COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 3 ottobre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANNI PAGLIARINI

La seduta comincia alle 15,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, in merito al protocollo su lavoro, previdenza e competitività per l'equità e la crescita sostenibili.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano, in merito al protocollo su lavoro, previdenza e competitività per l'equità e la crescita sostenibili.
Do la parola al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Vi ringrazio e mi scuso per il ritardo. L'argomento di oggi, in particolare, riguarda il protocollo su lavoro, previdenza e competitività, che è il frutto della concertazione conclusasi il 23 luglio scorso.
Prima di entrare nel merito dell'illustrazione dei contenuti principali di questo protocollo, credo sia importante collocarne la conclusione anche nel quadro dell'attività generale del Governo.
A mio avviso, in primo luogo, il protocollo si inserisce in un'azione complessiva del Governo, che ha preceduto il protocollo stesso e si è evidenziata già con la scorsa legge finanziaria, e in un'attività che procede dopo la stipula del protocollo, anche con la nuova legge finanziaria, che presenta alcune caratteristiche di fondo. La prima caratteristica è una fortissima impronta sociale, la seconda è un'attenzione alla crescita della competitività del Paese. Noi riteniamo che queste due parti siano tra loro assolutamente non separabili e rappresentino l'elemento cardine attorno al quale ricostruire, favorire e implementare un principio di modernizzazione del Paese.
In secondo luogo, ritengo che il protocollo e le azioni che lo hanno preceduto e quelle che lo seguono siano una importante e forte, seppur graduale, applicazione del programma dell'Unione, che, in particolare sui temi sociali e del lavoro, ha un suo preciso fondamento e contenuti importanti. Credo, quindi, che tutta questa azione sia assolutamente coerente, in applicazione di quel programma, e dimostri la capacità del Governo di dar corso ai suoi intendimenti e alle sue previsioni programmatiche.
Per quanto riguarda la situazione che ha preceduto il protocollo, vorrei ricordare alcune circostanze. Se ci riferiamo al tema della competitività del sistema Paese, vorrei ricordare che nel luglio di quest'anno entra in vigore la norma che


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riguarda il cuneo fiscale, vale a dire uno sconto sul costo del lavoro. Tale sconto è una risorsa importante che va a vantaggio del sistema produttivo e della competitività; un vantaggio che possiamo quantificare su base annua - dal 2008, quando produrrà i suoi effetti per l'intero periodo - in circa 5 miliardi di euro.
Noi abbiamo voluto che questa manovra avesse un carattere di aiuto e di stimolo alla competitività del sistema. Ci auguriamo che questo si traduca non in risparmi per le imprese, ma in investimenti, innovazioni, ricerca, informazioni, insomma in tutto ciò che oggi caratterizza la modernizzazione del sistema. Al tempo stesso, ci auguriamo che la manovra abbia una caratteristica sociale.
Ho voluto con grande forza che questa manovra fosse esclusivamente indirizzata al lavoro a tempo indeterminato, con questo dando attuazione al primo punto del programma dell'Unione: far tornare il lavoro stabile, a tempo indeterminato, la normale modalità attraverso la quale si agisce sul mercato del lavoro, senza per questo negare la buona flessibilità di sistema.
Un altro punto che vorrei richiamare è un complesso di misure di carattere sociale, volte - anche in questo caso con precisa, piena e puntuale applicazione del programma dell'Unione - a risolvere alcuni problemi che riguardano la tematica del lavoro: la lotta al lavoro nero, la lotta alla precarietà, l'estensione delle tutele a vantaggio di coloro che nel mercato del lavoro hanno prestazioni discontinue.
Tutto questo è contenuto nel programma dell'Unione. Naturalmente, non possiamo fare riferimento ad un solo punto, ma alla complessità del programma; una lettura esclusiva su un punto sarebbe fuorviante rispetto alla complessità di un programma elettorale.
Per quanto riguarda il lavoro nero, con le norme del pacchetto sicurezza dell'agosto scorso, il Governo dopo dodici mesi raggiunge un risultato. Abbiamo applicato nel settore dell'edilizia queste norme, che sono conosciute da tutti, e devo dire che molti suggerimenti sono emersi anche attraverso le consultazioni in questa Commissione (penso, ad esempio, al tesserino di riconoscimento, argomento che noi abbiamo tradotto in normativa).
Mi richiamo, in particolare, alla normativa relativa alla sospensione dell'attività delle imprese per le quali si riscontra più del 20 per cento di lavoro nero. Devo dire che sono particolarmente soddisfatto dell'efficacia di questa normativa, che è stata applicata concordemente con le parti sociali, sia con l'Associazione nazionale dei costruttori dell'edilizia, aderente a Confindustria, sia con i sindacati maggiormente rappresentativi. Anche questo è un atto di concertazione. Del resto, la lotta al lavoro nero non è di una parte, ma credo che sia un problema condiviso da maggioranza e opposizione, come mi è stato testimoniato nel corso delle audizioni, riguardante il sistema delle imprese e i lavoratori.
Lavoro nero vuol dire meno sicurezza, ossia più incidenti e più infortuni mortali (sono 280 all'anno gli infortuni mortali nel settore dell'edilizia), vuol dire meno trasparenza retributiva, quindi meno contributi per la propria pensione, vuol dire concorrenza sleale tra le imprese.
Per tutti questi buoni motivi, credo di dover invitare tutti a una battaglia senza sosta. Quando parliamo di precarietà non dobbiamo dimenticare il lavoro nero, che è il volto peggiore della precarizzazione del lavoro: lì esiste non solo la mancanza di diritti, di tutela e di trasparenza, ma persino l'oppressione psicologica e fisica dei lavoratori, il caporalato. A volte, addirittura, per questa strada ci sono vittime, persone che scompaiono nel campo dell'agricoltura o in altri settori della produzione.
Abbiamo agito in primis nel settore dell'edilizia, riproponendoci ovviamente di intervenire in altre situazioni. Qualche risultato lo abbiamo raggiunto, anche grazie all'assunzione di nuovi ispettori. Vorrei ricordare che con i nuovi 300 ispettori che verranno assunti dal 1o gennaio del 2008, grazie alle previsioni della legge delega su salute e sicurezza (la legge n. 123 del 3 agosto 2007, approvata


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unanimemente dall'Unione, anche con importanti astensioni da parte dell'opposizione), noi portiamo il numero dei nuovi assunti tra gli ispettori a 1.411 (giovani diplomati, laureati, soggetti che hanno partecipato a master), oltre alle risorse in più che abbiamo destinato per la normale attività. Conoscete la famosa questione della benzina, delle indennità e delle tutele.
Che cosa emerge da questa attività di ispezione? Nell'arco di dodici mesi, contro il lavoro nero in edilizia abbiamo sospeso circa 2.200 aziende su tutto il territorio italiano. Il 40 per cento di esse ha riaperto, il resto è scomparso; per lo più si tratta di piccolissime aziende che vivono di lavoro nero, in alcuni casi aziende che dipendono dall'attività malavitosa. Questi lavoratori sono stati assorbiti, per la continuità del cantiere (nel caso di aziende scomparse), dall'azienda principale del cantiere stesso.
L'INAIL ci comunica che in dodici mesi sono emersi dal nero, prima sconosciuti all'istituto, 162 mila lavoratori. Pensate, il numero degli abitanti della città di Cagliari! Sempre l'INAIL ci segnala che il settore dell'edilizia, da agosto ad agosto, ha un saldo occupazionale attivo di oltre 70 mila lavoratori e che l'INPS ha incassato più di 50 milioni di euro in più di contributi previdenziali.
A tutte le opinioni e a tutte le critiche, che in molti casi parlano anche di un'attività insufficiente di Governo (naturalmente nessuno è perfetto), io oppongo, come al solito, delle cifre, dei risultati e degli obiettivi raggiunti. Mi pare che, in questo caso, aver portato alla luce una quantità così rilevante di persone - tengo a sottolineare che il 55 per cento di queste persone è composto da lavoratori stranieri ed ha meno di 30 anni d'età - sia stata un'operazione concreta, realistica, efficace, che ha sicuramente portato un elemento di benessere e di trasparenza nel nostro Paese, a vantaggio di chi soffre una situazione di disagio e di marginalità.
Naturalmente, questa azione proseguirà. Vorrei sottolineare che, a seguito del protocollo del 23 luglio scorso, con le associazioni di imprese e del lavoro del settore dell'agricoltura abbiamo introdotto nuove regole che, dopo trent'anni, innovano profondamente e radicalmente le modalità di utilizzo degli ammortizzatori sociali nel settore dell'agricoltura, con una dotazione finanziaria, oltre a quello che avevamo previsto nel protocollo, di quasi 100 milioni di euro all'anno. Tali risorse elimineranno per la prima volta le cosiddette soglie - rimane la prima, quella dei «cinquantunisti», ma non ci sono più i 101 e i 151 giorni -, che hanno generato nel passato atteggiamenti opportunistici, vale a dire lavoro fittizio e imprese al nero.
Voglio segnalare che, attraverso l'INPS, mentre nel 2005 erano state cancellate 3.000 posizioni di lavoro fittizio nel settore dell'agricoltura, l'anno scorso ne abbiamo cancellate 127 mila, e proseguiremo su questa strada. Questo protocollo, da un lato, incentiva le imprese a combattere il lavoro nero - in caso contrario, verranno sanzionate - e, dall'altro, premia quelle che hanno un comportamento virtuoso, ad esempio con crediti di imposta per la stabilizzazione del lavoro o con la riduzione dei premi INAIL quando è certificata la trasparenza contributiva e retributiva e l'assenza di infortuni per un periodo di almeno due anni.
Ho detto questo perché vorrei segnalare - sapete che non amo gli spot o gli annunci eclatanti, ma preferisco il lavoro quotidiano, certosino, a volte silenzioso, che però porta dei risultati - che il nostro intendimento non è solo la piena applicazione del programma dell'Unione su questi punti, ma anche portare alla luce situazioni che molte volte vengono relegate ai margini della nostra discussione.
Faccio notare che un settore come quello dell'agricoltura, che rappresenta il 15 per cento della ricchezza di questo Paese, ha bisogno di quegli elementi di modernizzazione che con questo protocollo abbiamo voluto introdurre.
Questa è l'azione che precede e segue il protocollo per quanto riguarda il lavoro


