COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di mercoledì 5 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MIMMO LUCÀ

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del ministro della salute, Livia Turco, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro della salute, Livia Turco, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Nel ringraziare il ministro per essere anche oggi qui con noi, do la parola ai colleghi onorevoli che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor presidente, qualche giorno fa abbiamo ascoltato la relazione molto dettagliata e precisa del ministro Turco, che ha già ricoperto il ruolo di ministro della solidarietà sociale nel corso della XIII legislatura. Ricordo che, in quella occasione, abbiamo collaborato insieme - noi eravamo minoranza - e vorrei che analoga collaborazione ci fosse anche in questa legislatura. È un augurio che rivolgo a me stesso, ricordando che ho collaborato con il ministro nella XIII legislatura, ma non nella XIV, quando pure la senatrice faceva parte di questa Commissione. Di fatto, nella XIV legislatura non ho visto alcuna collaborazione da parte della minoranza, diversamente da quanto abbiamo fatto noi nella legislatura precedente, quando eravamo all'opposizione.
Oggi il nostro proposito è quello di collaborare sulle questioni che consideriamo condivisibili, e sono tante. Come si dice, la salute non ha costo, ma la sanità ha un prezzo. Ci dibattiamo tra queste due verità, ma dobbiamo provare a far quadrare il cerchio.
Il ministro sostiene di voler collaborare con questa Commissione, con il Parlamento, ma si contraddice quando afferma di voler agire più con atti amministrativi, che con provvedimenti legislativi. Al riguardo, ricordo che nella XIII legislatura abbiamo approvato alcune buone leggi, sempre nell'ambito di uno spirito di collaborazione. Cito, per tutte, la legge in materia di infanzia e adolescenza: indubbiamente, un buon provvedimento. A mio parere, se dobbiamo cambiare qualcosa, se vogliamo inaugurare un nuovo patto per la salute e dare un nuovo corso alla sanità, qualche legge dovremo necessariamente approvarla.
Il ministro afferma di volersi richiamare all'articolo 32 della Costituzione. Cita la legge n. 833 del 1978, un provvedimento importante, al quale ci richiamiamo tutti, nonchè il decreto legislativo n. 229 del 1999 del ministro Bindi. Cosa strana, si richiama anche all'articolo 117 della Costituzione, che è stato modificato con la legge costituzionale n. 3 del 2001.
Tuttavia, il combinato disposto delle due leggi citate ha portato ad un contenzioso con le regioni, creando un «buco»


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nei conti del sistema sanitario e difficoltà di gestione nel rapporto con le regioni. Faccio presente al ministro che la conflittualità che si è creata fra Stato e regioni ha dato luogo a 450 ricorsi presso la Corte costituzionale e a 380 sentenze. Alcuni dei contenziosi sono stati risolti a favore delle regioni, perché, come sappiamo, la tutela alla salute è materia di competenza concorrente fra Stato e regioni.
Per la verità, in una parte della sua relazione, il ministro affronta questo problema, quando parla della collaborazione con le regioni e sostiene la necessità di istituire un tavolo con questi enti, per distinguere le competenze fra Stato e regioni. Dobbiamo prendere atto, dunque, che il ministro si pone il problema.
Devo sollevare, tuttavia, alcune questioni. Vi sono già la Camera dei deputati, il Senato e la Conferenza Stato-regioni, che pare funzioni come terza Camera. Ebbene, se istituiamo anche un «camerino» con le regioni presso il Ministero della salute, non facciamo altro che appesantire tutta l'organizzazione. Non vedo, quindi, come dovrebbe funzionare questo tavolo con le regioni, per la sola materia della sanità: una sorta di piccola Conferenza Stato-regioni dedicata alla salute, nell'ambito dell'organismo già esistente. Mi sembra una questione alquanto complicata.
Al termine della sua relazione il ministro si è guadagnata l'applauso della sua maggioranza; noi non abbiamo applaudito, sia perché non è rituale che lo si faccia, sia perché ci riserviamo di esprimere un plauso in seguito, se il ministro opererà bene.
Per fare un passo indietro, la relazione del ministro, con le sue parole-chiave, ci ha fatto sognare. I sogni, però, a volte rimangono nel cassetto e per aprirlo occorrono le chiavi. Le parole-chiave dicono molte verità su tanti argomenti e tanti problemi, ma pare che il ministro trovi la chiave per aprire il cassetto e realizzare i sogni attraverso i tavoli, le consulte, i patti. Mi fermo qui, per brevità, ma questa è una contraddizione. È giusto, infatti, che vi siano i tavoli, i patti, le consultazioni e le consulte, ma ciò ci porta lontano dal Parlamento e non sappiamo fino a che punto quest'ultimo possa essere coinvolto da una discussione che avviene in altre sedi.
Nella prima parte della sua relazione, il ministro ha riferito che, nei contatti avuti in questo primo mese di Governo, ha trovato situazioni nuove, che non fanno parte - questa è la mia interpretazione - del programma dell'Unione. Il programma non è un testo sacro, quindi apprezzo la buona volontà del ministro quando nella sua relazione afferma di volersi richiamare alle realtà che sta verificando sul campo.
Nel dettaglio, bisogna affrontare il problema serio del territorio e del raccordo fra ospedale e territorio. È un problema che ho affrontato quando il ministro Bindi ha emanato il decreto legislativo n. 229 del 1999. Anche allora sostenevamo che la sanità italiana è «ospedalocentrica». Il ministro stesso ha riconosciuto che gli ospedali funzionano, con punte di eccellenza, ma al territorio non viene riservata la stessa attenzione. Suggerivo, allora, al ministro Bindi -, e oggi lo ribadisco a lei, ministro Turco - la necessità di una divisione tra l'assistenza ospedaliera e l'assistenza sul territorio: due ambiti distinti che, separati e gestiti in modo diverso, potrebbero funzionare meglio. Il problema non si risolve chiudendo i piccoli ospedali, trasformandoli in RSA. Non comprendo inoltre cosa si intenda per «casa della salute», sarebbe come riaprire i piccoli ospedali, dopo aver affermato di volerli chiudere: questa è un'altra contraddizione presente nella sua relazione, che gradirei lei chiarisse. L'operazione della casa della salute, infatti, sarebbe molto costosa, in quanto queste strutture dovrebbero essere adeguatamente attrezzate. Diversamente, non di assistenza qualificata si tratterebbe, ma di assistenza di serie C, nemmeno di serie B.
Apprezzo il fatto che il ministro, con la sua intelligenza, abbia compreso che ci sono argomenti condivisi, che si possono affrontare insieme. Penso al parto e all'assistenza al neonato, un problema che abbiamo affrontato anche nella scorsa


