali del paese. L'efficacia della politica è il fattore più importante al fine di costruire un forte e positivo rapporto di fiducia tra quest'ultima e la società civile.

EMILIO DELBONO. Desidero innanzitutto associarmi all'apprezzamento rivolto dall'onorevole Rocchi al ministro Damiano per la sua non comune coerenza in termini di dichiarazioni rilasciate e successive realizzazioni che ne sono seguite. Dico «non comune», in quanto noi siamo stati abituati nel recente passato a clamorose declamazioni e a modestissime realizzazioni.
Vengo da un'esperienza di cinque anni di opposizione e posso testimoniare che la distanza tra affermazioni e conseguente azione di Governo e legislativa è stata tale da rendere la politica e l'azione del Governo del centrodestra un caso eccezionale di gonfiamento demagogico. Non è il caso del ministro del lavoro e della previdenza sociale.
Questa coerenza va oltremodo apprezzata, anche perché siamo di fronte soltanto a pochi mesi di lavoro svolto da questo Governo. Pare quasi, sentendo i colleghi del centrodestra, che stiamo facendo un bilancio dell'azione di Governo di fine legislatura. Come diceva il collega Rocchi, è un po' originale che i colleghi dell'opposizione non abbiano contribuito in modo costruttivo ad un miglioramento e ad un'implementazione dell'azione del Governo, soprattutto sui fronti che dovrebbero accomunarci, vale a dire l'aumento del tasso di occupazione, la lotta al lavoro nero, la realizzazione di un sistema che, anche a livello europeo, è stato chiamato di «flexisicurezza», e cioè di flessibilità e tutele. Non è venuto nulla, da parte dei colleghi dell'opposizione, per aiutare a produrre un'azione di Governo e parlamentare che effettivamente fosse utile ai cittadini e, soprattutto, ai giovani lavoratori e alle fasce cosiddette deboli che il ministro Damiano ha ben individuato nei giovani, nelle donne e negli over 55.
Desidero adesso soffermarmi su due questioni che riguardano direttamente il nostro rapporto con il ministro Damiano e con il suo dicastero: la questione di metodo e la questione di merito. Quella di metodo riguarda la concertazione e i rapporti con il Parlamento. Innanzitutto (credo che anche ciò faccia parte di un giudizio positivo) rilevo il fatto, anche questo un po' anomalo, che le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali, in occasione delle audizioni svolte, hanno tutte riconosciuto al ministro Damiano una grande capacità di ascolto e di dialogo. Molti dei contenuti, sia del decreto-legge Bersani-Visco, sia della legge finanziaria (dalla lotta al lavoro nero, fino ad arrivare ad alcune scelte contenute in finanziaria), sono stati riconosciuti dalle parti sociali come frutto di concertazione.
C'è chi accentua polemicamente in una direzione o nell'altra, ma tutte hanno riconosciuto che il rapporto con le parti sociali è stato utile, fecondo e produttivo. Anche le organizzazioni ascoltate ieri, Confcommercio e Confesercenti, hanno riconosciuto che alcuni contenuti della legge finanziaria e del decreto Bersani-Visco sono stati largamente positivi e vanno assolutamente sposati. È importante, quindi, sottolineare anche questi aspetti.
Credo che questo metodo della concertazione vada fortemente conservato, sia dal punto di vista della continuità del dialogo, sia dal punto di vista della strumentazione legislativa, poiché aiuta anche a risolvere il secondo dei problemi, cioè il rapporto con il Parlamento. Esplicito il senso: io sono per i disegni di legge, non per i decreti-legge. Non sfugge ad alcun collega il senso di questa affermazione. Il decreto-legge, in qualche maniera, mette inevitabilmente il Parlamento di fronte al fatto compiuto e ad una inevitabile e ristretta modalità in ordine ai tempi, perché è necessaria la conversione; il disegno di legge, invece, garantisce al Parlamento la piena disponibilità di un confronto, di modifiche, di miglioramenti, di emendamenti, e via elencando. Ciò ha riguardato anche la legge finanziaria e, in modo specifico, la parte relativa al tema


