COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 18 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MIMMO LUCÀ

La seduta comincia alle 13,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro per le politiche per la famiglia, onorevole Rosy Bindi, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro per le politiche per la famiglia, onorevole Rosy Bindi, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Innanzitutto, ringrazio il ministro Bindi per essere qui e le porgo il benvenuto a nome di tutta la Commissione. Informo, inoltre, che il ministro ha predisposto una relazione piuttosto densa di contenuti che verrà riprodotta e messa a disposizione dei colleghi.
Dopo la relazione del ministro, i deputati potranno formulare considerazioni e rivolgere domande cui il ministro risponderà in sede di replica. L'auspicio, nei limiti del possibile, è quello di poter concludere l'audizione entro la giornata odierna, senza comunque imporre strozzature ai vari interventi.
Do quindi la parola al ministro Rosy Bindi.

ROSY BINDI, Ministro per le politiche per la famiglia. Signor presidente, onorevoli colleghi, prima di illustrare le linee programmatiche del Governo in materia di politiche per la famiglia, vorrei rassicurare tutti voi della mia volontà di stabilire un rapporto di leale e franca collaborazione con l'intero Parlamento; in maniera particolare con le Commissioni, con le quali, in ragione delle competenze di Governo che il Presidente del Consiglio ha voluto attribuirmi, avrò maggiori e più frequenti doveri istituzionali. Credo, d'altra parte, che la dialettica politica e legislativa tra Governo e Parlamento sia essenziale per tradurre principi e valori in norme efficaci e condivise e prestare attenzione agli interessi e ai bisogni collettivi. Mi auguro che questo sia possibile. Lo considero un impegno prioritario, naturalmente con la maggioranza, ma anche e soprattutto verso l'opposizione, della quale, mi auguro, non mancherà il contributo.
È opportuno che il testo della mia relazione, di cui mi appresterò a leggere, quasi integralmente, la prima parte, sia distribuito in copia agli onorevoli commissari già nel corso dell'audizione, così che tutti ne possano prendere visione, anche al fine di affrettarne e agevolarne l'illustrazione.
Vengo, dunque, al primo punto della relazione: la famiglia al centro di una nuova politica. La scelta del Governo di nominare un ministro per le politiche per la famiglia è un'indicazione chiara della volontà di mettere la famiglia al centro di una politica capace di armonizzare e tutelare i diritti della persona e i diritti della famiglia stessa, dando così finalmente attuazione a quella parte della Costituzione


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rimasta per lungo tempo un poco in ombra. È una sfida, ma è anche la coerente traduzione del programma della coalizione di centrosinistra, in cui abbiamo scritto che la famiglia deve diventare protagonista di un sistema di welfare all'altezza delle grandi trasformazioni che investono le società avanzate. Le famiglie si trovano, infatti, spesso da sole a fronteggiare le nuove emergenze demografiche dell'invecchiamento della popolazione e della denatalità, i radicali cambiamenti del mercato del lavoro e le incertezze della crescita economica, che spesso si traducono in un aumento della povertà.
Altri paesi europei, dalla Francia alle socialdemocrazie scandinave, dall'Austria alla Germania, si sono mossi per tempo e hanno investito sulla famiglia come soggetto attivo dello sviluppo e della coesione sociale. In Italia, solo il 3,8 per cento della spesa sociale è destinato alla famiglia, contro una media europea dell'8,2. Una percentuale modesta che appare davvero risibile se paragonata alle quote, pari al 10 per cento, dei paesi del nord Europa e della Francia. La spesa media dell'Unione europea per la famiglia è pari al 2 per cento del PIL, mentre in Italia è solo dell'1 per cento. In tutti i paesi europei che hanno realizzato politiche per la famiglia i risultati positivi sono evidenti: tassi più alti di natalità e percentuali più alte di occupazione femminile e giovanile, un più efficace contrasto della povertà e delle disuguaglianze generazionali. Al tempo stesso, le politiche per la famiglia hanno favorito quel dinamismo e quelle mobilità sociali che hanno effetti positivi nella capacità di competere sulla scena mondiale. Al contrario, malgrado una diffusa retorica sulla famiglia, in Italia, misuriamo il grande ritardo di una politica che per molti decenni ne ha ignorato il ruolo e i bisogni e che ha finito per farsi sussidiare dalla famiglia in molte responsabilità sociali e pubbliche.
Il Governo vorrebbe colmare questo ritardo con un programma di legislatura che metta la famiglia al centro della strategia di crescita e sviluppo del paese e al centro della politica, realizzando una corretta sussidiarietà verticale e orizzontale, esercitando una responsabilità pubblica verso la famiglia nei diversi livelli istituzionali e amministrativi dello Stato e promuovendo, in modo concreto e dal basso, le partecipazioni attive della famiglia, anche nelle sue forme associate, all'elaborazione, definizione e attuazione delle politiche.
In ordine ai diritti della famiglia, nella discussione politica e giuridica, si è da sempre posto il problema se esistano e quali siano i diritti della famiglia in quanto tale, cioè come entità distinta dai singoli componenti. Nonostante la formulazione letterale dell'articolo 29, comma 1, della Costituzione, («La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»), la cultura giuridica e la prassi politica sono state generalmente caute, quando non contrarie, a valorizzare tali diritti come diritti del gruppo e non diritti dei singoli. Ciò è accaduto in forza della preoccupazione secondo la quale postulare i diritti della famiglia in quanto tale avrebbe potuto legittimare situazioni normative ed esistenziali di contrasto con i diritti inviolabili degli individui che la compongono. La Costituzione - afferma la sentenza n. 494 del 2002 - non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti, perché dalla disposizione dell'articolo 2 , «conformemente a quello è stato definito il principio personalistico che essa proclama, risulta che il valore delle »formazioni sociali«, tra le quali è eminente la famiglia, è nel fine ad esse assegnato, di permettere e anzi promuovere lo svolgimento della personalità degli esseri umani». Una prevenzione generalizzata verso i diritti del gruppo familiare non ha tuttavia ragione d'essere, purché tali «diritti» rispettino il sistema costituzionale (che certo non conosce soltanto l'articolo 29, ma anche e vorrei dire soprattutto l'articolo 29), e dunque, si caratterizzano - ai sensi dell'articolo 2, oltre che degli articoli 30 e 31 - come diritti che non conculcano la personalità del singolo membro della famiglia; siano funzionali alla tutela dei


