Commissioni Riunite III e IV - Resoconto di mercoledì 6 settembre 2006


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UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Mercoledì 6 settembre 2006.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 10.05 alle 11.

SEDE REFERENTE

Mercoledì 6 settembre 2006. - Presidenza del presidente della IV Commissione, Roberta PINOTTI, indi del presidente della III Commissione, Umberto RANIERI. - Intervengono il ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema, il ministro della difesa, Arturo Mario Luigi Parisi, il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, e il sottosegretario per la difesa, Giovanni Lorenzo Forcieri.

La seduta comincia alle 11.10.

DL 253/06: Partecipazione italiana alla missione in Libano.
C. 1608 Governo.

(Esame e rinvio).

Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

Elettra DEIANA (RC-SE), alla luce della rilevanza del provvedimento in esame e dell'interesse ad esso riservato dagli organi di informazione, propone che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sia assicurata anche mediante l'attivazione d'impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Roberta PINOTTI (Ulivo), presidente, non essendovi obiezioni, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione d'impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Umberto RANIERI, presidente della III Commissione e relatore per la III Commissione, illustrando il decreto legge n. 253 che disciplina la partecipazione italiana alla missione di pace in Libano, così come ridefinita dalla risoluzione n. 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si sofferma sul contesto di politica internazionale nel quale è maturata la missione e sulle prospettive che ad essa sono collegate. La crisi fra Israele e le milizie sciite


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di hezbollah ha avuto inizio, come è noto, nel mese di luglio, con il lancio di razzi sul territorio di Israele da parte delle milizie sciite e con un successivo attacco a due veicoli corazzati israeliani, con l'uccisione di tre soldati e la cattura di altri due. La dura reazione di Israele - che ha considerato l'attacco di hezbollah un vero e proprio atto di guerra - si è concretizzata in bombardamenti aerei, blocchi navali e incursioni terrestri nel sud del Libano. L'Italia si è mossa in quella fase esercitando un'iniziativa diplomatica volta al raggiungimento di un cessate il fuoco, presupposto indispensabile per qualunque ipotesi di trattativa - e lavorando tenacemente per giungere ad un impegno positivo dell'Unione europea per la stabilizzazione di quell'area del Medio Oriente. Rilevante nell'azione coerente del Governo italiano è stata, nel pieno del conflitto in Libano, la Conferenza di Roma del 26 luglio, cui parteciparono insieme al Segretario di Stato americano, Condoleeza Rice, e i ministri degli esteri di 25 Paesi tra i quali quelli del gruppo di contatto sul Libano.
Da quella Conferenza emerse un primo risultato rivelatosi poi fondamentale, vale a dire, la volontà politica dei principali Paesi europei ad impegnarsi per la soluzione della crisi. Ed è da questo punto di partenza che si è dipanata, tra varie difficoltà la complessa e difficile trama politica che ha portato alla risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, il cui testo è stato frutto di un intenso lavoro diplomatico e rappresenta un'equilibrata mediazione tra le diverse posizioni in campo: chiede alle parti l'accettazione della tregua, prevede l'insediamento di un contingente multinazionale delle Nazioni Unite nel sud del Libano, dispone il dispiegamento dell'esercito libanese in tale area del paese e il progressivo ripiegamento e disarmo delle milizie hezbollah. In questo modo la comunità internazionale si propone due risultati: una riaffermazione del diritto di Israele a vivere in sicurezza impedendo che una parte del territorio del Libano venga usato come base per attacchi al territorio israeliano; la ricostruzione della sovranità del Libano, evitando che quel Paese - che appena un anno fa si è liberato dall'occupazione siriana - si trasformi nella palestra per giochi di potere di potenze limitrofe.
La risoluzione sembra in sostanza restituire il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad un ruolo che per molti anni gli è stato di fatto precluso dal meccanismo dei veti incrociati e più in generale da una profonda crisi di legittimazione che ha investito le Nazioni Unite. Naturalmente questo rilancio potrà dirsi effettivo solo nel quadro di una attuazione di tutti i punti della risoluzione; ma già ora possiamo registrare all'attivo risultati importanti: la tenuta della tregua, l'impegno di molti paesi tra i quali, in particolare, paesi europei, a partecipare alla missione, le reazioni di disponibilità degli esponenti di hezbollah al percorso disegnato dal documento del Consiglio di Sicurezza. Non c'è dubbio che a tali risultati non si sarebbe pervenuti senza il maturare di una forte posizione comune dell'Unione europea, tanto più difficile quanto più diversificate apparivano ancora poche settimane addietro le valutazioni di alcuni dei più importanti paesi in merito alla crisi libanese. Da questo punto di vista particolare rilievo deve essere attribuito al ruolo della Francia che, memore della impotenza delle proprie truppe in Bosnia negli anni '90 a causa della debolezza delle regole di ingaggio e consapevole dei rischi libanesi per l'attentato del 1983, ha infine accettato di partecipare alla missione in modo consistente con un ruolo di comando condiviso con l'Italia.
Anche in questo delicato passaggio l'Italia ha svolto un ruolo significativo, come è stato ampiamente riconosciuto dalla comunità internazionale. A guidare il Governo italiano è stata la convinzione che l'Europa non avrebbe dovuto in alcun caso sottrarsi ad un impegno teso a contribuire alla pace in una regione strategicamente cruciale nella vicenda mediorientale. Era chiaro che con un nuovo disimpegno la crisi che attanaglia l'Europa si sarebbe drammaticamente aggravata e lo sforzo di


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rilanciare il progetto europeo sarebbe apparso sempre più vano. In questo quadro, merito del Governo italiano - confortato dal voto unanime delle Commissioni riunite III e IV della Camera dei deputati e delle omologhe Commissioni del Senato del 18 agosto - è stato quello di avere tenuto aperta con la propria costante disponibilità l'opzione di una missione di peace keeping con un forte profilo europeo anche quando questo sembrava sfumare a causa delle esitazioni francesi. Certo nessuno si nasconde i problemi che attanagliano l'Unione europea: tuttavia la vicenda libanese può costituire l'avvio di una svolta, quasi un embrione di politica estera e di politica di difesa, costruito nei fatti e sul campo prima che nella Costituzione.
Infine alcune considerazioni finali, di cui la prima riguarda Israele.
Sbaglierebbe il gruppo europeo-israeliano se sottovalutasse la novità che si è prodotta con la risoluzione n. 1701 nel rapporto tra Israele e la Comunità internazionale. La novità consiste nel fatto che per la prima volta nel corso della sua difficile storia, su un fronte da cui proveniva una minaccia, la sicurezza viene garantita internazionalmente, anzi - nel contesto libanese - a questo compito assolve, in primo luogo, l'Europa.
Questa novità potrebbe rappresentare un punto di svolta nella storia drammatica di guerre e conflitti affrontati da Israele nei 60 anni trascorsi dalla sua fondazione. Se la guerra preventiva nella storia di Israele è stata condotta con successo in molte occasioni (da Suez alla guerra dei 6 giorni) sempre di più oggi, e lo dimostra l'inquietudine diffusa nella società israeliana, la classe dirigente israeliana deve misurarsi con un interrogativo di fondo: può Israele affidare ancora a lungo essenzialmente alla deterrenza militare la propria sicurezza?
Certo lo Stato di Israele ha dato al popolo ebraico una volontà nazionale e una capacità di difesa straordinaria, ma il costo politico dei successi militari (ecco l'interrogativo che si pongono gli amici di Israele, da Adam Segre ad una schiera di giovani storici intellettuali) si è rivelato sempre più alto.
Oggi Israele dovrebbe cogliere la novità che emerge dalle posizioni dell'Europa e degli stessi Stati Uniti: è la Comunità internazionale che intende contribuire alla sua sicurezza. Ecco perché preoccupa l'intenzione del Governo Olmert di congelare la prospettiva di un ritiro dalla Cisgiordania e di finanziare nuovi insediamenti nei territori. Sarebbe un macigno sulle esili prospettive di ripresa del dialogo. Ed è quello che si aspettano i predicatori di violenza, gli uomini del terrore, quel fronte islamico radicale che rifiuta il processo di pace arabo-israeliano. La verità è che sull'onda della positiva operazione per il Libano occorrerebbe far avanzare le condizioni di una pace durevole per l'intera regione. Non tutto dipende da Israele ma sarebbe una scelta lungimirante sostenere il tentativo di Abu Mazen di costruire, su basi che nei fatti aprirebbero al riconoscimento di Israele, un governo di unità nazionale in Palestina. C'è da augurarsi che Israele non smarrisca la convinzione, che animò anche l'ultimo Sharon, che la chiave del dramma in Medio Oriente resta palestinese. Certo questo invito all'autorità israeliana deve accompagnarsi da parte della Comunità internazionale ad una forte pressione e ad una incisiva iniziativa diplomatica verso Siria ed Iran.
Per quanto riguarda la Siria importanti sono state le parole con cui il Ministro degli esteri del Governo italiano ha chiesto al Governo siriano di cooperare al processo aperto in Libano, ricordando che l'eventuale violazione della risoluzione n. 1701, nella parte in cui prevede che sia impedito l'ingresso di armi nel territorio libanese, non incontrerà l'indifferenza della Comunità internazionale. Al tempo stesso un segnale positivo giunge dal recente colloquio tra il Segretario generale dell'ONU e il Presidente siriano, che si è impegnato a garantire il rispetto del paragrafo 14 della risoluzione ONU.
Sul versante iraniano, pur apprezzando le dichiarazioni delle autorità di Teheran


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di rispetto per la risoluzione n. 1701, non può non suscitare preoccupazione la posizione oltranzista dell'Iran sulla questione nucleare e si deve condividere lo sforzo negoziale ulteriore che Javier Solana a nome dell'Unione europea nel suo complesso si appresta a condurre, ma occorre lavorare in ogni caso per evitare divisioni della Comunità internazionale sulle risposte da fornire alle autorità iraniane.
Nel modo in cui è stata affrontata la crisi libanese si colgono i primi segni di quel multilateralismo costruttivo ed efficace che ritiene debba costituire la strategia con cui affrontare le gravi e irrisolte questioni della sicurezza internazionale.
Le cose sono difficili e non è il caso di coltivare illusioni: tuttavia l'esigenza di una nuova fase nelle iniziative della Comunità internazionale appare diffusa. L'unilateralismo militare non porta lontano, la messa in mora degli organismi di garanzia come le Nazioni Unite è una scelta gravida di rischi. Il ricorso alla forza e alla presenza militare deve essere ricondotta alla scelta di una seria rappresentatività dell'intera comunità internazionale. Del resto nella stessa Amministrazione statunitense si fa strada, di fronte alla dura realtà dei fatti, la consapevolezza del ruolo dell'Europa e della funzione delle Nazioni Unite di attenuazione dell'unilateralismo. Certo il multilateralismo fornirà una risposta all'altezza dei problemi solo se comporterà una assunzione di responsabilità efficace e prontezza nelle risposte. Su queste basi, come è avvenuto per il Libano, è possibile costruire una virtuosa convergenza tra Europea e Stati Uniti.
In conclusione ritiene che vi sia consapevolezza da parte dell'insieme delle forze parlamentari che la missione in Libano è difficile e delicata. La soddisfazione per aver raggiunto risultati politici che ci si era proposti non deve portare ad alcun trionfalismo da parte della maggioranza di governo: le cose restano impegnative e difficili. Da questo punto di vista ritiene che sia importante l'atteggiamento positivo assunto dalle forze di opposizione in Parlamento. Il voto del 18 agosto scorso nelle Commissioni, voto quasi unanime, ha incoraggiato il Governo a lavorare per definire al meglio i compiti della missione e per premere per un impegno dell'Europa, per giungere a robuste regole di ingaggio in sede di Nazioni Unite. È stata una pagina positiva. Sottrarre scelte così delicate ed impegnative all'asprezza della lotta politica senza quartiere, che spesso caratterizza la vita politica italiana, è un segno di maturità che gli italiani non potranno non apprezzare.

