COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 6 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARCO LION

La seduta comincia alle 13,55.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Paolo De Castro, sugli indirizzi e sulle linee programmatiche del Governo nelle materie di competenza del Ministero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del regolamento, del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Paolo De Castro, sugli indirizzi e sulle linee programmatiche del Governo nelle materie di competenza del Ministero.
Ricordo che nella seduta di martedì scorso il ministro De Castro ha svolto la sua relazione e che nella seduta di ieri sono intervenuti i deputati Misuraca, D'Ulizia, Alemanno, Mellano, Delfino, Zucchi, Lombardi, Cesini, Ruvolo, Giuseppe Fini e Maderloni. Si erano iscritti a parlare, ma per ragioni di tempo non sono potuti intervenire, i deputati Servodio, Bellotti, Marinello, Cosenza, Bonfiglio, Sperandio e Brandolini.
Ringrazio il ministro per la sua disponibilità e do la parola ai deputati iscritti a parlare. Ai loro interventi farà seguito la replica del ministro.
Vi chiedo di non essere troppo prolissi e di mantenervi in tempi ragionevoli.

GIUSEPPINA SERVODIO. Procederò per capitoli. Innanzitutto, esprimo al ministro gli auguri più sinceri di un lavoro proficuo ed importante. Il fatto che l'intera coalizione e l'Unione abbiano affidato al ministro De Castro questa competenza denota come per il Governo torni ad essere centrale il settore dell'agricoltura per quanto riguarda l'obiettivo della ripresa economica e produttiva del paese.
Alcuni colleghi, in modo particolare, dell'opposizione, considerano ancora l'agricoltura un settore marginale nella prospettiva dell'azione del Governo Prodi. Invece, ritengo che la scelta del ministro De Castro testimoni che l'agricoltura è un settore privilegiato e centrale all'interno degli interventi di Governo.
Credo molto e do molto valore - come faccio da sempre nella mia esperienza parlamentare - alle audizioni dei ministri, soprattutto all'inizio della legislatura. Mi auguro che queste audizioni diventino un elemento permanente di confronto tra le Commissioni parlamentari ed il ministro.
L'azione del Parlamento non è solo di prevenzione, ma anche di controllo, nel senso di monitorare costantemente il rapporto e la capacità di governo. Le audizioni non sono rituali o un modo per fare protagonismo, ma rappresentano un'occasione concreta di confronto democratico.
Certamente, il signor ministro avrà letto il parere espresso da questa Commissione sul provvedimento relativo alla proroga dei termini all'esame dell'aula. Ebbene, pur valutando l'urgenza di alcuni


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provvedimenti e di alcune proroghe, la Commissione ha ritenuto che si tratti di un passaggio piuttosto forte - è una delega pesante, come affermato da qualche collega in aula - nel settore dell'agricoltura.
Lei ha letto gli atti ed il parere espresso: avrà notato che questa Commissione ha sapientemente, e con molto equilibrio, capito le ragioni della scelta operata dal Governo, ma si è inteso sottolineare che, proprio nella materia dell'agricoltura, la delega deve essere riconsiderata in tutta la sua portata nel rapporto con il Governo.
Per parlare con molta chiarezza, credo che, da parte del Parlamento, sia giusto e legittimo attribuire deleghe, ma a condizione che si stabiliscano orientamenti, criteri direttivi e linee di indirizzo. Noi ci crediamo molto e, pertanto, a tale riguardo, abbiamo espresso un parere positivo, ma abbiamo anche mosso alcune osservazioni per indicare un percorso operativo concreto (sono convinta che lei sarà un grande collaboratore del Parlamento e noi speriamo di esserlo nei suoi confronti).
Qualora la Camera dovesse accingersi ad approvare questo provvedimento nel pomeriggio, intendiamo presentare un ordine del giorno per impegnare il Governo a ritenere che il disegno di legge possa essere costruito attraverso la consultazione e nella considerazione delle linee generali sul rilancio del settore. Vogliamo essere compartecipi di tutti i decreti legislativi che la delega porterà in essere.
La Commissione ha trovato un punto di equilibrio, considerando le ragioni per cui si è arrivati alla legge delega, ma la vuole impegnare - e sono convinta che lei accetterà - a trovare un percorso di collaborazione.
La rivendicazione della compartecipazione del Parlamento per quanto riguarda gli indirizzi ed i criteri da individuare è importante nel settore dell'agricoltura poiché occorre un'azione di grande innovazione.
L'individuazione di un nuovo modello di sviluppo dell'agricoltura non può essere a carico di pochi soggetti, anche perché oggi il settore si trova al crocevia di competenze che spettano sempre più alla Comunità europea e alle regioni.
Il modello di sviluppo agricolo non è più quello degli anni '50 o '80 e credo che nessuno abbia in tasca la ricetta di quello nuovo. Ho notato che si va da un approccio protezionistico ad uno assistenziale o fortemente liberista. A mio avviso, per il settore dell'agricoltura si tratta di vecchie ricette, di vecchi approcci culturali che sono tuttavia concreti.
Nel settore dell'agricoltura ancora oggi gli interventi della Comunità europea sono cosiddetti assistenziali e lo stesso avviene in America e in altri continenti. Il mondo dell'agricoltura, quindi, dipende da fattori non soltanto interni, ma anche esterni.
Se intendessimo sgombrare il settore agricolo da un approccio assistenzialistico, negheremmo la politica della Comunità europea, la quale, invece, ha avvertito la sensibilità, l'urgenza e la preoccupazione di individuare criteri e direttive tali da sostenere il mondo agricolo su alcune questioni.
Dobbiamo, pertanto, decidere quale modello prospettare. In particolare, il modello si deve far forte della struttura, antica, della territorializzazione dell'agricoltura, ma deve anche essere capace di recepire il grande tema della filiera, posto anche dal ministro.
Dalla relazione del ministro emergono già proposte concrete. Dobbiamo individuare il modello e dobbiamo farlo con una forte azione innovativa, con un ampio consenso all'interno del Parlamento e con le regioni. Spesso vi sono contraddizioni, contrapposizioni e ambiguità; il dialogo con le regioni deve essere sostenuto non per la capacità del Parlamento e del Governo di capire dove finisce la competenza delle regioni e dove inizia quella dello Stato, ma con la concertazione. La reciprocità delle competenze fa in modo che si mettano insieme competenze e risorse nel settore agricolo.
Un altro tema che vorrei affrontare riguarda il rapporto con le organizzazioni di categoria: mi riferisco ai sindacati e alle professioni. C'è un vecchio e nuovo modo


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di rappresentare questo mondo. Dobbiamo essere capaci di individuare - ci sono tanti temi di trattativa con le organizzazioni sindacali - il modo per costruire con loro un nuovo modello di sviluppo del settore.
Vi è poi il tema dell'Europa da lei sottolineato. Oltre che per le sue capacità e l'autorevolezza, che tutti conosciamo, penso che un ministro sia legittimato nel suo ruolo in Europa se è forte di un mandato e di un orientamento parlamentare il più possibile ampio.
Queste sono le ragioni a monte del significato dell'ordine del giorno che abbiamo presentato in aula, che riassume il senso del parere.
Le pongo altri due temi, ministro. Il primo riguarda la filiera. Da tempo si parla di filiera corta, lunga e quant'altro. Dobbiamo approfondire la questione di cosa debba avvantaggiare la filiera. In certe esperienze, oggi è avvantaggiata solo la trasformazione, cioè l'industria. Noi vogliamo che torni a esservi un valore anche da parte di chi produce. Il rapporto tra chi produce, chi trasforma e chi commercializza dev'essere ripristinato attraverso operazioni fiscali, organizzative e di promozione.
L'altro tema riguarda il credito agricolo e la ricerca. So che lei ha partecipato a una serie di incontri in ordine a tale argomento. In questo settore si avverte il bisogno di rivitalizzare e mettere in rete, oppure di sopprimere i centri collegati al Ministero dell'industria. Dobbiamo anche valorizzare posizioni ed esperienze di eccellenza che provengono da privati. Non è vero che possiamo continuare a produrre alcuni prodotti che non hanno più mercato.
La ricerca, dunque, è fondamentale ed, in quanto tale, non può essere lasciata alla singola iniziativa privatistica, volontaria o di alcuni consorzi. A mio avviso rappresenta la base di lancio per il nuovo modello di sviluppo, su cui bisogna spendere di più, confrontarci e dare soluzioni complete.

LUCA BELLOTTI. Signor presidente, da parte mia e dei parlamentari di Alleanza Nazionale presenti in questa Commissione è doveroso, in primo luogo, un ringraziamento all'ex ministro Alemanno per il lavoro svolto in questi anni a supporto dell'agricoltura italiana. Credo sia altrettanto doveroso esprimere un sentito augurio per un proficuo lavoro a lei che presiede questa Commissione, al ministro De Castro e al sottosegretario Mongiello.
Per quanto riguarda il ministro, che ha già ricoperto questo ruolo, la nostra stima nasce alla luce delle sue evidenze, quando nel 1998 è stato a capo di questo dicastero, svolgendo una funzione tecnica, ma senza ricoprire un ruolo politico. Ciò che ci preoccupa, signor ministro, è che, francamente, il programma dell'Ulivo è molto debole sul tema dell'agricoltura.
Il nostro ruolo vuole essere di opposizione costruttiva e non demagogica; tuttavia, non vorremmo che, in taluni casi, debba essere sostitutivo, nel senso che dovremo aiutarvi in questa avventura (lo deduco da alcuni interventi di minoranza che si sono svolti in Commissione all'inizio dell'audizione). Insomma, a fronte del livello di «corrosività» che è stato espresso anche nei confronti della relazione del ministro, abbiamo qualche preoccupazione.
Credo che il senso di questa prima audizione sia di indirizzo, una sorta di grande programmazione. Sono necessarie alcune considerazioni preliminari, anzitutto con riferimento al ruolo dell'Italia nel contesto europeo ed internazionale.
Oggi l'agricoltura italiana si attesta all'8-9 per cento rispetto a quella europea; se poi la confrontiamo con l'agricoltura internazionale, la percentuale è all'incirca del 2-3 per cento. Chi ha avuto modo di visitare alcuni paesi nel mondo (Brasile, Argentina, Stati Uniti) - anche nella sua relazione sono riportati alcuni termini di paragone - considera le terre italiane come un orto, non di più.
Ciò ci induce a svolgere una serie di riflessioni, che poi sono le motivazioni forti di orientamenti strategici che deve avere l'agricoltura italiana. Non saremo competitivi per quanto riguarda l'agricoltura