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diritti del singolo, ma altresì - e qui ritorna il primo comma dell'articolo 29 - mettano in rilievo il plusvalore istituzionale della famiglia. Un plusvalore che l'ordinamento riconosce e conseguentemente promuove e valorizza.
Nella categoria dei diritti della famiglia troviamo allora la libertà di formare una famiglia (e il diritto a che l'ordinamento faciliti e promuova tale libertà), quella di conservarla, sia in senso formale sia in senso sostanziale (dunque attività promozionali tendenti a migliorare le possibilità di una esistenza libera e dignitosa). A quale, o a quali soggetti dell'ordinamento competa questa valorizzazione è presto detto: compete alla Repubblica. In questo, come in altri luoghi della Carta costituzionale, con la formula «la Repubblica» si intendono sia gli organi costituzionali e di rilievo costituzionale, sia i differenti livelli territoriali e i loro enti esponenziali, sia, sulla base del principio di sussidiarietà, le formazioni sociali che concorrono ad irrobustire il tessuto pluralista del nostro ordinamento. La competenza statale è dunque fondata sullo stesso articolo 29, comma 1, letto in combinato disposto con l'articolo 114 del nuovo Titolo V («La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato»). Se si parte dai diritti risulta meno lacerante e controverso pensare alla famiglia come un bene verso il quale il sistema paese è disponibile ad investire con risorse finanziarie, con una nuova politica fiscale, con una nuova organizzazione dei servizi e delle città, con nuove tipologie di produzione e lavoro.
Questo riconoscimento avrebbe una valenza politica e culturale molto forte. Non si tratta solo di riconoscere il valore laico della famiglia, valore che sta a cuore a tutte le sensibilità etiche e culturali del paese. Se cogliamo questa dimensione, esercitando il ruolo proprio della politica, la sua funzione elettiva di mediazione, di aiuto a superare e ricomporre le differenze, riusciremo anche a sottrarre questa tematica a scontri e divisioni ideologiche, che non aiutano a trovare soluzioni condivise ai problemi di milioni di famiglie italiane.
Per quanto attiene, invece, ai diritti connessi alle convivenze diverse dalla famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio, e qualificate dal sistema di relazioni (sentimentale, assistenziale e di solidarietà), che in esse viene ad operare, diverso è il loro fondamento costituzionale e conseguentemente la portata e il contenuto della tutela che l'ordinamento appresta. Tali diritti non ricevono tutela direttamente dall'articolo 29 comma 1, ma il loro fondamento costituzionale sta nel riconoscimento dei diritti inviolabili, non soltanto della persona in quanto singola, ma anche «nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità», ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione. Le convivenze di fatto in questione, caratterizzate dai requisiti della stabilità minima e della volontarietà, sono certamente formazioni sociali, indirettamente richiamate dall'articolo 2, e pertanto le prerogative e le facoltà delle persone che ne fanno parte debbono avere riconoscimento giuridico.
L'ordinamento italiano troverà pertanto forme idonee ad assicurare, alle persone che ne fanno parte, il godimento dei diritti di cittadinanza sociale; secondo una linea che già la giurisprudenza, e in misura minore il legislatore, ha cominciato a tracciare con riferimento alla cosiddetta famiglia di fatto, senza in alcun modo ledere i diritti della famiglia ex articolo 29, cui l'ordinamento appresta, come ho già detto, una tutela promozionale e incentivante discendente, per dirla con la sentenza n. 310 del 1989 della Corte costituzionale, dalla sua «dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio».
È in questa lettura costituzionale che trova fondamento il programma con cui l'Unione si è presentata agli elettori: «l'Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità


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di un'unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi, né il loro orientamento sessuale. Va considerato, piuttosto, quale criterio qualificante il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà».
Ho voluto dettagliare gli aspetti giuridici e costituzionali dei diritti della famiglia perché è a partire da qui che si sviluppa l'innovazione politica che il Governo intende promuovere nel corso della legislatura. Se, infatti, riconosciamo, nei limiti e nel senso proprio accennati, i diritti della famiglia, non possiamo sottrarci alla responsabilità politica di una effettiva tutela, attraverso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che la riguardano. La questione dei livelli essenziali di assistenza è rimasta bloccata, negli ultimi cinque anni, su cosa intendere per livelli essenziali, se attuarli e come, senza sostanzialmente dare risposte al problema. Questo stallo ha determinato gravi lacune nel sistema sociale; a molte famiglie sono state negate le possibilità e le risorse necessarie per affrontare i bisogni emergenti: il disagio, la povertà, l'esclusione sociale, i carichi di cura, la crescita dei figli, l'assistenza agli anziani. Per questo, il tema dei livelli essenziali, come ha anche ricordato in questa sede il ministro della solidarietà sociale, è una priorità da affrontare con determinazione e senza ulteriori ritardi.
Il Governo è impegnato a dare piena attuazione alla riforma dell'assistenza - di cui alla legge n. 328 del 2000 - che senza i Liveas resta una scatola vuota. In tal senso, il contributo e l'iniziativa del ministro per le politiche per la famiglia saranno quelli di individuare i livelli essenziali di assistenza della famiglia (LEF), con un metodo di rigoroso rispetto delle competenze individuate dalla Costituzione e con la volontà di responsabilizzare tutti gli attori coinvolti ed esaltare così la natura eminentemente promozionale dei diritti a cui i livelli medesimi accedono. I LEF sono infatti gli interventi necessari ed appropriati per affermare, in chiave promozionale, il plusvalore della famiglia; e l'inerenza delle sue caratteristiche concrete (con figli, con anziani o disabili a carico, «corta» o «lunga»...) in ordine alle politiche sociali ed economiche, incluse quelle fiscali.
Vengo ora alla valutazione di impatto familiare: è evidente che l'orizzonte in cui si sviluppa la responsabilità di indirizzo e coordinamento, affidata al ministro per le politiche per la famiglia, è valorizzare la dimensione familiare nelle strategie complessive del Governo. Le politiche familiari non sono, infatti, politiche di settore in senso lato, ma devono necessariamente essere integrate e interagire con le altre politiche: dal lavoro alla previdenza, al fisco; dalla sanità alla scuola; dalla casa all'assistenza, ai trasporti, alla cultura. Non esauriscono tutte le politiche di welfare e non possono essere confuse con la lotta alla povertà, ma devono avere una propria autonoma e precisa collocazione. La portata dell'inerenza familiare e il suo rispetto da parte dell'intero ordinamento, definiti a livello di principio, vanno monitorati attentamente. Ecco perché sarà cura del ministro per le politiche per la famiglia, supportato dall'omonimo dipartimento, introdurre l'analisi dell'impatto familiare delle politiche, con la relativa verifica ex post delle stesse. La valutazione dell'impatto familiare (VIF) si configura come uno strumento imprescindibile per quelle politiche promozionali e incentivanti in cui si sostanziano i diritti della famiglia e i relativi livelli essenziali.
Vorrei spendere ancora alcune parole sulla definizione dei livelli essenziali di assistenza della famiglia. Analogamente alle infrastrutture civili, alcune infrastrutture sociali, per promuovere la piena cittadinanza della famiglia, come pure l'incontro fra diritti e doveri, sono finalizzate a dare solidità e dinamicità al nostro sistema sociale. Le famiglie possono trarre grandi benefici da un impegno teso ad offrire opportunità per affrontare meglio i problemi distribuiti nel percorso di vita, in tutte le fasi in cui la famiglia è impegnata per la vita che nasce, per la crescita dei figli, per l'educazione, il sostegno reciproco, la cura dei più deboli (per età,