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del lavoro. Credo che il Parlamento abbia svolto una funzione utile di miglioramento dei provvedimenti che, fra l'altro, erano condivisi. Badate, noi non ci siamo trovati di fronte a delle novità in finanziaria, o nel decreto Bersani-Visco; ci siamo trovati, invece, esattamente nella realizzazione delle linee di indirizzo che il ministro Damiano era venuto qui ad esplicitare prima che quei provvedimenti venissero adottati. Questo è un punto importante di chiarezza nel rapporto tra Governo e Parlamento: un ministro viene ad indicare prima quali sono le linee di indirizzo su cui sta lavorando.
Certo è che, per non sfuggire alle considerazioni dell'onorevole Rocchi, sono favorevole all'ampio utilizzo dello strumento del disegno di legge, per permettere a noi di migliorare il testo. Credo che ciò avverrà, tanto per essere concreto, sia per i provvedimenti che saranno adottati dopo la chiusura dei tavoli di concertazione (anche di quelli di cui il ministro Damiano, oggi, non ha parlato: la previdenza, gli ammortizzatori sociali, la competitività), sia per ciò che riguarda il testo unico sulla sicurezza, che - non a caso - è un disegno di legge che può essere tranquillamente migliorato, emendato dal Parlamento. Credo che questo sia un aspetto che, per quanto attiene al metodo, dobbiamo assolutamente avere ben presente.
La seconda considerazione riguarda il merito. Ebbene, ritengo che, come maggioranza, dobbiamo rivendicare in modo orgoglioso che sugli obiettivi (ancorché gradualisti, come diceva l'onorevole Rocchi) in cui ci riconosciamo sono arrivate alcune risposte concrete. Faccio riferimento al fronte della lotta al lavoro nero, alla stabilizzazione dei lavoratori, sia nel settore privato, sia nel pubblico impiego, ad alcuni sistemi di tutela dei contratti a progetto, al tema più complessivo della modifica delle norme del codice degli appalti. Ne vediamo i risultati nel recupero dell'evasione contributiva e nell'emersione di molti lavoratori in nero. Non abbiamo certamente concluso il nostro lavoro, ma siamo all'avvio di un percorso che sicuramente produrrà buoni risultati.
Esprimo una considerazione nel merito: per quel che attiene, ad esempio, alla discussione sulla legge n. 30, sono stati qui anticipati alcuni giudizi, in relazione alle audizioni svolte, che non corrispondono propriamente a quanto abbiamo ascoltato. Vorrei che anche il ministro Damiano sapesse - avrà modo di leggerlo con calma nei resoconti stenografici delle audizioni - che ieri, ad esempio, nel settore del commercio (ma è accaduto lo stesso anche per Confindustria ed altre categorie), non è vero che sia stato negato quanto da egli affermato e cioè che alcuni strumenti e tipologie non sono per nulla utilizzati. Ieri è emerso, ad esempio, che lo staff leasing al commercio e al terziario non interessa per nulla, in quanto ha fatto registrare uno 0,2-0,3 per cento di occupazione.
Ci hanno, inoltre, confermato l'interesse ad una modifica delle norme sull'apprendistato, perché anche per loro, indubbiamente, l'anomalia italiana è, appunto, un'anomalia. Addirittura, hanno suggerito soluzioni che, a mio parere, possono essere prese in seria considerazione. Hanno anche apprezzato una rimodulazione del costo del lavoro. Il collega Baldelli ha fatto un'affermazione che non corrisponde al contenuto delle audizioni. Nessuno, riguardo alla flessibilità, ha posto il problema del costo del lavoro. L'anomalia tutta italiana, infatti, consiste nello scegliere le tipologie contrattuali flessibili perché costano meno, non perché siano le modalità che vengono incontro a picchi produttivi, o a problemi di natura organizzativa. Non abbiamo nessuna intenzione di smantellare la flessibilità, quando essa serve alla produzione e alla competitività delle aziende. Vogliamo farlo quando viene utilizzata in modo distorto, per ragioni di costo del lavoro.
Da questo punto di vista, non ho sentito in alcuna audizione chiederci di non affrontare il tema di un avvicinamento degli oneri contributivi tra i contratti di tipo subordinato, in modo specifico quelli a tempo indeterminato, e le altre forme di


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tipologia contrattuale flessibile. Questo attiene parzialmente alla legge n. 30 del 2003, ma è un tema di sistema e di assetto che credo il Governo si sia bene messo in testa di realizzare e che ha già incominciato a fare con la finanziaria.

SIMONE BALDELLI. Le imprese ci chiedono di alzare i contributi?