Roberta PINOTTI (Ulivo), presidente e relatore per la IV Commissione, rileva che il presente provvedimento definisce lo stato giuridico, il trattamento economico e la speciale condizione giurisdizionale entro cui agiscono i nostri militari che, come noto, è quella prevista dal codice penale miliare di pace con alcune integrazioni. Prima di esaminare nel dettaglio il contenuto del decreto-legge, svolge alcune considerazioni sugli avvenimenti degli ultimi mesi. Ricorda in proposito che il 12 luglio venivano rapiti i soldati israeliani da un gruppo di hezbollah; l'11 agosto veniva votata la risoluzione Onu n. 1701 e due giorni dopo iniziava a prendere forma una situazione di tregua.
Dal 12 luglio fino all'effettiva attuazione del cessate il fuoco, si è consumata sotto gli occhi di tutti una terribile tragedia. I tanti focolai di tensione aperti da tempo, lungo la frontiera israelo-libanese prima si sono trasformati in scontri armati e poi in azioni di guerra aperta con pesanti bombardamenti da parte dell'aviazione israeliana e l'ingresso di truppe del sud del Libano, mentre un fitto lancio di razzi da parte degli hezbollah colpiva il nord di Israele Dopo pochi giorni era già impressionante il numero di vittime, soprattutto - come sempre - tra i civili, e la vastità della distruzione. Anche le reazioni della comunità internazionale e le iniziative politico diplomatiche assunte sembravano destinate a non raggiungere quello che era l'obiettivo più urgente e necessario: un cessate il fuoco che consentisse l'avvio di una tregua. E invece così non è stato. La comunità internazionale


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ha fatto valere, certo a fatica, e con lo scorrere di giornate interminabili, le ragioni della tregua; in ciò il nostro Paese ha avuto un ruolo di primo piano.
Il Governo italiano ha avanzato la proposta di una forza di interposizione dell'ONU, che si sta ora realizzando con la missione «Leonte». È importante sottolineare la lucidità e l'intelligenza politica della nostra diplomazia, che ha operato su tre direttrici: nell'area medio orientale - tra le parti in conflitto e i paesi confinanti; in Europa - perché l'Unione assumesse una posizione unitaria e all'Onu - con i Paesi del Consiglio di Sicurezza (primi fra tutti gli Stati Uniti d'America). L'Italia ha saputo tenere con determinazione e nettezza la propria posizione anche quando le notizie dalla Francia ne facevano temere un disimpegno, sino al 24 agosto, quando il presidente Chirac ha annunciato la partecipazione piena e diretta del suo Paese. È inadeguato e anche un po' cinico pensare che tutto ciò sia stato fatto per una sorta di «sindrome di Crimea», di cui soffrirebbe ancora il nostro Paese come ha affermato su un quotidiano un importante commentatore, cioè il bisogno di affermare la propria presenza sulla scena internazionale spendendo l'impegno dei nostri militari.
Contrariamente a quanto sosteneva Bismarck la politica non è solo l'arte del possibile, ma anche soprattutto l'arte di rendere possibile ciò che è necessario. Una cosa difficile si deve fare sfidando il pericolo di fallire se l'analisi della situazione dimostra che è anche opportuna.
L'iniziativa politica che si sta portando avanti è di grandissima importanza per ragioni sostanziali che riguardano in generale la pace nel mondo, la sicurezza di Israele e della Palestina e l'avvio di una soluzione concordata a problemi incancreniti che rischiano di fare del medioriente una miccia pronta a far esplodere l'intera regione coinvolgendo l'Europa e il mondo intero.
La missione, come ha ripetuto più volte il Ministro Parisi sarà lunga, impegnativa, costosa e rischiosa. Ma è giusta e necessaria e per questo va sostenuta.
Lo svolgersi della crisi israelo-libanese ha rappresentato chiaramente quanto sia necessario che le istituzioni internazionali siano in grado di intervenire con tempestività e autorevolezza. Questo significa rinnovare lo spirito del multilateralismo abbandonato negli ultimi anni.
Questo ultimo mese ha registrato un'inversione di rotta rispetto al recente passato: l'Europa ha assunto un ruolo di primo piano sullo scacchiere internazionale, e il nostro Paese ha lavorato per questo obiettivo, l'Onu ha riconquistato il ruolo di garante dell'ordine internazionale e gli Stati Uniti hanno modificato l'atteggiamento unilaterale che aveva contraddistinto le ultime scelte di politica estera.
Sarebbe del tutto ingenuo pensare che la presenza dei Caschi Blu in Libano possa essere fattore risolutivo. Possiamo realisticamente considerare però la forza di interposizione una condizione necessaria ma non sufficiente. Necessaria a un consolidamento della tregua, all'applicazione della risoluzione n. 1701, ma non certo sufficiente a pacificare l'area. Ritiene ingiustificate le critiche e sulla «poca chiarezza» o sulla «vaghezza» delle regole di ingaggio per le forze ONU.
Si tratta di critiche a cui può essere sottesa un'idea sbagliata e cioè quella che si possa risolvere la situazione con un atto di forza. Non bisogna però caricare lo strumento militare di compiti impropri, ma è necessario lasciare alla politica e alla diplomazia il proprio ruolo.
Ricorda che la risoluzione n. 1701 definisce i seguenti obiettivi:
assegnare al Libano il compito di estendere il controllo su tutto il territorio, dando attuazione alle risoluzioni n. 1559 del 2004 e n. 1680 del 2006 e agli accordi di Taif, garantendo l'esercizio della piena sovranità, in maniera che non possano esserci armamenti se non con il consenso del Governo libanese;
autorizzare l'incremento della forza UNIFIL fino a 15 mila unità, con il compito di sorvegliare la cessazione delle ostilità, affiancare e sostenere le forze libanesi nel loro dispiegamento nel sud, compresa


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la zona di confine della Linea Blu, mentre Israele ritira le proprie Forze Armate dal Libano; coordinare le proprie attività con i Governi libanese e israeliano; contribuire a garantire l'accesso delle popolazioni civili agli aiuti umanitari e il ritorno degli sfollati; assistere le forze libanesi per operare sulla base dei compiti loro assegnati e aiutare il Governo libanese nel controllo dei confini, qualora ne faccia richiesta.

Dopo l'approvazione della risoluzione, si è discusso a molti livelli sulla catena di comando e sull'adeguatezza delle regole di ingaggio. Ritiene seria la preoccupazione che i soldati abbiano compiti certi e regole chiare. Le regole di ingaggio alla cui definizione hanno collaborato i paesi disponibili a inviare un contingente, sono apparse subito ai responsabili militari adeguate. L'aggettivo più utilizzato per definirle è stato «robuste». Il problema più sentito era legato alla catena di comando.
Preoccupati per l'esito non felice di alcune missioni ONU, alcuni paesi, disponibili a fornire truppe per la missione UNIFIL, hanno formulato obiezioni sulla scarsa efficacia di far dipendere chi si trova in teatro operativo da un ufficio dell'ONU. Questa preoccupazione è stata espressa a vari livelli anche dal nostro Paese.
La soluzione trovata - un responsabile militare interfaccia del comandante in teatro presso l'ONU - è innovativa e può essere, oltre che una garanzia per il funzionamento della missione, l'occasione per costruire un modello funzionante di comando ONU.
Ritiene importante che a questo incarico sia stato designato un generale italiano, il Generale Castagnetti che ha gestito fino alla nomina il Comando Interforze. È ora compito della comunità internazionale l'importante opera di ricostruzione materiale e morale verso le popolazioni.
Per alleviare le sofferenze più immediate da subito e dare loro la prospettiva di una sicurezza basata su una consistenza pacifica, il nostro Governo sicuramente farà la sua parte come ha già iniziato fare mettendo al servizio di questo servizio i nostri militari.
Con la cerimonia svoltasi al largo di Brindisi, all'atto della partenza del contingente militare, si è voluta esprimere la vicinanza dell'intero Paese ai nostri soldati. Ed è proprio questo l'essenza di ciò che si propone l'ONU: un uso razionale ed adeguato, consapevole ed equilibrato della forza militare, a garanzia di tutte le parti coinvolte.
Esprime quindi - certa di farlo a nome di tutta la Commissione Difesa - il ringraziamento e la vicinanza al contingente italiano, estendendo questi sentimenti alle loro famiglie, ai legami e agli affetti che li seguono dall'Italia e che non si nascondono le difficoltà, i rischi e i pericoli che in nome della pace i nostri militari, assieme a quelli degli altri paesi, si stanno assumendo.
Rischi e pericoli che neppure noi sottovalutiamo e proprio per questo ci sentiamo impegnati a ridurre al minimo facendo la nostra parte.
Abbiamo costruito le premesse perché questa missione potesse avviarsi, con l'accettazione della presenza di forze ONU da parte di tutte le parti in causa, ora dovremmo lavorare perché abbia successo e si arrivi a ottenere il rilascio dei soldati israeliani, la rimozione del blocco navale la messa in sicurezza del territorio. È da sottolineare inoltre l'eccezionale rapidità con cui le nostre forze armate si sono organizzate per iniziare la missione.
Anche l'ONU si gioca, in questa missione, una ritrovata credibilità. Sicurezza del territorio significa anche affrontare da subito la difficile opera di bonifica della inquietante eredità che gli ultimi giorni di guerra hanno lasciato sul territorio libanese. A guerra finita si continua a morire per effetto delle bombe a grappolo. È ora che la comunità internazionale si misuri seriamente con questo problema e metta al bando questa tipologia di armi, che espone a gravi rischi soprattutto i bambini.