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nero. Credo che sia un'azione di successo indubitabile e che ulteriori risultati arriveranno nel breve periodo.
Sempre relativamente all'attività a tutela del lavoro e della precarietà, che ha preceduto la stipula del protocollo, vorrei ricordare che è iniziata un'azione per quanto riguarda l'allineamento dei contributi previdenziali dei lavoratori parasubordinati. Io ho trovato una percentuale del 18 per cento; prima del protocollo l'abbiamo portata al 23 per cento e oggi al 26 per cento. Qualcuno dice che con questo finanziamo il sistema previdenziale della generazione anziana. Io dico, invece, che con questo finanziamo i risultati pensionistici dei giovani, che con il lavoro discontinuo e le basse contribuzioni avrebbero, dopo quarant'anni di attività, un tasso di sostituzione pensione-lavoro intorno al 40 per cento, mentre con il protocollo del 23 luglio abbiamo indicato l'obiettivo del 60 per cento.
Abbiamo anche proposto un documento molto importante a tutela del lavoro precario e parasubordinato nel settore dell'editoria. Sapete che è in ballo da due anni il contratto di lavoro per questo settore. Confesso che, come Ministro del lavoro e della previdenza sociale, ho fallito il mio obiettivo di far sedere, dopo tutto questo tempo, le parti ad un tavolo per concludere un accordo. Bisogna ammettere onestamente anche le proprie incapacità. Ovviamente, il fondamento sta nella volontà delle parti di stipulare un accordo, perché nessun ministro può sostituirsi alla volontà delle parti stesse, tuttavia, la mia capacità di persuasione evidentemente non ha funzionato.
Ho comunque aperto un tavolo sul problema della precarietà del lavoro nel settore dell'editoria, e devo dire che, pur non avendo le parti stipulato tra di loro un contratto, esse hanno aderito al documento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che porta le contribuzioni previdenziali dei lavoratori giornalisti del settore dell'editoria, laddove hanno una prestazione saltuaria (un lavoro a progetto), dall'attuale 12 per cento (2 per cento pagato dall'impresa, 10 per cento pagato dal lavoratore) a un riallineamento nell'arco dei prossimi quattro anni al 26 per cento (due terzi pagato dall'impresa, un terzo pagato dai lavoratori).
A coloro che sostengono che questo Governo non fa nulla per combattere la precarietà dico che abbiamo esteso a questi lavoratori, che non l'avevano - così come l'abbiamo esteso, prima del protocollo del 23 luglio, al lavoro parasubordinato -, il diritto di tutela per malattia e per maternità, che vale anche per i lavoratori parasubordinati dell'editoria, nonché il diritto alla stabilizzazione, che abbiamo già sperimentato nei call center. Mi auguro - questa è la nostra previsione - che almeno 500 giovani nostri figli possano diventare giornalisti professionisti attraverso quest'opera, condivisa da editori e giornalisti, di stabilizzazione e di tutela della precarietà.
La nostra azione, dunque, precede e segue il protocollo, ma si muove sempre in una logica perfettamente coerente con l'applicazione del programma dell'Unione, che ha fatto della lotta al lavoro nero e alla precarietà un punto fondamentale, che noi stiamo applicando in modo molto preciso.
Potrei citare la legge n. 123 del 2007, in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (che ha preceduto il protocollo), di cui si parlava da dieci anni e che finalmente è stata approvata. Tale legge è diventata operativa già nel mese di agosto e siamo impegnati, nei tempi previsti, ad emanare i decreti legislativi. Potrei citare numerosi altri esempi, ma credo che non valga la pena.
Per quanto riguarda la stabilizzazione del lavoro nel passaggio dal lavoro a progetto al lavoro a tempo indeterminato o subordinato, confermo che abbiamo raggiunto l'obiettivo di 22.000 stabilizzazioni nel solo settore dei call center; un obiettivo raggiunto attraverso accordi tra le parti sociali, applicando la normativa prevista dalla legge finanziaria. Abbiamo previsto una nuova circolare che indica i criteri di base per poter recepire questi accordi nell'ambito dei sussidi previsti dalla legge finanziaria. Nel caso in cui questi accordi


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non abbiano un requisito minimo di stabilizzazione in un tempo congruo, invitiamo le parti sociali al riallineamento virtuoso degli accordi stessi, anche perché non vogliamo differenze tra situazione e situazione.
Per quanto riguarda il problema della stabilizzazione del lavoro a progetto, l'azione futura del Governo - siamo partiti da un settore specifico, quello dei call center - sarà quella di invitare tutti i settori della produzione con lavoratori a progetto che non rientrano nella tipologia del progetto ad un riallineamento della normativa; altrimenti, con le ispezioni e le sanzioni, provvederemo ad agire sulla base delle normative.
Come noterete, si tratta di un lavoro progressivo, che lentamente vuole correggere l'uso distorto di determinate tipologie di lavoro che hanno largamente segnato le caratteristiche di precarietà del nostro mercato del lavoro.
Per quanto riguarda il protocollo, non ho molto altro da aggiungere. In varie occasioni mi avete sentito spiegare i motivi per i quali ritengo che questo sia il miglior protocollo di concertazione da quando la concertazione esiste in Italia. Non credo di essere presuntuoso o supponente, ma cerco sempre di basarmi sui dati di fatto. In questo caso, il dato di fatto è che, dal 1983, quando cominciò la concertazione in Italia con il protocollo dell'allora Ministro del lavoro, Vincenzo Scotti (si trattò di un patto contro l'inflazione), tutti i protocolli di concertazione si sono caratterizzati per l'elemento di scambio al loro interno. Ad esempio, nel 1992 fu ceduta la scala mobile, oppure furono introdotte norme di moderazione salariale, come nel 1993, accanto ad una ridefinizione del modello contrattuale.
Il protocollo in questione, invece, è interamente acquisitivo, perfettamente in linea con l'applicazione del programma dell'Unione. Sfido chiunque a dire che una qualsiasi delle norme in esso contenute faccia compiere un passo indietro alla situazione di un lavoratore, un pensionato, un giovane precario, e via dicendo. Al contrario, sono tutte norme migliorative. Qualcuno può dire che avrebbe voluto di più, e lo comprendo. Tuttavia, non si può affermare che queste norme non migliorino la condizione materiale delle persone.
Nel corso della discussione sul protocollo, insieme a Prodi, Letta e Padoa-Schioppa, ho obbedito al principio secondo il quale sono due le figure di riferimento fondamentali per le quali abbiamo lavorato, al di là di qualsiasi altra considerazione. La prima è quella dei pensionati a basso reddito, la seconda quella dei lavoratori precari e discontinui. Il protocollo, che non vi illustro in modo dettagliato perché immagino lo conosciate meglio di me, obbedisce proprio a questo principio, avendo in mente queste due figure.
La prima azione alla quale abbiamo subordinato una quota rilevante di risorse va precisamente a vantaggio dei pensionati con le pensioni più basse. Abbiamo già intrapreso una prima azione concreta in questi giorni: come sapete, i pensionati con pensioni al di sotto di 660 euro (non è esattamente così, perché anche chi percepisce qualcosa in più può ottenere un risultato) stanno ricevendo - e sono circa 3,5 milioni di persone - un assegno pensionistico in più, che noi abbiamo chiamato «quattordicesima», mediamente di 302 euro, a seconda dei contributi versati, che una volta all'anno integra la cifra percepita. Questa diventerà una vera quattordicesima e si alzerà di valore. Quest'anno abbiamo investito 926 milioni di euro in questa operazione, ma il prossimo anno saranno almeno 1 miliardo 200 milioni di euro, più 100 milioni per le indicizzazioni al 100 per cento delle pensioni da tre a cinque volte il minimo.
Abbiamo badato, insomma, alla parte più debole del Paese. Si premiano i redditi individuali e questo consente, per la prima volta, ad una larga platea di donne con pensioni basse di avere un vantaggio. Ciò prima non accadeva, poiché si considerava il reddito familiare.
Abbiamo anche considerato le basse pensioni di carattere sociale e abbiamo voluto privilegiare, ovviamente, i contributi


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versati. Questa è un'operazione di forte impatto sociale, che dovrà proseguire negli anni, attraverso la concertazione.
La seconda figura di riferimento è quella dei giovani. Si parla molto di giovani e di precarietà, ma sento a volte posizioni molto ideologiche e poco concrete. Questi giovani, ai quali secondo qualcuno noi non guarderemmo in maniera sufficiente, credo abbiano avuto qualche risposta importante, prima, durante e dopo il protocollo.
Ho già parlato dei contributi. L'allineamento verso l'alto prelude ad un'azione che è nelle mie intenzioni, quella di arrivare a fine legislatura con un perfetto allineamento dei contributi previdenziali fra il lavoro a tempo indeterminato e quello parasubordinato. Il paradosso, in Italia, è che il costo del lavoro, quando questo è flessibile, è inferiore al lavoro stabile. Dovrebbe essere il contrario, altrimenti la convenienza, per l'imprenditore, non si basa sulla scelta logica che si vuole privilegiare - l'imprenditore, ad esempio, ha bisogno di buona flessibilità e utilizza a tempo le persone, pagando di più quell'utilizzo -, ma semplicemente sul fatto che il lavoro discontinuo costa meno, quindi lo si preferisce al lavoro stabile. Credo che questo sia un paradosso che dobbiamo lentamente correggere. Del resto, l'azione del Governo tesa a diminuire il costo del lavoro stabile e ad innalzare lentamente il costo del lavoro flessibile va in questa direzione.
I giovani, oltre ai contributi, avranno, con questa legge finanziaria, la totalizzazione dei contributi stessi (è inutile che vi spieghi di che cosa si tratta; prima si correva anche il rischio di perdere i contributi versati dai giovani, a vantaggio della mia generazione), un riscatto più conveniente della laurea ai fini della costruzione della propria carriera previdenziale, contributi figurativi pieni (quando finisce un contratto a termine e si è disoccupati, la contribuzione figurativa piena rappresenta in qualche modo la possibilità di ricostruire una carriera pensionistica importante).
Nell'ultima legge finanziaria, per quanto riguarda il Mezzogiorno, per i giovani neolaureati abbiamo inserito la logica di un bonus, oltre alla remunerazione a 400 euro al mese degli stage (cosa che non avveniva in precedenza nel Mezzogiorno), al fine di convertire questo lavoro temporaneo di stage in lavoro a tempo indeterminato con un premio a vantaggio dell'impresa.
Inoltre, sempre nella legge finanziaria varata la scorsa settimana, abbiamo previsto, per i giovani che hanno redditi fino a 15 mila euro e che, quindi, sono perfettamente inseribili nella categoria dei giovani che svolgono lavoro discontinuo o lavoro a progetto, la possibilità di avere degli sconti per l'affitto della casa, restituendo in tal modo loro la prospettiva di una maggiore autonomia rispetto alla famiglia di origine, cosa che per la nostra generazione era abbastanza scontata.
Se sommiamo tutte queste misure, credo che possiamo individuare, con un profilo molto preciso e netto, un pacchetto a vantaggio delle giovani generazioni. Sicuramente esso non risolverà tutti i problemi, ma è di forte impatto sociale, a vantaggio di coloro che attualmente soffrono una condizione di marginalità e di insicurezza che si riverbera sull'insieme della società.
Sono da citare anche i capitoli di miglioramento per quanto riguarda le indennità di disoccupazione, che passano dal 50 al 60 per cento, andando così in una direzione europea, i miglioramenti delle tutele per quanto riguarda il mercato del lavoro (dal lavoro part time alla cancellazione del lavoro a chiamata) e il miglioramento delle normative relative al contratto a termine. Vi è poi una normativa di forte miglioramento per quanto riguarda l'estensione e la qualità dei contratti aziendali di produttività. Da questo punto di vista, sono previsti vantaggi alle imprese, ma per la prima volta i lavoratori - dai lavoratori della FIAT a quelli di altre medie o grandi imprese di qualsiasi settore industriale che prevede questi premi, introdotti nel 1993 dal vecchio protocollo di


