COMMISSIONI RIUNITE
XIII (AGRICOLTURA) E XIV (UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 6 dicembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIII COMMISSIONE MARCO LION

La seduta comincia alle 15,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Paolo De Castro, sulla proposta di riforma dell'OCM del vino presentata dalla Commissione europea.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Paolo De Castro, sulla proposta di riforma dell'Organizzazione comune di mercato del vino presentata dalla Commissione europea.
Come è noto, la Commissione europea ha prospettato una radicale riforma del settore. In considerazione della rilevanza che assume tale riforma, sia la Commissione agricoltura, sia la Commissione politiche dell'Unione europea hanno ritenuto opportuno chiedere direttamente al ministro di illustrare la posizione del Governo italiano.
Nel dare il benvenuto al ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, onorevole Paolo De Castro, e nel ringraziarlo - anche a nome del presidente della XIV Commissione - per la disponibilità manifestata, gli cedo la parola.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Nel rivolgere il mio saluto ai membri delle Commissioni qui riunite, domando innanzitutto scusa per il mio ritardo - che mi auguro possiate perdonare -, dovuto ad un precedente impegno istituzionale presso la Conferenza Stato-regioni, previsto per le ore 14,30 di questo pomeriggio. Sarò, comunque, molto rapido e, naturalmente, disponibile a rispondere alle domande degli onorevoli colleghi.
La riforma dell'OCM vino è veramente importante e, probabilmente, non riuscirò ad essere esaustivo. Innanzitutto, cercherò di precisare subito la tempistica, in modo da capire come questo percorso, questo dibattito e questo arricchimento, anche nella proposta del Governo, possano trovare nelle Commissioni riunite degli spunti utili di intervento.
Ricordo, innanzitutto, che la presidenza finlandese scade il 31 dicembre e la presidenza tedesca ci ha già fatto sapere che non metterà nell'agenda del suo semestre la riforma OCM vitivinicola. Questa riforma, dunque, sarà approvata sotto la presidenza portoghese; pertanto, la probabile presentazione ufficiale dei testi giuridici della proposta non avverrà prima del settembre 2007. Ovviamente, il tempo che ci separa da tale data sarà prezioso per costruire alleanze, per condividere punti di vista tra i paesi principali produttori e, magari, per cercare di appianare alcune difficoltà che taluni paesi possono opporre.
Passo, ora, ad elencare i punti più rilevanti della riforma che emergono da queste prime comunicazioni. Faccio notare,


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però, che non si tratta ancora di una proposta vera e propria: la commissaria europea Fischer Boel ha semplicemente riferito alcune ipotesi, raccolte in un documento intitolato «Comunicazioni della Commissione». La proposta giuridica, come ricordavo prima, sarà presentata solo a settembre del 2007. In queste prime comunicazioni non abbiamo trovato molti punti condivisibili: al riguardo, vi è stata una presa di posizione assai energica da parte dei principali paesi produttori, Francia, Spagna e Italia in testa. Tutti insieme, abbiamo commentato che la proposta non è accettabile. Tale dura posizione è stata altresì espressa in diversi interventi contrari in Consiglio agricoltura, a Bruxelles e a Lussemburgo.
La valutazione complessiva che noi diamo prende lo spunto da un'evidente strategia della Commissione incentrata sull'estirpazione e sulla riduzione del potenziale viticolo. L'idea di affrontare il mercato vitivinicolo europeo, o comunque le regole della vitivinicoltura europea, partendo dal principio che si produce troppo e che bisogna ridurre il potenziale è stata dunque giudicata da tutti i paesi produttori - Italia in testa - non condivisibile. La ragione di questa posizione è semplice.
Stiamo parlando, infatti, di un settore vivace, molto forte, presente a livello internazionale (come sapete, le esportazioni di vino hanno toccato quote vicine ai 3 miliardi di euro): le preoccupazioni dei nostri produttori, dunque, sono legate al problema di come riuscire ad essere più competitivi, più forti, di come riuscire a vincere la concorrenza internazionale, soprattutto di quei paesi - Australia, America Latina e Sudafrica - che ci stanno facendo concorrenza in molti mercati nei quali siamo presenti.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, l'idea della riduzione del potenziale potrà essere accettata solo se vista come misura accessoria, e comunque non come una strategia complessiva: la strategia complessiva che noi individuiamo deve semmai puntare sulla maggiore competitività e sulla maggiore forza delle imprese vitivinicole europee nel mondo. Da questo punto di vista, abbiamo espresso con chiarezza tutto il nostro disappunto; tra l'altro, per quanto riguarda il tema del potenziale, in alcuni passaggi delle comunicazioni della Commissione non si è compreso come mai, a fronte della richiesta di ridurre il potenziale, si autorizzi - o, come è più giusto dire, si autorizzerebbe - la trasformazione in vino di mosti importati in Europa da paesi terzi. Quasi tutti gli intervenuti in Consiglio agricoltura hanno evidenziato il controsenso presente in questa ipotesi.
L'estirpazione va considerata, dunque, come una misura accessoria. Laddove eventualmente accettata, si dovrebbe comunque lasciare un'ampia autonomia agli Stati membri - applicando, quindi, un esteso principio di sussidiarietà -, i quali possono decidere dove e come utilizzare questo strumento. È evidente che i rischi di questa scelta sono notevoli: non basta la volontarietà che la Commissione va richiamando. Certamente, la volontarietà è un passo importante, ma non sufficiente. Faccio notare, infatti, che potremmo assistere all'accettazione della pratica dell'estirpazione in vigneti di collina, caratterizzati da una minore produzione e dove l'incentivo per l'estirpazione potrebbe essere più interessante, e non registrare, invece, alcun effetto nelle zone di scarsa qualità, dove sarebbe opportuno estirpare. Si correrebbe, dunque, davvero un rischio elevato, in assenza di una forte sussidiarietà degli Stati membri, nell'individuare le modalità applicative dell'eventuale estirpazione.
Per quanto riguarda il divieto di nuovi impianti, abbiamo espresso una posizione aperta in merito alle ipotesi di liberalizzazione del diritto di impianto: se ne può discutere, ma è una scelta che va compiuta con molta delicatezza. È evidente che avremo bisogno di un congruo numero di anni per non danneggiare quelle imprese che hanno profumatamente pagato i diritti di impianto: una decisione dell'Unione europea in tal senso, oggi, ne limiterebbe fortemente il patrimonio.
L'Italia è d'accordo con i paesi produttori a mantenere un piano di ristrutturazione e di riconversione. Quando dico