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incapacità, non autosufficienza, malattia...), per la gestione dei conflitti e delle possibili solidarietà fra generazioni.
Non possiamo essere spettatori passivi di tutto questo. Dobbiamo invece costruire condizioni strutturali che diano certezze e stabilità alle risposte sociali, così che la famiglia possa essere soggetto attivo di cittadinanza e di welfare, in una logica di sussidiarietà solidale. È necessaria l'integrazione di responsabilità e risorse istituzionali e sociali, della solidarietà organizzata, dell'associazionismo familiare, delle imprese, di quanti intendono partecipare alla trasformazione del nostro sistema di welfare verso le famiglie. Si tratta, in sostanza, di aprire un grande cantiere per la promozione della cittadinanza sociale della famiglia, di facilitare l'incontro tra diritti e doveri che essa da sempre testimonia, ed anzi chiede di meglio esercitare, qualificando in modo nuovo le sue relazioni con le istituzioni, con i soggetti solidali ed imprenditoriali del territorio. Non si può negarlo, «è una grande opera» di civiltà sociale, da costruire politicamente, su cui investire nei prossimi anni. Ad essa vanno riservati attenzione e investimenti, alla stregua delle grandi opere necessarie per il nostro sviluppo umano, economico e sociale. In questa prospettiva, va collocata la funzione del fondo nazionale per le politiche familiari, a cui accenna il Documento di programmazione economico-finanziaria. Uno strumento che ci servirà per attivare le prime indispensabili risorse destinate a delineare le infrastrutture di cittadinanza per la famiglia.
La famiglia è un soggetto fondamentale e vitale della coesione sociale e della solidarietà intergenerazionale; nella famiglia affetti, diversità, progetti, speranze, debolezze e potenzialità convivono, si adattano reciprocamente e si modificano nel tempo. Assolve compiti indispensabili di cura, educazione, assistenza, ma è anche il primo spazio in cui si sperimenta la quotidiana fatica di gestire la sfera degli interessi e delle emozioni. Produce ricchezza e risparmio con il lavoro che le sue componenti svolgono al suo interno e all'esterno. Al tempo stesso, produce e riflette antiche tensioni e nuovi conflitti sociali: la violenza sui bambini e le donne, il disagio degli adolescenti, l'aumento delle povertà, la solitudine delle persone e l'emarginazione degli anziani.
Non è un caso, la famiglia è diventata negli ultimi anni uno dei soggetti più indagati dalle forme espressive contemporanee, in primo luogo dal cinema, come lo specchio più sensibile delle inquietudini del nostro tempo. Se non intravediamo la complessità delle esistenze che vi si esprimono, individualmente e nell'insieme, rischiamo di non vederne né le esigenze né i cambiamenti profondi che investono la società. Cogliere i cambiamenti è essenziale per servire, con i poveri strumenti della politica, le famiglie reali. Le trasformazioni radicali che hanno investito la famiglia si possono misurare, grazie alle indagini dell'Istat e alle ricerche dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia.
Presidente, a questo punto credo sia necessaria la distribuzione del testo della mia relazione ai commissari. Dovendo infatti enumerare delle cifre, seguire il discorso potrebbe divenire piuttosto faticoso.

DOMENICO DI VIRGILIO. Approfitto della breve interruzione del ministro per porre al presidente una domanda sull'ordine dei lavori. Lei ritiene che sia possibile dar corso agli interventi dei colleghi e, quindi, alla replica del ministro già nella giornata odierna, o prevede sin da ora, data la complessità della relazione e l'articolazione della materia, di rinviarne il seguito ad altra seduta?

PRESIDENTE. In ragione dei concomitanti impegni d'Assemblea, avremo la possibilità di proseguire l'audizione del ministro sino alle 15,30. Qualora, però, fosse impossibile concludere l'audizione entro la giornata odierna, chiederemmo al ministro la disponibilità di essere nuovamente con noi in una data da definire insieme.

KATIA ZANOTTI. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori: per il futuro, le chiedo di evitare di convocare la


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Commissione senza interruzione dalle ore 11 alle 15, quasi come fosse una seduta continua. Almeno mezz'ora di intervallo credo sia dovuta per consentirci di svolgere le minime funzioni vitali.

PRESIDENTE. Raccolgo la sua richiesta, onorevole Zanotti. Del resto, garantire un minimo di benessere individuale e sociale, è negli scopi della stessa Commissione...
Do ora nuovamente la parola al ministro perché possa completare l'esposizione della sua relazione.

ROSY BINDI, Ministro per le politiche per la famiglia. Vi chiedo scusa per essermi dilungata nell'esporre la prima parte della relazione, ma l'ho considerata essenziale per capire il quadro giuridico, culturale e politico nel quale ci muoviamo.
Quel che segue, da alcuni, sarà considerato superfluo. I dati esposti sicuramente non sono sfuggiti a nessuno dei commissari in quanto desumibili dalle pubblicazioni dell'Istat, o mediante gli approfondimenti personali. Sono qui riportati perché vorrei che risultasse chiaro l'universo giuridico e culturale che muove le intenzioni di politica per la famiglia del ministro e del Governo. Peraltro, è dai dati reali che ci si muove per definire interventi concreti. Sono magari superflui per la vostra conoscenza, ma non lo sono per comunicare l'approccio alla realtà che ha mosso le riflessioni, quindi le proposte.
Sono in corso dei cambiamenti caratterizzati da tendenze di lungo periodo, alcuni dei quali si stanno realizzando rapidamente negli ultimi anni, dando anche il senso della complessità e della gravità della situazione da alcuni punti di vista. Dalle tabelle allegate alla relazione si possono ricavare dati più analitici. Anche nell'ultimo rapporto Istat, reso noto il 10 luglio scorso, si conferma, ad ogni modo, il declino demografico del nostro paese. È un aspetto della nostra vita e del nostro futuro assolutamente sottovalutato dalla classe dirigente del paese, ma non dagli studiosi di demografia e dai sociologi della famiglia, rimasti, però, spesso inascoltati. Lo dico comprendendo la classe dirigente degli ultimi trent'anni. Faccio, quindi, una riflessione assolutamente bipartisan. Bisognerebbe riflettere più a lungo sulle ragioni di questa sconcertante indifferenza, che assume i caratteri di una rimozione collettiva, come se il paese rifiutasse di leggere la realtà e, soprattutto, le sue conseguenze. Dai dati che emergono è possibile verificare il saldo negativo tra nati e decessi. Per la prima volta, nel 2005 il decremento delle nascite è maggiore nel Mezzogiorno, mentre nel nord-est è pari allo 0,6 per cento, nel nord-ovest allo 0,5. Il quoziente di natalità, sceso costantemente fino al 2002, è leggermente risalito negli ultimi tre anni; anche il numero medio di figli per donna è crollato dal 2,67 per cento del 1965 all'1,23 nel 2001, e poi leggermente risalito. Gli incrementi sono sostanzialmente attribuiti al contributo delle famiglie immigrate, ma non cambiano il quadro demografico allarmante. Ciò significa che i bambini nascono in famiglie che non sono più capaci di rigenerarsi come tali. In molte aree dell'Italia prevale il figlio unico, mentre aumentano le coppie senza figli. Dal 1994, il numero dei morti supera quello delle nascite. Le proiezioni demografiche indicano che la popolazione italiana, senza considerare l'immigrazione, è destinata a diminuire considerevolmente. Per invertire questa tendenza occorrerebbe un tasso di fertilità pari a 2,1 per cento. Al primato europeo della bassa natalità e fecondità l'Italia aggiunge il primato mondiale dell'indice di vecchiaia. Aumentano i grandi vecchi, quelli con più di 80 anni che, nel 2004, erano già una persona ogni 20. Questi dati servono per capire quali sconvolgimenti siano avvenuti e siano in corso. Se non si inverte questa tendenza, attorno al 2050, che un settimanale ha indicato di recente come l'anno della scomparsa della famiglia, in molte aree del paese per un bambino con meno di 5 anni di età ci saranno 20 anziani.
I tipi di famiglia, confrontando gli ultimi due censimenti, sono assolutamente eloquenti. Cresce il numero di famiglie senza nuclei, crescono le famiglie con un