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Passando all'esame del contenuto del provvedimento, rileva che il decreto-legge in esame è composto di 11 articoli.
L'articolo 1, comma 1, autorizza la spesa di euro 30.000.000 per interventi di cooperazione allo sviluppo in Libano. In coerenza con quanto chiesto con la Risoluzione indicata, gli interventi per i quali l'articolo 1 autorizza la spesa sono finalizzati, in forma bilaterale e multilaterale, alla realizzazione di iniziative da effettuarsi nel settore umanitario, in quello socio-sanitario e nell'ambito della riabilitazione di emergenza delle infrastrutture.
Al comma 2, è previsto che gli interventi di cui al comma 1 siano effettuati mantenendo salve le iniziative già adottate e da adottare sulla base della dichiarazione dello stato di emergenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio del 21 luglio 2006, nonché la disciplina di cui all'articolo 11, comma 2, della legge 26 febbraio 1987, n. 49, in materia di cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo.
L'articolo 2, comma 1, autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di euro 186.881.868 per la partecipazione del contingente militare italiano alla missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), di cui alla Risoluzione 1701 (2006), adottata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU l'11 agosto 2006.
L'articolo 3, comma 1, autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di euro 64.871 per l'invio in Libano di un funzionario diplomatico con l'incarico di consigliere diplomatico del comandante del contingente militare che partecipa alla missione militare prevista dall'articolo 2.
L'articolo 4, comma 1, prevede che al personale militare impiegato nella missione, venga corrisposta l'indennità di cui al regio decreto 3 giugno 1926, n. 941, secondo le modalità e nella misura di cui all'articolo 2, comma 23, lettera a), della legge 4 agosto 2006, n. 247.
Il secondo periodo del comma 1 prevede che alla diaria in questione non venga applicata la riduzione del 20 per cento stabilita dall'articolo 28, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, al fine di assicurare i medesimi criteri di calcolo del trattamento percepito dal personale che partecipa alle missioni di cui alla legge 4 agosto 2006, n. 247, come disposto dall'articolo 28, comma 3, dello stesso decreto-legge n. 223 del 2006. Nell'ambito applicativo della disposizione, è quindi ricompreso il personale militare precedentemente impiegato nella missione UNIFIL (52 unità), al quale, in quanto inserito nel contingente militare italiano in Libano cui si riferisce il presente decreto, viene corrisposta la medesima indennità di missione.
L'articolo 5, comma 1, analogamente a quanto previsto per le missioni internazionali prorogate dalla legge n. 247 del 2006, prevede l'applicazione del codice penale militare di pace e delle disposizioni di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 421 del 2001, nella parte in cui dispongono in ordine ai seguenti profili:
alla competenza territoriale per l'accertamento dei reati militari, concentrata sul Tribunale militare di Roma;
alle misure restrittive della libertà personale;
all'udienza di convalida dell'arresto in flagranza e all'interrogatorio della persona destinataria di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere.

In merito alla competenza territoriale, l'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 421 del 2001 stabilisce che essa è attribuita al Tribunale militare di Roma.
Per quanto riguarda le misure restrittive della libertà personale, il richiamato articolo 9 del decreto-legge n. 421 del 2001, al comma 4, prevede ulteriori fattispecie rispetto a quelle per le quali l'articolo 380, comma 1, del codice di procedura penale stabilisce l'arresto in flagranza. In particolare, il citato comma 4, alle lettere a), b), c) e d), prevede, ad integrazione di quanto previsto dall'articolo 380, comma 1, del codice di procedura penale, che gli ufficiali di polizia giudiziaria militare procedono all'arresto


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di chiunque sia colto in flagranza di uno dei reati militari previsti dal codice penale militare di pace, espressamente richiamati dalle predette lettere (disobbedienza aggravata, rivolta, ammutinamento, insubordinazione con violenza; violenza contro un inferiore aggravata).
In ordine alla convalida dell'arresto in flagranza, l'articolo 9, comma 5, del predetto decreto-legge n. 421 del 2001, stabilisce che qualora le esigenze belliche od operative non consentano che l'arrestato sia posto tempestivamente a disposizione dell'autorità giudiziaria militare, l'arresto mantiene comunque la sua efficacia purché il relativo verbale pervenga, anche con mezzi telematici, entro quarantotto ore al pubblico ministero e l'udienza di convalida si svolga, con la partecipazione necessaria del difensore, nelle successive quarantotto ore.
Il comma 2 condiziona la punibilità dei reati commessi dallo straniero nel territorio in cui si svolgono gli interventi umanitari e la missione militare di cui al presente decreto, a danno dello Stato ovvero dei cittadini italiani che partecipano agli interventi e alla missione stessi, alla richiesta del Ministro della giustizia, sentito il Ministro della difesa nel caso di reati commessi a danno di appartenenti alle Forze armate.
Il comma 3 attribuisce al Tribunale di Roma la competenza territoriale per i reati di cui al comma 2 (cioè per i reati commessi dallo straniero) e per quelli attribuiti alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria commessi dal cittadino italiano che partecipa agli interventi di cooperazione allo sviluppo di cui all'articolo 1 o alla missione di cui all'articolo 2, per il periodo di durata degli interventi e della missione stessi.
L'articolo 6 rinvia a talune disposizioni del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 15, contenute in precedenti provvedimenti legislativi concernenti le missioni internazionali di pace, e della legge 4 agosto 2006, n. 247, recante le disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali nel 2o semestre 2006, per la disciplina da applicare al personale e per le previsioni necessarie a corrispondere alle particolari esigenze connesse con la missione.
L'articolo 7, comma 1, autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di euro 74.880 per assicurare lo svolgimento di corsi di introduzione alla lingua e alla cultura araba a favore del personale militare da impiegare nella missione UNIFIL.
L'articolo 8, comma 1, anche nella considerazione delle esigenze di supporto agli interventi di sostegno alle popolazioni civili e al consistente contingente militare dell'ONU in territorio libanese nell'ambito della missione UNIFIL così come ridefinita dalla Risoluzione 1701 (2006) del Consiglio di Sicurezza, autorizza per l'anno 2006 la spesa di euro 2.440.000 per le ristrutturazioni e gli adeguamenti infrastrutturali che si rendono necessari per poter procedere alla concessione in uso di aree ed edifici aggiuntivi rispetto a quelli già in uso alla base logistica delle Nazioni Unite nell'ambito del sedime aeroportuale di Brindisi.
L'articolo 9 prevede che agli oneri derivanti dall'attuazione del presente decreto pari a euro 219.461.619 per l'anno 2006, si provvede, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge finanziaria 2006, ossia mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate tributarie, correlate al più favorevole andamento del gettito, rispetto alle previsioni di bilancio, evidenziate dalla relazione tecnica.
L'articolo 10, comma 1, stabilisce che quota parte dei rimborsi corrisposti dalle Nazioni Unite a parziale ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla missione militare UNIFIL, così come ridefinita dalla Risoluzione 1701 (2006) del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, sia destinata alla costituzione, nello stato di previsione della spesa del Ministero della Difesa, di un fondo finalizzato a soddisfare le spese per gli interventi di ripristino di scorte e di sostituzione e manutenzione straordinaria di mezzi, materiali, sistemi ed equipaggiamenti impiegati nella missione medesima.

Il ministro Massimo D'ALEMA, nel depositare agli atti una documentazione sulle


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iniziative per la ricostruzione del Libano (vedi allegato), rileva che il decreto-legge n. 253 del 28 agosto 2006 assicura la necessaria copertura finanziaria alla partecipazione dell'Italia all'impegno complessivo della comunità internazionale in Libano, per quanto riguarda sia gli aiuti umanitari e di ricostruzione sia la partecipazione del contingente italiano alla missione di pace delle Nazioni Unite, che si sta dispiegando nel sud del paese.
L'impegno che l'Italia ha assunto in Libano, a seguito dell'approvazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701, è coerente con il ruolo di primo piano che il nostro Paese ha svolto fin dai primi giorni della crisi israelo-libanese per favorire un cessate-il-fuoco e per porre le premesse di una soluzione pacifica e negoziata.
Non solo, la tesi dell'Italia è che lo sforzo che la comunità internazionale sta compiendo sul fronte libanese possa produrre effetti virtuosi innanzitutto sul fronte palestinese - che resta cuore di crisi in Medio oriente anche in considerazione della sempre più insostenibile situazione umanitaria a Gaza - e che questo impegno può produrre effetti positivi in genere nella regione medio-orientale.
Non ritiene necessario riassumere le tappe dell'iniziativa diplomatica dell'Italia, più volte discusse in Parlamento soprattutto in occasione del dibattito che ha portato alla approvazione con largo consenso da parte delle forze politiche delle risoluzioni del 18 agosto scorso. Al fine di garantire un aggiornamento rispetto a quanto riferito al Parlamento nel mese di agosto, fa presente che la linea del nostro Paese ha ricevuto un significativo avallo politico da parte del Consiglio affari generali straordinario dell'Unione europea del 25 agosto, richiesto dall'Italia stessa. Con il suo intervento nella crisi libanese, e dispiegando settemila soldati nella principale missione delle Nazioni Unite in Medio Oriente, l'Europa ha assunto per la prima volta - in un'area così strategica per la sicurezza del vecchio Continente - un ruolo di protagonista. Come più volte affermato nelle scorse settimane, osserva che l'Europa è passata, in Medio Oriente, da semplice ufficiale pagatore ad attore strategico.
Questa nuova assunzione di responsabilità dei Paesi europei ha potuto fare leva sul sostegno diplomatico degli Stati Uniti e si è combinata ad una ritrovata centralità delle Nazioni Unite, dimostrata fra l'altro dalla presenza di Kofi Annan alla riunione del Consiglio affari generali straordinario dell'Unione europea appena citato. Per un Governo che crede, come il nostro, nella gestione multilaterale delle crisi internazionali, quella in esame è una svolta di notevole significato. Quando Europa e Stati Uniti si muovono in modo unitario, come in quest'ultimo caso, il multilateralismo può effettivamente essere efficace. La partecipazione italiana alla missione di peace-keeping in Libano non risponde solo a una visione ideale delle relazioni internazionali. Risponde anche, e molto direttamente, agli interessi nazionali di un Paese come il nostro, che per ragioni geografiche, geopolitiche, demografiche, energetiche è tra i più esposti alle onde di instabilità derivanti dal conflitto medio-orientale. È un caso nel quale valori e interessi si combinano. È un caso in cui metodo diplomatico, aiuto umanitario e strumento militare possono essere complementari. È un caso in cui, infine, gli sforzi nazionali diventano sinergici con il rilancio degli organismi internazionali.
L'Italia ha sempre ritenuto che, se avesse concretamente offerto la sua disponibilità a schierare un proprio contingente militare in Libano, sarebbe riuscita a costruire un consenso europeo intorno a tale posizione. Non si è mai pensato che si sarebbe trattato di uno sforzo destinato a rimanere solitario. I fatti hanno dato ragione, a partire innanzitutto dalla decisione francese di schierare nel Paese un contingente notevole mantenendo il comando della missione UNIFIL rafforzata fino al febbraio prossimo, nonché la decisione di altri paesi europei, che hanno garantito un concorso a livello interno, e di paesi extraeuropei, molti dei quali a maggioranza islamica. Il grosso della missione militare è in effetti costruito su


