COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta antimeridiana di marted́ 25 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MIMMO LUCÀ

La seduta comincia alle 11.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del ministro per le politiche per la famiglia, onorevole Rosy Bindi, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro per le politiche per la famiglia, onorevole Rosy Bindi, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ricordo che nella seduta del 18 luglio scorso il ministro ha svolto la sua relazione.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.

LUIGI CANCRINI. Ho ascoltato con piacere la relazione del ministro svolta nella precedente seduta e ho riletto con cura le linee programmatiche contenute nel documento consegnato alla Commissione. Ne ho discusso anche in sede di partito, soprattutto rispetto alla grande questione di principio affrontata all'inizio della relazione.
Credo che l'indicazione costituzionale, relativa alla famiglia, basata sul matrimonio e sulle unioni di fatto, sia giusta ed utile. A mio avviso, se correttamente perseguita, essa potrebbe rendere meno aspre molte polemiche successive. Insomma, voglio dire al ministro che questo impianto, che mi sembra molto serio, è condiviso non solo da me personalmente, ma anche dal mio stesso partito.
Mi sembra, altresì, molto corretto e giusto parlare di un Ministero destinato a valutare l'impatto familiare sulle strategie complessive. Osservato da questo punto di vista, infatti, il Ministero può svolgere un'attività estremamente utile, ragionando insieme, e non cercando di costruirsi spazi particolari, anche se su alcuni punti credo che sarà opportuno o necessario farlo.
Ad ogni modo, considero veramente importante capire che cosa significa per le famiglie ciò che si decide in campi diversi. Valutare l'impatto familiare sulle decisioni che si assumono è un utile elemento correttivo.
Detto questo, vorrei esprimere alcune osservazioni che penso possano essere utili e sulle quali, comunque, avremo modo di tornare.
Credo che il paragrafo della relazione del ministro intitolato «Una famiglia per ogni bambino» affronti correttamente il grande tema delle adozioni internazionali. Nel contempo, tuttavia, ho l'impressione che nello stesso paragrafo non si accenni all'importante problema delle adozioni nazionali che, comunque, continua a sussistere.
Sotto il profilo legislativo ci troviamo di fronte ad una situazione piuttosto complessa, su cui è importante tornare a riflettere. Anche se esistono posizioni leggermente difformi fra i diversi tribunali


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dei minori italiani, certamente l'attuale legislazione propone, rispetto alla declaratoria dello stato di abbandono, alcune posizioni di principio che, a mio avviso, non sono nell'interesse del minore. Mi sembra, infatti, che l'impianto della legge vigente sulle adozioni nazionali sia tutto centrato sul diritto dei genitori ad avere il loro bambino e si concentri poco sul diritto del bambino ad avere una famiglia e delle cure. Tale circostanza esita in una serie di situazioni complesse.
A tale proposito, cito il caso interessante di una bambina della quale non si conosce con esattezza neanche la data di nascita (sembra che abbia cinque o sei mesi), che è stata trovata in braccio ad una donna che stava rubando in un supermercato qui a Roma e della quale, probabilmente, non si troverà mai la vera madre. Ad un certo punto, si è presentata una donna con documenti falsi, per chiedere della bambina. Tuttavia, questa persona è stata vista una volta sola e poi è scomparsa. Ebbene, la bambina adesso ha tre anni e ancora non è stata adottata. Il problema è che, non essendoci una persona a cui notificare, in quanto non si sa chi siano i genitori della bambina, non si può procedere alla dichiarazione di stato d'abbandono.
Ho parlato di questo caso dal momento che si tratta di prassi corrente e il ministro sa quanto fatti del genere siano normali, per così dire.
Anche nel caso di un centro che si occupi di bambini maltrattati o abusati, la declaratoria dello stato di abbandono spesso non si può fare. Infatti, può accadere che intervenga un parente, magari in quarto grado, che dichiara l'intenzione di prendere il bambino con sé, per poi restituirlo. Tuttavia, dobbiamo considerare che si tratta di bambini che hanno subito traumi drammatici e che, andando a vivere presso questi parenti, si troveranno ad affrontare situazioni molto complesse.
Inoltre, sempre a tale proposito, vorrei far presente che è sempre più frequente nel nostro paese l'abitudine di affidare alle madri delle donne tossicodipendenti, quindi alle nonne, i bambini. Così facendo, tuttavia, si agisce in modo assai discutibile ed imprudente; stando alla mia esperienza personale, infatti, per due volte ho visto queste nonne essere arrestate per spaccio. Si rende evidente, dunque, che esiste un problema sul quale dobbiamo riflettere molto approfonditamente.
La famiglia naturale è sicuramente una grande risorsa, ma solo nel momento in cui essa esiste. Con ciò, intendo dire che la famiglia naturale non può essere un principio intorno a cui si assumono decisioni, ma deve costituire una realtà che esiste veramente e che offre cure.
L'altro aspetto della questione, che riguarda anche le adozioni internazionali, si lega al problema dell'età in cui il bambino viene adottato. Credo che il ministro sappia bene che l'età minima del bambino che oggi arriva in Italia da altri paesi si aggira intorno ai 6-7 anni, ma spesso è anche più alta. Ciò è dovuto al fatto che è sempre più difficile che non ci siano richieste in loco, nei paesi da cui i bambini vengono, per i più piccoli. Di conseguenza, si rende necessario tener presente che quelli che arrivano nel nostro paese sono bambini profondamente feriti, che hanno subito abbandoni più e più volte e che hanno vissuto già molti tentativi di affidi familiari falliti. Abbiamo avuto dei casi clamorosi in questo senso e, purtroppo, non sempre hanno l'eco che dovrebbero avere.
Faccio notare che il rifiuto dei bambini già adottati - che si pensa di rimandare nel luogo da cui provengono - non è poi così infrequente ed è dovuto a ragioni che attengono alla loro difficoltà psicologica ed emotiva di adattarsi.
Esistono diverse ricerche in merito. In particolare, in Svezia è stato condotto uno studio sulle adozioni internazionali riviste a distanza di tempo. Tale indagine registra un andamento abbastanza lineare nella vita dei bambini fino all'adolescenza, e successivamente delle grandi crisi a partire da questa età, con una forte probabilità, tre volte più alta rispetto agli altri bambini, di finire in una situazione di devianza criminale o tossicomanica o psichiatrica. Tutti questi aspetti devono essere oggetto di una nostra riflessione. Dobbiamo proporci


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l'idea che quella adottiva è una famiglia che cura il bambino, ma che, per farlo, essa deve essere aiutata e sostenuta.
È necessario, dunque, immaginare provvedimenti di aiuto e di terapia per le famiglie che adottano e che ne facciano richiesta; ovviamente, non le si può obbligare ad accettare tale tipo di aiuto, se non lo vogliono. Tuttavia, da parte nostra è comunque doveroso creare le condizioni necessarie affinché tali famiglie possano ricevere tutto il sostegno di cui hanno bisogno.
Sto affrontando una materia per me molto difficile da trattare, in quanto ho dei figli, uno dei quali è adottivo. Nella relazione con quest'ultimo ho incontrato non poche difficoltà, perché si trattava di un bambino che aveva subito privazioni in tenera età e quando è stato adottato non era più tanto piccolo. D'altro canto, per ragioni sia professionali, sia economiche e sociali, mi rendo conto di essere stato molto fortunato con questo bambino. Tuttavia, le adozioni non avvengono sempre in contesti che consentano di vivere questa esperienza nel migliore dei modi. Io stesso, infatti, nonostante la mia condizione favorevole a cui accennavo prima, ho avuto bisogno di aiuto e ne ha avuto anche questo mio figlio.
Credo che ancora oggi troppo facilmente tendiamo a considerare le adozioni solo come degli atti belli, nobili e semplici. Sicuramente queste caratteristiche esistono, ma dietro ad esse vi sono, oltre al desiderio molto forte di avere questo figlio, difficoltà con cui bisogna confrontarsi.
A mio avviso, in particolare con le organizzazioni che si occupano di adozioni internazionali, sarebbe molto importante chiedere garanzie in merito al modo in cui le famiglie vengono preparate e poi seguite, alla durata di questa fase ed al tipo di rapporto con i servizi territoriali. Inoltre, sarebbe opportuno istituire una struttura ad hoc, come ad esempio un vero e proprio pronto soccorso per famiglie in difficoltà o qualcosa del genere.
Insomma, sento molto forte questa esigenza e la propongo alla vostra attenzione, visto che stiamo affrontando - mi pare - con occhi nuovi una materia difficile. Un altro paragrafo della relazione che mi ha interessato molto è quello che fa riferimento ad una giustizia nuova per una famiglia. Questa tematica è stata affrontata nella scorsa legislatura, con una proposta abbastanza secca, quella di un superamento del tribunale dei minori. Debbo riconoscere che, nel quotidiano del mio lavoro, dico tutto il male possibile del tribunale dei minori, ci litigo spesso e ci troviamo in continue difficoltà. È anche vero, però, che tale tribunale svolge una funzione amministrativa di protezione a mio avviso fondamentale ed ineliminabile. Esso, infatti, ha una capacità di intervento urgente: la procura del tribunale dei minori può intervenire nelle ventiquattro ore, e lo fa.
Al momento, con un centro aiuto, stiamo seguendo un progetto - che è stato finanziato dalla fondazione Vodafone, per fortuna - di supporto alla Procura della Repubblica di Roma. In questo nostro lavoro veniamo a contatto con situazioni incredibili. Si tratta di una realtà difficile, senza dubbio. Tuttavia questo tribunale deve continuare ad esistere, non dico in quanto tale, può anche cambiare nome, ma le funzioni amministrative, svolte insieme da giudici togati e giudici esperti, sono un patrimonio prezioso della nostra cultura.
Semmai, tale struttura va potenziata molto, perché le lentezze, le difficoltà creano impedimenti. A mio avviso, ad esempio, sarebbe opportuno togliere al tribunale dei minori la declaratoria dello stato di abbandono, aspetto che potrebbe appartenere forse ad un ambito più civile, per certi versi. Ad ogni modo, bisogna occuparsi della tutela del minore ed è necessario farlo attraverso questi strumenti rinforzati e migliorati, ma senza rinunciare a quello che abbiamo.
Credo anche che sarebbe molto importante immaginare - ma qualcosa in merito esiste già nella legge n. 38 del 2006 - la figura dell'avvocato, del sostegno del minore. Insomma, sarebbe bene affrontare


