COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 6 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MIMMO LUCÀ

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, Giovanna Melandri, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, Giovanna Melandri, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Innanzitutto, ringrazio il ministro Melandri per essere qui. Il ministro ha predisposto una relazione piuttosto densa di contenuti che, al termine della lettura, verrà riprodotta e messa a disposizione dei colleghi.
Do la parola al ministro Giovanna Melandri.

GIOVANNA MELANDRI, Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. Signor presidente, colleghi, innanzitutto, vi ringrazio per avermi chiamata ad illustrare, davanti alla Commissione affari sociali della Camera dei deputati, le linee programmatiche in materia di politiche giovanili del nuovo Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive.
Per maggiore chiarezza, ho preferito presentare una relazione scritta di cui darò lettura, anche se tale scelta rischia di introdurre nell'audizione qualche elemento di noia (ad ogni modo, lascerò agli atti una copia della relazione). Credo che quella di dare lettura di un testo scritto sia l'opzione più corretta anche perché - come sapete, colleghi - il mio è un Ministero di nuova istituzione e, di conseguenza, mi accingo alla prima illustrazione al Parlamento delle linee programmatiche in materia di politiche giovanili ed attività sportive.
Come ben sapete, colleghi, è per precisa volontà del Presidente del Consiglio che, per la prima volta nella storia della Repubblica, l'Italia si è dotata di un dicastero dedicato ai giovani e allo sport. Si tratta, a mio modo di vedere, di una scelta importante, perché il dicastero che ho l'onore di presiedere si colloca al fianco degli altri ministeri per i giovani e lo sport presenti in quasi tutti i paesi dell'Unione europea (segnalo che l'Italia era, insieme alla Polonia, tra i due paesi europei che ancora non avevano un dicastero o, comunque, un'articolazione organizzativa di livello ministeriale dedicata alle politiche giovanili).
In Italia, come è noto, questo dicastero nasce senza portafoglio, ma non senza idee - saluto il sottosegretario Elidio De Paoli e lo invito ad accomodarsi al mio fianco - ed è per svolgere al meglio le funzioni in materia di sport e quelle di indirizzo e coordinamento in materia di politiche giovanili che è mia intenzione


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arrivare al più presto alla creazione di una nuova struttura dipartimentale nell'ambito della Presidenza del Consiglio.
Ciò che intendiamo realizzare è una struttura di coordinamento ed indirizzo leggera, snella, versatile ed all'altezza del proprio compito. Tuttavia, nelle more della costruzione della macchina istituzionale, abbiamo già avviato un'ampia fase di ascolto e riflessione, che ci consente, già oggi, di portare alla vostra attenzione il frutto delle prime, concrete elaborazioni programmatiche e progettuali.
Personalmente, sono convinta che l'unico modo sensato di guardare ai giovani sia quello di vederli come una risorsa - come una risorsa straordinaria per il nostro paese -, mai come un problema. Se vogliamo fare dell'Italia un paese competitivo sul piano internazionale, dobbiamo invertire la rotta e scegliere di investire con forza sulla parte giovane del paese, iniziando ad attrarre, sostenere e valorizzare le migliori energie creative dei nostri ragazzi, i loro diritti, i loro percorsi di emancipazione.
Da questo punto di vista, se è vero che, come ho detto, soltanto con il Governo in carica il nostro paese si dota, per la prima volta, di un Ministero per le politiche giovanili, ciò non significa affatto che le politiche giovanili in Italia si trovino all'anno zero. Non sono all'anno zero le politiche delle istituzioni locali, regionali - tutte le regioni e le province autonome (abbiamo avviato una prima ricognizione) hanno deliberato provvedimenti specifici; al 2005, erano state censite più di 1300 leggi regionali sui giovani -, provinciali e comunali, le quali hanno già al proprio attivo centinaia di esperienze di buone pratiche. Al riguardo, il nuovo dicastero può offrire - mi auguro - quel raccordo e quel supporto tecnico che, nel rispetto delle singole identità, possono produrre un effetto-sistema e possono garantire la massa critica necessaria per far acquisire alle stesse un peso strategico, in modo tale che non rimangano semplici ed isolati esempi virtuosi di buona amministrazione e di buon governo locale.
E di certo non è all'anno zero l'Unione europea, che alle politiche rivolte ai giovani ha legato, con il Libro bianco del 2001, una parte importante della realizzazione della famosa strategia di Lisbona: «Investire nella gioventù» - cito testualmente dal Libro bianco - «significa investire nella ricchezza delle nostre società di oggi e di domani». Si tratta di una delle chiavi del successo per l'obiettivo politico definito dal Consiglio europeo di Lisbona: fare dell'Europa «l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo». E 75 milioni di giovani - la cui condizione è spesso marcata, oggi, da un deficit di cittadinanza - animano la nuova Europa a 25.
Le priorità individuate dal Libro bianco sono l'ampliamento della partecipazione - sulla quale tornerò diffusamente - alla vita civile della loro comunità e al sistema della democrazia rappresentativa e l'informazione, finalizzata alla crescita dei giovani in quanto cittadini attivi e responsabili. Nel marzo 2005, il Consiglio europeo ha adottato un Patto europeo per la gioventù, il cui obiettivo principale è quello di migliorare l'istruzione, la formazione, la mobilità, l'inserimento professionale e l'inserimento sociale dei giovani europei, facilitando, nel contempo, la conciliazione tra vita familiare e vita professionale.
Insomma, con la creazione del nuovo Ministero, tutte queste politiche, a livello europeo ed a livello locale, trovano finalmente anche in Italia un interlocutore strategico in grado - tra le altre cose - anche di dare maggiore forza alla posizione italiana nell'accesso alle risorse comunitarie, che, per il solo programma «Gioventù in azione» - questo il nome del programma europeo -, ammontano complessivamente, per il periodo 2007-2013, a 915 milioni di euro.
Questa funzione di coordinamento e di indirizzo ha l'ambizione di portare ad organicità i vari interventi oggi divisi tra diversi soggetti competenti e di superare, in tal modo, le evidenti conseguenze negative della frammentazione. A questo proposito, mi permetto di portare alla vostra attenzione una riflessione circa


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l'opportunità - lo dico, in particolare, al presidente della Commissione - e la necessità di stabilire una interlocuzione istituzionale, tra Governo e Parlamento, altrettanto organica e funzionale ad un metodo di confronto che valorizzi una visione d'insieme delle politiche giovanili.
Questa visione complessiva e unitaria, che non dovrà mancare di orientare anche il disegno del Quadro strategico nazionale per le politiche di sviluppo 2007-2013, potrà, in seguito, consentirci di dare risposta, anche attraverso una legge-quadro nazionale, alle esigenze di «messa a sistema» maturate sulla scia delle numerose esperienze che vedono le amministrazioni pubbliche, il terzo settore ed i privati impegnati in iniziative significative aventi il comune obiettivo di garantire ai giovani il diritto al proprio futuro.
In questa stessa direzione, e con lo stesso intendimento, ritengo necessario aggiungere valore per i giovani attraverso gli spazi offerti da quegli importanti strumenti di intervento congiunto fra amministrazioni centrali, regionali ed enti locali che sono gli accordi di programma quadro (si tratta, dunque, di strumenti già esistenti).
Desidero segnalare alla riflessione istituzionale, infine, che non si trova all'anno zero (e, anzi, è molto avanti) il ricco e variegato mondo dell'associazionismo giovanile, che conta più di 50 organizzazioni di dimensione nazionale ed una galassia di aggregazioni locali: una vera forza trainante della società civile, in tutte le sue forme e caratteristiche, alla quale è giunto il momento di dare - ed è questo un impegno prioritario per il nostro Ministero - ascolto, voce e sostegno maggiori.
Come vedete, colleghi, l'interlocuzione è ampia e riguarda un sistema composito, che va dalla Commissione europea al piccolo ma attivissimo comune di Genzano di Lucania (chiedo scusa per aver scelto di citare come esempio questo comune della Basilicata), che, sebbene conti 6.012 abitanti, è stato il primo ad attivare, nel lontano 1992, il Servizio Informagiovani. Di questo composito sistema di interlocuzione, che va dalle associazioni più grandi e di più antica data alle nuove forme di aggregazione dal basso, spesso totalmente spontanee, fa parte anche quella componente del mondo della ricerca socio-economica che ha costruito osservatori sui giovani.
Il confronto è stato già avviato nelle primissime fasi di vita del nuovo Ministero. Peraltro, sono già in atto esperienze analoghe in Europa (in Spagna, ad esempio, Zapatero ha lanciato un vero e proprio piano d'azione per i giovani).
I suddetti interlocutori e gli indicati confronti ci hanno incoraggiati ad esplorare la strada della messa a punto di un «Piano nazionale giovani» che contenga gli obiettivi, le priorità, le misure che oggi appaiono non più rinviabili e che costituiranno oggetto dell'azione di indirizzo e di coordinamento di questo dicastero.
A tale riguardo, va fatta una premessa di carattere metodologico. È evidente che molti dei provvedimenti e delle risposte che indicherò riguardano materie di competenza di altre Commissioni parlamentari. Ciò che, però, mi pare importante rappresentare in questa sede è la caratteristica di organicità complessiva che intendiamo dare ad un piano nazionale destinato a promuovere le potenzialità dei giovani italiani a 360 gradi.
L'ambiziosità di questo obiettivo presuppone nella sua ideazione e soprattutto nella sua realizzazione un gioco di squadra da parte dell'intero Governo, con il Ministero per le politiche giovanili che si offre di svolgere il compito assegnatogli di indirizzo e coordinamento tra i Ministeri dell'economia, dello sviluppo economico, della solidarietà sociale, del lavoro, dell'istruzione, dell'università, della famiglia, della giustizia, ma anche dell'innovazione tecnologica o delle comunicazioni.
Le poche settimane trascorse dall'avvio della nostra attività ci sono servite per individuare la prima ossatura del «Piano nazionale giovani», che, ovviamente, andrà arricchita dal proficuo apporto che arriverà - ne sono certa - dalle Commissioni parlamentari competenti.
Tutte le proposte sono tenute insieme dall'idea della centralità dei giovani. Occorre