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legislatura. Penso al parto indolore, all'attuazione della legge n. 43 del 2006, che abbiamo varato alla fine della legislatura, in materia di professioni sanitarie infermieristiche, della quale io stesso sono stato relatore in Assemblea (e mi fa piacere che si stia procedendo con i relativi decreti di attuazione). Siamo d'accordo anche sulle proposte concernenti gli specializzandi e su altre problematiche che considero condivisibili. Ho anche presentato, da tre legislature, una proposta di legge sulle malattie rare e, dunque, ho apprezzato che nella relazione si affronti anche questo argomento.
Vorrei conoscere la posizione del ministro sulla medicina non convenzionale, un argomento che ho affrontato personalmente nella scorsa legislatura. Non ne ha parlato nella sua relazione, ma è una questione che mi sta a cuore dal punto di vista della tutela della salute.
Vorrei anche ringraziarla, signor ministro, perché nella sua relazione non ha affrontato alcuni problemi (non so se siano o meno contemplati nel programma dell'Ulivo) richiamati dalla sua maggioranza. Mi riferisco alla questione del testamento biologico, che sarebbe per noi un abbandono terapeutico nei confronti dei più deboli, e alla revisione della legge n. 40 del 2004. Dal momento che la sua maggioranza ha richiamato questi argomenti, vorrei conoscere la sua posizione al riguardo, tanto più che nella relazione non si fa cenno a queste problematiche.
Non parlerò delle cellule staminali, della pillola RU486, e di altri argomenti affrontati da altri colleghi del mio gruppo. Come è stato ricordato, nella relazione manca un accenno alla medicina veterinaria, alla medicina carceraria e ai Sert.
Mi auguro che lei si liberi dallo schema dei «testi sacri» e cominci a pensare con la sua testa, avvalendosi della sua intelligenza, della sua preparazione e della sua inventiva. Spero, così, che potrà venire incontro con programmi concreti ai problemi seri che dovremo affrontare in questa legislatura (speriamo che duri cinque anni, durante i quali si può fare molto!). Suggerisco di rivisitare il decreto legislativo n. 229 del 1999, come ho anticipato, e di affrontare altri argomenti importanti nell'ambito - mi auguro - di una collaborazione e di una corrispondenza sicuramente non di amorosi sensi, come le ho detto dieci anni fa, ma proficua sul piano della concretezza e dell'impegno.

GIUSEPPE LUMIA. Ringrazio il ministro per averci offerto, con competenza e passione, una relazione che disegna un quadro finalmente chiaro.
Il ministro ha illustrato i veri punti di forza del nostro Sistema sanitario nazionale, ma anche i seri problemi che dobbiamo affrontare. Punti di forza e seri problemi: finalmente, un quadro chiaro, finalmente un progetto ampio, con percorsi e tappe ben definite, che ci consentono di attuare quella svolta seria e rigorosa, per la quale, ormai, dopo la chiusura di un ciclo di molti anni, i tempi sembrano maturi.
Credo che il criterio-guida dell'umanizzazione possa aiutarci a chiudere bene questa fase. Giustamente, in questi anni abbiamo spinto per l'aziendalizzazione, per imprimere nei sistemi sanitari quella cultura manageriale, quell'attenzione ai costi, quell'attenzione ai fatti organizzativi e all'efficacia della struttura sanitaria, elementi che nel nostro paese era necessario introdurre con forza e con grande coraggio. Nello stesso tempo, però, abbiamo assistito alla produzione di alcuni effetti collaterali; in qualche caso c'è stata un'esagerazione, in molti casi, in modo un po' provinciale, si è andati oltre. Adesso, quindi, è necessario riequilibrare l'intera struttura e dare la giusta missione al sistema sanitario nazionale.
È bene mantenere una cultura organizzativa, è bene mantenere una cultura dell'efficienza, è bene imparare a fare i conti con i costi e i benefici, è bene tener conto non solo della qualità delle prestazioni, ma anche della redditività delle stesse. Guai, però, a perdere di vista l'obiettivo centrale: quello di offrire un servizio al cittadino. Questo rimane il punto di partenza e di arrivo delle prestazioni sanitarie.