EMILIO DELBONO. No, non ho sentito alcuna associazione datoriale che abbia posto il problema secondo cui la causa dell'impedimento del diffondersi degli strumenti di flessibilità sia l'aumento dei contributi. Da nessuna parte ciò è stato evocato.
Ci hanno chiesto di lasciare alcune tipologie, perché servono all'organizzazione dell'impresa, non perché costano di meno.

SIMONE BALDELLI. È il ministro che vuole farle costare di più, non io.

EMILIO DELBONO. Io sono assolutamente favorevole.

SIMONE BALDELLI. Io no, invece.

EMILIO DELBONO. Lei no, ma lei ha messo in bocca alle associazioni datoriali un'opinione che qui non è emersa. Penso che sia importante dirlo.
Concludo con una considerazione finale. Poiché i nostri più seri obiettivi sono la crescita del tasso di occupazione e l'aumento di competitività del sistema delle imprese, noi saremo misurati su questi due grandi obiettivi finali: tasso di occupazione e competitività. L'unica cosa che non possiamo accettare sono le prediche, perché sulla competitività del nostro sistema, sulla crescita del nostro sistema e sul tasso di occupazione, negli anni scorsi abbiamo fatto come i gamberi.
Quindi, francamente, un giudizio così sprezzante da parte dell'opposizione a fronte di risultati così modesti poteva essere risparmiato. Noi ribadiamo la disponibilità ad un lavoro di apertura verso l'opposizione per quel che riguarda il merito dei singoli provvedimenti. Siamo disponibili ad accogliere ogni suggerimento che vada incontro ai nostri obiettivi politici finali che, fra l'altro, riteniamo possano essere utili all'interesse generale.

PAOLA PELINO. Sarò molto breve. Signor ministro, desidero porle alcune domande. Una è quasi un suggerimento, e cioè che l'informazione sul TFR sia fatta in maniera più capillare e chiara, tenuto conto che, sussistendo il silenzio-assenso, abbiamo bisogno di dimostrare che l'operazione è assolutamente trasparente. La inviterei, quindi, a riflettere anche sul fatto che non basta solo una comunicazione televisiva; i lavoratori forse dovrebbero avere a disposizione un opuscolo o qualcosa di simile, anche perché sappiamo che entro fine giugno dovranno decidere come destinare i loro fondi.
Una seconda domanda riguarda un altro aspetto che ritengo importante. Signor ministro, il Governo sta preparando una lista anche sui lavori usuranti? Inoltre, le chiedo perché l'emendamento, votato qui all'unanimità, sulla proroga dei termini per l'adeguamento dei fondi pensionistici privati, non sia stato accolto da Governo ed inserito nel cosiddetto decreto «milleproroghe».
Un'ultima questione. Qualche giorno fa ho partecipato, nella veste di parlamentare della Commissione lavoro, ad un incontro a Bruxelles. In quell'incontro, che si è svolto nell'ambito di una «due giorni» dedicata alla strategia di Lisbona, è emersa l'esigenza unanime di tutti gli Stati membri presenti di dedicare attenzione particolare alla tutela della donna nel mondo del lavoro. Questo è un tema che la pregherei di affrontare nei prossimi mesi, tenuto conto anche che quello in corso è l'anno europeo per le pari opportunità. Dico ciò non perché io sia una donna, ma perché a me pare un fatto sociale molto importante il perseguire e tutelare questo particolare aspetto inerente il mondo del lavoro.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti voi, perché siamo riusciti a contenere i tempi.


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Non voglio togliere tempo prezioso al ministro per le risposte, tuttavia desidero svolgere due brevi considerazioni.
Mi associo a quanto sostenuto dagli onorevoli Rocchi e Delbono in ordine alla questione della coerenza tra cose dette e cose fatte. Ritengo che sia importante riconoscerlo. In particolare, segnalo che uno dei primi atti di questa Commissione è stato l'approvazione all'unanimità di una risoluzione sui temi della sicurezza del lavoro. Quella risoluzione ha messo in moto un meccanismo, un lavoro e un impegno particolare del ministro del lavoro e della previdenza sociale e, in seconda battuta, una collaborazione e un altrettanto particolare impegno del Ministero della salute, che ha prodotto il documento di linee guida per il testo unico, con il percorso e le procedure che il ministro ha indicato. Penso che questo sia un fatto importante e che tutta la Commissione, rispetto al tema scottante degli infortuni e delle morti sul lavoro, debba sentirlo suo.
Per quanto riguarda il coinvolgimento della Commissione, ritengo che le cose da fare siano tante e nel futuro non mancherà occasione per sviluppare una nostra attività più significativa con l'impostazione che indicava Delbono, ossia con quello strumento che coinvolge maggiormente la Commissione.