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creare le condizioni perché i giovani possano essere protagonisti della loro crescita e del loro futuro, fare esperienza di autonomia e responsabilità nel cammino verso l'età adulta. È proprio questa attenzione che fa di un insieme di provvedimenti ed iniziative una vera politica per i giovani, che dà unità e significato ai singoli provvedimenti e, insieme, individua la finalità ed i presupposti di ogni specifica proposta. Ed è anche per questo che il dialogo con il mondo giovanile è, per noi, già un obbligo, che intendiamo mantenere durante tutte le fasi di impostazione e scrittura del Piano.
Illustrerò, ora, gli obiettivi del Piano, alla cui definizione stiamo lavorando in queste settimane, su impulso del Presidente Prodi ed in stretto contatto con il ministro Padoa Schioppa (come già detto, intendiamo realizzarlo in totale collaborazione con gli altri ministeri competenti).
Un primo obiettivo è quello di agevolare l'accesso dei giovani al mondo del lavoro attraverso la riduzione del livello attuale di precarizzazione e la rottura dei «colli di bottiglia» che impediscono loro l'accesso al mondo delle professioni. Gli interventi sulla formazione, di cui tratteremo in seguito, non possono prescindere, infatti, da un'analisi corretta del rapporto, peraltro assai complesso e difficile, tra giovani e mondo del lavoro.
Al fine di delineare un quadro generale, desidero ricordare alcuni dati che sono a tutti noti: l'Italia ha il più basso tasso di occupazione giovanile in Europa. Come ha ricordato, nella sua relazione, il Governatore della Banca d'Italia, per i giovani tra i 20 e i 29 anni, il tasso di occupazione italiano è inferiore di 10 punti rispetto alla media europea.
Prioritario diventa il compito di mettere in opera azioni di contrasto alla condizione di marginalità e debolezza nel mercato del lavoro che contraddistingue i giovani e, soprattutto, le giovani donne, oggetto di vere e proprie discriminazioni di fatto. Tale condizione è dovuta, in larga misura, al crescente fenomeno di precarizzazione dei rapporti di lavoro. Oggi, in Italia, la nuova occupazione è per due terzi precaria, atipica, instabile. Senza un lavoro stabile e degnamente retribuito, i nostri giovani non riescono a lasciare la famiglia di origine e a costruirsene una propria; senza un lavoro stabile e degnamente retribuito, le giovani coppie non trovano il coraggio di regalarsi la meravigliosa esperienza della maternità e della paternità; senza un lavoro stabile e degnamente retribuito, le banche non consentono alle giovani coppie di accendere un mutuo per acquistare o anche solo per affittare una casa (la non «bancabilità» di molti contratti atipici è un grosso problema).
La legge n. 30 del 2003 ha peggiorato questa situazione, disegnando una linea che va dalla flessibilità in entrata alla precarietà senza tempo.
Per questi motivi, ritengo apprezzabile, e la condivido, l'intenzione più volte espressa dal ministro Damiano di intervenire mediante una revisione della menzionata legge sulle forme contrattuali più precarizzanti. Per motivi analoghi, condivido la circolare con la quale il ministro Damiano è intervenuto sulla delicata vicenda dei call center, allo scopo di fare chiarezza sui criteri in base ai quali questa specifica prestazione lavorativa (sono moltissimi i giovani occupati nel settore) può essere considerata lavoro autonomo ovvero subordinato.
Inoltre, ritengo anch'io che la normativa in materia di appalti, di opere e servizi della pubblica amministrazione debba superare il criterio del massimo ribasso ed orientarsi verso una più netta prevalenza del criterio dell'offerta economicamente e socialmente più vantaggiosa. Va superata, altresì, la possibilità del general contractor di subappaltare fino al 100 per cento dei lavori, in tal modo dando origine ad una vera e propria catena ingovernabile di stazioni subappaltanti all'interno della quale si smarriscono le responsabilità relative alla tutela dei diritti dei lavoratori.
Infine - e soprattutto, vorrei dire -, ritengo che nella definizione del provvedimento con cui il Governo interverrà sul cosiddetto cuneo fiscale si debba scegliere


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anche un criterio di selettività che premi le imprese che stabilizzano i rapporti di lavoro. Si tratta, evidentemente, di una misura che naturaliter premia i lavoratori più giovani.
Infine, il ministro per le politiche giovanili sarà al fianco del collega Mastella - mi limito ad un accenno - nell'operazione di rimozione di quei «colli di bottiglia» che, nel percorso di accesso alle professioni liberali, oggi come oggi, in Italia, impediscono che il merito venga valorizzato come sarebbe necessario. Non penso ad una crociata contro gli ordini professionali, bensì ad un chiaro e moderno disegno di riforma orientato da un intento di liberalizzazione volto a migliorare le condizioni dei consumatori e ad ampliare le vie di accesso alle professioni per quelle migliaia di giovani laureati che, oggi, in taluni casi (non sempre, ma in taluni casi), si trovano davanti a portoni sbarrati.
È poi necessario (e questo è il secondo punto) sviluppare e valorizzare le competenze dei giovani sostenendo i percorsi formativi scolastici e universitari e, più complessivamente, l'attività di ricerca. Detto, infatti, degli interventi necessari concernenti la materia del lavoro, è sul grande capitolo della formazione e del rapporto tra formazione e mondo del lavoro che è necessario esplicare una concreta attività propositiva, per ristabilire i ponti tra i due ambiti.
In Italia, il valore del titolo di studio sta diminuendo.

GIULIO CONTI. Ti credo!