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Italia, Francia, Spagna, cui si combinano un contributo importante della Germania nel controllo delle frontiere, un notevole dispiegamento aeronavale e un sostegno anche da parte del Regno Unito. A questi elementi si combina la recentissima decisione della Turchia di partecipare alla missione dopo il positivo esito di un difficile confronto parlamentare. Si tratta di un elemento importante considerato il valore strategico dell'ingresso di un Paese come la Turchia nella missione UNIFIL, sia in ragione della sua natura di Paese a maggioranza islamica sia in quanto interlocutore dell'Unione europea in un complesso negoziato di adesione. Si tratta di una decisione politicamente molto delicata e importante, perché si tratta dell'ingresso in UNIFIL di un attore regionale e di un Paese musulmano moderato. È una decisione che il Governo italiano saluta con grande favore e che certamente contribuirà a rafforzare i rapporti fra l'UE e la Turchia. Infine, la partecipazione del Qatar segna l'ingresso nella forza multinazionale di uno dei Paesi arabi, il che come è ovvio allarga positivamente lo spettro politico della composizione di UNIFIL, aggiungendovi uno dei membri della Lega Araba e del Consiglio di cooperazione del Golfo.
In sintesi, è potuto apparire, nel corso della lunga estate diplomatica, che l'Italia peccasse di velleitarismo nazionale. In realtà, il Governo era impegnato a costruire nei fatti - e cioè assumendosi responsabilità concrete e dirette - un solido consenso europeo e internazionale. E la responsabilità italiana, concreta e diretta, ha consentito lo sblocco della situazione, come riconosciuto dagli incoraggiamenti espressi da altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti.
È d'altra parte evidente che una missione come questa, insieme alle opportunità che produce, implica anche dei rischi molto seri che non possono essere nascosti. Sono rischi legati sia alla fragilità della situazione interna libanese, confermata dall'attentato di ieri a Sidone, sia alla precarietà dell'assetto regionale. E sono i rischi potenziali di attentati operati da cellule terroriste di varia origine. Operiamo in uno scenario diverso dal Libano degli anni Ottanta, segnato dalla presenza del terrorismo di matrice fondamentalista, che tende ad insediarsi nei territori in cui hanno luogo conflitti.
Precisa quindi che si sta lavorando, come Italia e come comunità internazionale, per ridurre queste fonti di insicurezza ai livelli minori possibili. A differenza della vecchia Unifil, questa missione nasce d'altra parte con una partecipazione militare, una catena di comando e regole di ingaggio che appaiono certamente molto più solide. Le condizioni dello spiegamento della forza sono quindi in partenza migliori di quanto non lo fossero per parecchie operazioni precedenti. Ma è evidente che il successo della missione libanese non potrà che essere misurato sul campo. E verrà garantito solo, questa è l'opinione del Governo, se lo spiegamento della forza militare verrà accompagnato da una consistente azione umanitaria (secondo le indicazioni raccolte alla recente Conferenza di Stoccolma) e da un'azione politica volta alla pacificazione effettiva del Libano. Da questo punto di vista, lo schieramento della forza militare è strumento per aprire lo spazio dì un'iniziativa politica, in Libano e nella regione. E da questo punto di vista è di conforto l'accoglienza positiva riservata alla missione militare italiana da parte delle forze politiche libanesi e da Israele.
Vanno costruite in modo progressivo e contestuale tre condizioni politiche: primo, effettivi progressi verso un accordo intra-libanese e verso una normalizzazione dei rapporti fra Israele e Libano, considerato che il conflitto è stato innescato dall'aggravamento della crisi israelo-palestinese; secondo, progressi paralleli sul fronte palestinese, per un rilancio del processo negoziale; terzo, progressi verso un coinvolgimento positivo, invece che negativo, degli attori della regione che incidono sul futuro della stabilità libanese, a cominciare dalla Siria.
Per quel che riguarda la prima condizione, è decisivo che il Governo Siniora, come prevede la risoluzione n.1701, sia in


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grado di affermare la propria completa sovranità sull'intero territorio. La sovranità del Libano è anche la migliore garanzia della sicurezza di Israele. L'impianto della risoluzione delle Nazioni Unite è che il disarmo di hezbollah sia il risultato dell'azione politica e militare del governo libanese stesso, assistito dalla comunità internazionale e dall'UNIFIL. Questo evidentemente significa che la forza UNIFIL non ha il mandato di disarmare direttamente hezbollah ma ha il mandato di contribuire a rendere possibile questo risultato. Sul piano politico, la sfida è che un organizzazione «mista» politico-militare, che ha compiuto atti di terrorismo e che al tempo stesso fa parte del panorama politico libanese ed è fortemente radicata nella società, sia spinta a diventare esclusivamente un attore politico nazionale, rinunciando alla violenza e all'uso delle milizie per il perseguimento di obiettivi politici. Lo sceicco Nasrallah ha ammesso l'errore di calcolo compiuto dagli hezbollah nel dare origine al conflitto recente, con i costi che ha provocato per la società libanese; bisognerà verificare e garantire nei fatti che hezbollah abbia tratto le giuste lezioni dal conflitto.
Il contesto politico, nel dopo conflitto, è in evoluzione. Il rafforzamento di Unifil è naturalmente solo il primo passo verso la soluzione della crisi, che richiede, come sviluppo immediato, la liberazione dei prigionieri e un cessate-il-fuoco permanente, quale premessa di una soluzione di lungo termine negoziata e stabile fra i governi libanese e israeliano, tra i quali non esiste un trattato di pace ma soltanto un armistizio alquanto risalente. Anche da questo punto di vista, ritiene importante sostenere che gli sforzi diplomatici di Kofi Annan, che presenterà al Consiglio di sicurezza, 1'11 settembre prossimo, nuove proposte per l'applicazione degli accordi di Tàif e delle risoluzioni nn. 1559 e 1680, nonché per la definizione della questione aperta per la demarcazione del confine internazionale, vale a dire il cosiddetto problema delle fattorie di Shebaa.
Lo spiegamento di UNIFIL verrà accompagnato dal ritiro progressivo delle forze israeliane dal Libano meridionale. Secondo quanto ha comunicato nella sua visita a Roma il vice primo ministro israeliano Shimon Peres, il ritiro israeliano verrà completato quando saranno spiegati sul terreno almeno 5000 soldati dell'UNIFIL, vale a dire una presenza militare consistente. A suo avviso, questo risultato sarebbe molto facilitato dall'abolizione immediata del blocco aereo-navale israeliano, che rende più difficile lo spiegamento di UNIFIL stessa, che complica gli sforzi di ricostruzione e che sembra dimostrare un persistente grado di sfiducia di Israele nella garanzia internazionale alla propria sicurezza. Preannuncia per domani il proprio viaggio in Israele per confermare al Governo Olmert questa posizione - che è la posizione dell'Unione europea nel suo insieme e delle Nazioni Unite - e per ribadire quanto si ritiene che sia nello stesso interesse di Israele, dopo l'esaurimento della logica unilaterale, affidarsi con fiducia alla garanzia internazionale e a una visione della propria sicurezza costruita, come nei precedenti degli accordi con Egitto e Giordania, su un accordo di pace con un Libano realmente sovrano.
La seconda condizione della stabilità regionale sono progressi concreti sul fronte israelo-palestinese. La tesi del Governo italiano è che il test del Libano, se avrà successo, possa aprire delle opportunità anche per la ripresa del dialogo fra Abu Mazen e il Governo israeliano. Sia Abu Mazen - alle prese con un braccio di ferro interno sulla ipotesi di governo di unità nazionale - che Olmert - alle prese con un delicatissimo dibattito interno sul dopoguerra libanese - hanno dichiarato nei giorni scorsi di volere sondare questa possibilità. Anche in questo caso, è del tutto inutile nascondersi le difficoltà, che dipendono anche, sul fronte palestinese, dalle divisioni interne ad hamas. Il Governo italiano ritiene, insieme all'Unione europea, che la comunità internazionale possa e debba incoraggiare due sviluppi: un cessate-il-fuoco a Gaza, dove la situazione umanitaria è ormai drammatica, al quale lavora attivamente l'Egitto; un rafforzamento


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di Abu Mazen volto a rendere possibile la formazione di un governo palestinese in grado di porsi come interlocutore credibile di Israele per la riapertura di un negoziato, e la nascita di un governo sulla base di un accordo internazionale.
La missione diplomatica che si accinge a compiere nei prossimi due giorni in Medio Oriente risponde anzitutto alla ricerca di una soluzione, senza dimenticare la centralità del problema palestinese ed il suo peso chiave per il futuro del Medio Oriente. La guerra libanese ha smentito, dopo l'Iraq, la validità dell'approccio secondo cui la soluzione della questione palestinese potesse restare subordinata o fosse diventata marginale. Al contrario, ciò che è diventato evidente è che la soluzione del problema palestinese e la normalizzazione dei rapporti di Israele con i suoi vicini sono precondizioni anche per porre le basi di una stabilizzazione e quindi di una evoluzione democratica della regione, il che resta un evidente interesse dell'Italia di lungo periodo.
Senza affrontare la questione palestinese, anche la lotta al terrorismo fondamentalista appare più difficile. Va finalmente capito, a cinque anni dall'11 settembre, questo punto essenziale: il terrorismo internazionale non è un nemico solo del mondo occidentale, non è solo un nemico di Israele, è anche innanzitutto un nemico delle società islamiche moderate e della loro modernizzazione e trasformazione. La non soluzione della questione palestinese è un costante motivo di indebolimento dei governi arabi moderati, del cui appoggio abbiamo bisogno, e alimenta nella popolazione civile sentimenti antioccidentali di cui si fanno forti i gruppi estremisti.
La missione dei prossimi giorni include non a caso una tappa in Giordania, Paese anch'esso vittima del terrorismo, e attore-chiave nella ricerca di una soluzione negoziale sul fronte israelo-palestinese. Più in generale, è decisivo continuare a coinvolgere positivamente - come avviato in occasione della Conferenza di Roma sul Libano - quei Paesi arabi moderati che stanno a loro volta subendo le conseguenze sia del terrorismo fondamentalista che della conflittualità medio-orientale. Gli uni e gli altri si alimentano a vicenda. Oggi è più che mai chiaro che l'esistenza di uno Stato palestinese costituisce una delle condizioni di sicurezza per Israele e per difendere l'intera area dal fondamentalismo e dal terrorismo che ne scaturisce.
La terza condizione, strettamente collegata alle prime due, è che siano compiuti dei progressi anche sul fronte dei rapporti israelo-siriani, decisivi per la futura stabilità del Libano ma anche per l'evoluzione interna al mondo palestinese, visto il sostegno siriano all'ala radicale di Meshal. Il Governo è convinto che la Siria vada messa chiaramente di fronte alla scelta vera che deve compiere: o diventare un attore responsabile nell'attuazione della risoluzione n. 1701 o restare prigioniera di un «auto-isolamento» che a medio-lungo termine non le darà nessun beneficio; così come non le darà benefici l'alleanza tattica con l'Iran. I primi discorsi di Bashar Assad, dopo il cessate-il-fuoco, non sono certo stati incoraggianti e anche per questo l'Italia ha reagito con fermezza. Tuttavia, nella sua missione a Damasco, Kofi Annan ha raccolto alcune prime rassicurazioni sull'intenzione siriana di non ostacolare la missione di UNIFIL. È cruciale che questi segnali si consolidino e si concretizzino. D'altro canto, la comunità internazionale dispone degli strumenti tecnici adeguati per intercettare trasporti di armi da un confine all'altro e valutare eventuali conseguenze nei confronti della Siria, secondo quanto previsto dal diritto internazionale.
Una svolta virtuosa della Siria metterebbe in condizioni migliori nel difficile confronto con l'Iran sulla questione nucleare. Per quanto il tema sia essenziale, ritiene che in questa sede ci si debba limitare ad affermare che l'Italia cercherà di costruire, anche su questo dossier, una posizione europea solidamente comune, che vada oltre l'esperienza del gruppo 5+1 e degli UE-3. Si potranno vedere subito i risultati dell'incontro fra Javier Solana e


