COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 4 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MIMMO LUCÀ

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ringrazio il ministro per la sua disponibilità e naturalmente per la puntualità.
Come sapete, dopo la relazione del ministro sarà possibile intervenire per svolgere considerazioni o porre quesiti. Anche questa volta - in modo ancora più severo, se possibile - vorrei invitare tutti i colleghi a contenere i propri interventi entro limiti ragionevoli, compatibilmente con l'organizzazione dei lavori parlamentari ed i tempi ristretti a nostra disposizione.
Informo, altresì, i commissari che, nella seduta di domani, si svolgerà il seguito dell'audizione del ministro Turco. Ascolteremo, mercoledì 5 luglio, anche il ministro Melandri, mentre la prossima settimana incontreremo il ministro Bindi.
Spero che oggi riusciremo a contenere gli interventi entro i cinque minuti, in maniera tale da dare al ministro la possibilità di replicare già nel corso di questa giornata.
Do la parola al ministro, affinché ci illustri la sua relazione.

PAOLO FERRERO, Ministro della solidarietà sociale. Intanto, vi ringrazio dell'attenzione, scusandomi per l'assoluto dilettantismo con cui mi approccio a questa audizione, che è la mia prima audizione, non essendo mai stato parlamentare. Peraltro, intervengo come ministro, senza avere esperienze in tal senso. Mi scuso fin d'ora se il taglio dell'illustrazione non sarà esattamente quello che doveva essere, ma spero di soddisfare comunque gli elementi richiesti.
Non entrerò nel dettaglio di tutti gli elementi, ma proverò a dare il senso del ruolo che dovrebbe avere questo Ministero come profilo politico complessivo e, in tale ambito, cercherò di indicare gli elementi di priorità da affrontare. Eviterò, dunque, di fare un lungo elenco di obiettivi da perseguire: se accanto alle necessità non si indicano le date e le risorse, queste iniziative rischiano di rimanere sulla carta.
Ho ritenuto utile soffermarmi sul ruolo del Ministero, che, come sapete, stiamo costruendo ex novo. Esso, infatti, non è esattamente né la riproposizione della situazione precedente, né una pura divisione del Ministero della scorsa legislatura. Siamo, quindi, in una terra ancora da definire, per così dire.
La prima priorità che ci siamo dati è quella della costruzione e ricostruzione delle varie forme di competenza del Ministero attraverso consulte e osservatori. Questo, come sapete, è in parte un Ministero di spesa, sia pure di spesa limitata,


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in parte un Ministero che produce, in relazione con le regioni e con gli altri livelli istituzionali dello Stato, delle norme. È un Ministero, altresì, che ha un grande valore aggiunto potenziale sul versante delle relazioni con tutto il mondo dell'associazionismo, del volontariato, del cosiddetto terzo settore, ma anche dell'associazionismo di autotutela, ambito che impegna grande parte del suo lavoro.
Il primo obiettivo su cui ci siamo concentrati è stata la definizione di un lavoro per tentare di ricostruire il complesso delle consulte e degli osservatori, in modo che ad essi partecipassero tutte le realtà presenti sul territorio. Dico questo perché una delle critiche venute dagli incontri svolti con numerosi di questi soggetti è che, nella passata legislatura, non sempre gli osservatori o le consulte fossero stati costruiti tenendo conto di tutte le realtà, e in qualche modo, l'orientamento politico-culturale fosse uno degli elementi di discrimine nella costruzione degli osservatori e delle consulte medesimi.
Per quanto mi riguarda, su ogni materia, dalla droga al volontariato, dovremmo avere delle consulte, degli osservatori, in cui siano presenti tutte le realtà, a prescindere dall'orientamento politico-culturale e dal grado di consenso o meno con l'indirizzo politico della maggioranza e del Governo. Credo che noi abbiamo il problema - questo è il secondo punto - di valorizzare il complesso delle realtà di chi si muove in forma autorganizzata, in forma di associazionismo, nella società. Questa è una risorsa enorme che abbiamo a disposizione e che dobbiamo valorizzare nella sua interezza: non possiamo permetterci di fare delle discriminazioni a riguardo.
Questo discorso si lega al tipo di welfare a cui dobbiamo guardare e che dobbiamo interpretare, in una situazione in cui il grado di disgregazione sociale è assolutamente significativo. È del tutto evidente, infatti, che, visto l'intreccio fra un livello di attività relativamente basso rispetto al totale dei soggetti in età da lavoro - siamo intorno al 65-66 per cento, rispetto a paesi europei attestatisi all'80 per cento - e la presenza di precarietà nel lavoro stesso, il grado di disgregazione del tessuto sociale assume un peso assolutamente significativo.
Mi pare del tutto evidente che una politica di welfare che si ponga il problema di rispondere a questa situazione di disgregazione sociale o riesce ad integrare elementi di welfare in senso stretto con una capacità di valorizzare gli elementi di tessitura sociale che la società autonomamente produce, oppure fallirà tale obiettivo, qualora le risorse per realizzare un welfare che sia in grado di riconnettere quanto viene disperso dal grado di disgregazione della società attuale siano insufficienti. Da questo punto di vista, quando parlo della ricostruzione della consulta e degli osservatori come elementi in cui siano rappresentate tutte le realtà, lo faccio considerando che si tratti di un punto strategico su un'idea di welfare da costruire.
Se dovessi dirlo con uno slogan, non si tratta della riproposizione di un welfare statalista, in cui lo Stato fa tutto, né dell'idea di un workfare per cui, attraverso la precarizzazione di chi lavora nei servizi, le condizioni di precarietà e di povertà si producono, addirittura, nello stesso circuito dei servizi.
Penso che dobbiamo tendere ad un sistema il cui punto centrale sia la costruzione di una rete di servizi. Un sistema in cui lo Stato - intendo riferirmi, ovviamente, allo Stato nella sua relazione con le regioni e gli enti locali - sia in grado di individuare dei livelli di assistenza che valgano su tutto il territorio nazionale e che costituiscano un bagaglio di diritti esigibili per tutti i cittadini. Le forme di gestione dei servizi, invece, possono essere variegate a seconda della bisogna (in un caso può servire il servizio diretto, in un altro un trasferimento monetario, in un altro la cooperazione, piuttosto che altre forme di organizzazione sociale). Ciò, però, deve avvenire in un quadro in cui sia distinto il lavoro dal volontariato. È necessario evitare che una non chiara distinzione tra il lavoro e il volontariato