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«mantenere», intendo assicurare una congrua dotazione finanziaria; del resto, il fatto stesso che, nella comunicazione citata, la Commissione abbia stimato in circa un terzo del totale delle risorse dell'OCM vitivinicola la somma da destinare all'estirpazione sottende la possibilità di indirizzare parte dei finanziamenti destinati a quel capitolo alle attività di riconversione, tema per noi molto importante da affrontare. È vero che abbiamo un protagonismo molto forte nel settore vitivinicolo, ma è altrettanto vero che esistono ancora molte aree del paese in cui la produzione è poco competitiva e dove interi territori producono per la distillazione: è dunque evidente che abbiamo bisogno di robusti interventi di riconversione.
Per entrare nel merito della distillazione, abbiamo rivolto un'attenzione particolare, nell'ambito delle comunicazioni della Commissione, all'eliminazione di tutte quelle forme di distillazione responsabili di turbare il mercato - divenuto meno trasparente - e, soprattutto, di alimentare il malcostume di produrre esclusivamente per quel canale specifico. Bene ha fatto, secondo noi, la Commissione a moralizzare il settore e a specificare che la distillazione dev'essere esclusivamente legata ad una distillazione di soccorso, che scatta solo negli anni e in particolari condizioni atmosferiche o climatiche che abbiano ingenerato una sovrapproduzione. Altrimenti, è evidente che si perpetuerebbe l'indirizzo non verso il mercato, ma verso le agevolazioni comunitarie.
Discorso diverso, invece, è quello della distillazione dei sottoprodotti, che riteniamo debba rimanere obbligatoria, e questo evidentemente sia per ragioni ambientali, sia per evitare distorsioni di concorrenza: in altri termini, abbiamo bisogno di rendere uniformi su tutto il territorio nazionale le modalità con cui si possono eliminare i sottoprodotti, senza creare problemi alle imprese e all'ambiente.
Ricapitolando, stiamo parlando di interventi in materia di distillazioni e di convergenza con i paesi mediterranei verso una distillazione di soccorso, una sorta di safety net, di rete di protezione, che intervenga esclusivamente in casi straordinari. A ciò si aggiunge, naturalmente, l'esigenza di mantenere - con risorse comunitarie - la distillazione obbligatoria dei sottoprodotti.
Sul tema dello zucchero, poi, occorre fare subito una precisazione. La comunicazione della Commissione parla di eliminazione totale dell'uso dello zucchero di barbabietola per aumentare la gradazione alcolica. È evidente che tutti noi paesi produttori abbiamo accolto con grande soddisfazione questa ipotesi; tuttavia, con la stessa soddisfazione con cui l'hanno accolta Italia, Spagna, Grecia e, in parte, Francia, il resto dell'Europa - e lo sottolinea tutte le volte in Consiglio - intende mantenere questa pratica.
Sul punto, occorre intendersi, così come avvenne nel 1999, nella precedente riforma dell'OCM vitivinicola. Se questa pratica verrà reintrodotta - come, ahimè, temo -, dietro pressione della stragrande maggioranza dei paesi europei, dovrà rimanere assolutamente chiara l'esigenza di reintrodurre contestualmente l'aiuto ai mosti; diversamente, si creerebbe una distorsione di concorrenza. Ad esempio, in Germania, gli operatori del settore potrebbero aumentare la gradazione alcolica dei loro vini, utilizzando zucchero di barbabietola fino a quattro, cinque o addirittura sei gradi, con un costo grado/alcol molto basso, derivante dallo zucchero di barbabietola; manovra che ai nostri produttori sarebbe preclusa, per effetto del divieto assoluto vigente in Spagna, Italia, Grecia e, in parte, Francia (come sapete, il sud della Francia vieta l'utilizzo dello zucchero, mentre il nord della Francia lo autorizza). È dunque evidente che ciò creerebbe una distorsione del mercato.
Dobbiamo, pertanto, reintrodurre l'aiuto ai mosti, in modo che ci sia equilibrio rispetto ad una pratica che a noi non piace: nella misura in cui l'Unione europea autorizzi il ricorso a tale pratica, si dovrà dunque autorizzare, con fondi europei, un aiuto ai mosti, per evitare che quella distorsione competitiva si verifichi. Questo è un punto molto importante da


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tenere fermo. Abbiamo salutato con grande entusiasmo l'idea di eliminare lo zucchero di barbabietola; tuttavia, sapendo che verrà reintrodotto, ci dispiace di non avere visto, sinora, una parallela azione, da parte della Commissione, nella direzione di reintrodurre l'aiuto ai mosti.
Ciò è molto importante anche come gioco di squadra. Vengo proprio dalla Conferenza Stato-regioni, dove abbiamo parlato di riforma della OCM vitivinicola e, in particolare, della regolarizzazione dei vigneti, tema annoso. Come ho detto a tutti gli assessori presenti - ne approfitto per informare anche gli onorevoli colleghi -, è assolutamente necessario, per non svolgere un ruolo banale, se non addirittura marginale, nella riforma della OCM vitivinicola, arrivare a quell'appuntamento con la regolarizzazione dei vigneti già effettuata. Per questo, abbiamo scritto agli assessori: ho consegnato proprio oggi la lettera, alla presenza degli uffici e in particolare dell'AGEA, che cura il catasto, in modo da assicurare tutte le forme di assistenza alle regioni. Abbiamo previsto sei mesi di tempo, in modo che entro l'estate del 2007 le regioni che ancora non l'hanno fatto regolarizzino i propri vigneti: vi sarà facile capire che, se l'Italia si presenta inadempiente su questo tema, sarà la stessa Commissione a metterci in difficoltà. Quindi, è necessario cogliere l'occasione della riforma dell'OCM vitivinicola per chiudere finalmente il capitolo della regolarizzazione anche su questo fronte.
Le comunicazioni della Commissione introducono, invece, un fatto che abbiamo giudicato positivo, una novità molto interessante: l'idea dell'envelope nazionale, una sorta di risorsa finanziaria dedicata esclusivamente a rafforzare la competitività del settore, che ciascuno Stato membro potrà utilizzare. Abbiamo considerato positivamente questa idea, ci siamo misurati con i colleghi dei principali paesi produttori e abbiamo ribadito che potrebbe essere estremamente interessante adoperare tale strumento per misure di promozione e di rafforzamento dell'immagine e della competitività delle imprese.
È molto importante sottolineare che, proprio oggi, la Commissione ha approvato la direttiva sugli aiuti di Stato e che, su pressione anche italiana, siamo riusciti ad ottenere l'autorizzazione anche per le spese di promozione. Sapete che, al riguardo, si è aperto un dibattito molto forte su una prima bozza di questa direttiva comunitaria, che è di competenza esclusiva della Commissione. Tuttavia, devo ammettere che la Commissione ha raccolto i nostri suggerimenti; in particolare, quello della promozione era per noi un punto dirimente, perché è evidente che non possiamo essere competitivi e forti sui mercati se non possiamo neanche utilizzare gli strumenti della promozione e del marketing sui mercati stessi.
Ho già detto sui mosti importati da paesi terzi, che consideriamo evidentemente un refuso della Commissione e vogliamo assolutamente eliminare.
Per quanto riguarda, poi, l'etichettatura, il tema è stato posto con molta forza. Come sapete, al riguardo c'è grande sensibilità nel nostro paese; l'abbiamo esposto con molta chiarezza anche al commissario Kyprianou, non soltanto al commissario Fischer Boel. Siamo per un'etichetta trasparente dei prodotti alimentari, che vada nella direzione di mettere chiaramente in luce l'origine del prodotto: su questo tema, probabilmente, ci sarà battaglia. Come abbiamo detto anche con il ministro Elena Espinosa qualche giorno fa, in Spagna, nel vertice italo-spagnolo di febbraio, il tema dell'origine dei prodotti, a livello europeo, dovrà essere posto come uno dei temi centrali.
Per quanto concerne il vino, occorre valutare con grande serietà il sistema di etichettatura con riferimento a quelle pratiche enologiche che abbiamo dovuto, in qualche modo, subire a seguito della decisione dell'ottobre 2005: parlo dell'utilizzo dei trucioli, dei chips di legno, rispetto ai quali, evidentemente, abbiamo dovuto accogliere la decisione della Commissione europea. Tuttavia, sottolineiamo l'obbligatorietà di indicare in etichetta se l'invecchiamento in barrique viene fatto con strumenti diversi.


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Vi ricordo che, contestualmente alla decisione assunta pochi mesi fa dal comitato di gestione vini, questa è stata una decisione adottata a livello europeo: adesso attendiamo che la Commissione la traduca dal punto di vista formale. Non c'è dubbio che, laddove si utilizzi una pratica diversa, sia necessario indicarlo chiaramente sull'etichetta. In più, non abbiamo giudicato sufficiente questo obbligo di etichettatura e abbiamo deciso - come sapete - di vietare l'utilizzo di tale pratica per i vini DOC e DOCG.
Per quanto riguarda la riforma dell'OCM, in tema di etichettatura, abbiamo espresso una certa perplessità anche rispetto alla possibilità di indicare il vitigno e l'anno di produzione dei vini da tavola. Tuttavia, questo sarà un tema da sviluppare ulteriormente in questi mesi. Abbiamo già avviato i primi contatti con il mondo agricolo ed alimentare, con le varie categorie, con il mondo della cooperazione, che svolge un ruolo importante nel settore enologico - come sapete, circa il 60 per cento dell'intero volume italiano è realizzato dalle cooperative -, insomma con tutti i produttori, affinché si esprimano in merito a questo punto. Di primo acchito, abbiamo espresso una certa perplessità sul fatto che i vini da tavola riportino in etichetta l'indicazione del vitigno e dell'anno di produzione.
Questo è il quadro della situazione, che ho riferito in maniera estremamente sintetica. Tenete conto che si tratta di un negoziato molto complesso, riguardo al quale si registrano posizioni molto diverse in Europa. Stiamo lavorando per creare un contesto negoziale che veda noi paesi produttori - in particolare Francia, Spagna e Italia - impegnati in un gioco di squadra, che ci consenta di avere la forza necessaria per cambiare la proposta della Commissione ed andare nella direzione di una proposta molto più vicina agli interessi delle nostre imprese, soprattutto vicina agli interessi di un settore che sta dando molte soddisfazioni e che vorremmo vedere più forte e più competitivo nel mondo.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro De Castro per la relazione ricca di spunti.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Nel farlo, li invito ad essere abbastanza sintetici, in modo da poter ascoltare la risposta del ministro De Castro.

