COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 7 novembre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MIMMO LUCÀ

La seduta comincia alle 9,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, sulle iniziative legislative del Governo in materia di non autosufficienza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, sulle iniziative legislative del Governo in materia di non autosufficienza.
Abbiamo aderito volentieri alla sollecitazione, rivolta dal Governo alla nostra Commissione, di soprassedere per una certo periodo dal proseguire l'iter riguardante le proposte di legge in tema di non autosufficienza, in attesa che il Governo stesso approvasse un disegno di legge sulla materia, da esaminare unitamente alle suddette proposte di legge.
Da tempo il Ministro aveva annunciato l'avvio di un processo di elaborazione di un testo, anche attraverso forme di consultazione con organismi e soggetti a vario titolo coinvolti nella discussione, e rappresentato l'intenzione di coinvolgere in questa fase propedeutica anche la nostra Commissione, facendo tesoro del lavoro da essa avviato nella precedente legislatura e soprattutto di quello svolto nel corso della prima fase della nuova legislatura.
Si trattava quindi di considerare il lavoro che abbiamo compiuto, la discussione svolta in questa sede e anche i testi sui quali si era già trovata un'intesa tra i diversi schieramenti.
È passato tanto tempo e, poiché la fase propedeutica è stata superata e il lavoro del Ministro è entrato in una fase più operativa attraverso l'avvio di forme di concertazione su un testo la cui struttura è più definita, ho ritenuto utile e doveroso sollecitare il Governo, nella persona del Ministro, a rendersi disponibile per un'audizione in Commissione, non solo per segnalare lo stato del lavoro e il contenuto di questo disegno di legge, ma anche per avviare una discussione in termini istituzionali e, prima di giungere all'approvazione in Consiglio dei ministri di un eventuale disegno di legge, realizzare un dialogo politico-istituzionale con la Commissione in grado di corrispondere alle disponibilità segnalate dal Governo.
Ritengo quindi che il Ministro ci illustrerà il testo del disegno di legge che ha inviato ieri alla nostra attenzione e ci indicherà anche a che punto è giunto il confronto con i vari soggetti. Abbiamo a nostra disposizione un'ora e mezzo per avviare questo confronto; eventualmente, acquisiremo la disponibilità del Ministro a proseguire la discussione in una successiva seduta.
Do la parola al Ministro Ferrero.

PAOLO FERRERO, Ministro della solidarietà sociale. Innanzitutto, desidero scusarmi per il ritardo con cui mi presento in Commissione per questa discussione, giacché mi è del tutto evidente come il


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lavoro svolto dalla Commissione e da alcuni parlamentari in particolare su questi temi costituisca la base su cui si è lavorato. Lo schema di disegno di legge che avete nelle vostre mani questa mattina è il frutto di un lavoro che non è solo del Ministero e di un percorso di anni.
Molti mesi fa, in questa sede, mi ero assunto l'impegno di ritornare per svolgere con voi una discussione più partecipata. Mi scuso dunque, innanzitutto, perché mi presento da voi troppo tardi rispetto al lavoro svolto. Devo confessarvi però che, poiché non sarei potuto venire in Commissione con un testo predisposto solo da me, nel momento in cui si apre una discussione tra i ministeri e, in seguito, con le regioni, gli enti locali e il sindacato, il vortice è tale che è difficile emergere per un attimo.
In secondo luogo, questo testo è da discutere. Poiché ritengo che la materia sia molto complicata e, come evidenziato anche in sede di svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in precedenza, su alcuni punti sia opportuna una discussione politica approfondita, mi interessa molto conoscere il vostro punto di vista su questi nodi, in modo che, in sede di ulteriore ridefinizione del testo per presentarlo in Consiglio dei ministri, si tenga conto delle vostre opinioni in materia e si migliori il testo ove possibile.
Giungo quindi in ritardo a discutere con voi di questo testo, che però non è chiuso. La discussione è pertanto in tempo utile dal punto di vista della presentazione dello stesso.
Poiché il testo della delega è piuttosto lungo e i nodi specifici, è opportuno fare un'illustrazione molto breve, per poi eventualmente chiarire nella discussione alcuni punti o registrare consensi o dissensi.
La delega fissa l'obiettivo nell'attuazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) per le persone non autosufficienti. Non si tratta, quindi, di una legge generale sui livelli essenziali di assistenza, ma su una parte specifica. Questa scelta, che è discutibile, a me è parsa nel corso di questi mesi l'unica strada attraverso cui costruire i LEA sul piano sociale in questo Paese. Nel tentativo di costruire i LEA sul complesso delle prestazioni sociali, infatti, non si riesce mai ad avere risorse sufficienti, per cui la discussione rimane sempre sospesa tra il tutto e il niente. Qui si è invece scelta la strada di definire i livelli essenziali di assistenza su un punto, in modo che almeno su quello si fissino i diritti soggettivi delle persone.
Dal mio punto di vista, inoltre, questo dovrebbe essere il primo passo necessario, senza il quale il salto sui LEA sarebbe irrealizzabile.
Si effettua dunque la scelta di delimitare, poi si fissano le modalità, la lettera a), «Definizione dei criteri e delle modalità di accertamento e valutazione delle condizioni di non autosufficienza», usando l'International classification of functioning disability and health (ICF) e prevedendo l'articolazione della condizione di non autosufficienza in diversi livelli di gravità.
La lettera b) indica la «definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, da garantire ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione alle persone non autosufficienti, con l'obiettivo di favorire la loro permanenza all'interno del proprio domicilio e del nucleo familiare».
Per quanto riguarda la «previsione di rafforzamento di punti unici di accesso», emerge la scelta di realizzare punti unici di accesso con il sistema sanitario, che garantiscano la presa in carico del soggetto non autosufficiente secondo la definizione di un piano personalizzato di assistenza per gli individui, sia sul piano delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, sia per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sia per le prestazioni sanitarie, in modo da garantire con lo sportello unico la presa in carico e l'individualizzazione dell'intervento.
La previsione del mantenimento nell'ambito familiare come linea di indirizzo sottolinea la diversità di piano tra l'istituto e la permanenza nella propria abitazione, per cui la domiciliarità appare l'obiettivo a cui tendere.