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tutti questi temi, anche in sede legale. Comunque, torneremo a parlare di tutti questi aspetti.
Un ulteriore importante problema che a mio avviso dovremmo affrontare, ministro, sul quale nella relazione opportunamente si torna, è quello del garante nazionale. In proposito, sto predisponendo una proposta di legge che riprende molti dei punti contenuti in una proposta Turco-Fassino della legislatura precedente. Esistono ulteriori proposte di legge in questo senso, tra cui mi sembra ve ne sia anche una di un deputato di Alleanza Nazionale. Esiste, dunque, molta voglia di intervenire e di riflettere su questo argomento.
La figura del garante va istituita, credo che sia importante dirlo. Tuttavia, mi chiedo se nel momento in cui esisterà il garante avrà ancora senso tenere attivo l'osservatorio dedicato alla lotta al maltrattamento, al contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e alla tutela dei minori dagli abusi. Dico questo perché, secondo me, dovrebbe trattarsi di una funzione fondamentale del garante, ma potrebbe anche non essere così. Vorrei comunque discuterne, perché avere tanti soggetti che operano in parallelo può diventare abbastanza problematico.
Credo peraltro che questo osservatorio, previsto dalla legge n. 38 del 2006, non sia stato ancora messo in piedi e non penso - dal momento che questo non era specificato chiaramente nel testo della legge - che si sia stabilito presso quale Ministero esso dovrebbe agire. Alla luce di ciò, ritengo importante valutare se tale osservatorio debba essere avviato, per poi essere eventualmente acquisito dal garante, nell'ambito di una visione più ampia.
Aggiungo ancora alcune brevi osservazioni. La prima riguarda il paragrafo della relazione del ministro che tratta della famiglia e del disagio giovanile. Ho cominciato ad occuparmi delle tossicodipendenze nel 1970 e ho sempre lavorato con le famiglie, che credo siano la risorsa fondamentale. Quando incontriamo i genitori di tossicodipendenti, diciamo loro che nessuno può riuscire ad aiutare il loro figlio, se non partecipano loro stessi. Tuttavia, dobbiamo riflettere sulla situazione di fatto, ministro.
Nel caso in cui una persona si trovi in comunità, ad esempio, ciò che viene riconosciuto alla comunità è la retta per il soggiorno all'interno di quella stessa struttura, ma non è previsto nulla per il lavoro che viene svolto con le famiglie. Nei SERT non è possibile portare avanti tale tipo di lavoro con i familiari. Ad ogni modo, mi preme sottolineare che a ciò dobbiamo far seguire qualcosa di molto concreto. In Italia vi sono scuole di terapia familiare che credo siano importanti e che sono autorizzate dal Ministero dell'università.
In definitiva, ritengo che sia possibile svolgere un lavoro molto utile in questo senso, ma dobbiamo essere realisti e renderci conto del fatto che quello terapeutico è un vero e proprio lavoro.
Per quanto riguarda il maltrattamento e l'abuso, nel documento si fa riferimento ad una collaborazione fra l'osservatorio e l'università. Personalmente, vengo dal mondo dall'università, ma devo dire che non vedo luce su queste tematiche in quell'ambito. Invece, mi permetto di segnalare al ministro - spero che anche in Commissione potremo ascoltarne i rappresentanti - l'esistenza di un coordinamento italiano, il CISMAI (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia), che raccoglie attività che si svolgono in tutta Italia. Anche nel sud vi sono esperienze importanti di questo tipo. Tra l'altro, la presidente del CISMAI, in questi anni, è stata una donna di Reggio Calabria. Si tratta di una realtà viva, nata intorno al CBM di Milano, quindi dal lavoro degli allievi di Mara Selvini Palazzoli, di persone come Marinella Malacrea. Parliamo, dunque, di persone impegnate che hanno dedicato una vita a questi temi.
Secondo me, questo è un riferimento rilevante perché fornisce un contributo di tipo clinico e perché mille volte, nelle situazioni concrete che riguardano il minore che subisce abusi e maltrattamenti, è di questo che c'è bisogno. Purtroppo l'università - sarebbe bello se non fosse così -


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da questo punto di vista è debole, non offre moltissimo. Credo, dunque, che il collegamento con tale struttura sarebbe estremamente utile.
Concludo con una osservazione che è anche una domanda. Probabilmente su molte di queste tematiche sarà la Commissione bicamerale per l'infanzia l'interlocutore naturale del ministro, però anche in questa sede dobbiamo riflettere bene sul fatto che una politica per la famiglia deve dare maggiore importanza non ai genitori, ma al bambino.
Da questo punto di vista, anche in termini molto generali, vorrei affrontare il tema dell'assegno per il bebè o per il bambino che cresce. Non credo, infatti, che ci sia bisogno tanto di incentivi economici per fare figli, quanto piuttosto di servizi che aiutino realmente la famiglia. Di questo, peraltro, abbiamo già parlato con riferimento all'asilo nido, alla scuola materna e via dicendo.
Quando a Palermo lavoravamo con le famiglie dei quartieri poveri, accadeva che alcune donne venissero da noi per ricevere i pannolini per i bambini, che tuttavia poi vendevano per acquistare sostanze stupefacenti. Di fronte a fatti del genere, ci si rende conto che offrire un aiuto economico alle famiglie in grande difficoltà è sempre un grande problema. Se invece mettiamo al centro il bambino, possiamo sostenere la famiglia in molti altri modi, senza neanche avere troppa paura di entrare nel nucleo familiare.
La famiglia naturale è un grande valore, tuttavia l'organizzazione sociale deve avere il coraggio e la responsabilità di aiutarla, di sostenerla, ma anche di controllarla. Non sempre, infatti, questo valore si esprime nella giusta direzione.

DONATELLA PORETTI. Innanzitutto saluto il ministro, di cui ho apprezzato molto l'intervento, in particolar modo i riferimenti alla Costituzione.
Un tema fondamentale è quello dei diritti della famiglia. Tutti sappiamo che oggi si può parlare della famiglia, quella riconosciuta dall'articolo 29 della Costituzione, ma sappiamo anche che la realtà che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni ci porta a parlare delle famiglie. Esistono, infatti, più famiglie e più modi di organizzare la famiglia all'interno della nostra società. In questo senso, mi interessa intervenire e portare alla sua attenzione alcune questioni.
La famiglia, non quella di cui all'articolo 29 della Costituzione, comporta una serie di conseguenze che riguardano in particolare i figli, in ragione del fatto di essere una famiglia naturale con figli naturali. Tra l'altro, spesso l'esperienza personale porta a vedere realtà e a capire problemi che forse, se non fossero vissuti sulla propria pelle, non si valuterebbero con altrettanta attenzione. Dico questo perché sono una donna non sposata, che non desidera neanche sposarsi, e che ha una figlia naturale.
Ebbene, rendersi conto che nel 2006 esiste ancora una forte differenza tra un figlio naturale ed uno legittimo è davvero pazzesco. È un fatto che incuriosisce e di cui non ci si riesce a capacitare. Infatti, non capisco perché se decido di non sposarmi - e quindi di non darmi, o di non dare al mio compagno, delle tutele - tale decisione debba incidere sui figli. Peraltro, parliamo di figli che sono comunque riconosciuti da entrambi i genitori, non di figli di nessuno. Eppure, la loro condizione è di gran lunga diversa rispetto a quella dei figli legittimi.
In questa prospettiva, dunque, intendo evidenziare delle lacune che caratterizzano il nostro codice civile. È stata varata la riforma della famiglia nel 1975 ed è stato modificato l'articolo 261 che ha sancito il principio dell'uguaglianza dei diritti tra i figli legittimi e quelli naturali. Ciò nonostante, nel nostro ordinamento esistono differenze, sia per come si assume lo status del figlio, e quindi le azioni relative, sia in materia ereditaria che, come sappiamo, è quella più delicata.
L'articolo 537, terzo comma, ad esempio, prevede un meccanismo dal quale può derivare l'esclusione dei figli naturali dall'eredità, non riconoscendoli come eredi;


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vale a dire che i figli legittimi possono liquidare i figli naturali con un compenso economico.
Sempre nel codice civile, l'articolo 565 non riconosce il rapporto di parentela con i figli naturali. Tale norma, fra l'altro, è stata oggetto di una dichiarazione di incostituzionalità. La Corte costituzionale l'ha modificata in parte, sostenendo tuttavia - come al solito - che compete al legislatore provvedere ad una sua riforma integrale. Ancora oggi i parenti cosiddetti legittimi, fino al sesto grado della successione, prevalgono sui fratelli naturali.
Come dicevo, dunque, le coppie non sposate possono decidere di non darsi dei diritti, ma è pazzesco che le conseguenze di tale decisione ricadano sui figli.
Un'altra questione che considero annosa, e per certi versi anacronistica, riguarda quella parte dell'attuale normativa che regola il criterio di attribuzione del cognome ai figli. In materia si procede per prassi. Nel codice civile, infatti, non è scritto da nessuna parte che il cognome dei figli - parlo di quelli legittimi, nati all'interno del matrimonio - debba essere quello del padre. Tuttavia, lo si desume perché nel capitolato che riguarda i figli naturali si dice che deve essere quello del padre. Quindi, se il padre e la madre riconoscono contestualmente il figlio naturale, va da sé che il cognome diventa quello del padre. Per quanto mi riguarda, per evitare ciò, ho addirittura fatto riconoscere mia figlia in un secondo momento, dopo più di tre mesi dalla sua nascita. È stata senza padre ufficialmente, affinché fosse possibile darle il doppio cognome.
In quest'ottica, è altrettanto assurdo far derivare una prassi per cui, riconoscendo un figlio in un secondo momento, il cognome sia quello della madre, dopodiché, si chiede al tribunale dei minori di aggiungere anche quello del padre. Di solito, tale richiesta viene accettata, ma non è detto, ovviamente, poiché non si è sicuri di quale possa essere la risposta del tribunale.
Questa è una prassi che diventa una norma. Non si capisce, dunque, per quale motivo non debba esistere una legge in materia. Tra l'altro, anche in questo caso, vi sono fior fiori di sentenze della Cassazione - una anche recente - che chiedono proprio al legislatore di intervenire in questo senso. Personalmente, ho presentato una proposta di legge, che ho fatto circolare e che è stata sottoscritta da molti colleghi. Ho notato, inoltre, che sono stati presentati diversi progetti di legge, anche nelle legislature precedenti, ma si resta sempre bloccati allo stesso punto.
Una prassi del genere - quella di attribuire ad un figlio il solo cognome del padre - è abbastanza anacronistica e comporta conseguenze anche per i genitori. Facciamo l'esempio di un padre italiano che, negli Stati Uniti, sposa una donna statunitense dalla quale ha un figlio. Ebbene, quando i coniugi tornano in Italia, il consolato elimina il cognome della madre. In questo modo, il figlio si ritroverà ad avere due cognomi negli Stati Uniti e il solo cognome del padre in Italia. Non si capisce per quale motivo si debba dare alla questione questa impostazione patriarcale che, tra l'altro, non è scritta da nessuna parte, ma solo desunta dalla legge.
Lei, ministro, ha fatto riferimento alle unioni di fatto, un tema annoso che è anche oggetto di dibattito all'interno dell'Unione. A tale proposito, bisognerebbe cercare di capire se i diritti che si intende attribuire alle unioni di fatto saranno norme di diritto privato o pubblico. Del resto, il nodo della questione è tutto qui, vale a dire che delle norme di diritto privato, su cui tutti possono essere d'accordo in teoria, possono poi risultare «abbastanza» inutili. Ad oggi, le coppie di fatto possono già stipulare presso un notaio gli accordi privati che preferiscono. Il problema sorge in relazione a quando e come si intende far intervenire il diritto pubblico; cosa che, in qualche modo, sembra andare contro tutto ciò che ho detto.
Un altro argomento che riguarda la famiglia è quello del divorzio. Anche nella scorsa legislatura si è parlato del divorzio breve. Non so se vogliamo ritornare sulla materia, ma personalmente credo che allungare i tempi spesso porti davvero a


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poco o a nulla. Quando i due coniugi sono d'accordo nel divorziare, se li si obbliga a seguire l'iter attuale li si blocca, si impedisce loro di rifarsi una vita, una famiglia, e il risultato non è altro che l'aumento delle spese legali.
Concludo il mio intervento avanzando una proposta. Lei ha parlato degli asili nido, questione rispetto alla quale, come sappiamo, l'Italia è indietro. Si cerca di attuare politiche per la famiglia. Nella scorsa legislatura in alcuni casi è stata chiesta la restituzione del bonus concesso da Berlusconi ad alcune famiglie di immigrati; per fortuna, sembra invece che sarà possibile lasciarglielo. Ad ogni modo, il problema non consiste tanto nel dare un assegno alle famiglie, quanto piuttosto - come suggeriva il collega prima - nell'agevolarle ad avere dei figli. È necessario, dunque, mettere le coppie, in particolar modo le mamme, nella condizione di avere dei figli e, contemporaneamente, di continuare a lavorare, o svolgere comunque altre attività.
Per quanto riguarda in particolare gli asili nido, a mio avviso un esempio che provenisse dalle istituzioni potrebbe risultare utile. Infatti, al di là delle leggi, degli incentivi, del tentativo di coinvolgere le imprese private, credo che le istituzioni pubbliche per prime dovrebbero dare un esempio che serva anche per il privato. Come sappiamo, alla Camera esiste una questione annosa, vecchissima, sulla quale mi sono documentata: da più di dieci anni l'istituzione della Camera dibatte su come e se avere un asilo nido al proprio interno. Ovviamente, dicendo questo non penso all'utilità che tale struttura potrebbe rivestire per le donne parlamentari - perché in definitiva sarebbe poca cosa -, ma faccio riferimento a tutte le persone che lavorano alla Camera. In questo caso si tratta di grandi numeri, perché il personale della Camera è davvero numeroso.
Chiedo di intervenire al riguardo, perché la richiesta è stata presentata; ho sentito parlare persino di diversi sopralluoghi e consulenze, eppure da più di dieci anni è tutto bloccato. Se di asili nido vogliamo parlare, cominciamo con il dare il buon esempio.