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Ritengo che la scelta dell'umanizzazione ci possa aiutare a rivedere con serietà e a chiudere bene una fase e, senza nessuna nostalgia per gli anni passati, a trovare un nuovo punto di equilibrio e nuove sintesi. Ad esempio, nel campo delle risorse, dobbiamo fare in modo che il nostro paese non guardi più alla sanità come a un problema, ma come ad una realtà rispetto alla quale gli investimenti e le risorse finanziarie sono un punto di forza, non una difficoltà.
Sappiamo che, in queste ore, lei ha ricevuto una richiesta forte da parte delle regioni (le fonti di informazione parlano di 5 miliardi), che sta valutando. Senza perdere di vista i vincoli finanziari esistenti, che sono seri, penso che l'idea di considerare gli investimenti nella sanità non un problema ma una risorsa possa costituire un punto di partenza serio, del quale dobbiamo tener conto, anche qui in Parlamento, soprattutto durante l'esame del disegno di legge finanziaria, per svolgere bene il nostro compito.
È importante, altresì, predisporre un governo unitario del sistema, caratterizzato, da un lato, da un centralismo ormai fuori tempo e, dall'altro, da una parcellizzazione territoriale che, spesso, tocca i livelli essenziali, ma anche i diritti essenziali dei cittadini, perfino direttamente il diritto alla salute. Tale idea di governo unitario del sistema - in cui gli attori che concertano e decidono insieme non sono solo lo Stato centrale, ma anche le regioni -, mi pare sia una scelta intelligente, che ci consente una sintesi moderna e avanzata.
Vorrei sapere, signor ministro, come è stata accolta questa sua proposta da parte delle regioni, qual è la sua impressione. Quella del governo unitario può essere una scelta importante su cui investire e su cui coinvolgere anche il Parlamento, nella sua capacità di offrire anche atti di indirizzo.
Sulla questione della selezione e della modernizzazione dei quadri professionali - mi riferisco al ruolo degli specializzandi -, lei ha fornito alcune indicazioni ben precise. Penso, signor ministro, che debba diventare un punto di forza togliere queste persone dalla precarietà e immetterle in un sistema di formazione, ma anche di esperienza concreta da maturare.
Vorrei sapere se nelle scuole che si stanno attrezzando per svolgere la funzione moderna e avanzata di formazione degli specializzandi si prevede anche un posto per la ricerca. È importante che i giovani che si apprestano ad esercitare questa professione abbiano un'adeguata formazione, ma anche la capacità di elaborare la loro esperienza e un'attitudine, che diventa anche un modo di essere e di «approcciare» la propria professione alla ricerca e all'innovazione.
Per quanto riguarda i concorsi, si è parlato della necessità di sottrarli a quel grado di arbitrarietà, di discrezionalità e di eccessivo controllo della politica che tutti conosciamo bene. Signor ministro, lei ha dato indicazioni al riguardo, ma vorrei qualche chiarimento. Vorrei sapere, innanzitutto, se è possibile, rispetto ai concorsi, compiere finalmente un salto di qualità, premiare le professionalità ed evitare che l'eccessiva discrezionalità politica - cattiva politica, mi pare l'abbia definita - possa interferire e deviare la valutazione seria che, invece, è necessaria rispetto ai percorsi professionali che si devono intraprendere nel sistema sanitario.
Signor ministro, ho apprezzato molto gli obiettivi che lei ha indicato per quanto riguarda la ricerca. Le chiedo se, oltre alla necessità di implementare con nuove risorse il cammino della ricerca italiana e di articolare la presenza della ricerca non solo a Milano e a Roma, ma anche in altre realtà del nostro territorio, è previsto anche un cammino di valutazione della ricerca che si svolge in Italia. È vero, infatti, che se ne fa poca, ma anche che abbiamo punte di grande eccellenza. Penso che noi, oltre a far crescere il sistema della ricerca, dobbiamo anche imparare a valutare il cammino della stessa nel nostro paese. So che, a tal proposito, vi sono proposte e iniziative; dunque, vorrei sapere se questo è anche un obiettivo che lei pensa di raggiungere a breve termine.
Vengo, ora, ad esaminare velocemente tre questioni. Innanzitutto, per quanto


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riguarda il programma relativo al Mezzogiorno, nella relazione molte pagine sono dedicate al tema dello sviluppo della sanità in quest'area del paese. Si contempla la necessità di rendere autosufficiente il Mezzogiorno e di coprirne il differenziale strutturale e tecnologico. Vorrei sapere, signor ministro, se già dalla prossima legge finanziaria possiamo avere qualche segnale, seppur timido, che vada in questa direzione, in modo tale che tale scelta strategica possa cominciare a muovere i primi passi.
Per quanto riguarda la droga, penso che, anche a questo proposito, possiamo maturare un rapporto equilibrato, uscendo da una logica puramente ideologica, nella quale ci si contrappone in modo spesso inadeguato rispetto alle esperienze che via via i nostri servizi hanno maturato sul territorio.
Vorrei sapere da lei - l'ho chiesto anche al ministro Ferrero - cosa pensa della cosiddetta alta integrazione, ovvero della possibilità di inserire, in un rapporto fra pubblico e privato sociale, criteri di grande qualità nel progettare, nel definire obiettivi, nel verificare risultati.
Nel nostro paese abbiamo una storia ricchissima nell'ambito del servizio pubblico e anche in alcuni settori delle comunità del privato sociale. Forse, è bene disarmare le ideologie e rafforzare le esperienze reali che sono maturate nel nostro paese. Penso che la scelta che lei ci ha proposto possa andare in questa direzione. Vorrei chiederle, dunque, se sull'alta integrazione è possibile fare dei passi avanti molto concreti.
La terza questione è quella del disagio mentale. È possibile, signor ministro, riprendere un cammino? Ci sono stati tentativi, in questi anni, che di fatto sono stati sventati, volti a far entrare dalla finestra ciò che nel nostro paese abbiamo lasciato fuori dalla porta. Mi riferisco al tentativo di istituzionalizzare il disagio mentale, ossia di rinchiuderlo in categorie asfittiche, in luoghi chiusi, secondo un approccio che non tiene conto, anche in questo caso, della ricchezza dell'esperienza maturata nel nostro paese. Vorrei sapere se, in questo campo, l'obiettivo del 5 per cento, l'obiettivo di potenziare le strutture territoriali e di dare dignità a chi lavora in questo settore possono finalmente diventare una cosa reale, sulla quale finalmente impostare un cammino serio e rigoroso.