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solo nucleo, è crollato il numero delle famiglie con un nucleo e altre persone residenti, sono ulteriormente diminuite le famiglie estese, composte cioè da più nuclei. Il numero medio di componenti per famiglia si è ridotto da 2,8 del 1991 a 2,5 del 2005. Il che significa - detto in termini brutali e assolutamente poco scientifici, ma evocativi dal punto di vista dell'immagine - che una famiglia nucleare italiana con due genitori ha, in media, mezzo figlio. Nella sua «politica», da questo punto di vista, Salomone era previgente.
Nonostante ciò, la famiglia italiana come istituzione regge ancora. Il 99 per cento della popolazione italiana vive in famiglia: nelle sue varie tipologie, nella sua realtà di grande e profonda trasformazione, ma di fatto è così. Le tendenze di cambiamento delle famiglie italiane, rivelate sia dalle indagini Istat sia dalle pubblicazioni dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia, sono connotate da questa particolarità. I punti che seguono li conoscete già, ma a me rileggerli è servito per rifletterci ancora sopra. Prego anche voi di farlo, sebbene io, per esigenze di brevità, proceda oltre.
Al riguardo, vorrei, però, mettere in evidenza non soltanto i rapporti quantitativi, ma quanto questo stia profondamente cambiando i rapporti tra le generazioni e le reti parentali. Nel futuro i nostri bambini si troveranno a sopportare un carico sociale crescente, potendo disporre a loro volta di minori e più precari sostegni da parte di chi viene dopo di loro. La sfida che il paese deve affrontare è allora la seguente: come sostenere un welfare familiare, mentre si accentua il processo di invecchiamento della popolazione. Non riteniamo percorribili strategie che alimentino il conflitto tra generazioni, in una dinamica che è stata spesso estremizzata con gli slogan «togliere ai padri per dare ai figli» o peggio «togliere ai nonni per dare ai nipoti». Al contrario, ci ostiniamo a ritenere che, per assicurare il futuro al nostro sistema di welfare, non si possa prescindere dalla solidarietà fra generazioni, la quale passa - e qui sta il plusvalore sociale della famiglia - e si afferma solo attraverso una maggiore giustizia sociale nei confronti della famiglia e nella promozione della famiglia come primo soggetto fondamentale di welfare.
Sugli obiettivi della legislatura, prima di elencare alcune proposte voglio premettere che io sono l'ultimo tra i ministri che insistono da varie ottiche sulla stessa materia: nel mio discorrere sicuramente troverete, quindi, alcune ripetizioni rispetto alle audizioni dei ministri della solidarietà sociale, delle politiche giovanili e delle pari opportunità. Correttamente, c'è un costante rinvio al necessario concerto con gli altri ministri, anche se alcune competenze, al di là di quella della valutazione dell'impatto familiare e dell'indirizzo e coordinamento per le politiche familiari, sono esplicitamente contenute nella delega che mi è stata conferita. In maniera particolare mi riferisco al contrasto dell'andamento demografico, al sostegno alla natalità e alla genitorialità, alla conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura, all'attenzione alla famiglia, come sintesi e solidarietà intergenerazionale.
L'approccio delle singole proposte muove da un'impostazione che potremmo definire di carattere universalistico e selettivo, che fa leva su un mix di interventi: reti di servizi alla famiglia; politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; trasferimenti monetari e politiche fiscali. In proposito, vorrei puntualizzare che un fisco amico della famiglia è innanzitutto un fisco che combatte e scoraggia l'evasione e l'elusione fiscale. Non aggiungo niente di nuovo rispetto al programma con il quale il centrosinistra si è presentato agli elettori, confermando le nostre perplessità nell'introduzione, in Italia, del quoziente familiare. Il quoziente è essenzialmente un modo per ridurre la progressività delle imposte, a vantaggio delle famiglie con redditi medio-alti e alti, che nella nostra struttura di aliquote fiscali, finirebbe per concentrare il mancato gettito, stimato in circa 15 miliardi di euro, sul 30 per cento dei contribuenti più ricchi. Il quoziente familiare è inoltre un forte disincentivo all'occupazione femminile - il vantaggio maggiore della divisione


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del reddito si ottiene quando il reddito di uno dei due coniugi è pari a zero -, e ignora le famiglie con i redditi più bassi, che risultano incapienti. Siamo, dunque, consapevoli che vadano praticate politiche fiscali più attente alla dimensione familiare, in modo da considerare sia la composizione dei nuclei familiari, sia il numero dei figli, l'età e le eventuali condizioni di disabilità, ma non all'introduzione di un quoziente familiare. Così come contestualmente crediamo che vadano riviste le forme di compartecipazione ai costi dei servizi, con una più equilibrata struttura dell'ISE. Più in generale, la nostra impostazione economica e fiscale punta ad assicurare un sostegno effettivo alle famiglie con redditi medio-bassi, che concentri su di loro le risorse oggi disponibili.
Tra le misure da adottare, prima fra tutte è l'assegno per i bambini e la tutela della maternità. La tutela della maternità non può essere un diritto solo per le lavoratrici dipendenti, ma va riconosciuta alla donna, a prescindere dalle condizioni contrattuali in cui si trova a lavorare. Questo diritto va esteso anche alle forme di lavoro flessibile e discontinuo, ai lavoratori autonomi e ai professionisti. Il nostro impegno sarà quello di accompagnare tutte le famiglie lungo il cammino di crescita dei figli fino alla maggiore età. Per questo, prevediamo la riorganizzazione e la riunificazione degli attuali strumenti monetari di sostegno alle famiglie (assegni al nucleo familiare, deduzione IRPEF per i figli a carico) in un assegno che fornisca un'integrazione al reddito più consistente, in funzione della numerosità del nucleo familiare. Un assegno per ogni nuovo nato, fino alla maggiore età, in modo da archiviare la stagione delle misure una tantum e ad effetto, come quella del «bonus-bebè», realizzata alla scadenza della passata legislatura. Questa misura specifica di promozione alla natalità si affianca alle iniziative tese a costruire un sistema coerente di sostegno ai redditi familiari e alle persone. Va in questa direzione la previsione di integrare il reddito dei cosiddetti incapienti, sostituendo le attuali deduzioni dal lavoro IRPEF con una detrazione da lavoro di cui possano usufruire, come trasferimento monetario, coloro che hanno redditi inferiori al minimo.
Sugli asili nido, come sapete, l'Agenda di Lisbona ha indicato in ogni paese l'ambizioso obiettivo del 33 per cento entro il 2010. In Italia, abbiamo una media del 7 per cento di asili nido, che al sud non superano quella del 4, anche se in alcune zone del centro-nord si raggiunge il 18,3 per cento.
Il Governo e questo ministro intendono, quanto più rapidamente possibile, operare in questa direzione, tenendo presente che la percentuale dei bambini accolta nei nidi è attualmente di circa il 10 per cento. Intendiamo realizzare un programma di azione per lo sviluppo del sistema degli asili nido che faccia leva su risorse nazionali e locali e sull'integrazione tra pubblico e privato. Riteniamo, da questo punto di vista, anche necessaria una revisione dell'attuale legislazione.
Quanto ai consultori - in collaborazione con il ministro della salute, con il quale stiamo definendo un nuovo progetto obiettivo materno infantile -, crediamo si possano potenziarne e valorizzarne le esperienze, per attribuire ad essi una vera e propria funzione di affiancamento e cooperazione nella vita della famiglia, dei genitori, valorizzando la dimensione multidisciplinare degli interventi, nel percorso di crescita e di formazione dei figli. In un contesto in cui le relazioni parentali sono più labili, in cui cresce la solitudine sociale delle famiglie, il consultorio rafforzato con adeguati profili professionali può infatti intervenire sia come una sorta di pronto soccorso delle nuove patologie dell'infanzia, sia come una palestra di formazione alla coniugalità e alla genitorialità. I consultori devono diventare dei veri e propri centri per le famiglie, in grado di fornire informazioni e favorire iniziative sociali di aiuto e sostegno; in cui si svolgano attività di censimento dei bisogni e dei servizi, organizzando occasioni di incontro. In molti comuni, si stanno trasformando anche in veri sportelli per la famiglia e ci sono delle buone pratiche che credo potranno