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riproduca, nell'ambito dei servizi sociali, esattamente le situazioni di disagio che ci proponiamo di superare.
Anche per questo, uno dei punti su cui operare è indubbiamente quello della definizione dei profili professionali degli operatori sociali. Nel rapporto con gli enti locali, uno degli obiettivi dovrebbe essere quello di arrivare ad un superamento delle logiche delle gare d'appalto al massimo ribasso per la gestione dei servizi, ossia di pensare di costruire un sistema, nel rapporto con le autonomie locali e le regioni, in cui il lavoro di chi opera nei servizi sociali venga tutelato, sia sul piano professionale, sia dal punto di vista della non compressione dei diritti e dei livelli salariali.
Sul versante del volontariato, che dovrebbe essere un tempo prestato gratuitamente, penso che dobbiamo lavorare ad una sua estensione, verificando dal punto di vista normativo la possibilità che le buone pratiche di volontariato riescano a diventare un elemento diffuso per la normalità delle persone che hanno un posto di lavoro.
Si potrebbe forse pensare di estendere le situazioni in cui una disponibilità di lavoratori a prestare ore di lavoro gratuitamente nel volontariato si accompagni con una contropartita, da parte dello Stato o del datore di lavoro, consistente nel riconoscere alcune ore di disponibilità retribuite per svolgere quell'attività. Penso alle 150 ore conquistate dal movimento sindacale negli anni Settanta, una condizione che credo sarebbe da estendere sul versante del volontariato. Occorre, dunque, attenzione al lavoro e potenziamento del volontariato, ma evitando una sovrapposizione che rischia di essere negativa.
In questo schema, evidentemente, il ruolo del Ministero è quello di lavorare principalmente alla costruzione e al potenziamento della rete dei servizi.
Da questo punto di vista, uno dei punti principali è quello di evitare che il fondo per le politiche sociali sia comprimibile a seconda dei bisogni del bilancio dello Stato, così come è stato in questi anni. Conoscete la situazione che abbiamo ereditato: il trasferimento alle regioni, nel 2003-2004, è stato di un miliardo di euro, nel 2005 di 500 milioni euro, la previsione per il 2006 è di 500 milioni di euro. Ci siamo trovati di fronte, come vedete, al dimezzamento del fondo per le politiche sociali, che ha messo le regioni nella condizione di non essere più in grado di garantire la rete di servizi.
Un primo intervento è stato fatto in questi giorni: nella cosiddetta «manovrina» ci sarà un rifinanziamento del fondo per le politiche sociali dell'ordine di 300 milioni di euro, quindi passiamo dai 500 agli 800 milioni di euro. Una dotazione non sufficiente - lo voglio dire con tutta nettezza -, ma che dovrebbe perlomeno permettere alle regioni di non smontare la rete dei servizi che si è faticosamente costruita negli anni. Insomma, una boccata d'ossigeno.
È evidente, però, che questa situazione va risolta in forme strutturali. A mio parere, il principale obiettivo, da questo punto di vista, è quello della definizione e della formalizzazione dei livelli essenziali di assistenza sociale, che devono essere scritti e approvati. Ciò al fine di introdurre un elemento chiaro, in modo tale che, anche nel campo dei servizi socio-assistenziali, i servizi non siano la variabile dipendente delle disponibilità di bilancio: occorre fissare una quota di diritti esigibili per i cittadini - in larghissima parte cittadini in condizioni di bisogno -, affinché le necessità di bilancio siano commisurate a quei diritti che si vogliono garantire.
Il meccanismo che viene applicato sul versante della sanità deve essere riportato anche sul versante dei diritti che riguardano il comparto sociale e l'assistenza. Dico questo perché fino ad oggi, sostanzialmente, le disponibilità finanziarie sono quelle che hanno fatto sì che non si fissassero mai i livelli essenziali di assistenza. Credo - lo dico per non essere velleitario - che, a costo di partire da livelli essenziali di assistenza limitati, sia tuttavia meglio scrivere nero su bianco, decidere quali sono i livelli essenziali di assistenza e dotarsi di un programma che


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preveda il miglioramento di questa condizione, anno per anno. In questo modo, alla fine della legislatura dovremo trovarci in una situazione assai diversa da quella attuale.
Dobbiamo partire dal livello zero, ossia dal primo livello di assistenza, che è il diritto alla presa in carico dei soggetti da parte del pubblico. Lo dico perché, in molte parti d'Italia, oggi non abbiamo neppure questo elemento. Il problema della costruzione dei livelli di assistenza non è di generalizzare, in sei mesi, i più alti livelli di assistenza presenti in Italia - non saremmo in condizioni né finanziarie, né logistiche per farlo -, ma di costruire l'elemento di base da cui partire per poi raggiungere, secondo una gradualità, livelli migliori su tutto il territorio.
Il secondo elemento legato a questo discorso è la costruzione del fondo sulle non autosufficienze. È evidente che il problema delle non autosufficienze è scaricato largamente sulle famiglie. Questo vale in particolare, ma non solo, per gli anziani. La costruzione di un fondo per le non autosufficienze e la previsione di un intervento specifico in questo ambito, che mi pare sia connesso al problema della definizione dei livelli essenziali di assistenza, pur avendo una sua specificità, è l'altro punto su cui intervenire fortemente.
La terza questione - si tratta di temi interconnessi, come è evidente - riguarda la disabilità. Noi abbiamo, in primo luogo, il problema di assumere nuovamente, come Ministero, un ruolo di coordinamento rispetto al complesso delle politiche della disabilità. Così stabilisce la legge, ma così non è stato in questi ultimi anni. Va quindi ripreso un ruolo di coordinamento interministeriale, in larga parte, sul complesso delle politiche della disabilità da parte di questo Ministero. Tra l'altro, probabilmente avremo un compito di recepimento di quella che - spero a fine agosto - sarà la nuova direttiva dell'ONU sui diritti umani per le persone con disabilità. Si tratterà di un provvedimento di non poco conto. Se la direttiva andrà in porto, come pare essersi incamminata a fare, si supererà l'elemento dell'interdizione, per arrivare ad avere il tutor delle persone. Davvero un'innovazione importante.
Detto questo, sulla questione della disabilità, accanto alla necessità di vedere il riordino delle invalidità, nei colloqui con le associazioni è emersa sostanzialmente una valutazione, che a me pare debba essere tra le linee-guida del Ministero. Nel piano di azione 2000-2003 erano sostanzialmente fissati gli obiettivi corretti da praticare. La valutazione, che a me è parsa relativamente generalizzata, è che questo piano di azione non sia stato svolto. Su questo, non penso che dobbiamo partire con una nuova conferenza. Ricordo che quel piano di azione fu il frutto di un'enorme conferenza nel 1999, a cui parteciparono migliaia di persone. Il problema che abbiamo è quello di praticare, con un aggiornamento, quel piano di azione 2000-2003 e poi di organizzare una conferenza su questi temi (barriere architettoniche, piani regionali...), che sia di verifica del lavoro svolto e di aggiornamento. Sostanzialmente, il programma da mettere a regime è quello 2000-2003.
Passando ad altro terreno, vengo alla questione povertà-casa, che costituisce un altro filone di riflessione. Voi sapete meglio di me quale sia, al riguardo, la situazione. Vi è una grande disparità sociale in questo paese. L'Italia ha un livello di pressione fiscale simile a quello dei paesi della media europea ed un livello di diseguaglianze sociali simile a quello degli Stati Uniti, caratterizzati da un livello di pressione fiscale di molti punti inferiore. È chiaro che dobbiamo agire, sia sul versante delle entrate che sul versante delle uscite, dentro la spesa sociale, in modo da tentare di bilanciare un sistema che, così com'è, non funziona. Certo non è qualcosa che si possa addebitare solo agli ultimi anni di Governo, ma si tratta di deficienze strutturali che ereditiamo da lungo tempo e su cui bisogna provare ad intervenire.
Per quanto mi riguarda, interverrò unicamente rispetto alla mia competenza, ben sapendo che le politiche di contrasto alla povertà riguardano svariati campi. Indubbiamente si tratta di intervenire a sostegno