MARIELLA BOCCIARDO. Signor ministro, nella sua relazione lei afferma che in Italia misuriamo il grande ritardo di una politica che, per molti decenni, ha ignorato i ruoli e i bisogni della famiglia. Mi fa piacere notare la sua onestà politica. Non c'è dubbio che i Governi che hanno preceduto il nostro abbiano fatto - come lei afferma - tanta retorica e poca azione di sostanza.
Personalmente, credo che una vera politica di sostegno alla famiglia risalga al 2001, quando si è insediato il Governo Berlusconi. Gli atti compiuti nella scorsa legislatura lo testimoniano. I programmi elettorali della Casa delle libertà addirittura accentuano tali attenzioni. Non voglio elencare tutti i provvedimenti legislativi - lei li conosce benissimo - che sono stati portati avanti. Credo che non vi sia difficoltà a riconoscere che per la prima volta, con il Governo Berlusconi, sia stata attuata una manovra a largo raggio, intervenendo sia sul fronte dello sviluppo economico della famiglia, condizione essenziale per una crescita virtuosa della nostra società, sia sul fronte delle emergenze contingenti, con provvedimenti anche una tantum. Penso, ad esempio, alle detrazioni fiscali per le rette degli asili nido, che in un momento particolarmente difficile di stagnazione economica hanno prodotto un sollievo non da poco.

KATIA ZANOTTI. Solo alle famiglie con un reddito elevato!

MARIELLA BOCCIARDO. Non sono d'accordo.

KATIA ZANOTTI. No, è così!

MARIELLA BOCCIARDO. Come ho detto, non condivido quanto dice, onorevole Zanotti.
Vorrei continuare il mio intervento, sottolineando che non sono d'accordo, quindi, quando il ministro afferma che in


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questi ultimi anni sono state negate a molte famiglie le possibilità e le risorse necessarie per affrontare i bisogni emergenti, quali il disagio, la povertà, l'esclusione sociale, i carichi di cura, la crescita dei figli, l'assistenza agli anziani. Per ognuno di questi bisogni c'è un provvedimento concreto a dimostrare il contrario. Di fatto, la legislazione stessa, in un certo senso, ha creato i livelli essenziali di assistenza sociale.
Mi è difficile capire come sarà possibile definire armonicamente questi livelli quando ad occuparsene saranno due ministeri: il suo e quello della solidarietà sociale (retto dal ministro Ferrero), culturalmente e tradizionalmente tanto distanti l'uno dall'altro.
Ad ogni modo, vorrei soffermarmi su un punto significativo della sua relazione, quello riguardante la tutela della non autosufficienza. Nel suo programma, si prevede l'istituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza. Lo scopo è quello di alleggerire le famiglie dal carico delle cure delle persone non autosufficienti, attraverso un sistema di servizi e di aiuti economici. Non è chiaro se questo fondo sarà di nuova formazione, e quindi se andrà ad arricchire le risorse destinate al welfare familiare, oppure se sarà uno scorporo dal fondo per le politiche sociali. Tenendo conto dei tagli previsti dal DPEF e dalla spesa sociale, temo che probabilmente non sarà né l'uno né l'altro.
Dalle varie audizioni che si sono susseguite è emerso come negli attuali Ministeri vi sia una tendenza a creare fondi economici di settore. Esiste, in sostanza, una volontà di centralizzare il ruolo pubblico nella gestione e nella destinazione delle risorse, sottraendo alle regioni e alle autonomie locali quel potere di indirizzo e intervento che meglio dello Stato si è dimostrato efficace negli ultimi anni. Non c'è dubbio che siano proprio gli enti più vicini ai cittadini a meglio comprenderne i bisogni, che non necessariamente sono uniformi su tutto il territorio nazionale. Una famiglia del sud ha certamente uno stato di disagio e di emergenza diverso da una famiglia del nord.
Per tornare alla tutela della non autosufficienza, mi auguro che si faccia finalmente chiarezza, sia sulla tutela del singolo portatore di handicap, sia sul contesto familiare o sociale, in cui il non autosufficiente vive, o meglio, sopravvive. È importante, ad esempio, superare definitivamente quella barriera che considera soltanto infermieristico il sostegno alle famiglie con portatori di handicap.
Dalle associazioni nasce una richiesta fondamentale, quella di distinguere nettamente il contributo infermieristico da quello assistenziale e di prevedere, per ognuno di questi due filoni, figure professionali adeguate e sostegni differenziati. Sarebbe bene definire meglio, ad esempio, la figura della badante e provvedere, di conseguenza, a modificarne il regolamento di ingresso; cosa che noi stavamo impostando, attraverso una circolare regolamentare del Ministero del lavoro.
Anche su questo fronte, infatti, esiste una vera e propria emergenza. Una cosa è parlare della badante che fa le pulizie di casa; altra cosa è parlare della badante che assiste un infermo. Tale distinzione è stata evidenziata in numerosi convegni e in numerosissimi richiami da parte delle associazioni di volontariato.
Signor ministro, mi auguro che da questo punto di vista vi sia una accelerazione della politica. La non autosufficienza è una sofferenza cronica, non solo del singolo, ma anche di chi deve farsi carico del problema. La famiglia, in questo senso, non è sufficientemente sostenuta. La famiglia attende finalmente chiarezza e concretezza di intervento.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor ministro, bisogna riconoscerle che lei ha svolto un apprezzabile intervento ed ha presentato una relazione molto puntuale, circostanziata e analitica sulle molteplici esigenze e problematiche che oggi riscontriamo nella famiglia. Bisognerebbe, forse, considerare che occorrerebbero due legislature per realizzare questi obiettivi, ma conoscendo in parte la sua capacità e la


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sua testardaggine - in senso buono, logicamente - probabilmente lei riuscirà in questo intento.
Una prima considerazione che mi permetto di esprimere è la seguente. Lei ha un Ministero - purtroppo, dico io - senza portafoglio. Invece, le esigenze e le risorse necessarie per tradurre in realtà quanto da lei puntualmente esposto, e da molte parti condiviso, sono rilevanti. Le chiedo, dunque, se siano quantificabili tali risorse e, in particolare, se lei ritenga di riuscire ad ottenerle per metterle a disposizione del suo dicastero.
La famiglia è al centro di una nuova politica. Personalmente, credo che sia sempre stata al centro delle politiche e che lo sia sempre di più. Parliamo di una famiglia che si è evoluta, che è molto cambiata negli ultimi decenni, nella sua configurazione socio-economica. Si tratta di famiglie non più multipolari, ma unipolari per varie esigenze. Oggi, spesso, nelle famiglie composte da giovani - ma anche da non più giovani - hanno la necessità di lavorare entrambi i genitori. Quindi, ad esempio, il problema sussiste quando all'interno del nucleo familiare vi sia un anziano non più autosufficiente, o vi siano bambini piccoli che non si sa a chi affidare, se portarli all'asilo-nido o meno e via dicendo. Va rivisto senza dubbio, quindi, lo schema globale del modo in cui poter intervenire per sostenere tali famiglie.
Giustamente, lei ha sottolineato che in Italia solo una piccola parte della spesa sociale è dedicata alle famiglie. Mi sembra di ricordare che lei ha citato il dato del 3,8 per cento; una percentuale molto lontana da quella che si applica nel resto dell'Europa. Come pensa che si possa coprire questo gap e in quanto tempo, viste le necessità e il disegno che lei, così acutamente, ci ha presentato?
In secondo luogo, lei ha dedicato molta parte del suo intervento al problema relativo alla definizione delle famiglie o della famiglia. In proposito, ha ricordato che la famiglia - perlomeno io così la intendo, almeno finché non si cambierà la Costituzione - è quella riconosciuta dall'articolo 29 della Carta costituzionale. Innegabilmente, ci troviamo davanti anche a realtà incontestabili, le cosiddette unioni di fatto. Si tratta di condizioni particolari che, però, non possono essere in alcun modo paragonate a quelle previste dalla nostra Costituzione. Pertanto, non possono ricevere le stesse garanzie di cui godono le famiglie, così intese costituzionalmente, anche se, logicamente, occorre intervenire con provvedimenti che possano aiutare anche tali nuclei familiari.
Su un aspetto da lei affrontato vorrei però un chiarimento. Come previsto anche dall'articolo 2 della Costituzione, lei ha parlato di «formazioni sociali», di formazioni particolari. In proposito, richiamando il programma presentato dall'Unione, lei ha affermato che «al fine di definire natura e qualità di un'unione di fatto non è dirimente il genere dei conviventi, né il loro orientamento sessuale». Rispetto tale affermazione, ed è giusto che ognuno sia rispettato nella propria privacy. Mi sembra tuttavia che da queste parole si possa far derivare - e le chiedo se sia questo il suo intendimento - un riconoscimento di tutte le unioni di fatto, sia eterosessuali che omosessuali, che provoca sicuramente delle problematiche, anche all'interno della vostra coalizione, e non soltanto nel Parlamento.
Per quanto mi riguarda, credo che la soluzione per questa innegabile realtà consista in provvedimenti che non possono coinvolgere problemi costituzionali o di diritto pubblico, ma che devono rientrare - a differenza di quanto affermava poco fa la collega Poretti - nell'ambito del diritto privato.
Quanto al problema degli asili nido, su cui lei si è soffermato e che è legato alla trasformazione delle famiglie, senza dubbio vi è una necessità impellente di una loro diffusione e regolamentazione. Del resto, è noto a tutti ciò che succede ogni anno, quando escono i bandi, per cercare un posto per i propri bambini negli asili nido. Lei non lo ha citato, ma il precedente Governo è intervenuto ipotizzando l'apertura di asili nido condominiali, oltre