SIMONE BALDELLI. Mi permetta una precisazione, presidente.

PRESIDENTE. Glielo consento, ma in via del tutto eccezionale.

SIMONE BALDELLI. Poiché l'onorevole Delbono è una persona di grande intelligenza e di onestà intellettuale, immagino che, a questo punto, sono stato frainteso in ordine a quanto affermato dalle categorie nel corso di quell'audizione. Io non ho sostenuto che le categorie hanno la mia stessa visione in ordine ai contratti flessibili, però è evidente che c'è un dato di fatto, e cioè che non esiste un'«emergenza precariato» e che, per quanto ci dice Confindustria, i contratti flessibili rappresentano una parte estremamente piccola dell'universo dei contratti, in larga parte a tempo indeterminato. Tenevo a precisare questo aspetto, perché se ho dato adito ad un fraintendimento da parte del collega Delbono, evidentemente o mi sono espresso male io, oppure c'era modo di fraintendere la posizione.

PRESIDENTE. Do la parola al ministro Damiano per la replica.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ringrazio tutti voi, perché gli argomenti che sono stati toccati sono tantissimi e richiederebbero un tempo rilevante per una risposta compiuta.
Oggi, per come l'ho inteso io, si sarebbe trattato di parlare prevalentemente dello stato di attuazione del programma. Io mi sono tenuto attorno a questo nucleo di ragionamento: più che «ciò che farò», mi sembrava che v'interessasse sapere «ciò che ho fatto», in quanto si tende a parlare sempre di quel che si farà e si dimentica il tempo trascorso e le azioni che, nel frattempo, avvengono.
Comunque, per quanto riguarda gli argomenti di novità che sono stati introdotti, rilevo una prima questione. È evidente che, se parliamo di lavoro, dobbiamo parlare di sviluppo. Questo è il grande obiettivo: se il paese non cresce, non cresce il lavoro, né in quantità, né in qualità. In tempi recenti, a fronte di un paese a crescita zero, abbiamo registrato una crescita statistica degli occupati. Tuttavia, io insisto sempre su un concetto: quando aumentano gli occupati se ne prende volentieri atto, ma quando parliamo di crescita dell'occupazione dovremmo anche parlare di crescita delle ore lavorate.
Faccio notare che se l'occupazione cresce e le ore lavorate rimangono uguali o diminuiscono, vuol dire che si distribuisce su più persone un solo lavoro e non è detto che questo sia sempre quantitativamente e qualitativamente positivo. Quindi, per noi, lo sviluppo e la crescita delle ore