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a pieno campo, ma lo saremo in ordine all'agricoltura di qualità, di nicchia. La nostra agricoltura può basarsi solo sulla nicchia e sulla qualità, ma dobbiamo capire quale orientamento strategico dare all'80-90 per cento della superficie agricola. Ad esempio, se anche aumentassimo del doppio le superfici italiane sull'IGP e sul DOP - per cui abbiamo una territorialità collegata a una sorta di certificazione qualitativa - non risolveremo di certo i nostri problemi. Arriveremmo a coprire all'incirca un 3, 4 o 5 per cento. Nemmeno raddoppiando avremmo modo di risolvere i problemi della qualità o dell'agricoltura italiana.
Allora, è importante capire che l'agricoltura sempre più si relaziona al territorio e ad altre aree, individuate nella sua relazione. Pensiamo che, per quanto riguarda il secondo tempo dell'agricoltura italiana, si debba procedere nella direzione non solo della qualità e della sicurezza alimentare - come è stato fatto nel primo tempo nella scorsa legislatura - ma anche della competitività (e mi riferisco anche alle coltivazioni a pieno campo). Occorre, inoltre, trasformare l'agricoltura italiana, procedendo nella direzione delle bioenergie, per avere due filiere: una della qualità e una dell'energia. Ciò, inoltre, può far aumentare i prezzi dei prodotti agricoli (si tratta di un elemento importante).
La questione delle aflatossine, che molto spesso in passato, anche nella stagione scorsa, ha creato non pochi problemi nel settore agroalimentare, potrebbe trovare una soluzione, se indirizzassimo le produzioni contaminate - chiamiamole così - nella filiera delle energie, rispetto a quella della qualità (riprenderò questo tema successivamente ).
Tra le considerazioni preliminari credo sia doveroso riassumere i risultati che abbiamo ottenuto negli ultimi cinque anni.
È fuor di dubbio che abbiamo cercato di porre l'agricoltura italiana nella centralità dell'agenda del Governo e dell'economia del paese. Abbiamo rafforzato temi nascosti, che non erano all'attenzione dell'opinione pubblica, come il made in Italy, nonché la competitività, attraverso gli strumenti delle leggi finanziarie e (ad esempio, Buon Italia), aziende opportunamente coordinate dal Ministero delle politiche agricole. Abbiamo avviato una trasformazione qualitativa, introducendo i concetti della tracciabilità nell'ultima legislatura. La sicurezza agroalimentare ha rappresentato, quindi, un tema portante degli ultimi cinque anni.
Inoltre, la nostra agricoltura è stata ampiamente difesa in Europa e ciò emerge nella difesa dei marchi italiani e nella salvaguardia di alcuni settori strategici (penso al tabacco e all'olio d'oliva). Questa autorevolezza è stata dimostrata anche nell'aver ottenuto il riconoscimento di Parma quale capitale dell'agroalimentare: nessuno avrebbe scommesso su un risultato così importante. Nella direzione dell'autorevolezza e forza ottenute in Europa si pone anche la chiusura della più che ventennale vicenda delle quote latte. Per quanto riguarda la riforma saccarifera, se non vi fosse stata una pienezza, una sorta di peso specifico del nostro paese, oggi parleremmo di assoluti disastri, mentre ci troviamo dinanzi a un settore ristrutturato, con alcune difficoltà, per il quale stiamo cercando di ottenere risultati migliorativi, cioè la trasformazione della filiera.
Credo che adesso sia necessario passare brevemente in rassegna le attuali aree critiche della nostra agricoltura.
Nella sua relazione parlava dei consorzi agrari provinciali, di un discutibile - per quanto mi riguarda - ruolo cooperativistico. Forse, e proprio in questa Commissione, sarebbe necessaria una riflessione: non basta ridurre il numero dei commissari per risolvere i problemi del consorzio agrario, ma occorre pensare a una sorta di nuova missione di questi strumenti, necessari per lo sviluppo dell'agricoltura.
Vorremmo presentare alcune proposte di legge anche in questa legislatura. Ad esempio, per quanto riguarda il made in Italy, riteniamo necessario utilizzare lo strumento del consorzio agrario come canale per accorciare la filiera dal produttore al consumatore. Il made in Italy,


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attraverso i canali distributivi del consorzio agrario, potrebbe diventare una sorta di nuovo supermercato italiano.
Si tratta di proposte alternative da valutare, anche a fronte del problema - sottolineato nella sua relazione - determinato dal peso rilevante della grande distribuzione straniera. Gli unici elementi di italianità risiedono nei consorzi agrari.
Un ruolo più efficiente deve essere ricoperto dall'amministrazione pubblica; mi riferisco al Ministero, ma anche ai rapporti, talvolta tortuosi, con le regioni.
Per quanto riguarda il Ministero, nella configurazione delle nuove deleghe, credo sia necessaria maggiore efficienza. Non lo dico in tono polemico: anche noi in passato, pur essendo dalla parte della maggioranza, abbiamo avuto difficoltà nelle relazioni con gli uffici competenti. Oggi, con il Ministero, potenziato da una delega sull'agroalimentare, ancora più forte rispetto al passato, diventa davvero necessario aumentare tale efficienza.
Inoltre, deve migliorare il rapporto con le regioni, che è stato tortuoso anche in passato. Mi riferisco, ad esempio, ad un progetto di legge sull'agricoltura biologica che, dopo aver seguito l'iter della concertazione, della consultazione, si è arenato per motivi politici in sede di conferenza Stato-regioni; adesso, con il nuovo Governo, si attende un miglior destino rispetto al passato. Non possiamo, comunque, rischiare di avere un'agricoltura bloccata, perché le regioni si mettono di traverso per alcune questioni (non riusciremo in questo modo a produrre una legislazione efficace per alcuni settori).
Per quanto riguarda altre questioni importanti in agenda, credo sia doveroso che questa Commissione affronti il problema della filiera dello zucchero, a partire dalle difficoltà nella gestione delle diramazioni europee. Vorrei proporvi un esempio sul contoterzismo: ogni giorno alcune aziende chiudono, dichiarando fallimento, perché il reddito, risulta basato sulla trasformazione e sulla lavorazione meccanica delle barbabietole. Tali aziende attendono con rapidità una sorta di risanamento, tra l'altro previsto dalla Comunità europea, che trova però ostacoli legislativi importanti. Pertanto, è necessario intervenire in questo ambito, così come sulla questione delle bioenergie, che attende una sorta di continuazione nel contesto degli interventi da approntare.
Credo che il Governo di centrodestra, il Governo Berlusconi, abbia avuto il grande merito di dare uno start up a questa filiera. Abbiamo reso compatibile l'attività dell'agricoltura con la produzione dell'energia. Bisogna, però, dare continuità: si sente parlare di bioetanolo, biodiesel e biogas, ma è assente un piano strategico nazionale che dovrebbe essere predisposto rapidamente per evitare che si arrivi ad una sorta di corsa all'oro.
Infatti, nel territorio possono sopravvivere solamente alcune strutture, mentre da più parti si pensa a una sorta di panacea dell'agricoltura italiana.
Cerchiamo di dare una logica strutturale programmatoria, altrimenti correremo il rischio di inficiare la grande opportunità che si è aperta per l'agricoltura italiana.
Come dicevo, abbiamo parlato delle aflatossine che abbiamo messo in relazione con le bioenergie. Se ricoprissi il ruolo del ministro, tenterei una riflessione approfondita: non vorrei che si verificasse la stessa situazione che abbiamo vissuto l'anno scorso in molte coltivazione di mais. Bisognerebbe avere un piano per riuscire ad anticiparla. Avvierei una riflessione sulla questione delle bioenergie anche con alcuni stabilimenti dell'ENEL.
Si rende, altresì, necessario anticipare le emergenze che coinvolgono sistematicamente il settore dell'agricoltura. Nel passato, siamo stati tempestivi: mi riferisco all'influenza aviaria e ad altri problemi che abbiamo affrontato. Però, svolgerei una riflessione su quanto spendiamo per risolvere le emergenze rispetto alle risorse impiegate per sviluppare l'agricoltura. Credo che potrebbe servire anche al paese.
Signor ministro, nel documento di inizio legislatura ci saremmo attesi una certa programmazione legislativa in ordine ad alcune importanti questioni di indirizzo (ad esempio, l'agricoltura biologica non


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trova conforto nel suo documento): non si tratta di nuove riforme, ma - come dice il collega Bedoni - di applicare quelle vecchie.
Altro tema importante da inserire nell'agenda è la questione della siccità nel nostro paese o meglio della gestione delle acque. L'agricoltura è legata all'acqua e, pertanto, occorre predisporre una grande programmazione nazionale. Non vi è agricoltura senza acqua e la sua mancanza, in molti casi, genera situazioni assolutamente critiche. Pertanto, risulta necessario fare, insieme alle regioni, una grande panoramica sulla siccità e sul piano nazionale di irrigazione.
Altro tema fondamentale per il futuro riguarda il settore della ricerca che, oltre a essere messa in rete, deve essere disponibile anche per il mondo dell'agricoltura.
Vorrei adesso esprimere alcune considerazioni in ordine al nostro ruolo in Europa ed ai nostri rapporti con la Comunità europea. Lo scorso dicembre ho partecipato ai lavori del WTO e credo sia necessaria e doverosa una riflessione: non possiamo accettare l'idea che i problemi della povertà, del terzo mondo, si risolvano cedendo quote di produzione agricola europea. In questo modo, risolveremo qualche piccolissimo problema del pianeta, ma induciamo povertà nel mondo dell'agricoltura. Il problema del reddito in agricoltura deve essere affrontato in maniera prioritaria rispetto a qualsiasi discussione sul ruolo dell'agricoltura.
Per quanto riguarda gli organismi geneticamente modificati, ci troviamo a dover riaffrontare il tema (si tratta di questioni già ampiamente dibattute). Noi abbiamo adottato il principio della prudenza, della precauzione; non vorrei che vi fosse un disaccordo demagogico anticipato su tale tema, che affronteremo quando sarà inserito nell'agenda dei lavori della Commissione.
L'ultima questione riguarda il ruolo della Commissione. Ministro, cosa si aspetta da noi? Un ruolo di piccola notifica delle azioni del Governo oppure la Commissione deve essere un luogo in cui anticipare i problemi in ampia collaborazione con il ministro, fungendo da stimolo, per il dibattito anche su altri grandi temi?