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Al punto 4 della lettera b), pagina 2, si prevede che, sentite le Commissioni parlamentari, attraverso un DPCM si determinino le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire alle persone non autosufficienti al fine di tutelarne l'autonomia, le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e i costi a carico del Servizio sanitario nazionale e quelli relativi alla componente sociale posti a carico del comune, con l'eventuale compartecipazione dell'assistito ai sensi della successiva lettera d), la definizione di standard qualitativi.
S'intende quindi fissare attraverso un DPCM i livelli essenziali di assistenza, realizzando, come avviene per la sanità oggi, un meccanismo di co-proponenza dei Ministeri della salute, della solidarietà sociale e della famiglia, che contenga sia i LEA sanitari che quelli socio-sanitari.
Il finanziamento dei diritti provenienti da questo DPCM sarà tratto in parte dal Fondo sanitario nazionale, in parte dal Fondo sulla non autosufficienza, in parte dai comuni, ed eventualmente dalle risorse per le famiglie.
Non si tratta, dunque, di un disegno di legge di sola gestione del Fondo sulla non autosufficienza, ma di un concorso di altri canali di finanziamento, quali il Fondo sanitario nazionale o le risorse dei comuni, con l'obiettivo di uno strumento unico, un DPCM che raggruppi i LEA di questa parte, evitando quindi la pura sommatoria tra LEA sanitari, LEA socio-sanitari e LEA sociali, e realizzando invece un elemento unitario.
Questo risulta particolarmente importante, perché indica anche come i LEA sociali non siano la pura risultante del «ritaglio» di altri settori, ma abbiano una loro dignità che riunifica le varie parti.
La lettera c), pagina 2, indica come si arriva a definire questi livelli essenziali. Si prevede che, a partire dal 2008, vengano realizzati piani triennali che commisurino le risorse e i livelli essenziali di assistenza garantiti. Viene prevista una fase transitoria, perché ereditiamo una situazione molto diversificata sul territorio nazionale, con realtà in cui si rileva un intervento importante su questo settore e altre in cui non c'è quasi nulla. Anche se avessimo una quantità di risorse molto consistente, non saremmo in grado di garantire su tutto il territorio nazionale diritti soggettivi esigibili per le persone nell'arco di sei mesi, perché la costruzione della rete dei servizi è determinante.
Dalla costruzione del punto unico di accesso alla presa in carico, si costruisce dunque un percorso complesso, perché le regioni più avanzate dal punto di vista della garanzia dei diritti delle persone non autosufficienti non sono disponibili a rinunciare alle risorse a favore delle regioni che sono più indietro. L'avvicinamento tra livelli in cui si garantisce di meno e livelli in cui si garantisce di più verso uno standard migliore, che porti tutti a livello più alto, richiede dunque un articolato percorso. Qui abbiamo definito i piani triennali, che ci sembravano la strada giusta.
La lettera d), a pagina 5, reca la definizione dei princìpi e delle modalità sulla cui base può essere chiesta agli assistiti la compartecipazione al costo delle prestazioni per la componente sociale, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, mediante: l'utilizzo dell'ISEE di cui al decreto legislativo del 31 marzo 1998 e successive modificazioni; con riferimento alla componente sociale delle prestazioni per i non autosufficienti, la revisione delle modalità di calcolo dell'indicatore ISEE relativamente alle componenti economiche, con evidenziazione della situazione economica della sola persona assistita; la previsione di una soglia di ISEE al di sotto della quale non può essere richiesta alcuna compartecipazione al costo delle prestazioni e di una soglia al di sotto della quale la compartecipazione non può essere pari all'intero costo della prestazione, fatte salve soglie più elevate e definite a livello regionale e locale.
La dicitura «fatte salve» le condizioni migliori è prevista dappertutto, così come l'impossibilità di ridurre la spesa di regioni e comuni per il Fondo sanitario nazionale, ovvero di utilizzare le risorse


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provenienti dal Fondo per la non autosufficienza per ridurre la quota di partecipazione da parte degli altri soggetti. Il Fondo in questione è in aggiunta, non in sostituzione della spesa storica.
Il punto 4 concerne l'abrogazione dell'articolo 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580 (che prevede la possibilità di rivalersi per gli alimenti fino al terzo grado di parentela) e l'individuazione di modalità con cui, nei casi di valori ISEE inferiori alle soglie di cui al punto 3, possono rilevare nella compartecipazione al costo della componente sociale delle prestazioni anche le condizioni economiche delle persone beneficiarie di donazione da parte della persona assistita nei cinque anni antecedenti all'accertamento della condizione di non autosufficienza, entro limiti definiti rispetto al valore della donazione stessa. Questo significa che, se si possiede un miliardo o una villa da un miliardo di euro e si effettua una donazione entro i cinque anni precedenti alla verifica della condizione di non autosufficienza, ciò assume un valore dal punto di vista della compartecipazione al costo del servizio.