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dei lavoratori poveri, una figura nuova, degli ultimi anni, e non solo italiana. Stiamo parlando di chi, sebbene lavori, non riesce a superare la linea della povertà e vi rimane incollato. Al riguardo, c'è un progetto, già presentato, di ridefinizione sia delle aliquote, sia di quella che, con un bruttissimo termine, viene chiamata la fiscalità negativa, che riguarda gli incapienti, ai quali il fisco dovrebbe dare anziché ricevere. L'idea è che questo progetto prenda il posto del secondo modulo della riforma Tremonti, come proposta di un ridisegno delle aliquote che incida positivamente sul versante della distribuzione del reddito e, in particolare, sul versante dei lavoratori poveri.
Un altro possibile intervento riguarda il capitolo dei trasferimenti monetari e dei servizi per i disoccupati e per la povertà in generale. L'Italia è uno dei pochissimi paesi europei che non conosce alcuna forma di intervento diretto. Il programma dell'Unione individua il reddito minimo di inserimento come terreno su cui muoversi e il livello regionale come livello su cui incrementare i trasferimenti monetari con la produzione di servizi gratuiti.
Questo mi sembra l'ambito nel quale muoversi, e mi limito a questo, per evitare di aggiungere idee che, per mancanza di risorse, non possono essere realizzate. Credo che dobbiamo seriamente fare, in primo luogo, una verifica dei risultati della sperimentazione del reddito minimo di inserimento e del complesso delle misure di contrasto alla povertà che sono state attuate, a volte a livello comunale e a livello articolato. Il primo problema che abbiamo, insomma, è quello di svolgere un'analisi seria di cosa è stato fatto e del grado di efficacia, a parità di risorse, rispetto al contrasto effettivo della povertà. Spesso siamo vittime - parlo per me, innanzitutto - dei nostri stereotipi, circa l'idea che alcune misure siano più efficaci di altre, e magari non è vero.
Dunque, prima dobbiamo svolgere una verifica delle politiche attuate. Al riguardo, il rapporto che la commissione sulla povertà sta ultimando dovrebbe esserci utile per avviare una discussione che coinvolga il Parlamento nel suo complesso. Dopodiché, dobbiamo discutere, con il Ministero dell'economia, sulle risorse da prevedere per realizzare un reddito minimo di inserimento, non come forma sperimentale, ma come dato diffuso. Quello delle risorse è, evidentemente, un aspetto piuttosto significativo. Questo è uno degli obiettivi che abbiamo, sicuramente nell'ambito della legislatura. Non sono in grado, in tutta onestà, di assumermi degli impegni sulla possibilità di raggiungerlo nei prossimi sei mesi.
Nell'ambito del problema della povertà, la questione della casa è poi un punto decisivo. Innanzitutto - cerco di sintetizzare, per non rubare troppo tempo - va rifinanziato congruamente il fondo per il sostegno dell'affitto delle famiglie in difficoltà. Conoscete il rapporto tra famiglie in affitto e famiglie che abitano case di proprietà e sapete che l'affitto è una vera e propria trappola della povertà, per alcune fasce sociali. Esiste, altresì, un problema per quanto riguarda i mutui sulla prima casa e la costituzione di un fondo di garanzia. Le persone che perdono la casa perché non sono in grado di pagare il mutuo, date le condizioni economiche, cominciano a rappresentare un fenomeno diffuso. È necessario, dunque, un intervento sia sul versante del fondo di garanzia, legato ai mutui, sia sul versante dell'affitto. Ovviamente, lascio da parte le iniziative che non competono a questo Ministero, ad esempio quella di un'offerta pubblica di alloggi.
Passo rapidamente alla partita relativa all'infanzia e ai bambini. In questo ambito, ci sono iniziative che costano e altre che non costano. La prima, che non costa molto, ma mi pare un punto di civiltà, riguarda l'istituzione, a livello nazionale, del Garante per l'infanzia e l'adolescenza. Sono elementi che, nella letteratura e nella produzione normativa internazionale, sono presenti da tempo. A livello italiano, otto regioni hanno stabilito la costituzione del Garante, ma solo tre l'hanno già effettivamente realizzata. Penso che dobbiamo rapidamente arrivare a istituire il Garante nazionale. Non dev'essere, come


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compare in alcuni progetti di legge, il Garante nazionale a nominare quelli locali, ma deve esserci una divisione delle competenze tra i vari livelli. Segnalo una certa urgenza di questa iniziativa, del resto anche i fatti di cronaca portano a questo. Siamo in una condizione in cui i diritti dei bambini e degli infanti in generale non sono garantiti in nessuna parte della formazione sociale. Basti leggere i titoli dei giornali di oggi. Si prende coscienza di situazioni che pensavamo non esistessero. In alcune fasce sociali, quelle di povertà più pesante e quelle degli immigrati, si verificano situazioni che non possiamo continuare a far finta di non vedere. Penso che quella del Garante non debba essere solo una figura fra le altre, ma significhi la volontà di gettare un fascio di luce su un problema che tendiamo a non vedere, né all'esterno, né dentro le famiglie.
Ritengo, altresì, che dobbiamo arrivare a definire un piano nazionale sugli asili nido, che tenti di garantire questo servizio a tutte le famiglie. E un punto fondamentale per la possibilità delle donne di conciliare vita familiare e lavoro e per il diritto dei bambini alla socialità. Dobbiamo, inoltre, costruire una rete di servizi educativi per l'infanzia.
Cito la questione - vi chiedo scusa, forse questo aspetto aveva più connessione con il versante della povertà - di un assegno per le responsabilità familiari, che costituisce un nostro impegno, che abbiamo inserito anche nel programma. Se guardate le tabelle relative alla povertà, noterete che in questo paese il sistema previdenziale pubblico ha mostrato un'enorme capacità di riduzione del grado di povertà degli anziani. L'Italia è migliorata moltissimo, in tale ambito, e da questo punto di vista si trova in una condizione invidiabile anche rispetto ad altri paesi europei. Abbiamo, invece, un deficit clamoroso sul versante dei minori di 16 anni. Intervenire con un assegno di sostegno per le responsabilità familiari significa farsi carico anche, in particolare rispetto al tema della povertà delle fasce più deboli, di un punto di deficit clamoroso del sistema di protezione italiano. Abbiamo segnalato anche l'idea della dotazione di capitale per i giovani: un conto dalla nascita ai 18 anni, da restituire a tasso zero, al fine di garantire ai giovani di 18 anni una maggiore libertà nella costruzione del proprio futuro.
Sul versante immigrati, molte questioni chiamano in causa la responsabilità di altri Ministeri. Credo che, rispetto alle giovani generazioni di migranti, noi abbiamo un dovere specifico. In Italia, arrivano un migliaio di minori all'anno da sud e migliaia da est, rispetto ai quali non riusciamo a porre nessuna forma di intervento reale. Anche i minori che finiscono in una casa-alloggio, infatti, nel giro di quindici giorni scompaiono. Penso che a questo riguardo dobbiamo costruire un progetto ad hoc, così come dobbiamo farlo in merito alle seconde generazioni. Mentre, infatti, per un migrante venuto in Italia per cercare lavoro, il fatto di trovarlo e di essere regolarizzato è un potentissimo fattore di integrazione sociale - i tassi di delinquenza tra i migranti regolarizzati sono più bassi della media della popolazione italiana -, questo non vale per le seconde generazioni. Per non trovarci nelle condizioni che altri paesi europei stanno sperimentando sulla loro pelle, penso che dobbiamo costruire un progetto ad hoc, che guardi al nodo delle seconde generazioni oggi, quando ancora in Italia questo non è un problema esplosivo come in altri paesi.
Concludo su un tema che non sapevo se dovesse essere oggetto di questa mia comunicazione, ossia il nodo delle dipendenze, della lotta alle droghe, e quant'altro. Il versante rispetto al quale mi occupo di droghe non è quello sanitario, che mi sembra essere l'aspetto di maggiore competenza di questa Commissione.