ROCCO PIGNATARO. Signor presidente, intendo formulare molto brevemente i miei auguri di buon lavoro al ministro della salute e congratularmi per la sua relazione, che considero ampia, chiara, puntuale e largamente condivisibile. La ringrazio, signor ministro, per aver scelto la centralità del Parlamento come sede pubblica ove illustrare le iniziative del Governo.
Dalle linee programmatiche si evince che la stella polare del suo mandato è il programma dell'Unione. Un programma che, per la sua realizzazione, richiede sempre il confronto con la minoranza e quella politica dell'ascolto che il ministro ha saggiamente iniziato.
Condividiamo tutte le sue parole-chiave e, brevemente, esprimiamo alcune sottolineature. Siamo chiaramente d'accordo con la politica della concertazione e con l'istituzione delle consulte, così come con la convocazione periodica (se non ricordo male) degli stati generali della sanità. È un momento di ascolto importante, che va chiaramente distinto dal differente ruolo del Parlamento.
Apprezziamo la cultura dei risultati, a patto e a condizione, signor ministro, che si abbia la capacità di prendere atto di eventuali negatività e di agire di conseguenza. Anche la demagogia può essere cattiva politica: dunque, è bene evitarla.
Le chiedo se nell'organismo bilaterale Governo-regioni - che lei menziona nelle sue linee programmatiche per il «monitoraggio costante in corso d'opera incentrato su dinamiche di specifici indicatori di risultati» - sia possibile ammettere anche medici parlamentari che, avendo più il polso della situazione, potrebbero dare un contributo anche sotto il profilo tecnico.
Nell'ambito della riforma dell'educazione continua in medicina, ritengo necessario


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che siano le ASL a farsi carico dell'organizzazione, cosa che molto spesso non avviene.
Per quanto concerne la lotta agli sprechi e agli abusi, si potrebbe pensare di stabilire un codice etico, firmato sia da Farmindustria sia dai sindacati medici. Si dovrebbero fissare regole precise in tema di sponsorizzazioni, in modo che si assicuri trasparenza. Condividiamo anche il progetto dell'autosufficienza del sud, anche se, signor ministro, devo esprimere qualche perplessità in ordine alle misure di contromobilità: mandare qualcuno dal nord, anziché far spostare i cittadini dal sud. Come medico, credo di poter dire che al sud non mancano sicuramente le professionalità. È importante razionalizzare le risorse esistenti e dotare gli ospedali più importanti di quelle attrezzature d'avanguardia che molto spesso mancano. Noi chiediamo - lo dico senza venature polemiche, perché l'appoggio è pieno e totale - soltanto il rispetto dei nostri diritti, per poter contemporaneamente ottemperare ai nostri doveri.
Sempre come medico, non posso che salutare favorevolmente, tra gli altri obiettivi che lei giustamente pone, il superamento di forme di lavoro atipiche, che mascherano un vero precariato - parlo degli specializzandi -, favorendo quindi politiche di integrazione.
Infine, esprimo il pieno appoggio politico e professionale all'ambizioso progetto della casa della salute, attraverso il rilancio della medicina del territorio e, soprattutto, attraverso il riconoscimento della centralità del ruolo dei medici di famiglia, che troppo spesso - ahimè - sono considerati induttori di spesa, mentre posso assicurare che sono, signor ministro, autentiche sentinelle della salute di un territorio.

EMANUELE SANNA. Nella sua corposa e convincente relazione il ministro ha affermato che il Servizio sanitario nazionale è un edificio solido, una casa sicura, che ha bisogno di interventi di ristrutturazione che la rendano più accogliente e funzionale. In questa definizione leggo l'impegno e la garanzia che il nuovo Governo opererà, in primo luogo, per salvaguardare il carattere unitario, universalistico e nazionale del servizio sanitario nel nostro paese. Pertanto, la bussola delle politiche della salute continuerà ad essere la Costituzione, la legge n. 833 del 1978, le regioni e il decreto legislativo n. 229 del 1999.
Anche gli interventi di restauro e di innovazione sono stati, a mio giudizio, indicati con chiarezza e con la necessaria dose di pragmatismo. Penso che essi siano perseguibili, nonostante la delicata congiuntura istituzionale e finanziaria che il nostro paese sta attraversando.
Il new deal di cui parla il ministro non è un obiettivo generico e velleitario. A mio giudizio, è un orizzonte programmatico concreto e ineludibile, e anche gli strumenti per coltivarlo non sono né generici né utopistici, proprio perché fanno perno sulla fiducia e sulla responsabilità degli utenti e degli operatori.
Sotto questo profilo, penso che anche i colleghi dell'opposizione - i quali hanno dato già, in questa discussione, un contributo di merito importante -, prima di archiviare la relazione programmatica del ministro con giudizi o con pregiudizi rituali e liquidatori, nell'ambito dell'attività concreta del Parlamento, si dovranno confrontare in termini più stringenti e propositivi.
Signor ministro, ho conosciuto, come cittadino e come medico, l'assistenza sanitaria nel nostro paese, prima e dopo l'approvazione del provvedimento istitutivo del Servizio sanitario nazionale, la legge n. 833 del 1978. Da qualche anno vivo con l'angoscia che si possa cancellare questa fondamentale conquista civile.
Ci sono tanti colleghi che lavorano nel settore della medicina di base, ma anche nella nostra organizzazione ospedaliera. Ricordo quando, al momento di dimettere i pazienti dai nostri reparti di pediatria, nei primi anni Settanta, vivevamo con l'angoscia di non poter prescrivere a bambini spesso gravemente malati neppure i farmaci salvavita - mi riferisco all'insulina per i bambini diabetici, ai farmaci antitumorali