GIOVANNA MELANDRI, Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. Parto ancora una volta dai dati. Secondo Eurostat, il tasso di disoccupazione dei giovani tra 20 e 29 anni è pari al 24 per cento tra i laureati, al 13 per cento tra coloro che hanno conseguito un titolo di studio medio ed al 10 per cento tra coloro che hanno un titolo di studio basso. La situazione è completamente diversa, direi capovolta, in Europa, con il 9,3 per cento di disoccupati tra i laureati, il 14 per cento tra chi ha un titolo medio ed il 20 per cento tra chi ha un titolo basso. Ciò significa che ormai, nel nostro paese, il valore del titolo di studio per l'accesso al mercato del lavoro si è impoverito molto.
Gli strumenti a cui è possibile pensare sono vari e diversi. Si deve partire dal rafforzamento delle reti di orientamento dei giovani nella scelta dei percorsi universitari da intraprendere. Salta agli occhi, infatti, la sproporzione esistente tra il numero di diplomati dei licei tecnico-scientifici ed il numero di quelli che si iscrivono alle facoltà tecnico-scientifiche. Una recente indagine ci indica, inoltre, che rispetto alle scelte future, il 50 per cento dei ragazzi italiani tra i 15 ed i 19 anni esclude di iscriversi a facoltà scientifiche, il 29 per cento ci pensa, ma poi non lo fa, mentre solo il 18 per cento è sicuro di questa scelta. Tra le motivazioni, spicca il giudizio negativo sulla qualità dell'insegnamento delle materie scientifiche nelle scuole superiori.
Esiste, poi, la necessità della strutturazione di un sistema di stages che garantisca effettivamente ai giovani universitari, anche più di quanto non accada ora, di incontrare il mondo del lavoro. Mi sia consentito un breve inciso proprio su questo punto: è utile cominciare a ragionare sull'estensione dello strumento degli stages anche ai ragazzi più giovani, a coloro che stanno finendo il liceo o che stanno frequentando i primi anni di università, naturalmente concependo lo strumento, al di fuori delle forme di inserimento nel lavoro - voglio sottolinearlo dieci volte - e dei calendari scolastici, come esperienza formativa utile per cominciare a familiarizzare con gli ambienti lavorativi.
Penso anche all'erogazione di borse di studio, in particolar modo nelle materie scientifiche, nonché alla promozione di un vero e proprio programma a sostegno degli studi avanzati che preveda borse di studio e finanziamenti a tasso agevolato destinati a consentire ai giovani di mantenersi agli studi universitari e post-universitari senza gravare sulle loro famiglie. Come accade già in altri paesi, soprattutto anglosassoni o dell'Europa continentale e del nord,


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attraverso le agevolazioni nell'accesso al credito, il paese deve dare dimostrazione ai suoi giovani che scommette ed investe sul loro futuro.
Naturalmente, molti di questi temi sono oggetto di confronto con il ministro per l'università e la ricerca, ma quello che voglio evidenziare in questa sede è che c'è un ambito delle politiche giovanili diretto ad aprire canali di credito agevolato per i giovani italiani, credito e prestiti per gli studi, credito agevolato per l'acquisto o per la locazione delle abitazioni - su questo tornerò - e credito per l'autoimpiego (tornerò anche su questo).
Dobbiamo anche aumentare la mobilità dei giovani studenti italiani. II programma di scambio Erasmus incontra sempre maggiore consenso tra i giovani europei e si è rivelato, negli anni, come uno dei principali strumenti volti a favorire la mobilità e la reciproca conoscenza dei giovani cittadini dell'Unione. Tuttavia, le sue possibilità di ulteriore sviluppo in Italia sono ancora limitate ed andrebbero al contrario estese, ad esempio attraverso un programma quadriennale finalizzato ad integrare le borse di studio ed a sostenere le università in grado di organizzare corsi di lingua inglese, al fine di incrementare la domanda di scambi da parte delle università straniere.
Pensiamo, infine, a sovvenzioni per l'apprendimento delle lingue straniere, sotto forma di contributi a fondo perduto o detrazioni dal reddito (della famiglia o del singolo) ed alla previsione di forme di detrazione o deduzione fiscale per l'acquisto di libri per i giovani.
Da questo punto di vista, un passaggio ineludibile per rinforzare il raccordo tra formazione e mondo del lavoro è la ripresa dello strumento del cosiddetto prestito d'onore, di cui andrebbero opportunamente modificati le finalità, prevedendone l'estensione alle attività di specializzazione in campo formativo, e gli attuali sistemi di erogazione.
Il terzo punto del piano d'azione per le politiche giovanili riguarda la casa.
Sono noti i problemi che i giovani incontrano, soprattutto nelle grandi città, nel reperire a costi contenuti immobili da acquistare o da prendere in affitto.
Personalmente, ritengo che la strada principale da percorrere, seguendo alcune buone pratiche già sviluppate da alcuni enti locali (ad esempio, dal comune di Roma), sia quella di favorire l'accesso al credito dei giovani fino a 35 anni, in particolare dei lavoratori atipici, mediante la costituzione di idonee forme di garanzia (anche sotto forma di integrazione al pagamento del mutuo). Pensiamo, poi, a misure di sostegno per il pagamento dell'affitto e per l'accesso all'edilizia popolare, nonché ad agevolazioni fiscali connesse all'affitto di immobili a favore di giovani e di giovani coppie.
Voglio dirlo nel seguente modo: gli strumenti di favore di tipo fiscale - detrazioni o deduzioni -, in questo come in altri campi di cui tratterò successivamente, possono essere i grandi alleati delle politiche giovanili. E quanto più saremo in grado di dimostrare che, conti alla mano, il minor gettito comportato da questo tipo di misure è, però, in grado di far muovere i giovani italiani - e, con loro, anche l'economia del paese -, tanto più facile sarà privilegiarle quali leve fondamentali delle politiche giovanili.
Tornando al tema casa, sono convinta che il valore di un intervento del genere sia notevole. Non mi riferisco solo all'ampliamento della sfera dei diritti - che, peraltro, ci sono e sono forti - della popolazione giovanile italiana, ma anche all'effetto di trascinamento (keynesiano, direi) per l'intera economia nazionale, dal punto di vista dell'attivazione del ciclo dei consumi privati, dell'effettiva introduzione di strumenti in grado di aiutare i ragazzi italiani ad uscire dalla casa dei genitori presto, possibilmente con il sorriso sulle labbra e, magari, con qualche certezza in mano.

GIUSEPPE PALUMBO. Non ne vogliono uscire!


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GIOVANNA MELANDRI, Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. Non è vero! A questo proposito, vorrei segnalarvi i risultati di un esercizio a cui ci siamo dedicati.
Si tratta di una simulazione che abbiamo elaborato al Ministero. Secondo i dati Istat riferiti al 2003, i giovani celibi e nubili fra i 25 e i 34 anni che vivono con almeno un genitore sono quasi 4 milioni (i maschi sono il 60 per cento). Sempre secondo l'Istat - dati Istat, non elaborazioni nostre -, avrebbero «probabilmente» o «certamente» intenzione di lasciare la casa di origine, entro i prossimi tre anni, rispettivamente, 1.900.000 e 550.000 giovani. Diciamo che si tratta di circa 2 milioni di giovani (e sto determinando la cifra per difetto). Dalla stima sono escluse le giovani coppie sposate che vivono a casa di una delle due famiglie di provenienza (ecco perché si tratta di una stima per difetto).
Ebbene, ci siamo chiesti cosa succederebbe, in termini di acquisto di beni durevoli, in termini di iniezione alla domanda interna, in termine di aumento dei consumi interni, se una quota di questi ragazzi e ragazze avesse l'opportunità di andare via di casa.
Abbiamo immaginato di dover arredare una casa di piccola metratura composta di cucina, bagno e camera da letto. In base alla stima dei prezzi medi dei cataloghi che abbiamo consultato, e facendo la media fra diverse possibili combinazioni, abbiamo calcolato una spesa individuale d'investimento fisso, per mettere su casa, di 5000 euro a giovane (naturalmente, questo è soltanto l'investimento fisso relativo alla casa).
Se tutti i giovani che hanno dichiarato all'Istat la propria intenzione di andare via di casa riuscissero a realizzare il proprio desiderio, l'acquisto di beni durevoli non sarebbe inferiore a circa 2 miliardi e mezzo di euro! Se includessimo anche quelli che hanno dichiarato probabile la loro uscita, aggiungeremmo altri 9 miliardi di euro. Siamo di fronte a un aumento della domanda interna di circa 12 miliardi di euro: un effetto macroeconomico sulla crescita di proporzioni assolutamente interessanti. Insomma, con una battuta mi viene da dire che c'è un tesoro nascosto dentro casa di mamma e papà. Stiamo parlando naturalmente di ragazzi tra i 25 e i 35 anni, non di ragazzi più giovani.
C'è inoltre un'altra linea di azione, che è volta ad agevolare la partecipazione dei giovani alla società dell'informazione. Un altro capitolo del piano d'azione per le politiche giovanili riguarda il cosiddetto digital divide e l'esigenza di ridurre quella disuguaglianza digitale sul software, sull'hardware, sulla banda larga, sull'accesso alla Rete, ed estendere il diritto alla cultura dei giovani italiani.
L'acquisizione di competenze informatiche sempre più sviluppate e sofisticate si pone come un passaggio ineludibile della formazione dei giovani di oggi. E sempre di più il possesso di competenze e cultura informatica sta diventando un nuovo metro di valutazione di nuove forme di esclusione sociale, il cosiddetto digital divide.
Esistono paesi come l'Islanda o la Svezia in cui il 98 per cento degli studenti usa la rete almeno una volta alla settimana. Invece solo due terzi degli studenti italiani usano la rete ed il 19 per cento di loro non l'ha mai utilizzata. Ma questa «ignoranza informatica» costa all'Italia. Qui non si tratta solo di avere la dotazione della macchina, ma si tratta di saper utilizzare la rete. Lo stato di vero e proprio analfabetismo informatico in cui versa una larga parte della popolazione - anche giovane - italiana va combattuto anche perché dispone, da un lato, a consumi spesso inutili di tecnologie e dall'altro lato alla inutilizzazione o sottoutilizzazione di tecnologie che avrebbero invece enormi potenzialità per partecipare a processi di produzione della ricchezza e anche della democrazia.
In tal senso vanno implementate - il Ministero per l'innovazione tecnologica e quello delle comunicazioni sono naturalmente i principali interlocutori - le iniziative già attuate negli ultimi anni estendendone il campo di applicazione dall'acquisto delle macchine (hardware e software) a quello dell'acquisizione delle