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. La ringrazio, presidente. Saluto il ministro ed il sottosegretario, porgendo loro auguri non soltanto formali, ma anche sostanziali. Tuttavia, con tutto il rispetto per il ministro De Castro, per l'amico Mongiello e per gli altri sottosegretari, è l'agricoltura ad avere bisogno degli auguri di tutti noi. Pertanto, credo che, nel prosieguo dei nostri lavori, vi sarà il massimo della disponibilità, non soltanto quella mia personale, ma anche del gruppo politico al quale appartengo.
In questa Commissione abbiamo sempre sostenuto che esiste non una agricoltura di destra, di sinistra o di centro, ma una agricoltura che presenta una serie di problemi che, a dire la verità, risultano essere datati nel tempo.
Non sono un esperto di economia e politica agraria - professionalmente faccio tutt'altro - ma mi è capitato di leggere un memorabile discorso del ministro Scorza, datato 50 o 60 anni fa, in cui erano ampiamente delineate le problematiche dell'agricoltura meridionale e italiana in genere. Ebbene, in quella relazione vi era una preveggenza che - ahimè - si è avverata. Oggi tali problemi sono contingenti, urgenti, ma forse appartengono non al domani o all'oggi, ma addirittura a ieri. Lo voglio ricordare anche per rendere omaggio a un collega della passata legislatura: credo che una serie di problematiche siano state ampiamente delineate nei memorabili lavori dell'onorevole Jacini.
Queste perplessità emergono anche dalla relazione del ministro, quando tratta queste tematiche, seppure in maniera non superficiale, ma sintetica, a pagina 8.
Oggi, gli avversari dell'agricoltura sono a ogni piè sospinto, a cominciare da alcune linee di pensiero del mondo economico, della grande finanza e della politica. Tempo addietro ho assistito a un convegno di Confindustria e le argomentazioni del dottor Cipolletta erano terrificanti. Credo che oggi lei avrà bisogno non soltanto della nostra collaborazione, ma del nostro fattivo


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aiuto. Ritengo, infatti, che avremo grossi problemi nei rapporti, non all'interno di questa Commissione o tra maggioranza e opposizione, ma tra sistema agricolo e altri ministri o altri componenti del Governo di cui lei fa parte, a cominciare dagli esponenti dell'economia, il ministro Padoa-Schioppa e il ministro Visco, per finire con il ministro delle attività produttive, Bersani.
Ho voluto fare questa premessa per dimostrare da parte nostra contezza delle problematiche e disponibilità. Mi rendo conto che si tratta di temi che richiederebbero non pochi minuti di riflessione, ma giornate intere di dibattito ben documentato. Voglio però sollevare la sua attenzione su una serie di punti e trattarne in maniera più ampia due, in particolare, che non sono stati affrontati dai colleghi che mi hanno preceduto.
Anzitutto, nella sua relazione non colgo una serie di temi. Non si accenna minimamente allo stato negoziale delle problematiche di nostro interesse, a livello di WTO. Per la verità, ho molto apprezzato le argomentazioni - anche quelle che non condivido - che sollecitano domande e riflessioni serie, della collega Lombardi.
Due argomentazioni che mi stanno parecchio a cuore, sintetizzano alcune grandi problematiche del sistema agricolo italiano. Mi riferisco in primo luogo alla dicotomia tra le produzioni agricole italiane, che, molto spesso, crea conflitti nazionali prima ancora che europei o internazionali; alla dicotomia tra colture tipicamente mediterranee, da cui si originano alcune produzioni continentali che, invece, rispondono a logiche di mercato, finalità e sistemi produttivi completamente diversi. Per certi versi - ne ha parlato in maniera completa l'amico Bellotti - ciò si riproduce nella dicotomia tra agricoltura e prodotti di nicchia, di qualità. Uno dei nostri obiettivi è la produzione di nicchia e di qualità, ma dobbiamo ampliarne il concetto. Non dobbiamo dimenticare che la nostra è un'agricoltura dei grandi numeri che si basa anche su quelle commodities che dobbiamo sviluppare e sostenere in maniera compatibile dal punto di vista economico.
Queste sono le dicotomie interne al nostro sistema produttivo che lei, proprio perché rappresenta l'unicità del sistema agricolo, con intelligenza e capacità di sintesi deve saper rappresentare, fornendo risposte complete.
Sempre in tema di dicotomie, come lei ben sa, l'agricoltura italiana è caratterizzata da aree a diversa velocità: alcune corrono, altre camminano, altre ancora zoppicano e arrancano e così via. In sintesi, vi sono aree a due velocità: aree di agricolture «ricche» o «grasse» ed aree relative a certe zone geografiche (interne o collinari) che versano in grande difficoltà.
Vorrei segnalare il seguente dato: su 1 milione e 800 mila partite registrate in AGEA, circa il 60-65 per cento riguarda due o tre regioni d'Italia. Questo dato la dice lunga sulle difficoltà di organizzazione del sistema produttivo agricolo, specie in alcune regioni meridionali. Penso alla Puglia e alla Sicilia, regioni nelle quali le difficoltà dell'agricoltura italiana raggiungono livelli esasperati. Il problema non è soltanto economico, ma anche sociale: dietro i grandi numeri - e mi riferisco alle centinaia di migliaia di aziende esistenti - vi sono centinaia di migliaia di lavoratori. Alcuni punti di vista devono quindi essere rappresentati e debbono trovare un'opportuna sintesi.
Nell'ottica di questo ragionamento, vorrei riprendere un argomento che è stato affrontato ieri dall'onorevole Misuraca. Mi dispiace che qualche collega abbia un po' frainteso (o almeno questa è stata la mia sensazione). Si parlava delle aree interne dedicate alla coltivazione del grano duro: già l'anno scorso abbiamo perso centinaia di migliaia di ettari, dal punto di vista della produttività e delle coltivazioni, e quest'anno ne perderemo ancora. Nessuno pensa a misure protezionistiche, ma ci dobbiamo porre il problema serio di cosa fare di queste aree in stato di abbandono, di queste aziende e di questi agricoltori.
Inoltre, - è un lato positivo che colgo nella sua relazione - mi ha fatto molto


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piacere il passaggio, a pagina 1, in cui si parla di un più ampio presidio del territorio. A mio avviso, dovremmo avere una concezione onnicomprensiva dell'agricoltura, da valutare dal punto di vista non soltanto della produttività, ma anche del valore aggiunto sotto l'aspetto ambientale, paesaggistico, ecologico e culturale. Questo prezzo, a mio avviso, non può essere pagato solo ed esclusivamente dagli addetti all'agricoltura o dalle aziende agricole, ma dall'intera società italiana. Non è un ragionamento filosofico né concettuale, ma se lo caliamo nello specifico può trovare momenti di risposta.
Vorrei accennare un altro tema. Mi scusi, presidente, se mi dilungo, ma si tratta di argomentazioni serie che non sono state affrontate da altri colleghi.
Signor ministro, per quanto riguarda il Piano irriguo nazionale, mi permetto di dare un suggerimento. Esso è stato varato nella passata legislatura e vi sono state investite importanti risorse, ma - ahimè - ci siamo resi conto di alcune difficoltà attuative, tant'è che le risorse stanziate sono state utilizzate soltanto nella misura di un terzo. Vi sono state difficoltà attuative a livello locale e nei rapporti Stato-regione. A mio avviso, lei dovrà concentrare con attenzione le sue capacità per velocizzare le procedure e far sì che le misure, le risorse e gli strumenti che abbiamo identificato nella passata legislatura diano risultati concreti sul territorio.
Circa gli istituti di ricerca ed il CRA, abbiamo apprezzato e condiviso l'accorpamento in un unico grande istituto di ricerca delle risorse scientifiche e culturali che operavano nel territorio. Tuttavia, la mia opinione personale - non so se gli altri amici della mia parte politica la condividano - è che nell'ultimo piano riorganizzativo siano stati compiuti alcuni errori. Un conto è accentrare in un unico ente le competenze e le risorse economiche, culturali e scientifiche; altro è sopprimere le strutture presenti nel territorio che, con la loro decennale e, talvolta, secolare esperienza, hanno rappresentato momenti di grande significatività per la ricerca scientifica, non soltanto nel settore agricolo, ma, più in generale, nel sistema scientifico italiano.
Entrando nello specifico, vorrei segnalare una questione che riguarda alcune regioni italiane, vale a dire la Sicilia, regione governata dal centrodestra, ma anche regioni amministrate dal centrosinistra, quali la Liguria, l'Umbria e la Basilicata (se non ricordo male). Mi riferisco all'attuazione della legge n. 71 del 2005, per intenderci, quella che riguardava il cosiddetto omnibus del 2002 e la attualizzazione dei limiti di impegno quindicennali con un cofinanziamento Stato-regione.
Vi è un ritardo che deriva, come al solito, dal tentativo del Ministero dell'economia di «rapinare» il sistema agricolo di queste risorse. Abbiamo saputo che, sull'attualizzazione dei limiti di impegno, vi è anche una divergenza tra il suo Ministero e quello dell'economia. Tra l'altro, sono stato relatore di uno di questi provvedimenti, così come lo è stato l'onorevole Ruvolo, allora senatore. Conosciamo benissimo l'argomento; siamo pronti anche a portare i canovacci dei lavori parlamentari, che possono poi ispirare la giurisprudenza. Ricordo benissimo che si trattava di limiti quindicennali; pertanto, non capiamo il motivo per cui il Ministero dell'economia voglia decurtare risorse per l'agricoltura. A tal fine, ho già presentato un'interpellanza che sarà svolta la prossima settimana; tale strumento di sindacato ispettivo è stato indirizzato anche al ministro dell'agricoltura, ma il principale interlocutore è il ministro dell'economia: vedremo cosa ci risponderà. Non solo a livello personale, ma anche a nome di tutta la Casa delle libertà e - spero - di tutti i colleghi della Commissione agricoltura, le dico che saremo al suo fianco per difendere queste risorse, che devono ritornare nel nostro alveo.
Un'altra argomentazione, di cui si è parlato poco, riguarda la pesca. Nel mondo della pesca vi è molta preoccupazione per il cosiddetto spacchettamento. Considerato che una serie di competenze che riguardano il mare passeranno sotto