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- in quanto la cassa mutua della Coldiretti o degli artigiani non garantiva nemmeno questa assistenza fondamentale. Ricordo anche che, in quegli anni, nascere con una cardiopatia congenita o con l'anemia mediterranea, in una regione come la Sardegna, equivaleva ad una condanna a morte sicura nel corso dei primi dieci anni di vita, quando andava bene.
Il Servizio sanitario nazionale è stato una conquista di civiltà, approvata unitariamente dal Parlamento italiano. Penso che la legge che l'ha istituito abbia contribuito, più di altre, a farci sentire tutti più italiani, più cittadini e appartenenti alla stessa comunità nazionale.
Nella relazione del ministro si leggeva, in filigrana, una preoccupazione derivante dall'esigenza di salvaguardare, già nel DPEF e nella prossima legge finanziaria, le risorse necessarie per garantire agli italiani una buona salute e il potenziamento e la ristrutturazione del nostro Servizio sanitario nazionale.
Il ministro è stato prudente ma, conoscendo la sua esperienza politica e la sua determinazione, è evidente che la discussione su questo punto cruciale, nell'ambito del Governo e forse anche della maggioranza, sarà molto difficile, tenendo conto della difficoltà drammatica che sta vivendo il nostro paese, sotto il profilo finanziario.
Come parlamentare dell'Unione - mi rivolgo ai colleghi della maggioranza, ma anche al ministro - spero che il nuovo Governo sia coerente con il suo programma e con gli impegni che la maggioranza ha assunto con gli elettori, e che non ritorni l'idea nefasta che la sanità è solo fonte di sprechi intollerabili e, quindi, che la spesa sanitaria si può ulteriormente colpire e mutilare.
Penso che non si possa scendere al di sotto del livello di guardia del 6,6 per cento rispetto al prodotto interno lordo. Considero, da questo punto di vista, la spesa sanitaria nel nostro paese e il Servizio sanitario nazionale, che la governa sotto il profilo istituzionale, un miracolo di equilibrio. Ci sarà pure una ragione se l'Organizzazione mondiale della sanità considera il nostro Servizio sanitario nazionale il più giusto dal punto di vista dell'equità sociale e anche uno dei più efficienti al mondo - il secondo dopo la Francia - per quanto riguarda la qualità e l'universalità delle prestazioni.
Naturalmente, mi rendo conto che c'è molto da fare sul piano della riqualificazione della spesa sanitaria. Di sicuro, non possiamo scendere sotto questo livello di guardia, ma penso che si possa fare molto per utilizzare al meglio queste risorse.
Per quanto riguarda la ricerca - il ministro la cita opportunamente, poiché è uno dei capitoli di rilievo della sua relazione programmatica - si è detto che bisogna uscire anche dai poli di riferimento tradizionali - Milano e Roma - e valorizzare altre esperienze (il ministro ha citato, ad esempio, quella di Bologna).
Mi permetto di dire che, con l'assillo di far quadrare i conti e di contenere il disavanzo e la crescita della spesa sanitaria, che pure in rapporto al PIL è la più bassa nell'Europa occidentale, si sta completamente dimenticando il ruolo fondamentale della ricerca e della prevenzione. Nei programmi tutti scriviamo «ricerca, innovazione, competitività, sviluppo, crescita». Il primo anello, però, viene saltato o progressivamente indebolito. Si arriva al paradosso che, per studiare il genoma umano, in una popolazione che presenta una straordinaria omogeneità genetica ambientale, l'Agenzia nazionale per la salute degli Stati Uniti d'America finanzia con decine di miliardi un progetto di ricerca in Sardegna per studiare i geni e i fattori ambientali responsabili dell'invecchiamento, con ricercatori italiani e sardi. E ciò accade non nei poli di eccellenza di Cagliari e Sassari, ma ad Ogliastra, nei paesi più sperduti della Sardegna interna. Come sappiamo, i vecchi fanno lievitare anche i costi sanitari. Noi pensiamo alle terapie sintomatiche, ai ticket, mentre gli americani stanno investendo, anche nel nostro paese, ingenti risorse nel settore della ricerca scientifica.
Quanto alla prevenzione, questa parola si è un po' indebolita, non solo nei comportamenti concreti, ma anche nelle politiche nazionali per la salute. Sono nato e


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vivo in una regione dove, fino a 20 anni fa, nascevano ogni anno 200 bambini affetti da anemia mediterranea, condannati a morte sicura entro i primi dieci anni di vita. Adesso, in Sardegna non nasce più un bambino con la talassemia, e quando viene alla luce è il frutto di una procreazione consapevole. I talassemici vengono curati, crescono, procreano, diventano adulti, conducono una vita quasi normale. Noi abbiamo sconfitto la talassemia in Sardegna attraverso la prevenzione, non attraverso la medicina clinica e curativa.
Ritengo, quindi, che si debba puntare prevalentemente su un grande programma nazionale di prevenzione, soprattutto delle malattie genetiche e sociali a più alta incidenza. Penso a una campagna nazionale per la prevenzione primaria e la diagnosi precoce di patologie che hanno un'altissima incidenza nel nostro paese; penso ai tumori della mammella e dell'apparato riproduttivo femminile (abbiamo fatto passi in avanti molto importanti, ma si può ancora fare molto), penso ai tumori del colon, dei polmoni, della prostata, dello stomaco. La diagnosi precoce di queste patologie, sicuramente, farà abbassare e riqualificare la spesa sanitaria nel nostro paese.
Un ultimo appello, signor ministro: non molli sull'epidurale e sul parto indolore! Faranno come i tassisti i miei colleghi che negli ospedali praticano, l'epidurale in cambio di mille o duemila euro, ma si possono piegare. Ci sono tanti paesi al mondo in cui il 90 per cento dei parti avviene senza dolore e viene offerto nelle strutture pubbliche, gratuitamente. Penso che il ministro abbia lanciato non un messaggio, ma un programma concreto per il suo impegno nei prossimi anni.