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essere conosciute ed anche in qualche modo realizzate in maniera uniforme sul territorio nazionale.
L'altra misura importante è quella che nella relazione va sotto il titolo di «Più tempo per la famiglia» - inclusa, in maniera esplicita, nella delega conferitami -, ossia la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura della famiglia, da sostenere in rapporto al tempo del lavoro. È una misura che riguarda in maniera particolare le donne, ma non solo. Noi riteniamo, per esempio, che il ricorso pressoché inesistente dei padri ai congedi parentali per l'educazione e la crescita dei figli sia un dato negativo per le nostre famiglie. Prevediamo non solo degli investimenti, ma anche una profonda revisione dell'attuale legislazione in materia. La legge n. 53 ha prodotto sicuramente i suoi effetti; è una buona legge che ha avuto la grande funzione di introdurre questo istituto nella vita del nostro paese, ma va assolutamente potenziata e, soprattutto, estesa, per la sua realizzazione compiuta, a tutte le lavoratrici. Oggi è infatti inapplicabile per tutte le giovani donne e per tutte le giovani coppie in età fertile, nella quale è assolutamente necessario prevedere degli interventi. Credo che in quella legge si possano introdurre dei veri e propri elementi di flessibilità: penso al prolungamento dell'età dei figli entro la quale vi si può fare ricorso. In effetti, è nel periodo dell'adolescenza che, spesso, i figli possono aver bisogno sia della figura paterna sia di quella materna. Credo anche si possano introdurre dei sistemi di scambio, soprattutto per le donne, tra l'età pensionabile e quella del tempo di cura. Sarebbe mia intenzione approfittare già del collegato ordinamentale della prossima legge finanziaria, per introdurre le modifiche dell'attuale legislazione, naturalmente aprendo con regioni, autonomie locali e parti sociali una fase di concertazione. Ma è sicuramente questo uno dei capitoli più importanti, che consentirà alle nostre famiglie una conciliazione tra lavoro ed esercizio delle responsabilità genitoriali, che potrà garantire un maggior reddito per le famiglie - perché noi vogliamo che le donne italiane possano, quando lo vogliono, lavorare - insieme ad una maggiore natalità e serenità nei rapporti.
L'altro grande capitolo è quello relativo all'alleggerimento del carico degli impegni di cura, che, proprio per realizzare quella solidarietà tra generazioni, punta alla presa in carico dell'invecchiamento non autosufficiente della popolazione. È il tema dell'istituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza, sul quale credo di non dover spendere altre parole. Mi risulta che questa Commissione abbia già incardinato, dopo il lavoro svolto nella legislatura precedente, le relative procedure. Tutti conosciamo il progetto di legge d'iniziativa popolare e credo si debba stabilire una vera collaborazione tra tutte le componenti del Parlamento e il Governo per procedere all'istituzione di questo fondo. È un sostegno alla natalità, non è solo un dovere di cura, la presa in carico dei grandi vecchi non autosufficienti. In maniera particolare, la mia responsabilità di Governo mi porterà a presentare una proposta di legge quadro in cui si definiscano i requisiti essenziali della professionalità e dell'affidabilità delle assistenti familiari. Sono convinta che sia arrivato il momento di intervenire, di concerto con i ministri dell'interno, della solidarietà sociale e del lavoro, per dare dignità a questo servizio e, al contempo, sicurezza e certezza alle nostre famiglie. Sappiamo bene che le 500 mila domande di regolarizzazione pendenti presso la pubblica amministrazione provengono in larga parte dalle cosiddette badanti: vi è necessità di procedere ad una operazione verità sull'effettivo fabbisogno al riguardo. Qualcuno parla di 250 mila iscritti all'INPS, a fronte di un milione di persone che stanno svolgendo questo servizio nelle nostre famiglie. Ritengo sia un fatto di civiltà portare alla luce del sole una linea assistenziale clandestina, o quantomeno sommersa; dare dignità a questo lavoro; certezza e qualità di servizio alle nostre famiglie.
Occorre anche tutelare il lavoro di cura e quello domestico, perché, in una corretta


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visione di sussidiarietà, va valorizzato da tutti i punti di vista il lavoro svolto all'interno della famiglia, che spesso trova la donna, ma non solo, a farsi carico di questa responsabilità e che non può non essere considerato un valore sociale ed economico aggiunto per la vita del nostro paese.
Un altro obiettivo di legislatura è quello di sostenere le giovani coppie. Sono giovani ma sono coppie, per cui dobbiamo aiutare i nostri giovani a scommettere sul futuro; e questo lo potranno fare soltanto se ci saranno politiche del lavoro che glielo consentiranno, ma anche se ci saranno politiche per la casa che andranno davvero incontro alle loro esigenze. Nel Documento di programmazione economico-finanziaria si fa esplicito riferimento ad un piano casa. Ritengo che questo non possa non interessare in maniera diretta le politiche per la famiglia. Può sembrare una banalità, ma anche i nuclei abitativi, in questi anni, hanno finito per modellarsi sulla tipologia delle famiglie italiane. Bisognerebbe cominciare a puntare anche sulle tipologie delle abitazioni, perché queste riescano a contenere anche la scommessa della natalità che vogliamo realizzare.
Il capitolo della mia relazione intitolato «Una famiglia per ogni bambino» riguarda il tema delle adozioni e degli affidi, che interessa la mia responsabilità, insieme a quella di altri ministri ed altre amministrazioni, per quanto riguarda il tema delle adozioni internazionali. Anche al riguardo, abbiamo una legislazione che ha avuto il merito di introdurre nel nostro ordinamento questo istituto, che è stato sperimentato in questi anni e che credo necessiti di una modifica che deve continuare a muoversi nel quadro assolutamente garantista che caratterizza l'attuale legislazione. È, quindi, da escludersi - come ho già avuto modo di dire - ogni possibilità di valutazione di idoneità all'adozione che si esaurisca nel semplice campo amministrativo, come qualche disegno di legge della legislatura precedente lasciava intravedere. È, infatti, impensabile che venga tolta questa responsabilità alla sede giudiziaria. È invece necessario introdurre una legislazione, non che semplifichi bensì che renda più spedito l'iter, che faccia funzionare meglio la commissione, che dia maggiori certezze e garanzie nel funzionamento degli enti autorizzati, ma, soprattutto, che aiuti tutti noi a maturare una nuova mentalità, quella della cultura vera dell'adozione e dell'adozione internazionale, che faccia passare l'idea secondo la quale il problema non è avere adozioni più facili ma, nell'interesse dei bambini, adozioni più garantite. Non sono le famiglie che hanno diritto ad avere un bambino, ma sono i bambini che hanno diritto ad avere una famiglia. L'incremento del fondo per il sostegno alle adozioni internazionali è il primo passo di una nuova strategia che punta a migliorare e a rendere meno burocratiche le procedure e a rafforzare l'azione diplomatica dell'Italia in questo settore. Ho già acquisito la disponibilità del Ministero degli esteri a considerare questo come un capitolo di responsabilità della nostra politica estera, a pieno titolo. Vi sono paesi che hanno raggiunto risultati importanti avendo eliminato ogni procedura e ogni garanzia. Ma noi non siamo interessati al fai-da-te, anche perché sappiamo che, spesso, questo si presta a dei veri e propri mercati sui bambini. Siamo invece interessati ad un sistema di tutele e di garanzie, insieme ad una forte responsabilizzazione politica nelle relazioni estere, che consideri quello delle adozioni internazionali come un capitolo molto importante.
Un altro obiettivo è quello di prestare attenzione alla famiglia, vista anche dall'ottica del sistema giudiziario, verso una giustizia nuova per la famiglia. Nella passata legislatura, ci siamo confrontati, senza ottenere grandi risultati, sul tema della riforma dei tribunali per i minori. Ora, in totale collaborazione con il ministro della giustizia - che mi permetterei umilmente di definire subordinata da parte mia - vorremmo riordinare tutto questo settore, per andare verso la creazione di un vero e proprio tribunale per la famiglia, su cui convergano le attuali competenze dei tribunali per i minori, delle adozioni, degli affidi, ma anche tutto il