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concertazione - avranno questo premio di risultato completamente pensionabile, misura che prima non esisteva.
Si tratta di elementi evidenti di forte miglioramento, che non possono essere disconosciuti, anche perché il risultato di questa azione di maggiore competitività ed equità sociale caratterizza un impegno di spesa, nel decennio 2008-2017, di quasi 40 miliardi di euro (se contabilizziamo anche gli ultimi risultati che abbiamo portato per quanto riguarda il settore dell'agricoltura).
Come sapete, il protocollo è stato sottoscritto da quasi tutte le parti sociali. A onor del vero, non tutti l'hanno sottoscritto: lo hanno fatto CGIL, CISL, UIL, UGL, CONFSAL, UNCI, Confindustria e altri, ma non artigiani e commercianti, che sul protocollo hanno avanzato delle critiche. Non dispero che, attraverso un'azione di concertazione (che abbiamo già svolto e che ci è stata riconosciuta), anche per quanto riguarda questi settori si possa registrare una convergenza e raggiungere un accordo.
Il protocollo sarà sottoposto ad un'autonoma valutazione promossa dalle organizzazioni sindacali, con una consultazione che coinvolgerà 4 o 5 milioni di lavoratori e pensionati, che si concluderà il 10 ottobre. Credo che dovremmo avere molta attenzione e riguardo rispetto a un pronunciamento democratico dei lavoratori e dei pensionati.
Per quanto riguarda il Governo, siamo impegnati a portare, il 12 ottobre, nel prossimo Consiglio dei ministri, il protocollo nella sua integrità, per la definizione di normative che inseriremo in un collegato alla legge finanziaria. Anche questo serve per sottolineare l'unicità del protocollo. I protocolli di carattere sindacale non si dividono a fette, non sono un carciofo che si sfoglia: si prendono o si lasciano in tutte le loro parti. E così, rispetto a questo protocollo, non ci sono parti buone o meno buone, in quanto l'equilibrio che si è raggiunto testimonia l'unicità e la sintesi che abbiamo concordato con 40 parti sociali, le quali, ciascuna per suo conto, avrà le proprie riserve su questo o quel particolare. Tuttavia, il protocollo ha la sua complessità, che va assolutamente mantenuta.
Naturalmente, un Governo ha precisi compiti e precise linee di comportamento. Nel momento in cui si concerta qualcosa con le parti sociali, quello è il frutto della concertazione che il Governo è impegnato a difendere. Questo non toglie, ovviamente, che l'azione di carattere parlamentare, nella sua sovranità, potrà apportare eventuali modifiche. Come è ovvio, nessuna azione di modifica è a senso unico: ad azione corrisponde reazione, e così via. È intendimento del Governo e del Ministro mantenere la rotta, la sostanza delle scelte che abbiamo definito, con tutti gli elementi di chiarimento che si dovessero nel frattempo rendere necessari.
Pertanto, nel Consiglio dei ministri compiremo un normale atto di trasposizione di questo protocollo nel cosiddetto collegato alla legge finanziaria.
Il nostro intendimento, come ha sottolineato questa mattina il Ministro Padoa-Schioppa, è quello di portare a conclusione, entro i tempi della legge finanziaria, legge finanziaria stessa e protocollo. Quello è il tempo nel quale vogliamo svolgere l'insieme della nostra azione.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Damiano.
Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO ROSSO. Innanzitutto, mi complimento con il Ministro per le tante misure di continuità e di completamento rispetto all'attività del Governo precedente. Abbiamo riscontrato, anche in questa audizione, quante siano le giustificazioni dell'opera che il Ministro Maroni e il Governo Berlusconi intrapresero nella scorsa legislatura.
Sorvolo sulle misure liberiste, che naturalmente condividiamo. Noi avevamo attivato misure di defiscalizzazione dei redditi dei lavoratori e il Governo, oggi, attua misure di defiscalizzazione del carico del lavoro. Come ho detto, siamo pienamente


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d'accordo su questa continuità rispetto all'azione del Governo precedente.
Lo stesso discorso vale per il lavoro nero. Noi abbiamo provveduto ad evitare la frammentazione, la dispersione dell'attività degli ispettorati del lavoro sul territorio determinata dalla riforma Bassanini, e abbiamo ricostruito una rete centrale di ispettori e costituito un grosso parterre di potenziali nuovi ispettori del lavoro, attraverso il più grande concorso nazionale per laureati mai varato in tutti gli anni di Governo. Oggi vediamo che il Governo attuale porta avanti questa attività, con i nuovi 300 ingressi che ci ha riferito il Ministro Damiano. Anche questa è una scelta condivisibile da parte nostra, in quanto riprende l'azione che già a nostro tempo portammo avanti e la perfeziona.
Si ha difficoltà, invece, a riconoscere la fortissima impronta sociale di cui parla il Ministro. Forse, egli ha dovuto sottolineare questa vocazione per giustificare il fatto che la CGIL, che fu l'unico organismo a non approvare, ai tempi del Governo Berlusconi, il Libro bianco sul lavoro, si dimostra oggi firmataria di un documento che nulla riporta delle tante contestazioni che a suo tempo la CGIL avanzava.
Come credo molti dei miei colleghi, ho avuto per anni la ventura di essere subissato dalle critiche - che venivano non soltanto dalla parte radicale, ma anche da quella più moderata e cosiddetta «riformista» della coalizione di maggioranza - circa l'innovazione del mercato del lavoro che la legge Biagi aveva introdotto. Sembrava che l'insediamento al Governo del Paese di una coalizione di segno politico opposto avrebbe rivoluzionato il quadro definito della legge Biagi. Invece, oggi vediamo che, al di là di parole roboanti, l'unico elemento di modifica che viene introdotto è l'eliminazione del lavoro a chiamata. Questa era una delle espresse previsioni che Biagi aveva posto nel suo Libro bianco, per una ragione ovvia: il lavoro a chiamata è la tipica forma di lavoro che, se non viene regolamentata, diviene lavoro nero. Il cameriere o l'universitario chiamato per brevi lavori, attraverso quella forma, poteva acquisire diritti; fuori da quella forma, verrà comunque chiamato, ma il suo sarà semplicemente lavoro nero, quindi non visibile.
L'unica novità del mercato del lavoro riguarda il contratto a termine, laddove si introduce una strana ritualizzazione del ruolo dei sindacati. Verga parlava dei «campieri» che regolavano la funzione dei lavoratori negli agri siciliani. Oggi abbiamo una figura per cui, scaduti i 36 mesi di contratto a termine, non si prevede - come pure, onestamente dal suo punto di vista, la sinistra radicale oggi prevede - il blocco della possibilità di reiterare il contratto, ma la possibilità di recarsi presso gli uffici del lavoro, con la controparte sindacale, a rinegoziare quello che oggi avviene in modo automatico. Questa è una preoccupante modalità, che attribuisce al sindacato la funzione di «campiere», laddove il lavoro verrebbe ad essere precarizzato con costanza all'interno delle relazioni sindacali italiane.
Per quanto riguarda le pensioni, assistiamo al completamento, sul versante delle pensioni minime, di quanto avevamo fatto per le pensioni sociali, e anche di questo prendiamo atto positivamente.
Rimane da fare una sottolineatura. Oggi, in Italia, vi è una distorsione del sistema, quella dei cinque anni di anticipazione del pensionamento delle donne rispetto agli uomini. Credo che il nostro sia l'unico Paese, a livello europeo, a praticare questa scelta. Sarebbe stato interessante che il nostro Governo, proprio al fine di una migliore impronta sociale dell'intera previdenza, pensasse più alle giovani madri che alle giovani nonne. Abbiamo un sistema in cui si premiano le nonne giovani e si penalizzano le madri giovani. Anche ad invarianza del costo generale, sarebbe auspicabile un sistema che attingesse a questa riserva di cinque anni di pensione di vecchiaia, per ridistribuirla sulle madri che hanno bisogno di welfare in misura molto più cospicua rispetto alle donne di sessant'anni, che non hanno più un diretto impegno in famiglia.
Per quanto riguarda il reinserimento al lavoro, ho visto che ci sono almeno tre