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lavorate e, di conseguenza, la crescita dell'occupazione di qualità, rappresentano un obiettivo.
Seconda questione. Sulle buste paga, io mi arrendo. C'è chi sostiene che con la finanziaria, fino a 40 mila euro, i lavoratori ci guadagnano e c'è chi dice il contrario. È stato citato Ballarò, dove io ero presente. Ricordo che anche in quella trasmissione si è fatto riferimento ad un articolo di quel giorno apparso su la Repubblica. Peccato, però, che l'esponente del centrodestra che ha citato quell'articolo ne abbia capovolto esattamente il contenuto. La Repubblica titolava: «Ci guadagnano poco, tutti, fino a 40 mila euro. Ci guadagnano meno i single». Io parto da questa prima statistica, poi, essendo un uomo prudente, dico che i conti li faremo a fine anno; è inutile farli mese per mese. Si vedrà quel che capita nel corso dell'anno; ricordo anche che, purtroppo, molte buste paga - io sono fra coloro che le leggono - risentono ancora della contabilità di dicembre. Quindi, è molto difficile fare dei calcoli.
Non mi arrampico sugli specchi, non voglio assolutamente sostenere tesi a tutti i costi, ma mi fermo alla seguente osservazione: il Governo ha adottato una politica fiscale diversa da quella del Governo precedente. Mentre il centrodestra sicuramente, sulla base di una scelta che per il centrodestra stesso è logica, aveva privilegiato i redditi più alti, noi abbiamo cercato di privilegiare i redditi medio-bassi e abbiamo posto il confine sui 40 mila euro. Constato, dai primi dati statistici, che fino a quel livello si rileva un beneficio, alle volte modesto, nonché una differenza a vantaggio di chi ha famiglia, rispetto a chi non ce l'ha. Mi pare che questo sia il trend.
Per carità, potrà verificarsi il singolo caso del lavoratore o pensionato che, nell'ambito della sua specifica situazione, possa avere persino un risultato pari a zero, o un modesto decremento. Mi pare però che, statisticamente parlando, non sia così. A Ballarò l'esperto confermava questo quella sera, mentre i giornali hanno riportato, più o meno, il trend che ho detto. Ma invito davvero ad una lettura nei prossimi mesi in modo tale che, quando avremo capito esattamente come stanno le cose, potremo esprimere valutazioni più compiute. Però, non c'è dubbio che la manovra del Governo va in direzione della scelta di privilegiare i ceti medio-bassi. Questo per quanto riguarda i salari.
Per quanto concerne i problemi del lavoro dei cantieri, ho già spiegato che 518 cantieri sono stati sospesi e che 199 sono stati riaperti. Ho ribadito che la differenza è anche dovuta al fatto che imprenditori piccolissimi preferiscono scomparire e non pagare le multe che derivano dalla normativa. Questo non compromette la regolarizzazione dei lavoratori, i quali devono essere regolarizzati, altrimenti il cantiere non si riapre. Non c'è più l'impresa più piccola, i lavoratori vengono regolarizzati dalle imprese più grandi, che assorbono quei lavoratori. e riprendono il lavoro.
Anch'io penso, come l'onorevole Gasparrini, che per fare l'imprenditore edile non sia sufficiente presentarsi con un badile alla camera di commercio e avere il certificato. Un lavoratore di edilizia deve seguire molti corsi e fare molto apprendimento, prima di ottenere il certificato di lavoratore dell'edilizia. Mi piacerebbe che determinati lavori a rischio, poiché ci sono di mezzo la salute, l'infortunio, o addirittura la morte - 250 morti ogni anno, in edilizia, non sono scherzo -, o anche il trasporto di materiali tossici che possono determinare nocumento alla salute, al territorio o alla sostenibilità ambientale, avessero anch'essi, sul versante dell'impresa, quegli elementi di certificazione che distinguono l'impresa sana da quella che non lo è. La scomparsa di imprese che lavorano in nero, in fondo, è il venir meno di concorrenza sleale tra impresa e impresa.
Non è un caso che l'associazione dei costruttori edili (ANCE) abbia condiviso tutte queste normative, poiché esse, in qualche modo, selezionano le imprese. Altrimenti, si corre il rischio che l'impresa regolare venga messa fuori mercato dalle imprese irregolari.