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competenze e, più in generale, della crescita della cultura informatica nel nostro paese.
Strumenti possibili per favorire nei giovani un esercizio sempre più ampio e consapevole di capacità informatiche solide possono essere l'erogazione di prestiti a tasso agevolato a giovani per gli abbonamenti a servizi di connessione a banda larga e, più in generale, per l'acquisizione di competenze informatiche e lo sviluppo e l'aumento dei nodi di connettività e di accesso pubblico alla rete, per esempio attraverso la rete delle biblioteche pubbliche o quella, peraltro già capillarmente diffusa e dotata di connessioni veloci, delle ricevitorie del lotto.
Quanto all'estensione, invece, del diritto alla cultura, appare opportuno sostenere la formazione e lo sviluppo delle competenze culturali dei giovani anche attraverso percorsi extra-curricolari con la previsione di strumenti sul modello della cosiddetta Carta giovani, da realizzare su base convenzionale con gli operatori del mondo dell'offerta culturale e in accordo con gli enti locali, che consentano un accesso facilitato dei giovani alle varie forme di espressione della cultura.
Un altro terreno di lavoro è evidentemente il terreno dell'accesso alla cultura in termini sia di fruizione che di formazione di una domanda alla cultura. In questo senso, iniziative in raccordo con il Ministero per i beni e le attività culturali e con gli enti locali dovranno riguardare la promozione della creatività giovanile non solo in campo artistico, ma anche in tutti i campi della cultura materiale. Da questo punto di vista traggo dalla mia precedente esperienza di ministro per i beni culturali la convinzione che una leva di notevole impatto sia quella fiscale. Penso e immagino, infatti, un articolato sistema di favore fiscale nei confronti dei giovani creativi e di chi ne sostiene l'opera, fino ad immaginare la possibile trasformazione del nostro paese in un hub culturale, un vero e proprio paradiso fiscale non per evasori ma per giovani ricchi di una potente vitalità creativa. Penso a strumenti volti a favorire lo sviluppo da parte delle grandi imprese nazionali di un mecenatismo diretto specificamente ai giovani creativi.
Risulta poi necessario favorire la partecipazione dei giovani alla vita civile dell'Unione europea, del paese e delle comunità locali e sviluppare la rappresentanza giovanile.
Esiste la possibilità, come già alcune esperienze realizzate negli ultimi anni hanno dimostrato, di dare vita a forme di vera e propria mobilitazione civile delle energie giovanili, soprattutto tra i giovani della fascia di età compresa tra i 15 ed i 20 anni, su temi di grande valore sociale come la solidarietà, la cooperazione internazionale, la convivenza multiculturale e la difesa del patrimonio ambientale e culturale del paese. Su questo fronte il Ministero ha l'intenzione di proporsi come raccordo di esperienze già in essere e di soggetti già attivi.
Abbiamo assistito in questi anni, con il nuovo servizio civile volontario, ad una straordinaria esperienza di protagonismo dei giovani. Inserito nella vita e nelle attività di enti pubblici e del privato sociale, il servizio civile è occasione di sperimentare autonomia e responsabilità, di vivere la solidarietà, di educazione alla cittadinanza. È anche, il servizio civile, esperienza di incontro fra generazioni, di scoperta dei bisogni e della ricchezza del proprio territorio; è un modo di mettere alla prova le proprie conoscenze e capacità, di acquisire competenze utili all'inserimento nel mondo del lavoro. Un'esperienza, come fu quella degli obiettori di coscienza, che si traduce in una singolare forma di «difesa della patria» o di «patriottismo gentile».
So che il collega Ferrero intende ripensare, con l'apporto degli enti e dei giovani, alcuni meccanismi del servizio civile nazionale e sono convinta che la riflessione debba essere comune, se è vero, come credo, che il servizio civile rappresenta non solo un supporto prezioso per il sistema dei servizi sociali, della protezione ambientale e della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, ma anche un luogo privilegiato delle politiche giovanili.


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Al tema della partecipazione è indispensabile aggiungere, poi, anche il tema della rappresentanza. L'Italia è l'unico paese in Europa a non essersi dotato di una vera struttura di rappresentanza delle giovani generazioni. Occorre quanto prima superare questa situazione attraverso la costituzione del Consiglio nazionale dei giovani - come peraltro contenuto in alcune proposte di legge della scorsa legislatura - che consenta di avere una sede di rappresentanza per le varie realtà del nostro paese e che permetta la presenza del mondo giovanile italiano nel Forum europeo della gioventù, organismo consultivo dell'Unione europea. Intendiamo naturalmente operare in questa direzione valorizzando le esperienze più significative già esistenti - a partire dal Forum nazionale dei giovani - e stimolando la diffusione di forme di partecipazione a livello locale.
Come vedete, già da una prima stesura emerge l'ampiezza di un piano coordinato di politiche destinate ai giovani: il lavoro, la casa, l'accesso al credito, la formazione, il digital divide, la rappresentanza. Per la realizzazione di tutte le linee di intervento che ho elencato e racchiuso all'interno del progetto di piano nazionale è evidente che si pone poi un problema di reperimento di risorse.
Al di là degli strumenti di finanziamento già previsti da leggi specifiche di grande rilievo per molti di questi temi e della necessità di individuare già nei prossimi importanti provvedimenti di carattere economico e finanziario del Governo - a partire dalla prossima legge finanziaria - adeguate risorse, deve considerarsi di rilievo, fra le misure prese nel Consiglio dei ministri di venerdì scorso per il rilancio economico e sociale del paese, l'approvazione di una norma che prevede l'istituzione di un Fondo per le politiche giovanili.
Tale Fondo, al quale è stata assegnata la somma di 3 milioni di euro per il 2006 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007, ha la funzione di promuovere il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale e di consentire il loro inserimento nella vita sociale anche attraverso interventi volti ad agevolare il loro diritto all'abitazione, nonché a facilitare il loro accesso al credito per l'acquisto e l'utilizzo di beni e servizi. Presto, in accordo con le regioni e con gli enti territoriali, saranno regolamentate le modalità di funzionamento del Fondo.
Oltre al Piano di azione per i giovani, restano vasti i settori di intervento sui quali questo Ministero intende operare e che possono essere oggetto dell'attività istituzionale di questa Commissione.
Ho già riferito in Commissione cultura sulle linee d'intervento in materia di sport, ma ci sono ambiti di sovrapposizione di estremo rilievo tra lo sport e le politiche sanitarie e sociali, e voglio accennarne alcuni. Prima di tutto c'è il grande tema sociale di come incoraggiare la pratica sportiva diffusa. L'attività sportiva agonistica praticata da quasi 3 milioni e mezzo di iscritti alle federazioni sportive continua a darci infatti mille soddisfazioni (e non mi riferisco solo a quelle che sono arrivate fino ad oggi dalla Germania). Ma la platea di riferimento del «Ministero dello sport» è ben più ampia ed è costituita da quei circa 33 milioni di italiani che nel 2005 hanno dichiarato di aver effettuato pratica sportiva continuativa (12 milioni circa) o discontinua (21 milioni).
Ho più volte detto che è intenzione nostra istituire quanto prima il Tavolo nazionale per lo sport, la sede istituzionale permanente alla quale verranno chiamati a partecipare tutti i soggetti oggi coinvolti nel governo dello sport. Questa è una novità assoluta, conseguenza dell'istituzione del «Ministero dello sport» nel nostro paese.
A tale tavolo dovranno sedere il CONI prima di tutto, in tutte le sue articolazioni, ed il Movimento paralimpico, gli enti di promozione sportiva e poi le regioni, a cui il Titolo V della Costituzione oggi affida un ruolo decisivo in materia di sport, gli enti locali e naturalmente i ministri a vario titolo coinvolti nella materia a partire da quelli della salute, dell'istruzione, dell'università e degli affari regionali.