DONATELLA PORETTI. Ma l'accertamento viene effettuato automaticamente dal comune? E cosa succede durante l'accertamento?

PAOLO FERRERO, Ministro della solidarietà sociale. Questo è un problema da risolvere.
L'obiettivo appare chiaro, ma si tratta di trovare le modalità attraverso cui questo obiettivo si possa realizzare, evitando di costruire un «UCAS», cioè un ufficio complicazione affari semplici!
Mi sono annotato che questo tema non è definito nella delega e deve essere studiato.
Seguono, poi, il rafforzamento del sistema di controllo degli ISEE, la definizione di un sistema di monitoraggio e la valutazione di interventi sociali e socio-sanitari attraverso la predisposizione di un sistema informativo. Una parte molto significativa riguarda il monitoraggio, punto decisivo per portare a regime diritti sul territorio nazionale, in cui oggi la situazione del monitoraggio non è splendida.
Il punto 6 prevede che ad ogni articolazione territoriale corrispondano idonei strumenti volti ad assicurare la partecipazione attiva nella valutazione degli interventi da parte delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e delle associazioni di tutela dei cittadini non autosufficienti, in armonia con i principi di partecipazione richiamati dalla legge n. 328 del 2000. Si prevede, inoltre, che i decreti siano predisposti previo percorso di consultazione sia con le Commissioni parlamentari sia con i soggetti sociali.
Questa previsione sull'articolazione territoriale è abbastanza semplice, perché si tratta di avere un meccanismo di controllo del funzionamento dei servizi effettuato dalle organizzazioni sindacali e dai soggetti di autotutela. L'idea è avere la programmazione pubblica dei servizi, una gestione concreta della rete dei servizi che può essere direttamente pubblica, del privato sociale o anche del privato tout court, che però non coincide esattamente con la programmazione, e poi dotarsi di una struttura di valutazione del funzionamento dei servizi, che includa i rappresentanti dei soggetti interessati al servizio.
Per «organizzazioni sindacali» non s'intende il sindacato dei lavoratori dei servizi, ma il sindacato confederale generale o dei pensionati e le organizzazioni di autotutela degli utenti; quindi, volutamente, non abbiamo inserito il Forum del terzo settore, non l'associazione di chi fa il lavoro ma dell'autotutela, meccanismo che ci sembrava positivo per realizzare una dialettica utile nella costruzione dei servizi.
L'ultimo punto riguarda la questione della famiglia, della compartecipazione. Abbiamo lavorato sull'assenza di compartecipazione per quanto riguarda i servizi domiciliari per i casi più gravi, anche ragionando sulle possibilità di produrre reddito nel corso della vita. Nel caso in cui un ragazzo sia completamente non autosufficiente dalla giovane età, è impossibile esigere una compartecipazione dalla famiglia o dal ragazzo, che non ha reddito


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perché non l'ha mai potuto produrre. I casi più gravi e quelli in cui non si è mai potuto produrre reddito sono quindi totalmente a carico del sistema sanitario nazionale.
Rimane quindi una finestra riguardante le condizioni di ricovero in istituti nelle situazioni non particolarmente gravi, in cui si prevede di introdurre una quota di partecipazione ai costi solo da parte del primo grado di parentela, cioè quello genitori-figli, fissando una quota massima percentuale rispetto ai redditi dei familiari così definiti, senza più coinvolgere il terzo grado di parentela ma limitandosi al primo grado in linea retta, evitando di esigere cifre che non siano in grado di pagare.
Si riteneva opportuno, dunque, introdurre un elemento di compartecipazione delimitato sia nel numero di persone sia nella quantità esigibile, innanzitutto per una ragione di tipo economico, giacché questo sistema è molto costoso e si parte da una rilevante sproporzione tra quanto spendono le famiglie e quanto spende lo Stato nel suo complesso, per cui il riavvicinamento esige tappe per cui mancano le risorse, ma anche perché sul terreno della non autosufficienza la condizione delle persone anziane è numericamente molto rilevante. Il legislatore deve quindi porsi il problema di scegliere il modello sociale.
Ritengo che mantenere un grado di responsabilità nel rapporto tra le generazioni sia un punto importante della coesione sociale. Non aprirei una discussione sulle tipologie di famiglie, ma sottolineerei la responsabilità tra le generazioni, valutando se i figli abbiano un rapporto con i genitori. Questa è una considerazione politico-culturale, che esula dall'economia.
Il terzo elemento da considerare è che ipotizzare una quota, sia pure limitata, di compartecipazione sul versante del ricovero, mentre l'assistenza domiciliare non prevede alcuna compartecipazione dei familiari, rappresenta un incentivo a mantenere in casa e a non lasciare in istituto le persone non autosufficienti.
Desidero dunque proporvi questa posizione in base alle tre suddette ragioni, di cui per me quella più importante è la seconda.
È necessario valutare se nella norma debba riconoscersi un legame di responsabilità tra le generazioni. Personalmente, ritengo che il welfare debba funzionare perfettamente, e tuttavia non possa sostituire le relazioni sociali, bensì collaborare con esse. Poiché mi sembra opportuno considerare in un'ottica ampia il tema delle persone anziane, questa appare una modalità possibile, che sostengo moderatamente, giacché non la considero una questione di principio.
Per quanto riguarda le risorse, dovremmo arrivare ai 400 milioni per il 2008. Per come concretamente si formano il bilancio dello Stato e la legge finanziaria in questa fase, poiché si devono correggere i tendenziali dal punto di vista del deficit, dovremmo operare dei tagli alla spesa. Nello stesso tempo, però, abbiamo una quantità di risorse aggiuntive derivanti dalla lotta all'evasione fiscale, che ci ha permesso in questo anno e mezzo di aumentare la spesa su questi versanti.
La lotta all'evasione fiscale può, però, essere contabilizzata non a monte, ma solo a valle, perché la sua quantità è incerta. Se la lotta all'evasione fiscale proseguirà in modo efficace, i «tesoretti» continueranno a essere garantiti. Viene definito «tesoretto», mentre semplicemente si verifica ex post che le entrate siano maggiori di quelle prevedibili sulla base del gettito precedente.
Ciò, tuttavia, rende difficile programmare a monte l'aumento di risorse per la spesa, perché questa formalizzazione dell'aumento delle risorse può essere effettuata gradualmente. Usciremo quindi, probabilmente, dalla legge finanziaria di quest'anno con la previsione di 400 milioni di euro nel 2008, 400 milioni di euro nel 2009 e 400 milioni di euro nel 2010 (mentre al momento non c'è niente in quella casella), e il Fondo dovrebbe essere reso permanente e non triennale. Di questo stiamo discutendo con il Ministero dell'economia e delle finanze.