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l'egida del Ministero dell'ambiente, non vorremmo che non si definiscano in maniera precisa i limiti delle competenze tra un'amministrazione e l'altra e che, alla fine, a pagare il conto della inefficienza e delle complicanze della burocrazia italiana siano le aziende di pesca. Stiamo attenti, colleghi: è un tema abbastanza delicato, anche se apparentemente sembra di piccole dimensioni. In Italia, vi sono soltanto 11 o 12 mila imprese di pesca, con circa 45-50 mila addetti, che però rappresentano una peculiarità per aree territoriali come le fasce costiere e, soprattutto, per le zone in cui si concentrano le imprese di pesca. Penso ad alcune aree della Sicilia che rappresentano il 35 per cento del settore della pesca in Italia, ma anche ad alcune zone dell'Adriatico e dell'Anconetano, dove la pesca rappresenta qualcosa di importante dal punto di vista sociale, economico e - perché no! - storico-culturale.
Già l'amico Fini, ieri, ha parlato di un problema di ridotte dimensioni, anche se importante, che riguarda la pesca nelle valli. A tale proposito, riteniamo che non solo debba essere fatta chiarezza nella vicenda dei diritti di proprietà, cioè nella differenziazione tra proprietà e concessione, ma che occorra individuare - come ha fatto il sottosegretario delegato precedentemente - una politica comune per affrontare questo argomento senza separare le competenze delle singole regioni. Nell'Adriatico, infatti, vi è una macroarea che riguarda il Veneto, il Friuli Venezia Giulia ed alcune zone della Croazia, dove vi sono questioni che debbono essere affrontate complessivamente.
Per quanto riguarda i problemi della pesca in generale, vorremmo sapere cosa intenda fare il Governo in merito alla legge n. 30, che, a nostro avviso, deve essere rifinanziata, all'IRAP e all'IVA. Vorrei ricordare che l'anno scorso, dopo anni, siamo riusciti ad ottenere un grande risultato: paragonare e parificare il regime IVA delle imprese di pesca con il sistema dell'IVA agricola per il 2006. Capisco che lei abbia un po' di patema d'animo per quanto riguarda l'IRAP e l'IVA in agricoltura: temiamo colpi di mano da parte del Ministero dell'economia. Nella salvaguardia degli interessi dell'agricoltura, però, gradiremmo che il percorso che abbiamo tracciato insieme (siamo arrivati a questo risultato con risoluzioni approvate in Parlamento da maggioranza ed opposizione e mi fa piacere che il collega Franci possa testimoniarlo e ricordarlo) sia consolidato, mantenuto e assicurato anche per i prossimi anni.
Vi sono poi altre questioni relative alla pesca che, per ragioni di sinteticità, cito velocemente, come quella del fermo pesca. È una questione aperta che riguarda il diritto del lavoratore marittimo ad essere adeguatamente ristorato, ma anche l'impresa di pesca. Come sappiamo, in alcune regioni l'attuazione del fermo pesca pone delle differenziazioni. Le imprese di pesca si trovano già in difficoltà per l'aumento dei costi di gestione, in particolar modo per l'aumento del costo del gasolio; potrebbero trovarsi di fronte a difficoltà ancora più grandi se il fermo pesca non prevede misure, non solo di sostegno, nei confronti dell'armatore. Teoricamente, possiamo anche discutere sull'ampliamento del periodo di fermo pesca per motivi ambientali ed ecologici, ma dobbiamo trovare un sistema di ristoro.
In Italia, si avverte poi la problematica della specificità del sistema pesca, in particolare delle cosiddette pesche speciali. Vogliamo che si apra un confronto chiaro e sereno con le categorie interessate. Lei sa benissimo, ministro, che la pesca mediterranea ha peculiarità diverse rispetto a quelle del sistema atlantico. Le misure adottate in altri paesi (ad esempio, in Spagna, Portogallo, Svezia e Germania) è completamente diverso e dissonante rispetto a ciò che impongono le nostre esigenze. Vogliamo capire quali debbano essere il percorso, la strategia, la politica del nostro paese per quanto riguarda la pesca mediterranea.
Ci rendiamo conto che dobbiamo rivolgerci a sistemi sempre più ecocompatibili, ma non possiamo abbandonare al loro destino imprese che, per decenni, secoli, hanno portato avanti un sistema


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peculiare; in particolare, se lo abbandonassero, sarebbero costrette alla marginalizzazione, al fallimento, quindi a uscire fuori dal sistema.
Un'altra considerazione riguarda la politica per il rinnovo degli armamenti che deve essere non di ulteriore, ma di adeguato sostegno.
Vengo all'ultima argomentazione, signor ministro, che, forse, è la più importante di tutte. Uno dei problemi della pesca mediterranea riguarda le regole, che devono essere concordate e condivise con tutti i paesi frontalieri. Mi spiego per i colleghi che non hanno mai sentito parlare di queste cose.
Vi sono delle regole comunitarie che i nostri armatori, così come quelli francesi, spagnoli e greci, devono rispettare; ma il territorio di pesca è uguale a quello degli altri paesi, che però non rispettano le regole. È un problema grandissimo: ancora oggi nel canale di Sicilia vi sono soggetti che utilizzano sostanze chimiche o esplosivi per esercitare la pesca, con conseguenze sull'ecosistema mediterraneo e con un danno economico diretto alle imprese di pesca del Mediterraneo.
Vogliamo capire quale sia la linea, la strategia del nostro paese. Lei ha accennato alla conferenza internazionale del Cairo: dobbiamo arrivarvi con le idee chiare. Auspico al più presto un'audizione con le più grandi associazioni di categoria che rappresentano l'intero mondo della pesca, per dare contezza di queste problematiche a lei e alla Commissione.

GINO SPERANDIO. Ringrazio anch'io e faccio i migliori auguri di buon lavoro al ministro. Il fatto che debba prendere parte al question time è garanzia di brevità del mio intervento. Sarò breve anche perché ritengo esaustivo l'intervento della collega Lombardi, a cui mi richiamo e su cui concordo. Vorrei solo sottolineare alcune questioni.
Innanzitutto, vorrei tranquillizzare il collega Bellotti: la nostra è una maggioranza interessante, perché reca opinioni diverse, ma assolutamente autosufficiente; pertanto, sapremo garantire, mi auguro anche con l'ausilio del ministro, una sintesi delle nostre idee nell'interesse dell'agricoltura.
Vorrei sottolineare alcuni profili che sono diversi rispetto alla relazione del ministro, perché mi pare che una problematica attinente all'agricoltura, che riteniamo centrale, sia assente o quantomeno sottotraccia. Mi riferisco alla sostenibilità del modello, che ci sembra sia arrivata al capolinea.
Per quanto riguarda la questione dell'acqua o della siccità, le produzioni agricole hanno sempre più sete: per certe unità di prodotto è necessaria una quantità d'acqua addirittura 10 volte superiore a quella che occorreva sessant'anni fa. È una questione centrale su cui è utile un confronto.
Ognuno di noi ha una sua base culturale; vorrei ricordare ai colleghi la questione affrontata nei bellissimi libri di Sereni e mi riferisco al paesaggio come base dell'agricoltura. Rispetto a questa questione e a quella del territorio, penso che oggi si debba fare come diceva l'onorevole Bellotti: pensare all'Italia come ad un orto. Il nostro paesaggio, infatti, risulta avere le caratteristiche di un orto e, probabilmente, le produzioni agricole a cui dobbiamo pensare sono quelle rispettose dell'orto; lo dico per estrema sintesi.
Vorrei, in conclusione, introdurre ancora due questioni, iniziando con quella forestale, intesa non soltanto come l'ha tratteggiata lei. Dal punto di vista politico, c'è sempre una questione prevalente : è inevitabile che per il ministro delle politiche agricole e forestali la questione forestale si ponga soprattutto per le zone meridionali. In realtà, si apre una grande questione forestale anche al nord, con riferimento all'abbandono del territorio. È un processo sconosciuto fino a vent'anni fa: si sta riscontrando un rimboschimento selvaggio e distruttivo del territorio in ampi settori della montagna italiana, in ordine al quale, a mio avviso, occorre coordinare con le singole regioni un intervento a tutela del paesaggio e del territorio.


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L'ultima questione riguarda i consorzi, in ordine ai quali il nostro gruppo, come avrà avuto modo di vedere, ha già attivato una sorta di attività ispettiva. Non siamo convinti della politica attuata dal Governo precedente rispetto alla costruzione di progetti di liquidazione e alla «rimessa in bonis» dei consorzi.
Anticipo sin da ora che la nostra attività (dall'intervento della collega del gruppo dei Comunisti italiani ho inteso che vi è una preoccupazione analoga) sarà di vigilanza, affinché vi sia trasparenza rispetto alla trasformazione dei consorzi agrari e alla gestione del patrimonio. Riteniamo che vi siano rischi speculativi rispetto a questa partita, motivo per cui le chiediamo una grande attenzione.
Mi dispiace di non poter assistere alla sua replica: penso che intervenire nel dibattito, senza ascoltare il resto della discussione sia un atto di grave maleducazione. Ma leggerò con attenzione il resoconto stenografico della seduta odierna ed, inoltre, credo che avremo occasioni di confronto in altra sede.

GIULIA COSENZA. Faccio i miei auguri al ministro ed al sottosegretario. Ho apprezzato molti punti della relazione del ministro, in particolare quello in cui esprime l'importanza e la necessità di promuovere e posizionare i nostri prodotti sui mercati internazionali.
Avrei auspicato uguale attenzione anche allo sviluppo dei nostri sistemi rurali locali. Tutti sappiamo che sviluppo rurale significa mettere a sistema certe potenzialità, quali il prodotto agricolo con le sue produzioni tipiche di pregio, l'enogastronomia, la multifunzionalità intesa come proiezione dell'azienda agricola verso la società, l'ambiente, il passaggio e la cultura rurale. Questo è il substrato da cui può scaturire il vero sviluppo ecosostenibile, che è basato sulle potenzialità endogene del territorio. Penso che tutto ciò sia alla base di quello che chiamiamo «prodotto Italia», il made in Italy. Siamo consapevoli del suo valore straordinario, tanto che ci teniamo a posizionarlo sui mercati stranieri, ma, allo stesso tempo, dobbiamo fare di tutto per renderlo fruibile anche sul nostro territorio.
Penso che un'adeguata forma di indirizzo e di coordinamento dell'accoglienza potrebbe sviluppare maggiormente o, meglio, far avere uno sviluppo serio all'agriturismo e al turismo rurale che, secondo me, lo meritano. Mi riferisco soprattutto alle regioni meridionali, che sappiamo tutti avere grandi potenzialità inespresse in questo ambito.
L'agriturismo ed il turismo rurale, attraverso la promozione di idonee forme nelle campagne, possono concorrere a tutelare e qualificare non solo le risorse specifiche di ogni territorio, ma anche le attività umane, il patrimonio di edilizia rurale, gli antichi acquedotti, le botteghe artigiane, i centri storici, i palazzi d'epoca, le masserie, i castelli, attività e mestieri: si tratta di un patrimonio culturale minore di cui è ricca l'Italia e che per noi rappresenta una grande potenzialità.
Ho notato l'assenza di queste voci nella sua relazione e ho voluto fare questo riferimento affinché possano trovare recepimento nel suo programma.