ROSELLA OTTONE. Ringrazio il ministro De Castro per aver chiarito alcuni punti che risultavano ancora oscuri. Credo che si possa esprimere condivisione nei confronti di ciò che il ministro ha detto, soprattutto per quanto riguarda la questione degli espianti , assolutamente penalizzanti così come definiti.
Il coinvolgimento delle regioni deve essere assolutamente strategico ma, da quanto ci ha riferito il ministro, si registrano ritardi anche da parte del nostro paese, che vanno sicuramente superati. Se abbiamo il problema di non avere ancora regolarizzato tutti i vigneti italiani, sicuramente, abbiamo anche problemi piuttosto grandi sotto il profilo della produzione e distribuzione del nostro prodotto.
Per quanto riguarda la produzione, registriamo una frammentazione delle imprese. Come lei sa, signor ministro, ci sono 30 mila imprese sottocapitalizzate - il fenomeno riguarda la stragrande maggioranza delle imprese italiane - e caratterizzate da una situazione economica e finanziaria di difficoltà: ne abbiamo parlato anche l'altro giorno, questo è certamente un problema pesante.
Abbiamo, poi, un problema in ordine alla distribuzione dei nostri prodotti: troppa frammentazione e marketing inefficace. Al di là della comunicazione dell'Unione europea, abbiamo sicuramente dei problemi strutturali. Lei ha detto che c'è una clausola, nella comunicazione della Commissione europea, che riguarda l'envelope nei paesi nazionali: vorrei sapere da lei come intende utilizzare queste risorse e se sono in grado di porre rimedio alle difficoltà che ho segnalato.

PRESIDENTE. Il signor ministro intende rispondere subito a ciascuna delle


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domande che gli verranno rivolte: eviteremo, così, che le domande si ripetano.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. A domande così puntuali preferisco rispondere subito, in maniera tale che gli onorevoli colleghi possano trovare altri spunti di riflessione.
La regolarizzazione è un problema grave, abbastanza diffuso, sebbene concentrato in particolare in Puglia, Sicilia e, in parte, Toscana. Il problema, dunque, raggiunge le sue dimensioni maggiori in alcune regioni, ma quasi tutte hanno le loro difficoltà. Occorre regolarizzare, nel senso che è necessario che vi sia una perfetta coincidenza tra i diritti di impianto che le regioni hanno ceduto e ciò che risulta dal catasto. Questo è un punto importante, del quale proprio oggi abbiamo discusso nel comitato tecnico degli assessori regionali all'agricoltura: se non riusciamo a dare una risposta a tale problema, arriveremo deboli a questo negoziato.
Sulla distribuzione non mi soffermo, anche perché sono perfettamente d'accordo con l'onorevole Ottone: è un tema enorme da affrontare. Certamente, dovremo lavorare per cercare di organizzare la filiera, e questo significa trovare anche formule organizzative che rendano la parte commerciale, distributiva, più presente nelle strategie di impresa: l'envelope potrà dare una mano in questa direzione.
Su come intendiamo utilizzare le risorse non so rispondere in maniera puntuale, anche perché non so neanche se ci sarà e quanto sarà grande l'envelope. Però, non c'è dubbio che lo strumento nasce dalla volontà dei paesi di avere un budget a disposizione, per ogni Stato membro, da destinare alle misure volte a superare i punti di debolezza che le nostre imprese presentano sul mercato. Certamente, questo budget verrà utilizzato per rafforzare la competitività delle imprese, in termini sia di promozione, sia di strumenti organizzativi, elementi che possono favorire una maggiore unità ed una maggiore convergenza del mondo imprenditoriale.

MASSIMO FIORIO. Siamo reduci da una settimana di incontri con vari settori produttivi e associazioni di categoria sul tema dell'OCM. Vi è la consapevolezza della necessità di una riforma del settore vitivinicolo, a fronte delle ingenti risorse messe a disposizione dalla Comunità europea e di un cambiamento del mercato; vi è, infine, la necessità di un riequilibrio della domanda e dell'offerta, anche alla luce dei cambiamenti dei gusti e dei consumi dei cittadini.
Da questo punto di vista, la preoccupazione principale mi sembra risieda anche in una sorta di tutela della tipicità italiana. Mi riferisco al fatto che una riforma che abbraccia tutta l'Europa potrebbe compromettere e penalizzare la peculiarità italiana, caratterizzata da una forte tipizzazione dei vitigni. Non dimentichiamo che la nostra è una piattaforma ricca - probabilmente la più ricca - di vitigni di tipologie diverse, per cui alcune misure che vanno verso l'omogeneizzazione del settore preoccupano i settori produttivi.
Quello dell'estirpo è un tema molto forte, che rischia di penalizzare le produzioni «eroiche» di alta collina o addirittura di montagna: se ci si basa solo sul criterio dell'efficienza produttiva, queste produzioni rischiano di essere messe da parte rispetto a quelle che hanno, invece, una produzione quasi industriale, come le coltivazioni della pianura. Ci chiediamo, quindi, se la misura degli estirpi sia ancora trattabile oppure se, all'interno della quota destinata all'Italia - si parla di circa 150 mila ettari di estirpo -, alcune zone possano essere tutelate. Probabilmente, in questo ambito, le regioni e gli enti locali possono fare la loro parte. Penso, ad esempio, ad alcune zone di alta collina, particolarmente pregiate, o a produzioni isolane. Una riapertura del discorso con le regioni, dunque, è necessaria. Abbiamo accolto positivamente il fatto che è stato rilevato come, a fronte degli estirpi, il catasto dei vigneti non sia stato aggiornato, e come questo rischi di favorire operazioni non chiare. Innanzitutto, quindi, va aggiornato il catasto.


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Tra gli altri temi, cito quello importante della distillazione: credo si debba recuperare, come giustamente il ministro ha detto, la distillazione dei sottoprodotti.
Il tema che ci preme particolarmente è, tuttavia, quello dell'etichettatura. Si parla di due tipologie forti, i vini a indicazione geografica e quelli senza indicazione geografica, ma si sostiene che, in entrambi i casi, vitigno e annata andrebbero indicati. A noi pare che questa sia una compressione verso una fascia bassa, con il rischio, cioè, di complicare le informazioni che arrivano sul tavolo del produttore e creare una situazione non chiara. In tal modo, infatti, potremmo perdere il valore aggiunto dei vini VQPRD, DOC e DOCG, che rappresentano un punto qualificante della nostra vitivinicoltura.
Vogliamo conoscere - da ultimo, vengo ad un elemento politico - i margini di trattativa che abbiamo all'interno di quella manovra: ci confrontiamo con paesi come Francia e Spagna, che sono forti produttori, ma che hanno tipologie produttive diverse, in termini non soltanto di volumi, ma anche di valore. Quale strategia è possibile attuare per portare a casa dei risultati positivi per l'Italia?