UGO LISI. È questa la sede pertinente, ministro. Sono gli «affari sociali» nella loro interezza l'oggetto di competenza della Commissione.

PAOLO FERRERO, Ministro della solidarietà sociale. Bene. Ad ogni modo, mi limiterò a comunicare semplicemente l'indirizzo


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del Ministero, al di là degli elementi che hanno fatto molto discutere e che non costituivano, a mio parere, i punti centrali di una riflessione su questo tema.
Penso che ci dobbiamo muovere, come abbiamo scritto nel programma dell'Unione, secondo un asse che veda sostanzialmente l'applicazione, in Italia, dei cosiddetti quattro pilastri della lotta alle dipendenze: informazione, prevenzione e cura, riduzione del danno e lotta al narcotraffico. Questo significa superare la normativa attuale, sul versante del consumo, con riferimento alle sanzioni amministrative e al circuito penale. Si tratta di decidere di non intervenire in forma di punizione, neppure attraverso le sanzioni amministrative. Ciò non in virtù di un astratto principio del diritto a drogarsi, che non è una linea politica condivisa da questo Governo, ma in virtù dell'efficacia del ragionamento sull'informazione e sulla prevenzione. Solo se lo Stato non interviene in forma punitiva sul consumo si può fare un serio discorso che riguarda la prevenzione.
In particolare - cosa a me particolarmente cara - è necessaria la segnalazione netta della differenza di pericolosità tra le diverse sostanze. A mio parere, il parlare di droga al singolare ha fatto perdere, in particolare nelle giovani generazioni, la coscienza della differenza di pericolosità tra le droghe. Lo reputo uno dei peggiori fatti accaduti in questi anni. In più, il fatto che i canali di spaccio siano gli stessi per diversi prodotti nella perdita della coscienza della pericolosità rischia di produrre dei danni gravissimi. La diffusione della cocaina, ormai fumata a cristalli, è, dal mio punto di vista, pericolosissima. La scelta di non punire, anche dal punto di vista amministrativo, è la condizione per poter dialogare e per fare una seria opera di prevenzione, che segnali le differenze di pericolosità. Questo, a mio parere, è il punto decisivo di un rapporto in particolare con le giovani generazioni. Oltre a questo, si deve intervenire sul terreno della cura e della riduzione del danno.
Il punto, a mio avviso, non è quello di operare una scelta a favore di un intervento o di un altro. Non siamo su un terreno in cui ci siano modelli che si possano copiare o che abbiano risolto il problema delle droghe, altrimenti non staremmo a discuterne in tutto il mondo. Evidentemente, il problema è di riuscire a fare un mix che comprenda i servizi territoriali, i Sert, le comunità e le pratiche di riduzione del danno, e di fare un monitoraggio scientifico dei risultati di queste pratiche, comprese quelle di riduzione del danno. A mio parere, dovremmo tentare di fare una discussione che non sia ideologica, simbolica o evocativa, ma che rappresenti una verifica dei modi migliori per intervenire e per fare un monitoraggio scientifico dei risultati di tali interventi. Argomento distinto è la lotta al narcotraffico, su cui credo che non ci sia alcuna discussione da fare. È evidente, infatti, che rappresenti una delle priorità più importanti, essendo una delle forme in cui si è riciclata una parte della delinquenza organizzata presente in questo paese, in forme assolutamente massicce.
Tutto questo implica superare la normativa attuale, avendo attenzione - ve lo propongo - a tutte le dipendenze, non solo a quelle derivanti da sostanze attualmente illegali. Penso all'abuso degli alcolici, che crea qualche problema in casa nostra: l'Italia è una terra di morti per cirrosi epatica e per altre malattie derivanti dall'abuso di sostanze alcoliche. Lo dice un piemontese, consumatore di vino. Anche il doping costituisce per noi un problema enorme, non solo perché ormai comincia ad esistere il passaggio fra il doping e l'uso della cocaina negli stessi luoghi di aggregazione, ma perché su un terreno in cui è particolarmente delicato il rapporto tra identificazione nei modelli e pratica quotidiana di milioni di persone, quello del doping rischia di essere uno dei principali ambiti in cui l'uso di sostanze nocive per la salute - anche quando non illegali -, l'abuso e le forme di dipendenza costituiscono il primo canale da colpire. Stiamo istituendo, presso il Ministero, una direzione generale, in sostituzione del dipartimento


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precedentemente costituito presso la Presidenza del Consiglio, che probabilmente chiameremo dipartimento sulla lotta alle dipendenze. Il problema generale, infatti, è quello di agire sulle dipendenze, inserendo in questo quadro la questione dei gradi diversi di pericolosità, che mi sembra un aspetto prioritario su cui intervenire.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni, rinnovando l'invito ad essere rapidi e compendiosi.

