II Commissione - Giovedì 27 luglio 2006


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ALLEGATO 1

D.L. 223/06: Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale. C. 1475 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La Commissione Giustizia,
esaminato il disegno di legge C. 1475 approvato dal Senato della Repubblica, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale;
preso atto dell'impatto delle modificazioni introdotte, a seguito del dibattito svoltosi in Senato, in virtù del maxi-emendamento 1.1000 presentato dal Governo, con particolare riguardo alle disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali;
rilevato, tuttavia, che persiste ambiguità nella rimozione del divieto del cosiddetto «patto quota-lite», di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), circa la sussistenza o meno del massimo tariffario;
rilevato, altresì, che la sostituzione del comma 3 dell'articolo 2233 del codice civile, di cui all'articolo 2, comma 2-bis, non si limita a prevedere la nullità ove i patti conclusi tra avvocati e clienti circa i compensi professionali non rivestano la forma scritta, ma abroga il divieto di stipulare alcun patto relativo ai beni che formino oggetto della controversia;
considerato che il divieto di ricorso all'anticipazione da parte degli uffici postali delle spese di giustizia, di cui all'articolo 21, comma 1, rallenterebbe la relativa erogazione con ricadute negative per alcune categorie di operatori della giustizia;
ritenuto che il taglio triennale alle spese di giustizia, disposto dall'articolo 21, comma 3, incida negativamente sullo stato di previsione ministeriale e quindi sulla già modesta ed insufficiente incidenza percentuale dello stesso sul bilancio dello Stato;
valutato che l'entità dei contributi introdotti per i ricorsi amministrativi dall'articolo 21, comma 4, eleva indiscriminatamente la soglia di accesso alla giustizia amministrativa con evidenti conseguenze negative per i cittadini meno abbienti;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
a) all'articolo 2, comma 2-bis, le parole «il terzo comma è sostituito dal seguente» siano sostituite con le parole: «è aggiunto il seguente quarto comma»;
b) sia soppresso l'articolo 21.

e con la seguente osservazione:
all'articolo 2, comma 1, lettera a), valutino le Commissioni di merito l'opportunità di precisare la sussistenza o meno del massimo tariffario in relazione alla pattuizione dei compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.


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ALLEGATO 2

D.L. 223/06: Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale. C. 1475 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE

La Commissione Giustizia,
esaminato il disegno di legge C. 1475 approvato dal Senato della Repubblica, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale;
premessa la palese insussistenza dei prescritti requisiti di «straordinaria necessità ed urgenza», indispensabile condizione costituzionale per la decretazione, cui anzi si contrappone la fortemente e da più parti avvertita esigenza di una riforma compiuta ed organica della disciplina delle professioni intellettuali;
non sembrando che il testo ora sottoposto alla disamina parlamentare possa essere efficacemente emendabile, soprattutto in relazione a quegli aspetti che risultano avere stretta pertinenza con alcune professioni in particolare, dalla mancata considerazione della specificità delle quali, non revocabile in dubbio e avente finanche rilievo costituzionale, derivano peraltro le più rilevanti ragioni di perplessità;
rilevando che - sebbene le prescrizioni contenute nella lettera a) del comma 1), in materia di obbligatorietà delle tariffe e di compensi parametrati ai risultati conseguiti, possano essere facilmente compatibili, o comunque a carattere di neutralità, con riferimento alla maggior parte delle professioni intellettuali - non vi è chi non veda come le stesse rivestano invece carattere di rilevante opinabilità in relazione a talune di esse e in particolare in relazione alla professione di avvocato, ovvero, ancor più in particolare, ai servizi professionali resi dall'esercente la professione legale in sede giurisdizionale;
osservando che l'introduzione nell'ordinamento del cosiddetto patto di quota lite, che è la inevitabile «traduzione» - nel caso dell'esercente la professione forense - della (tranchante e non meditata) cancellazione del divieto di pattuizione di quelli che vengono definiti «compensi parametrati», lungi dal determinare gli effetti virtuosi generalmente prefigurati in vantaggio dei consumatori e all'interno dell'ambito professionale di cui si discute, apre viceversa la via - in taluni casi - a fenomeni di distorsione della concorrenza, assolutamente incompatibili con i principi ed i doveri di dignità e decoro che gravano sul professionista, ovvero - in taluni altri - a fenomeni di inaccettabile «mercato», in tutto danno delle categorie meno abbienti e meno avvertite, che maggiormente soffrono del gap derivante dal differenziale informativo che li separa dal prestatore del servizio professionale, a tutto vantaggio delle parti più forti e più audaci, in violazione dei principi generali di eguaglianza e del principio specifico del diritto alla difesa e all'efficace esercizio dei propri diritti;
non sottovalutando che l'introduzione del patto di quota lite mina dalle