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a quelli aziendali, portando avanti una collaborazione stretta con gli enti locali.
Certamente, questa problematica va risolta anche in rapporto - anzi quasi in contrappeso - alla questione della denatalità. Mi sembra strano che si chieda di avere un maggior numero di asili nido quando, d'altro canto, sappiamo benissimo che l'Italia è il paese con la maggior denatalità al mondo, anche se gli ultimi dati ci indicano un miglioramento di questo aspetto.
Venendo alla non autosufficienza, lei, signor ministro, conosce l'impegno che ho dedicato nella precedente legislatura a tale tema. Noi abbiamo incardinato un provvedimento, in cui credo si possano individuare delle soluzioni condivise. Considero tale questione come un banco di prova di questo Governo, un impegno ineludibile, atteso da milioni di famiglie.
Da questo punto di vista, voglio svolgere due considerazioni, che ho già espresso in occasione dell'audizione del ministro della salute, Livia Turco. Mi sembra di aver letto in qualche dichiarazione l'intenzione di inglobare nel fondo di solidarietà nazionale per la non autosufficienza anche l'indennità di accompagnamento. Nella precedente legislatura, arrivammo ad un accordo, ad una condivisione dell'opportunità di tener ben separati questi due elementi. Infatti, l'indennità di accompagnamento è una realtà già presente, percepita da moltissime persone e a mio avviso va tenuta distinta dal finanziamento del fondo di solidarietà nazionale.
Voglio anche ricordare, da questo punto di vista, un mio emendamento alla legge finanziaria 2005, che venne approvato e che introduceva la possibilità di dedurre le spese per la badante. Anche se, nella fase iniziale, questa opportunità era stata limitata alle persone che percepivano un reddito fino a 1860 euro - se ben ricordo -, vi era un impegno successivo ad incrementare questa possibilità di deduzione nelle leggi finanziarie successive.
Le chiedo dunque, signor ministro, di tener presente quanto ho appena riferito e di fare in modo che nella prossima finanziaria tale deducibilità venga aumentata. Si tratterebbe così di una politica fiscale a favore delle famiglie, di cui c'è una necessità impellente.
Sempre a tale proposito, mi ha meravigliato - glielo dico onestamente - il suo rifiuto a considerare il quoziente familiare. Lei, infatti, lo ritiene un vantaggio per le famiglie con redditi maggiori, o comunque più ricche. A mio avviso, invece, questo non è vero, perché il provvedimento favorisce le famiglie monoreddito, anche con i redditi più bassi. Le chiedo, pertanto, delucidazioni su questo rifiuto di considerare il quoziente familiare.
Quanto alle adozioni, avrei voluto svolgere alcune osservazioni; tuttavia, dal momento che condivido pienamente quanto detto dal collega Cancrini, non affronterò tale argomento.
Concludo con una breve considerazione sui consultori. Come lei afferma, sia la legge n. 194 che la n. 405 sulla costituzione dei consultori mi sembra che non siano applicate. Visto che lei le considera come un punto di riferimento per le famiglie, le chiedo un impegno, affinché vengano valorizzate entrambe le leggi per gli aspetti relativi ai consultori e affinché siano applicate integralmente. Tali norme, infatti, costituiscono un motivo di sollievo per molte famiglie che, attualmente, non trovano questo sbocco.

GERO GRASSI. La relazione del ministro Bindi è di particolare rilievo perché, a mio parere, fotografa la situazione reale delle famiglie italiane in un paese in evoluzione. Emerge, dunque, il grave problema del trend demografico di una nazione che invecchia e in cui il saldo è negativo; un paese in cui crescono famiglie monoparentali e con anziani a carico.
Il ministro ha chiaramente indicato le priorità programmatiche del Governo, tra le quali il sostegno alla natalità da effettuare non più con interventi spot e una tantum - per ricordare il bonus dei mille euro -, ma con un assegno ai minori; una scelta importante e qualificante per il Governo.


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Un'ulteriore priorità enunciata dal ministro è quella di un riordino complessivo delle tante misure che oggi, a vario titolo, ed in maniera parcellizzata, vengono erogate alle famiglie italiane. In questi anni, il potere di acquisto delle famiglie è stato eroso da una corsa dei prezzi senza controllo, quindi ha fatto bene il ministro a proporre di studiare meccanismi di calcolo dell'inflazione che la rapportino al reale tenore di vita delle famiglie italiane. Un paniere specifico, per le diverse tasche, diventa fondamentale per evitare fenomeni penalizzanti, soprattutto per le fasce più deboli e per i redditi medio-bassi.
Da questo punto di vista, apprezziamo la volontà di rilancio legislativo e funzionale dell'osservatorio delle famiglie, che deve diventare luogo di studio e di elaborazione di proposte finalizzate a sostenere le nostre famiglie. Apprezziamo, altresì, la volontà di istituire un osservatorio nel Mezzogiorno, in un vero spirito federalista, in cui le risposte ai problemi siano articolate in base alle reali esigenze, perché questo per noi è un criterio di giustizia.
Il ministro Bindi si conferma sensibile ed attenta al sud e al Ministero per le politiche per la famiglia e, di fatto, dà l'impronta di un Ministero di sostegno e rilancio per le marginalità del Mezzogiorno d'Italia. Bisogna ricordare che nel Mezzogiorno risiede il 25 per cento delle famiglie povere italiane. È in quelle zone che il disagio è maggiore: nel sud, infatti, si concentra il più alto numero di disoccupati, si registra la grande carenza di lavoro e il minor numero di donne occupate.
Il disagio economico nel Mezzogiorno d'Italia si trasforma in disagio sociale. Parliamo di drammi familiari di fronte alla perdita del lavoro, di situazioni di degrado dalle quali emerge una forte dispersione scolastica, di mancanza di sicurezza e di abbandono delle persone più deboli. Queste sono le emergenze del sud.
Pertanto, è davvero un segno di svolta quello di prestare grande attenzione al Mezzogiorno e alle sue famiglie, perché in questo modo si fa crescere il paese. Da questo punto di vista, l'attività di indirizzo e coordinamento sarà fondamentale anche per altre responsabilità, quali il lavoro e la solidarietà sociale. Il reddito minimo di inserimento deve avere, quindi, una taratura familiare. Guai a considerare povera la persona o la famiglia che ha un reddito inferiore agli 800 euro mensili! Infatti, povera è anche una famiglia di quattro persone, monoreddito, il cui reddito mensile è di 1.200-1.400 euro. Peraltro, quando parliamo di questi input economici, pensiamo all'impiegato pubblico, all'insegnante, al quadro di fabbrica. Insomma, queste sono le nuove povertà. Il Mezzogiorno è pieno di nuove povertà, perché il dislivello tra le famiglie monoreddito e quelle con più redditi, tra Mezzogiorno e nord Italia, è fortemente accentuato.
Il ministro Bindi è stato molto preciso nella sua relazione, anche nel sottolineare la centralità di una misura di sostegno al reddito per le famiglie in difficoltà, che non sia soltanto di tipo assistenzialistico, ma che sia soprattutto, e al contrario, una misura di integrazione e di stimolo al miglioramento sociale dei percettori come leva di riscatto.
Importante è anche la funzione sociale dei consultori, che personalmente interpreto come veri sportelli per la famiglia, non solo per la prevenzione in tema di legge n. 194, ma anche per le altre emergenze che nascono nelle famiglie. Mi riferisco al sostegno morale e psicologico per un adolescente in difficoltà; per un padre che perde il lavoro; per un ragazzo bocciato che vive un disagio e che, qualche volta, ricorre al suicidio; per le donne e per le mamme. I consultori, dunque, devono essere dei centri di prevenzione che possano aiutare a prevenire drammi di cui, purtroppo, le pagine di cronaca sono piene e che avvengono proprio in famiglia.
Quella del ministro Bindi è, inoltre, una relazione dettagliata anche in materia di minori, con riferimento al loro sostegno e alla loro tutela. Da questo punto di vista, è molto apprezzabile l'iniziativa del ministro che, nella lettera inviata al ministro delle comunicazioni Gentiloni, evidenzia la necessità che la televisione ed Internet -


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che è un nuovo strumento - siano finalizzati all'educazione, soprattutto dei ragazzi, e contengano messaggi formativi per le fasce sociali più deboli. Internet e la televisione, infatti, sono spazi senza frontiera e presentano nel rovescio della medaglia una serie di criticità alle quali è bene prestare attenzione.
Concludo il mio intervento ricordando che la pubblicità che interrompe i cartoni animati è un'arma dirompente nella fragilità della famiglia, spesso marginale. Tuttavia, anche la volgarità di certi programmi, di certi spot che entrano nelle nostre abitazioni, produce effetti devastanti. Allo stesso modo, è molto importante effettuare un'accurata attività di vigilanza su Internet, che si collega anche alla rilevanza del contrasto alla pedofilia e alla pedopornografia, che minacciano i nostri figli.
Ben vengano il potenziamento dell'osservatorio nazionale e il rilancio del problema in chiave europea, perché ritengo che le tematiche affrontate non siano racchiudibili nel sistema Italia, né esclusivamente nella nostra nazione. Uno sguardo all'Europa potrebbe indurci a considerare questi fenomeni in una dimensione più ampia di quella che rappresentiamo e, analogamente, potrebbe aiutarci a trovare soluzioni che non siano soltanto italiane, ma soprattutto europee.

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Desidero porgere un saluto affettuoso ed un augurio di buon lavoro al ministro Rosy Bindi, al quale da lungo tempo vanno la mia stima e il mio rispetto per le battaglie coraggiose che, già dagli anni novanta, ha portato avanti, nella compagine parlamentare e governativa, per la tutela dei valori essenziali della nostra società.
Lei, oggi più che mai, si trova ad assolvere un ruolo di grande importanza a difesa dei valori della famiglia che, anche se talvolta viene trascurata ed oscurata, rappresenta il cuore e la base essenziale di una società degna di rispetto e, soprattutto, capace di produrre nuove generazioni sane ed attrezzate ad affrontare i disastri di talune forme di modernismo. Sono convinta che, per carattere ed esperienza, lei sia la persona più adatta a portare avanti strumenti idonei alla difesa e al sostegno della famiglia.
Le trasformazioni subite dalla nostra società impongono interventi urgenti a tutela delle famiglie che vivono in condizioni disagiate e dei minori che, oltre a subire disagi economici e morali, si trovano inseriti in ambienti a rischio, in quanto fanno parte di nuclei i cui genitori hanno grossi problemi di giustizia. Si tratta di situazioni limite, rispetto alle quali però è indispensabile intervenire con urgenza e in maniera veramente incisiva. Sono sicura che tali problemi sono già alla decisa attenzione dell'onorevole ministro. Personalmente, ho molto apprezzato i punti nodali del programma che ella, signor ministro, ha predisposto con passione evidente e con chiara conoscenza delle problematiche e delle priorità.
Non posso non condividere tutto ciò che ha programmato. Inoltre, per quanto riguarda il concetto da lei espresso, secondo cui lo sviluppo economico e la giustizia sociale vanno di pari passo, credo che esso sia assolutamente condivisibile. Personalmente, infatti, considero tali elementi come un connubio scindibile. La creazione di un Ministero apposito per le politiche per la famiglia al centro della propria azione, e le dichiarazioni del ministro secondo cui andrà a fare una politica di ascolto, per poter servire ogni famiglia, oltre alle intelligenti e corpose iniziative che prevede di avviare con il suo programma, sono la conferma della validità della scelta personale fatta per l'assolvimento di questo ruolo.
Ho molto apprezzato l'affermazione relativa all'esigenza di garantire una rete integrata di servizi e di aiuti economici diretti e certi. Inoltre, ancora più fortemente ho riconosciuto il valore del riferimento all'esigenza di valorizzazione della famiglia, come luogo in cui si esprimono gli affetti, la solidarietà tra le generazioni e le responsabilità reciproche.
Plaudo alle sue dichiarazioni ed al suo impegno, per una politica attenta ai diritti