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Ciò causerà problemi nella modalità di costruzione del piano triennale, perché, per realizzare questa operazione, necessitiamo di un aumento delle risorse disponibili che sia qualitativamente in grado di cambiare le abitudini delle regioni e degli enti locali. Un eventuale aumento di 100 milioni l'anno, oltre a non rispondere ai bisogni delle persone, verrebbe assorbito nei bilanci regionali senza modificare qualitativamente la situazione.
In sede di Consiglio dei ministri, ho pertanto chiesto di avere scatti di 500 milioni all'anno. Il problema non riguarda i 400 milioni per il 2008, perché, se tutto va bene, nel 2008 riusciremo a varare i decreti di attuazione, giacché sono previsti nove mesi di delega al Governo. Il 2008 serve dunque a realizzare la macchina, però il problema è riuscire ad avere degli scatti che portino a 1 miliardo nel 2009 e a 1,5 miliardi nel 2010, senza dei quali si rischia di non cambiare qualitativamente e di migliorare solo i servizi per chi già ne beneficia. Questa è la parte più incerta.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor Ministro.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

LUIGI CANCRINI. Vorrei esprimere il mio apprezzamento, perché mi sembra che il lavoro sia estremamente serio e meritasse l'attesa, tanto più che il bilancio è quello del 2008.
Ritengo che la maggior parte degli obiettivi sia condivisibile, ma sarà importante studiare questo testo e discuterne di nuovo più avanti.
Vorrei solo chiedere al Ministro un chiarimento su un aspetto di cui non ho perfettamente compreso la realizzazione pratica, ovvero dove si collochi il punto di accesso unico.
Mi è sembrato, infatti, che si ipotizzasse di collocarlo nel sistema sanitario, scelta su cui nutrirei notevoli perplessità. Il punto di accesso unico significa un nuovo sportello, un nuovo ufficio; forse, in linea con le considerazioni espresse, il livello del comune dovrebbe essere il più adatto. Vorrei sapere se si è discusso di questo aspetto e se il punto di accesso unico viene concepito come una struttura nuova o come una struttura che dovrebbe essere ricavata attraverso la specializzazione di personale già esistente.
Al riguardo, ritengo sia necessaria una riflessione, perché nel nostro sistema sociale e sanitario spesso manca la capacità di entrare in rapporto con il pubblico, che invece in questo caso sarebbe fondamentale, giacché si tratta dell'organizzazione di un piano di intervento integrato, sociale e sanitario, fortemente personalizzato, alla cui elaborazione partecipano giustamente i familiari. Mi chiedo, però, chi se ne occuperà praticamente (ad esempio, qui a Roma, i municipi, gli ambulatori o i medici di base), e quale si ritiene possa essere il riferimento.

DONATELLA PORETTI. Intervengo rapidamente per chiedere alcuni chiarimenti.
Sull'ultima considerazione in merito alle ragioni per cui si potrebbe prevedere una compartecipazione ai costi della famiglia, vorrei sapere se siano stati effettuati calcoli per definire il guadagno che si ricava costruendo una macchina organizzativa che deve individuare quali siano considerati i casi più gravi e quante sarebbero le persone coinvolte, quindi quanto costerebbe. Da un punto di vista prettamente economico, ritengo opportuno effettuare un calcolo preciso, perché sarebbe negativo prevedere una «tassa» più costosa dell'introito che ne deriverebbe.
Anche sul modello sociale, mi permetto di sollevare dubbi, perché spesso usufruiscono di questo tipo di servizi famiglie con bassi redditi. Diventerebbe, quindi, una sorta di imposizione di un modello sociale soltanto per alcune famiglie o per persone con un certo reddito. Le persone benestanti non sarebbero coinvolte in questa «imposizione» di modello sociale, perché avrebbero i mezzi per ricoverare l'anziano in clinica privata e non tenerlo in famiglia.
Ritornando alla lettera d), ritengo opportuno chiarire la compartecipazione al costo delle persone beneficiarie di una


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donazione da parte della persona assistita. Quindi, nemmeno soggetti appartenenti al nucleo familiare, ma, magari, amici che cinque anni prima ricevono in eredità un bene o un possedimento. Quando, cinque anni dopo la donazione, la persona finisce in una RSA, infatti, può essere accaduto di tutto...