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fondamenta l'indipendenza dell'avvocato, costretto alla condivisione della lite con il cliente e non trascurando che sia i criteri per la determinazione delle tariffe, approvati con legge, sia l'introduzione nel codice deontologico del cosiddetto «palmario» permettono di modulare la corresponsione delle competenze relative alle prestazioni professionali rese anche in relazione all'esito delle liti;
rilevato che la genericità del testo peraltro, incide sugli assetti normativi configurati in materia dal codice civile (articoli 2233 e 2236 del codice civile);
manifestando contrarietà anche alla prima parte della lettera a) del comma 1 dell'articolo 2 (obbligatorietà di tariffe fisse o minime), in quanto in tale materia la volontà del Governo è palesemente contraddittoria perché, se da un lato si intende abrogare l'obbligatorietà delle tariffe fisse e minime, dall'altro si riconosce (articolo 24) che la tabella B) allegata alle tariffe stragiudiziali degli avvocati è addirittura meritevole di estensione «inderogabile» a tutte le categorie dei professionisti che compongono i collegi arbitrali (anche «agli arbitri non avvocati»);
sottolineando che la soppressione delle tariffe minime esporrebbe a grave rischio la qualità della prestazione dell'avvocato e che, d'altro canto, le tariffe, comprese quelle minime, hanno valenze plurifunzionali (parametri per la determinazione delle liquidazioni giudiziarie e per le prestazioni dei difensori d'ufficio);
non sottacendo che il processo formativo di determinazione delle tariffe si appartiene al Ministro della Giustizia ed è sottoposto al parere del Consiglio di Stato e al vaglio di congruità del CIPE;
evidenziando come - se (ancora) può risultare irrilevante, per talune categorie, il venir meno di qualsiasi divieto o limitazione (come è espressamente e testualmente previsto alla lettera b) del comma 1) di promozione pubblicitaria dei servizi offerti, delle qualità degli stessi e dei prezzi praticati per i medesimi, ben oltre le già esistenti disposizioni a regolazione della materia - sia irrevocabile in dubbio come tale eventualità collida - nuovamente con precipuo riferimento all'esercente la professione forense e nuovamente per quanto riguarda in particolare il «versante giurisdizionale» della stessa - con i doveri che competono al detto professionista, come nitidamente posti alla base delle disposizioni dedicate alla disciplina del fenomeno in quel codice deontologico autonomamente formato dalla relativa organizzazione professionale, in coerenza con l'indicazione di metodo sancita dal Parlamento europeo;
rammentando che attualmente il codice deontologico forense (articoli 17 e 17-bis) consente un'amplissima forma di pubblicità comunicativa e informativa per cui le perplessità nascono di fronte all'ambiguità della locuzione utilizzata («caratteristiche del servizio offerto») che lascia ipotizzare riferimenti alla qualità della prestazione, in ordine alla quale, secondo quanto previsto dall'articolo 1176 del Codice Civile, già sono definiti i limiti della dirigenza;
manifestando pieno dissenso nei confronti della parte in cui si fa riferimento alla possibilità di pubblicizzare il prezzo delle prestazioni, assolutamente non prevedibili né omologabili per standard sia con riferimento al processo penale che a quello civile ed amministrativo;
valutando negativamente anche la terza area di disciplina contenuta nell'articolo 2 (lettera c) del comma 1), segnatamente con riferimento alla parte in cui - ancora una volta con riferimento indiscriminato a qualsiasi categoria professionale - è rimosso il divieto (già ora in alcuni casi peraltro inesistente) di fornire servizi interprofessionali;
dichiarando inaccettabile, e ben più risolutivamente incompatibile con il requisito di libertà e di indipendenza che è nel DNA dei partecipanti di talune categorie professionali, oltre che nel precetto costituzionale che presiede all'opera che i medesimi sono chiamati a svolgere, la previsione