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grande tema delle separazioni, dei conflitti familiari e persino degli atti di violenza in famiglia. Sappiamo, infatti, che oggi questi sono capitoli sempre più importanti e all'attenzione di tutti noi.
L'ultima parte della relazione sugli obiettivi di Governo porta il titolo «Tante famiglie», che potremmo anche trasformare in «Le famiglie sono tante». Qui si presta attenzione a famiglie che vivono in particolari situazioni. Le famiglie numerose: sono sempre meno, ma ci sono. Nei loro confronti va assolutamente prestata attenzione dal punto di vista fiscale, della politica delle tariffe, dell'ICI e calibrando le misure sulla base di un ISE che sia davvero equo nei loro confronti. Vi sono poi le famiglie povere. L'emergenza povertà ha una sua caratteristica familiare. Perciò, la reintroduzione del reddito minimo di inserimento - argomento trattato dal ministro della solidarietà sociale -, non potrà non avere, evidentemente, una dimensione familiare. Esiste, infatti, la povertà del singolo, ma esiste, in particolar modo, la povertà delle famiglie. L'osservatorio nazionale della famiglia potrà aiutarci nella definizione di panieri specifici per i diversi nuclei familiari, sui quali calcolare l'effettiva incidenza dei costi e valutare l'inflazione reale che erode il potere d'acquisto. Vengo, quindi, alle famiglie immigrate, una realtà sempre più consistente del nostro paese. È un dato molto importante, che ci impone una revisione profonda della legge sull'immigrazione, al fine di rendere più facili i ricongiungimenti familiari. Necessitiamo di politiche per la famiglia che siano attente a questa nuova realtà del nostro paese e che rappresentino la vera sfida ad un'integrazione multietnica e multireligiosa. Sfida culturale, dunque, ma anche sfida per una riforma del welfare che tenga davvero conto di queste esigenze. Non si devono dimenticare, poi, le famiglie degli italiani nel mondo, molte delle quali vivono in una situazione di vera povertà. Nei loro confronti, è necessario attivare, attraverso la collaborazione con i paesi ospitanti, misure di sostegno che consentano loro di sollevarsi da una situazione di disagio. Ci sono famiglie italiane che hanno raggiunto dei buoni livelli di benessere e che fanno parte della classe dirigente dei paesi nei quali vivono, ma ci sono famiglie che condividono il disagio dei paesi ospitanti, spesso con situazioni ancor più gravi: dobbiamo farcene carico. Esiste, inoltre, il grande tema del rapporto famiglie-disabilità. Passare in rassegna le tipologie delle famiglie significa interrogarci sul rapporto tra il diritto dei singoli e quello delle famiglie. È chiaro che la politica della disabilità è affidata ad altri Ministeri, ma esiste la problematica dei contesti familiari che hanno a proprio carico un disabile. Al riguardo, dobbiamo rilanciare con forza il progetto «Durante noi e dopo di noi», che riesce a fare sintesi tra il diritto dei singoli e quello della famiglia.
Quello della famiglie e del disagio giovanile è poi un altro tema molto importante. Pur non volendo interferire su un argomento che è (anche) di competenza del ministro della solidarietà sociale e del ministro delle politiche giovanili, credo sia assolutamente indispensabile, per quanto riguarda il problema della dipendenza da stupefacenti, attuare una nuova strategia che ponga al centro la famiglia, sia per quanto riguarda l'individuazione delle cause della dipendenza, sia per la possibilità di recupero e di uscita dal circuito della tossicodipendenza. E soprattutto la dipendenza da talune sostanze ci fa cogliere l'inadeguatezza - magari temporanea - dei servizi pubblici e delle stesse comunità terapeutiche. Il sostegno al nucleo familiare rappresenta, invece, la possibilità di aiutare i giovani che sono portatori di questo disagio.
Sul grande tema della famiglia e dei minori non mi soffermo a lungo, limitandomi a sostenere la necessità del rifinanziamento della legge n. 285 del 1997 e di altri progetti che tengano conto del rapporto della famiglia con il minore, nonché l'istituzione di un garante. So che ne ha parlato a lungo il ministro della solidarietà sociale: la consideriamo un'assoluta priorità.
L'ultimo capitolo riguarda la tutela dei minori dagli abusi e la lotta alla pedofilia.


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Si tratta di un argomento su cui nel testo scritto ho ritenuto di dovermi soffermare più a lungo, non solo in quanto è di grande attualità, ma anche perché, pur nel totale rispetto della sovranità di ogni paese, mi piacerebbe marcare una controtendenza rispetto a quello che è successo in Olanda. Nel nostro paese, su questo, dobbiamo dare un segnale di civiltà. Esistono varie proposte: rafforzamento dell'osservatorio; creazione di una banca dati; istituzione di servizi che pratichino politiche di prevenzione; revisione della legislazione per quanto riguarda le misure repressive, prima fra tutti i tempi della prescrizione per questo tipo di delitti.
In conclusione, vorrei soffermare la vostra attenzione su tre punti. Il primo è che, tempi della burocrazia permettendo, verrà costituito presso la Presidenza del Consiglio il Dipartimento per le politiche familiari, che sarà di supporto al ministro e al quale afferirà il fondo per le politiche della famiglia. Inoltre intendo dare all'Osservatorio per la famiglia un fondamento giuridico che non sia, come attualmente, una semplice convenzione tra il Ministero della famiglia ed il comune di Bologna. Poiché l'Osservatorio ha svolto in questi anni un buon lavoro, e sono convinta possa continuare a farlo, ritengo che debba essere dotato di maggiori competenze scientifiche e diventare il luogo di una consultazione permanente con le associazioni e con tutti gli enti locali. L'Osservatorio deve poi avere finanziamenti adeguati e che deve aprire una sede in una regione del sud, affinché venga dato un segnale preciso nei confronti di un territorio, nel quale i problemi che le famiglie italiane vivono, sono, spesso, ancora maggiori.
Vorrei ribadire, inoltre, la necessità di un rapporto continuo e permanente con tutto l'associazionismo familiare, il volontariato, i gruppi di impegno sociale e tutto il sistema delle autonomie locali. Spetta alla politica nazionale individuare alcune grandi strategie sulle quali far convergere le risorse del paese, tenendo comunque conto che un nuovo welfare, che ponga al centro la famiglia, si realizza nel sistema degli enti locali. Spetta al Ministero essere il luogo attraverso il quale far circolare le tante buone pratiche che sono diffuse nel nostro paese. Per questo motivo, il mese di settembre sarà dedicato a due momenti di ascolto, uno con le associazioni e l'altro con gli enti locali, per elaborare le misure per la prossima manovra finanziaria.
Vi ringrazio e vi chiedo scusa per la lunghezza del mio intervento.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua relazione molto impegnativa e di grande interesse. Ora, anche sulla base di qualche valutazione che alcuni colleghi mi hanno rappresentato, e stante la complessità della relazione, che esige un approfondimento e una lettura meditata, sarebbe forse opportuno aggiornare la discussione sul testo ad una seduta appositamente convocata, chiedendo al ministro di metterci a disposizione una data della sua agenda.
Proporrei, quindi, di procedere al successivo punto all'ordine del giorno, votazione del parere sugli emendamenti del disegno di legge comunitaria, aggiornando il seguito della discussione sulle linee programmatiche del ministro Bindi a data da destinarsi.