GIUSEPPE LUMIA. Ringrazio il ministro, del cui intervento ho apprezzato moltissimo l'impostazione che ci riporta ad agire (piuttosto che a dividere il Parlamento) e ad impegnare l'attività legislativa in una produzione di norme che riguardano tutti i campi del sistema di welfare. Ho sentito, nelle sue parole, un impegno a rendere concrete alcune delle migliori norme che abbiamo nella nostra legislazione. Se non sbaglio, l'unica norma che per ora ci ha annunciato, sul piano positivo, è quella dei livelli di assistenza, oltre a una serie di interventi legislativi nel campo delle tossicodipendenze, per abolire alcune norme varate nella passata legislatura. Da questo punto di vista, signor ministro, mi piacerebbe ascoltare una sua valutazione sulla legge n. 328. Quella legge contiene uno scenario molto interessante, che ci mette nelle condizioni di passare, nel campo dei servizi, dal «si può» ai diritti esigibili. Inoltre, viene contemplata una capacità di intervento tra il welfare che spetta al pubblico garantire e attuare e quello che si può utilizzare nella società, sia in termini di coinvolgimento diretto della comunità, sia in termini di utilizzo dei soggetti del no profit, del volontariato, del terzo settore. Ho apprezzato, peraltro, signor ministro, la sottolineatura della differenza tra chi ha la responsabilità professionale di organizzare i servizi e chi ha, invece, una responsabilità civile, libera, di donare il proprio tempo nelle forme del volontariato organizzato.
Vorrei sapere, signor ministro, come intenda applicare la legge n. 328 del 2000 e come intenda dispiegarne tutte le potenzialità. Per quanto riguarda il fondo, mi preme capire se l'aumento di 300 milioni di euro riguardi già il 2006 o sia previsto per il 2007, e quale idea abbia circa l'implementazione di questo fondo, decisivo per poter cominciare a dare corpo e concretezza alle scelte che ha riferito.
Per quanto riguarda il volontariato, ministro, lei ha parlato di prevedere e di incentivare delle forme di dono di tempo. Vorrei che lei chiarisse, tuttavia, che non si vuole tornare, nel nostro paese, al volontariato singolo. In Italia, infatti, la cultura più avanzata di cittadinanza attiva ha previsto forme organizzate di volontariato. Si tratta di incentivare queste forme, non mettendo in rapporto diretto il singolo volontario donatore di tempo con la rete dei servizi, ma le organizzazioni di volontariato con la rete dei servizi medesima. Su questo gradirei un chiarimento, poiché dalle sue parole non ho capito bene quale tipo di approccio si intenda privilegiare.
Quanto alle tossicodipendenze, vorrei conoscere la sua valutazione sulla legge n. 45 del 1999. Nel nostro paese non c'è un'unica risposta, ma le vie per uscire dalla droga sono tante. Bisogna creare una rete di opportunità, di servizi, di risposte e, se possibile, superare il famoso conflitto, spesso ideologico, tra servizi pubblici e servizi delle comunità del privato sociale, prevedendo la cosiddetta alta integrazione (ossia dei livelli alti), dove è possibile progettare e definire insieme strategie e verificarne insieme i risultati. Le domando se lei intenda valorizzare questa idea dell'alta integrazione e se ritenga di ridare vita a quelle forme sperimentali previste dal Fondo nazionale per la lotta alla droga, che assegna una quota del 20 per cento alle sue competenze dirette, per intervenire ai fini della riduzione del danno. Tale scelta può essere assunta sotto due profili, uno rassegnato - sintetizzabile nell'enunciato «riduciamo il danno, di fronte ad un consumo di droga che non puntiamo ad eliminare» -, e uno non rassegnato, che è quello che dovremmo privilegiare, e che considera la riduzione del danno un modo per entrare in contatto


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con il tossicodipendente, sapendo che distribuendo le siringhe si evita l'AIDS e che con l'assistenza di uno psicologo e con una doccia pulita si potrebbe instaurare una relazione capace di far uscire gradualmente queste persone dalla dipendenza.
Vorrei chiederle, signor ministro, se lei abbia questa idea di riduzione del danno e come intenda implementarla, anche attraverso l'utilizzo del fondo nazionale.

DONATELLA PORETTI. Nel ringraziarlo della sua relazione, che mi è sembrata molto esaustiva, saluto il ministro Ferrero.
Il discorso della separazione tra volontariato e lavoro credo sia davvero utile. Proveniamo, peraltro, da un'esperienza di leva obbligatoria, dove spesso il servizio civile, più che per principio, in realtà veniva scelto solo per evitare il militare, così che si finiva nel mondo del volontariato per ben altri motivi. A riguardo, vorrei capire meglio il discorso delle ore retribuite, perché che il privato paghi un'ora per il volontariato, francamente, in linea di principio non mi trova assolutamente d'accordo. Mi preme, poi, sottolineare brevemente due questioni, che riguardano la droga e l'immigrazione. Nel campo della lotta alla droga, va benissimo la depenalizzazione del consumo - tenga duro, signor ministro - ed è bene che si faccia subito qualcosa. L'ho sollecitato alla ministra Bindi e ricordo anche a lei che occorre un decreto-legge che perlomeno faccia fuori il cosidetto decreto «Fini-Giovanardi». Così, quantomeno, ripartiamo dalla situazione precedente, che pur non essendo ottimale, è stata appunto aggravata da quel provvedimento.
Lascio da parte la questione delle narcosalas, per la quale lei è stato per un periodo al centro dell'attenzione dei media, ma ribadisco che è necessario innanzitutto puntare alla riduzione del danno. Avvicinandoci all'estate, credo che sia utile dare delle indicazioni pratiche ai comuni e agli enti locali per cercare di evitare i danni maggiori. In questo senso - perché no - si potrebbe anche pensare a sale adeguate perché chi si trova in una situazione di dipendenza possa somministrarsi da solo le sostanze stupefacenti. In tal senso, lo spunto di un'indagine conoscitiva su come vengono realizzate in altri paesi e che risultati stanno dando le pratiche di riduzione del danno potrebbe essere interessante anche per la nostra Commissione.
Fra l'altro, a proposito di riduzione del danno, il dottor Ceraudo, medico penitenziario al «Don Bosco» di Pisa, si era proposto per far partire un progetto di somministrazione controllata di eroina in carcere. Infatti, non solo la droga entra in carcere, ma in quel contesto produce un danno ancora maggiore. Per quanto mi riguarda, ritengo che un tentativo di soluzione potrebbe essere quello di prendere in esame l'idea di una legalizzazione di tutte le sostanze. Capisco che questo non faccia parte del programma di Governo, ma ciò non toglie che lo si possa comunque sollecitare.
Sul tema dell'immigrazione, la proposta di un passaggio a flussi di ingresso annuali, anziché triennali, non mi pare idonea. La mia proposta è quella di prevedere un flusso continuo, ossia che, in qualsiasi momento dell'anno, chi ha la possibilità di lavorare possa entrare in Italia. Le previsioni sono sempre pericolose, anche perché alla fine producono solo un mercato di immigrazione clandestina, e null'altro. Forse si tratta anche di ripensare alla reintroduzione dello sponsor, come modalità di ingresso legale nel nostro paese. Un'altra questione calda, sempre sul tema dell'immigrazione, è quella della burocrazia. Tanta burocrazia, tipica delle nostre pubbliche amministrazioni, quando si abbatte su una situazione così delicata come quella di un immigrato, produce danni notevoli, oltre a impedire il riconoscimento di alcuni diritti. Sarebbe da rivedere anche la situazione del mercato del lavoro. Contratti diversi, a tempo determinato ed indeterminato, producono diritti diversi nei confronti degli immigrati. Dovremmo verificare per quale motivo un contratto a tempo determinato permette alcune situazioni rispetto al contratto a tempo indeterminato. Per quanto riguarda, infine, gli alloggi per gli immigrati,


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per assurdo si chiede agli immigrati di disporre di un numero di metri quadrati che non vengono richiesti, invece, agli italiani. Anche questa norma credo sia da rivedere.