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riferimenti al piano di invecchiamento attivo che il Governo propone. Ebbene, su questo registriamo un paradosso. Noi, nel precedente Governo, avevamo dichiarato questa volontà e l'avevamo anche realizzata. Voglio ricordare che uno degli ultimi provvedimenti del Governo Berlusconi fu un piano sperimentale di reinserimento dei lavoratori in esubero che si rivolgeva a tutte quelle figure, anche dai 45-50 anni in poi (nel mondo FIAT, ma non soltanto), proponendo loro uno scambio. Se, come dice anche oggi il Governo, il lavoratore accetta la possibilità di rientrare al lavoro entro un determinato chilometraggio, con la stessa funzione, lo Stato appronta una rete di protezione; il lavoratore quindi viene collocato in mobilità a sostegno, ma non può rifiutare quando gli viene trovato un lavoro.
Questa era la proposta che avevamo avanzato e che, in alcuni casi specifici, era stata anche realizzata. Peccato che il nuovo Governo, che pure dichiara gli stessi intenti, nella pratica abbia attuato, nei confronti della FIAT in particolare e del suo indotto, l'esatto opposto di quello che dichiara, consentendo il prepensionamento di migliaia di lavoratori che avrebbero potuto o dovuto, alla pari di altri lavoratori, essere inseriti in questo piano di protezione che il Governo Berlusconi aveva attivato.
Infine, un aspetto che colpisce è che sul lavoro usurante - questa è una critica che viene anche dalla sinistra - si possa stabilire un termine quantitativo. È abbastanza anomalo ritenere che 5.000 sia la soglia oltre la quale non si possa andare in pensione in anticipo nel caso di lavoro usurante. Ci dovrebbe essere una mobilità rilevabile dall'oggettiva natura del lavoro e non dalla fissazione preventiva di un termine quantitativo, altrimenti si cade in contraddizione. Non è possibile, anche costituzionalmente, che due lavori parimenti usuranti siano discriminati a seconda della soglia che si è stabilita.
Da ultimo, se non vengono operate modifiche rispetto alla legge Biagi per quanto riguarda il mercato del lavoro, dobbiamo dire che è proprio grazie alla legge Biagi che si è potuta realizzare la stabilizzazione dei lavoratori nei call center (le 20.000 persone di cui si parlava); grazie a questo strumento, non avendo più i co.co.co. ma i co.co.pro, gli ispettori del lavoro, verificando l'elemento capzioso e fasullo della protrazione del lavoro, hanno potuto regolarizzare l'attività.
Da questo punto di vista, sono lieto che la legge Biagi, anziché produrre gli effetti distorsivi dell'equilibrio sociale di cui spesso alcuni esponenti di sinistra - anche moderati e riformisti - si sono lamentati, abbia avuto come unico effetto quella stabilizzazione che tante volte il Governo di sinistra ha invocato ma non è riuscito a realizzare con i propri provvedimenti.

PRESIDENTE. Faccio presente ai colleghi che possiamo proseguire l'audizione fino alle 17 circa. Per lasciare al Ministro un tempo congruo per la replica, invito tutti a prestare attenzione alla durata dei propri interventi.

AUGUSTO ROCCHI. Accogliamo l'invito, ma questa è certamente un'occasione importante, per il passaggio delicato legato alla costruzione del ruolo parlamentare su questi temi.
In premessa, vorrei svolgere alcune considerazioni. In primo luogo, faccio notare che a volte non si riescono a valorizzare in modo adeguato le misure positive legate all'attuazione del programma dell'Unione. Mi riferisco in particolare ai temi della sicurezza del lavoro e del lavoro nero, che rappresentano sicuramente i due punti più avanzati, come attuazione del programma e come risultati conseguiti. Questo è stato possibile grazie a un'efficace azione del Governo, che va riconosciuta, e ad un efficace ruolo del Parlamento, anche della nostra Commissione, visto che siamo stati coinvolti e abbiamo lavorato su questi temi.
Pertanto, non intendo mischiare argomenti diversi, come se nulla andasse bene, in una logica di giudizio grossolano; sarebbe sbagliato e ingeneroso. Lo ripeto, troppe volte non si sanno valorizzare anche interventi importanti che sono stati


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realizzati. Questo non è un pregio, ma un difetto. Dobbiamo riuscire a valorizzare i risultati positivi e farli percepire come tali. Lo dico per tutti noi, non intendo rivolgere accuse a nessuno.
La seconda considerazione (anticipo che, nel merito, mi soffermerò sugli aspetti sui quali, a mio avviso, dobbiamo fare un passo in avanti e non su quelli che considero positivi, sui quali si sono già raggiunti risultati importanti) riguarda un passaggio dell'intervento del Ministro che ha introdotto un elemento di chiarezza non secondario. Il Governo ha condotto una trattativa con le parti sociali e ha raggiunto un'intesa, che sarà sottoposta al voto delle lavoratrici e dei lavoratori; ai fini del risultato conterà il clima, il dibattito generale, le domande, i bisogni, le aspettative che emergeranno da quella grande consultazione democratica. Non penso solo a una registrazione matematica del voto, pure di per sé importante, come è ovvio.
Ad ogni modo, capisco che, in un rapporto corretto tra le parti sociali, una volta raggiunto da parte delle organizzazioni sindacali un accordo da sottoporre alla verifica democratica dei lavoratori e delle lavoratrici, questo si traduca in un atto del Consiglio dei ministri. Fin qui il ragionamento mi sembra totalmente corretto. Tuttavia, è anche pienamente corretto che, sulla base della proposta, attuativa dell'accordo, che il Consiglio dei ministri avanzerà, il Parlamento non sia privato della possibilità di svolgere il suo ruolo.
In un accordo come questo ci sono sicuramente degli equilibri. Penso che nessuno, a meno che non si voglia fare propaganda, possa dire di non sapere - per quello che mi riguarda, per storia e per cultura, ne sono a conoscenza - che il raggiungimento di questi equilibri ha sempre un punto di incontro, tanto più quando si parla di una trattativa a tre. Posso capire, dunque, che ci siano dei punti di equilibrio, che chiamano in ballo risorse e costi, tuttavia, ci sono delle questioni che non hanno nulla a che fare con un ragionamento di equilibrio di questo genere.
Per questo, non ho apprezzato - lo dico con sincerità, ci si conosce da tanti anni - la sottolineatura che le modifiche aprono la strada anche alle contromodifiche. Capisco che possa essere necessario, di fronte a un'alterazione dell'equilibrio dei costi, trovare delle compensazioni, ma ci sono parti che potrebbero introdurre, con un proficuo lavoro, elementi di miglioramento, senza che muti nulla dal punto di vista degli equilibri.
Nel merito, procederò richiamando i diversi punti che sono stati affrontati. Quanto al capitolo pensioni di questo accordo, sicuramente c'è anche un problema di costi. Quello che pongo, tuttavia, è un problema di equilibrio tra di noi. Intanto, dobbiamo dire che in questo accordo c'è un miglioramento rispetto alla legge precedente. Noi partivamo da una legge che sarebbe entrata in vigore il 1o gennaio 2008, in base alla quale un lavoratore avrebbe dovuto lavorare altri tre anni per raggiungere il limite dei 60 anni e andare in pensione. Tuttavia, nel miglioramento dello schema che si è adottato con questo accordo, a mio avviso, ci sono alcune contraddizioni che dovrebbero trovare una soluzione positiva. Non dico di stravolgere l'accordo concluso dalle parti sociali, ma di affrontare alcuni problemi, per individuare una soluzione migliorativa di questi aspetti.
Cito qualche esempio. Il primo riguarda la soglia dei 5.000 prevista per il pensionamento nel caso di lavoro usurante. Penso che questa norma sia persino anticostituzionale. Infatti, se ci trovassimo, in base alle condizioni previste dalla legge per rimanere fuori dallo scalino dei 58 anni, nelle stesse condizioni, chi decide, e perché, se un lavoratore non abbia diritto di usufruire di quella norma, pur rientrando in una determinata casistica? Ritengo che questo nodo vada affrontato e risolto; una volta definiti nell'accordo i requisiti per poter usufruire di quel diritto, non deve esserci alcun vincolo numerico per la sua attuazione.


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Personalmente, ritengo che il criterio delle quote sia la soluzione più equa. Potrebbe essere discutibile l'entità della quota, ma il meccanismo delle quote credo sia la soluzione socialmente più equilibrata, in quanto si basa sull'età contributiva e anagrafica, essendo la sommatoria dei due elementi. Se penso ai lavoratori e alle lavoratrici precoci, ritengo che essi siano più tutelati da questa norma che da un ragionamento astratto - che sento continuamente fare e che non ha senso - sull'età. Il problema è che si è introdotto anche un aggancio al meccanismo dell'età.
Signor Ministro, le faccio un esempio al riguardo. Quando scatta la quota 95, una persona ha 58 anni e 37 di contributi, quindi ha lavorato di più di chi ha 60 anni e 35 di contributi o 59 anni e 36 di contributi: perché non ha diritto di andare in pensione, pur avendo lavorato di più? Quella persona ha un anno in meno di età, ma sulle spalle ha più anni di lavoro!
È ovvio che la soluzione astratta più semplice sarebbe quella di cancellare totalmente, definita la quota, la suddivisione in base all'età. Da vecchio sindacalista dico che si può lavorare, se non alla soluzione così radicale che sto proponendo, almeno ad una soluzione meno radicale, ma che risponde ad un obiettivo di giustizia. Intendo dire che si garantisca fino ai 58 anni, essendo definito lo scalino a questa età, il diritto di sommare età anagrafica e contributiva fino a quota 95. Diversamente, si crea un'ingiustizia sociale nel merito di quel meccanismo, perché viene penalizzato chi ha lavorato di più.
Inoltre, perché non dare la possibilità di andare in pensione una volta compiuta l'età per la pensione di vecchiaia, anziché prevedere, attraverso il meccanismo delle finestre, magari sei mesi di lavoro in più per poter accedere alla pensione? Stiamo parlando della pensione di vecchiaia, per cui, una volta raggiunto il tetto, non si può andare oltre.
Infine, sul nodo delle pensioni, l'accordo contiene un aspetto importante: l'impegno a costruire un meccanismo che porti - a proposito di coloro che non si preoccupano dei giovani - il rendimento pensionistico al 60 per cento. Vogliamo rendere questo impegno contenuto nell'accordo, che io ritengo positivo e importante, un elemento di maggiore certezza per il futuro delle giovani generazioni? Non metto in discussione la validità della proposta, ma chiedo che la si renda una certezza per tanti giovani.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, condivido quanto ha detto il Ministro. Vorrei sottolineare un problema che non c'entra con l'accordo, ma di cui la invito a tenere conto. In un meccanismo, che condivido, di aumento del costo del lavoro cosiddetto «precario» parificandolo a quello del lavoro a tempo indeterminato, si determinano delle contraddizioni rispetto a giovani che si trovano in quelle situazioni.
Anche in questo caso vorrei fare un esempio. I tanti giovani che, soprattutto al nord, più che avere sottoscritto un contratto a termine, hanno aperto quelle famose partite IVA che si sono gonfiate enormemente, con questi meccanismi hanno peggiorato la loro condizione. Essi sono lavoratori cosiddetti «autonomi». In verità, nella legge finanziaria vi è un provvedimento importante, che prevede una soglia del reddito per il quale scatta un'aliquota inferiore, ma che risolve il problema solo in parte. Per queste forme si sono trovati meccanismi di aumento, sia per quanto riguarda la parte fiscale sia per la parte contributiva, molte volte nell'ambito di un rapporto un po' debole, per il quale il datore di lavoro ha scaricato i costi degli aumenti sul lavoratore. È necessario non solo arrivare all'unificazione dei costi - anzi, forse il lavoro cosiddetto «flessibile» dovrebbe costare di più - ma intervenire sulle normative che regolano queste fattispecie. La possibilità di utilizzo di forme come queste deve essere valutata con attenzione; altrimenti, solo per il versante dei costi, anche in una politica giusta teoricamente, che condivido e che va perseguita, si possono determinare delle contraddizioni che magari, nella fase contingente, penalizzano chi è già soggetto a una situazione di precarietà.