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Compito del tavolo sarà innanzitutto quello di istruire le linee di un intervento complessivamente rivolto alla crescita dello sport di base e della pratica sportiva diffusa ed amatoriale.
Ho fatto quest'ampia premessa per dire che complessivamente lo sport costituisce un efficientissimo e potente strumento per accrescere il benessere dei cittadini, a partire proprio dai più giovani. La cosiddetta «alfabetizzazione corporea ed emotiva» è fondamentale nelle fasi di crescita dei bambini più piccoli. L'abitudine alla pratica sportiva aiuta a promuovere buoni stili di vita e a prevenire concretamente tante malattie. Aiuta a promuovere anche la sicurezza alimentare, aiuta le persone anziane a star meglio.
Ma non solo. Lo sport può essere uno straordinario veicolo per superare molte forme di disagio sociale o di vera e propria disabilità fisica o psichica, come ad esempio dimostra la vitale esperienza del Movimento paralimpico nazionale. Lo sport come pratica sociale diffusa rappresenta per questo Governo - lo voglio dire con una certa sottolineatura - un pezzo importante del processo di costruzione della cittadinanza sociale ed un capitolo importante delle politiche pubbliche, un tassello fondamentale di un moderno sistema di Welfare.
Ed è per questo - lo voglio riferire in questa Commissione - che, insieme con il ministro della salute Livia Turco, riteniamo che la pratica sportiva debba costituire un capitolo importante del Piano sanitario nazionale. Ed ecco perché dobbiamo dotarci di strumenti specifici per combattere anche l'allargamento sempre più preoccupante del ricorso a sostanze dopanti anche al di fuori degli eventi e delle discipline agonistiche e - cosa ben più grave - nelle migliaia di palestre frequentate da milioni di italiani, soprattutto di giovani italiani.
Questo comporterà una modifica della legislazione italiana per il contrasto al doping. Vado molto fiera della legge n. 376 del 2000 perché fu promossa dalla sottoscritta e dal ministro Bindi, ma va rivista perché va estesa nella sua applicazione al fenomeno del doping domestico, diciamo, del doping diffuso. Ormai nelle palestre italiane vengono distribuiti anabolizzanti come se fossero caramelle (lo dico fuori dalla relazione), per cui di questo problema questa Commissione dovrà occuparsi ampiamente nel corso della legislatura.
Infine - ho davvero concluso - c'è il tema del disagio giovanile. Come vedete, e non casualmente, ho voluto lasciare questo titolo in conclusione perché penso - come ho detto - che dobbiamo guardare ai giovani italiani non come a un problema, ma come a una grande risorsa. I giovani italiani hanno dei problemi, che dobbiamo aiutare a superare, ma sono una risorsa sostanzialmente sprecata: questo è il concetto principale che volevo oggi trasferire alla Commissione. Naturalmente esiste una zona d'ombra che intrappola una parte dei giovani, in Italia come in Europa, in situazioni negative (si parla di vuoto, di smarrimento, di solitudine, di vita bassa), quando non di autentico disagio, sofferenza (pensiamo ai disordini alimentari), comportamenti autodistruttivi.
II suicidio è ancora la seconda causa di morte, per i giovani, dopo gli incidenti stradali. I soggetti più a rischio di dipendenze e pluridipendenze o addirittura vera e propria devianza sono i giovani maschi tra i 15 e i 24 anni. Nel 2005, c'erano in Italia 27 mila detenuti, poco più del 45 per cento del totale, di età compresa fra 18 e 34 anni. Altri giovani, il cui numero più o meno corrisponde a un decimo dei detenuti, beneficia di misure alternative. Nello stesso anno, i minori segnalati per avere commesso un reato erano 21.600.
È proprio nei confronti di quella parte dei giovani che è più fragile e più esposta di qualsiasi altro soggetto sociale al rischio della povertà e del disagio che questo dicastero si impegna a sostenere - di concerto con gli altri ministeri competenti - quelle politiche attive e proattive di prevenzione psico-sociale che già molti soggetti, sulla scia di incoraggianti esperienze internazionali, praticano a livello locale.


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Non è facile, in conclusione, ricostruire un quadro unitario e dinamico del mondo giovanile in base al modo in cui è organizzata oggi l'offerta di informazioni statistiche e socio-economiche sul pianeta giovani. Per queste ragioni è mia intenzione promuovere la redazione di un Libro bianco sui giovani, quale base analitica e diagnostica del Piano di azione giovani, e, a scadenza annuale, un rapporto sulla condizione giovanile in Italia che segua da vicino l'attuazione del piano e i suoi effetti. Per il rapporto annuale intendo avvalermi della collaborazione di tutte le strutture e i soggetti della ricerca pubblica e privati che già sono attivi, sebbene spesso su singoli aspetti e con una visione necessariamente settoriale, in questa materia.
Onorevoli colleghi, come vedete le possibili linee di intervento politico e normativo in materia di politiche giovanili sono molteplici e direzionate verso molteplici obiettivi. Ciò che mi premeva in questo primo e sicuramente parziale appuntamento era cominciare con voi a mettere a fuoco le linee di un intervento che complessivamente ci aiuti a definire un'azione politica concertata tra Governo e Parlamento che si muova con l'intento di rendere l'Italia un paese un po' più amico dei suoi giovani.
È naturalmente con questo auspicio che sono certa anche questa Commissione sarà in grado di sollecitare e proporre al Governo iniziative e linee d'intervento. Sono sicura che la collaborazione e l'apporto propositivo che arriverà da questa Commissione sarà importante e per questo anticipo in apertura di legislatura la mia grande gratitudine.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni, raccomandando loro di contenere gli interventi.

DOMENICO DI VIRGILIO. Ringrazio il ministro per la sua cortesia. Credo di essere una persona corretta ed educata; quindi, lei mi perdonerà, signor ministro, se le dico che ha svolto un bellissimo tema. Da medico, direi che ha fatto una bellissima diagnosi, ma ha prospettato, finora, poche terapie. Mi soffermerò su due o tre punti soltanto, perché successivamente interverrà l'onorevole Baldelli, responsabile delle politiche giovanili di Forza Italia, il quale sarà più preciso di me.
Vorrei richiamare la sua attenzione, signor ministro, su alcuni aspetti. Conosciamo tutti i problemi dei giovani, da lei esposti molto acutamente. Mi preme, però, soffermarmi su alcuni aspetti che sono anche di competenze di altri ministeri, come lei ha già accennato, in particolare sul tema degli stili di vita dei giovani. Lei sa benissimo come lo stile di vita, se deviato in giovane età, conduca poi a conseguenze comportamentali e fisiche anche patologiche (mi riferisco al fumo, all'alcol e alla droga).
Nella mia esperienza di sottosegretario nella precedente legislatura, mentre partecipavo ad un incontro all'OCSE, a Parigi, mi fecero notare che in Italia abbiamo il maggior numero di bambini obesi e di bambini che provano l'esperienza dell'alcol.
La mia non vuole essere una critica, ma intendo richiamare la sua attenzione su queste problematiche (che la vedono attivamente coinvolta, insieme al ministro Turco), perché i giovani del futuro, i dirigenti del futuro, gli uomini del futuro si preparano adesso.
Vorrei ricordarle, in primo luogo, che noi abbiamo attuato, nella precedente legislatura, una legge sul fumo che funziona. Spero che il Ministero della salute e, indirettamente, il suo possano continuare a migliorare l'applicazione di una legge che ha avuto un gradimento come nessuna legge in Europa ha mai avuto.
Ricordo di aver incontrato parlamentari francesi prima che nel loro paese fosse approvata una legge analoga, e parlamentari spagnoli, i quali si sono limitati a copiare testualmente la nostra (che entra in vigore il 1o gennaio di quest'anno). Quindi, esorto lei, che ha competenza anche in materia di attività sportive, ed il ministro Turco a non sottovalutare il fatto