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della persona, all'esigenza di cura e assistenza agli anziani, al desiderio di maternità e paternità, aiutando le donne a non subire il dilemma lacerante tra il desiderio di un figlio e le ambizioni professionali. Ella ha giustamente sottolineato che il risanamento dei conti pubblici è fondamentale, ma non possono certamente essere le famiglie a pagare il prezzo di questo sfascio. Le famiglie hanno bisogno - sono le sue parole - di una politica che garantisca attenzione alla scuola, lavoro per i giovani e le donne, servizi all'infanzia, assistenza domiciliare agli anziani.
Ritengo essenziale il principio secondo cui occorre chiudere la stagione degli interventi una tantum, per porre mano ad azioni strutturali di lunga durata.
Oltre a ciò, lei ha parlato della necessità di prevedere un sostegno economico certo per i bambini e i ragazzi fino alla maggiore età, del rafforzamento dei servizi per l'infanzia, di una legge quadro sulle badanti e di interventi idonei a rispondere alle esigenze di cura degli anziani non autosufficienti.
Insomma, quello da lei presentato è un programma veramente serio e corposo, completo in tutti gli aspetti che interessano le problematiche della famiglia e del suo vasto universo, che mira a valorizzare ogni elemento e a far sì che la famiglia, nel suo complesso, produca ricchezza e contribuisca alla crescita economica del paese.
A questo punto, non posso far altro che augurarle buon lavoro e in bocca al lupo. Noi saremo al suo fianco, per sostenerla nel delicato e difficile compito.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Avrei moltissime considerazioni da esprimere, ma cercherò di essere più sintetica possibile.
Quello che stiamo affrontando è un argomento che, ovviamente, mi sta molto a cuore. Di conseguenza, ho studiato con estrema attenzione la relazione del ministro Bindi, che devo ringraziare per lo sforzo compiuto e per aver presentato un documento ampio e molto approfondito. Credo che sia la prima volta che un ministro si dedica con tanta attenzione alle tematiche che riguardano la famiglia. Alcuni elementi di tale riflessione sono addirittura delle novità storiche. Intendo dire che noi, come società civile, parlavamo da molto tempo di questi aspetti, che tuttavia non erano mai stati scritti in maniera esplicita, e così chiaramente, da un ministro. Questo è sicuramente un merito che va riconosciuto al ministro Rosy Bindi, che anch'io conosco da moltissimi anni, quindi so quale passione mette nello svolgere tale incarico.
Premesso tutto ciò - l'ho detto al ministro Turco, e lo ripeto anche in questa occasione - ci sono delle osservazioni che vorrei esprimere. Del resto, il ministro non è venuto qui per ascoltare un elenco di pregi, elogi e ringraziamenti. Quindi, quella che ho fatto era una doverosa premessa.

PRESIDENTE. Negli organismi di partito si dice: «condivido la relazione del segretario, tuttavia...».

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Non si tratta di «cannonate», ma mi sembra giusto fare alcune obiezioni. Cercherò di essere - lo ripeto - molto rapida nell'esporre ciò che intendo sottolineare.
Quando il ministro parla della categoria dei diritti fondamentali, fa riferimento al diritto di formare la famiglia e di conservarla. In questo, mi trova assolutamente d'accordo. Mi sarebbe piaciuto, tuttavia, che nella categoria dei diritti e delle libertà - ricordo che si parla di libertà - fosse inclusa anche l'educazione. Considero una mancanza non citare anche questo aspetto, perché i genitori hanno il diritto di educare i propri figli come ritengono più opportuno.
Inoltre, avrei gradito leggere nella relazione del ministro anche un riferimento alla libertà di mettere al mondo il numero di figli che si desidera. Infatti, tra le libertà fondamentali, mi sembra importante sottolineare questo tema.
Parlerò in un secondo momento delle coppie di fatto, rispetto alle quali vorrei fare un approfondimento, perché mi interessa


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affrontare prima l'argomento relativo ai livelli essenziali di assistenza. Concordo sul fatto che tali livelli non debbano essere assistenziali, ma promozionali.
Sono d'accordo anche con l'affermazione secondo cui le politiche familiari devono essere integrate, e che non si tratta solamente di quelle di welfare, ma anche di quelle relative al lavoro, al fisco, alla scuola e via discorrendo. Questi aspetti vengono sottolineati da sempre e sono molto importanti.
Tuttavia, nel DPEF questo sembra negato; dovremo vedere poi cosa accadrà con la finanziaria. Dico questo perché ci si riferisce a redditi medio-bassi. In realtà, ho sentito parlare di tetti di reddito molto bassi, non medio-bassi. Questo confina immediatamente ogni iniziativa in questioni di carattere assistenziale e limita ogni intervento all'interno delle politiche di lotta alla povertà.
Sia chiaro, nessuno di noi ha niente in contrario alle politiche di lotta alla povertà ovviamente. Si tratta di priorità e, se la coperta è corta, esse arrivano prima. Stando così le cose, però, queste devono essere definite non politiche familiari, ma di lotta alla povertà, che sono un'altra cosa. Per parlare di politiche familiari, il tetto di reddito deve riguardare una platea più ampia possibile, in quanto tutte le famiglie sono una risorsa e tutte danno un contributo alla società.
Non solo, ma nel DPEF, come ho detto anche ieri in Aula, si parla - ma questa è una dizione equivoca e probabilmente il ministro ci può aiutare a capirla - di assenza di un maggior aggravio per lo Stato. Sembra, dunque, che si debbano attuare tante iniziative, senza che ci sia un investimento da parte dello Stato; sembra che si ricorra a misure che non incidano sul bilancio dello Stato. Se così fosse, però, questo negherebbe tutte le cose positive che il ministro ha detto.
Mi piace l'idea del grande cantiere e delle grandi opere che è stata prospettata - perché veramente si tratterebbe di una grande opera -, ma quando lei parla del fondo nazionale per le politiche familiari fa riferimento a somme molto esigue. Quel fondo non può servire a realizzare neanche una piccolissima struttura, non una grande opera, perché non è sufficiente nemmeno per cominciare. Pertanto, mi auguro davvero che il fondo nazionale per le politiche familiari non sia così esiguo, perché altrimenti sarebbe davvero una presa in giro.
Non vorrei che dalle affermazioni di principio del ministro, che condivido, si passasse poi ad attuazioni di tipo diverso dal momento che mancano le risorse finanziarie necessarie. Se ciò accadesse, la delusione sarebbe ancora maggiore.
A questo proposito, vorrei chiarire - se mi è consentito - il discorso del quoziente familiare, che è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale della Casa delle libertà ed è stato considerato come un modo di impostare il discorso sulle politiche familiari. Come è noto, il fondo per le famiglie ha accettato il quoziente familiare, perché questo è stato praticamente imposto dalle ACLI, che sono una struttura di società civile molto importante. Furono le ACLI, infatti, a scoprire, ad insistere e a lanciare il discorso del quoziente familiare, anche se il forum delle famiglie era molto perplesso. In seguito, la Casa delle libertà ne ha fatto un suo punto di riferimento, ma non è cruciale, nel senso che rimane la filosofia di fondo, ministro.
A questo punto, parlo come esponente di partito. Il problema è culturale ed è a monte. Non si devono prendere i soldi ai cittadini con le tasse e poi restituirglieli con un assegno al figlio, che ritengo confortante, a differenza del collega Cancrini. Le ragioni per cui oggi in Italia non si fanno figli sono la mancanza dei servizi, la difficoltà di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia e il riconoscimento dei carichi familiari.
Secondo i dati ISTAT, nel nostro paese si diventa più poveri del 30-40 per cento se si mette al mondo un figlio. Si tratta quindi di misure urgenti. Tuttavia, una cosa è prendere i soldi ai cittadini e alle famiglie con le tasse, per restituirli con un assegno; altra cosa è lasciare queste


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somme alle famiglie con deduzioni consistenti. Si tratta di una filosofia di tipo diverso. Lasciare i soldi alla famiglia significa che le somme spese per crescere i figli non devono essere disponibili per le tasse. Quei soldi devono essere considerati fuori voce, fuori dal bilancio familiare, non devono essere tassati, perché sono già stati investiti. Mentre una persona può decidere di comprare una barca o di fare dei viaggi con quelle somme, io potrei decidere di investirle sui miei figli, senza pagarci le tasse.
Questa è la filosofia che contesto: non quella del ministro, ma quella di tutto il programma dell'Unione che, evidentemente, è stato condiviso e che è contenuto nella legge finanziaria e nel DPEF. Si tratta, quindi, di un discorso di fondo, con l'aggiunta - diciamo noi - di prevedere la tassa negativa per gli incapienti. È chiaro che deve essere prestata un'attenzione particolare agli incapienti, ma questi, comunque, ricadono nella no tax area e quindi già non pagano le tasse.
Pertanto, concordiamo sulla necessità di una riunificazione degli strumenti monetari. È giusto, infatti, che tutti questi rivoli che si perdono in mille direzioni vengano riuniti in un'unica misura importante e significativa. Allo stesso modo, siamo favorevoli agli interventi strutturali, ma, a nostro avviso, è bene lasciare i soldi alle famiglie.
Per quanto riguarda gli asili, ministro, la invito a prendere in considerazione anche quelli gestiti dal privato sociale; non esistono solo gli asili pubblici. È giusto, quindi, incrementare gli asili pubblici, ma tenendo presente anche che vi sono tante famiglie, cooperative e realtà che fanno rete e che erogano servizi.
In merito ai consultori, è molto importante rimettere mano a queste realtà. Superiamo gli steccati ideologici, cerchiamo di essere concreti e molto sereni nel dire le cose. Insomma, assumiamo un atteggiamento costruttivo.
La legge n. 194 prevede la presenza delle associazioni di volontariato. Queste ultime non sono le guardie svizzere della campagna elettorale andata avanti a suon di sciabolate, ma sono associazioni accreditate e rigorosamente valutate. Dobbiamo considerare, inoltre, che i consultori devono avere, giustamente, un ruolo anche con questi volontari.
Per quanto ci riguarda, comunque, presenteremo una proposta di legge secondo cui i consultori hanno un ruolo sociale e devono rispondere al Ministero che si occupa del sociale, o perlomeno non devono essere di esclusiva competenza del Ministero della salute. Se così fosse, infatti, si finirebbe per sanitarizzare un discorso che, invece, deve essere considerato di tipo sociale.
A nostro avviso, inoltre, i consultori non dovrebbero essere più il luogo dove si rilascia il certificato di aborto, ma strutture alle quali ci si rivolge per fare dei colloqui e per essere accompagnate in questa difficile decisione. La solitudine delle donne che abortiscono, infatti, mi mette davvero ansia, mi crea problemi di coscienza.
Lei, ministro, presuppone l'istituzione di un tavolo con i sindacati, per risolvere il problema del lavoro di cura, della non autosufficienza e via dicendo. A tale proposito, tuttavia, le vorrei suggerire che esistono le associazioni familiari. Intendo dire che la tutela, la promozione e la corretta interpretazione delle politiche familiari vengono molto più dalle famiglie, che queste realtà le vivono, che non dai sindacati - con tutto il rispetto per questi ultimi - che hanno compiti specifici e una loro mission. Le associazioni familiari, dunque, dovrebbero davvero entrare in tutti i possibili ambiti di attività del suo Ministero.
Quanto al problema delle adozioni internazionali, sottolineo che si tratta di un tema gravissimo. Come lei sa, infatti, stiamo vivendo una situazione di stallo: non si va più avanti: le pratiche sono e rimarranno ferme per mesi. Nel frattempo, centinaia di famiglie ci telefonano per avere risposte. La situazione della Russia, e non solo quella, è bloccata. Intanto, i paesi abbassano l'età dei genitori che possono presentare richiesta di adozione,