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. La strategia è quella che dicevo prima, sulla quale, anche nelle scorse settimane, abbiamo registrato una convergenza molto forte con Dominique Bussereau e con Elena Espinosa. Abbiamo avuto diversi incontri bilaterali, sia in Spagna sia in Italia: Elena Espinosa è venuta a Lecce, io sono stato a Madrid; Dominique Bussereau, a sua volta, mi ha invitato per due volte a Parigi. Abbiamo svolto, inoltre, diversi incontri trilaterali sul tema del vino.
Questa è la strategia che stiamo mettendo in campo, ed è quella dei principali paesi produttori. Naturalmente, stiamo portando avanti un dialogo anche con i paesi del nord Europa: David Miliband, su questo, potrà darci una mano, anche se il ministro inglese non pone particolare attenzione a tale settore. Comunque, certamente ci sarà d'aiuto. Intratteniamo, poi, un rapporto consolidato anche con alcuni paesi del nord Europa.
Sull'estirpazione, come dicevo, c'è assolutamente lo spazio per lavorare. È uno dei temi principali che abbiamo posto, con riferimento non solo all'entità - parlo dei 400 mila ettari che dovrebbero interessare tutta l'Europa -, ma soprattutto ai criteri di applicazione dell'estirpazione. Abbiamo bisogno, insomma, che ci sia una forte sussidiarietà: lo Stato membro deve poter decidere dove e come estirpare. Quanto lei diceva è assolutamente vero: il rischio è che, di fronte ad un ricco premio di estirpazione, le zone più difficili di collina e di montagna vedano una convenienza immediata nell'estirpazione, rispetto alle zone di pianura, dove si producono, nei tendoni, 400 quintali per ettaro ( purtroppo destinati ad alimentare la produzione per la distillazione, e non quella di grande qualità).
Aggiungo l'elemento della distribuzione dell'estirpazione: un principio a nostro avviso sbagliato proposto dalla Commissione - lo abbiamo sottolineato soprattutto con gli spagnoli - è quello di ripartire questi ettari da estirpare nei paesi che hanno più sovrapproduzione. Questo significa che chi produce maggiormente per la distillazione potrà estirpare aree più vaste. Si tratta di un binomio che non abbiamo visto di buon grado: se infatti si deve fare un sacrificio, è giusto che lo facciano tutti.
Apprezziamo l'idea che la distillazione debba essere seria, e non una distillazione che crei un mercato parallelo e disabitui i nostri imprenditori a guardare al mercato.
L'estirpazione, però, la devono fare tutti, anche quei paesi che hanno un potenziale viticolo molto modesto. Tutti dobbiamo collaborare alla riduzione, altrimenti si creerebbero dei vulnus. Questa è la strategia, questo è lo spazio di manovra.

PRESIDENTE. Prego i colleghi di contenere ulteriormente i tempi dei loro interventi,


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in modo che sia possibile concludere l'audizione del ministro entro i tempi a nostra disposizione.

GIANLUCA PINI. Sarò telegrafico, per venire incontro alla richiesta della presidenza.
Pur attestandomi su posizioni politiche diametralmente opposte alle sue, ministro, condivido il 99 per cento di ciò che lei ha detto a difesa della produzione vitivinicola italiana.
Premesso ciò, vorrei porre l'accento su due questioni. La prima: visto che i tempi ci sono, forse sarebbe il caso di proporre, in sede comunitaria, una sorta di limite al ribasso, considerando la resa per ettaro, per ciò che riguarda l'estirpo. Se la ratio della norma è ricorrere all'estirpazione di ettari di colture vitivinicole per ridurre la sovrapproduzione, allora è giusto colpire laddove questa sovrapproduzione viene considerata per ettaro. In questo modo, effettivamente, si tutelerebbero quelle produzioni tipiche, specifiche e di qualità che mantengono anche, di fatto, un'economia di scala, laddove è difficile mantenerla, ovvero in collina e in montagna, zone che soffrono di tutt'altra serie di problematiche. Con una norma dettata dal buon senso, credo che riusciremmo ad arginare l'estirpo.
La seconda osservazione è di carattere più internazionale e nasce sulla scorta dell'esperienza di ciò che è accaduto in altro campo, all'interno della PAC: mi riferisco alle famose quote latte. In quella circostanza, tutti si dichiaravano d'accordo, ma la Francia, sottobanco - per parlare molto schiettamente -, ha cercato di ottenere il massimo per sé, lasciando le problematiche agli altri paesi membri. Le chiedo, signor ministro, se non ritiene necessario valutare meglio la posizione francese, per appurare che non si tratti di una sorta di «fregatura», se mi passa il termine. L'intera operazione sulla riforma dell'OCM a noi «puzza» tanto di grandeur francese: abbiamo il timore che, alla fine, com'è accaduto altre volte, la Francia cerchi di salvare il salvabile in casa sua, scaricando, per l'ennesima volta, sul nostro paese o sulla Spagna le problematiche legate alla sovrapproduzione.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Risponderò in modo altrettanto telegrafico: non credo che ci sia questo rischio. Ve lo dice chi, nel 1999, partecipò - unico caso, forse, nella storia dei negoziati comunitari - all'approvazione di Agenda 2000, con il voto contrario della Francia: i francesi lo ricordano bene.
Oggi, abbiamo un'Europa a 25, tra qualche settimana a 27, dunque non c'è più spazio per paesi che intendano dominare la scena, che è fatta ormai di tanti punti di vista e di tante sensibilità diverse. In più, la Francia, in questo momento - attraverso Dominique Bussereau -, dimostra una particolare attenzione a tali tematiche, che stiamo verificando giorno dopo giorno, anche nei negoziati che stiamo portando avanti in queste settimane (penso a quello sulla pesca e ad altri).
È evidente che noi siamo molti attenti a tutto ciò che succede; mi sembra, comunque, di poter affermare che in questo momento non esiste tale rischio. I francesi ci guardano con molta attenzione per quel che riguarda il vino; sono molto preoccupati del protagonismo italiano: noi abbiamo sorpassato la Francia nelle esportazioni, soprattutto nel ricco mercato degli Stati Uniti, che assorbe un miliardo di euro sui complessivi tre miliardi. Certamente, sul mercato ognuno giocherà le proprie carte; mi auguro, però, che questa riforma possa aiutarci a rafforzare ancora di più l'immagine del vino italiano.
Sono assolutamente d'accordo con la proposta del limite al ribasso, ma dubito che possa essere un criterio applicabile a tutti gli Stati membri. Comunque, sarà data facoltà allo Stato di limitare l'accesso ai premi delle estirpazioni, magari con strumenti del genere. Parlavo di sussidiarietà proprio perché, a mio avviso, lo Stato può decidere di dare il premio soltanto a quei vigneti che producono oltre una certa


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resa o che sono posti in determinate zone: penso che questa sia un'idea interessante da sviluppare.

TERESIO DELFINO. Signor ministro, condivido quanto ha detto nel suo intervento introduttivo, come impostazione di riferimento. Condivido, altresì, l'azione di attento monitoraggio che ha testè confermato nella sua ultima risposta.
Pongo, quindi, tre questioni essenziali. La prima è relativa alla proposta di espianto rispetto alla consistenza del vigneto Italia. Al riguardo, vi è stata una lunga vertenza, durata molti anni. La legge finanziaria per il 2000, all'articolo 60, aveva riconosciuto al vigneto Italia circa 100 mila ettari in più. Sul punto, registrammo - ahimè - l'opposizione di alcune regioni, tra cui la Toscana. Ne fu investita la Corte costituzionale che, successivamente, con una sentenza del 2004, ha confermato che questa è materia di competenza quantomeno concorrente, non esclusiva, come l'avevamo invece trattata con la manovra finanziaria del 2000.
Richiamo brevemente cosa ha comportato tutto questo: nei numerosi incontri svolti d'intesa con il coordinamento degli assessori regionali, allora guidato dall'assessore Marmo, si era riconosciuta la bontà del dato da noi assunto, che riguardava tutti gli impianti dei vigneti ante 1993. Questo ci aveva indubbiamente posto in una condizione favorevole. Dopo la richiamata sentenza, però, la nostra posizione si indebolì molto e la Francia, in particolare, ebbe ragione nel rinviare sempre la soluzione della questione, per far rientrare questo problema nell'ambito più generale dell'OCM.
Ho fatto questo breve richiamo per arrivare a porre una domanda. Siccome questa vicenda è ancora aperta, nel conteggio eventuale - qualora l'estirpo diventasse una misura -, non potremmo includere il mancato riconoscimento? Non ho più seguito le vicende delle singole regioni, ma sono certo che esse avranno legiferato ed assunto iniziative, quindi la mia domanda serve per capire, rispetto a questo tema e rispetto alla richiesta della quota di espianto, se sia possibile allestire un pacchetto unico ed evitare di perdere la consistenza del vigneto Italia.
La seconda questione riguarda la difesa del budget. Mi pare che ci sia un orientamento verso la conferma delle risorse attuali, ma vorrei capire il ruolo della questione più generale della riforma di medio termine del disaccoppiamento. Dovendo il ministero - la cui competenza, peraltro, oggi comprende anche l'alimentazione; ma questo investe un altro problema - sostenere i produttori, vorrei capire se il dato del disaccoppiamento rispetto all'utilizzo del budget viene in qualche misura intaccato rispetto agli altri interventi a sostegno del settore vitivinicolo. Riguardo a quest'ultimo, credo che la riqualificazione del vigneto sia un'azione irrinunciabile e che la distillazione debba avere una graduazione di riferimento.
Vengo alla terza ed ultima questione, relativamente a qualità, territorio, strumenti di promozione ed etichettatura (metto insieme questi elementi per il rapporto che dobbiamo avere con il territorio e con i consumatori). Al riguardo, lei ha già espresso una posizione molto ferma e molto dura. Mi auguro, però, che ci sia la possibilità, soprattutto per le pratiche enologiche, di vedere codificata chiaramente nell'OCM l'impostazione che ha riferito e che noi condividiamo.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Non ho nulla da aggiungere all'intervento dell'onorevole Delfino, del quale condivido pienamente l'impostazione. Certamente, faremo del nostro meglio per evitare che questo negoziato si traduca in problemi; porremo particolare attenzione e condurremo un vigile monitoraggio affinché ciò non avvenga.
Condivido ciò che ha detto sulle risorse, che saranno confermate. C'è qualche preoccupazione sul disaccoppiamento, ma sinceramente non credo - se devo esprimere un giudizio sul clima generale del Consiglio europeo - che oggi vi sia il