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Francamente, ritengo che quello della sospensione dei cantieri non sia un atto brutale di repressione verso non si sa chi, ma rappresenti un atto di prevenzione, che probabilmente ha salvato anche qualche vita umana. E su questa strada intendo assolutamente proseguire.
Per quanto riguarda la questione dei call-center e della stabilizzazione, dobbiamo metterci d'accordo. Capisco che il Governo di centrodestra sia andato verso una certa direzione e mi ricordo i discorsi. Voi sostenevate che con la moltiplicazione dei lavori flessibili (che purtroppo in molti casi diventano precari o durano troppo lungo) avete ridotto il lavoro nero. Non è vero. Purtroppo, sono aumentate queste forme flessibili di lavoro che diventano precarie, ed è aumentato il lavoro nero, che ha raggiunto il record di 3,5 milioni di lavoratori.
Qui siamo di fronte ad un bivio, come al solito. Abbiamo una filosofia di fondo diversa che - per carità - è incoercibile. Questo non ci impedirà di metterci d'accordo sui problemi concreti, però obbedendo a logiche diverse. Il ragionamento in base al quale va bene qualsiasi lavoro, purché uno lavori, senza contributi e in condizioni di sicurezza al limite, a me non sta bene ed io lo combatto. Preferisco che l'impresa che lavora in nero, senza assicurare condizioni di sicurezza, scompaia. Dopodiché, so benissimo che anche nei call-center alcuni imprenditori hanno minacciato, nel caso in cui avessimo regolarizzato il settore, che si sarebbero spostati a Malta o in Albania. Ma vorrei ricordare che l'avviso comune è stato sottoscritto da Assocontact e dai sindacati confederali. Chi è Assocontact? È l'associazione che raggruppa tutte le imprese di call-center d'Italia. Se le imprese hanno condiviso una conversione che porta - soltanto nel caso in cui un lavoratore parasubordinato a progetto sia classificato tale pur essendo in realtà un normale subordinato - alla regolarizzazione con l'aiuto (sia delle imprese, sia dei lavoratori) da parte della finanziaria, ciò vuol dire che hanno trovato un elemento di equilibrio fra regolarizzazione e nuove modalità organizzative.
Io sono stato a visitare il call-center di Alicos del gruppo Atesia di Palermo. Tutti i lavoratori sono regolarizzati; hanno un lavoro part-time, pagato circa 600 euro al mese, e quindi non è che si nuoti nell'oro. E questi lavoratori - che hanno avuto un beneficio, perché prima non avevano neanche le tutele - si pongono il problema di aumentare l'orario di lavoro, ma questo sarà un problema del sindacato, non certo un aspetto che potremo disciplinare attraverso una legge. Ho visto, con i miei occhi, non solo che questi lavoratori sono soddisfatti di un tale cambiamento, ma che svolgono anche lavori di un certo rilievo in lingua inglese e francese, che seguono tutte le rotte e hanno una specie di display tramite il quale sono in grado di dirottare le persone e i bagagli nel modo giusto, sia che si parli di bagagli smarriti sia di prenotazioni da Los Angeles, piuttosto che dalla Russia. Quindi, anche in quel lavoro ci sono degli elementi di potenziale qualità.
Mi auguro, pertanto, che non una singola azienda del settore, bensì l'intero settore persegua una logica di regolarizzazione. È probabile che perderemo qualche azienda per strada. Qualcuno deciderà che stare in regola non conviene o non è possibile, perché si è sempre lavorato fuori regola. Può darsi che qualcuno sceglierà la strada della migrazione e può anche darsi che questo call-center di Atesia, che si sta sviluppando, svolgerà un'attività all'estero compatibile con l'attività italiana. Del resto si sa che queste aziende navigano nel globo. Quello che mi interessa è che la struttura fondamentale che rimane in Italia sia di maggiore qualità, di maggior tutela e di maggiori diritti. Tant'è che non solo abbiamo aperto l'osservatorio, ma abbiamo anche in mente (lo abbiamo già fatto) di convocare i committenti, in quanto anch'essi dovranno abituarsi, nelle gare d'appalto, a scorporare le norme di sicurezza, che non fanno capo a questo settore, e di considerare che il costo del lavoro è diverso da quello precedente: è un costo del lavoro che obbedisce alle regole


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dei contratti nazionali di lavoro, non un sottocosto del lavoro. Pensiamo di agire anche da questo punto di vista.
È evidente che potranno esserci degli elementi di selezione che faranno perdere qualche posto di lavoro - come si dice - «sottotutela e sottopaga». A ciò, tuttavia, potrà corrispondere l'aumento dei posti di lavoro maggiormente qualificati e maggiormente tutelati. Per me non c'è dubbio: questa è la strada, pur con qualche rischio, che dobbiamo assolutamente percorrere.
La sfida che abbiamo lanciato fin qui ha prodotto un risultato. Chi ha fatto gli accordi? Le imprese e il sindacato. L'avviso comune, chi l'ha fatto? Le imprese e il sindacato. Noi abbiamo semplicemente recepito quell'intesa nell'ambito della finanziaria. Credo che sia la strada giusta da percorrere.
Per quanto riguarda le altre questioni - non riuscirò a toccarle tutte, perché avete formulato veramente tantissime domande -, mi pare che ci sia stata una sollecitazione da parte delle onorevoli Pelino, Di Salvo e Gasparrini sulla tematica femminile. Questo è l'anno delle pari opportunità ed io penso che, anche considerando la lettera inviatami da tutte le parlamentari sulla questione della condizione della donna, valuterò l'opportunità di un incontro e l'instaurarsi di un dialogo su questi argomenti. Del resto, come Ministero, ci stiamo occupando di due argomenti: la retribuzione e la stabilità del lavoro. Sappiamo, infatti, che le donne hanno una carriera, una retribuzione e una stabilizzazione più lente rispetto agli uomini. Ciò è tradizionalmente e statisticamente accertato. Sono, comunque, molto contento di poter avere un incontro e una discussione di carattere specifico.
Per quanto riguarda la questione della totalizzazione per i giovani, avanzata dall'onorevole Giacomoni, faccio notare che il limite dei sei anni deriva dalla legislazione precedente. Mi pare che l'abbiate introdotto voi e credo che vada superato. Spero che mi darete una mano, poiché ritengo assolutamente inaccettabile che la totalizzazione non scenda al di sotto di quel limite. Noi dovremo totalizzare tutto, se davvero vogliamo ricomporre il profilo previdenziale alle nuove condizioni del sistema contributivo.