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con l'aggravante che c'è una sorta di mercato, un business che - è poco elegante dirlo - va denunciato.
Il Perù, ad esempio, ha abbassato l'età dei genitori a 33 anni; noi l'abbiamo innalzata con l'ultima legge, mentre in molti altri paesi, come la Moldavia, viene ridotta. Si tratta di una filosofia anche condivisibile, ma bisogna mettere seriamente le mani sul problema delle adozioni internazionali. Anche a questo riguardo, occorre sbloccare la situazione di mercato, perché è veramente seria.
Ci troviamo inoltre d'accordo sull'istituzione del giudice specializzato. Tuttavia, faccio presente, signor ministro, che va rivisto tutto il sistema, compreso il tribunale dei minori. Bisogna affrontare la questione dei tribunali ordinari per alcune materie, e specializzati per altre, o comunque con una disposizione a macchia di leopardo nel territorio. Non si può assolutamente andare avanti in questo modo. Da parte nostra, saremo certamente disposti a darvi una mano, perché il sistema è assolutamente inadeguato, e lei ha ragione a ribadirlo. Tuttavia, è necessario rivedere la situazione nel suo complesso. Non possiamo commettere l'errore di affrontare la questione in maniera frammentaria, perché in questo modo si creerebbe un problema grave.
L'ISE è iniquo, signor ministro, e va rivisto, perché per le famiglie numerose in particolare è penalizzante. Peraltro, sono stati condotti anche degli studi in questa direzione. Lo stesso reddito minimo di inserimento - che lei ha richiamato - come sa, è stato oggetto di grandi abusi. Infatti, se esso non viene erogato correttamente, diventa una sorta di assegno e le famiglie che lo percepiscono rimangono povere, passive e assistite per tutta la vita. Tali nuclei familiari non usciranno dalle sacche della povertà se manca un sistema di scambio, e rimarranno in una condizione di indigenza, di passività più che altro, che è assolutamente negativa.
Personalmente, ma anche a nome di coloro che rappresento in questa sede, manifesto la mia contrarietà al garante per l'infanzia. So che tale figura esiste in altri paesi e so che il ministro Livia Turco la richiamava diversi anni fa (ho visto anche la sua articolazione). Tuttavia vi invito a fare attenzione, perché il rischio di bypassare i genitori è grande. Culturalmente, infatti, è possibile che passi un'idea del genere. In alcuni documenti internazionali, ad esempio, si legge che i diritti dei bambini si devono accogliere e devono essere presi in considerazione. Ma io domando: da chi? Questa formula impersonale a chi si riferisce? Il garante per l'infanzia si pone contro qualcuno, con qualcuno o per qualcuno? Questo discorso va chiarito bene, perché i primi educatori dei figli sono i genitori. La famiglia viene prima dello Stato. Lei, ministro, questo lo sa; non devo darle lezioni in tal senso. Tuttavia, vorrei che lei effettuasse uno studio di fattibilità in merito, perché la faccenda mi preoccupa ed è molto delicata.
Nel quadro che lei ha tracciato, ho trovato molto giusto - perché è la prima volta che lo sento dire - il fatto di incrociare tanti Ministeri: del sociale, della sanità, delle politiche giovanili e quant'altro. Tra l'altro, rientrano nella sua competenza anche le adozioni internazionali, che sono state tolte dall'ambito delle pari opportunità. Nella scorsa legislatura, infatti, la situazione era terrificante.
In questa prospettiva, manca il settore del rapporto tra famiglia e media, non perché lei debba invadere il campo del suo collega, ma perché credo che si tratti di una relazione molto importante.
Quanto al coinvolgimento di tutti i Ministeri per portare avanti i suoi obiettivi, le dico fin da ora che si tratterà di un gran lavoro. Lei è un ministro senza portafoglio, ma in compenso ha tanta grinta. Spero che le diano i fondi necessari, perché, per come stanno le cose al momento attuale, la situazione non mi sembra delle migliori. Il suo è un programma certamente importante ed ambizioso. Non credo che bastino cinque anni, per mettere in campo tutte le iniziative di cui lei ha parlato. Per quanto mi riguarda,


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le auguro di riuscire a raggiungere tutti i suoi obiettivi, ma credo che sia estremamente difficile.
L'ultima critica che le rivolgo riguarda un tipo di mentalità che sottende alla sua relazione, forse troppo centralista. Lei, infatti, richiama sempre tutto ciò che lo Stato, la Repubblica, le istituzioni, gli enti locali (insomma, tutto ciò che rappresenta il settore del pubblico) devono fare. Tuttavia, mi piacerebbe un'apertura nel riconoscere che si erogano servizi e si fa un lavoro socialmente utile anche nell'ambito del privato sociale, da parte delle associazioni e delle famiglie.
Peraltro, un Ministero come il suo deve mettere le famiglie in condizione di svolgere i propri compiti e deve richiamarle ai loro obblighi. Ribadisco pertanto l'auspicio di una maggiore apertura verso le famiglie e il privato sociale, che mi aspettavo di trovare espressa in modo più incisivo nella sua relazione.
La ringrazio e le auguro buon lavoro.

KATIA ZANOTTI. Voglio condividere con l'onorevole Santolini l'apprezzamento per la relazione che il ministro Bindi ha esposto alla nostra Commissione. Parlo di apprezzamento, perché quello che il ministro ha svolto è un discorso molto organico, che ricompone un quadro non solo di analisi, ma anche di proposte, di politiche che abbiamo sperimentato, che soprattutto negli anni precedenti si presentava molto frantumato. Il ministro Bindi, invece, ha tratteggiato un quadro organico, ha compiuto un'analisi molto precisa, sulla base della quale costruire le proposte e le politiche.
Personalmente poi, apprezzo molto anche il tono della discussione che si è sviluppata su questo tema in Commissione. Mi piace interloquire con le colleghe e i colleghi dell'opposizione, perché credo che quello della famiglia sia un tema sul quale è concentrata l'attenzione di tutti noi, dimostrata in varie circostanze. A tale proposito, ritengo che il parametro del benessere della famiglia senza dubbio sia uno degli esempi di civiltà nelle politiche di innovazione di un paese. Pertanto, assumere la famiglia e le famiglie come punto di riferimento credo sia un'innovazione molto forte.
Occorre tuttavia chiedersi a quale famiglia ci riferiamo. Il ministro stesso ha sottolineato questo aspetto nella sua relazione. Per quanto mi riguarda, concordo sul fatto che il riferimento che dobbiamo avere è quello della normalità della famiglia, nella sua quotidianità, nella pesantezza della vita di tutti i giorni. Occorre tener presente che si tratta di famiglie modificate, che si sono rimpicciolite, che non godono di una estesa rete parentale di sostegno, che sono - la tabella che ci ha fornito il ministro è molto chiara in proposito - monogenitoriali e che vivono al loro interno situazioni di lacerazione e di ricomposizione. Insomma, una novità della famiglia è che essa richiede sostegno, riconoscimento e anche interventi forti al riguardo. Tuttavia, tali interventi vanno intesi a sostegno di questa normalità. Non c'è una patologia familiare, quanto piuttosto una normalità della famiglia che va riconosciuta e sostenuta.
Da questo punto di vista, ministro Bindi, ho molto apprezzato anche le prime pagine della sua relazione, quelle che fanno riferimento alla nota contrapposizione tra il riconoscimento dei diritti della famiglia e quelli dei singoli che si trovano al suo interno. Questa è stata una discussione che ha segnato, in questi anni, il nostro dibattito, e che ha persino piegato alcune politiche in tale direzione. A tal proposito, condivido totalmente la ricomposizione del tema, così come è stata presentata nella relazione.
In questo senso, dunque, dico che bisogna dare sostegno alla famiglia, per il ruolo che essa svolge spesso in assenza di servizi. Dobbiamo riconoscerlo. Mi rivolgo in particolare alla collega Bocciardo, alla quale faccio notare che la politica per le famiglie non è stata avviata esattamente dal 2001. Anzi, personalmente sostengo esattamente il contrario, ossia che l'abbandono di una politica per le famiglie ha avuto inizio esattamente dal 2001. In questi cinque anni, infatti - è una piccola parentesi -, abbiamo conosciuto il nulla in


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questo campo. È stato erogato qualche bonus una tantum e si è dato corso ad una disparità di trattamento per i nidi aziendali.
Le prime leggi finanziarie parlavano solo di nidi aziendali, poi è intervenuta una correzione nella finanziaria del 2005. Tuttavia, si è trattato di un intervento sulle detrazioni fiscali una tantum. Non ricordo bene a quanto ammontava la cifra...

PRESIDENTE. Erano 132 euro l'anno.

KATIA ZANOTTI. Il dato mi serviva semplicemente perché dà la percezione di abbandono, piuttosto che di intervento a sostegno delle famiglie. Voglio ricordare in questo senso il totale disinvestimento per quanto riguarda la rete dei servizi. Mi riferisco, in particolare, alla rete degli asili nido che, come sappiamo - vengo dall'Emilia - sono uno dei punti su cui si è costruita la cultura dei servizi per l'infanzia. In giro per il paese, tale rete è molto disomogenea, perché la stessa realtà del paese è tale.
Pertanto, ministro, condivido tale ricomposizione. Aggiungo che a mio parere all'interno di questo processo stona enormemente il fatto che - lo cito come esempio - la regione Lombardia conceda i computer agli adolescenti disabili. Il problema è che il computer viene dato non all'adolescente in difficoltà, ma alla famiglia. Intendo dire che, anche negli interventi a sostegno, senza dubbio va affermata la titolarità dei diritti del singolo. In questo caso, dunque, parliamo di un adolescente che vive una situazione di disabilità e di disagio e che ha il diritto ad avere il computer. Ebbene, il diritto del singolo non può essere negato a favore di quello del nucleo familiare.
Come dicevo in precedenza, in questo sostegno alla normalità, una novità, contenuta nella relazione del ministro Bindi, è rappresentata dal riferimento ai livelli essenziali di assistenza alla famiglia. Anch'io intendo questi interventi come promozionali. Tutta l'impostazione degli interventi e delle politiche, infatti, è concepita in senso promozionale e di sostegno reale.
Questa novità, dunque, rende molto cogente il tema degli interventi, perché sottolinea il fatto che per riconoscere i livelli essenziali di assistenza è necessario disporre delle risorse finanziarie in quantità tale che questo riconoscimento venga reso davvero praticabile.
A questo riguardo, voglio introdurre un elemento di interlocuzione con l'onorevole Capitanio Santolini, proprio relativamente alla questione delle risorse e al modo in cui ricavare, in una situazione disastrosa dal punto di vista dei conti pubblici, le risorse necessarie per dare risposte davvero efficaci e cogenti, in termini di riconoscimento del bisogno.
Da questo punto di vista, onorevole Capitanio Santolini, condivido l'analisi da lei svolta sulle difficoltà delle famiglie che la porta a dire, appunto, che il calo della natalità è dato dalla mancanza di servizi, dalle situazioni di reddito, dall'impoverimento delle famiglie e via dicendo. Tuttavia, ciò che mi allontana dalla sua valutazione è esattamente l'affermazione che lei ha aggiunto a conclusione del suo ragionamento, vale a dire il fatto che, a suo parere, i soldi vanno lasciati alle famiglie, perché queste ultime hanno già investito tali somme per crescere i figli. Personalmente, vedo la questione in un altro modo. Come è ovvio, poi, potremo discuterne per tutto il tempo necessario.
Ad ogni modo, per quel che mi riguarda, penso che la leva della fiscalità generale sia di straordinaria rilevanza, in termini di redistribuzione. Tale leva nel modello scandinavo, ad esempio, è stata essenziale per garantire un ampliamento dei servizi a favore delle donne, soprattutto di quelle con figli. Ho usato il termine «essenziale» perché, attraverso la fiscalità generale, in quel paese, è aumentata la costruzione della rete dei servizi a sostegno dell'infanzia e degli anziani; si sono create maggiori opportunità di lavoro, soprattutto alle donne; si è costruita una ricaduta sui consumi molto più favorevole e, soprattutto, le donne sono riuscite a fare più figli.
Insisto su questo aspetto, perché ritengo che in una situazione economica