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rischio di andare verso una frammentazione delle risorse, che non arreca vantaggio ad alcuno.
Quanto all'idea che lei ha espresso sul calcolo della quota di estirpazione, faccio presente che il provvedimento non sarà mai coercitivo, dunque, si tratterà di un'azione volontaria. Il rischio è che possa esserci troppa domanda, ma nessuno ci obbligherà ad estirpare «x» migliaia di ettari. Teoricamente, se nessuno presenta domanda, nessun ettaro sarà estirpato. Il problema è che - ahimè - l'offerta della Commissione potrà essere vantaggiosa al punto da indurre, in determinate zone, molti produttori ad accettare il premio.

RENZO TONDO. Signor ministro, rispetto a quello che ci ha detto, mi trova particolarmente d'accordo sul tema della regolarizzazione dei vigneti, sull'etichettatura, sui fondi da destinare alla promozione. Mi sembra che questo sia il tema, sostanzialmente, della difesa della nostra peculiarità. Pertanto, ne approfitto per sollevare la questione del Tocai, che credo il ministro conosca benissimo.
È di oggi la notizia, apparsa sui quotidiani del Friuli-Venezia Giulia, che il TAR del Lazio ha bocciato il nominativo di «friulano» per un vino come il Tocai, che ha una grande storia: abbiamo 5 milioni di bottiglie, in Friuli, che sono senza nome, dunque non potranno essere poste sul mercato.
Ricordo al ministro, ma anche alla Commissione - ciò che accade oggi al Tocai può accadere domani a qualche altro vitigno -, che ben tre sentenze (una della Cassazione del 1966, una del TAR del 2003 e una del TAR del 2006) legittimano la coltivazione del vitigno Tocai. Nonostante questo, l'Unione europea boccia il nominativo di Tocai per il nostro vino. Ricordo ancora che, su 123 richieste di deroga, in situazioni del genere, ben 122 sono state accolte. Il Barbera (con la Conca di Barbera in Spagna), il Montepulciano, il Nobile di Montalcino, il Porto sono tutti nomi che hanno avuto l'autorizzazione: ripeto, 122 su 123. Questo non è avvenuto per il Tocai. Poiché non c'è traccia di tutto ciò nel Trattato di adesione all'Unione europea, ora l'Ungheria entra in Europa e ci ritroviamo a dover pagare tale scotto per un vino che ha un grandissimo nome in giro per il mondo. Tant'è - questo è il paradosso e il ministro lo sa - che rischiamo di trovarci, il prossimo anno, sui tavoli non solo del Friuli, ma di tutto il paese, il Tocai prodotto in Argentina e in Australia: loro potranno chiamarlo Tocai, noi dovremo chiamarlo non si sa come.
Vicende come questa, a mio avviso, rendono difficile il processo di integrazione, perché i nostri cittadini non possono capire la ragione di scelte simili.
Chiedo dunque al Governo se ritiene di attivarsi - io suggerirei di sì - per un'immediata e forte richiesta di deroga, rispetto a questo tema, nei confronti dell'Unione europea.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Quello che lei dice, onorevole Tondo, è assolutamente vero. Il problema è scoppiato questa mattina. Prima di venire qui, sono stato a lungo con l'assessore Marsilio, con il quale stiamo cercando di venire a capo della sentenza del TAR da lei richiamata, che certamente spiazza il percorso costruito sin dalla precedente legislatura, che aveva visto un'intesa a livello europeo. Un'intesa che sto cercando - insieme all'assessore Marsilio - di portare avanti. Stiamo lavorando per capire come gestire la questione: non c'è dubbio che certi tribunali amministrativi, a volte, creano qualche difficoltà. Non voglio aggiungere altro in questa sede istituzionale.

PRESIDENTE. Avverto che ci sono altri cinque iscritti a parlare. Vi prego, dunque, di regolare la durata dei vostri interventi, perché, a breve, il ministro dovrà allontanarsi. Per questa ragione, avverto che non sarà possibile trattare il successivo punto all'ordine del giorno della Commissione che presiedo. Pertanto, il seguito dell'audizione del ministro De Castro, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema di produzione ortofrutticolo del


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Mezzogiorno, dovrà essere ulteriormente rinviato, compatibilmente con i rispettivi impegni istituzionali.

GIUSEPPE RUVOLO. Condividendo pienamente le osservazioni del ministro sulle comunicazioni della Commissione europea, sarò davvero telegrafico.
Signor ministro, si è parlato delle distillazioni di soccorso, che devono essere regolamentate, e della necessità di moralizzare il settore. Non possiamo, però, omettere un ragionamento di fondo: negli ultimi tre anni, come tutti abbiamo registrato, il prezzo dell'uva ha raggiunto livelli quasi irrisori per i produttori. Non ritiene che, in una situazione di questo tipo, sia necessario approfondire tale questione di fondo?
In secondo luogo, le chiedo se sia possibile, in un arco di tempo ragionevole, prima della scadenza del settembre 2007, conoscere il lavoro tecnico - oltre a quello che, ovviamente, attiverà il signor ministro - per venire incontro ad un'azione comune complessiva, che certamente sarà sostenuta anche dal Governo.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Anche in questo caso non ho molto da aggiungere, condividendo l'intervento dell'onorevole Ruvolo.
Sull'annoso problema che riguarda tutto il settore agroalimentare, quello della differenza tra i prezzi alla produzione, i prezzi pagati dai trasformatori e i prezzi al consumo, devo dire che è un tema centrale, direi il tema dei temi del settore agroalimentare.
In alcuni casi, questi fenomeni sono governabili da intese di filiera più forti: è il caso della carne o di alcuni prodotti cerealicoli, dove c'è un rapporto più stretto all'interno delle fasi che compongono la filiera. Purtroppo, non è sempre così. Più debole e disorganizzato è il produttore, maggiore è questa forbice. Non a caso, il settore dell'ortofrutta, in particolare dell'ortofrutta fresca, è quello in cui la forbice è più vasta, trattandosi del settore in cui vi sono gli elementi di disorganizzazione più ampia. Basti dire che, prima di arrivare al consumatore, più del 70 per cento del prodotto ortofrutticolo attraversa una serie di passaggi che portano a una differenza di prezzo a volte veramente non tollerabile, non concepibile, non comprensibile. Alcuni paesi hanno utilizzato la formula del doppio prezzo: io mi sono dichiarato interessato e favorevole a questa ipotesi, ma devo riconoscere che i paesi che hanno adottato tale sistema - ad esempio la Francia -, dopo qualche tempo, sono rapidamente ritornati indietro ed hanno modificato il decreto adottato. D'altra parte, gli stessi operatori francesi dicono che non ha funzionato.
Il tema riguarda la capacità organizzativa. Non c'è dubbio che il cuore della risposta sia questo. È chiaro che, se il produttore, in questo caso vitivinicolo, è anche trasformatore, si difende molto meglio rispetto ad un contesto nel quale, invece, le due funzioni sono distinte. La questione, comunque, dovrebbe essere maggiormente approfondita.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor ministro, la ringrazio per la presenza e per la relazione, che a grandi linee è assolutamente condivisibile.
Per certe regioni d'Italia, quello dell'OCM vino è tutto sommato «il tema dei temi», nell'ambito delle fenomenologie legate alla vitivinicoltura e all'agricoltura in genere. Sottolineo la necessità di lavorare, dal punto di vista politico, per il rafforzamento di tutte quelle intese che vorrei definire, in modo figurato, come alleanze più di tipo orizzontale che di tipo verticale.
Nel passato, la nostra agricoltura ha sofferto per un sistema di alleanze, a livello di Unione europea, che ha visto talvolta anche il nostro paese, su certe questioni, pagare - forse un po' più del necessario - le ragioni dell'agricoltura continentale. È dunque arrivato il momento di rafforzare il sistema di alleanze orizzontali nell'area del Mediterraneo: questo vale non solo per l'OCM vino ma, ad esempio, anche per la pesca.