AUGUSTO ROCCHI. Mi perdoni, signor ministro, ma sulla questione delle totalizzazioni esiste anche il problema opposto, sempre introdotto dalla legge. L'esempio, che ho potuto verificare in questi giorni, è di colui il quale magari ha 32-33 anni di contributi a tempo indeterminato (quindi contributi a fondo INPS da lavoro dipendente), e, a fine percorso, tre o quattro anni di contratto di collaborazione; se fa la totalizzazione - e la può fare - perde il sistema retributivo ed è costretto a passare a quello contributivo, con un abbattimento consistente della pensione.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sono tutte questioni che, ovviamente, dovremo affrontare con pazienza, in quanto esistono meccanismi che vanno smontati e rimontati. Il succo mi pare sia quello di intervenire sulla totalizzazione.
Per quanto riguarda la questione del salto di qualità, noi abbiamo un tempo di legislatura entro il quale vogliamo agire. Mi pare che stiamo lasciando un segno circa i cambiamenti introdotti, relativi alle questioni del lavoro, e apriremo i già citati tavoli. Nei tavoli di concertazione che ci ripromettiamo di istituire, affronteremo sicuramente il tema prioritario degli ammortizzatori sociali. Accanto a questo, poi, ci saranno i contratti a termine, le cessioni di ramo d'impresa, il part-time e la revisione della legge n. 30 del 2003.
Confermo l'intenzione di cancellare le forme di lavoro più precarizzanti. Conosco le posizioni di determinati settori - ad esempio, il settore del commercio - sul job on call, però penso che si possano trovare altri sistemi che vengano incontro alle particolarità di determinate flessibilità.
È evidente che non tutti i settori sono uguali fra loro. La flessibilità nell'industria è un conto, la flessibilità nel terziario è un altro conto. Insomma, ci sono tante condizioni anche di carattere particolare che


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vanno sicuramente considerate, però la linea di marcia l'abbiamo assolutamente tracciata.
Per ciò che concerne il testo unico su salute e sicurezza, non c'è dubbio che, nel momento in cui si va nella direzione di una legge delega, questa passerà al vaglio delle Commissioni di Camera e Senato, ci sarà un dibattito parlamentare e così via.
In merito al trattamento di fine rapporto, abbiamo firmato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che prevede risorse per l'informazione, quindi, per un opuscolo INPS-INAIL in modo tale che ci sia una possibilità di scelta consapevole, non basata soltanto sugli spot. Su questo stiamo lavorando, tanto che il clou sarà aprile-maggio-giugno prossimi; al momento siamo in una fase di «riscaldamento». Quelli che hanno scelto, nella passata situazione, erano il 13 per cento; noi vogliamo arrivare al 40 per cento. I lavoratori, comunque, sono già consapevoli, anche perché c'è stata una grossa propaganda sindacale e imprenditoriale nel corso degli anni. Non dimentichiamo che la legge n. 124 che istitutiva i fondi pensione risale al 1993. Allo stesso modo, sto lavorando sul tema dei lavori usuranti. Anch'io mi pongo il problema di una possibile riclassificazione, nell'ambito della discussione che dovremo affrontare con le parti sociali.
Per quanto riguarda la vostra deliberazione, che avevamo inserito nel decreto «milleproroghe»...

SIMONE BALDELLI. No, non è stato inserita.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. È stata giudicata - così mi dicono - inammissibile dalla Presidenza della Camera.