GIUSEPPE ASTORE. Farei dieci!

DONATELLA PORETTI. Perché dieci? La persona, per i casi della vita, può avere consumato quel bene e, dopo cinque anni, chi le aveva fatto la donazione finisce in una RSA, per cui il comune le chiede di nuovo soldi. Questo potrebbe rappresentare un problema, perché si parla anche di estranei, e in cinque anni succedono molte cose. Capisco il principio per cui è stato inserito ciò, per evitare che la persona sia spogliata dei propri beni e lasciata in carico al welfare e allo Stato, ma molti casi possono essere diversi. Non so quale sistema di monitoraggio si potrebbe adottare per valutare cosa sia successo in questi cinque anni e per quali motivi sia stata effettuata la donazione.
Per quanto riguarda la lettera b) sulla definizione dei livelli essenziali e sul piano personalizzato di assistenza, abbiamo partecipato in momenti diversi a una conferenza del Movimento per la vita indipendente, e lei conosce la richiesta di questa organizzazione affinché i finanziamenti siano diretti alla gestione dei progetti individuali e finalizzati alla propria assistenza. La richiesta è, dunque, che la persona possa organizzare la propria assistenza, senza che questa le venga «imposta» dall'alto e, anche se qui si precisa «la partecipazione dell'assistito nell'organizzazione del piano», c'è anche la partecipazione dei soggetti del terzo settore. Nella macchina costruita, dunque, anche l'utente o i suoi familiari hanno voce in capitolo, ma non si tratta della voce più importante.
Su questo desidero sollecitarla nuovamente, perché ritengo che l'utente debba organizzare e autogestire la sua assistenza. Capisco le difficoltà di organizzare questo aspetto, ma ritengo giusto il principio di organizzarsi autonomamente.

KATIA ZANOTTI. Ringrazio il Ministro Ferrero, il quale con molta franchezza ha esposto le ragioni del ritardo con cui, dopo quasi un anno, è venuto in Commissione a presentare questo schema di disegno di legge.
Ritengo che, come riconosciuto dallo stesso Ministro, questa Commissione abbia svolto un lavoro importante, che ho ritrovato in molte parti del testo in oggetto. Non c'è stata, quindi, una dispersione del lavoro svolto e questo testo, su alcune questioni particolarmente rilevanti, assume, ricomprende e tiene conto, oltre che della discussione con ministri, regioni e forze sociali, anche del lavoro della Commissione. Faccio riferimento all'intervento personalizzato e alla presa in carico, ai criteri della non autosufficienza e alle modalità di accertamento, al tema dei livelli essenziali.
Questo schema di disegno di legge ha un'impostazione diversa da quella da cui eravamo partiti molto tempo fa. I colleghi della precedente legislatura ricorderanno come fossimo partiti dal modello di rapporto diretto tra persona non autosufficiente e fondo, sulla base dell'assicurazione obbligatoria o del modello tedesco. Questo aveva un costo molto consistente, che, sulla base della platea di riferimento, induceva a prevedere un intervento finanziario che si aggirava attorno ai 14-15.000 miliardi, poi modificato nel tempo.
Credo, Ministro, che avremo modo di ragionare in maniera più approfondita, ma adesso voglio esprimere alcune considerazioni proprie di una lettura istantanea.
Condivido l'idea di un concorso di fondi (sanitario, sociale, distribuito dalle regioni ai comuni), cui si aggiunge la novità del Fondo per la non autosufficienza, terzo pilastro in grado di concorrere in termini finanziari alla risposta al bisogno. In questo modo, si comincia a delineare un quadro più praticabile, che aggredisce finalmente il tema dell'integrazione socio-sanitaria attraverso la definizione di livelli essenziali di assistenza.


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Finalmente, si dismettono i titoli in tante realtà regionali e si costruisce il modello di integrazione socio-sanitaria, strumento più efficace, più cogente, più preciso, dei livelli essenziali di assistenza, che definiscono gli interventi a prevalenza sanitari integrati con il sociale e quelli a prevalenza sociale integrati con il sanitario.
Concordo che, come affermato dal Ministro, i livelli essenziali siano l'unico strumento in grado di garantire il diritto esigibile, perché in questa impostazione non ce ne sono molti altri. Il percorso diventa complicato, per cui condivido l'idea dei piani triennali, laddove in passato abbiamo sempre rilevato il rischio che il fondo si costituisse all'interno di un'organizzazione dei servizi priva di stimoli a riorganizzarsi e a recepire le risorse, a partire da realtà regionali molto disomogenee. È dunque auspicabile che quelle più indietro siano costrette a darsi omogeneità in questo impianto, cercando di recuperare il tempo e raggiungendo quelle più avanti, per garantire finalmente alla persona non autosufficiente una risposta omogenea sul territorio nazionale.
Non so quali possano essere le condizioni perché il modello di servizio si rivoluzioni, in quanto, se il fondo ripartito fra le regioni sulla base del numero delle persone non venisse distribuito dalle regioni stesse con un vincolo molto forte legato alla riorganizzazione del modello di servizi, si corre il rischio che finisca nel fondo indistinto, che non qualifica le persone non autosufficienti e non fa fare lo «scatto» che costituisce la risposta auspicata dalle famiglie. Si tratta solo della percezione di un rischio, che ignoro se sia risolvibile attraverso la legge delega; tuttavia, suggerirei di introdurre un'idea di vincolo nella distribuzione del fondo.
Ritengo che i piani triennali rappresentino la risposta più saggia, con la previsione di una gradualità della risposta con cui si interviene sui casi più gravi, per poi costruire la platea di riferimento.
Per quanto riguarda infine la compartecipazione alla spesa, molto tempo fa avevo preso visione di una bozza, che è stata modificata decisamente in senso migliorativo. In questo momento, dunque, non esprimo obiezioni e concordo con il Ministro sul fatto che la compartecipazione alla spesa contrassegni culturalmente il patto tra le generazioni. In passato, ritenevo, come espresso anche in Commissione, che l'addizionale IRPEF, lo strumento della fiscalità generale in modo diretto, desse il segnale della costruzione di un patto di solidarietà tra le generazioni, per cui il giovane, attraverso la tassa di scopo, si fa carico della vecchiaia degli altri e delle possibilità non remote di non autosufficienza. Questo patto generazionale attraverso lo strumento della fiscalità generale mi persuadeva profondamente.
Condivido l'impostazione della compartecipazione alla spesa nelle modalità qui definite, quali l'abolizione dell'articolo 1, e concordo sul valutare la revisione delle modalità di calcolo ISEE relativamente alle componenti, con evidenziazione della situazione economica della sola persona assistita.
Ringrazio il Ministro per il lavoro realizzato, in cui ritroviamo anche il segno della Commissione. La sollecitazione riguarda solo qualche maggiore vincolo, affinché questa architettura complessa costringa a effettuare un salto di qualità nella costruzione della rete dei servizi dedicati ai non autosufficienti.