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Ali Larijiani che sono stati preparati all'ultima riunione informale in Finlandia.
È altrettanto importante che il grado di consenso internazionale appena raggiunto sul Libano non si incrini sul nodo iraniano. Si verificherà nelle prossime settimane, che vedono fra l'altro appuntamenti importanti ai margini dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di New York. L'Europa, se avrà successo nell'implementazione della risoluzione n. 1701, acquisterà un'immagine diversa nello percezione israeliana e potrà facilitare più efficacemente la soluzione del problema palestinese. Per consolidare tale ruolo, va però mantenuta la ritrovata consonanza con gli Stati Uniti, che fa poi la nostra forza contrattuale. Si tratta di una condizione per l'efficacia dell'azione multilaterale.
Agli sforzi di carattere politico e diplomatico deve accompagnarsi un forte impegno della comunità internazionale nel settore umanitario ed in quello della ricostruzione post-bellica. Nel complesso, alla Conferenza di Stoccolma del 31 agosto scorso i Paesi donatori si sono impegnati per un ammontare superiore ai 940 milioni di dollari; l'Unione Europea nel suo complesso ha assicurato un contributo di circa 330 milioni di euro. Per quanto riguarda l'Italia, il decreto-legge n. 253 autorizza la spesa di 30 milioni di euro per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione in questa immediata fase post bellica.
Alla luce di quanto finora rilevato, si tratta di uno scenario complesso, carico di rischi e opportunità. L'Italia deve far valere le sue ragioni e il suo ruolo sul piano politico, oltre che sul piano militare e dell'azione umanitaria. A tal fine è essenziale il mantenimento del clima politico, proficuo e non pregiudiziale, che si è istaurato fin dall'inizio tra Parlamento e Governo, e che attiene alla comune assunzione di responsabilità in un contesto in cui l'Italia gioca un ruolo specifico.

Il ministro Arturo Mario Luigi PARISI ricorda innanzitutto che lo scorso 18 agosto le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e del Senato hanno approvato con voto unanime due distinte risoluzioni di uguale contenuto che impegnano il Governo ad adottare ogni iniziativa per assicurare il sostegno umanitario alle popolazioni civili del Libano e per garantire che l'Italia abbia un ruolo attivo per la piena attuazione della risoluzione n. 1701, compresa la partecipazione di un contingente militare italiano alla forza UNIFIL.
Il Governo, nell'assumere il citato impegno, aveva per altro segnalato l'esigenza di approfondire in sede ONU alcuni aspetti della missione militare concernenti il concetto operativo delle Nazioni Unite, le regole d'ingaggio e la catena di comando.
Dal momento dell'approvazione delle risoluzioni parlamentari fino all'emanazione del decreto-legge in esame, il Governo ha attivato una fitta serie di incontri a livello internazionale volti all'approfondimento dei citati profili. Al tempo stesso, il Governo ha avuto cura di predisporre l'approntamento di una forza in grado di schierarsi non appena fossero stati chiariti in sede internazionale tutti i diversi profili in precedenza menzionati.
In particolare, per quanto riguarda il concetto operativo della missione, sottolinea che uno dei primi adempimenti dell'ONU è stato quello di delineare la cornice operativa della missione. L'organo preposto a tale funzione, il Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace, in stretto coordinamento con i rappresentanti politici e militari presso l'ONU ha elaborato un testo affinandolo in vari incontri successivi, ai quali ha partecipato un ufficiale del COI (Comando Operativo Interforze), portatore dei punti di vista nazionali.
Per quanto concerne le regole d'ingaggio, ritiene che esse siano state adeguatamente definite, anche sulla base delle esperienze maturate nel corso di precedenti missioni svolte sotto la diretta responsabilità dell'ONU, e che risultino idonee ad alleggerire il livello di rischio. Al fine di salvaguardare l'incolumità del contingente militare e della popolazione civile, la regola fondamentale è quella di utilizzare la forza in modo proporzionato all'offesa.


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Nel segnalare l'esigenza di mantenere sul dettaglio delle regole di ingaggio la necessaria riservatezza, per ragioni connesse alla sicurezza del personale che prende parte alla missione, assicura comunque che tali regole appaiono «robuste», in quanto, l'UNIFIL potrà agire con i mezzi a sua disposizione per impedire che qualsiasi attività ostile venga effettuata nell'area di propria competenza. Quanto al disarmo delle milizie hezbollah e di qualsiasi altra milizia armata presente sul territorio libanese, ricorda che uno degli obiettivi della missione è quello di contribuire all'affermazione della sovranità dello Stato libanese. In questa prospettiva, quindi, l'UNIFIL potrà fornire il proprio sostegno allo Stato libanese, ma non sostituirsi a quest'ultimo nel disarmo delle milizie. Peraltro, il Capo di Stato Maggiore libanese, Generale Sleiman, ha recentemente ribadito l'impegno dell'esercito libanese ha requisire sul territorio ogni tipo di armamento non autorizzato dal Governo.
Quanto alla catena di comando, ricorda che il citato Comando della missione UNIFIL, attualmente esercitato dalla Francia, sarà affidato all'Italia a partire dal prossimo mese di febbraio, anche in considerazione del livello di partecipazione alla missione da parte del nostro Paese.
Ciò premesso, fa presente che presso il Dipartimento per le Operazioni di peace-keeping dell'ONU, su decisione del Segretario Generale delle Nazioni Unite, a seguito dell'iniziativa italiana e francese, sarà istituita una Cellula di Direzione Strategica della Missione UNIFIL che fungerà da interfaccia tra il Comandante di UNIFIL in teatro ed il responsabile del Dipartimento. In sostanza, è stato istituito un ulteriore livello di comando, collocato all'interno del citato Dipartimento, che rappresenterà l'interfaccia del comando sul terreno. In questo modo, il Comandante in teatro, nel colloquiare con il citato Dipartimento, si relazionerà con un interlocutore che è in grado di utilizzare lo stesso linguaggio e di assumere decisioni in tempi rapidi.
In definitiva sottolinea come la sicurezza della missione non sia affidata esclusivamente alle regole di ingaggio, ma anche alle modalità di conduzione della missione stessa, che punteranno principalmente sulla prevenzione dei conflitti, anche sulla base dell'esperienza maturata dall'Italia in ambito internazionale.
In conclusione, sottolinea come il Governo, ritenendo congruo il modo in cui i predetti profili sono stati delineati in sede internazionale, ha dato avvio alla missione in Libano con l'emanazione del presente decreto-legge.

Gianfranco FINI (AN) intende soffermarsi su quanto affermato dal Presidente Ranieri prima e dal Ministro D'Alema poi in ordine all'auspicio a che il voto quasi unanime delle Commissioni riunite III e IV del 18 agosto 2006 sul testo riformulato della risoluzione 7-00048 si ripeta in occasione dell'approvazione definitiva del decreto-legge da parte del Parlamento. Osservato che tale auspicio necessita di un senso di responsabilità da parte di tutti, già dimostrato dall'opposizione, richiama l'esigenza di un «omaggio alla verità» da parte del Governo senza il quale risultano compromesse le modalità di un confronto sereno tra le diverse forze politiche. Pur comprendendo infatti l'enfasi propagandistica posta del Governo circa il ruolo svolto dall'Italia nella crisi libanese, stigmatizza il tentativo di stravolgere la verità e di falsificare la realtà nel momento in cui si afferma che il ruolo delle Forze armate in Libano sarà quello di operatori di pace in contrapposizione a quanto fatto nelle missioni in Afghanistan e Iraq. Ritiene, in particolare, che non si possa dire agli italiani che con il centro-destra al Governo i militari italiani erano impegnati in iniziative di guerra e con il centro-sinistra in iniziative di pace. A tale proposito, preannuncia la presentazione di un ordine del giorno chiarificatore nel corso dell'esame del provvedimento in Assemblea: fa presente che il riconoscimento del ruolo di operatori di pace delle Forze armate italiane in Iraq e in Afghanistan è condizione preliminare per l'espressione di


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un voto favorevole del suo gruppo al decreto-legge.
Nel riconoscere che in questa vicenda si assiste a un ruolo di maggiore importanza dell'Unione europea e del multilateralismo in generale, che deve essere salutato positivamente, ritiene ridicolo e propagandistico, seppure legittimo, che si attribuisca il ritrovato protagonismo delle Nazioni unite nella gestione delle crisi internazionali al Governo di centro-sinistra. Ricorda, al riguardo, che il precedente Governo di centro-destra, in sede ONU, ha sempre fortemente affermato le tre coordinate sulle quali si basa la politica estera italiana: il multilateralismo, l'atlantismo e l'europeismo. Rileva che oggi l'Europa è protagonista poiché è cambiato il contesto internazionale di riferimento: occorre finirla quindi con inutili affermazioni propagandistiche.
Nel ribadire la consapevolezza dei gruppi di opposizione in ordine al ruolo dell'Italia nella gestione di questa delicata crisi internazionale, rimarca la necessità che il Governo accolga l'ordine del giorno che verrà presentato nel corso dell'esame in Assemblea, affinché si affermi senza ombra di dubbio che la missione in Libano non è la prima missione di pace nella quale i soldati italiani sono impegnati.