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Per andare nello specifico dei problemi, vorrei richiamare la sua attenzione su una serie di questioni. A mio avviso, almeno per i primi anni dell'attuazione del nuovo OCM, dovremmo cercare di blindare, nei nuovi provvedimenti, la metodica di innalzamento della gradazione mediante MCR, per la ragione che mi accingo a spiegarvi. Il ministro ne ha già parlato, ma noi dovremo essere più forti e più incisivi in questo. Non si riesce assolutamente a capire per quale ragione e secondo quale logica non dovremmo considerare misura agevolativa l'aumento della gradazione mediante zucchero, e considerare tale, invece - così come sostengono alcuni paesi continentali -, l'aumento della gradazione mediante MCR. Tra l'altro, per esperienza diretta nel settore, non è affatto vero che normalmente questa sia una metodica utile a dare un sostegno particolare ad una filiera, per quanto riguarda i prodotti di scarsa e scarsissima qualità.
A mio avviso, bisognerebbe essere molto prudenti nell'affrontare la questione della distillazione. Certamente, è vero che esistono alcune situazioni particolari - non solo in Italia, ma anche in Francia e in Spagna -, per cui intere regioni producono per distillare, o almeno così è stato fatto finora. D'altronde, ricordiamo tutti che nei decenni passati c'era addirittura il traffico da una cantina all'altra, da una regione all'altra, di prodotti che venivano destinati alla cosiddetta distillazione obbligatoria, almeno per la quota obbligatoria. Né possiamo dimenticare che, nel passato più recente, soprattutto in occasione delle crisi di mercato, in alcune regioni d'Italia si è deciso di distillare anche prodotti di qualità: abbiamo assistito tutti alla distillazione di prodotti di assoluta qualità, di prodotti IGT, e talvolta anche di prodotti di fascia più elevata.
Questo è un meccanismo, a mio avviso, estremamente delicato, dunque è necessario affrontare la questione non in maniera ideologica o preconcetta, ma con estrema prudenza. Allo stesso modo, con estrema prudenza bisogna affrontare anche la questione del premio per l'estirpazione.
Personalmente, sono contrario alle estirpazioni in genere, perché ritengo che, sostanzialmente, costituiscano un impoverimento, non soltanto dal punto di vista paesaggistico (aspetto comunque importante in alcune regioni). Soprattutto, l'estirpazione comporta una perdita netta di sistema economico, di giornate lavorative; in genere, una zona nella quale si procede alle estirpazioni è una zona che comunque perde qualcosa. Dobbiamo tener presente che, in alcune regioni, l'estirpazione può costituire uno sfogo, anche se, a dire la verità, il premio proposto non mi sembra assolutamente una cifra appetibile (se non sbaglio, il tetto massimo è di 6 mila euro, cifra raggiungibile solo a determinate condizioni).
Anche la questione della compravendita delle quote deve essere considerata con particolare interesse. Come dicevamo ieri sera, ascoltando i rappresentanti delle città del vino, molto spesso, la possibilità di cedere le quote da un'azienda all'altra, da un produttore ad un altro, rappresenta, già di per sé, anche un fenomeno di natura economica. Tutto questo va regolamentato, e può esserlo nell'ambito di uno stesso territorio, di una stessa provincia, di una stessa regione, per evitare che possano verificarsi fenomeni estremamente distorsivi. Ciò, però, è già di per sé un fenomeno che regola sistemi economici e, in certe situazioni, può rappresentare la vera buonuscita del vitivinicoltore che, in età avanzata, si può trovare nelle condizioni di dover vendere la propria quota.
Per concludere, faccio un accenno alle esigenze che, in queste settimane, sono emerse dagli interventi dei soggetti che abbiamo audito. Le richieste sono essenzialmente due. La prima riguarda un maggiore sostegno alla filiera per quanto riguarda il momento della commercializzazione del prodotto. È vero che negli ultimi due anni abbiamo assistito ad un aumento di quote in alcuni paesi: a dire la verità, in alcuni - specie negli Stati Uniti d'America - e non in tutti. Probabilmente, almeno per quanto riguarda il settore enologico, questo è anche derivato dal fatto che c'è stato un vero e proprio


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boicottaggio di ampi settori dell'economia americana nei confronti di prodotti che venivano da paesi europei: è inutile nasconderselo, le cose stanno così. Tuttavia, bisogna approfittare delle quote che abbiamo raggiunto per stabilizzare il risultato: sappiamo tutti che ci sono altre economie molto più aggressive, quindi va sicuramente individuato un momento di sostegno nei confronti di questa economia.
La seconda richiesta è quella di un sostegno delle nostre produzioni di qualità che rientrano nelle categorie IGT. In attesa di una revisione dell'intero sistema - io stesso ho presentato una proposta di legge che si muove in questa direzione -, di una riqualificazione e di una ridefinizione delle caratteristiche delle DOC, delle DOCG e delle IGT, sicuramente le IGT italiane, oggi, rappresentano una fascia di qualità estremamente alta, e come tali vanno tutelate. Lei sa benissimo che si è innescata una serie di polemiche sul decreto da lei firmato nei primi di novembre, proprio per questi motivi.
L'ultima osservazione dell'onorevole Delfino mi trova su una linea di assoluta condivisione. Da un lato, c'è la richiesta da parte dei territori e delle categorie di spostare parecchi aiuti sul primo pilastro, ossia direttamente sull'azienda, sulla coltivazione, sul produttore. Tuttavia, questo è un meccanismo assolutamente delicato, in quanto spostare molte risorse su questo primo pilastro può comportare il rischio di indebolire interamente la filiera.
In definitiva, su tali temi - questa audizione, seppur soddisfacente per quello che lei ci ha detto, non è a mio avviso bastevole - credo che dovremo incontrarci nuovamente.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Non posso che ribadire la mia assoluta disponibilità ad approfondire questi ed altri temi.
La distillazione di prodotti di qualità ha riguardato effettivamente più altri paesi che l'Italia. La Francia è sicuramente andata in quella direzione. Noi condividiamo che sia arrivato il momento di fare un salto di qualità e di andare verso una distillazione effettivamente «di crisi», volta ad aiutare i produttori che si trovano in una particolare situazione di gravità congiunturale e non strutturale.
Sui mosti concentrati, condivido pienamente le considerazioni dell'onorevole Marinello. Da questo punto di vista, invito tutti i colleghi, della maggioranza e dell'opposizione, a fare gioco di squadra: è necessario riuscire a ristabilire un rapporto di equilibrio tra zucchero ed MCR, altrimenti ci sarà una nuova autorizzazione ad utilizzare lo zucchero, ma non gli aiuti. Questo è un grosso problema da risolvere.
Sul resto, condividendo le considerazioni dell'onorevole Marinello, non mi soffermerò oltre.