GIUSEPPE ASTORE. Affermo subito, Ministro, che finalmente si affronta questo problema, che considero il vero problema della società di oggi.
Provengo da una piccola comunità di mille anime, che ho anche amministrato, constatando il profondo cambiamento della società odierna. Ogni giorno, gli amministratori locali incontrano difficoltà a far accogliere in famiglia una persona non autosufficiente, e ciò significa che il mondo è cambiato e taluni egoismi personali si stanno aggravando. Ritengo che uno Stato moderno, laico, solidarista debba assumersi questa grande responsabilità e che le forze politiche, su questo, debbano marcare un carattere distintivo


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senza confondersi troppo, perché ogni cultura ha il suo modo di affrontare tale problema.
Apprezzando già preliminarmente il suo metodo di lavoro (giacché merita un apprezzamento il fatto di sottoporre una bozza alla Commissione per recepirne le osservazioni), leggerò attentamente il testo quando sarà pronto, ma, come cattolico, rilevo la premessa fondamentale di salvare la persona. Attraverso ogni attività sociale, infatti, si deve tendere a salvaguardare la persona, con tutte le sue sfaccettature, senza renderla strumento di una società troppo laicista.
Credo che lei, Ministro, si troverà in difficoltà, in quanto unire le competenze di regioni, comuni e famiglie costituisce un lavoro enorme. Non si può, tuttavia, rinunciare alla filosofia di integrazione delle culture che perseguiamo da dieci anni. Abbiamo lottato anche contro forze politiche per perseguire l'integrazione, perché reputiamo che la persona umana non possa essere scissa e che sia impossibile rifiutarsi di assistere un anziano perché al comune mancano i soldi. L'integrazione è una questione di responsabilità anche istituzionale, laddove anche l'integrazione finanziaria deve essere perseguita.
Sarebbe quindi opportuno, Ministro, obbligare le regioni a realizzare piani socio-sanitari e un distretto socio-sanitario. È essenziale che questa integrazione si estrinsechi anche istituzionalmente nella creazione di un solo distretto socio-sanitario, con un tavolo unico per prevedere progetti personalizzati. Preferisco che l'accesso sia rappresentato dal distretto, piuttosto che dal poliambulatorio o dal comune, tuttavia attraverso periferie, per accedere alla rete da costruire. Questo non si effettua ancora nella sanità, perché gli ospedali spostano continuamente le persone in altri ospedali, ulteriore scandalo della nostra Italia, laddove prendere in carico un malato significa anche poterlo portare da Termoli a Roma, in caso di necessità, come ora non avviene e come potrebbe realizzarsi nel sociale.
Nel rapporto di famiglia inserirei anche i fratelli, ma più avanti ne discuteremo.
Credo nell'unità dei diritti nazionali. Nella sanità ancora non si riesce a ottenerla, ma considero importante che nel campo socio-sanitario si realizzi un'unità dei diritti dei cittadini, dal Trentino alla Sicilia, con la penalizzazione degli amministratori prevista in questa legge finanziaria e da noi richiesta nel dibattito sui piani di rientro. Si garantisce, infatti, il diritto di penalizzare gli amministratori che non si dimostrino capaci, perché la diceria che il sud spreca mentre il nord realizza deve cessare e, se il sud spreca, deve essere penalizzato.
Non si può scegliere, come nella sanità, di non fissare regole per la divisione del fondo. Non si rilevano i problemi indicati dall'onorevole Zanotti perché, quando un fondo è finalizzato, il comune non può utilizzarlo. La divisione del fondo deve essere definita per legge, senza fare brutte copie della divisione del Fondo sanitario nazionale, per cui le regioni mercanteggiano e l'assessore più abile ottiene di più. Dobbiamo salvaguardare l'uguaglianza dei diritti attraverso regole certe, riparando così anche alcuni errori della legislazione precedente.