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Non conosco, signor Ministro, come venga affrontata in finanziaria - non abbiamo ancora i testi - la parte riguardante la stabilizzazione della precarietà nel pubblico impiego. So che, sulla base di certe disposizioni, non sarà possibile utilizzare in futuro i meccanismi della precarietà: ma per la fase retroattiva cosa si fa? Nella legge finanziaria precedente avevamo previsto alcune norme positive, che riguardavano le cosiddette figure contrattualizzate (i contratti a termine). Ma che ne è del famoso fondo di regolarizzazione e stabilizzazione della restante precarietà, cui il Governo doveva dare vita, anche attraverso un protocollo attuativo? È vero che è compito del Ministro Nicolais, ma le due questioni si intrecciano. Ad oggi, non abbiamo visto alcuna norma attuativa; è rimasto un fondo stanziato che, però, non è servito alla stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione.
Quanto ai contratti a termine, penso che le norme previste possano essere modificate e migliorate.

PRESIDENTE. Vorrei far presente che, con l'avvio della discussione sulla legge finanziaria, sarà difficile incontrare il Ministro in tempi ragionevoli. Ribadisco quindi l'invito a limitare la durata degli interventi per consentire al Ministro di replicare.

AUGUSTO ROCCHI. Se il disegno di legge collegato alla legge finanziaria che recepirà il protocollo avrà, come è ovvio, un percorso di discussione parlamentare, le occasioni di confronto in questa Commissione ci saranno. Voglio solo sottolineare che io e il mio gruppo non ci limiteremo semplicemente a registrare quel protocollo. C'è la possibilità di discutere, confrontandosi insieme, in ordine ad eventuali miglioramenti, per cercare di fare un passo avanti rispetto a una contrapposizione teorica.
Come dicevo, sul contratto a termine si può intervenire anche nell'immediato. Penso, ad esempio, che la generica dizione «sindacati» sia un po' pericolosa. Lo dico per esperienza, facendo riferimento, ad esempio, alla eventualità che sindacati insignificanti siano coinvolti nelle firme. A parte questo, riteniamo che il passaggio dai 24 ai 36 mesi deve avere delle deroghe da un punto di vista delle causali...

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Perché, mi scusi, da 24 a 36?

AUGUSTO ROCCHI. Scusi, ho sbagliato. Mi riferivo alla terza proroga. C'è un motivo all'origine della gaffe: avevo in mente un meccanismo simile per i CFL. Credo che il Ministro abbia capito.
Quanto al passaggio dalla seconda alla terza proroga, si può insistere sul ragionamento che la deroga debba essere vincolata a causali di estrema rigidità? La mia opinione è nota. Io sarei per l'immediata stabilizzazione, tuttavia, per conseguire un miglioramento, senza fare propaganda e discorsi puramente teorici, è possibile ragionare nel merito di una serie di problemi concreti, che richiedono un miglioramento attuativo? È così assurdo dire che il Governo si assume l'impegno - ho citato prima l'esempio dei contratti di collaborazione, adesso lo dico anche per i contratti a termine - di emanare più avanti un provvedimento organico in cui si ragiona sul motivo per cui certe forme vengono usate in modo esagerato e sostituiscono i contratti a tempo indeterminato?
Termino con una battuta, raccogliendo l'invito a contenere i tempi del mio intervento. Capisco il rapporto tra imprese, interessi di impresa, sviluppo e salari dei lavoratori e delle lavoratrici. Considero sbagliato il fatto di intervenire sugli straordinari; tuttavia, se questo intervento rientra nel discorso dell'equilibrio di un accordo raggiunto tra le parti, ad esso si può comunque aggiungere un altro elemento, che garantisca un equilibrio giusto, come la defiscalizzazione degli aumenti contrattuali. Se si compie tale operazione, si determina un meccanismo che serve all'impresa, ma anche ai lavoratori e alle lavoratrici, in termini positivi.
Ho citato questi elementi come esempio di una discussione di merito che penso si


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debba svolgere sulla base del protocollo, ferma restando la premessa iniziale: nessuno nega la legittimità, da parte del Governo, di avanzare delle proposte coerenti con l'accordo tra le parti sociali, ma nessuno può impedire al Parlamento di svolgere il suo ruolo e la sua funzione.

SESTINO GIACOMONI. Signor Ministro, la ringrazio della sua presenza. Devo dire sinceramente che mi aspettavo qualcosa in più dal suo intervento. Lei ci ha parlato del protocollo ma, per rispetto del Parlamento e di questa Commissione, speravo non dico che ci portasse l'articolato (da quello che ho capito, finché non ci sarà il nulla osta dei lavoratori e dei sindacati, non ci arriverà mai), ma almeno che entrasse un po' più nel merito. Invece, signor Ministro, lei è venuto in Commissione a cercare di convincerci che sta realizzando il programma elettorale. Capisco sempre di più, ascoltandola, che lei non ha come riferimento il Parlamento e questa Commissione, ma il sindacato.
A questo punto, è facile capire i risultati dei sondaggi di Mannheimer, secondo i quali l'88 per cento degli elettori sono delusi dal centrosinistra. Credo che voi abbiate ingannato i vostri elettori ed i lavoratori almeno due volte: prima, in campagna elettorale, lo avete fatto attraverso il programma (siete venuti in questa sede a comunicare l'intenzione di abolire lo scalone e la precarietà in Italia, identificando la precarietà con la legge Biagi), e li ingannate oggi con il protocollo.
In questo protocollo, come diceva il collega Rosso, state seguendo una linea di continuità. È inutile prenderci in giro, voi state comunque aumentando l'età pensionabile: gli italiani andranno in pensione, dal 2011, a sessant'anni, e poi a sessantuno. Dallo scalone siete passati allo «scalino», ma i costi di ristrutturazione li stanno pagando gli italiani, con le tasse, e i giovani, con l'aumento dei contributi.
Oltretutto, c'è un altro costo secondo me ancora più oneroso, quello dell'incertezza. Mentre prima gli italiani sapevano che dal 2008, in Italia, come in tutta Europa, si andava in pensione a sessant'anni, oggi state dando l'illusione che alcuni possono andare in pensione a 58 anni, se sono così fortunati da essere usurati dal lavoro. Se però, disgraziatamente, un lavoratore non rientra nella soglia dei 5000 previsti, anche per un solo numero, improvvisamente, per voi, quel lavoratore ringiovanisce, non è più usurato, e quindi deve aspettare per poter andare in pensione. Questo è un inganno che state perpetrando ai danni degli elettori e dei lavoratori.
Inoltre, mi imbarazza vedere che il Parlamento è fermo in attesa di un referendum che, purtroppo, sarà probabilmente un finto referendum. Voi ci state abituando - e ripeto: purtroppo - alle adunate «finte»: lo abbiamo visto con le primarie per Prodi, in cui alla fine sono andati a votare in quattro milioni, ma non c'erano nemmeno i tabulati; adesso, per il Partito democratico, si faranno le primarie per eleggere un nome che è già designato. Insomma, c'è poco da stare allegri (Commenti)!
L'illusione, del resto, la date a voi stessi, non a noi, visto che noi non ci crediamo. Anche sul referendum, si fa passare l'illusione che il referendum sia il toccasana per risolvere i problemi.
Signor Ministro, a questo punto le chiederei veramente una buona notizia. Prodi ha detto che nella legge finanziaria c'erano cento buone notizie: noi le stiamo cercando, ma non riusciamo a trovarle. Ce ne dia almeno una, signor Ministro. State per fare un referendum di cui conoscete più o meno l'esito, considerato che siete a conoscenza del fatto che è un referendum pilotato. Utilizzo il plurale perché, purtroppo, siamo quasi una Repubblica sindacale, visto come viene considerato il Parlamento.
Almeno ci dia la buona notizia che il Governo si dimetterà, nel caso in cui questo referendum, il cui risultato già conoscete, dovesse invece andare come auspica la FIOM (credo che la FIOM sia l'unica organizzazione che ha bocciato il protocollo). Almeno, in questo modo, avremmo una speranza sia noi sia agli italiani.