ANTONIO BUONFIGLIO. Signor presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il ministro per l'audizione, anche se - come alcuni di noi avevano auspicato - avremmo preferito che avesse svolto la sua relazione prima della richiesta della delega. Ricordo che, con la previa concessione della delega - ringrazio il sottosegretario che è stato molto esauriente nella sua spiegazione - la Commissione si è spogliata di uno dei suoi poteri. Preannunzio che il gruppo di Alleanza Nazionale, presenterà un ordine del giorno affinché la delega sia preventivamente discussa tramite un disegno di legge.
Ringrazio il ministro per l'onestà intellettuale che ha dimostrato ieri nella sua relazione, soprattutto quando ha rivendicato al percorso condiviso tra maggioranza e opposizione della passata legislatura una serie di successi nel settore agroalimentare.
Mi corre, tuttavia, l'obbligo di fare alcune puntualizzazioni sulla relazione


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che è stata illustrata, con riferimento alla parte in cui si parla di una perdita di valore aggiunto.
Come risulta da studi e dossier in possesso dell'attuale Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, la perdita di valore aggiunto, segnalata nella relazione del ministro, equivalente al 2,4 per cento, va letta nel suo complesso. Si tratta, in primo luogo, di una percentuale stimata con riferimento all'anno precedente: nel 2004 vi è stato un boom. Inoltre, questo valore sconta una serie di altre cause: rappresenta, in primo luogo, la media dei paesi della Comunità europea dello scorso anno ed inoltre, sconta la riforma della politica agricola comunitaria, che ha prodotto due conseguenze importanti, la prima delle quali, segnalata dal collega Marinello, è una riduzione delle superfici, soprattutto per quanto riguarda la contrazione del grano duro in alcune zone del nostro paese. La seconda consiste in un effetto contabile, stimabile nel 3 per cento circa che, paragonato al 2,4 per cento, darebbe un risultato positivo.
Il disaccoppiamento - brutto neologismo introdotto con la riforma della politica agricola comunitaria - porta il risultato economico non nell'utile di gestione, ma nel reddito delle aziende. Pertanto, si perde un 3 per cento per effetto del disaccoppiamento. Non è vero che si registra un 2,4 per cento in meno del valore aggiunto dell'agricoltura.
Sull'utilità o meno del disaccoppiamento si potrà discutere in futuro: sarà uno dei temi più affascinanti dell'economia agraria dei prossimi anni. Comunque - e questo è riconosciuto - esso non porta perdite alle aziende agricole. Del resto, chi ha avuto incarichi di Governo nella scorsa legislatura, ha pensato di tutelare nella riforma della politica agricola comunitaria il reddito degli agricoltori. Faccio notare che disaccoppiamento significa tutela del reddito. Forse, si pensava di governare per altri cinque anni e quindi si è pensato dapprima alla tutela del reddito, poi alle altre riforme strutturali del settore (dico questo per onore di verità).
In termini assoluti, il valore aggiunto è cresciuto dello 0,6 per cento: si tratta dello 0,2 per cento in più rispetto al settore puramente alimentare e non agroalimentare; è comunque in linea con gli altri paesi europei.
La tutela del reddito ha riguardato 1 milione e 800 mila agricoltori che, come ricordava l'onorevole Marinello, in alcuni settori un po' radical chic o progressisti venivano considerati il ventre molle dell'agricoltura italiana, quasi da eliminare. Invece, nella passata legislatura, nella normativa comunitaria e nazionale si è cercato di traghettare il più possibile verso una normale economia di mercato, nonostante la presenza di alcune crisi storiche: mi riferisco al caso delle quote latte e della mucca pazza, ma anche al clima internazionale. Infatti, vi sono stati i negoziati del WTO, l'ingresso di nuovi paesi nell'Unione Europea ed un certo clima culturale nei confronti dell'agricoltura e della nuova PAC: come evidenziano alcune importanti e seguitissime trasmissioni televisive del nostro paese, quel 47 per cento del bilancio comunitario fa gola a tutti!
Da parte della Commissione - è stato già ampiamente detto da chi mi ha preceduto, indipendentemente dai ruoli di maggioranza e di opposizione - vi sarà una collaborazione a difesa del mondo strettamente agricolo. Non vogliamo però nascondere i problemi, su cui vorremmo confrontarci. Uno di questi, non affrontato nella relazione, riguarda i prezzi all'origine. Nonostante il reddito degli agricoltori sia stato tutelato, i prezzi all'origine sono diminuiti del 5,1 per cento rispetto all'anno precedente. Quello che ci preoccupa maggiormente è la cosiddetta ragione di scambio. Faccio notare che, anche se sul mercato il prezzo dei prodotti finiti cresce, il prezzo all'origine dei prodotti agricoli rimane basso. Tutto questo avviene mentre nel resto dell'economia aumentano i prezzi d'acquisto dei mezzi di produzione. Cosa intende fare il Governo per diminuire questo gap? Quali interventi strutturali e infrastrutturali vuole mettere in campo per quanto riguarda energia, consumi e salari dei lavoratori?


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Mi permetto di correggere il collega Marinello, ricordandogli che, nella scorsa legislatura, secondo il Piano irriguo nazionale è stata stanziata la cifra di un miliardo di euro. Le opere, quindi, sono state realizzate. Il problema vero è che sono state compiute per l'80 per cento al nord, mentre nessuna regione, dal Lazio in giù, è riuscita a usufruirne. Sono dati di fatto!
Nella relazione non ho trovato spunti su questo tema, così come non ho notato provvedimenti sulla regolazione dei mercati, sulla necessità di accorciare la filiera, di ridurre il gap e le intermediazioni dal prezzo all'origine alla commercializzazione del prodotto. Forse ciò postulerebbe una scelta politica da parte di questo Governo e mi riferisco ad una legge di regolazione dei mercati e alla questione della rappresentatività. Colgo lo spunto della collega Servodio per chiedere se la rappresentatività debba ancora essere classica e stabile oppure se siano possibili altre forme di rappresentatività del prodotto agricolo e quanto le riteniate importanti per accorciare la filiera.
Ho apprezzato, invece, nella relazione il richiamo all'efficienza amministrativa, così come quello ad un eventuale risparmio, che ho interpretato come una sorta di modulazione dal basso del problema delle tre aree e della necessità di non sovraccaricare l'amministrazione, nella fattispecie l'AGEA, di 230 mila domande, con tutti i costi che ciò comporta dal punto di vista burocratico ed economico.
Facendo mea culpa, chiedo al ministro se vi sia la possibilità di rivisitare ciò che è stato concertato nella passata legislatura con le organizzazioni professionali per quanto riguarda l'articolo 69. Da ex presidente dell'AGEA, penso che il modello di domanda presentato dagli agricoltori sia tortuoso e andrebbe cancellato. Credo che potremmo fornire un aiuto a tale riguardo. Forse, l'eccessiva concertazione di quel provvedimento ha determinato un'altrettanto eccessiva richiesta di informazioni per una domanda che, peraltro, consentirà di dare un reddito pari a 25-30 euro, come ricordava ieri il ministro.
Sempre nell'ottica dell'efficienza amministrativa di una nuova legge sulla rappresentatività, ritengo che essa possa essere trovata in un provvedimento già esistente. La legge n. 231, uno degli ultimi provvedimenti della scorsa legislatura, prevede che, a fronte di una domanda immutabile nel corso di tre anni, l'AGEA possa non pagare il costo burocratico, così come il cittadino agricoltore può non presentare la domanda, che parte in automatico.
Mi permetto di suggerire all'attuale Governo che questa può essere una manovra a doppio senso: di semplificazione da parte dei cittadini e di maggiore snellezza ed economicità da parte dell'AGEA.
Un argomento che ha infiammato la campagna elettorale (nella relazione di ieri è stato fatto un check-up dell'agricoltura italiana) riguarda il carico del cuneo contributivo in agricoltura. Questo sì, è superiore rispetto agli altri paesi europei: in Italia incide per il 79 per cento, mentre negli altri paesi europei viene restituito ai lavoratori per l'81 per cento.
Chiedo reali prove di dialogo su alcuni punti tanto a questa Commissione, quanto al Governo.
Si è parlato di internazionalizzazione e dei successi che l'export italiano ha registrato negli ultimi cinque anni, considerato che l'Italia ha preso quote importanti del mercato mondiale agroalimentare, anche in misura maggiore rispetto a paesi a più forte vocazione alimentare. Tuttavia, nel provvedimento di spacchettamento dei ministeri - che ancora deve essere discusso da questa Camera - vi è una norma che toglie alla società BuonItalia la possibilità di registrare e tutelare i marchi internazionali.
La ratio di quel provvedimento era la seguente: il ministero non può costituirsi in nessuna altra parte del mondo, a differenza di qualsiasi consorzio, prodotto o marchio, mentre BuonItalia, con la sua specificità pur essendo al cento per cento pubblica, può farlo con procedure molto più snelle.
Riprendendo e apprezzando l'intervento di ieri della collega Lombardi e


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quello di oggi del collega Sperandio, starei attento alla norma sui consorzi agrari, su cui imperversa il ministro Bersani: viene meno una specialità tipica dei consorzi e soprattutto vi sono due rischi fondamentali di cui la Commissione deve tenere conto. Da una parte, vengono meno le agevolazioni fiscali dei consorzi che, entrando nella disciplina ordinaria del diritto civile, dovranno dimostrare di essere a mutualità prevalente e non avranno la funzione di interesse pubblico che era loro riconosciuta dalla legge n. 410 del 1999.
A fronte dell'abolizione integrale di tale legge e, quindi, della funzione di interesse pubblico, è a rischio, in particolare, il patrimonio immobiliare dei consorzi, anche in ragione di alcuni contenziosi che esistono storicamente tra il Ministero delle politiche agricole e forestali e gli stessi, sia singolarmente sia nella rete. Quindi, porrei attenzione su tale questione e chiederei se vi sia la possibilità e la volontà all'interno di questa Commissione, del Parlamento o del Governo, di modificare questa norma, che rischia di liquidare la funzione di interesse pubblico e, soprattutto, di svendere un patrimonio che, nel tempo, è stato di salvaguardia degli agricoltori.
Il gruppo di Alleanza Nazionale pone le suddette questioni, su cui attende una risposta del ministro De Castro.

SANDRO BRANDOLINI. Desidero sollevare un problema. Ritengo che la cortesia del presidente Lion sia immensa, ma erano state fissate delle regole: era stato stabilito che gli interventi, dopo il primo, dovessero essere di tre minuti. Ciò avrebbe consentito a tutti di intervenire adeguatamente e di affrontare altri argomenti urgenti.
Di fatto rinuncerò al mio intervento, ma ritengo che, per la prossima audizione, dovremo stabilire regole più precise e invito il presidente Lion - che tra l'altro ce l'aveva date - a farle rispettare.
Rinnovo gli auguri di buon lavoro al ministro De Castro, del quale condivido sostanzialmente la relazione. Abbiamo bisogno di una strategia di sviluppo per l'intero settore agroalimentare. Chiedo al ministro De Castro di osare: ci vuole il coraggio di fare delle scelte. Non è vero che l'economia italiana o il settore agroalimentare vadano bene: al contrario, vanno male! Vi sono difficoltà in molte filiere, se non in tutte. Si avverte la necessità di assumere delle scelte in modo adeguato, possibilmente in modo unitario, concertando una linea di azione con associazioni imprenditoriali, organizzazioni sindacali, istituzioni e regioni, per tornare a contare in mondo adeguato a livello europeo.
Un'ultima considerazione riguarda la questione dell'influenza aviaria, in ordine alla quale si è accennato che sono stati compiuti degli interventi. Vorrei fare solo un esempio: sono neodeputato e vivo in una provincia avicola, forse la maggiore a livello nazionale; ebbene, di quei provvedimenti non ne è stato attuato neppure uno.
Il primo decreto, che riguarda lo smaltimento delle scorze stoccate e surgelate, non è stato utilizzato, nonostante siano trascorsi sei o sette mesi, perché non si è stati capaci di concertare con l'Unione Europea le modalità di utilizzazione di quei prodotti. I cento miliardi stanziati nel provvedimento successivo - mi pare che il ministro De Castro vi stia lavorando assieme al suo Ministero e di questo lo ringrazio - non sono stati ancora utilizzati.
Abbiamo bisogno delle risorse per affrontare una contingenza e la prospettiva, che dovrà vedere dei cambiamenti anche in quel settore.