ELISABETTA GARDINI. Cercherò di svolgere un intervento rapido. Dopo alcune considerazioni generali, vorrei proporre un tema particolare all'attenzione del ministro. Non posso sottrarmi al disappunto e al dispiacere che mi suscita vedere una donna, che ho seguito, in anni passati, in tante battaglie, perdersi in questo Governo, che non si sa quanto durerà (mi auguro il meno possibile!). Mi sembra che si stia comportando come se fosse l'ora della ricreazione. Ogni ministro dice la sua. Il suo collega, questa mattina, ha tenuto a distinguersi sulla base dei programmi, sottolineando che il suo programma non è quello dell'Ulivo, ma quello dell'Unione, ed ha sostenuto argomenti che, francamente, mi chiedo se lei potrebbe condividere. Questi, in ogni caso, sono problemi vostri. Noi cerchiamo anche di sorridere e così, quando sentiamo tutti questi discorsi, ci chiediamo dove sia finita la centralità del cittadino.
Leggendo a caso dalle pagine della sua relazione, troviamo «stati generali degli operatori e delle operatrici della salute», «costituzione di un organismo bilaterale», «tavolo permanente di consultazione con i sindacati confederali», «consulta permanente», «incrementare luoghi, occasioni e momenti di partecipazione», «partecipazione attiva», «tavolo istituzionale», «piani pluriennali», «tavolo di approfondimento», eccetera. Oggi, il suo collega Ferrero ha detto che è molto più interessante confrontarsi con questi corpi sociali intermedi che con gli eletti del popolo italiano. Credo che siamo di fronte ad un qui pro quo o ad un'emergenza democratica.
Mi piacerebbe, allora, che lei ci chiarisse il suo rapporto con questi tavoli e con questi corpi sociali intermedi. Vorrei sapere, inoltre, se anche lei pensa che sia più utile e fruttuoso confrontarsi con persone iscritte ad associazioni, o comunque esperte in materia, piuttosto che con gli eletti del popolo italiano.
Vorrei ricordarvi, tra l'altro, che non siete stati eletti con un plebiscito. La metà degli italiani, più di 220 mila, ha comunque votato per la Casa delle libertà. Avete vinto, ma vi ricordo che, nel referendum sulla legge in materia di procreazione medicalmente assistita, l'80 per cento degli italiani vi ha dimostrato, perlomeno, di non essere abbastanza motivato o abbastanza d'accordo con voi al punto da votare «sì». Quando si interviene su temi che hanno così tanto a che vedere con la scala dei valori di un popolo e con la vita quotidiana delle famiglie, credo si dovrebbe


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avere un po' meno questa aria da «liberi tutti, è l'ora della ricreazione». Sembra che il vostro programma, essendo la vostra maggioranza un'aggregazione di minoranze, sia stato in qualche modo subappaltato ad ogni minoranza che appartiene alla vostra Unione.
Quando sento parlare di casa della salute non posso che preoccuparmi. Come ha detto bene il collega dell'UDC, ciò rappresenta veramente uno scadimento della qualità dei servizi che vengono offerti ai cittadini. Inoltre, mi ricorda moltissimo la rivoluzione della Cina popolare, dove proprio la sanità è stata utilizzata come un terreno di lotta di classe. Sono stata in Cina, dove era stato istituito il comitato di controllo del ciclo delle compagne, per la politica del figlio unico. Ridiamoci su, ma non vorrei ritrovarmi in queste condizioni!
Parlando di questioni più serie, fino all'altro giorno ero convinta che lei fosse contraria ai ticket. Ieri, però, aprendo il giornale ho scoperto il contrario. Allora, mi domando: è contraria o favorevole ai ticket? Qui ci trasferiamo in Unione Sovietica...

PRESIDENTE. L'Unione Sovietica non esiste più!

ELISABETTA GARDINI. Appunto, torniamo al secolo scorso! Lo dico pensando al discorso sugli abbienti: chi è considerato abbiente e chi non lo è? In Unione Sovietica, se possedevi fino a cinque galline eri un contadino, da sei galline in su eri un kulak.
Temo che molti principi enunciati siano degli spot. Come donna, immagini se non sono favorevole all'epidurale o al parto indolore! Ma si è detto che il problema sia la carenza di anestesisti. Pertanto, mi sembra semplicistico il discorso del collega medico. Vorrei che chiarisse, signor ministro, come raggiungere questo obiettivo: io la seguirei a spada tratta, ma temo che resti solo uno spot. Ho avuto un figlio nel 1990 e all'epoca, anche nel privato, il parto indolore era un obiettivo irraggiungibile. Immagino che si siano compiuti passi avanti, ma siamo ben lontani dal raggiungerlo.
Quanto alla reversibilità, vengo da una regione, il Veneto, dove mi dicono che in tale materia non è cambiato nulla. In pratica, nessun medico ha usufruito della reversibilità. Perché, allora, togliere libertà ai medici, quando evidentemente non si tratta di una pratica così frequentata, ma comunque lascia un senso di respiro, di libertà? Perché introdurre la cappa opprimente di una regola imposta, visto che nessun medico ha usufruito di questa possibilità?
Per quanto concerne la droga - ne ho parlato oggi anche con il ministro Ferrero - lei saprà che la nostra posizione è completamente diversa. Per quanto riguarda gli oppiacei, vorrei capire come pensa di evitarne l'uso improprio, adottando nuove regole.
Soffro molto quando sento parlare in un certo modo di problemi psichiatrici, ben sapendo, anche in prima persona, cosa vuol dire avere un malato di mente in casa. Non auguro a nessuno di avere uno schizofrenico in famiglia. La famosa legge Basaglia, che avrà prodotto pure qualche risultato positivo, ha dimostrato dei limiti evidenti. Quando sento parlare della volontà di non toccare la legge Basaglia, di lasciarla esattamente com'è, mi preoccupo. È stato detto che sono stati sventati colpi di mano, come se tutto ciò che ha fatto il Governo di centrodestra fosse stato un tentativo demente di sovvertire chissà quale ordine perfetto, che solo voi siete in grado di garantire. E Dio ci scampi e liberi da chi è in grado di garantire le cose perfette!
A Padova c'era un ospedale psichiatrico. Ebbene, la psichiatria democratica - anche qui, Dio ci scampi e liberi dai cattolici democratici e dalle repubbliche democratiche! - ha distrutto un ospedale psichiatrico che era già strutturato in case-famiglia e, dal giorno dopo, gente ospedalizzata da decenni, con il libretto del lavoro in mano, dormiva alla stazione di Padova. Siamo ancora in quella condizione? È stato fatto qualcosa? Non mi


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sembra che sia un delitto mettere mano alla legge Basaglia, ma un dovere assoluto.
L'intra moenia ci preoccupa, perché siamo vicini alla scadenza prevista per l'esercizio dell'opzione. Anche al riguardo, vorremmo avere qualche delucidazione in più, perché nella sua relazione non abbiamo trovato molto. Da persona del nord, devo dire che ho avuto un sussulto quando lei ha detto di voler esportare personale dal nord al sud. Credo che si sia trattato di un qui pro quo, non ci siamo capiti bene.

