I Commissione - Resoconto di mercoledì 13 settembre 2006


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COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Mercoledì 13 settembre 2006. - Presidenza del presidente Riccardo MARONE. - Interviene il sottosegretario per le politiche agricole Giovanni Mongiello.

La seduta comincia alle 10.

DL 253/2006: Partecipazione italiana missione in Libano.
C. 1608 Governo.
(Parere alle Commissioni III e IV).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

Sandro GOZI (Ulivo), relatore, illustra il contenuto del provvedimento in esame e, per quanto riguarda il rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva come le disposizioni recate appaiano essenzialmente riconducibili, analogamente a precedenti decreti legge in tema di missioni internazionali, alle materie «politica estera e rapporti internazionali dello Stato», «difesa e Forze armate», «sistema tributario e contabile dello Stato» che l'articolo 117 secondo comma, lettere a), d) ed e) della Costituzione riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Osserva altresì che, per alcuni aspetti, rileva la materia «giurisdizione


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e norme processuali; ordinamento civile e penale», che l'articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione attribuisce sempre alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Formula quindi una proposta di parere favorevole (vedi allegato 1).

Domenico BENEDETTI VALENTINI (AN) si sofferma sulla forte problematicità recata dal provvedimento in esame alla luce delle responsabilità internazionali dell'Italia. Ritiene al riguardo che da parte del Governo e della maggioranza debba pervenire un chiarimento sulle premesse politiche della missione italiana in Libano, che evidenzi come la sua natura di missione di pace si ponga in questo senso in una linea di continuità con le precedenti missioni, autorizzate anche nella passata legislatura, e in primo luogo con quella in Iraq. In attesa di tale chiarimento, e ferma restando la solidarietà rispetto a tutti gli appartenenti alle Forze armate impegnati in tali missioni, preannuncia un voto di astensione da parte del proprio gruppo.

Gabriele BOSCETTO (FI), dopo aver dichiarato di condividere il contenuto dell'intervento del deputato Benedetti Valentini, a nome del proprio gruppo preannuncia un voto di astensione.

Il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

DL 251/2006: Adeguamento alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica.
C. 1610 Governo.
(Parere alla XIII Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).

Orazio Antonio LICANDRO (Com.It), relatore, illustra il contenuto del provvedimento in esame. Si sofferma quindi sugli aspetti relativi al rispetto delle competenze legislative definite dall'articolo 117 della Costituzione, osservando come la disciplina recata, in quanto volta a consentire l'adeguamento dell'ordinamento interno alla normativa comunitaria in presenza di procedure di infrazione, può essere ricondotta alla materia «rapporti dello Stato con l'Unione europea», che l'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Osserva inoltre che, rispetto ai contenuti del provvedimento in esame, in specie la tutela della fauna selvatica e la conseguente regolazione del prelievo venatorio, secondo la nuova ripartizione contenuta nell'articolo 117 della Costituzione, e alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, rileva innanzitutto la materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», riservata, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Per quanto concerne poi specificamente l'articolo 8, osserva che esso dispone, in relazione alle procedure d'infrazione comunitaria, un intervento sostitutivo urgente nei confronti delle regioni: in particolare, l'articolo prevede la sospensione degli effetti delle deroghe adottate dalle regioni in difformità dall'ordinamento comunitario e statale, nonché l'abrogazione e l'annullamento delle leggi e degli atti regionali difformi, una volta trascorso il termine di novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge senza che le regioni stesse abbiano provveduto ad adeguare il loro ordinamento. L'intervento sostitutivo, come spiegato nella relazione introduttiva, è adottato alla luce della pressante necessità di dare esecuzione agli obblighi comunitari, in presenza di procedure di infrazione che potrebbero portare al blocco dell'approvazione, e quindi del finanziamento, dei Programmi di sviluppo rurale delle Regioni e Province autonome. La relazione per l'analisi tecnico-normativa specifica che l'intervento sostitutivo è previsto ai sensi dell'articolo 120, secondo comma della Costituzione e dell'articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Formula quindi una proposta di parere favorevole (vedi allegato 2).


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Gabriele BOSCETTO (FI), dopo aver ringraziato il relatore per il lavoro svolto, preannuncia il voto contrario del proprio gruppo, sottolineando come a proprio avviso il provvedimento in esame contenga disposizioni volte a comprimere le competenze legislative attribuite alle regioni dall'articolo 117 della Costituzione. Esprime altresì perplessità in ordine alla correttezza costituzionale dei meccanismi di esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni, che ritiene essere strumentalmente utilizzati dal Governo per andare oltre il mero adeguamento alla normativa comunitaria ed invadere la competenza legislativa delle regioni.