LALLA TRUPIA. Ministro Ferrero, dico subito che condivido molto quello che lei ha riferito nel suo intervento. Innanzitutto, lei ci ha detto che, nel suo lavoro, si atterrà soprattutto a due metodi: il primo è legato a una discontinuità culturale cui ispirare le proprie azioni e le proprie politiche, il secondo alla necessità di una costante e forte integrazione e coordinamento con altri Ministeri.
Il Governo Prodi ha fatto una scommessa con se stesso piuttosto impegnativa, quella di coniugare assolutamente risanamento e crescita. A mio avviso, la discontinuità culturale che ho colto nelle sue parole consiste essenzialmente in un nuovo welfare, in una rete più qualificata di servizi, che diventa un punto cruciale per coniugare risanamento e crescita. Potrebbe sembrare una questione banale, ma non lo è affatto, come non è affatto scontata. Nella storia politica e istituzionale del nostro paese non sempre è stato così. Bisogna cominciare a considerare la questione dei servizi come volano della crescita e dello sviluppo, e non solo come spesa da tagliare, ossia come grande occasione per nuova occupazione, per nuove professionalità, soprattutto giovanili, oltre che per l'espressione del diritto della qualità della vita.
A me sta bene la scelta - mi rendo conto che non può essere e non è ancora soddisfacente - dell'incremento complessivo del fondo sociale. Penso, però, che si dovrebbe passare all'attuazione e al relativo monitoraggio di alcune leggi, a mio modo di vedere molto positive, rimaste quasi lettera morta, non essendo stati emanati i decreti attuativi in alcune regioni italiane. Mi piacerebbe, ad esempio, che il suo Ministero ci riferisse perché, come e quanto sono state attuate queste leggi. Mi riferisco, sostanzialmente, alla legge n. 328 del 2000 e alla legge n. 285 del 1997 sull'infanzia. Due leggi, queste, che mettevano in moto un circuito virtuoso rispetto a quella che io definisco la carta vincente, ovvero lavorare ad un sistema di welfare basato sull'integrazione dei servizi e sulla messa in risorsa del territorio. Ebbene, le leggi n. 328 e n. 285 volevano fare questo, per quel che riguardava l'infanzia e l'adolescenza e per tutti i sistemi assistenziali, ossia mettere in rete sul territorio tutti i soggetti istituzionali, sociali e privati, che dovevano concorrere ad un unico progetto di qualità. Tuttavia, non è che queste leggi siano rimaste lettera morta o siano state poco applicate solo al sud. Sono veneta e devo dire che nella mia regione, nonostante tante sollecitazioni e battaglie, non si sono mai messe in campo le risorse sufficienti per fare della legge n. 328 e della legge n. 285 dei progetti di forte innovazione, di forte discontinuità, di forte qualità sul territorio. Semmai, si è scelto il finanziamento a pioggia, con poche risorse, su progetti che venivano avanzati, ma non sempre sui più significativi. I criteri a cui lei ha affermato di volersi ispirare sono, signor ministro, criteri-guida per segnare una discontinuità in questo campo.
Credo che siano due i settori fondamentali in cui il suo Ministero, insieme ad altri, può dare dei segnali positivi: la non autosufficienza e l'infanzia e l'adolescenza.
Per quanto riguarda la non autosufficienza, veda pure la luce il fondo per la non autosufficienza, rispetto al quale pareva di essere arrivati al traguardo nella scorsa legislatura, ma che poi è stato abbandonato. Tuttavia, sollevo due problemi. Il primo riguarda i non autosufficienti cronici, gli istituzionalizzati. Innanzitutto, ritengo si operi una disparità tremenda a danno dei non autosufficienti e delle loro famiglie, data la mancanza di copertura della spesa sanitaria, istituzionalizzata in molte case di riposo, specie le IPAB (le conosco bene, perché ne sono stata amministratrice). Questo significa che un anziano non autosufficiente che viene ricoverato in ospedale riceve cure gratuite, ma una volta dimesso, pur essendo nelle stesse condizioni di malato cronico, non autosufficiente, la sanità non


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gli viene più erogata, bensì viene sostenuta con cifre da capogiro e con rette altissime, fondamentalmente, dalle famiglie. Si parla di cifre vicine ai 1000, 1500, 2000 euro mensili, e parlo di strutture pubbliche. Mi rendo conto che questo problema abbia attinenza anche con la sanità, ma resta comunque un problema serio.
Il secondo problema riguarda la prevenzione, anche nella non autosufficienza, e il territorio: significa parlare di prevenzione, istituzionalizzazione e ospedalizzazione. Dobbiamo investire davvero sull'assistenza domiciliare e sui servizi territoriali, come il day hospital, cosa che oggi non avviene. Ribadisco, quindi, la necessità di effettuare un monitoraggio dell'attuazione delle leggi n. 285 e n. 328.
Infine, sollecito l'attuazione del programma dell'Unione: 3 mila nidi per altri 100 mila bambini, intesi come servizio e diritto all'educazione, e non come custodia. Sottolineo, però, che un servizio diventa diritto esigibile quando è accessibile. Dalle mie parti, al nord, una retta di un asilo nido non privato, ma comunale, ormai raggiunge, per cinque ore, i 450-500 euro; immaginate cosa questo significhi, considerando i salari e gli stipendi delle persone. Nel Mezzogiorno, addirittura, non ne hanno costruiti. Nemmeno il piano del 1971 è stato completato in questo paese...! Va bene che non si tratti di un servizio gratuito, come si era pensato all'inizio, ma almeno sia accessibile!
Concludendo, sulla droga - credo che riprenderò l'argomento con il ministro Turco, se continuiamo il dibattito -, credo che il nemico più grande di politiche utili alla lotta a tutte le tossicodipendenze, ivi compreso l'alcool, sia l'ipocrisia, il fatto di avere un approccio ideologico a questi temi, da una parte o dall'altra. Ho ascoltato, già nella scorsa discussione in questa Commissione, toni che francamente non portano da nessuna parte. Siamo una Commissione parlamentare e dobbiamo sperimentare, anche se ci sono differenze di pensiero in questo campo, le forme di intervento più utili ed efficienti. Guardiamoci dall'ipocrisia, che è un male endemico di questo paese e della sua cultura. Tutti si appellano alla famiglia, tutti lottano contro la droga, ma bisogna vedere quali sono i metodi più efficaci e sperimentarli. Gli adolescenti, c'è poco da fare, per crescere - lo dicono gli psicanalisti, non certo io - in genere tendono a trasgredire. La trasgressione serve a diventare adulti. Si tratta di accompagnarli alla trasgressione buona, ma per farlo occorre informazione, prevenzione, cura e anche riduzione del danno. La sanzione - sono d'accordo con lei, ministro Ferrero - non funziona. Bisogna individuare altre strade, altre rotte, fuori dai giudizi morali, che non spettano alle leggi, ma alla coscienza.

PRESIDENTE. Faccio presente ai colleghi che, continuando a non contenere ragionevolmente i tempi degli interventi, non riusciremo a concludere il dibattito e saremo costretti a rinviare il seguito dell'odierna audizione a data successiva.

SALVATORE MAZZARACCHIO. Quanti sono gli iscritti, presidente?

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor presidente, sono d'accordo con lei, ma siamo più di quaranta, in questa Commissione, e tutti abbiamo il diritto e il dovere di intervenire. Se parlassimo tre minuti ciascuno, supereremmo le due ore. Mi sembra, comunque, che l'intervento puntuale del ministro Ferrero meriti delle repliche, seppur brevi. Credo che inevitabilmente il ministro dovrà tornare in questa Commissione - scelga lui quando -, indipendentemente dalla nostra volontà, perché si tratta di affrontare problematiche che incidono fortemente sulla nostra società.
Condivido la sua preoccupazione, signor presidente, ma in soli venti minuti è difficile esaurire gli interventi. Date le circostanze, le chiedo se non sia il caso di rinviare il seguito dell'audizione ad altra seduta, invitando il ministro Ferrero a ritornare appena possibile. Potremmo proseguire il dibattito anche domani mattina, concludendolo in tempi compatibili con i previsti impegni parlamentari.