ANGELO ALESSANDRI. Il ruolo della Commissione è importante; è interessante conoscerlo, anche perché credo che i ruoli siano fondamentali per capire come essere utili, per quanto possibile. Ho fatto quindici anni di opposizione a Reggio Emilia e credo di avere il quadro della situazione e di aver assunto delle scelte.
Sono all'opposizione, per cui credo che debba essere un pungolo nei confronti della Commissione, ma anche e soprattutto nei confronti del ministro De Castro, per tentare di fornire alcune sollecitazioni,


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poiché si avverte che sul territorio qualcosa non funziona. Al tempo stesso, credo che, come Commissione, dobbiamo e possiamo essere un valido strumento a favore del ministro De Castro, nel momento in cui, magari, bisogna sentire quello che il territorio politicamente vuol dire e fare.
Al di sopra dei ragionamenti che abbiamo fatto oggi e che mi ha fatto piacere sentire - anche se si è entrati molto nel particolare e, forse, non ne era il caso, dal momento che ogni provvedimento dovrà essere seguito in maniera puntuale - credo che bisognerebbe capire, e qualcuno della maggioranza l'ha anche chiesto, che in questi cinque anni sono state fatte cose buone e cose cattive. Ma ritengo importante buttar via l'acqua sporca senza il bambino: occorre salvare quello che è stato fatto di buono, cercando di migliorare ciò che, in questi cinque anni, non si è riusciti a fare. Credo che la verità stia un po' nel mezzo: non bisogna dire che tutto funziona, ma - come ricordava l'ultimo intervento - occorre prendere atto che la filiera agroalimentare, purtroppo, avverte una serie di problemi che bisogna affrontare.
Credo sia importante capire cosa vogliamo fare per quanto riguarda i rapporti con l'Europa, ministro. Tutti quelli che ho intervistato in questi mesi hanno affermato che il ministro De Castro è preparato e bravo; l'unico dubbio che permane è se riusciremo a puntare i piedi in sede di Comunità europea.
Questa è la forza del Ministero, ma abbiamo questo dubbio. Credo che, da parte dell'opposizione, sia importante fungere da pungolo (vi staremo un po' con il fiato sul collo).
Abbiamo ceduto sovranità alla Comunità europea ed, in parte, l'abbiamo elargita alle regioni. Credo che il ministro De Castro avrà meno problemi con le regioni rispetto al Governo precedente: molte regioni sono di area politicamente vicina e ciò può essere un bene.
Vi è, invece, un aspetto nel contesto dei rapporti con l'Europa che credo occorra riscrivere. Alcuni problemi riguardano il settore ortofrutticolo, il vino, lo zucchero e - ne abbiamo parlato prima - le quote latte. Ho sentito dire che quest'ultimo problema è stato risolto, ma credo non sia proprio così. Personalmente, cercherò di sollecitarla urgentemente ogni volta che avrò un certo tipo di pressione dal territorio.
Faccio parte di una Commissione parlamentare e quando mi trovo di fronte a delle famiglie in difficoltà che stanno per essere o mandate via dalle aziende, nelle quali, da tre, quattro o cinque generazioni, hanno cercato di costruire il proprio futuro, vorrei che si trovasse una soluzione. Credo, pertanto, che per un Governo sia prioritario fare in modo che non ci si trovi in queste condizioni e che, se vi è una sofferenza, il problema venga risolto.
Per quanto riguarda le quote latte, alcuni non hanno rateizzato - e so che danno fastidio a tutti - e hanno, come dire, gli ufficiali giudiziari sotto casa. Tuttavia, anche per moltissimi di quelli che lo hanno fatto (alcuni non sono riusciti a pagare la prima rata oppure hanno pagato la prima, ma non riescono a pagare la seconda), gli ufficiali giudiziari stanno per esercitare la loro funzione.
Credo che un paese normale debba affrontare il problema della chiusura di molte aziende, patrimonio del nostro territorio, le quali non riescono a far fronte alle multe, spesso di 400-500 mila euro (sono piuttosto salate). Va bene prorogare i contributi non pagati per cinquant'anni in una parte del paese, ma preoccupiamoci anche di chi lavora tutte le mattine dalle cinque per cercare di costruire il futuro per i propri figli e nipoti, sulla base di ciò che hanno ereditato dal padre o dai nonni.
Capisco le questioni legali, i rapporti con l'Europa, ma credo sia prioritario intervenire. Si può anche pensare ad una rateizzazione nuova, ma qualcosa va studiato per fare in modo che nessuno debba chiudere perché incorre in una multa. Allora, la paghi, se va pagata, ma diamogli una mano, affinché il pagamento sia sostenibile e, magari, flessibile!
Quando, ad esempio, si produce latte a 110 lire e si vende a 73, come potete capire, è difficile andare avanti ma si tenta


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comunque di restare aggrappati all'azienda, nella quale i nonni hanno costruito un avvenire e non si vuole mollare. Questo problema, secondo me, riguarda moltissimi settori.
Personalmente credo sia utile far presenti tali problemi in ogni momento possibile. Sono tanti, ne sono consapevole: vi è tanto da fare, ma lo si può fare, soprattutto, se ci si attiene ad un certo messaggio nelle questioni concrete. Mi riferisco al messaggio - piacerà agli amici della maggioranza - dell'uomo di campagna, dell'uomo della terra, per il quale: «dopo un raccolto, ne viene sempre un altro».
Ebbene, cerchiamo di fare in modo che la stagione politica, piuttosto dura, continui nell'aula parlamentare: voi governerete, ma noi faremo opposizione e faremo il nostro dovere.
Sulle questioni concrete che riguardano la gente che lavora mi piacerebbe che non esistesse né la sinistra né la destra!

PRESIDENTE. Do ora la parola al ministro De Castro per la replica.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Sono molto contento ed impressionato positivamente dal clima con il quale è stato accolto il mio primo intervento in Commissione. Certamente non voleva essere un intervento esaustivo, ma solo un tentativo di fornire un'indicazione nel breve e nel medio periodo. Non ho voluto nemmeno presentare il cosiddetto programma dei cento giorni, di cui, ormai, non ha senso parlare, ma ho voluto dare un'immediata sensazione di concretezza su alcune misure da adottare. Ho cercato di articolare tale concretezza con riferimento ad alcune emergenze, di cui addirittura - e me ne dolgo - avete dovuto discutere prima che arrivassi (certamente non per mia volontà), ma anche ad altre questioni di medio periodo, relative, come traspare dal testo consegnato alla Commissione, alla manovra finanziaria.
Non a caso domani approveremo il documento di programmazione economica e finanziaria in sede di Consiglio dei ministri. Questo è il motivo per cui ho parlato nella mia relazione di una sorta di dare e avere: vi è un settore agroalimentare che orgogliosamente - lo sottolineo - vuole partecipare alla manovra di risanamento, ma altrettanto orgogliosamente vuole mettere in atto una strategia di sviluppo a tutto tondo che possa apportare determinati contributi.
A tale proposito, ringrazio tutti, a partire dall'onorevole Alemanno. Sapevo che non avrebbe potuto partecipare allo svolgimento dell'audizione di oggi pomeriggio, ma vorrei che il gruppo di Alleanza Nazionale riferisse questo mio commento costruttivo nei confronti del suo intervento di ieri.
Il nemico di questo settore è costituito, soprattutto, dall'ignoranza della sua importanza economica, sociale, territoriale e ambientale. Oggi, l'agricoltura è chiamata a rispondere a determinate problematiche, però vi è un aspetto economico-produttivo che rimane essenziale, soprattutto per la concezione di filiera aggregata, di sistema agroalimentare, in cui vengono coinvolti la cooperazione, l'industria elementare e la distribuzione. A tale riguardo, vorrei ricordare la profonda riforma della politica agricola comune, la riforma Fischler (per il nome del commissario che l'ha prodotta) i cui effetti applicativi stiamo ancora pagando. È importante sottolineare, però, che in quella riforma è stata attribuita una nuova legittimità all'agricoltura, con il riconoscimento, attraverso l'introduzione del principio di condizionalità (cioè il pagamento disaccoppiato degli aiuti), di un ruolo sociale e territoriale .
Oggi l'agricoltura accede agli aiuti non per lo status, ma sulla base del principio che gli agricoltori mettono in atto comportamenti tali da avere il diritto agli aiuti.
Il cambiamento, cari colleghi, è epocale e, come ricordava Antonio Bonfiglio, l'applicazione è complicata: dal punto di vista degli investimenti produttivi, vi sono stati significativi impatti, dei quali dobbiamo venire a capo.
Vorrei poter citare tutti gli argomenti sollevati dai colleghi: gli spunti che mi hanno offerto, sia l'opposizione sia la