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ANTONINO LO PRESTI. Sarò veramente telegrafico, anche perché i colleghi che mi hanno preceduto - ad eccezione del collega Rocchi - hanno già evidenziato in modo molto chiaro tutti i rilievi critici che le nostre formazioni politiche muovono e muoveranno a questo protocollo d'intesa.
Tralascerò di soffermarmi sui cosiddetti risultati positivi che avreste raggiunto come Governo sul fronte della lotta al lavoro nero e, soprattutto, sul versante della stabilizzazione dei precari. Voglio ricordare a tutti un dato, che era già acquisito nella scorsa legislatura, non appena si cominciò a parlare di riorganizzazione del mercato del lavoro e dell'introduzione di nuove figure contrattuali, e soprattutto quando fu varata la legge Biagi. Allora, quando si parlò delle sanzioni che sarebbero state previste per chi avesse simulato lavori a progetto allo scopo di eludere il divieto di rapporti precarizzati a lungo termine, i risultati ci furono già: diverse aziende, infatti, cominciarono a stabilizzare lavoratori che, evidentemente, lavoravano come co.co.co.
Hanno ragione, dunque, i colleghi Giacomoni e Rosso nel sostenere che, in effetti, voi raccogliete i risultati positivi di un'azione di governo che, allora, pur con la vostra ferrea opposizione, ebbe il coraggio di rivoluzionare il mercato del lavoro.
Mi pare che, al di là di piccole modifiche che avete apportato, nessuno più parli nel vostro schieramento - tranne l'estrema sinistra - di abrogare la legge n. 30 del 2003, che tanti benefici ha portato nel mondo del lavoro e, soprattutto, nel settore dei lavori cosiddetti precari, che si stanno avviando verso un percorso di stabilizzazione. Nessuno ricorda che l'Italia è il Paese europeo con la più bassa percentuale di lavoratori precari. Siamo superati abbondantemente dalla Spagna, dove ben il 35 per cento dei soggetti avviati al lavoro svolge attività precaria. Noi abbiamo percentuali assolutamente fisiologiche, che speriamo tutti di poter ulteriormente abbattere.
Fatta questa breve premessa, vorrei soffermarmi soltanto su un aspetto della vicenda, che è stato toccato anche dal collega Rocchi, sebbene con un'ottica diversa. Mi riferisco al problema dell'abolizione dello scalone e della sua sostituzione con uno «scalino». Con questa operazione, in realtà, avete veramente penalizzato i giovani, in una prospettiva attuariale di quella che potrebbe essere la loro futura vita di pensionati; essi, evidentemente, rischiano di avere una pensione non adeguata e affatto congrua alle loro esigenze di vita, visto che molti di loro sono ormai nel pieno del regime contributivo. Soprattutto, però, con questa operazione, che consentirà a un notevole numero di lavoratori di andare in pensione e quindi di attingere risorse al sistema pensionistico, voi avete impedito che la liberazione di queste risorse potesse essere destinata a più incisivi interventi sul welfare. Con l'applicazione, infatti, del cosiddetto «scalino» - chiedo al Ministro di confermare le stime che riferisco -, circa 58 mila lavoratori potranno andare in pensione a partire dal 1o gennaio 2008, rispetto alla previsione di permanenza in servizio contenuta nella riforma Maroni.
Questo fatto, di per sé, costituisce un vero e proprio vulnus, perché risorse che avrebbero potuto essere liberate di fatto saranno impiegate per sostenere la pensione di soggetti che a 58 anni lasceranno il mondo del lavoro, con grave scorno per coloro i quali - giovani e meno giovani - avrebbero potuto ottenere maggiori benefici. È una vicenda simile a quella del «tesoretto», di cui non si sa più niente. Non si sa bene che fine abbiano fatto queste risorse, che avrebbero dovuto essere impiegate per il welfare.
Esprimo quindi una critica senza riserve rispetto a questo protocollo di intesa, che non vede ancora la luce in alcun testo normativo che ci consenta di confrontarci in modo più compiuto.
Ho letto nelle parole del collega Rocchi un avvertimento al Governo, il quale, se non starà bene attento a quello che metterà nero su bianco, sarà smentito, o addirittura costretto a fare marcia indietro


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dalla sinistra estrema. Nelle sue parole preventive, signor Ministro, che forse anticipavano l'intervento del collega Rocchi, io e altri colleghi - il collega Fabbri sicuramente - abbiamo letto un ulteriore avvertimento: quello di non azzardarci a toccare alcunché, come Prodi ribadisce nei suoi interventi televisivi, di questo accordo con i sindacati, per evitare controreazioni. Questo vuol dire che, in quel caso, avremo modo di assistere a un conflitto. Aspettiamo con grande pazienza di vedere chi sarà il vincitore.

ELENA EMMA CORDONI. Signor presidente, credo che dovremmo approfittare di questo incontro con il Ministro per approfondire i contenuti del protocollo.
Quanto alla questione continuità/discontinuità, che il centrodestra ci propone, è facilmente dimostrabile che siamo in un'altra fase e in un'altra situazione. Si afferma che la stabilizzazione era già un obiettivo del centrodestra. Ciò sarebbe stato un bene, però mi sembra che le scelte fatte, pur rispettabili per le maggioranze che le hanno prodotte, fossero motivate con la riflessione che la flessibilità (intesa e poi applicata come precarietà) avrebbe favorito - questo era uno degli argomenti portati a sostegno della legge n. 30 del 2003 - l'emersione, il mercato del lavoro, una maggiore occupazione. Poiché quegli anni li abbiamo vissuti tutti - perlomeno alcuni dei colleghi che oggi sono intervenuti -, dire che tra le scelte di questo protocollo e di questo Governo e quelle del Governo precedente ci sia una continuità mi sembra faccia parte della dialettica politica.
Ci si misurerà nel merito rispetto a questo. Io non sono di tale avviso, comunque. Quello della stabilizzazione è un obiettivo centrale; si potrà discutere se questo obiettivo si può raggiungere in un modo o in un altro, se si sono fatti passi notevoli in avanti oppure no, ma affermare che su questo punto c'è una continuità con il passato credo sia un'evidente forzatura, utile ad una discussione soltanto strumentale e di carattere politico.
Siamo di fronte, dunque, a un obiettivo strategico importante. Le modalità per raggiungerlo possono essere tante. Non dimentichiamo, ad esempio (qui non sono stati ricordati), tutti gli incentivi messi a disposizione delle imprese che privilegiano il tempo indeterminato. Spero che, nel giro di qualche tempo, saremo in grado di portare dei risultati e dei numeri che evidenzino come si muove questo processo di stabilizzazione. Un processo che io ritengo importante, anche perché significa dare al Paese un messaggio opposto a quello che negli anni passati è stato dato, un messaggio che investe di più sul valore del lavoro e sul rispetto verso i lavoratori. A mio parere, anche soltanto dire che il raggiungimento di questo obiettivo non è sufficiente rappresenta una discontinuità molto forte.
Vorrei richiamare, inoltre, un problema che è reale, ma se lo si agita come un problema strumentale, pensando che possa costituire un elemento di difficoltà della maggioranza, si affronta la discussione in un modo che sicuramente non fa compiere un passo avanti al Paese. Il problema è quello del rapporto tra la concertazione e il Parlamento. Non è un problema che nasce oggi, ma si tratta di una tensione continua. Da una parte, c'è l'esigenza di coinvolgimento delle parti sociali, e non solo del sindacato (ricordo infatti che le firme sono state apposte anche dalle associazioni delle imprese), perché si tenta di raggiungere con loro obiettivi condivisi di un Paese. Dall'altra parte, c'è un filo sottile, anche di carattere istituzionale, che, purtroppo, anziché essere proposto a livelli più alti di confronto e di discussione, viene brandito come un elemento di scontro: è il rapporto fra la concertazione, gli accordi e il Parlamento. Credo che questo sia uno dei punti istituzionali più delicati, su cui l'equilibrio va trovato di volta in volta, per fare in modo che né una parte né l'altra siano svilite o mortificate nell'iter della discussione.
Sulla questione relativa alla FIOM, noto che improvvisamente siamo diventati suoi sostenitori! Per quanto riguarda la riforma Dini - bisognerebbe avere la memoria


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un po' più lunga -, non fu così semplice il percorso che ci ha portato al sistema contributivo e che ha permesso di tenere in equilibrio il sistema previdenziale. Ricordo che nelle consultazioni si raggiunse il 64 per cento. In molte grandi fabbriche l'accordo fu bocciato, anche allora. Abbiamo la possibilità di fare delle consultazioni, di cui avrei maggiore rispetto, a fronte di ciò che è stato detto in questa sede; credo sia importante ascoltare quello che viene dai luoghi di lavoro. Poi, c'è l'autonomia del sindacato, c'è l'autonomia della politica, e credo che sarà quello il momento della valutazione.
Richiamo questi riferimenti perché oggi diamo per scontati la riforma Dini, il sistema contributivo, e via dicendo. Poi è arrivato Berlusconi, ma anche lui ha lavorato su quel modello. Oggi si butta tutto via, come se non fosse stato fatto tanto lavoro su questo terreno.
Aspettiamo, dunque, il giudizio dei lavoratori, di tutti i lavoratori che si esprimeranno. Il risultato lo valuteremo. Credo che sia un problema del centrosinistra che oggi governa, ma anche di tutte le forze politiche e delle classi dirigenti.
A mio parere, questo incontro è importante; sarebbe opportuno tenerne qualcuno di più, se fosse possibile, per poter avere un confronto più ravvicinato. Questo ci permetterebbe, entrando anche nel merito, di risolvere alcune questioni scritte nel protocollo, talune come intenzioni o come principi (per esempio, quello relativo alla totalizzazione). Sarebbe interessante confrontarsi, anche in questa Commissione, su tali principi, al fine di valutare come tradurli in disposizioni legislative.
Mi preme sottolineare un punto di questo accordo, che mi sembra stiamo tutti sottovalutando. Non basta riconoscere la «bontà» dell'accordo; dobbiamo ricordarci che esso compie un'operazione di rivalutazione delle pensioni da lavoro. È dal 1992 che ciò non avviene nel nostro Paese; anzi, dato che la rivalutazione è stata slegata dal prodotto interno lordo, tutte le pensioni, anche quelle medio-alte, sono state svalutate in quindici anni, perché l'inflazione non è sufficiente a ridistribuire ricchezza sulle pensioni da lavoro. Altro che coerenza con il programma dell'Unione! Al riguardo, ci sono proposte di legge che sono state elaborate alla fine della scorsa legislatura.
Penso che questo sia un capitolo importantissimo, perché riguarda un terreno sul quale, dal 1992, nessuno era più intervenuto. Ricordo tante proposte, anche del centrodestra, negli anni passati, sulla rivalutazione delle pensioni.
È finito questo percorso? Il problema di sottrarre le pensioni all'erosione fiscale, nel senso dell'aumento delle aliquote (fiscal drag), è un terreno su cui dovremmo rimettere le mani, per fare in modo che non vi siano solo interventi sporadici, anche se importanti e significativi, ma un meccanismo continuo.
Quanto all'età pensionabile, penso che una delle più grandi responsabilità della riforma Maroni sia quella di averci sottratto uno strumento di flessibilità legato al fatto di andare in pensione, col superamento anche della differenza di età tra uomini e donne. Questa è una responsabilità che il centrodestra si deve assumere interamente: aver introdotto i 60 e i 65 anni, quando con la riforma Dini avevamo previsto il pensionamento flessibile da 57 a 65 anni, lasciando agli individui la scelta sulla base dei propri stili di vita, è stato un grave errore. Mi è molto dispiaciuto che, in questa fase della discussione, il dibattito abbia compiuto un ulteriore passo indietro e non ci abbia permesso di affrontare in senso moderno tale problema. E oggi abbiamo sentito dire che la soluzione sarebbe quella di aumentare l'età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni!
L'onorevole Rosso dovrebbe sapere - credo lo sappia, ma lo ribadisco per chi non lo sa - che le donne vanno in pensione con le pensioni di vecchiaia, perché le pensioni di anzianità sono uno strumento pressoché totalmente maschile. Dire alle donne di andare in pensione a 65 anni, mentre ancora vige un sistema di transizione, con le pensioni di anzianità, significa che non c'è scelta per quanto riguarda le donne, proprio per le loro storie lavorative. Se si supera il sistema di