PRESIDENTE. Condivido la sua valutazione, ma naturalmente è anche una


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questione di buonsenso. Invito ciascuno di voi a riflettere sul fatto che non possiamo completare la discussione su tutti gli argomenti sollevati dai singoli ministri in una sola seduta. Dobbiamo anche pensare che ci saranno numerose altre circostanze in cui avremo la possibilità di sviluppare una discussione.
Non è del tutto obbligatorio aprire adesso un dibattito a trecentosessanta gradi. Naturalmente non intendo vincolare nessuno nell'esposizione delle questioni essenziali - non l'ho fatto nemmeno nell'audizione del ministro Turco - ma invito ciascun collega a contenere al massimo il proprio intervento, per dare a tutti la possibilità di parlare e, soprattutto, per non prolungare oltre il tempo necessario la presenza dei ministri nell'ambito della Commissione, considerato che sono previsti altri appuntamenti nei quali ci sarà modo di sviluppare il dibattito.
Do quindi la parola al prossimo iscritto, onorevole Cancrini.

LUIGI CANCRINI. Innanzitutto, esprimo il mio apprezzamento per l'ampiezza e la concretezza della relazione. Mi preme sottolineare un punto che riguarda i livelli essenziali di assistenza. Nella città dove vivo e lavoro, Roma, ad ogni assistente sociale, spesso assunto con contratti interinali, per brevi periodi, vengono affidati in media 200 minori dal tribunale dei minori. L'affidamento del minore ad un assistente sociale è una responsabilità molto grande: 200 figli legali sono una responsabilità al di sopra delle possibilità umane. Il problema, che interessa Roma, ma anche molte altre grandi città e gran parte del sud, riguarda, ad esempio, le piante organiche, l'organizzazione dei servizi.. L'intera città di Roma ha un numero di personale impiegato nel sociale pari a quello di un quartiere di Barcellona. Nell'intera provincia romana, la maggioranza dei comuni non ha neppure, nella sua organizzazione, il servizio sociale.
Credo che dobbiamo considerare questi aspetti con realismo. Livelli minimi di assistenza significa numero minimo di professionisti che possono erogarli. Questo richiede al Ministero una visione abbastanza diversificata rispetto alle differenti realtà: Milano non è Roma, Genova non è Palermo, insomma ci sono situazioni molto diverse. In tal senso, ritengo che una mappatura sarebbe estremamente utile.
La seconda questione che intendo approfondire riguarda i servizi che hanno a che fare con l'infanzia e con i bambini immigrati. Da questo punto di vista, la carenza è grave anche dal punto di vista della professionalità dei servizi. Il centro aiuto ai bambini abusati e maltrattati del comune di Roma, in cui io lavoro, per il suo semplice esistere, ha permesso di entrare in contatto con una serie di situazioni di abuso sessuale, di maltrattamenti gravi sui bambini e di produzione pedo-pornografica, proprio perché vi lavorano dei professionisti. Abbiamo bisogno di ripensare i servizi, qualitativamente e quantitativamente, se vogliamo incidere realmente sui problemi dell'infanzia. Per quanto riguarda le dipendenze, credo che nel nostro paese debba essere affrontata la questione dei superalcoolici e della proibizione della pubblicità degli stessi. Questo sarebbe già un indizio di coerenza rispetto ai discorsi che facciamo sulle droghe. Inoltre penso che sia molto importante la riattivazione rapida dell'Osservatorio nazionale sulle tossicodipendenze, in raccordo con quello europeo, proprio per avere continuamente un flusso di dati che ci permetta di orientare le politiche di prevenzione.
Infine, lei ha affermato, in maniera decisa, che non si deve intervenire, neppure con sanzioni amministrative, sul consumo. È evidente che si tratta di una questione complessa, ma cercherò di porre il problema nel modo più semplice. Il consumo di cocaina da parte di un autista di un mezzo pubblico come si risolve? La legislazione precedente a quella attuale prevedeva che il prefetto potesse valutare le circostanze. Ecco, penso che questo sia importante: non esclusione delle sanzioni amministrative, ma oculata applicazione delle stesse, senza posizioni di principio. Ritengo, infine, che utilizzare l'espressione «lotta alle dipendenze» per il nuovo dipartimento


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sia un'idea giusta, considerato che ci sono tante dipendenze (ad esempio, da gioco, da cibo). Credo che questo segni un progresso fondamentale, dunque trovo particolarmente giusta questa scelta.

MASSIMO GARAVAGLIA. Signor presidente, prima di iniziare il mio intervento vorrei sapere se il ministro tornerà e quando. Non vorrei rischiare di dover lasciare monco il mio intervento, come è già accaduto. Probabilmente, a questo punto, è opportuno rinviare il seguito dell'audizione, anche perché i lavori d'Assemblea stanno per cominciare.

PRESIDENTE. Per il momento, non abbiamo notizie di un imminente inizio dei lavori assembleari, quindi abbiamo qualche minuto di tolleranza.

ANGELA NAPOLI. Signor presidente, l'Aula è convocata alle 15,30...

PRESIDENTE. Al momento sono ancora in corso le operazioni di spoglio. Tuttavia, se vogliamo metterla su questo piano, abbiamo trovato il modo per perdere tempo. Io, invece, darei la parola a chi l'ha chiesta.

ANGELA NAPOLI. Presidente, finora ha parlato solo la maggioranza, e adesso mancano solo due minuti...!

PRESIDENTE. Ho dato la parola a chi l'ha chiesta, in ordine di iscrizione, onorevole.

ANGELA NAPOLI. Avrebbe dovuto almeno alternare gli iscritti tra maggioranza e opposizione, vista la situazione...!

PRESIDENTE. Onorevole Garavaglia, vuole prendere la parola o no?

MASSIMO GARAVAGLIA. Le ho chiesto se e quando torna il ministro, presidente.

PRESIDENTE. Adesso, dunque, non intende prendere la parola? Se lo fa, le darò la parola, non ci sono problemi di tempo.

MASSIMO GARAVAGLIA. Il mio problema è capire se il ministro tornerà nuovamente per concludere l'audizione. In quel caso, interverrò nella prossima seduta.

PRESIDENTE. Non lo so. Dobbiamo ancora concordare questo punto, perché il ministro deve valutare la sua agenda e noi l'agenda dei lavori di Assemblea. Lei ha chiesto la parola. Intende parlare?