SALVATORE MAZZARACCHIO. Ci troviamo di fronte a una bozza su cui lavorare. È innanzitutto necessario capire bene, laddove si legge «Schema di disegno di legge recante norme relative alle persone non autosufficienti, alle politiche sociali e alla famiglia», se questa bozza miri a sostituire la legge n. 328 del 2000 oppure ad integrarla, aspetto fondamentale. Dovrei supporre che miri ad integrarla, perché in essa mancano alcuni elementi essenziali, come la definizione dei LEA, laddove la realizzazione di questi ultimi richiede fondi.
Se dunque il testo in questione è diretto ad integrare la suddetta legge, è necessario lavorarci seriamente, perché occorre confrontarsi con quanto previsto dal decreto legislativo n. 281 del 1997, ovvero con la Conferenza unificata. Questa non è materia concorrente, bensì materia di competenza regionale. Una sentenza della Cassazione stabilisce che i fondi non


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possono essere finalizzati, giacché il precedente Governo aveva previsto alcuni fondi per le abitazioni mentre la Corte costituzionale ha sottolineato come fosse materia di competenza delle regioni.
Il problema è complesso, e ammiro il Ministro per la volontà di dare organicità a una problematica di questa portata, però mi sento in dovere di avvertirlo che riguardo a queste tematiche incontrerà una serie di impedimenti, a cominciare dal Consiglio dei ministri, dove si è astenuto per tre volte su diverse tematiche importanti, pensando così di risolvere il problema. Qui ci troviamo davanti a una classe dirigente a cui, purtroppo, non interessa che ci si astenga o si esca dalla stanza. Lei, Ministro, è in buona fede e sta cercando di fare il possibile, ma una persona sola non può risolvere tutto.
In questo, vorremmo essere di aiuto, per ottenere rapidamente qualcosa per i più bisognosi, perché i tempi appaiono molto lunghi. Se il Governo ha infatti nove mesi per esercitare la delega e ne servono poi altri 24 per emettere i decreti delegati, si tratta di un'intera legislatura. Dovremmo quindi cercare di abbreviare i tempi aiutando il Ministro, perché con i suoi collaboratori non può risolvere tutti i problemi; il Parlamento dovrebbe collaborare in questa direzione.
Ho molte perplessità anche con riferimento alle risorse, ovvero rispetto alla possibilità di coprire i 400 milioni con il «tesoretto», derivante non dalla lotta all'evasione fiscale, che pure ha sicuramente dato un contributo, ma dall'economia, che ha garantito maggiori introiti. Al riguardo, purtroppo, vi sono già segni di rallentamento. Si tratta, tra l'altro, di un recupero di evasione che colpisce le persone che lavorano, perché è difficile rintracciare coloro che possiedono ingenti risorse non in Italia, ma in qualche remoto angolo del mondo.
Il lavoro è, dunque, molto più complesso e il testo attuale rappresenta solo una bozza di cui prendiamo atto, dando la nostra disponibilità a collaborare per abbreviare i termini, per valutare attraverso quali strade si possano recuperare le risorse e per attuare l'indispensabile accordo con le regioni, che rivendicano piena autonomia. Laddove il collega Astore suggerisce di affidare al Governo il riparto dei fondi, rileviamo come il Governo stesso abbia sempre disposto il riparto dei fondi anche per la sanità, ma sia stato poi bloccato dalla Conferenza delle regioni, che autonomamente si sono accordate di volta in volta, senza risolvere alla radice il problema. Solo le regioni, però, sono riuscite a accordarsi, nonostante le diverse riserve. Il riparto definito di volta in volta dai Governi si è rivelato carta straccia, perché le regioni hanno rivendicato il diritto di accordarsi fra di loro.
Le problematiche sono molte, e al momento possiamo solo evidenziare i punti critici e garantire la nostra disponibilità a venire incontro a chi è più sfortunato di noi e deve essere assistito, laddove oggi nessuna famiglia può garantire piena assistenza a chi si trovi in una situazione di disagio.
Riconosciamo la buona volontà espressa dalla bozza di disegno di legge, su cui però è necessario lavorare.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Ritengo che lo schema di disegno di legge sia condivisibile. Ringrazio il Ministro della solidarietà sociale Ferrero per gli sforzi compiuti nel redigere un testo condivisibile nella sua articolazione. Apprezzo dunque l'intelligenza e la fantasia dimostrate, nonché il coraggio di venire in questa sede a presentarlo come già definito; come rilevato dalla collega Zanotti, si può essere soddisfatti in linea teorica, ma nei fatti si rileva la mancanza di una base, perché non ci sono i finanziamenti.
Tutto si basa su entrate diverse, come il Fondo per la salute, il Fondo sociale e l'evasione fiscale. Forse, dovremmo riscrivere la Costituzione dicendo che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro e sui «tesoretti»! Il «tesoretto» non riguarda solo l'evasione fiscale, ma anche l'intenzione, che questo Governo credo non abbia ancora, di introdurre altre 120 tasse, come quelle previste dalla legge finanziaria


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dell'anno scorso, giacché il «tesoretto» è aumentato grazie all'aumento delle tasse. Se tutto dovesse essere basato sull'evasione fiscale, eventualmente inserendo anche il superenalotto, potremmo tenere conto di entrate incerte.
Possiamo approfondire questo testo, che è apprezzabile da chiunque abbia trascorso tanti anni in Parlamento occupandosi di progetti di legge, ma il Ministro riconosce che l'unico punto fermo di cui possiamo tenere conto è rappresentato dai 400 milioni del 2008, del 2009 e del 2010, che si augura raddoppino nel 2009 e diventino 1 miliardo nel 2010, ma che non sarebbero comunque sufficienti. Il Ministro esprime un suo desiderio, ma ritengo difficile che nel giro di un anno e mezzo, laddove nove mesi di delega sono la norma, sopraggiungano altri fondi. Questo mi sembra aleatorio. Sarebbe opportuno capire come vi confluiscano fondi diversi, perché questo castello è costruito su basi molto labili, prive di fondamenta.
Con queste riserve, ringraziamo il Ministro per il coraggio dimostrato nel venire in questa sede a consegnarci questa bozza di disegno di legge, che rappresenta una base di partenza e dimostra ottime intenzioni, purtroppo tuttavia non sufficienti. Aspettiamo gli eventi.