PRESIDENTE. Forse, voleva dire «deportare»!

ELISABETTA GARDINI. Quanto alla sicurezza alimentare, vedo che ci preoccupiamo dei paesi terzi, verso cui esportiamo, ma non è spesa una sola parola - o forse mi è sfuggita - sulla sicurezza alimentare rispetto ai prodotti che importiamo.
Ci hanno ricordato più volte, anche di recente, che i principi attivi, per esempio dei farmaci, li prepariamo secondo tutte le regole e li vendiamo all'estero. Tuttavia, li importiamo, per l'80 per cento, da paesi come India e Cina, che non sono soggetti ai controlli e ai regolamenti vigenti nel nostro paese.
Per quanto riguarda la ricerca, vorrei ricordare che, come centrodestra, abbiamo voluto trasformare gli IRCSS in fondazioni, sempre con la prevalenza del pubblico, per attrarre capitali privati da destinare alla ricerca. Vorrei domandarle se anche questa possa essere un'altra via utile e valida per la ricerca.
Rispetto alla pillola RU486 - tema che sicuramente ci interessa, anche come donne - da parecchio tempo mi è stato segnalato un altro farmaco, che viene già venduto in farmacia, sia in Italia che all'estero, che permette l'aborto farmacologico domiciliare e anche clandestino. Si tratta del Cytotec, un farmaco che a Torino viene assunto dopo la pillola RU486, ma anche da solo può provocare l'aborto ed è anche efficace nell'indurre l'aborto nel secondo trimestre di gravidanza. In un sito (se lo desidera, dopo posso fornirle la denominazione) si trovano tutte le indicazioni al riguardo e sono riassunti anche 127 articoli pubblicati sulle maggiori riviste internazionali concernenti questo farmaco. Una giornalista de il Giornale, qualche mese fa, è andata in farmacia ed è riuscita ad ottenere questo farmaco senza alcuna prescrizione medica.
Secondo i medici che forniscono queste notizie, ci sono diverse donne, soprattutto extracomunitarie, che arrivano al pronto soccorso in situazioni veramente critiche, perché utilizzano questi farmaci anche senza il supporto (che le italiane possono ottenere) di un ginecologo, magari compiacente. Test di gravidanza in farmacia anonimo, consulenza presso un ginecologo affidabile e favorevole, sanguinamento: se è questo il percorso, possiamo dire che è stato trovato l'aborto clandestino perfetto, con medico non punibile e gravidanze che non lasciano traccia, ma soprattutto con gravi danni e conseguenze per la salute delle donne. In questo caso, lo ripeto, ciò vale soprattutto per quanto riguarda le extracomunitarie. Se questo argomento le interessa, signor ministro, posso anche metterla in contatto con alcuni ricercatori e medici della mia regione che hanno seguito queste vicende.

GINO BUCCHINO. Signor ministro, cari colleghi, esprimo un forte apprezzamento per la presentazione da parte del ministro Turco delle linee programmatiche del suo dicastero, che ci danno la certezza di un impegno del Governo, finalmente, per una buona salute di tutti i cittadini.
In particolare, sono molto soddisfatto per le sue parole sul rilancio della centralità del Parlamento e per l'invito ad una nuova cultura e attenzione alla salute della donna. Con serietà, per la prima volta, anche in Italia si sente parlare di epidurale, quindi del diritto (di ciò di tratta e sui diritti non si fanno sconti!) della donna a scegliere il parto indolore. E non è una questione di scarsità di anestesisti o di pericolosità dell'intervento da un punto di vista anestesiologico. È una questione culturale, una questione di non volontà.


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Lei pensi che a Firenze c'è solo un centro che può offrire alla donna questa possibilità. Non credo, francamente, che a Firenze manchino anestesisti in grado di assicurare questo tipo di intervento.
Limiterò il mio intervento ad un punto, che lei non ha toccato, e non tanto perché - ne sono convinto - se ne è dimenticata. Al contrario, sono assolutamente convinto che il tema della salute degli immigrati faccia parte del suo DNA, come ha dimostrato in tutti questi anni di impegno suo personale e del centrosinistra. Signor ministro, gli immigrati in Italia sono ormai quasi 3 milioni; una percentuale sulla popolazione residente che ha raggiunto la media europea di oltre il 5 per cento. Tuttavia, le nostre politiche dedicate alla salute degli immigrati sono ancora incerte e l'integrazione è veramente debole.
Il paradosso è che le condizioni di salute degli immigrati sono abbastanza buone: esse tendono, infatti, a sovrapporsi quasi perfettamente alle patologie della popolazione italiana, con incidenze simili per la maggior parte delle patologie. L'immigrato che arriva in Italia gode di buona salute; non è vero che arrivano i derelitti. Non emigra mai la parte malata della popolazione, ma la parte che nell'intraprendere questo lungo viaggio ha più chance di riuscita, la parte che ha studiato di più. Le proposte concernenti le visite mediche agli immigrati che arrivano in Italia non hanno alcun senso e la proposta dell'ex ministro Storace - ecco lo scadimento dell'attenzione dell'Italia verso questi problemi! - non solo non sta in piedi, ma rivela anche una radicata e diffusa forma di preconcetto e stigma. Secondo il ministro Storace, le visite hanno l'unico scopo di curare gli immigrati. Ma gli immigrati, lo ripeto, arrivano in Italia generalmente sani; semmai, si ammalano dopo sei mesi o un anno, per le condizioni di vita disagiate, perché non hanno un posto dove dormire, perché si alimentano in maniera non adeguata.

GIULIO CONTI. Perché dici queste sciocchezze! Non si possono dire queste cose!

PRESIDENTE. Onorevole Conti, quando avrà la cortesia di chiedere la parola, gliela concederò.