MASSIMO SAVERIO ENNIO FUNDARÒ. Condivido pienamente la relazione del ministro, dunque mi limiterò a poche brevi sottolineature.
Non sono assolutamente d'accordo con il piano delle estirpazioni, che prevede una somma di 2 miliardi e 400 milioni di euro che dovrà essere sprecata, come è già avvenuto con il precedente piano. È un provvedimento contraddittorio, schizofrenico, che fra l'altro, prevedendo la liberalizzazione del mercato nel 2013, provocherà un impoverimento del territorio, del paesaggio e di un potenziale che è tipico del nostro paese. Credo, quindi, che si debba condurre una impegnativa battaglia perché venga ridotto fortemente il budget previsto per le estirpazioni, che è una iattura per le aziende agricole italiane.
Anche nel caso della distillazione, pur salvaguardando quella dei sottoprodotti, è necessario ridurre i fondi previsti. Finora ho sentito parlare poco, anche da parte delle organizzazioni agricole, di una misura che è assolutamente necessario introdurre, quella dell'aiuto diretto alle aziende agricole: vista la grave situazione di crisi sul territorio, viste le tante aziende che sono sull'orlo del fallimento, è necessario aiutare gli imprenditori agricoli a resistere a questa fase di crisi. Invito, perciò, il ministro ad esprimere il suo


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intendimento rispetto a questa problematica. Per quanto mi riguarda, credo che questa sia una misura di cui le aziende agricole hanno assolutamente bisogno.
Ho apprezzato, in sede di stati generali dell'agricoltura - opportunamente convocati dal ministro qualche mese fa -, il concetto di gioco di squadra. Vorrei sapere, però, se alla contrattazione europea con gli altri paesi ci presenteremo come una formazione unita, indipendentemente dalle posizioni di maggioranza e di opposizione. Mi preme sapere, dunque, se fra i Governi, i parlamentari europei e le regioni si è creato un clima da gioco di squadra, che consentirà di avere una contrattualità più forte e di ottenere i risultati che tutti auspichiamo.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Non avendo nulla da rilevare al riguardo, mi limito a ringraziare l'onorevole Fundarò.

GIUSEPPINA SERVODIO. Mi associo alla condivisione espressa dai colleghi sulla relazione del ministro e sulle risposte che ha dato a ciascun intervento.
L'onorevole Fundarò ha ragione quando dice che, in questo negoziato, non possiamo essere deboli. Credo che il discorso da fare al riguardo sia tutto politico.
Non mi addentrerò nelle questioni di carattere tecnico, perché credo che le audizioni ci stiano fornendo una serie di elementi importanti. In tal senso, ritengo che questo incontro sia significativo nella misura in cui si è consapevoli di dover rafforzare la nostra rappresentanza in Europa. La battaglia non è solo all'interno della Comunità europea e, quindi, nel confronto con gli altri paesi. In questa direzione, credo che noi dovremmo immaginare, dopo le audizioni - qui mi rivolgo ai presidenti delle due Commissioni -, di arrivare ad uno strumento parlamentare che renda visibili le proposte del Parlamento e ad un mandato pieno, consapevole e forte che dovremo affidare al ministro nel momento in cui dovrà affrontare questa battaglia.
Mi sembra che il documento adottato dalla Commissione rispetto alla riforma avvenuta nel 1999, oltre ad avere uno sguardo alla pluralità degli interessi dei paesi della Comunità europea, risenta molto delle esigenze che ormai derivano all'Europa dall'apertura dei mercati. Oggi, si chiede che non vengano più dati aiuti di Stato; in questo senso, l'estirpazione è legata alla possibilità che vengano importati i mosti da paesi terzi. Si chiede, altresì, la liberalizzazione dei diritti dell'impianto. Insomma, tante parti di questa ultima comunicazione risentono di una condizione nella quale l'Europa oggi si trova, soprattutto nel settore dell'agricoltura, per cui deve confrontarsi non solo con gli Stati Uniti, col Canada e con i paesi dell'America Latina, ma anche con i paesi del Terzo mondo e del Mediterraneo.
Mi sembra, come dicevo, che oggi la battaglia non sia solo all'interno: come difenderci o come far rispettare le colture meridionali rispetto a quelle del centro-nord. La battaglia, oggi, è capire quale ruolo può avere questa Europa, se di offesa o di difesa. Da questo punto di vista, la comunicazione è molto debole, perché non è chiara sul tema della commercializzazione e della qualità dei nostri prodotti.
Signor ministro, il fatto che in Parlamento, in maniera unitaria, siamo riusciti a dire «no» alla pratica dei trucioli, se non a certe condizioni, è certamente importante. Tuttavia, abbiamo visto quale decisione è stata assunta a livello europeo. Questo mi porta a dire che oggi il problema non è difendersi dalla Germania o dalla Svezia, ma come questa Europa possa affrontare i temi dell'agricoltura, sulla quale c'è un condizionamento, una richiesta e una pressione da parte degli altri paesi della comunità mondiale. Sto dicendo che la commercializzazione diventerà sempre più libera e l'agricoltura, purtroppo, a differenza di altri settori, ne risentirà, proprio per le strutture particolari che contraddistinguono ciascun paese.
La mia domanda, quindi, è tutta politica, perché riguarda come alla fine si andrà a revisionare il documento della Commissione sull'OCM vino. Signor ministro, siamo stati a Ginevra con il collega Delfino e posso dirle che sull'agricoltura


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c'è un interesse da parte di tutti i paesi del mondo. Credo che dobbiamo cominciare a ragionare e a capire come muoverci anche da un punto di vista tattico e strategico.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. L'intervento dell'onorevole Servodio è molto stimolante; sarebbe interessante sviluppare questo ragionamento su come sta cambiando l'Europa e su come dovrebbero cambiare i nostri comportamenti in funzione di un'Europa diversa. Siamo un'Europa a 27, le sensibilità sono diverse, e non c'è dubbio che la spinta ad aprire le frontiere è ineluttabile, per cui c'è da attendersi - dai prossimi negoziati OCM, dal prossimo turno del Doha Round - che vi siano ulteriori processi di apertura delle frontiere.
Il problema è come governare questa globalizzazione, questo processo di apertura. Non è sempre detto che essere un mercato aperto coincida con una crisi, con una difficoltà del nostro paese. Il nostro è un paese esportatore, semmai il problema è che esportiamo poco, troppo poco: soltanto il 15 per cento dell'intero fatturato del nostro settore agroalimentare viene dall'esportazione. Questo è il vero dramma del nostro paese. Non c'è paese europeo che, nel settore alimentare, non esporti più dell'Italia. Si fa presto a riempirsi la bocca, giustamente, della qualità dei nostri prodotti alimentari, del nostro patrimonio enogastronomico, si fa presto a dire in giro nei convegni quanto siamo bravi: ma rimane il fatto che il primo esportatore al mondo di parmesan è l'Australia, il più grande esportatore di agrumi in Europa è l'Olanda.
Potrei citare tanti di questi paradossi, che dimostrano come il nostro paese debba porre molta più attenzione al tema commerciale, al tema della capacità di presenza sui mercati. I nostri prodotti sono richiesti, e lo dimostra il fatto che vengono copiati: è evidente che esiste una domanda di made in Italy, ma se non riusciamo a portare i nostri prodotti sullo scaffale, il problema rimane. C'è un problema di tutela, un problema di regole internazionali, su cui dobbiamo lavorare di più come istituzioni - su questo non c'è dubbio -, ma c'è anche un problema di capacità del nostro paese di essere presente sugli scaffali. Se non lo siamo, non ci sarà legge, intervento, nulla che possa cambiare questo stato di fatto.
Ricordo, però, che il settore di cui stiamo parlando è uno dei pochi in cui il nostro paese sta dimostrando un protagonismo straordinario. È un protagonismo fatto di piccole imprese, non un protagonismo di grandi imprese. Spesso parliamo di massa critica, di grandi dimensioni: certo, la grande dimensione è un asset importante, ma nel settore del vino aziende da 10-15 milioni di euro sono presenti nei grandi mercati del mondo, e addirittura negli Stati Uniti, dove il rapporto euro-dollaro non favorisce certamente le nostre imprese. Eppure, l'ultimo dato aggiornato che abbiamo - luglio 2006 - rivela un ulteriore trend di crescita nell'esportazione di vino negli Stati Uniti, il che dimostra che quando vogliamo ce la possiamo fare.
Il problema è che spesso siamo abituati ad un mercato interno, un mercato ricco, fatto di consumatori italiani, disposti a pagare prezzi che nel resto del mondo nessuno pagherebbe. È necessario far conoscere di più gli aspetti legati alle qualità organolettiche dei nostri prodotti o al loro legame con il territorio; non c'è dubbio che, su questo, bisognerebbe affrontare un discorso molto ampio. Comunque, ringrazio l'onorevole Servodio per aver sollevato la questione.