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maggioranza, sono tanti e risponderò sulla base degli stimoli provocati dai vostri interventi. Parto dalla questione dell'articolo 69, sollevata dall'onorevole Bonfiglio in merito all'applicazione della politica agricola comune. A tale riguardo, vorrei chiedere un parere al presidente e, tramite lui, alla Commissione: abbiamo la possibilità di reimpostare l'utilizzo dei fondi di cui all'articolo 69. Ricordo che si tratta di 185 milioni di euro - decurtati dal primo pilastro della politica agricola comune - che l'Unione Europea dà facoltà allo Stato membro di spendere nel modo migliore per favorire la qualità, l'ambiente e via seguitando. La formula, individuata dagli uffici, ma concertata con le regioni, si traduce in una mera distribuzione a pioggia di pochi euro, come ricordava l'onorevole Buonfiglio. Ieri, con gli assessori, ho proposto - mi pare che l'idea sia stata abbastanza accolta - di concentrare queste risorse nei settori in cui ne abbiamo maggiore bisogno per imprimere una svolta, soprattutto, nelle aree del Mezzogiorno, più volte richiamate (rispondo a tutti gli onorevoli che sono intervenuti, in particolare, a quelli che hanno fatto riferimento al Mezzogiorno, come l'onorevole Marinello ed altri). Tali interventi si dovrebbero concentrare sul grano duro, settore in cui si è registrato un calo significativo delle superfici (oltre 400 mila ettari), sulla zootecnia da carne: tra l'altro, a fronte delle ultime proposte francesi di rafforzare la filiera carne, rischiamo di non avere più quell'apporto di vitelli da ristallo dalla Francia che consentono l'ingrasso nelle zone del Nord-Est del paese. Ciò, da una parte, determinerebbe un rafforzamento della linea vacca-vitello (premio alle vacche nutrici) e, dall'altra, ci consentirebbe di fornire una risposta al Mezzogiorno attraverso l'utilizzo significativo delle risorse - non elemosine - sul grano duro.
Ieri, l'onorevole Alemanno faceva riferimento ad una opposizione costruttiva, ma anche alle pericolosità di un dibattito europeo sull'agricoltura, che non sempre convergono verso un sostegno ampiamente condiviso. Da questo punto di vista, dobbiamo sempre più prendere atto che a livello di Consiglio dei ministri dell'agricoltura a Bruxelles c'è un ampio numero di paesi «senza veli», che sottolinea la necessità di cambiare completamente la politica agricola comune. Si parla addirittura di facing-out, di uscita dal regime, con un sostanziale trasferimento di risorse dall'agricoltura verso la ricerca e l'innovazione. Quasi come se l'agricoltura fosse un settore che non innova, che non ha una sufficiente capacità propositiva e innovativa nel mercato.
A proposito dei nemici dell'agricoltura, si tratta di un modo di rapportarsi al settore, soprattutto, da parte di chi non ne conosce l'importanza, le valenze nuove, economico-sociali, richiamate in precedenza, e non ha, come nel caso del nostro paese, la consapevolezza che siamo di fronte al secondo comparto economico. Come ricordavo nella mia relazione, è secondo solo alle industrie della meccanica ed è superiore al tessile, all'abbigliamento, al calzaturiero. Oggi, ripeto, il fatturato dell'industria alimentare, inteso come agro-alimentare nel suo complesso (si uniscono quindi tutte le componenti della filiera), ha una dimensione che è seconda soltanto all'industria meccanica. Siamo in una fase storica di globalizzazione, di apertura dei mercati, in cui la competizione è sempre più in termini di costo, mentre altri settori produttivi hanno difficoltà a competere perché non hanno una capacità distintiva forte, né la capacità di produrre prodotti di alta qualità, legati ai territori, alle origini, alle tradizioni. Ciò attribuisce a questo settore una grande valenza, se saremo capaci di sfruttarne le potenzialità e di portare avanti il progetto - «modello», come affermato dall'onorevole Servodio - che vede l'agricoltura al centro della politica economica del paese.
Sono sicuro - lo verificheremo domattina - che nel Documento di programmazione economica e finanziaria, in cui si dà concretezza alla politica economica del Governo nel suo complesso, l'agroalimentare troverà uno spazio significativo e


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verrà sottolineata la volontà del Governo di sostenerne la crescita, soprattutto, internazionale.
Il mio continuo richiamo al settore internazionale non è una fissazione da economista - non me ne vogliano i colleghi - ma oggi siamo arrivati alla saturazione dei consumi. Ciò che possiamo fare nel mercato interno, se saremo capaci, è consolidare le posizioni che abbiamo maturato, a fronte di una grande distribuzione sempre più straniera: lo ripeto ancora per essere chiaro, non per essere protezionista. Non voglio sottolineare i capitali stranieri della grande distribuzione come elemento di protezionismo. Il problema è che queste catene distributive si portano dietro un modo organizzativo che devono ritrovare nei paesi in cui vengono aperti i punti vendita. Se non lo trovano, che si chiamino Carrefour, Auchan o Tesco, non ha importanza, non fanno altro che rivolgersi ai tradizionali fornitori della loro madrepatria. Ecco perché Carrefour comincia a vendere prodotti francesi.
Non è facile stare dietro alla grande distribuzione per un sistema di imprese piccole e piccolissime, che è caratteristico del nostro apparato produttivo ed è anche la nostra ricchezza: lo voglio sottolineare all'onorevole Lombardi (lo hanno citato in diversi, non me ne vogliano i colleghi se non riuscirò a richiamarli tutti). Costituisce il nostro patrimonio, se saremo capaci di metterle a sistema. Una piccola impresa non ha facilità ad esportare i prodotti in Giappone - dove c'è ricchezza che può essere indirizzata alle nostre produzioni - se non ha un sistema paese, organizzato in modo da individuare i canali organizzativi per arrivare sul mercato.
Ringrazio tutti i colleghi, maggioranza e opposizione, per questo lavoro bipartisan. Presidente, mi consenta una piccola parentesi: ciò che mi ha sempre fatto invidia e che sto ritrovando in questa mia nuova esperienza al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è che, in sede di Consiglio europeo, quando l'allora ministro spagnolo dell'agricoltura, Loyola De Palacio, convocava i suoi parlamentari spagnoli, sia popolari sia del suo gruppo politico (socialisti), se erano in gioco gli interessi della Spagna, tutti rispondevano come se appartenessero ad un gruppo unico. Poi, nel territorio, ciascuno riportava la lettura politica più confacente al suo orientamento politico, ma quando era in gioco l'interesse dell'agricoltura c'era un gioco di squadra ed una compattezza che mi ha sempre fatto invidia. Quando li convocavo io, se andava bene, ne venivano due o tre, come, purtroppo, adesso: ci troviamo in Commissione agricoltura del Parlamento europeo con tre - ribadisco tre - parlamentari, di tutte le forze politiche. Questo numero può essere messo a confronto con i 12 parlamentari spagnoli o i 9 francesi, tra cui vi è addirittura uno dei personaggi di spicco dell'agricoltura francese, Joseph Daul, voluto da Chirac per governare la Commissione agricoltura del Parlamento europeo come elemento di bilanciamento nei confronti di una commissaria, Marianne Fischer Boel, che è una danese. Nulla da togliere ai danesi, ma, evidentemente, la loro sensibilità nei confronti del settore agroalimentare non è quella dei paesi del sud dell'Europa. Non a caso, la Commissione agricoltura del Palmento europeo ha bocciato Marianne Fischer Boel. Questo per darvi l'idea che l'Europa ha tante visioni diverse: liberista nord europea, con capitale Londra, ambientalista, oramai molto diffusa (ambientalista nel senso più radicale del termine) perché rispecchia la PAC attuale e quella più tradizionalista o protezionista, francese.
Nell'Europa a 25 paesi, dobbiamo riuscire a fare gioco di squadra; bisogna andare a Bruxelles, consapevoli dell'importanza di questo settore, ma forti di una idea comune, anche se poi ognuno ha il suo approccio. Dobbiamo approfittare del clima che si è creato in Commissione e, pertanto, sono grato a tutti gli onorevoli che ringrazio non solo per gli auguri che mi hanno rivolto, ma anche per la stima che mi hanno voluto testimoniare.
Per quanto concerne la questione dei consorzi agrari, vi invito a leggere le dichiarazioni rese ieri pomeriggio dal presidente


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di Assocap, Marco Pancaldi, esponente di spicco della Coltivatori diretti, che ha applaudito a questa iniziativa, come ha fatto Paolo Bruni, presidente della Fedagri, rappresentante delle cooperative agroalimentari di Confcooperative, e come hanno fatto gli amici dell'Anca-Legacoop di Sergio Nasi. Non abbiamo affrontato questa operazione con un colpo di mano: da tempo si avvertiva l'esigenza di togliere la mano dello Stato da organismi così importanti e delicati nel settore dei servizi relativi all'agricoltura. Si è comunque triplicato il numero dei commissari e pertanto non è stata una manovra volta al risparmio: non è certo in quel caso che si è visto il risparmio, anche se oltre 200 commissari, comunque, qualche segnale lo hanno dato. Il problema fondamentale è che tali organismi ritornino ad essere cooperative come tutte le altre, con gli obblighi e i doveri che sono propri delle stesse.
Penso che, il mondo della cooperazione - l'onorevole D'Ulizia in questo mi aiuterà - non debba beneficiare di vantaggi che altre cooperative agroalimentari non hanno, ma occorre che rimanga sullo stesso livello per poi misurarsi con il mercato. Ciò non ha impedito lo svolgimento di un dibattito al Senato, nel corso del quale sono stati proposti alcuni elementi correttivi importanti, senza comunque inficiare la natura di provvedimento di semplificazione e liberalizzazione.
In ordine a tale aspetto, non solo c'è soddisfazione, ma certi consorzi di liquidazione, che dovevano pagare parcelle pesanti ai commissari, oggi sono pronti a ritornare in bonis. Se non ce la faranno, si applica l'istituto del fallimento: lo Stato non può continuamente coprire i bilanci. Ricordo che ci siamo confrontati con CGIL, CISL e UIL e, pertanto, vi è stata un'ampia presa di posizione nei confronti dei lavoratori dei consorzi agrari, per i quali ci siamo impegnati a realizzare i cambiamenti proposti.
Per quanto riguarda gli OGM, ringrazio l'onorevole Mellano: non voglio sottrarmi al tema. Il programma dell'Unione parla chiaro al riguardo: dico subito che si tratta di un programma che si ispira al principio di massima precauzione. In particolare, mi rivolgo all'opposizione per dire che c'è continuità rispetto all'approccio del mio predecessore; pertanto, non ci differenzieremo dal punto di vista della prudenza nei confronti degli questi organismi geneticamente modificati che, in qualche modo, possono creare problemi all'ambiente e alla salute. Si tratta, quindi, di un approccio di continuità, ma, soprattutto, di rispetto del nostro programma.
Vorrei aggiungere (lo faccio, chiedendo scusa a tutti gli amici, ma è una nota più che altro comunicativa) un'altra considerazione: a mio avviso, dovremmo compiere - sono sicuro che l'onorevole Mellano sarà d'accordo con me - un passo avanti per guardare alle biotecnologie non soltanto con l'occhio di ciò che hanno rappresentato fino ad oggi, ma anche per ciò che potranno essere. Mi riferisco, per esempio, agli OGM comunemente detti di prima generazione, di vecchia generazione, quelli realizzati, unendo geni provenienti dal mondo animale a geni del mondo vegetale, che, a mio avviso, dovrebbero essere vietati, a prescindere dal danno alla salute e all'ambiente, perché sono eticamente da condannare. In natura ciò non può mai verificarsi e per tale motivo non dovrebbe sussistere tale possibilità! Vi sono ampie documentazioni scientifiche al riguardo, cui si aggiunge l'interessante dibattito che ha svolto la Chiesa cattolica con il Pontificio consiglio della giustizia e della pace, chiamando a raccolta 40 accademie contrarie a miscelare geni di origini diverse. Eliminiamo una volta per tutte il «Frankenstein food».
Per quanto riguarda il campo degli OGM di cosiddetta nuova generazione, caratterizzati da combinazioni genetiche intraspecie, l'atteggiamento, sempre nel rispetto del principio di massima precauzione, dovrebbe essere meno critico, soprattutto nei confronti della ricerca scientifica che deve andare avanti. Ciò non toglie - lo ripeto per chiarezza - che abbiamo un programma sul quale ci siamo