Pier Ferdinando CASINI (UDC), anche sulla base delle considerazioni, stimolate dalle considerazioni svolte dai relatori e dai rappresentanti del Governo, esprime grave preoccupazione per la situazione del popolo palestinese che, a suo avviso, sconta in modo diretto le contraddizioni esistenti all'interno del mondo arabo e rischia di subire danni ulteriori a seguito della crisi attuale. Per tali ragioni è da auspicare al più presto la nascita di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano. Inoltre, alla luce delle connessioni della crisi in atto con il dossier iraniano, condivide la posizione del Governo italiano - anche alla luce del proprio ruolo di primo partner commerciale europeo dell'Iran - di volere partecipare alle sedi internazionali istituite per la soluzione della questione.
A suo giudizio il tema di fondo è che tutte le forze politiche presenti in Parlamento condividono la linea del multilateralismo. Al riguardo osserva che, se esso è entrato in crisi ciò non è avvenuto per effetto di una congiura internazionale ma per l'inefficacia dimostrata in passato nella soluzione delle crisi internazionali. La missione UNIFIL rilancia adesso il ruolo delle Nazioni Unite, e anche dell'Unione europea, ed è questa l'occasione per dimostrare l'efficacia del metodo multilaterale, anche dopo il conseguimento del primo risultato realizzatosi con il cessate-il-fuoco, visto che la linea unilaterale ha mostrato tutti i propri limiti. Occorre lavorare al raggiungimento degli ulteriori obiettivi del disarmo di hezbollah e della piena statualità del Libano.
In conclusione, ritiene essenziale sottolineare, in sintonia con il deputato Fini, che l'azione di politica estera dell'Italia anche in questa occasione si pone in una linea di continuità con il passato. Nel preannunciare il voto favorevole del proprio gruppo sul provvedimento in esame, sottolinea che ogni disconoscimento di tale linea di continuità è da considerare mera propaganda e che, nella piena consapevolezza delle differenze di tipo politico, è sbagliato disperdere tale senso di continuità insistendo su una pretestuosa discontinuità mirata a blindare la maggioranza parlamentare. In questo quadro i gruppi di opposizione intendono porsi in modo costruttivo nel dibattito sul provvedimento in esame, riconoscendosi nell'operato del ministro degli affari esteri per quanto riguarda la cura delle relazioni con gli Stati Uniti e nelle parole usate dal ministro della difesa.

Sergio MATTARELLA (Ulivo), nel ringraziare i Ministri degli esteri e della difesa per avere fornito alle Commissioni riunite informazioni esaustive ed esaurienti che evocano puntualmente le prospettive della missione e la sua complessità, rileva l'opportunità che il voto quasi unanime delle Commissioni riunite della Camera sul testo riformulato della risoluzione 7-00048 si traduca in una larga


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convergenza delle forze politiche nell'approvazione definitiva del decreto-legge. Reputa cruciale il ruolo svolto dal Governo italiano per scongiurare il rischio di far saltare la tregua militare, il che avrebbe potuto determinare una ripresa e una recrudescenza del conflitto armato con imprevedibili e drammatiche conseguenze. Ricorda quanto affermato dal Vicepremier israeliano Peres, il quale ha dichiarato che la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701 sarebbe rimasta un «pezzo di carta» in assenza dell'intervento dell'Italia. Per tale ragione, le Commissioni riunite possono oggi ritenersi soddisfatte dell'approvazione unanime della risoluzione nella seduta del 18 agosto, atteso che tale risoluzione ha aiutato il Governo a sbloccare una situazione di empasse che rischiava di divenire estremamente grave. La determinazione con la quale il Governo si è mosso ha provocato, infatti, un atteggiamento costruttivo e condiviso dell'Unione europea, che ha ricevuto l'apprezzamento degli Stati Uniti.
Nel rilevare poi che il rilancio delle Nazioni Unite si deve al fallimento della strategia in politica estera degli Stati Uniti, reputa indispensabile il ritorno a una concezione multilaterale delle relazioni internazionali. Grazie anche al ruolo del Governo italiano per la prima volta la comunità internazionale si assume un impegno intenso per una svolta nella politica estera in Medio Oriente. Pur nella consapevolezza del rischio della missione e della posta in gioco, fa presente che non si tratta di una questione di prestigio nazionale, ma di un'esigenza di solidarietà internazionale alle popolazioni interessate, allo scopo di garantire la sicurezza di Israele, l'esistenza dello Stato libanese e la sopravvivenza della popolazione palestinese, nonché di una scelta per la sicurezza dell'Italia e dell'Europa intera. Per tali ragioni, occorre dare atto al Governo di avere correttamente compreso i termini della questione. Ringrazia, inoltre, le Forze armate per quanto hanno iniziato a fare in Libano, nella consapevolezza che il loro operato è sempre stato al servizio della pace anche nella missione in Iraq, nonostante il dissenso politico nei confronti di quella missione.
In conclusione, preannuncia che il suo gruppo si esprimerà favorevolmente sul provvedimento in esame.

Margherita BONIVER (FI), come già affermato in precedenti dibattiti, preannuncia il proprio voto favorevole sul disegno di legge in esame in quanto ritiene che esso corrisponda ad un interesse dell'Italia e costituisca una tappa della lotta contro il terrorismo internazionale. Tale voto è tuttavia sottoposto alla condizione che la missione in Libano non comporti l'indebolimento dell'impegno italiano in Afghanistan: tale eventualità sembrerebbe infatti corrispondere ad una tentazione per taluni rappresentanti della maggioranza e forse anche ad una necessità, considerata l'eccessiva ampiezza del contingente destinato al Libano. Inoltre, l'attentato di ieri evidenzia l'innegabile importanza del lavoro di intelligence da condurre sul territorio libanese al fine di proteggere il contingente italiano. Dopo l'assassinio di Hariri, il Libano ha rivelato la sua natura di democrazia fragile, scenario di numerosi fatti di sangue.
Il consenso sul provvedimento è altresì connesso ad una linea di politica estera dell'Italia che ha le proprie radici nell'azione dei governi italiani a partire dagli anni '70. A tal riguardo ricorda che il dispiegamento delle truppe italiane a Beirut nel 1982 raccolse il plauso della comunità internazionale ed esprime rammarico per il mancato riferimento a tale episodio da parte del Presidente del Consiglio dei ministri in occasione della recente cerimonia di saluto ai militari italiani in partenza per il Libano.
Rileva peraltro che il provvedimento non risolve alcune forti perplessità, legate alla mancata chiara definizione degli obiettivi del disarmo di hezbollah e del controllo delle forniture di armi da parte dei cosiddetti «attori principali». Ritiene altresì non condivisibili le critiche spropositate rivolte ad Israele, anche da parte dell'Unione europea, per la propria reazione


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ad atti di aggressione condotti sul suo territorio nel quadro della cosiddetta «guerra asimmetrica». In considerazione di tali perplessità, preannuncia la presentazione in occasione del dibattito presso l'Assemblea di un ordine del giorno, anche al fine di auspicare una più breve durata della missione UNIFIL rispetto al passato.

La seduta, sospesa alle 13.15, è ripresa alle 14.20.

Giorgio LA MALFA (Misto) nel reputare doveroso il sostegno dei gruppi di opposizione alla missione in Libano, esprime taluni dubbi e perplessità, a cui anche i relatori hanno accennato nel corso dei loro interventi introduttivi. A suo avviso, come affermato da taluni autorevoli commentatori sugli organi di stampa, c'è stato un eccesso di protagonismo con riguardo al ruolo del Governo italiano, che appare piuttosto retorico. Il timore è che l'eccesso di protagonismo possa comportare l'invio del contingente militare italiano in una missione dai confini politici e operativi poco chiari. Segnala, inoltre, che si ha l'impressione che il Governo abbia agito con una certa frettolosità, al fine di compensare il dichiarato intento di disimpegnare i militari italiani nelle missioni in Afghanistan e Iran. A ciò si aggiunga che, se la scelta di operare sotto l'egida delle Nazioni Unite rappresenta una legittimazione per superare il prevedibile sorgere di contrasti nella politica interna, è anche lecito il timore che l'Italia stia intraprendendo un'operazione eccessivamente rischiosa, in cui diversi fattori non sono stati sufficientemente valutati. Non si comprende, infatti, quali siano le finalità della missione; tale incertezza si ripercuote sulle regole di ingaggio dei militari che, pur essendo riservate, rischiano di porre in una situazione di estrema difficoltà le truppe italiane, sulla scorta di quanto accaduto alle truppe della NATO a Srebrenica. In quella occasione, infatti, le truppe non furono informate adeguatamente circa il fatto che occorreva considerare una minaccia alla quale reagire anche l'assalto ai civili inermi.
Nel ribadire la mancanza di chiarezza dei termini operativi della missione, ricorda poi la complessità del quadro politico di riferimento, posto che è in atto una tregua rispetto agli attacchi di una fazione militare del Libano, che il Libano medesimo promette di disarmare, in conformità con quanto afferma la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In tale contesto, è legittimo domandarsi cosa potrebbe accadere alla missione UNIFIL nel caso in cui il Libano non riuscisse a disarmare le milizie degli Hezbollah. La pericolosità della missione dipende anche da una confusione politica e strategica che riguarda il ruolo di alcuni attori internazionali, primi fra tutti Iran e Siria, nonché il permanere dell'insoluta questione palestinese, ora più che mai dipendente dalla situazione in Medio Oriente. Non stupisce, infatti, che Israele venga attaccata dagli Hezbollah nel momento in cui stava dando prova di volere risolvere la questione palestinese. Il problema diventa quindi quello di capire il ruolo dell'Iran in questa vicenda, che appare cruciale per l'equilibrio politico del Medio Oriente.
In conclusione, pur ricordando di essersi sempre schierato a favore delle missioni internazionali di pace, ritiene che l'opposizione non possa esimersi dal ricordare anche ai militari italiani il rischio di una missione difficile e non debitamente valutata dal punto di vista politico. In tale ottica, preannuncia il voto favorevole sul provvedimento in esame.

Alì KHALIL detto Alì Rashid (RC-SE), ritiene preliminarmente che quanto sta avvenendo rappresenta una svolta storica, che va a sostituire la politica al vuoto delle guerre e del terrorismo considerati come strumenti di intervento nella politica internazionale. La storia del Medio Oriente dimostra che la guerra e il terrorismo seminano morte e distruzione allontanando la politica, di cui i popoli di quelle aree hanno necessità. Per tale ragione, richiama l'esigenza di un ruolo concreto dell'Europa nel quadro di iniziative che rispettino la legalità internazionale. In tale ambito, è apprezzabile il ruolo svolto dal


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Governo italiano a partire dalla Conferenza di Roma fino al viaggio che il ministro D'Alema svolgerà in Medio Oriente nei prossimi giorni, che rappresenta un tappa importante nell'andamento della crisi libanese. È evidente, infatti, che la situazione mediorientale mette a repentaglio la sicurezza delle popolazioni israeliane, palestinesi e libanesi ed invoca la rigorosa applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Dopo avere osservato che la visita del ministro D'Alema in Medio Oriente dovrebbe rassicurare tutti i popoli delle aree interessate, preannuncia il sostegno parlamentare del suo gruppo al provvedimento in esame, avvertendo che sono in atto altre iniziative politiche in loco a sostegno della missione italiana.
Nel ritenere non utile in questa sede soffermarsi sulle ragioni che hanno scatenato il conflitto, ribadisce l'esigenza di tutti i popoli a vivere in pace. Invita, quindi, tutte le forze politiche a cogliere il ruolo concreto che l'Italia sta svolgendo, anche al fine di rispondere alle aspettative delle aree interessate, attesa altresì l'importanza di una missione internazionale che non si schieri a difesa di una parte, ma si prefigga di riportare la pace e la stabilità.