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come quella delineata dal DPEF abbiamo bisogno di effettuare interventi più coraggiosi, ma non ci sono le risorse necessarie. Quindi, ragionare su come reperirle sarà, naturalmente, oggetto di discussione, non solo in riferimento al DPEF, ma anche nella prossima legge finanziaria.
In ogni caso, il tema che ci riguarda ha a che fare, appunto, con la sostenibilità di politiche alle quali tutti crediamo con molta convinzione.
Faccio un altro riferimento, ministro, ad alcune delle sue proposte. Lei ha parlato della rete dei consultori e del suo ampliamento. Credo che, come lei stessa afferma, riguardo alla rete dei consultori e alla loro trasformazione in veri e propri centri di riferimento per le famiglie - con tutte le problematiche che in questi luoghi possono trovare sostegno e risposta - le esperienze in campo ci possano aiutare a ragionare, in termini di riconoscimento delle reti informali di sostegno.
Esiste una realtà nazionale che non fa solo riferimento al servizio pubblico, ma che riconosce anche una realtà diffusa di reti informali. Credo, dunque, che delle politiche pubbliche dovrebbero intervenire, per riconoscere queste reti informali e anche, se possibile, per sostenerle in termini finanziari ed economici. Riconoscere e dare attenzione alle realtà informali che si sono prodotte, ad esempio, intorno all'esperienza dei centri famiglia, mi pare che potrebbe essere molto importante.
A proposito dei consultori - sempre per interloquire con la collega Capitanio Santolini -, vorrei osservare che l'analisi effettuata e confermata dalle audizioni che abbiamo tenuto, in riferimento alla legge n. 194, a conclusione della precedente legislatura, ha dimostrato che i consultori non sono degli abortifici e non fanno prevalentemente certificazioni per l'interruzione volontaria di gravidanza. Tale certificazione, infatti, viene prodotta all'interno dei consultori in una percentuale che si aggira attorno al 30 per cento.
Aggiungo, sempre rivolgendomi all'onorevole Santolini, che sulla questione del riconoscimento del ruolo delle associazioni di volontariato all'interno dei consultori ho un'opinione radicalmente diversa dalla sua. Ritengo che la realtà del volontariato sia una grande ricchezza che, tuttavia, deve essere valorizzata e resa spendibile in un rapporto con il pubblico.
Credo che non ci sia bisogno che il volontariato si trovi all'interno del consultorio per intervenire a sostegno di quelle donne che, magari a causa di difficoltà economiche, sono costrette a ricorrere all'aborto. Penso che come riferimento ci sia il sistema pubblico, i servizi sociali che si avvalgono delle ricche realtà di volontariato, di no profit, di associazionismo che stanno nei territori e che possono trovare, in un coordinamento con il sistema pubblico, molte opportunità per assicurare un sostegno alle donne in difficoltà.
Questa è la mia opinione, perché la discussione in materia è stata lunga e, purtroppo, nel corso del tempo ci siamo resi conto che spesso la logica del volontariato all'interno dei consultori era legata ad interventi dissuasivi, piuttosto che ad un reale sostegno alle donne in difficoltà.
Noto che nella relazione è riproposto il tema della conciliazione. Credo che sia un aspetto molto importante, soprattutto in un paese in cui la cultura della conciliazione è decisamente arretrata rispetto al resto dell'Europa. Condivido le proposte di modifica e di ulteriore rafforzamento della legge sui congedi parentali. Mi verrebbe da dire a Rosy Bindi che bisognerebbe seguire il modello scandinavo, secondo cui il congedo parentale viene utilizzato anche dal padre e si estende alla madre. In realtà, ci vorrebbe una forzatura per introdurre un elemento di cultura che stenta molto a diffondersi nel nostro paese, dove sono ancora le donne a fare ricorso al congedo parentale.
Insomma, bisogna iniettare in qualche modo una cultura della condivisione degli impegni di cura. Pertanto, rendere vincolante anche per il padre, in determinate fasi, l'uso del congedo parentale sarebbe un modo per costringerlo a fare i conti con il tema della condivisione dei compiti di cura.


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Un altro tema che voglio sollevare è quello della non autosufficienza. Credo che in proposito sarà molto importante avere un'interlocuzione con il Governo e con il ministro Rosy Bindi, dopo aver incardinato la legge istitutiva del fondo sulla non autosufficienza in Commissione. In quest'ottica, sarà importante anche raccogliere gli anni di importante lavoro svolto nella precedente legislatura con la stessa Rosy Bindi protagonista, insieme a tanti altri. La relazione del ministro contiene il riferimento ad un aspetto particolarmente calzante della questione, quello del riconoscimento degli assistenti familiari.
Tale elemento è particolarmente rilevante, perché rappresenta la risposta privata ai buchi clamorosi - l'abbiamo sempre detto - del nostro sistema di welfare. È molto importante presentare una proposta di legge in merito al tema degli assistenti familiari. È altresì importante riconoscere a queste donne, soprattutto migranti, dei diritti.
Dico questo anche perché stiamo vivendo una fase di movimento rispetto alle quote, alla possibilità di riconoscimento e di regolarizzazione: mi riferisco alla riapertura del ministro Ferrero e via dicendo. Insomma, ci sono delle donne, anche nella quotidianità di questi giorni, che non possono andare in ferie e ricongiungersi con i loro figli (che magari da anni non riescono a vedere), perché vige ancora un meccanismo di politiche migratorie che non riconosce a queste donne tale diritto.
Pertanto, facendo i conti con una realtà molto corposa di donne migranti, credo che una proposta di legge sugli assistenti familiari si renda necessaria. Inoltre, è necessario porre attenzione a queste donne e svolgere un ragionamento sulla loro condizione, sui loro diritti, da ricomprendere all'interno della legge.
Concludo il mio intervento con questa considerazione, ringraziando ancora una volta il ministro Rosy Bindi per il lavoro organico che ci ha presentato in Commissione.

DANIELA DIOGUARDI. Condivido anch'io l'impianto molto concreto che emerge da questo programma: grande attenzione alla realtà e ricerca effettiva di rimedi efficaci. Non a caso, grande spazio viene dato al problema della maternità. È chiaro che la famiglia, senza la maternità, non esisterebbe. Ritengo che sia giunto il tempo - me lo auguro - in cui dalla retorica e dall'«aria fritta» sulla famiglia e soprattutto sulla maternità, si passi ad un'attenzione vera, facendo diventare la maternità, come ho detto già altre volte, uno dei punti di riferimento centrali non solo della politica della famiglia, ma di una buona parte della politica italiana.
D'altronde, molti temi si intrecciano e noi pensiamo, ad esempio, al problema del lavoro. Giustissime le osservazioni espresse al riguardo dalla ministra, ma se non si supererà la legge n. 30, è chiaro che la questione della precarietà continuerà a costituire di fatto un impedimento alla maternità.
Quello che noi nel 2006, dopo tante battaglie, dovremmo assicurare alle donne è la libertà di essere o non essere madri. Non sono tra quanti ritengono che la scelta di non mettere al mondo dei figli dipenda soltanto da situazioni di difficoltà: oggi si tratta, in alcuni casi, di una scelta libera. Tuttavia non è così per la maggior parte delle persone. Intendo dire che, ancora oggi, una donna non può decidere liberamente, a causa di condizionamenti fortissimi, sia in un senso che nell'altro: da un lato, la maternità vissuta come destino, con i conseguenti accanimenti relativi alla procreazione; dall'altro, l'impossibilità di diventare madri, per mancanza di mezzi (lavoro, casa, e via dicendo). Penso, allora, che si potrebbero studiare delle possibili soluzioni.
Ad esempio, rispetto al lavoro e alla precarietà, non potremmo prevedere che la gravidanza diventi un impedimento per qualsiasi forma di licenziamento? Volendo, si potrebbe percorrere questa, ma anche altre strade.
Sono d'accordo sul problema dei congedi, rispetto al quale dobbiamo fare molto di più. Vengo dal mondo della


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scuola e so bene che sono previsti solo tre giorni, in un anno, in cui una donna può assentarsi per motivi di famiglia. Immaginiamo una donna con bambini piccoli che si ammalano spesso (non so perché, ormai, i bambini si ammalano con una frequenza eccessiva, forse è un problema ambientale): diventa davvero complicatissimo, per questa donna, gestire la famiglia e il lavoro. A questo punto, non c'è alcuna possibilità di scelta. In una società che è andata avanti, non c'è più - e giustamente - l'idea del sacrificio di sé, che prima faceva sì che le donne, nonostante tutto, nonostante le difficoltà, si immolassero sull'altare della famiglia (non so se con effetti negativi o positivi sulla crescita della famiglia stessa).
Mi fa molto piacere che si dica - così finalmente sgombriamo il campo da equivoci e da tendenze a ripristinare il passato, che purtroppo ritornano frequentemente nella storia italiana - che il lavoro non è di impedimento rispetto alla maternità e che il problema non è l'egoismo femminile, ma sono le difficoltà vere.
Insisto molto sulla maternità e sul benessere femminile per senso di realtà e su questo mi piacerebbe continuare a interloquire anche con il collega Cancrini. Credo che il benessere dei bambini sia strettamente collegato a quello della madre; in assenza di benessere materno, non c'è alcun benessere per i bambini. Personalmente sono molto attenta alla realtà e cerco di confrontare con essa le mie idee. Ebbene, sono convinta che le famiglie si reggono sulla donna. Senza il lavoro di cura enorme svolto dalle donne - un lavoro non retribuito, né probabilmente lo si potrebbe retribuire, in quanto se si dovessero fare dei calcoli i costi risulterebbero davvero esosi - la famiglia non esisterebbe. Credo, quindi, che grande attenzione debba essere rivolta, all'interno della famiglia, alla donna e al suo benessere.
Sono perfettamente d'accordo sulla legge quadro per gli assistenti familiari. Purtroppo, poiché si è deciso che il lavoro di cura è meno importante rispetto ad altri, si trascura il grandissimo lavoro svolto dagli assistenti familiari. Del resto, basti pensare alle immigrate e a come dovremmo ringraziarle per il lavoro che svolgono in questo ambito. Molta parte dell'emancipazione delle donne in Italia è avvenuta sulla pelle delle migranti. Ovviamente è un lavoro che svolgono anche per una loro esigenza, quindi è uno scambio, ma comunque va riconosciuto il loro prezioso ruolo. L'idea di una legge quadro, dunque, su questa materia mi sembra davvero condivisibile.
Qui si inserisce anche il discorso sul cognome, al quale accennava prima la collega, sul quale sono perfettamente d'accordo. Ritengo che il cognome dovrebbe essere, per via naturale, quello della madre, ma comunque capisco di essere troppo in avanti su questo tema, dunque la mia rimane soltanto una provocazione.
Mi chiedo dove prendiamo le risorse per garantire i livelli essenziali per la famiglia. Al riguardo, consentitemi un'altra provocazione, sulla quale però vorrei che si continuasse a riflettere, non avendo avuto io stessa il tempo di approfondirla. Dal momento che credo che gli uomini costino molto di più alla collettività - pensiamo, ad esempio, alla giustizia - rispetto alle donne...

PRESIDENTE. Onerosità di genere...!