LUCA BELLOTTI. Signor presidente, sono convinto che l'apprezzamento del mio intervento sarà inversamente proporzionale al tempo impiegato, per cui cercherò di essere breve.
Comincerò da una riflessione dell'onorevole Servodio e dalla risposta del ministro. Non c'è dubbio che, nella scorsa legislatura, sulle questioni della qualità, dell'etichettatura, del made in Italy è stata incentrata tutta la politica del settore agroalimentare del nostro paese.


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La relazione del ministro è stata diligente, precisa, sostenibile. Le osservazioni dei colleghi, sia della maggioranza sia dell'opposizione, sono state assolutamente pertinenti, per quanto riguarda i vari aspetti tecnici sollevati. Tuttavia, vi è una riflessione generale che vede il nostro paese - forse non solo il nostro paese, ma tutta l'Europa -, in questo susseguirsi di riforme, retrocedere sempre in una politica di difesa, e non avanzare in una politica di rilancio e di sviluppo delle produzioni agricole.
Le stesse grandi riforme che abbiamo dovuto subire sono state, per certi aspetti, anche abilmente sostenute dai nostri ministri. Del mandato del suo predecessore, il ministro Alemanno, ricordo ad esempio la partita che abbiamo sostenuto con l'Europa sul tabacco, nella quale, comunque, abbiamo portato a casa dei risultati importanti. Penso, altresì, alla questione della riforma dell'olio d'oliva, come a quella del settore bieticolo-saccarifero. Tuttavia, se guardo a tutte queste riforme, a cominciare da quella del latte, vedo che abbiamo sempre subito delle retrocessioni nell'ambito delle nostre produzioni: mi chiedo, allora, in quale direzione l'Europa intende muoversi.
Nel contempo, da italiano, mi chiedo veramente se noi dobbiamo essere sempre diligenti, precisi e puntuali, nel cercare di svolgere al meglio il tema che gli altri ci consegnano, oppure se non arriverà il momento in cui avremo una politica agricola nazionale un po' più aggressiva, a difesa dei produttori nostrani. Anche da parte dei produttori c'è una profonda delusione nei confronti di questa Europa, che riduce e non incentiva.
Ho avuto modo di partecipare, lo scorso anno, ai lavori del WTO, a Cancun. In quella sede, ho avuto l'occasione di poter esprimere un concetto, alla presenza anche dei paesi in via di sviluppo: non credo che si risolva il problema della fame nei paesi del mondo cedendo quote di produzione alimentare europee. Dico questo perché, in tale contesto, tentiamo di risolvere il problema della povertà inducendo povertà all'interno della Comunità europea. Inviterei il ministro a tenere sempre presente questo aspetto e a considerare se la questione non sia degna, magari anche nell'ambito europeo, di una pausa di riflessione, assolutamente importante. Lo invito, altresì, a considerare l'idea di tentare di mettere in atto una politica un po' più aggressiva. Gli spazi di crescita delle nostre produzioni viticole, a livello internazionale, credo siano molto rilevanti.
In questo modo, forse svolgiamo il compito che l'Europa ci consegna in maniera diligente e precisa, ma non so se facciamo gli interessi nazionali.

PAOLO DE CASTRO, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Anche l'intervento dell'onorevole Bellotti suggerirebbe una riflessione più ampia. Devo dire che non condivido l'immagine di un'Europa come controparte. Se c'è una critica che muovo, spesso, al modo in cui ci rivolgiamo all'Europa, anche in termini di politica agricola, è proprio quella di vederla come un luogo in cui dobbiamo battere i pugni: l'Europa siamo noi. Se l'Europa prende una direzione diversa rispetto ai nostri interessi, delle due l'una: o noi non siamo capaci di prendere parte al processo di costruzione delle decisioni europee, oppure, evidentemente, non siamo in sintonia con la stragrande maggioranza dei paesi europei.
Questa idea tutta italiana, provinciale, per cui l'Europa sbaglia e la ragione è dalla nostra parte, è un'idea che va sostituita da un più ragionevole approccio europeista, che spesso dimentichiamo. Penso, ad esempio, a quando parliamo di prodotti di qualità e dimentichiamo che i prodotti di qualità li ha inventati l'Europa: il legame tra prodotto e territorio è figlio delle regole europee. Le DOP, le IGP -, la giusta convinzione di essere il paese con il più alto tasso di produzioni di qualità -, sono invenzioni dell'Europa.
I negoziati possono riuscire bene o male; certamente, ce ne sono stati di importanti, ma non sta a me fare sottolineature. La difficoltà con cui stiamo affrontando il tema dello zucchero mostra che qualche difficoltà, probabilmente, esiste; ma non voglio entrare in un discorso


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polemico. A mio avviso, è l'atteggiamento ad essere sbagliato. Noi dobbiamo lavorare per entrare in sintonia con l'Europa, e dobbiamo farlo con tutte le nostre forze, prendendo esempio dai ministri francesi o spagnoli che, indipendentemente dai punti di vista politici, a volte anche molto diversi, convocano i loro parlamentari - tutti, di destra e di sinistra - e tutti lavorano nell'interesse della Francia e della Spagna. Noi, invece, abbiamo un approccio un po' naif, che ci fa rivolgere all'Europa con l'atteggiamento di chi vuole sempre strappare qualcosa, ritenendo che, dall'altra parte, non capiscano nulla.
L'Europa pretende che si partecipi ad un processo di costruzione e si individuino i punti di sintesi, comprendendo e condividendo le posizioni degli altri Stati membri. Sotto questo profilo, devo dire che l'Europa a 25, presto a 27, non può non essere il luogo di sintesi di tante sensibilità diverse. Questo, però, impegna tutto il paese, non solo il ministro. È vero, il ministro fa la sua parte, ma non basta. Ci siamo chiesti perché noi abbiamo 4 o 5 parlamentari europei in Commissione agricoltura, mentre tutti gli altri grandi paesi agricoli d'Europa hanno frotte di parlamentari europei nella stessa Commissione? Eppure, il numero complessivo di parlamentari è lo stesso.
Ci lamentiamo tanto del fatto che l'Europa non tiene conto delle nostre esigenze, ma in Commissione agricoltura del Parlamento europeo non ci andiamo, considerandolo una perdita di tempo. E mi riferisco a tutte le forze politiche, senza distinzione. Non posso non notare questo squilibrio tra la critica che rivolgiamo all'Europa e la mancata presenza costruttiva in quella sede, per lavorare insieme agli altri paesi, per comprenderne le esigenze, le difficoltà, ma anche per costruire con loro un'Europa diversa. È evidente che, in questo modo, si alimenta quest'idea contro l'Europa, che porta ai risultati del referendum svoltosi in Olanda.
Il tema sarebbe troppo vasto e ci condurrebbe lontano. Pertanto, ringrazio i presenti per gli stimoli contenuti nelle loro domande e chiedo scusa per essermi dilungato.

PRESIDENTE. Noi ringraziamo lei, signor ministro, per la sua disponibilità. Le chiedo, tra l'altro, di essere ulteriormente disponibile per la Commissione agricoltura, poiché neanche oggi siamo riusciti a svolgere il seguito della sua audizione nell'ambito dell' indagine conoscitiva sul sistema di produzione ortofrutticola nel Mezzogiorno.

FRANCA BIMBI, Presidente della XIV Commissione. Noi ringraziamo moltissimo il ministro. La XIV Commissione si occupa di tematiche assolutamente differenziate, ed io vorrei che il ministro ed anche i colleghi della Commissione agricoltura apprezzassero quanto stiamo cercando di fare, di cui non vi è alcuna traccia nel regolamento della Camera. Mi riferisco al tentativo di specializzare gruppi di componenti della Commissione, di maggioranza ed opposizione, in materie per noi rilevanti, a partire da uno stesso presupposto, ossia quello di guardare all'Europa come riferimento dell'azione comune.
Per questo, partendo dalla passione vinicola dell'onorevole Ottone e degli altri due colleghi presenti, ho colto l'occasione per avviare una specializzazione anche in tale settore, il che non è affatto facile. Siamo al secondo punto, avendo superato il primo, dunque credo che, a partire dal vino, anche in questa Commissione faremo la nostra parte. Tenevamo moltissimo a questa audizione, e ringraziamo il ministro per la disponibilità manifestata.

PRESIDENTE. Nel ringraziare ancora il ministro De Castro per la sua disponibilità, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,50.