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che abbiamo insediato un sottocomitato scientifico denominato «Attività fisica-Fitness». Abbiamo anche costituito un tavolo, a cui partecipano rappresentanti del CONI, dell'Organizzazione mondiale della sanità, delle ASL, della Federazione di medicina generale, al fine di studiare il problema dei giovani che si dedicano all'attività fisica e che frequentano le palestre - luoghi nei quali, come lei ha accennato, signor ministro, circolano spesso farmaci e sostanze nocive per la salute -, e di realizzare una attività globale ben concordata finalizzata alla prevenzione. Ciò vale anche per quanto riguarda l'educazione sociale dei nostri giovani nelle scuole, per quanto attiene alla prevenzione della diffusione del fumo, dell'alcol e della droga.
Un'altra notazione riguarda il cosiddetto analfabetismo informatico. Al riguardo, dovreste riconoscere ai ministri del precedente Governo, Stanca e Moratti (la cui riforma è da voi tanto vituperata), il merito di aver introdotto nelle scuole dell'obbligo l'utilizzazione degli strumenti informatici, nella consapevolezza che l'alfabetizzazione informatica costituisce oggi una condizione sine qua non per i giovani: un giovane che non sappia utilizzare, oggi, gli strumenti informatici è un giovane che non ha accesso al mondo del lavoro.
Spero che, in sede di replica - non so se sarà oggi -, possa cortesemente esporci, signor ministro, in un clima di collaborazione, come giungere, concretamente, alla realizzazione del credito agevolato, alle misure per agevolare l'acquisto della casa, al prestito d'onore, perché si tratta certamente di rimedi in grado di stimolare i giovani alla formazione di una famiglia, a consentire un più facile accesso al mondo del lavoro e di formare quel tessuto sociale che va sempre più deteriorandosi.

SIMONE BALDELLI. Signor ministro, nei suoi confronti provo grande simpatia; ho anche grande stima di lei per il suo percorso politico personale. Tuttavia, quando si ascolta un ministro della Repubblica, quale lei è, parlare di politiche giovanili, viene spontanea la riflessione secondo la quale la retorica è almeno pari alla inutilità del dicastero che avete istituito. In realtà, sarebbe più sensato che di giovani parlassero i giovani stessi: purtroppo, quando sono gli altri a parlare dei giovani, le chiacchiere sono quasi sempre le stesse.
Ho un'esperienza in questo campo molto lunga («faccio il giovane», diciamo così, da tanto tempo, mentre lei si dedica da poco all'esperienza giovanile), ma posso garantirle, signor ministro, che ho già sentito mille volte tutte le sue affermazioni, con l'aggravante, purtroppo, che ho sentito anche mille volte tutte le sue inesattezze.
Credo, innanzitutto, che dobbiamo mettere i puntini sugli 'i' a partire dal Libro bianco. Lei sa, ministro, che in Europa si è giovani fino a 25 anni, mentre in Italia la gioventù si protrae, in qualche misura, sine die, considerato che al Ministero le simulazioni interessano la fascia che va dai 24 ai 34 anni. Poiché, in tale lasso di tempo, considerati i parametri europei, rientra un solo anno di gioventù, vi consiglierei di abbassare l'età prima di effettuare le simulazioni.
Tanto per cominciare, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, le offro un consiglio spassionato, anche di natura politica: lasci al collega Pagliarini, presidente della Commissione lavoro, la «gioia» di fare figuracce come quella che ha fatto ieri sul Corriere della Sera (gli ha replicato il professor Ichino): non dica che la legge Biagi - perché si chiama legge Biagi! - ha aumentato la precarietà. Se foste in grado di citarci anche solo un caso in cui la legge Biagi ha aumentato la precarietà, allora, forse, potremmo discuterne.
Vi era una quantità di collaboratori a tempo determinato che non godevano né di ferie né di trattamento di maternità e di malattia: grazie alla legge Biagi, a questi lavoratori sono stati riconosciuti ferie, maternità e malattia. Se, quindi, ci domandassimo se fossero più precari i «co.co.co.» o i «co.co.pro.», la risposta non sarebbe, forse, quella che fornite voi.
Anche sul cuneo fiscale, bisogna chiedersi dove troverete i soldi.


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Quanto agli ordini professionali, una riflessione al riguardo sarebbe interessante: facciamola insieme! Però, quando dite che il valore del titolo di studio diminuisce, prendiamo in considerazione il fatto che ciò accade perché è stato introdotto il «3 più 2».
Diamo per scontato che si tratta di una dinamica fisiologica? Bene, allora chiediamoci se sia necessario attribuire un valore legale al titolo di studio oppure dare senso e valore agli esami di Stato per l'accesso alle professioni (anche se queste professioni, in teoria, dovrebbero essere libere).
Per quanto riguarda la mobilità, in particolare i progetti Erasmus, essi sono una realtà antica e sono stati comunque finanziati in questi anni. Si afferma di voler sostenere l'inglese e di voler ridurre il digital divide, su cui pure il Governo precedente - come ricordava prima il collega Di Virgilio - ha fatto molto. Allora, manteniamo la legge Moratti, che anticipa lo studio dell'inglese e dell'informatica sin dall'inizio dei percorsi scolastici!
Insomma, tutto quello che dite è, in realtà, tutto ciò che noi abbiamo iniziato a fare. Anche il diritto alla cultura e la «Carta giovani» non mi sembrano grandi «invenzioni». Per quanto concerne la stessa istituzione del suo dicastero, l'abbinamento di sport e giovani sono temi che avrebbero senso in una giunta comunale; a livello nazionale suona - a mio avviso - un po' ridicolo.
Per quanto riguarda la partecipazione, ci risponda, ministro Melandri: il nuovo servizio civile volete renderlo obbligatorio oppure no? Non avete avuto nemmeno la buon creanza di inserire questo aspetto nel vostro programma. Il nuovo servizio civile, la riforma del servizio civile: Prodi ci ha raccontato in tutte le salse quanto fosse bello impegnarsi per la collettività, quanto fosse giusto mettersi al servizio del cittadino, quanto fosse formativo che un giovane facesse un'esperienza di altruismo! Stringendo: volete renderlo obbligatorio oppure no? Che cosa dobbiamo dire ai nostri fratelli minori, ai giovani italiani? Questo servizio civile obbligatorio di sei mesi volete ripristinarlo oppure no? A noi sembra che l'esperienza del nuovo servizio civile, dopo l'abolizione del servizio obbligatorio, sia stata in qualche misura virtuosa; però, è molto diverso dal reintrodurre il servizio civile obbligatorio di sei mesi per le giovani ragazze e per i giovani ragazzi. Anche a questo riguardo, forse, sarebbe il caso di dire una parola chiara.
Il Consiglio nazionale dei giovani? Non siamo all'anno zero sulle politiche giovanili, d'accordo. Però, anche in questo caso, ho il vago sospetto, visto che ho fatto il giovane anche a livello istituzionale (sono stato presidente della commissione giovani di una regione), che tutte queste iniziative, sebbene possano in qualche misura avere un senso a livello locale, a livello nazionale non siano che una scusa per impegnare qualche associazione (promettendole, magari, qualche «soldino»...).

GIOVANNA MELANDRI, Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. Esistono in tutta l'Europa! Poi replicherò su questo punto.

SIMONE BALDELLI. Esistono in tutta l'Europa, ma, senza la presunzione di sindacalizzare i giovani. Il fatto che non siano esistite in tutti questi anni in Italia, non ha comunque fatto dell'Italia un paese allo sbando!
Credo che se lei, signor ministro, avesse l'occasione di parlare davvero con i giovani italiani, sentirebbe che non c'è questa impellenza. Le garantisco che almeno quelli che personalmente frequento riescono a dormire sonni tranquilli: anche se in Italia non c'è un «Consiglio nazionale dei giovani», non per questo non si sentono rappresentati. Avreste potuto portarne qualcuno di più in Parlamento per farli rappresentare, anziché proporre soluzioni di questo tipo!
Per quanto riguarda il Fondo per le politiche giovanili, il disagio giovanile, lei, ministro Melandri, ricorderà - perché sarà sicuramente una cultrice dell'ottimo Nanni Moretti - quando gli amici di Nanni Moretti dicevano: «No, er dibattito no!». Ministro Melandri, no, er disagio no! Risparmiateci almeno la retorica sul disagio!