DANIELA DIOGUARDI. Ridete pure, ma questo è un fatto concreto. È vero che le donne vivono di più, ma svolgono un enorme lavoro di cura. Si potrebbe dunque pensare ad una tassa, anche simbolica, i cui proventi potrebbero essere destinati ai livelli essenziali per la famiglia.
Per quanto riguarda la casa e il problema delle giovani coppie, non si potrebbe pensare, ad esempio, a forme di detrazione fiscale per gli affitti? Questa, a mio avviso, potrebbe essere una maniera per contribuire a combattere l'evasione ed agevolare le giovani coppie.
In merito all'assistenza, si parlava - credo lo abbia fatto la collega Capitanio Santolini - di un'assistenza che deve essere finalizzata ad una produttività. È chiaro che, in linea generale, deve essere


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così, ma fermo restando che ci sono livelli di assistenza non correggibili, non modificabili. Intendo dire che nella nostra società esiste una situazione di disagio di cui dobbiamo farci carico.
Quanto agli asili nido, in Sicilia si può parlare di vero e proprio dramma, indipendentemente dal discorso del pubblico e del privato. Avrei delle perplessità - quindi mi piacerebbe discutere di più sull'argomento - sull'opportunità di prevedere asili nido in ogni luogo di lavoro. Mi sembrerebbe, questa, una maniera di dividere, di allontanare. A mio parere, invece, dovrebbero esserci buoni asili nido nei quartieri, in cui si incontrano, fin dalla più tenera età, bambini di provenienza diversa. L'idea di prevedere asili nido all'interno dei singoli luoghi di lavoro mi fa venire alla mente il rischio che i bambini crescano in un ambiente chiuso. Su questo, dunque, avrei delle perplessità.
Naturalmente, sono favorevole alla costruzione di questi asili, anche perché l'età in cui i bambini apprendono di più è proprio quella dei primissimi anni di vita.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Nelle aziende c'è di più!

DANIELA DIOGUARDI. Ho qualche perplessità, ma se ne potrebbe anche discutere.
Prima di concludere, vorrei porre una domanda - forse la competenza, in questo caso, è del ministro per le pari opportunità - sul problema della violenza in famiglia, quindi della violenza nei confronti delle donne. È davvero allarmante che la prima causa di morte per le donne in Italia sia la violenza, soprattutto considerando che la maggior parte di queste violenze si consuma all'interno delle famiglie. Credo che questo problema dovrebbe essere affrontato e che, così come la Spagna, anche l'Italia dovrebbe dotarsi di un piano nazionale contro la violenza nei confronti delle donne.
Infine, ho letto sui giornali - spero di avere una smentita da parte della ministra - dell'aumento dell'età pensionabile per le donne e sono assolutamente contraria a questa ipotesi, innanzitutto perché credo che le donne diano moltissimo alla collettività, e si tratta per la maggior parte di lavoro non retribuito. Il fatto che vivono di più, dunque, non significa nulla rispetto alla mole di lavoro che le donne assicurano - assicuriamo - alla società. In secondo luogo - lo dico con una battuta, ma battuta non è - no poll, no tax: i coloni americani sostenevano che, non potendo essere eletti, non dovessero neppure essere tassati. Poiché ancora oggi, nonostante tutto, le istituzioni vedono una presenza davvero vergognosa - quasi nulla - di donne, credo che di tale questione si potrà parlare quando alla Camera ci sarà un numero di donne adeguato alla popolazione femminile.

MASSIMO GARAVAGLIA. Innanzitutto vorrei ringraziare il ministro Bindi per la chiarezza dell'esposizione e per il contenuto e lo spessore della relazione. Devo dire onestamente che, rispetto ad altre relazioni che abbiamo avuto modo di ascoltare, da quella del ministro traspaiono un impegno e la volontà di fare un buon lavoro sulla famiglia e per la famiglia. E questo è sicuramente un aspetto positivo.
Vengo ad alcuni rilievi critici. Nella relazione si fa riferimento, sostanzialmente, all'ipotesi di abbandono del bonus bebè, per passare ad un contributo alternativo, che duri fino ai 18 anni di età. L'idea è senza dubbio condivisibile, ma bisognerebbe capire a che cosa si pensa, in che forma e in che quantità: abbandonare uno strumento che attualmente esiste - è vero che esiste da poco, ma esiste - per passare ad uno nuovo, è inevitabile che crei dei dubbi, dunque bisognerebbe capire qual è l'alternativa e di che cosa parliamo. È pur vero che quello del bonus bebè è un intervento che «mette una pezza» a un problema molto più ampio, ma comunque lo fa.
Su questo argomento, faccio una riflessione su sistemi che esistono in altri Stati, che sono sistemi strutturali. Penso, ad esempio, all'Irlanda, dove è prevista un'esenzione dell'IVA per tutto ciò che


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riguarda i minori fino ai 18 anni di età. Sistemi del genere sono condivisibili, perché sono automatici, semplici, e danno davvero un sostegno alla famiglia. Viceversa, non condividiamo sistemi che si basano genericamente sulla fiscalità e poi si traducono in trasferimenti, che a loro volta vengono effettuati sulla base di un bisogno e di un reddito che è difficile monitorare. È vero, bisogna aiutare soprattutto le famiglie più bisognose, ma in una realtà devastante, come quella italiana, di lavoro nero e di reddito non dichiarato, si possono creare forti sperequazioni.
Anche sul monitoraggio del bisogno è necessario muoversi con i piedi di piombo. Le ricordo l'esperienza che ho già avuto modo di raccontare al ministro Turco. Ho la fortuna di fare il sindaco e posso dirvi che le persone che vengono a chiedere quattrini al comune, sono sempre tantissime. Devo dire onestamente che, quando abbiamo proposto di corrispondere lo stesso denaro, ma sotto forma di lavoro, nessuno ha accettato. Mi domando quindi: il bisogno c'è o non c'è? Questa, a mio avviso, è una domanda fondamentale se vogliamo davvero aiutare le famiglie. Spesso le persone che hanno realmente bisogno non vengono a chiedere nulla, quindi è l'ente locale che deve trovare il sistema di aiutare le famiglie bisognose.
Riteniamo invece difficile - e qui mi rifaccio a colleghi che mi hanno preceduto - pensare ad una politica che dal centro possa risolvere questi problemi. Noi dobbiamo distribuire maggiori risorse agli enti locali, che sono quelli che hanno la fotografia della realtà.
Relativamente alla questione del numero dei figli, ho appreso con piacere del quoziente del 2,1. Ho solo due bimbe, quindi mi manca un pezzettino per arrivare a quell'obiettivo, ma penso di poter dare ancora il mio contributo. Al di là delle battute, vorrei evidenziare che uno dei problemi per cui nascono pochi bambini, e non è da sottovalutare, deriva dal fatto che ci si sposa più tardi, non tanto e non solo per difficoltà economiche. Questo è sicuramente vero, ma non è sempre e solo così. Esiste un altro problema di fondo, legato alla scarsa selettività degli studi. Attualmente, avendo scuole - soprattutto università - poco selettive, si tende ad arrivare alla laurea, magari anche a lauree di poco impegno. Ciò sposta in avanti l'età in cui si inizia a lavorare e l'età in cui si forma una famiglia. Le donne fanno più fatica, oggettivamente, ad avere figli dopo aver superato i trent'anni, quindi è un cane che si morde la coda.
È chiaro che il problema è anche di carattere culturale. La collega prima diceva che oggi non si è più disponibili a fare sacrifici, come avveniva un tempo. È verissimo, ma è anche un'impostazione culturale, e si può lavorare per far sì che si faccia qualche sacrificio in più. Io mi sono mantenuto agli studi facendo il cameriere e non sono morto; non vedo perché i nostri ragazzi oggi debbano aspettarsi tutto dalla società, anziché fare anch'essi qualcosa. È un aspetto soprattutto culturale, che probabilmente non comporta nemmeno l'impiego di risorse, sul quale - ripeto - si può lavorare.
Per quanto riguarda la questione dei minori affidati alle varie comunità, credo di dover svolgere una breve riflessione. Innanzitutto, è un dato di fatto che il sistema, così com'è attualmente, non funziona bene. Anche personalmente ho avuto modo di verificare storie di minori affidati alle comunità sulla base di una relazione redatta da assistenti sociali appena laureati, quindi senza grandi esperienze.
Su questi temi bisogna essere cauti. Non sempre abbiamo sufficienti professionalità per svolgere compiti così importanti e delicati. Oltretutto, al di là degli aspetti umani e familiari di queste situazioni, che ovviamente sono devastanti, abbiamo anche un problema enorme di ribaltamento di costi sugli enti locali. Un ente locale medio o piccolo che disgraziatamente abbia una famiglia con due o tre minori da mandare in comunità, si ritrova con il bilancio devastato. Bisogna intervenire affinché lo Stato dia una mano agli enti locali.
Spesso gli enti locali vengono bistrattati e sono oggetto di tagli di risorse, sulla base


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addirittura di scelte discrezionali, per cui un ente locale deve tagliare altri servizi per scelte che non gli competono. Oltretutto, a volte si tratta di scelte discutibili. Su questo tema, in generale, rispetto al quale conosco la sensibilità del ministro, mi aspetterei un'impostazione più federale e federalista. Abbiamo delle realtà - penso alla Lombardia, all'Emilia-Romagna - in cui non si vuole che lo Stato faccia di più, ma si chiedono maggiori risorse per fare di più.
Noi non abbiamo bisogno di chissà quali trasferimenti, ma chiediamo che ci vengano lasciate le risorse per fare di più nell'ambito dei servizi sociali. Se riusciamo a ribaltare la questione, se riusciamo a lasciare agli enti locali le risorse da destinare ai servizi sociali, gli enti locali sono in grado di occuparsene sicuramente meglio di uno Stato centrale che non conosce fino in fondo i bisogni della popolazione. Bisogna ribaltare l'impostazione: non trasferimenti, ma risorse lasciate in loco.
Esprimo ora una considerazione di carattere generale sulla questione annosa delle coppie di fatto e della famiglia. Onestamente ho apprezzato la prima parte della sua relazione, nella quale il tema viene inquadrato anche dal punto di vista normativo. La premessa, però, si presta a differenti interpretazioni, quindi vorrei capire bene quale sia quella corretta.
È nota la posizione del nostro movimento sul tema. Noi non abbiamo assolutamente nulla contro il riconoscimento delle realtà di fatto, ma nutriamo forti dubbi su come si debba arrivare a questo riconoscimento. Cercherò di essere chiaro. Se abbiamo una coppia di fatto composta da un uomo e da una donna, non c'è assolutamente bisogno di null'altro, perché già esiste la possibilità di sposarsi in chiesa, oppure con il rito civile. Fin qui, nulla da dire. Oltretutto, in questo modo le persone acquisiscono, sì, una serie di diritti, ma si impegnano e hanno doveri ben precisi. Da sindaco, leggo spesso gli articoli del codice civile che parlano di diritti, ma anche di doveri. I dubbi sorgono quando parliamo di coppie composte da due individui dello stesso sesso. In questo caso, giustamente lei ha chiarito che non si tratta della fattispecie prevista dalla Costituzione, ma di formazioni sociali. Non stiamo parlando di una famiglia, ma di una categoria diversa.
Chiarito il punto che anche lei ritiene che queste non siano famiglie, ma siano riconducibili ad un'altra fattispecie, quindi ad una semplice formazione sociale, che come tale può essere regolata da un contratto e con aspetti differenti rispetto al normale diritto di famiglia, il dubbio rimane su quali doveri debbano affiancare i diritti che vengono riconosciuti. Questo è il discrimine fondamentale, a nostro avviso, su cui occorrerebbe una maggiore chiarezza.

PRESIDENTE. Credo che possiamo interrompere a questo punto l'audizione, ricordando che ci sono ancora quattro colleghi iscritti a parlare.
Rinvio pertanto il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.