GIUSEPPE PALUMBO. Intervengo sull'ordine dei lavori, presidente. Più esattamente, vorrei avanzare una proposta, dopo aver ascoltato, con molto interesse, la corposa relazione del ministro Bindi. Gli interventi del ministro in questa Commissione non sono stati mai leggeri, ma questa volta, forse, ha esagerato... Battute a parte, la relazione, comprendendo numerose tematiche, dalla famiglia ai minori, va sicuramente ponderata con attenzione. Anche io, perciò, ritengo opportuno rinviare gli interventi dei colleghi ad altra seduta.

PRESIDENTE. Dal momento che giovedì mattina non sono previste votazioni in Assemblea, si potrebbe fissare per quel giorno, alle ore 9, il seguito dell'audizione del ministro, proseguendola sino alle ore 11. Se vi fosse un accordo di massima, potremmo verificare la disponibilità del ministro in tal senso.


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LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Intervengo anch'io sull'ordine dei lavori. La relazione del ministro Bindi - che ho apprezzato e che sarà oggetto di molta attenzione, anche perché è la prima volta che ne riceviamo una così completa sulla famiglia - merita una riflessione scrupolosa e un adeguato dibattito. Per questa stessa ragione, presidente, ritengo che il tempo a nostra disposizione giovedì mattina possa risultare insufficiente...

PRESIDENTE. Potremmo dedicare, al seguito dell'audizione, un paio d'ore giovedì mattina, per poi proseguirla, eventualmente, in altra occasione.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Potremmo anche procedere così, con l'idea, però, che il ministro debba tornare nuovamente in Commissione: in altre parole, non possiamo contingentare i tempi su una relazione così corposa, riducendoli a cinque minuti per intervento.

GIUSEPPE PALUMBO. Per esperienza personale, quando l'Assemblea non è convocata, è difficile che i parlamentari rimangano in sede.

PRESIDENTE. Mi sono permesso di segnalare il problema all'attenzione dei commissari anche per questa ragione. È chiaro che, se la maggior parte dei commissari avvertirà l'esigenza, giovedì, di rientrare presso il proprio collegio, l'audizione non potrà essere svolta. Immaginavo che, non essendo prevista una seduta dell'Assemblea con votazioni, si potesse sostituirla con una in Commissione, ma in assenza di un accordo ciò non sarà possibile.

ROSY BINDI, Ministro per le politiche per la famiglia. Anche per me, presidente, nella giornata di giovedì sarebbe preferibile essere sollevata da questo impegno.

KATIA ZANOTTI. Presidente, permetta anche a me un breve intervento sull'ordine dei lavori. Ringrazio innanzitutto il ministro, perché ha svolto un intervento che richiede molta attenzione, una scrupolosa rilettura ed anche un approfondito dibattito. Sono venuti, per fortuna, opportunamente già tre ministri a presentare il loro programma di Governo. Comprendo le esigenze, rappresentate da alcuni commissari, di rientrare presso il proprio collegio, tuttavia, giacché con il ministro Melandri deve ancora iniziare la discussione e con il ministro Turco dobbiamo concluderla, per evitare la frammentazione dei lavori della Commissione che si sta determinando, e per completare il programmato ciclo di audizioni dei ministri, chiederei ai colleghi di rendersi comunque disponibili, giovedì mattina, ad affrontare il dibattito con il ministro Bindi. Questo, al fine di esaurire il confronto con il Governo, almeno per la parte riguardante la famiglia, cosa quanto mai opportuna data la rilevanza del tema e il desiderio di molti di esprimere la loro opinione sul programma governativo.

LUCA VOLONTÈ. Presidente, intervengo anch'io sull'ordine dei lavori. In linea di principio, e non da oggi, ma già nelle scorse legislature, sono sempre stato propenso ad individuare spazi propri per il lavoro delle Commissioni permanenti. In questo caso, però - e mi spiace non essere d'accordo con la collega che mi ha autorevolmente preceduto -, la penso diversamente. Mi spiego. La mole dell'intervento del ministro Bindi sul tema delle politiche della famiglia è ampia. È pertanto assolutamente necessario più tempo per approfondirne gli aspetti, al fine di poter intervenire con cognizione di causa, non solo rispetto alle proprie idee, di partito o di coalizione, ma anche nel merito dell'elaborato che il ministro ha voluto offrire alla nostra riflessione. Questo tempo - non per colpa dei commissari che siedono in Commissione - di fatto non esiste, per la presenza di lavori di Assemblea piuttosto stringenti. Ricordo che, nella giornata odierna, oltre alle votazioni previste in Aula alle ore 15,30, il Governo riferirà sulla crisi mediorientale. Domani, seguirà una giornata piena di votazioni, che inizieranno alle 9,30, per finire praticamente


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dopo le ore 21. Materialmente, dunque, il tempo non esiste. Ciò anche perché la Commissione, opportunamente, ha lasciato spazio a tanti contributi e domani sarà riunita per completare, auspicabilmente, la fase degli interventi relativi alle linee programmatiche del dicastero esposte dal ministro Turco.
Capisco che è un problema per tutti non riuscire a completare i confronti con i ministri che, di fatto, hanno iniziato la loro attività già da qualche settimana e non hanno ancora finito le audizioni nelle Commissioni. Tuttavia, il programma dei lavori assembleari non dipende dai commissari e, solo in minima parte, dipende dai presidenti dei gruppi parlamentari, che a volte sono costretti, come tutti sappiamo, soprattutto all'inizio di ogni legislatura, a prendere atto di alcuni provvedimenti importanti che il Governo deve comunque mettere in campo entro il mese di luglio. La mia riflessione tende, pertanto, a proporre, di rimandare di una settimana la discussione, non per cattiva volontà, ma per i tempi parlamentari che non siamo esclusivamente noi a decidere.

TOMMASO PELLEGRINO. Sull'ordine dei lavori: presidente, prima di iniziare il dibattito riguardante il Ministero per le politiche per la famiglia, credo diventi indispensabile stabilire il tempo concesso ad ogni singolo intervento, come peraltro succede in tutte le Commissioni. Dedichiamo, quindi, due o tre ore alle singole audizioni e, con tempi stabiliti, riusciremo a portare a termine le varie audizioni dei ministri. Ritengo che questo sia indispensabile.