SIMONE BALDELLI. Quello era un mio emendamento. È stato giudicato inammissibile per estraneità di materia, proprio perché non era previsto inizialmente dal Governo e non è stato inserito nel decreto.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Comunque, come tutti ben sanno, non è assolutamente intendimento del Governo assumere atteggiamenti punitivi. Anzi, i fondi preesistenti hanno avuto una proroga fino al 31 maggio e, per quanto riguarda l'adeguamento sul tema patrimonio separato dei fondi privati, abbiamo dato la possibilità di farlo entro il 1o marzo. Tutto quello che è stato fatto, va in questa direzione. Poi, per carità, può anche darsi che ci siano problemi irrisolti, ma li giudico tutto sommato marginali, considerato il volume di iniziative che stiamo mettendo in cantiere su questo particolare problema.
L'ultima questione è relativa al rapporto con la Commissione. Ovviamente, la questione «passa» attraverso le audizioni, perché questo è il modello con il quale possiamo avere un rapporto più stringente. Da parte mia, ovviamente, non c'è alcuna indisponibilità, attraverso le audizioni, ad essere più stringente nei vostri confronti. Possiamo sicuramente concertare meglio; finora abbiamo avuto la fase della finanziaria, che è stata - immagino - un po' stressante per tutti. Non è un mio obiettivo saltare il confronto con la Commissione.
I dati di coerenza che ho cercato di illustrare fanno parte di questa idea. A giugno con voi non ho parlato d'altro, ho semplicemente informato la Commissione circa gli intendimenti, sui quali abbiamo, poi, concretamente lavorato e portato a casa dei risultati. Comunque, la mia disponibilità esiste, come ben sa il presidente e come ben sapete tutti voi.
È stato richiamato il punto dello «scalone», dicendo che io avrei sostenuto che era da cancellare. Leggo testualmente dalla mia audizione del 26 giugno: «Una di queste questioni è sicuramente lo "scalone", introdotto dal ministro Maroni, che va corretto in quanto iniquo». Ciò detto, quindi, se una cosa va corretta, non va mantenuta così com'è. Io penso che vada corretta; poi il grado di correzione dipende anche dalle risorse disponibili.


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PRESIDENTE. Però, è un'altra questione...

SIMONE BALDELLI. Rimaniamo molto evasivi su questo. C'è un fronte aperto, nel senso che tutte le terminologie che vogliamo utilizzare vanno nella direzione di evitare che ci sia un ingresso in vigore dal 2008.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Questo è sicuro.

SIMONE BALDELLI. Comunque, le riforme hanno un termine di entrata in vigore, ragion per cui o prima o poi esse entreranno in vigore.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Glielo dico chiaramente, anzi, l'ho già detto.

SIMONE BALDELLI. Siccome su questo, tra l'altro, ci sono anche interessi di lavoratori, di sostenibilità del sistema, di costi, e l'Europa continua a dirci di rimanere su una linea di rigore, sarebbe interessante, al di là del fatto che ci sarà un tavolo di confronto con le parti sociali, conoscere l'opinione del Governo in ordine a questa correzione. Volete posticiparlo, o volete anticiparlo? Noi sappiamo che volete introdurre una maggiore gradualità, tendenzialmente attraverso un ritorno anche ad un'età di pensionamento più bassa. Vorrei conoscere la posizione del Governo al riguardo.

PRESIDENTE. L'onorevole Giacomoni, quando è intervenuto, ha attribuito un termine al ministro Damiano riferito alla precedente audizione...

SIMONE BALDELLI. Questo l'abbiamo capito. Però, al di là della correzione sul termine, vorrei conoscere la posizione del Governo al riguardo.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Le parole sono pietre ed ogni parola va usata con parsimonia. Mi è stato attribuito un termine che non ho usato. Allora, riprendo testualmente la frase del 27 giugno: «si tratta di cambiare alcune distorsioni che, a mio avviso, sono state introdotte - lo dico a bassa voce senza voler fare nessuna discussione particolare -, una di queste distorsioni è sicuramente lo "scalone", introdotto dal ministro Maroni, che va corretto in quanto i-ni-quo». Io voglio correggerlo, sicuramente non anticiparlo. Lo voglio correggere, rendendo meno iniquo un salto di tre anni che va a svantaggio dei lavoratori coinvolti in questo salto. Mi pare molto chiaro quello che dico.

PRESIDENTE. Nel rinnovare il ringraziamento al ministro Damiano per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,45.