DANIELA DIOGUARDI. Desidero ringraziare il Ministro e sottolineare che credo molto nel metodo basato sulla discussione e l'ascolto per conseguire l'obiettivo migliore, che è quello di realizzare, dopo tanto tempo, una buona legge su un problema serio, che rappresenta una delle cause di impoverimento delle famiglie italiane.
Lo scorso anno, abbiamo svolto un'indagine conoscitiva e constatato la crescita del numero degli anziani, aspetto positivo e di grande valore, di cui occorre però che la società si faccia carico. Dopo aver ascoltato il collega Lucchese, capisco come sia difficile introdurre in Italia il principio di solidarietà e di responsabilità, dal momento che il nostro è uno dei Paesi in cui l'evasione fiscale è più alta, testimonianza di come, purtroppo, i princìpi di responsabilità e di solidarietà siano ancora da realizzare, laddove il fisco costituisce l'elemento essenziale per creare una società solidale.
Concordo sulla compartecipazione, anche per i motivi esposti dal Ministro. Non parlerei però di un incentivo, per non scaricare il problema fuori casa, perché ritengo giusto sottolineare come in questi casi il problema della responsabilità riguardi soprattutto le donne, che oggi si fanno carico degli anziani, dei disabili e degli handicappati. L'unico appunto che rivolgo al Ministro è quindi che, nel parlare di responsabilità, si dovrebbe sottolineare come oggi la responsabilità diretta e quotidiana viene assunta dalle donne italiane, che dovrebbero essere prese come esempio anche dai cittadini maschi del nostro Paese, perché garantiscono un lavoro di grande valore economico, ma soprattutto morale.
Sono d'accordo sulla compartecipazione, perché occorre una responsabilità generazionale. Oggi, purtroppo, alcuni fomentano un conflitto tra generazioni, mentre ritengo doveroso andare in tutt'altra direzione, come del resto avviene nei fatti. Spesso, infatti, gli anziani, per il problema della precarietà, si fanno carico dei giovani; poi, i giovani devono farsi carico degli anziani.
Un altro aspetto positivo, su cui però, come rilevato dal collega Cancrini, è necessario un chiarimento, riguarda il punto unico, in quanto oggi gli utenti vengono spostati da un luogo all'altro, e questo per chi ha già dei problemi diventa estremamente complicato.
Arrivo al punto dolente. Non formulo risposte su questo, ma ritengo doveroso trovare un sistema per fronteggiare (laddove ritengo sia difficile risolverlo, soprattutto dopo la riforma del Titolo V) il problema della disomogeneità tra regioni. Provengo dalla Sicilia, in cui non esistono l'assistenza domiciliare, l'assistenza territoriale o un piano socio-sanitario.
Sono d'accordo con il piano triennale e con i fondi, ma forse bisogna fare qualcosa di più. Non saprei cosa suggerire, ma


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sicuramente devono essere previsti sistemi di controllo. Riguardo a questo, dovremo trovare altre soluzioni.
Un altro punto fondamentale è rappresentato dalla valutazione. Mi sembra che la proposta sia condivisibile per quanto riguarda i servizi, ma questo aspetto deve essere considerato una delle questioni centrali, soprattutto per quanto riguarda l'assistenza sociale, tema su cui ho presentato interrogazioni per altri motivi, che però richiedono un'attenzione particolare.

PRESIDENTE. Colleghi, i lavori dell'Assemblea cominceranno tra una decina di minuti. Il Ministro Ferrero ha preso atto dell'importanza riconosciuta a questo disegno di legge dai colleghi della Commissione, di quanta passione e di quanto interesse siano stati dimostrati. Ritengo quindi necessario un ulteriore momento di approfondimento. I colleghi potranno approfondire il testo consegnato e fornire, in termini del tutto informali, memorie scritte, proposte o testi, invitando il Ministro a riflettere su eventuali integrazioni.
Chiederei, quindi, un supplemento di disponibilità al Ministro, prima di andare in Consiglio dei Ministri con un testo definitivo, per un ulteriore confronto con la Commissione. Acquisita la sua disponibilità in tal senso, potremmo organizzare i lavori e il calendario della prossima settimana tenendo conto anche di questa eventualità.
Do ora la parola al Ministro Ferrero per la replica.

PAOLO FERRERO, Ministro della solidarietà sociale. Presidente, ritengo che un secondo passaggio sia obbligato, salvo problemi insormontabili legati al Consiglio dei ministri. Infatti, entro il 15 dobbiamo presentare il testo come collegato alla legge finanziaria, per cui, se non ci sono problemi, potremmo rivederci di nuovo la prossima settimana. Per migliorare il testo laddove possibile, ritengo utile ricevere da voi eventuali segnalazioni, anche in termini informali.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.