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Quando lei afferma che opererà «di concerto con tutti i ministeri», si comprende come stia cercando di dare un senso al suo Ministero. Mi rendo conto che è anche difficile: probabilmente, un ministro che vanta il suo percorso politico, e anche del suo spessore, avrebbe meritato qualcosa di diverso dalle politiche giovanili (che, magari, per lei, risulta qualcosa di noioso, a cui dover dare un senso).
È andata a farsi assegnare una sorta di contratto a progetto dal ministro Damiano sul tema della precarietà giovanile...! Mi rendo conto che è difficile dover fare tutto di concerto: una volta con il ministro dell'innovazione, una volta con il ministro del lavoro, per il Fondo per le politiche giovanili con il ministro per l'economia, Padoa Schioppa. Insomma, lei fa più concerti di quelli del 1o maggio, ministro Melandri! Però, è molto bello, perché è proprio questa la logica che presiede all'atteggiamento di questa maggioranza rispetto ai giovani: dare loro il concerto, ma non il pane o meglio ancora gli strumenti per pescare.
Se fate attenzione, vi accorgerete che esiste una grande differenza di fondo. I temi che bisogna affrontare non riguardano il mondo giovanile, che non esiste: il mondo giovanile esiste nell'iperuranio delle idee, giacchè, in concreto, possono esistere soltanto questioni generazionali. Queste ultime si possono affrontare in due modi: in modo aggregato o in modo disaggregato.
Affrontarle in modo aggregato significa cercare di inventarsi una competenza specifica, come sta facendo lei, andando un po' a battere cassa presso tutti i ministeri (di spesa e non di spesa), allo scopo di costruire qualcosa di organico. In qualche misura, ciò è lodevole, signor ministro, perché chiunque, nelle sue condizioni, farebbe la stessa cosa.
L'altro approccio è quello disaggregato. Esso riguarda settori fondamentali che pure lei, signor ministro, ha toccato nella sua relazione, con grande intelligenza. Pur «facendo il giovane» da più tempo, le dico, signor ministro, che alla fine, dovendo mettere insieme tutto quello che può riguardare i temi di una generazione, non avrei saputo trovare altre cose, se non quelle che lei stessa ha indicato nella sua relazione.
Dopodiché, il punto è questo: non c'è bisogno di una politica aggregata: se ogni dicastero facesse davvero quello che deve fare e desse realmente più spazio, più agibilità, più apertura sociale a ciascuna delle proprie competenze rispetto alle nuove generazioni - se vi fosse, cioè, un'attenzione maggiore, anche non preferenziale, alle nuove generazioni, in termini di liberalità della società - le nuove generazioni avrebbero un approccio sicuramente migliore rispetto al futuro e su di esse si potrebbe puntare.
L'abolizione della leva obbligatoria è stata un modo per puntare sulle nuove generazioni; la legge Biagi e la riforma Moratti mettono in comunicazione due mondi, formazione e lavoro, che servono alle nuove generazioni per puntare sul futuro del paese. La riforma del sistema previdenziale è la più grande garanzia che si può dare alle nuove generazioni.
Allora, signor ministro, cominci pure a parlare col ministro del lavoro, ma spiegandogli che, se slitta lo «scalone» previdenziale, ogni minuto di slittamento in più peserà sulle spalle delle nuove generazioni.
Ancora, andatevi a leggere il testo della legge finanziaria che abbiamo approvato l'anno scorso: vi accorgerete che il fondo per le agevolazioni che riguardano il mutuo per la prima casa per le giovani coppie è già stato istituito e quindi - se volete farlo - va soltanto rifinanziato.

GIOVANNA MELANDRI, Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. Non l'avete finanziato!

SIMONE BALDELLI. Signor ministro, guardi la tabella: è stato istituito e finanziato! Se questi fondi vi serviranno per altri scopi, li distoglierete; in caso contrario, non ne muterete la destinazione e li utilizzerete per agevolare i predetti mutui.
La leva fiscale per voi ha un senso, ma mi pare di capire che, nella maggior parte dei casi, tutto quello che state programmando


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sarà finanziato in deficit. Non commettete l'errore di fare le politiche del Governo Berlusconi rivedute e scorrette e senza la visione liberale che avevamo noi!

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Pellegrino, saluto il sottosegretario Elidio De Paoli e lo ringrazio di essere presente. Le chiedo scusa, signor sottosegretario, ma, poiché si era seduto in «piccionaia», non ci eravamo resi conto della sua presenza. Lo salutiamo e lo ringraziamo tutti di essere qui con noi.

ROCCO PIGNATARO. Noi non siamo in «piccionaia»!

LUCIO BARANI. È un po' come essere nel loggione!

PRESIDENTE. Nell'aula dell'Assemblea, il mio banco è al penultimo «girone».

TOMMASO PELLEGRINO. Signor presidente, nel ringraziare il ministro Meandri, desidero rilevare, innanzitutto, che i giovani italiani sono finalmente rappresentati non soltanto a motivo della presenza nel nostro Governo di un Ministero per le politiche giovanili, ma anche in ragione del fatto che titolare del dicastero è un giovane ministro che ha dimostrato oggi, con la sua relazione, di essere molto sensibile e molto attenta alle politiche che riguardano i giovani italiani.
Contrariamente al mio collega Baldelli, devo dire che non corriamo alcun rischio di «rivedere» la politica per i giovani del Governo Berlusconi, semplicemente perché non è esistita una politica del Governo Berlusconi per i giovani italiani. L'istituzione di un Ministero per le politiche giovanili ed il fatto che oggi, in Italia, si parli finalmente di politica giovanile sono i primi risultati importanti di questo Governo e di questa maggioranza.
Abbiamo cominciato da poco la nostra azione di governo e devo dire che i tanti temi che abbiamo posto al centro della nostra azione politica (nella relazione, il ministro ne ha citati diversi) sono estremamente concreti per i giovani. Mi riferisco, in particolare, ai momenti, fondamentali oggi in Italia, del coinvolgimento e della partecipazione dei giovani.
Altro aspetto che ritengo importante è quello della prevenzione: occorre promuovere iniziative di prevenzione perché, soprattutto nel mondo giovanile, esistono cattive abitudini o, comunque, comportamenti che possono creare problemi. È necessaria un'ampia campagna di sensibilizzazione in tutti i settori. Anche con riferimento ai temi sanitari, tengo a dire in questa sede che bisogna fare una prevenzione mirata per indurre i giovani a tenere comportamenti sani. Se ci si abitua da giovani ai comportamenti sani, se ci si abitua da giovani a fare prevenzione, non c'è bisogno di fare violenza a se stessi per sottoporsi a una serie di controlli quando si giunge all'età di 50 o 60 anni. Quindi, è estremamente importante realizzare iniziative che vadano in tale direzione.
Fondamentali sono anche le iniziative che favoriscono l'accesso alla cultura, agli scambi culturali e allo sport. In Italia, sono ancora troppo poche le possibilità di praticare sport, soprattutto per i giovani appartenenti ai ceti sociali più deboli, i quali incontrano troppe volte difficoltà enormi. Spesso, nelle nostre città, soprattutto in quelle meridionali, i giovani sono costretti a giocare a calcio o a fare altri sport facendo ricorso all'arte di arrangiarsi.
Allora, bisognerebbe dare ai giovani più strumenti, più possibilità per praticare lo sport: lo sport è importante per la salute ed è fondamentale anche per cercare di togliere tanti giovani dalla strada, allontanandoli, talvolta, da pericolose frequentazioni.
Riguardo al servizio civile, penso che esso dovrebbe costituire oggetto di una delega specifica del Ministero per le politiche giovanili. Questo è un appunto che voglio muovere al Governo: il servizio civile dovrebbe essere al centro dell'azione politica di questo Ministero. Esso rappresenta oggi, in Italia, una risorsa fondamentale. D'altra parte, come è stato già rilevato, è vero che il servizio civile costituisce