GINO BUCCHINO. Lo ripeto: gli immigrati arrivano sani e si ammalano in Italia per le condizioni di vita disagiate a cui sono sottoposti. I soldi da destinare alle prime visite a cui pensava l'ex ministro Storace andrebbero ben spesi diversamente, per migliorare la politica dell'accoglienza, per favorire l'integrazione, per garantire a tutti - regolari e non - l'accessibilità e la fruibilità dei servizi sanitari. Invece delle visite, sarebbe più efficace e meno costosa una campagna di informazione, al momento del rilascio del permesso di soggiorno, per far conoscere agli immigrati cosa devono fare e a chi si devono rivolgere in caso di malattia, informazione che manca del tutto. Gli immigrati, teoricamente, godono degli stessi diritti sanitari degli italiani. La nostra legge, infatti, da questo punto di vista è una delle più avanzate del mondo, poiché equipara l'immigrato, con regolare permesso di soggiorno, al cittadino italiano. Nella realtà, però, esiste una diseguaglianza nell'accesso ai servizi, perché spesso c'è mancanza di conoscenza da parte dell'immigrato ed una grave carenza da parte dell'operatore nell'agire in un contesto interculturale ed informale. Manca, quindi, una seria politica dell'integrazione e c'è una sempre maggiore precarietà dell'immigrato.
Tra le aree critiche vi è quella relativa alla salute riproduttiva, signor ministro. La gravidanza delle donne straniere risulta meno protetta di quella delle donne italiane. Esse accedono, infatti, con molto ritardo e in modo insufficiente alle cure della medicina preventiva, e ciò determina un maggior rischio di patologia per loro o per i loro bambini al momento della nascita.
Per questa ragione, signor ministro, mi permetto di sottoporre alla sua attenzione alcune proposte affinché i servizi materno-infantili vengano potenziati e arricchiti da un'offerta attiva che ne migliori l'accessibilità, l'accoglienza e la capacità di presa


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in carico. A questo proposito, per proteggere le donne gravide in condizione di irregolarità (esse hanno diritto a un permesso di soggiorno per gravidanza fino a sei mesi dopo il parto, di cui spesso preferiscono non usufruire restando nella clandestinità, per il timore di venire espulse allo scadere del periodo), si raccomanda l'estensione del permesso di almeno altri sei mesi, per consentire alla donna, nel frattempo, di trovare un'occupazione e di ottenere, quindi, un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. È un semplice provvedimento, che consentirebbe di migliorare sensibilmente l'accesso ai servizi sanitari per le donne gravide e le puerpere e di proteggere efficacemente la vita dei nascituri. Un provvedimento simile, inoltre, produrrebbe effetti verosimilmente molto positivi anche sulla prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza. Come lei sa, le donne straniere abortiscono da tre a quattro volte più delle donne italiane: questa appare essere una vera e propria emergenza sanitaria, che conferma come la fragilità sociale sia tra i principali fattori di rischio dell'aborto provocato.
Particolare attenzione va rivolta anche ai figli di mamme straniere, che saranno, nella loro grande maggioranza, gli italiani di domani, i nostri concittadini. Intervenire sulla loro tutela significa investire sul futuro benessere del nostro paese. È necessario, proprio come un atto dovuto, che venga iscritto obbligatoriamente al Sistema sanitario nazionale qualunque bambino straniero residente sul territorio nazionale, in modo che tutti possano godere del pediatra di base e della protezione necessaria alla loro salute. Attualmente - tutti lo sanno, ma è bene ricordarlo - questo diritto è riconosciuto solo ai figli dei residenti in regola con il permesso di soggiorno.
Un altro punto critico è la tutela del lavoro. L'attuale normativa, che prevede un legame troppo stretto tra il contratto di lavoro e il permesso di soggiorno, pone i lavoratori stranieri in una condizione di ricattabilità a volte estrema. Anche a ciò, oltre che al concentrarsi degli immigrati nelle lavorazioni più pericolose, è dovuto il rischio molto maggiore di incidenti sul lavoro. Tale dato costituisce un'assoluta emergenza per la salute della popolazione ospite.
Si auspicano, quindi, signor ministro, oltre ad iniziative mirate per la prevenzione sull'infortunistica, norme più elastiche per la concessione dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro ed interventi che riducano, così, la precarizzazione del lavoratore straniero.
Signor ministro, si parla poco di medicina in senso stretto e molto di interventi sociali e ovviamente legislativi, che sono quelli che appaiono più promettenti ai fini della protezione della salute di questi nostri nuovi compagni di strada, i quali hanno scelto di portare le loro energie e le loro competenze nel nostro paese, per costruire l'Italia del futuro.
Anche per questo motivo, raccomando al Governo una particolare attenzione al riguardo, suggerendo che venga istituita presso il Ministero della salute una commissione tecnica (in realtà, questa già esisteva, ma è stata poi accantonata e del tutto trascurata durante gli anni sterili del Governo Berlusconi) per il monitoraggio dell'applicazione delle normative nazionali, specie per quanto riguarda l'accessibilità ai servizi e la fruibilità delle prestazioni.
È necessario tornare a parlare di sanità dell'immigrazione in termini di competenza e attenzione, con l'attenzione e la competenza che merita un processo su cui il nostro paese gioca una buona parte del suo futuro.
Sono certo che lei, senatrice Livia Turco, nuovo ministro della salute -, al cui nome (insieme a quello del Presidente della Repubblica) è legata la migliore legge sull'immigrazione finora approvata nel nostro paese -, sia la persona giusta a cui rivolgere queste istanze: lei, che non ha certo dimostrato di perdersi né di fare ricreazione.

DOMENICO DI VIRGILIO. Presidente, mi scusi, il regolamento è chiaro. La Commissione non può lavorare...


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PRESIDENTE. È un'osservazione formalmente ineccepibile. Onorevole Ceccacci, lei dovrà rinviare a data da destinarsi il suo intervento. Era la sua grande occasione, ma i colleghi non hanno consentito lo svolgimento del suo intervento. D'altra parte, il regolamento è molto chiaro.
Sono iniziati i lavori dell'Assemblea e non possiamo svolgere contemporaneamente questa audizione. Avendo acquisito la disponibilità del ministro, rinvio dun-que il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,15.