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per effetto della quale i relativi servizi professionali, nel loro complesso, possano essere resi anche da parte di società di persone, le quali persone possano non essere necessariamente coincidenti con i professionisti cui compete lo svolgimento della specifica prestazione;
considerando il testo contenuto nel decreto legge ambiguo perché si riferisce alle «società di persone o associazioni tra professionisti», laddove per le associazioni professionali la multidisciplinarietà è già prevista (è lecito istituire associazioni professionali, come in effetti esistono, tra avvocati e dottori commercialisti sulla base dell'articolo 1 della legge n. 1815 del 1939), mentre le uniche società di persone consentite tra professionisti sono attualmente quelle previste per gli avvocati dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96;
dissentendo altresì sull'eventuale possibilità che, con la costituzione di società professionali multidisciplinari, venga rimesso in discussione il principio per cui di tali società non possono far parte i soci di capitale (peraltro compatibili per le associazioni professionali aventi ad oggetto prestazioni di carattere tecnico);
ribadendo la persistente e generale perplessità che continua a suscitare la previsione dell'articolo 7, con riferimento alla reale utilità attesa, in rapporto con l'inevitabile rinuncia a talune certezze insite nel previgente sistema, ma raccomandando che vengano meglio definite le modalità con cui devono essere espletate da parte dei (nuovi) soggetti preposti le attività, di non revocabile in dubbio delicatezza, di autenticazione degli atti e delle dichiarazioni da parte dei soggetti (dei quali è inevitabile corollario l'identificazione e, in taluni casi, l'accertamento della disponibilità di idonei poteri), con eventuale previsione di specifiche violazioni e relative sanzioni;
considerando, in relazione alla previsione contenuta nell'articolo 10, di modifica dell'articolo 118 del decreto legislativo n. 385 del 1993, difficilmente comprensibile l'utilità dell'assetto che risulta in definitiva previsto per il contratto di durata, caratterizzato da irragionevole rigidità, foriera di conseguenze tutt'affatto meno che benefiche in relazione alle ragioni dei consumatori;
raccomandando, pertanto, che abbia luogo la soppressione, al comma 1 del novellato articolo 118, delle parole «qualora sussista giustificato motivo», riservando il principio alla regolazione della distinta fattispecie della sussistenza di specifiche ragioni che non rendano praticabile il percorso, per così dire «ordinario», della accettazione (ancorché per semplice decorso del termine) delle nuove condizioni proposte, come alternativa allo scioglimento del contratto;
invitando alla riformulazione dell'articolo 14 e, segnatamente, della nuova previsione contenuta nell'ora introdotto articolo 14-bis della legge n. 287 del 1990, in modo tale che la stessa risulti tale da assicurare la specificazione delle misure cautelari che possono essere disposte, oltre che la precisazione di disposizioni procedurali sufficientemente idonee ad assicurare l'esercizio del diritto di difesa, un adeguato contraddittorio e la possibilità dell'immediato esercizio della facoltà di impugnazione in sede giurisdizionale;
segnalando alla Commissione di merito l'opportunità di valutare, stante la delicatezza della questione che viene posta, anche con riferimento ad aspetti di compatibilità di sistema, un complessivo accantonamento del tema, per un più compiuto svolgimento dello stesso in autonoma sede legislativa, tanto più che la formulazione della norma contenuta nel decreto conferisce all'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato un potere del tutto estraneo al nostro ordinamento giuridico e pone in discussione le stesse caratteristiche deontologiche del potere cautelare, peraltro tipico della funzione giurisdizionale e mirato alla conservazione delle ragioni delle parti in causa;
non sottacendo come emerga una visione del principio di legalità in contrasto con l'articolo 97 della Costituzione che


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infatti impone alla pubblica amministrazione di provvedere sulla base della legge e per i fini da essa previsti, mentre la norma di cui sopra prevede quale presupposto il solo timore di «un danno grave e irreparabile per la concorrenza» affidando così all'Autorità garante un potere di disporre in bianco senza alcun vincolo contenutistico;
giudicando negativamente l'articolo 21, comma 4 che, con l'aumento ingiustificato dei contributi dovuti per i ricorsi davanti ai Tar e al Consiglio di Stato e per le istanze cautelari, viola il principio dell'eguaglianza dei cittadini e rende, soprattutto per le categorie sociali più bisognose, arduo e difficile l'accesso al servizio giustizia;
nulla ostando in relazione all'articolo 35 comma 7 che introduce nuove fattispecie di reati, ora regolate dagli articoli 10-ter e 10-quater del decreto legislativo n. 70 del 2000, a condizione che il testo della medesima sia modificato nel senso di prevedere che costituisca illecito penale non solo la mera mancata corresponsione delle somme da versarsi a titolo di imposta, ma anche la relativa omessa o infedele dichiarazione, sicchè risulti inequivoca la volontà legislativa di sanzionare le condotte di evasione o elusione fiscale e non già quelle derivanti dalla mera incapacità economica, totale o parziale, definitiva o temporanea;
valutando negativamente le disposizioni di cui all'articolo 35 comma 12;
esprime

PARERE CONTRARIO.