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anzianità, il problema si affronterà; ma lo si affronta anche riconoscendo i percorsi di vita delle donne nel nostro Paese. Ecco perché dico che la flessibilità avrebbe risolto anche questo problema.
Sarebbe opportuno - non lo so se ci saranno i margini per andare in tale direzione - che questa discussione fosse tenuta aperta. Un modello flessibile, a regime, del sistema pensionistico italiano - con penalità, incentivi, disincentivi e quant'altro -, lasciando da parte la fase di transizione (quello è sempre un terreno difficile, perché ci sono aspirazioni, speranze, su cui è difficile intervenire), sarebbe stato un modello positivo, anche rispetto alle prospettive delle future generazioni.
Mi auguro anche che, elaborato questo provvedimento collegato, si possa cominciare finalmente a concretizzare il progetto di trasformazione degli enti previdenziali, perché anche in quel campo abbiamo individuato risorse consistenti per sostenere il welfare. Credo che vivremmo tutti come una sconfitta il fatto di dover accettare - spero proprio che non avvenga - quella clausola di salvaguardia che prevede che, se i processi di ristrutturazione e di riorganizzazione non saranno messi in piedi, nel 2011 il sistema andrà comunque a regime, ma con un aumento della contribuzione. Credo che questa sarebbe una sconfitta di tutti. Ritengo che dovremmo lavorare, invece, per rendere più efficienti gli enti previdenziali, ma anche per risparmiare.
Non so se il Ministro sia nelle condizioni di rispondere in questa seduta alla domanda che mi accingo a porre, ma essa esprime comunque una preoccupazione. Ho il timore - la responsabilità non è tutta in capo al Ministro del lavoro e della previdenza sociale - che si stiano determinando alcune situazioni che ci potrebbero riportare ad una differenziazione normativa fra settore pubblico e privato. Negli anni passati, seppure con discutibili scelte, il tentativo è stato quello di lavorare perché non si creassero normativamente sostanziali differenze fra il settore del lavoro pubblico e il settore del lavoro privato.
Mi riferisco, innanzitutto, alla questione (a dire il vero, mi sembra superata, almeno stando ai documenti che ho letto) di prevedere, mentre stiamo decidendo una normativa uguale per lavoro pubblico e lavoro privato, pensionamenti anticipati, sebbene essa derivi da un motivo che ritengo serio, quello di svecchiare la pubblica amministrazione ed inserire nuove energie intellettuali.
La seconda questione riguarda il tempo determinato. Non che io non condivida l'obiettivo strategico di bloccare le assunzioni a tempo determinato ed i co.co.co nella pubblica amministrazione per tornare ai concorsi pubblici e alle assunzioni a tempo indeterminato, tuttavia, dobbiamo fare in modo che non si ricreino due mercati del lavoro, nel privato e nel pubblico.
La mia preoccupazione - se ho capito bene; non ho i testi, ma ho letto i giornali - è che, per realizzare le pur giuste scelte che si stanno compiendo, si produca una evidente differenziazione normativa, che in questi anni abbiamo cercato di superare.

PRESIDENTE. Invito i colleghi a fare uno sforzo di sintesi.

EMILIO DEL BONO. Rinuncio ad intervenire, presidente, per lasciare al Ministro almeno qualche minuto per la replica, considerato che alle 17 dovremo sospendere i lavori della Commissione.

ANGELO COMPAGNON. Io, non facendo parte della maggioranza, non rinuncio ad intervenire, tuttavia mi impegno a svolgere un intervento molto breve.
Il protocollo si accetta o non si accetta: mi pare che alcuni segnali dati dal Ministro siano rivolti principalmente alla sua maggioranza. Di questo non mi preoccupo più di tanto; piuttosto, mi preoccupo di quello che potrà succedere. Comunque, il richiamo al fatto che, se si deve cambiare, ciò non può avvenire a senso unico, mi fa


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pensare che, alla fine (e qui parlo come esponente dell'opposizione), si potrà intervenire. Almeno me lo auguro.
Che la riforma fosse necessaria lo ha dimostrato anche la precedente maggioranza con la legge Maroni, anche se questa può essere condivisa o meno.
Il problema degli «scalini» crea comunque una sperequazione rispetto a migliaia di persone che sono collocate - ne abbiamo discusso questa mattina in Commissione nell'ambito dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata - a cavallo del primo e del secondo semestre del 1951. Basti pensare che, per qualche giorno, soprattutto i lavoratori del secondo semestre, rischiano addirittura - soprattutto se sono donne lavoratrici - di andare in pensione con la pensione di anzianità, prima ancora che con la pensione di lavoro. Insomma, esistono delle storture che creano sperequazioni, rispetto alle quali vorrei sapere se c'è la volontà di affrontarle in maniera diversa.
Mi piacerebbe sapere dal Ministro se la questione della tredicesima per le pensioni minime (citata anche oggi da Rutelli, nel corso del question time), può riguardare anche gli invalidi civili, che di questa misura non possono usufruire, mentre ne usufruiscono tutti coloro che percepiscono le pensioni all'estero, anche quelli che, magari, hanno lavorato solo una settimana o un mese.
Quanto ai lavori usuranti, credo che i lavoratori di questo settore siano veramente i soggetti più deboli, da tutelare. Perché stabilire la soglia di 5.000 pensionamenti? Vorrei capire il motivo di questa decisione.
Sulla legge Biagi, prendo atto che il Governo, non dico la maggioranza, ha fatto una certa inversione di rotta, riconoscendo, rispetto a una campagna elettorale contraria, che tutto sommato quella legge non era poi così male come si diceva, tanto è vero che una parte di essa è stata recuperata.
La collega Cordoni, da ultimo, ha fatto un richiamo sul lavoro privato e lavoro pubblico rispetto alla legge Biagi. Poiché è il lavoro pubblico che produce l'85 per cento della precarietà, credo sia opportuno richiamare l'attenzione sulle modifiche che dovrebbero andare in quella direzione.
Concludo, signor presidente, dicendo che noi vorremmo contribuire al miglioramento delle proposte nell'interesse del nostro Paese, come questa. Vorrei capire se, come è già successo in passato, non ce ne sarà data la possibilità oppure se, nel prossimo futuro, ci verrà consentito - parlo come UDC ma, credo, a nome di tutta l'opposizione - di intervenire in sede parlamentare per portare un contributo migliorativo.
A questo punto, le difficoltà del nostro Paese sono tali e tante per cui non si tratta di una questione di destra, di sinistra o di centro, ma di varare provvedimenti che vadano incontro alle reali esigenze dei cittadini del nostro Paese.

LUIGI FABBRI. Poiché sono già intervenuti i colleghi Rosso e Giacomoni, desidero porre molto rapidamente qualche domanda ed esporre alcune critiche.
La collega Cordoni ha risposto ai miei colleghi al posto del Ministro, e la ringrazio, però mi chiedo perché, se la riforma Dini rappresentava il bene assoluto, non avete previsto questo anche nel protocollo. Mancano i soldi per le pensioni, per cui lo scalone non ha espresso alcuna volontà punitiva. È una questione di soldi!
La pensiamo diversamente, ma vi ricordo che avete sorriso molto quando, nel 2002, abbiamo aumentato le pensioni fino ad un milione a 1.800.000 cittadini italiani. Quindi, permettetemi di affermare che questa quattordicesima fa sorridere anche noi, giacché non risolve il problema. Il Ministro fa la sua parte, ma non sono queste le soluzioni del problema. Se ci si reca in una fabbrica, come è capitato a me lunedì, e si respira l'atmosfera che c'è durante un'assemblea, si capisce che, al di là del sindacato più radicale, che spinge per la bocciatura della proposta, il problema di chi lavora a 1.200 euro al mese è il salario.
Nelle proposte, invece, non rilevo nulla per cercare di aumentare i salari. Abbiamo gli operai meno pagati d'Europa:


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voi siete la sinistra - moderata e radicale - ma non avete avanzato una proposta per aumentare i salari. Il Ministro, forse, mi risponderà che si tratta di una trattativa tra le parti, ma non è vero. A proposito, onorevole Cordoni, abbiamo tutti rispetto dell'autonomia del sindacato, ma, alla fine, i legislatori siamo noi e dobbiamo prendere delle decisioni. Pur nel rispetto delle varie autonomie, non avete fatto una proposta per infondere coraggio a questi lavoratori, assicurando il vostro sforzo per farli guadagnare più di 1.200 , 1.100 e spesso 900 euro mensili.
In secondo luogo, non mi vanterei molto della «sanatoria» dei call center, come ho già avuto modo di affermare in questa sede e in Assemblea. Si tratta, infatti, di una sanatoria in piena regola, con cui avete sanato anche il versante penale, dimostrando come la legge Biagi non sia affatto un colabrodo, come voi sostenete, bensì, al contrario, vigili attentamente, costringendo chi ha sbagliato ad assumere e ad andare sotto processo. Voi avete «sanato» anche questo, e non ve lo perdono. Avete utilizzato il sindacato come un buon giudice di pace o un avvocato buono che mette d'accordo le parti, aspetto di cui non ci si deve vantare.
Il Ministro Padoa-Schioppa, forse, è abituato ai climi eterei dell'Europa, forse non si cala nella realtà di tutti i giorni e non si rende conto che i problemi della gente sono questi: il pensionato con basso reddito, l'operaio con un reddito da fame, soprattutto se confrontato con quello del suo collega tedesco.
I lavori usuranti sono stati in naftalina per dodici anni, signor Ministro. Lei, come sindacalista, sa che si tratta di un problema di cui non abbiamo mai dibattuto. Adesso vi serve per captare benevolenza, ma ci chiediamo dove possiate trovare i soldi per mandare in pensione la gente della nostra età, ovvero di 57-58 anni, che potrebbe dare un contributo migliore rispetto alle generazioni successive proprio in virtù dell'esperienza.
Mi spiace contraddire la mia autorevolissima collega, ma la legge Biagi ha offerto a questo Paese la possibilità di avere al nord la piena occupazione. Oggi, abbiamo infatti gli indici più bassi di disoccupazione e quelli più alti di occupazione. Questo almeno non negatelo. Le novità della legge Biagi non sono le tipologie contrattuali. Il Ministro afferma che si cercherà di aumentare il costo del lavoro dei contratti flessibili e di diminuire il costo del lavoro dei contratti a tempo indeterminato. In questo modo, vedrete quanta gente verrà assunta! Qui si ribadisce sempre che si tratta di una questione fra le parti, ma non è questo il punto. Verificherete come aumenteranno le assunzioni, se questa politica verrà perseguita dal vostro Governo!