Massimo NARDI (DC-PS) esprime perplessità sulle possibilità di successo della missione, in particolare sulla possibilità che tale successo possa dipendere dall'azione dei militari italiani ovvero dell'ONU. A suo avviso, infatti, non si può ignorare che l'azione delle milizie hezbollah non sarà condizionata dall'interposizione delle truppe UNIFIL ma dalla regia dell'Iran, che ha tutto l'interesse a mantenere uno stato di tensione in Libano per proprie esigenze di politica interna, prima fra tutte il compimento del progetto nucleare, come ha dimostrato anche la visita del segretario generale dell'ONU in Iran.
Osserva inoltre che non può essere sottovalutata nemmeno la posizione della Siria, che si è sempre dimostrata insofferente nei confronti degli israeliani e che punta a giocare un ruolo predominante nello scacchiere mediorientale in contrapposizione a Israele. Segnala, poi, che anche la posizione di Israele non produce tranquillità, atteso che non ha ottenuto alcun successo significativo dal conflitto e che è alla ricerca di una giustificazione del proprio ruolo nella crisi libanese; infatti Israele, che ha trovato nella missione UNIFIL una via d'uscita, sta continuando con le sue azioni mirate e intende mantenere gli insediamenti in Cisgiordania.
Per tali ragioni, ritiene che il sostegno alla missione, già manifestato attraverso il voto della risoluzione delle Commissioni riunite, non può ignorare i rischi reali relativi ad una possibile escalation di incidenti nell'area, che potrebbero rendere necessarie azioni decisive dal punto di vista militare e operativo. In tale situazione, ritiene che per l'Italia ci siano due opzioni: il ritiro immediato dei soldati o un ruolo delle Nazioni Unite più incisivo nell'area anche attraverso azioni mirate che prevedano l'uso della forza. Ritenendo difficilmente praticabile tale ultima alternativa, ritiene che il disimpegno delle Forze armate italiane debba essere preso in considerazione da subito. Al riguardo, preannuncia l'intenzione di presentare un ordine del giorno nel corso dell'esame in Assemblea.
Per quanto attiene il contenuto del provvedimento in esame, rileva infine la necessità che il Governo chiarisca l'adeguatezza della copertura finanziaria di cui all'articolo 9, considerato che non sono chiare le reali disponibilità derivanti dal maggior gettito erariale atteso, che, peraltro, a quanto si apprende dagli organi di stampa, dovrebbe essere altresì utilizzato per finanziare la riforma delle pensioni e per ridurre l'entità della prossima manovra di finanza pubblica.

Giorgio CARTA (Ulivo) fa presente preliminarmente che alcune affermazioni fatte nel corso del dibattito odierno sono viziate da incompletezza. Ciò vale, ad esempio, per quanto riguarda il ruolo dell'Europa, cui ha fatto prudentemente cenno il ministro D'Alema nel corso del suo intervento. Ritiene che la politica


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estera italiana avrà successo solo se convincerà l'Europa ad un serio impegno comune, che allo stato appare ostacolato dai divergenti interessi economici dei Paesi europei. Nell'osservare che si rischia un «multilateralismo di facciata» che non giova a nessuno, si augura un coinvolgimento reale dell'Unione Europea, anche se al momento il diverso grado di partecipazione dei Paesi europei alla missione sembra dettato da motivazioni contingenti piuttosto che dallo svolgimento di un ruolo di ampio respiro.
Fa poi presente la necessità di riportare la politica internazionale a una interlocuzione globale, che punti alla risoluzione delle cause, richiamando l'attenzione sulla necessità di un coinvolgimento di tutti i soggetti operanti nell'area allo scopo di pacificare la situazione. Segnala che una prima verifica della situazione si avrà nel momento in cui il Libano riuscirà a disarmare le milizie hezbollah. Nel ritenere comunque importante che Israele abbia accettato ai suoi confini la presenza di una forza di interposizione multilaterale, ribadisce l'esigenza di un ruolo concreto dell'Europa nella risoluzione a monte delle cause, che rendono instabile l'area mediorientale, nella prospettiva di un rapporto sereno tra il mondo occidentale e quello islamico. Per tale ragione, si augura che la politica del Governo italiano convinca l'Europa a una scelta decisa, non limitata a interventi sporadici e contingenti, attesa la necessità di non marginalizzare il ruolo della politica in questa vicenda.
In conclusione, pur dichiarandosi convinto della necessità di un'azione internazionale a più ampio raggio, preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sul provvedimento in esame.

Pietro RAO (Misto-MpA) preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sul disegno di legge in esame, motivato da senso dello Stato e consenso su una missione condivisibile sia nel suo significato che nei suoi obiettivi, peraltro chiariti dai rappresentanti del Governo, in analogia con altre missioni, quali quella in Afghanistan, per quanto non vi sia continuità rispetto all'operato del governo nella passata legislatura. A suo avviso, l'autorevolezza di uno Stato si misura nella sua capacità di dimostrare compattezza a livello internazionale. Lo scenario di guerra della crisi israelo-libanese impone di lavorare per la pace senza trionfalismi. Auspica, di conseguenza, un ampio consenso sul provvedimento ed un confronto sereno nell'intento di costruire una pace duratura e consolidata nell'intera regione.

Severino GALANTE (Com.It.) preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sul disegno di legge alla luce della precisa descrizione, da parte dei rappresentanti del Governo, del contesto in cui avviene la missione. Si tratta di una scelta molto rischiosa che impone la massima chiarezza su ogni aspetto. La questione iraniana appare, forse, un elemento non adeguatamente chiarito e su cui le repliche dei ministri D'Alema e Parisi potranno fornire approfondimenti. Rileva che i vertici militari israeliani considerano la tregua attualmente in vigore come prodromica ad una nuova guerra in Libano contro hezbollah, a sua volta seguita da un possibile conflitto con l'Iran. Appare dunque evidente come in tale contesto l'Iran rappresenti il nuovo nemico degli Stati Uniti, dopo al qaeda e Saddam Hussein. Per tali ragioni non concorda con la marginalizzazione da parte del ministro D'Alema del problema iraniano, che è da considerare centrale nella riflessione sul Medio Oriente. Osserva, inoltre, che, malgrado la missione UNIFIL abbia raccolto il favore degli Stati Uniti l'élite militare americana e quella israeliana non concordano sugli obiettivi fissati dalla risoluzione delle Nazioni Unite. Tale contesto evidenzia come il metodo multilaterale messo in atto sia ancora ad uno stato embrionale, da sviluppare. Peraltro, il suo gruppo ha sempre sostenuto tale metodo anche quando talune forze politiche italiane erano schiacciate sulle posizioni statunitensi. Nel considerare rispettabile l'opinione del deputato Casini sulla linea di continuità dell'azione italiana in politica estera, non concorda con quanto rilevato


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dal deputato Fini sul fatto che i militari italiani sono stati inviati, in Afghanistan, in Iraq e in Libano, a costruire la pace. Le missioni in questi Paesi sono nate in contesti politici diversi e hanno avuto natura diversa. Comprende che l'opposizione parlamentare non voglia legittimare la novità della politica estera del presente governo; la maggioranza attuale non può d'altra parte legittimare a posteriori un'azione politica che ha contrastato fin dall'inizio. Ciò detto, è meglio mantenere il confronto sui caratteri oggettivi di questa missione, che riguarda una forza di interposizione armata e robusta, che deve garantire non solo se stessa ma anche le popolazioni civili, israeliana e libanese, dagli attacchi. La missione ha cioè il compito di dividere i contendenti e garantire la sovranità del Libano dalle insidie interne ed esterne, intervenendo anche qualora dovessero essere perpetrati attentati ai danni di leader di hezbollah. È su tale impostazione di fondo che l'opposizione parlamentare deve valutare il proprio consenso sul provvedimento in esame.

Tana DE ZULUETA (Verdi) preannuncia il convinto voto favorevole del suo gruppo sul disegno di legge in titolo, nella piena condivisione delle premesse e dell'approccio del Governo nel proporre al Paese una missione di tale importanza a livello nazionale e regionale. L'Italia sta percorrendo una strada nuova, di politiche attive di pace, come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri in Assemblea. Il presente quadro di riferimento è l'attuazione della legalità internazionale; l'impegno italiano in tal senso ha già sortito effetti concreti e positivi, quali il rafforzamento della credibilità delle Nazioni Unite. Anche l'azione diplomatica, messa in atto in questi giorni dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha prodotto risultati interessanti. Per quanto riguarda l'Unione europea, il suo impegno ha conferito spessore alla missione. Le premesse appaiono, dunque, positive. Anche l'intervento dell'Alto rappresentante, Javier Solana, ha rappresentato un notevole successo diplomatico. L'Italia è uno dei pochi Paesi europei convinti che il rafforzamento dell'Europa difenda l'interesse nazionale. Questo dato ha rappresentato un vantaggio e ha configurato l'Italia quale mediatore disinteressato, con rilevanti conseguenze, quali il cambiamento in positivo della linea politica della Spagna.
Non si devono comunque sottovalutare i rischi: è per questa consapevolezza che ritiene convincente che il decreto-legge sia integrato dall'azione politico-diplomatica, che rappresenta una sfida che il Governo deve sostenere nel tempo. Da questa missione dipendono elementi importanti, quali la situazione della crisi israelo-palestinese, e che, data la posta in gioco, vi sono soggetti controinteressati alla sua piena riuscita. È indicativo il fatto che l'attentato di ieri sia avvenuto nei dintorni di Sidone.
Rileva, poi, come dato positivo la previsione, nell'articolato, di un sostegno finanziario a corsi di lingua araba destinati al contingente italiano, a conferma di un'impostazione «dialogante» della missione italiana nei confronti dell'esercito libanese e della popolazione civile. Segnala altresì la necessità che il Governo italiano consideri seriamente la necessità di provvedere alla emergenza ambientale delle coste libanesi, per quanto tale intervento possa essere considerato non attinente alla questione della missione militare. Ritiene, infine, importante richiamare l'attenzione del Governo sulla necessità di rendere al più presto operativo l'incarico attribuito al generale Castagnetti al fine di attivare la «cellula» a Palazzo di Vetro che, nell'aggiornare la linea di comando della missione, costituisce una importante evoluzione del ruolo delle Nazioni Unite sul campo.