MASSIMO GARAVAGLIA. Cedo il posto a un collega di maggioranza, presidente.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Permetta di intervenire a me, presidente. Spero che il tempo a disposizione sia sufficiente e che i colleghi non debbano scappare in Aula. Non essere costretti ad interventi estremamente sintetici fa parte dei doveri e dei diritti di ognuno di noi. Spero davvero che, in futuro, si preveda, in occasione dell'audizione di un ministro, un tempo adeguato, per dare la possibilità a tutti i componenti della Commissione di intervenire. Sono sicura che il ministro, da neofita, si rende conto di questi meccanismi. Cercherò di essere comunque sintetica, e credo di esserlo per mia natura.
Partirò dalla distinzione, che è già stata richiamata dai colleghi, tra lavoro e volontariato. Ritengo che si tratti di una distinzione superata dai fatti e dai tempi. Il ministro ha citato gli anni Settanta, ma siamo nel 2006. È vero che esiste un lavoro che va tutelato - e su questo non ci sono dubbi - e che bisogna superare il precariato, andando oltre queste ingiustizie, ma non esiste più il volontariato romantico degli anni Settanta in cui la buona mamma di famiglia o il buon padre di famiglia passavano due ore in parrocchia o all'oratorio per dare una mano. C'è ancora questo volontariato, ma si richiedono molta più professionalità, molta più capacità, molta più preparazione. Oggi i


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problemi sono complessi, quindi non si può semplificare in questo modo. Lei sa, signor ministro, che esiste una legge sulle imprese sociali; lei sa che esiste la legge n. 383, che ha definito le associazioni operanti in tale ambito soggetti di utilità sociale svolgendo, esse, un'attività in cui lavoro e volontariato si sovrappongono. Non si può semplificare in questo modo e richiamare questioni, a mio avviso, assolutamente antiche. Giuste, bellissime, ma antiche.
Per quanto riguarda il Fondo per i non autosufficienti, siamo d'accordo che non si fa mai abbastanza. Tuttavia, per superare l'interdizione, c'è già l'amministratore di sostegno, che è stato previsto nella passata legislatura. Ci sono già figure importanti, che hanno raccolto un grande successo anche nella Conferenza europea sulle disabilità, a cui ho personalmente partecipato.
Siamo d'accordo sulla necessità di definire meglio i LIVEAS. Tuttavia, signor ministro, lei ha affermato che è meglio partire da servizi, magari minimi, limitati, e arrivare a livelli più alti. Nella passata legislatura, al riguardo, era stato istituito un tavolo. Apro una parentesi per dire che, come è noto, sono abbastanza contraria alla proliferazione dei tavoli, che considero un modo per perdere tempo. Tuttavia, in alcuni casi sono uno strumento utile. Ebbene, poiché erano stati svolti alcuni incontri e relazioni di esperti, le chiederei di farne tesoro, per non rimanere sempre all'anno zero e dover sempre ricominciare daccapo. Mi sembrerebbe un'inutile perdita di tempo e di risorse.
Per quello che riguarda la povertà, lei parla di lavoratori poveri. Le ricordo che la povertà, soprattutto al sud, è correlata al numero dei figli. Non si tratta, quindi, di parlare di lavoratori poveri, ma di famiglie povere. Chi mette al mondo dei figli, oggi, è punito per il semplice motivo di aver fatto questa scelta. Auspichiamo anche noi la tassazione negativa, non facciamo, però, mille rivoli di mille interventi diversificati; mettiamo in atto un intervento serio ed importante per chi mette al mondo dei figli e prevediamo un trattamento diverso per le famiglie con disabili, soggetti deboli, e via dicendo! L'orizzonte da considerare è quello delle famiglie, che sono quelle che pagano i prezzi più alti.
Per quel che riguarda il reddito minimo di inserimento, lei sa che questa misura è stata oggetto di grandi abusi, tanto è vero che era stata molto discussa dagli stessi sindacati. Non dico cose nuove, almeno nell'ambito della Commissione affari sociali. Un conto è parlare di reddito minimo di inserimento, un conto è prevedere servizi gratuiti. Lei ha parlato di trasferimenti monetari per i disoccupati, come interventi diretti. Si tratta di soldi, dunque, come nel caso del reddito minimo di inserimento, che ha avuto dei grossi limiti, soprattutto al sud, oltre agli abusi che sappiamo. Occorrono, pertanto, dei correttivi. Altro tipo di intervento è assicurare servizi gratuiti.
Si è parlato anche di assegno per le responsabilità familiari. Gli anziani non producono reddito e così i figli al di sotto dei 16 anni, ma sono in una famiglia, quindi va pensato un provvedimento che tuteli le famiglie da un aggravio di spesa, allorché mettono al mondo un figlio. Mi lascia poi, abbastanza perplessa il discorso di prevedere un fondo per i giovani. Magari avessimo soldi per tutto e per tutti, ma siccome la coperta è corta e di soldi ne abbiamo pochi, più che erogare denaro che verrà usato a 18 anni (parlo del famoso «baby-bond», come è stato definito), forse sarebbe meglio intervenire subito e aiutare chi mette al mondo dei figli. Se proprio avanzano dei soldi, si potrebbe pensare anche a quell'altra misura.
Infine, sono d'accordo sulla lotta alle dipendenze in generale. È una proposta che condivido. Non mi sento, invece, di condividere la proposta di alzare il fattore moltiplicativo, perché non c'è nessuna evidenza scientifica di questo tipo. Piuttosto, vorrei che si dicesse, semplicemente e molto banalmente, ai nostri giovani e ai nostri figli che drogarsi fa male, dunque non ci si deve drogare. Dopodiché, siamo d'accordo su informazione e prevenzione, su cura e lotta al narcotraffico, ma credo


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che si tratti soprattutto di un problema culturale. Drogarsi fa male e bisogna evitare di farsi del male.
Quanto alla sua insistenza nel distinguere tra sostanze leggere e sostanze pesanti, mi preme sottolineare che esperti della Food and Drug Administration, membri dell'ONU, esperti del servizio dei narcotraffici, e tanti altri, dicono esattamente il contrario. La questione, dunque, non è così semplice, così scontata, ma su di essa vi sono pareri discordi. Si tratta di un fatto culturale, e sono d'accordo che un approccio ideologico è da evitare, perché effettivamente non porta da nessuna parte. Tuttavia, non si può nemmeno avere una ricetta pronta e lasciarsi andare a risposte ad effetto, che non hanno nulla di concretamente realizzabile. La lotta alle tossicodipendenze è un discorso troppo serio per essere affrontato con la ripetizione di slogan.
Condivido la posizione del collega Cancrini sulle sanzioni amministrative, per dire che se qualcuno è in una condizione tale da nuocere anche agli altri, oltre che a se stesso, è opportuno applicare la sanzione amministrativa. Non si parla di mandare in prigione fiumi di giovani - questo non è successo - ma semplicemente di dire ai nostri ragazzi che drogarsi fa male.
In ultimo, sono d'accordo che bisogna portare avanti una lotta complessiva alle sostanze stupefacenti, quindi mettersi intorno ad un tavolo - i famosi «tavoli» - per cercare di risolvere il problema. Non ho trovato positivo che non ci sia più il dipartimento per la lotta alle tossicodipendenze presso la Presidenza del Consiglio: mi sembrava che fosse opportuno che questa struttura fosse a carico della Presidenza, anziché di un singolo Ministero, per assicurare un maggiore coordinamento e un ruolo più autoritativo.

PRESIDENTE. Comunico ai colleghi che l'Assemblea ha ripreso i suoi lavori e che dovremo interrompere qui il dibattito in corso.
Nel ringraziare ancora il ministro per la disponibilità manifestata, rinvio pertanto il seguito dell'audizione odierna alla seduta di domani, mercoledì 5 luglio, alle ore 9.

La seduta termina alle 15,40.