UGO LISI. Intervengo solo per aderire, a nome del gruppo di Alleanza nazionale, alla proposta avanzata dal collega Volontè, nella consapevolezza delle aperture e dei concetti profondi ed importanti espressi dal ministro Bindi, che meritano una riflessione anche nell'ambito della coalizione di minoranza.
Rispetto, infatti, all'audizione del ministro Ferrero, le cui dichiarazioni sono diametralmente opposte alle nostre idee, ai nostri valori e alle nostre ideologie, alcuni punti della relazione del ministro Bindi vedrebbero anche il centrodestra prendere atto di questa nuova situazione.
Ora, poiché l'opposizione non ha mai sollevato problemi sui lavori della Commissione, né ha aperto fronti polemici sulla stampa o nei luoghi istituzionali sulla diluizione delle audizioni dei ministri, ritengo che i lavori possano tranquillamente proseguire la prossima settimana.

DOMENICO DI VIRGILIO. Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Conosco la sensibilità con cui il ministro Bindi ha affrontato questo argomento, né sarebbe stata in grado di affrontarlo in modo diverso. Anzi, anche se non so leggere nel pensiero, sono certo che si sarebbe ancora maggiormente diffusa, se solo ne avesse avuto il tempo. È troppo importante questa problematica per contingentarne i tempi: non è un decreto, non scade e credo sia veramente ben speso il maggiore tempo utilizzato per discuterne. Peraltro, il ministro Bindi si aspetta dei contributi da tutti quanti. Chi la conosce sa che lei si mette in fila, ma se questa non cammina, ne fuoriesce e va avanti per conto proprio.
Mi associo, quindi, alla richiesta dei colleghi che chiedono un rinvio del dibattito alla prossima settimana, non già per tergiversare, ma perché veramente questo corposo intervento merita, per ogni pagina, un notevole approfondimento.

PRESIDENTE. Prendo atto delle opinioni espresse in un verso e nell'altro, però debbo segnalare alla vostra attenzione due aspetti. Il primo è che afferisce al lavoro e alle competenze della nostra Commissione l'attività di quattro ministri. Bisogna, quindi, tener conto che ciò determina conseguenze sullo svolgimento delle nostre riunioni e sulle modalità con cui procediamo alle varie discussioni. È evidente che questo è un problema e noi dobbiamo cercare modalità di lavoro tali da consentirci il massimo di efficienza, ma anche il massimo di efficacia sui risultati.
Ora, mi sembra di aver registrato che tutta l'opposizione abbia chiesto di rinviare


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alla prossima settimana la prosecuzione dell'audizione. Teniamo conto, però, che se la prossima settimana accadrà quanto è già successo con il ministro Turco - ed è ragionevole che accada -, ascolteremo la replica del ministro Bindi a settembre. Se infatti si iscriveranno a parlare 34, 35 deputati, è pacifico che si arriverà alla fine di luglio e mi riesce difficile immaginare che vi sia la disponibilità a tornare qui nel mese di agosto per completare l'audizione.
In buona sostanza, rinviare il seguito dell'audizione alla prossima settimana significherebbe far slittare a settembre la replica del ministro, il che non mi sembra, francamente, un modo molto ragionevole di procedere. Se, invece, potessimo incontrarci giovedì mattina, anche solo per due ore, riusciremmo a dare la possibilità ad una quindicina di colleghi di svolgere il proprio intervento, magari anche senza aver riletto troppo approfonditamente la relazione del ministro. Chiederei, pertanto, un supplemento di riflessione da parte dell'opposizione, invitandola a dare la propria disponibilità. Vi sono commissari disposti ad accogliere questa convocazione, per la quale non è peraltro obbligatorio il plenum della Commissione: se alcuni colleghi non potranno essere presenti, interverranno comunque la seduta successiva. Avendo raccolto, ora, anche la disponibilità del ministro a venire giovedì mattina per un paio d'ore, chiedo se ci siano, come io credo, colleghi disponibili ad iscriversi a parlare nella riunione di giovedì. In definitiva, chiedo una disponibilità di buonsenso, fermo restando che se su questa proposta non si troverà l'accordo, sarò io a prenderne atto e ad adeguarmi conseguentemente. Non voglio fare una forzatura contro l'opposizione, non è questo il mio intento. Lo spirito è quello che ho appena detto, pur ritenendo assolutamente ragionevoli le motivazioni per il rinvio.

LUCA VOLONTÈ. Signor presidente, il suo invito è di assoluto buonsenso. Tuttavia, mi preme farle presente una questione: lei invita i commissari ad essere presenti e, con altrettanto buonsenso, prende atto che occorre una riflessione ulteriore. Evidentemente lei prende atto, contemporaneamente, del fatto che molti esponenti della maggioranza possano già intervenire giovedì. Questo, però, creerebbe un presupposto abbastanza particolare, secondo il quale la Commissione procederebbe in una sorta di convocazione «differenziata».

PRESIDENTE. Questo, solo se l'opposizione precludesse ad ogni suo componente di venire in Commissione.

LUCA VOLONTÈ. Non voglio prendere la parola per l'opposizione. Le ho fatto presente quali sono le mie personali difficoltà in merito alla questione. Io rappresento l'UDC, non l'opposizione. Vi sono oggettive difficoltà - condivise, mi sembra, anche da esponenti di altre forze politiche - che non sono quelle di venire in Commissione giovedì, come potrei fare io stesso, dopo aver letto in cinque minuti la relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Volontè, ho solo chiesto una maggiore disponibilità.

DANIELA DIOGUARDI. Intervengo sull'ordine dei lavori, presidente. Anche io ero dell'idea di venire giovedì, facendo quindi, se possibile, uno sforzo di disponibilità, anche perché a sostenere queste discussioni davvero infinite si rischia di perdere il senso generale. Detto questo, se i colleghi non possono partecipare, dobbiamo rinviare la discussione, perché parlare senza l'opposizione non ha senso. È vero che le domande sono rivolte al ministro, ma personalmente, voglio sentire le opinioni altrui e voglio che siano ascoltate le mie. Ritengo, quindi, che dobbiamo essere tutti presenti al momento della discussione.

DOMENICO DI VIRGILIO. Ancora sull'ordine dei lavori, presidente: richiamando anche ciò che avveniva nelle precedenti legislature, ritengo che la Commissione non possa lavorare a compartimenti stagni. Anch'io sono d'accordo con la collega


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Dioguardi: desidero ascoltare ciò che dice sia la maggioranza sia l'opposizione.

PRESIDENTE. Non era assolutamente mia intenzione precludere tutto ciò...

DOMENICO DI VIRGILIO. Mi sembra, pertanto, una forzatura dire «chi ci può essere bene, gli altri interverranno la volta successiva». Mi associo perciò a quanto proposto dagli altri colleghi: rinviare alla prossima settimana il dibattito, dopo un approfondito esame della relazione del ministro, e con l'impegno di tutti a contenere i tempi, senza comunque contingentamenti, perché nessuno può parlare con la clessidra davanti, al fine di limitare il proprio intervento.

PRESIDENTE. Prendo atto che i gruppi dell'opposizione non sono disponibili, giovedì mattina, a venire in Commissione per due ore, per avviare il dibattito sulla relazione del ministro. Ne terrò conto per le volte successive, anche per assumere i comportamenti conseguenti in altre circostanze.
Apprezzate le circostanze, nel salutare ancora il ministro Bindi, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 14,25.