Leoluca ORLANDO (IdV) ritiene che la risoluzione approvata il 18 agosto scorso e il provvedimento in esame confermino la natura pacifica della missione in Libano che ha luogo nella piena legalità internazionale e nel rispetto dell'articolo 11 della Costituzione. Tale missione è rischiosa ma senza alternative ed il suo esito dipende


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dall'azione politico-diplomatica, oltre che da quella militare. Il protagonismo del Governo italiano è da considerare positivo, prudente e determinato, come conferma la cautela usata dal Governo nel licenziare il provvedimento solo dopo avere atteso l'avveramento delle opportune condizioni internazionali. Per tali ragioni esprime particolare apprezzamento per la relazione illustrata dal ministro D'Alema e per la dettagliata esposizione del Ministro Parisi, in risposta a quanto sollecitato dal deputato Cossiga. È, a suo avviso,evidente che il disarmo di hezbollah costituisce un obiettivo complessivo, da realizzare nel quadro della legalità internazionale. La differenza rispetto al passato è dunque rappresentata dal «come» pervenire all'obiettivo, e non dall'obiettivo in sè. Nell'esprimere il voto favorevole del suo gruppo sul disegno di legge, osserva che non è opportuno affrontare in questa occasione la questione iraniana al fine di non addossare alla missione un compito eccessivo ed esuberante rispetto al suo mandato.

Sandra CIOFFI (Pop-Udeur), in relazione quanto emerso nel dibattito, non ritiene corretto che si tacci l'Italia di un protagonismo sterile. Il ruolo fattivo giocato dal Governo italiano, sul piano europeo e atlantico, è confermato dalla risposta non solo tecnica e del tutto esauriente fornita dal ministro Parisi sulle regole di ingaggio e sulla catena di comando. In questa fase occorre, a suo parere, continuare l'azione diplomatica nei confronti della Siria e dell'Iran. Ritiene inoltre necessario che l'azione politica italiana consideri la condizione dei circa ottocentomila palestinesi che vivono in Libano e che non godono nemmeno dei più elementari diritti civili e politici; la loro situazione, se non adeguatamente affrontata, rischia di compromettere lo sforzo dei militari italiani. A tal proposito ritiene che gli Accordi di Taif siano da considerare superati per quanto attiene ai dati sul censimento della popolazione libanese. In generale, il Libano richiede un impegno specifico sul versante della ricostruzione, oltre che su quello militare, con particolare riferimento alla condizione dei giovani libanesi. Infine, l'Italia deve mantenere un rapporto positivo con interlocutori come la Turchia e il Qatar, che in questa fase svolgono un ruolo influente nel quadro dei Paesi a maggioranza islamica.

Elettra DEIANA (RC-SE) esprime pieno assenso in relazione a quanto osservato dal deputato De Zulueta sugli importanti elementi di discontinuità che caratterizzano la politica estera del nostro Paese. Tali elementi si possono sintetizzare nello sforzo di dare visibilità al ruolo giocato dalle Nazioni Unite, nel definire una responsabilità condivisa dell'Unione europea e nel segnare una connessione stretta tra la politica estera e l'azione diplomatica a livello multilaterale. Questa responsabilità rappresenta un valore strategico, politico e, più in generale, culturale. Un ulteriore elemento di novità è il nesso tra questa linea politica e l'interesse nazionale, considerata la vicinanza del nostro Paese alla regione medio-orientale.
Rileva che la discussione intorno alla realizzazione delle finalità della missione non può essere ridotta alla sua robustezza, più o meno marcata, considerato che tale robustezza può essere strumentalizzata quale facile schermo per una debolezza di fondo di tipo politico. Su tale aspetto sarebbe auspicabile un confronto in IV Commissione, considerato che nel passato le missioni militari non segnate da successo sono state indebolite fin dall'inizio non tanto dalla burocrazia dell'Onu, quanto dalla debolezza politica. Occorre, in sostanza, evitare in questa occasione una enfatizzazione degli aspetti militari.
Ritiene che un aspetto cruciale della missione sia connesso alla soluzione della crisi israelo-palestinese, che non può in nessun modo essere considerata un aspetto marginale della questione. Il Governo ha considerato essenziale porre tale crisi al centro dell'azione europea e si è fatto carico di un investimento specifico. L'obiettivo da raggiungere è quello della piena reciprocità tra i diritti di Israele e


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quelli del popolo palestinese. Il successo della missione non può, inoltre, in alcun modo dipendere dalle minacce nei confronti della Siria e di hezbollah. Occorre cogliere l'occasione per un'iniziativa nuova di tipo politico nei confronti di questa regione.
Osserva che la politica italiana di oggi è l'erede della fase che ha avuto inizio nel settembre del 2001 e che per diversi anni è stata segnata dalla priorità della lotta contro il terrore e dalla logica dello scontro tra civiltà. Fenomeni quali hezbollah o hamas, che non possono essere ridotti alla definizione di terrorismo, hanno potuto prendere piede a seguito di un politica estera internazionale chiusa allo sforzo diplomatico. Per tale ragione ritiene negative le proposte di applicazione di sanzioni nei confronti di Siria e Iran in quanto capaci di fomentare nuovi processi di radicalizzazione della crisi. Infine, ritiene che in questa delicata fase il Governo italiano potrebbe valutare la sospensione del controverso trattato di collaborazione militare con Israele, approvato nel corso della legislatura precedente e al quale il suo gruppo si è opposto, che compromette l'immagine di terzietà che il nostro Paese ha inteso assumere rispetto alle parti in conflitto.

Pierfrancesco Emilio Romano GAMBA (AN), nel ribadire la posizione favorevole del suo Gruppo sul provvedimento in esame, ritiene indispensabile fare chiarezza su alcune dichiarazioni rilasciate recentemente da alcuni esponenti della maggioranza riguardo ad una pretesa discontinuità del ruolo svolto dalle Forze armate nella missione in Libano rispetto alle altre missioni internazionali a cui partecipa il nostro Paese, anche se ribadisce quanto già dichiarato dal deputato Fini in merito all'intendimento di Alleanza Nazionale subordinare il suo voto favorevole sul decreto legge in esame all'accoglimento da parte del Governo di un ordine del giorno che sottolinei la continuità del ruolo affidato alle Forze armate in tutte le missioni internazionali.
In proposito, ritiene sorprendenti i recenti interventi di alcuni esponenti dell'estrema sinistra che nel recente passato avevano stigmatizzato l'utilizzo dello strumento militare e che invece ora si ergono a sostenitori di un intervento armato in un contesto per di più particolarmente rischioso.
Il Ministro Parisi nel suo intervento ha cercato di chiarire alcuni profili problematici della missione UNIFIL, emersi nel corso del dibattito parlamentare, in occasione delle comunicazioni del Governo 18 agosto scorso. A suo avviso, tuttavia i chiarimenti resi dal ministro con riferimento alle regole di ingaggio e alla catena di Comando non risultano sufficienti.
Infatti, in ordine al primo profilo, il ministro della difesa, senza affrontare il problema di fondo degli effettivi poteri riconosciuti alla Forza UNIFIL nell'assistenza alle Forze armate libanesi per il disarmo di hezbollah, si è limitato a richiamare una generica regola di proporzionalità tra reazione e offesa, che può essere fatta rientrare nelle regole del buon senso, piuttosto che tra le regole di ingaggio. Un chiarimento in proposito tuttavia è assolutamente necessario, in quanto se non si provvederà al disarmo di hezbollah le cause che hanno determinato il conflitto rimarrano sostanzialmente irrisolte, con evidenti pericoli per la stessa sicurezza contingente UNIFIL. In merito alla catena di comando, ritiene che il Ministro, pur descrivendo i compiti di collegamento con il teatro operativo affidati al nuovo organismo istituito in sede ONU, non ha spiegato per quali ragioni al vertice dell'organismo stesso non si sia ancora insediato il generale Castagnetti, nonostante le nostre truppe abbiano già raggiunto il territorio libanese.

Arturo SCOTTO (Ulivo), nel ringraziare i presidenti delle Commissioni riunite ed i Ministri intervenuti nel dibattito per avere fornito un quadro completo delle questioni al di fuori di sterili polemiche, ritiene che la ripresa del protagonismo delle Nazioni Unite vada collocata in un contesto internazionale mutato, in cui è stata assunta la


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logica del superamento della strategia della forza per contrastare il terrorismo e il fondamentalismo. A suo avviso, la diplomazia e il multilateralismo devono guidare la politica estera con serietà e responsabilità, indicando il dialogo come metodo e scelta definitivi. In tale contesto, occorre tenere conto di tutti i fattori in gioco, considerato che la guerra e il terrorismo azzerano il terreno della politica non portando ad alcun risultato positivo e duraturo. Nel ricordare che il conflitto militare in Libano sta suscitando emozione e rabbia diffuse nella pubblica opinione, osserva che l'Unione europea ha apportato un contributo fondamentale risollevando le Nazioni Unite dallo stato di paralisi in cui si trovavano dopo l'11 settembre 2001. Reputa positivo che l'Europa, dopo anni di difficoltà politica, riscopra il Mediterraneo, non solo per interessi economici e commerciali, ma come luogo di convivenza e di pace. Osservato che anche gli Stati Uniti hanno espresso un atteggiamento di consapevolezza nei confronti di tale questione, segnala l'opportunità di salutare positivamente la ripresa delle iniziative per risolvere la causa palestinese. In particolare, da un lato, un governo di unità nazionale nei Territori potrebbe restituire ad Abu Mazen un ruolo importante nella crisi palestinese e, dall'altro, il sostegno internazionale a Israele contribuirebbe a evitare l'isolamento politico, sulla scorta peraltro di quanto riconosciuto dal Vicepremier israeliano Peres. Fa presente poi l'essenzialità della pace per la politica estera e in tale prospettiva l'opportunità di un ritiro dall'Iraq. Ritiene, infine, che l'autorevolezza del ruolo dell'ONU si giochi sulla determinazione nella preservazione del cessate il fuoco. Nell'augurarsi che si apra una nuova fase di politica estera in Medio Oriente, auspica che il Parlamento esprima una posizione unitaria sulla partecipazione del contingente militare italiano alla missione in Libano e che, nel contempo, sia assicurato il coinvolgimento delle organizzazioni umanitarie nella ricostruzione di un Paese che ha bisogno di pace e solidarietà, come peraltro prevede l'articolo 1 del provvedimento in esame.

Roberta PINOTTI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, non essendovi obiezioni, rinvia il seguito dell'esame alla seduta prevista per martedì 12 settembre.

La seduta termina alle 17.