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Damiano per la replica.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Vi ringrazio. Come sempre, queste discussioni servono a chiarire delle opinioni e a consolidarne altre. Mi auguro di poter proseguire il confronto, anche se non sarà facile, nelle discussioni che si svolgeranno in Parlamento. Sarebbe utile, perché questo collegato recepisce il protocollo, e quindi sarà foriero di una serie di discussioni.
Per quanto mi riguarda, dividerei la discussione di oggi in due parti, perché mi sembra che si sia svolta su due piani: uno astratto, formato da teorie che si confrontano, e uno più concreto, riguardante ciò che è contenuto o meno nel protocollo.
Da parte di alcuni esponenti dell'opposizione, sono state espresse considerazioni che hanno insistito maggiormente su una questione di impostazione filosofica di fondo, in merito alla quale, naturalmente, rispondo volentieri, anche se il dibattito avrebbe dovuto concentrarsi di più sul protocollo di concertazione.
Dunque, sebbene il tempo trascorso sia relativamente breve, ci siamo conosciuti tutti, sappiamo quali sono gli atteggiamenti, i comportamenti e le attitudini dei singoli. Del resto, il carattere delle persone non è un fattore secondario, al di là degli


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schieramenti e delle politiche che, ovviamente, si rappresentano.
Circa il problema del mercato del lavoro e della legge Biagi, di cui si discute sempre, a volte a proposito, altre volte a sproposito (in questa sede se ne parla con pertinenza, perché siete persone più che esperte in materia e avete cognizione di causa), vi sono, naturalmente, due punti di vista possibili: l'azione del Governo va in direzione della continuità o della discontinuità rispetto alla legge Biagi?
In primo luogo, vorrei sottolineare che, come sapete, non ho mai fatto della legge Biagi una sorta di totem. Non mi sono mai schierato con chi sosteneva che tutto il bene del mondo proviene dalla legge Biagi e che, se ci sono degli occupati in più, è lì che bisogna cercare. Allo stesso modo, non mi sono mai associato a coloro che affermavano che tutto il male di questo mondo deriva dalla legge Biagi e che, se esistono determinati problemi, è lì che bisogna cercare.
Non credo in tali posizioni, per il semplice fatto che, come ho ripetuto più volte, la legge Biagi, nelle sue determinazioni concrete (alcune abbastanza rilevanti; penso al lavoro a chiamata, allo staff leasing, per riportare due esempi tra i più citati), non è stata completamente attuata. Alla prova dei fatti, quelle modalità di impiego non sono state quasi mai applicate nel mercato del lavoro concreto. Certo, il lavoro a chiamata è stato utilizzato, a volte, nel settore dei servizi, il sabato sera, come nel caso del pizzaiolo o del cameriere, e via dicendo.
Tuttavia, al di là di queste situazioni, possiamo affermare che questa pluralità di modalità di impiego (che la legge Biagi ha voluto introdurre, sulla base della convinzione che tale moltiplicazione di forme di lavoro flessibili avrebbe sottratto al lavoro nero una quota di persone) siano state realmente applicate? Possiamo ragionevolmente dire, sulla base dei dati oggettivi forniti dalle imprese, che ci sia stata una qualche influenza pratica? Personalmente, non mi sentirei di sostenerlo.
Inoltre, lo ripeto, l'apprendistato - che non è una forma di lavoro che considero atipica, perché è l'incrocio tra formazione e lavoro - esiste dal dopoguerra; il contratto a termine, nelle sue diverse modulazioni, risale agli anni Sessanta; il lavoro cosiddetto «coordinato continuativo», non a progetto, è presente nel codice di procedura civile dell'inizio degli anni Settanta, disciplinato nel 1996 da una legge finanziaria dell'allora Presidente del Consiglio Dini che, per la prima volta, disciplinando quella tipologia, ne consentì un uso leggermente più esteso. Il lavoro interinale, ancora, è stato introdotto da Treu nel 1997. Ebbene, queste sono tutte forme di lavoro che risalgono al «prima», e non al «dopo».
L'elemento di discontinuità che colgo consiste nel fatto che la legislazione del Governo precedente di centrodestra sul mercato del lavoro si è inserita su queste tipologie preesistenti, enfatizzandone l'uso a discrezione dell'impresa. A mio avviso, questo è stato un errore da correggere.
Soltanto in rari casi - quelli che ho utilizzato, lo riconosco -, la legge n. 30 del 2003 e il decreto legislativo n. 276 del 2003 hanno disciplinato in termini restrittivi l'utilizzo di determinate forme di lavoro. Ad esempio, ritengo estremamente positiva la normativa della legge Biagi che definisce il passaggio dal lavoro coordinato e continuativo al lavoro a progetto. In questo ravviso un elemento positivo.
Su tutto il resto, mi permetto di dire che, purtroppo, dalla cessione di ramo d'impresa, alla ridefinizione dei contratti a termine o del part time, e via dicendo, sono stati introdotti elementi che hanno squilibrato il rapporto tra impresa e lavoro a vantaggio della prima e a svantaggio del secondo. Ciò è avvenuto sulla base del presupposto che l'ampliamento di questi margini di flessibilità avrebbe automaticamente ampliato il mercato del lavoro, diminuito il lavoro nero e, forse, col tempo, stabilizzato la situazione; circostanza che in realtà non si è verificata.
Quanto al lavoro a progetto, ricordo che ho utilizzato la norma di Maroni, come ho già detto (mi chiedo perché non l'abbia fatto lui in prima persona). Grazie a quella norma, che sono contento di aver


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applicato, abbiamo consentito un'opera di stabilizzazione nei call center molto importante che, naturalmente, non può circoscriversi ad un settore, a una tipologia di produzione, ma deve allargarsi - e lo faremo - all'insieme delle situazioni e delle tipologie, anche perché questo è già disciplinato.
In sostanza, se vogliamo parlare in astratto, si tratta di mettere a confronto due atteggiamenti e due filosofie. Per questo, vedo - naturalmente è un parere mio, ci mancherebbe, rispetto moltissimo le opinioni avverse - nell'azione mia e del Governo un elemento non di continuità, ma di discontinuità. Questo non significa che, se nelle normative precedenti vi sono dei fattori positivi e utili, questi non debbano essere utilizzati.
Riporto un altro esempio, in proposito. È positivo il fatto che Maroni abbia coordinato diversamente l'attività ispettiva. Infatti, non ho «smontato» quell'aspetto, ma l'ho potenziato.
Una parte degli ispettori che ho assunto li aveva già previsti Maroni. Tuttavia, non ho detto loro di rimanere a casa, perché così era previsto, piuttosto ho cercato di giungere ad una conclusione, per poi assumerli.
In ogni caso, l'elemento di discontinuità esiste. Mi sembra che in precedenza sia stato citato il problema del credito d'imposta. Ebbene, voi l'avete eliminato, mentre noi l'abbiamo ripristinato. Intendo dire che crediamo che incentivare la stabilizzazione, attraverso degli sconti sul costo del lavoro, sia una strada da seguire; voi, invece, avete pensato che quella fosse una direzione da non prendere.
Pertanto, è vero che alcuni elementi sono stati salvaguardati, ma, francamente, non credo che si possa dire che siano in atto operazioni di continuità.
Per quanto riguarda il protocollo, avrei molte cose da dire, ma dovendo concludere il mio intervento, mi limito ad affrontare un'osservazione che avete sollevato tutti, a proposito del famoso numero 5.001.
Per quanto riguarda i lavori usuranti, sono state individuate risorse massime disponibili su base annua pari, mediamente, ai 252 milioni di euro l'anno, che riguarderanno circa 5.000 lavoratori l'anno e che, sommati alle risorse per lo scalone, determinano la cifra complessiva. È evidente che in questo modo si crea un triangolo, formato dalla cifra stanziata, ossia 252 milioni di euro, dal numero di riferimento e dai criteri. Il tutto si tiene, ma è evidente che ciò che fa premio è il criterio e il costo. Il costo dell'operazione, infatti, non può essere valicato, in quanto lo abbiamo cifrato.
Relativamente al secondo elemento, abbiamo stabilito i criteri attraverso i quali si individuano le persone, nella presunzione che si arrivi, ovviamente, a quella cifra.
I nostri calcoli vanno in quella direzione, ma quello che fa premio su tutto, a mio avviso, è la quantità di risorse che abbiamo destinato - 2,5 miliardi in dieci anni - per un'operazione che è significativamente più larga di quella che era prevista dalle normative precedenti. Si interviene per la prima volta, effettivamente, su alcune figure, come la notte abituale ed il lavoro vincolato, che, nel corso del tempo, hanno determinato quelle definizioni di particolare usura nella prestazione di lavoro.
Sulla questione dei sindacati, dico solo che, quando parliamo di sindacati, chiaramente, ci riferiamo a quelli maggiormente rappresentativi, e non ai sindacati pirata. Anzi, il Governo è impegnato a disboscare quella giungla che può creare situazioni di connivenza o convenienza che si ascrivono alla dizione dei sindacati che non sono maggiormente rappresentativi e che, quindi, svolgono un'azione non di tutela dei lavoratori. Ad ogni modo, credo che questo problema trovi tutti d'accordo, perché nessuno di noi è interessato ad andare in quella direzione.

SESTINO GIACOMONI. Ministro, ma se non passa il referendum, lei cosa farà?


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CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Passerà.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro, anche per aver contenuto la sua replica in tempi brevi. Avremo modo e occasione, nelle prossime sedute - perché verrà depositato in Parlamento un disegno di legge collegato alla legge finanziaria - di approfondire la discussione che abbiamo affrontato oggi.

Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17.