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confrontati e che sarà la nostra bandiera per quanto riguarda gli organismi geneticamente modificati.
Vorrei adesso affrontare - portando credo una buona notizia - il tema delle risorse idriche, di cui hanno parlato vari colleghi della maggioranza; mi riferisco, in particolare, all'onorevole Ruvolo, ma anche agli onorevoli Marinello, Cesini, Cosenza e altri. Le risorse idriche sono uno strumento fondamentale: tutto il resto assume un rilievo inferiore, se non si affronta il tema centrale delle infrastrutture in sede idrica.
Nella precedente legislatura è stato approvato un importante piano irriguo nazionale con il quale è stata stanziata la cifra di 1 miliardo e 600 milioni di euro (me lo hanno comunicato questa mattina in occasione dell'assemblea dell'ANBI e, pertanto ne abbiamo discusso in quella sede). Il piano irriguo nazionale, di cui il Ministero delle politiche agricole ha il coordinamento e l'indirizzo, è stato approvato nel 2005, ma non ha trovato attuazione. Non è stata data l'esecutività alle opere cantierabili e approvate dal CIPE, perché una norma in legge finanziaria aveva creato dei problemi sulla natura dei consorzi di bonifica. Si è aperta una querelle lunghissima, che però pare - questa è la notizia buona - sia stata sbloccata proprio ieri, in una lunga trattativa-incontro con i colleghi del Ministero dell'economia. Oggi quindi annuncio che i progetti saranno avviati, perché i due decreti interministeriali, da parte del Ministero dell'economia e dell'agricoltura, sono stati firmati. Una volta risolti i problemi di natura tecnica, possiamo dire che si sono sbloccate le difficoltà per avviare le opere previste nel piano.
Chiusa la partita del piano irriguo nazionale, dobbiamo avviare una nuova programmazione, per assicurare centralità alla difesa del suolo. Si tratta di uno strumento importante, anche a fronte delle emergenze degli ultimi giorni. Mi riferisco non solo a Vibo Valentia, ma anche alle tante emergenze di un paese, costituito per il 75 per cento, da colline e montagne, per di più argillose, che franano continuamente. Vi deve essere una prioritaria attenzione alla difesa del suolo e all'utilizzo dell'agricoltura, coinvolgendo gli agricoltori (i quali gestiscono, come ricordavo anche nella mia relazione, 14 milioni di ettari); in mancanza di tale coinvolgimento, non esisteranno politiche ambientali e territoriali.
In questo senso, stiamo studiando una soluzione con il Corpo forestale dello Stato e vi annuncio che anche in tal caso sono stati compiuti alcuni passi avanti. Ho chiesto al presidente e, tramite lui, a tutti voi, un sostegno: dobbiamo risolvere il problema delle risorse finanziarie del Corpo forestale. Vi è la disponibilità a farlo; in questo senso una risoluzione approvata a larga maggioranza sarebbe di aiuto. Col Corpo forestale stiamo studiando un modo per coinvolgere gli agricoltori nella lotta antincendio. In queste settimane abbiamo avviato un progetto relativo all'uso degli SMS, un meccanismo che, quando sarà pronto, sarò lieto di presentare in Commissione. Ancora una volta si dà valenza al ruolo degli agricoltori: non solo se ne sottolinea l'importanza dal punto di vista economico-produttivo, ma anche in rapporto con il territorio e l'ambiente.
Onorevole Delfino, per quanto riguarda l'OCM ortofrutta e vino, avremo modo di tornare sull' argomento. Ancora non sono state avanzate proposte in Commissione. Ricordo che, nel caso del vino, il 22 giugno sono state depositate solo le comunicazioni della Commissione; quindi, avremo tempo. Gli stati generali del vino, annunciati dal Ministero il 20 luglio, ci daranno la possibilità di ascoltare tutte le categorie, soprattutto i produttori, ma anche le forze sociali, per iniziare a dibattere sull'impatto di questa così profonda ed importante riforma del settore. Così faremo anche per l'ortofrutta a settembre, in modo da essere pronti a fine anno a far fronte a proposte giuridiche della Commissione lavoro.
Onorevole Zucchi, la ringrazio, ma ringrazio anche tutto il gruppo dell'Ulivo. Le argomentazioni da voi presentate sono importanti. Per quanto riguarda l'impianto di Casei Gerola, veder chiudere 13 zuccherifici, a fronte della riforma che deve


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essere attuata, crea uno stato di profonda sofferenza. Non sempre però lo sviluppo delle agroenergie risponde positivamente alle attese del territorio. Lo dico con molta chiarezza e l'ho detto anche pubblicamente in una iniziativa delle organizzazioni professionali a cui sono stato invitato. Se si parla di bioetanolo e biodiesel, la convenienza economica per gli agricoltori è abbastanza limitata rispetto all'impianto complessivo. Stiamo parlando di poco più di 22 euro al quintale, al meglio, per la produzione di olio di girasole, con una produzione di 30-35 quintali a ettaro. Potete capire che non ci può essere un grande entusiasmo da parte degli agricoltori, se parliamo di 600-700 euro di produzione lorda vendibile.
Invece sulle biomasse, in particolare sul biogas, settore in cui si registra già una convenienza economica importante, la questione è molto diversa, perché parliamo di una produzione lorda vendibile che supera i 2 mila euro a ettaro. Tra l'altro, hanno basso impatto ambientale, per cui le popolazioni vedono questi impianti con molto favore. Su questo tema ci stiamo già misurando: il Governo, con la delega Bersani sulle energie, ha previsto un capitolo sulle agroenergie relativo, nello specifico, alle modalità di sviluppo degli investimenti nella produzione di energia diffusa sul territorio.
L'onorevole Misuraca ricordava nel suo intervento la legge n. 81, che è il punto di riferimento da cui partiamo: dobbiamo prevedere incentivi e disincentivi per evitare che quel riferimento ai contratti di filiera agricola, che pur esiste nella legge n. 81, si realizzi veramente. È indubbio che molti impianti industriali per la produzione di energia da olio vegetale si stanno realizzando con l'obiettivo preciso di importare olio di palma e di cocco e trasformarlo in energia. Sarà un'iniziativa interessante di carattere industriale, sulla quale non può essere favorevole il ministro dell'agricoltura o chi ha prodotto la legge n. 81, che, invece, si riferiva ai contratti di filiera. Quindi, dobbiamo inventarci qualche disincentivo o incentivo, affinché lo sviluppo delle agroenergie coinvolga la parte agricola. Altrimenti, sarebbe un problema, anche dal punto di vista del protocollo di Kyoto. Produrre energia utilizzando materia prima proveniente da un altro continente non ha quel bilancio ambientale che, invece, è negli obiettivi di Kyoto.
Per quanto riguarda le certezze del fisco - lo dico perché da alcuni interventi mi è parso di capire che il ministro dell'agricoltura è una persona e il ministro dell'economia un'altra - nel Governo c'è un gioco di squadra. Vi posso tranquillizzare sul fatto che, dal punto di vista fiscale, non vi saranno novità particolari, se non quelle che ho già annunciato nel mio testo e che troverete nella manovra di legge finanziaria. Si tratta di novità che vanno nel senso della liberalizzazione, della semplificazione, di eliminare ogni forma di contabilità per le partite IVA dei soggetti individuali sotto i 7 mila euro. Si va nella direzione di semplificare i costi AGEA; mi fa piacere che l'abbia ricordato l'ex presidente di AGEA, onorevole Bonfiglio.
Noi abbiamo l'assurdo che in alcuni casi il costo amministrativo dei pagamenti supera il beneficio. Come ho scritto, cercherò di portare avanti questa manovra. C'è una sorta di modulazione dal basso che dà un enorme beneficio dal punto di vista amministrativo e soprattutto crea risorse che possono essere messe nella riserva e quindi vanno a favore delle generazioni dei giovani, di chi si avvicina per la prima volta all'agricoltura, che non trova una riserva vuota, ma una riserva del fondo AGEA per le nuove aziende agricole rimpinguata. Inoltre, si liberano centinaia di migliaia di pratiche: questi 100 o 120 euro per azienda non renderebbero, credo, particolare rafforzamento della competitività delle aziende.
Per quanto riguarda il Mediterraneo, abbiamo ampiamente detto. Comunque, il tema della pesca, sollevato anche dall'onorevole Marinello, è centrale. Vi ricordo che nella XIII legislatura proponemmo AdriaMed, un progetto condiviso con i paesi rivieraschi, in quel caso solamente della parte balcanica. Tuttavia, stiamo provando


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- e lo faremo proprio in Egitto, al Cairo - a estenderne il criterio, che verrà approvato dalla Commissione: il dossier Mediterraneo sarà approvato tra settembre e ottobre. Sulla sua base, con il commissario Joe Borg, nostro ospite al Cairo con tutti i ministri dell'agricoltura e della pesca mediterranea, cercheremo di estendere quel sistema di regole ai paesi della riva sud del Mediterraneo.
Vado avanti molto velocemente. Sulla caccia stiamo lavorando; purtroppo vi è un problema, che sto approfondendo con il ministro dell'ambiente per trovare una formula che vada nel segno di molte associazioni ambientaliste, ma che, nello stesso tempo, renda l'esercizio venatorio una pratica attuabile. E stato fissato a tale riguardo un incontro.
Per concludere, sottolineandolo all'onorevole Bellotti e ai colleghi della maggioranza che l'hanno più volte richiamato, cercheremo di dare una mano a tutta la parte del sistema agroalimentare volta alla qualità, alla sostenibilità, al comparto del biologico, che è stato oggetto di una primo incontro importante con Federbio. Abbiamo preso impegni importanti in quella direzione.
Senza entrare nel dettaglio, vogliamo dare un sostegno all'amministrazione volto al rafforzamento della competitività del sistema agroalimentare. Questa competitività sarà sempre maggiore, se saremo capaci di accompagnare alla qualità straordinaria delle nostre produzioni anche una capacità organizzativa, che oggi non abbiamo. Ecco le crisi del mercato, le difficoltà dell'ortofrutta. Abbiamo bisogno di fare uno sforzo in più su questo versante, senza perdere l'attenzione su quegli strumenti, a partire dal WTO, che ci possono garantire le regole di una tutela migliore e sulle altre norme internazionali di tutela dei prodotti.
D'altra parte, in questa seconda fase, vogliamo porre un'attenzione particolare sulla capacità organizzativa. Altrimenti, rischiamo di tenere i nostri prodotti, di grande qualità, nei magazzini delle nostre imprese e non sugli scaffali della distribuzione dei paesi nei quali vogliamo crescere con l'export.
Chiedo scusa al presidente e ai colleghi se non ho potuto rispondere a tutti gli argomenti sollevati. Sarà mia cura farlo nelle altre tante occasioni in cui avremo modo di stare insieme. Grazie a tutti.

PRESIDENTE Grazie, onorevole ministro. Contiamo di rivederla e di poter scambiare di nuovo con lei importanti e interessanti confronti per approfondire le tematiche che la Commissione dovrà mano a mano esaminare.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.