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un momento importante per tanti giovani. Mi sbilancio: sono assolutamente convinto che debba restare volontario. Lo dico con determinazione e con le idee estremamente chiare: sarebbe un gravissimo errore rendere il servizio civile obbligatorio. Naturalmente, esprimo una mia posizione.
Penso, altresì, che l'associazionismo sia una delle risorse più importanti della nostra società. Oltre che ascoltare le tante associazioni esistenti, ritengo sia altrettanto importante trovare gli strumenti per supportarne l'azione e per favorire le tante iniziative che partono dal mondo giovanile. Oggi, fare iniziativa è un modo per formarsi, per formare la classe dirigente del futuro, per permettere a tanti giovani di fare esperienza sul campo. Allora, dobbiamo mettere in atto tanti strumenti per favorire le iniziative che partono dall'associazionismo giovanile: questo è un punto fondamentale!
Per quanto riguarda il lavoro ed il precariato, è normale che se ne parli anche in occasione dell'audizione del ministro per le politiche giovanili, ma è importante che quest'ultimo operi di concerto con il Ministero del lavoro. Del resto, penso che l'interazione tra i vari ministeri sia alla base di un buon Governo e che la sua mancanza condannerebbe l'azione governativa al fallimento. Quindi, ritengo assolutamente normale e naturale un'ampia interazione, soprattutto in materia di lavoro.
Il lavoro è il tema che tormenta tanti giovani italiani. Non siamo noi a dire che, oggi, in Italia, il precariato è imperante: purtroppo, lo dicono i numeri, lo dicono le statistiche. Non siamo noi a dire che, in Italia, ci sono tantissime forme di contratto atipico precarie. Purtroppo, il 90 per cento di questi contratti atipici, che vanno assolutamente regolamentati, riguardano i giovani, tanti giovani che sono costretti a restare con i genitori e che non hanno la possibilità di costruire una loro famiglia. È giusto, dunque, che si cerchi di regolamentare questi contratti atipici.
Si è parlato di meritocrazia. C'è tanta sfiducia, nei giovani, rispetto alla possibilità di occupare un ruolo nella nostra società in base al criterio meritocratico. Allora, dobbiamo intervenire con una serie di azioni che restituiscano fiducia ai giovani italiani. In particolare, mi aspetterei un intervento anche del Ministero per le politiche giovanili, soprattutto dove vi sono lobby forti, come nelle università, enti in cui, purtroppo, la meritocrazia è spesso del tutto assente. In quell'ambito dobbiamo intervenire e dare un segnale. Penso che questo debba rientrare nelle responsabilità di questo Governo e del Ministero per le politiche giovanili, oltre che in quelle del Ministero dell'università. Bisogna dare un segnale forte e chiaro alle università. Occorre valorizzare, nella ricerca e nelle attività didattiche, i giovani capaci, i giovani che, dopo tanti sacrifici, riescono ad ottenere risultati. Non è possibile che si continuino a trasmettere le cattedre di padre in figlio! Il fenomeno non viene denunciato perché i giovani hanno paura a farlo, ma devo denunciare, purtroppo, un'assenza totale anche da parte delle istituzioni. Anche su questo aspetto dobbiamo intervenire.
Poiché sono tanti i temi aperti che riguardano il mondo giovanile, dobbiamo utilizzare strumenti che ci facciano capire realmente quali disagi affliggano il mondo giovanile, quale sia la situazione del mondo giovanile in Italia. Penso, ad esempio, anche all'istituzione di una Commissione d'inchiesta sulla condizione giovanile. Insieme ad altri colleghi, sto lavorando alla definizione di un'apposita proposta di legge, anche perché ritengo che debbano esserci più giovani nelle nostre istituzioni, che più giovani debbano occupare ruoli di responsabilità nei nostri Governi.
Dobbiamo responsabilizzare i giovani. Questa è un'autocritica che dobbiamo fare tutti. Noi abbiamo dato un esempio completamente diverso scegliendo un ministro giovane: un esempio di grande qualità.
Sono convinto che questa Commissione, che si occupa anche delle politiche giovanili, saprà accogliere con grande entusiasmo la richiesta del ministro Melandri di collaborare in maniera molto stretta, allo


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scopo di dare un contributo importante anche in materia di politiche giovanili.

MASSIMILIANO SMERIGLIO. Ringrazio il ministro Melandri per la chiarezza e la completezza della sua relazione, ma soprattutto per aver costruito una premessa importante, che potremmo definire della precarietà esistenziale: quella che mette insieme casa, lavoro, affettività, assenza di diritti civili esigibili e che consegna alle giovani generazioni una sorta di limbo, di presente immanente, di presente continuo che non permette loro di costruirsi una possibilità di futuro. Aver messo l'accento sulla materialità della condizione giovanile è una buona premessa per il lavoro che dovremo fare insieme.
Dico anche, però: viva i concerti! Viva la produzione simbolica! Viva la capacità di mettere insieme il pane e le rose! Diversamente, non costruiamo persone in grado di interpretare al meglio il ruolo di cittadini.
In maniera più concreta, desidero porre uno specifico quesito al ministro Melandri. Negli anni passati, abbiamo conosciuto il «combinato disposto» di due leggi molto importanti: la legge n. 328 del 2000, che non era riferita alla disabilità, ma al benessere della persona, e la legge n. 285 del 1997 sulle politiche giovanili. Vengo da un'esperienza amministrativa a Roma, città costretta alla «chiusura» di alcuni servizi a causa del mancato finanziamento delle suddette leggi, devastate dal Governo Berlusconi. Cosa faremo adesso, a partire dal rifinanziamento, dal potenziamento e dalla valorizzazione della ratio delle due leggi che ho menzionato? Questo è il punto centrale del nostro ragionamento.
Pongo l'accento su altre due questioni fondamentali. La prima è quella della valorizzazione delle produzioni immateriali. Credo che dovremmo occuparci della creatività e della cura dei talenti e che dovremmo provare a fare una grossa scommessa su di esse. Credo che dovremmo occuparci della musica, delle libertà digitali, del teatro, degli eventi, dei videomaker, del software libero (a tale proposito, sarebbe interessante che il ministero si occupasse del software libero e, anziché continuare a pagare una grande multinazionale, aderisse, ad esempio, a Linux).
Insomma, occorre cominciare a fare scelte coraggiose, anche dal punto di vista degli stili di governo che dovrebbero contraddistinguere questa coalizione.
La seconda questione è quella dei consumi immateriali, del tempo libero. Penso ai distretti notturni, che sono anche distretti produttivi. Pensiamo a tutto quello che accade nell'Emilia, nelle Marche o in alcuni distretti della città di Roma e, in genere, delle grandi aree metropolitane: c'è un'economia - non soltanto un modo di essere - sulla quale dovremmo intervenire e sulla quale, magari, dovremmo anche fare delle comunicazioni più aderenti alla realtà, anche con riferimento alla riduzione del danno derivante da comportamenti discutibili dal punto di vista sanitario (penso alla riduzione del danno da HIV, alla questione delle dipendenze, e via dicendo).
Infine, lei ha citato, signor ministro, il punto decisivo di tutto il nostro ragionamento: la partecipazione. Una cosa è la partecipazione, un'altra la rappresentanza, un'altra ancora il volontariato. Penso che dovremmo abbassare la soglia di accesso alla cosa pubblica. La rappresentanza va bene, ma in genere si rivolge a quei giovani che hanno già percezione di sé, che sono già consapevoli, già forti; spesso, essi vengono dalle rappresentanze politiche, ma rappresentano anche una minoranza della condizione giovanile. Va bene, dunque, la rappresentanza, sapendo, però, che essa offre una risposta parziale.
Anche il volontariato va bene, perché insegna a donare, ad avere cura della cosa pubblica e del prossimo (quindi, si tratta di un elemento fondamentale).
Il terzo punto è il più delicato (al riguardo, la invito a mostrare molto coraggio, signor ministro). Mi riferisco alla questione della partecipazione. Dobbiamo fare una grossa scommessa che rompa il diaframma tra istituzioni e aggregazioni informali giovanili: i giovani non sono


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soltanto quelli organizzati nelle grandi associazioni, ma anche quelli che vanno nelle bische, nei gruppi scout, nei centri sociali occupati ed autogestiti. Insomma, dobbiamo fare una scommessa che riguardi i giovani, e non i giovani già organizzati, che hanno già una percezione di sé.
È necessario mettere in campo, insieme agli enti locali, progetti sperimentali che portino la partecipazione - e il decisore - nei luoghi in cui si trovano i giovani, e che non chiamino i giovani nei sepolcri imbiancati delle istituzioni. Il processo è inverso: dobbiamo alimentare una domanda, non dobbiamo farci bastare quello che già abbiamo, perché quello che abbiamo è davvero molto poco!

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Melandri per il suo intervento. Nei prossimi giorni, concorderemo una data, che sarà prontamente comunicata ai colleghi, per la prosecuzione degli interventi e per l'eventuale replica del ministro.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,30.