Domenico BENEDETTI VALENTINI (AN) preannuncia il voto contrario del proprio gruppo. Evidenzia innanzitutto il comportamento a proprio avviso politicamente inaccettabile del Governo che non ha ritenuto di consultare preventivamente le associazioni di settore. Sottolinea come il provvedimento in esame non solo rappresenti un atto ostile nei confronti dell'attività venatoria, ma che vìola altresì le norme costituzionali in materia di ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in materia di caccia, come definite dall'articolo 117 della Costituzione.

Marco BOATO (Verdi), con riferimento all'intervento svolto dal deputato Benedetti Valentini, dopo aver ricordato la posizione del gruppo di Alleanza nazionale tradizionalmente favorevole alle ragioni dei cacciatori, evidenzia come il rilievo mosso sulla mancata consultazione da parte del Governo delle associazioni venatorie esuli dai profili di competenza di questo Comitato, che deve limitarsi a esprimere un parere in ordine a profili di costituzionalità dei provvedimenti al suo esame. A tale riguardo dichiara di condividere i contenuti della proposta di parere favorevole presentata dal relatore, sulla quale preannuncia un voto favorevole.

Karl ZELLER (Misto-Min.ling) si sofferma preliminarmente sulla lettera c) dell'articolo 7 del provvedimento in esame, osservando come essa contenga una disciplina contraddittoria del potere sostitutivo da parte dello Stato nei confronti delle regioni inadempienti rispetto ad obblighi comunitari, in quanto da un lato fa salva la procedura di cui all'articolo 8, comma 4, della legge n. 131 del 2003 e, dall'altro, prevede una nuova procedura meno rispettosa delle prerogative regionali rispetto a quella citata. Osserva inoltre come l'articolo 8 rechi una grave menomazione dei poteri legislativi delle regioni, che non solo sono tenute ad adeguarsi entro novanta giorni alla disciplina comunitaria prevista, ma che, in mancanza, subiscono l'annullamento del relativo atto ovvero l'abrogazione della relativa legge regionale non conformi alla citata disciplina comunitaria e statale.

Riccardo MARONE, presidente, essendo imminente l'inizio della seduta della Commissione in sede referente, sospende l'esame del decreto-legge in titolo, avvertendo che esso riprenderà al termine della seduta della Commissione.

La seduta, sospesa alle 10.30, riprende alle 12.50.

Orazio Antonio LICANDRO (Com.It), relatore, osserva come il dibattito svoltosi abbia evidenziando alcuni aspetti problematici sui quali ritiene opportuno soffermarsi. Per quanto concerne l'osservazione del deputato Benedetti Valentini, volta a rivendicare un diritto per le associazioni di settore ad essere ascoltate dal Governo, ritiene che essa, unitamente agli altri rilievi espressi sul merito del provvedimento, vadano rimessi alle valutazioni della Commissione competente nel merito.
Con riguardo all'articolo 7, comma 1, lettera c) del provvedimento in esame, ritiene che sia opportuno chiarire i rapporti esistenti tra l'intervento sostitutivo ivi previsto in materia di deroghe al prelievo venatorio e le procedure per l'applicazione del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, previste dall'articolo 8 della legge


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n. 131 del 2003, nonché le procedure per l'adozione di misure urgenti per l'adeguamento agli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario previste dalla legge n. 11 del 2005, eventualmente adottando le necessarie misure di coordinamento. Inoltre, con riferimento all'articolo 8, comma 1, ultimo periodo, del provvedimento in esame, in ragione della proporzionalità tra il provvedimento sostitutivo e le finalità perseguite richiesta dall'articolo 8, comma 5, della legge n. 131 del 2003, ritiene che si potrebbe prevedere, in luogo dell'abrogazione delle leggi e dell'annullamento degli atti regionali difformi dalle disposizioni comunitarie, solo la loro inefficacia. Ritiene infine, con riferimento allo stesso articolo 8, che si potrebbe poi prevedere di posticipare il termine entro cui le regioni sono tenute ad adeguare il proprio ordinamento alle disposizioni comunitarie al fine di assicurare alle regioni stesse un congruo lasso di tempo per predisporre un intervento non affrettato. Presenta quindi una nuova proposta di parere favorevole con osservazioni (vedi allegato 3).

Gabriele BOSCETTO (FI) ritiene che la nuova proposta di parere presentata dal relatore non rappresenti una soluzione soddisfacente e preannuncia quindi sulla stessa un voto contrario da parte del proprio gruppo.

Domenico BENEDETTI VALENTINI (AN), con riferimento all'articolo 8 del provvedimento in esame, ritiene che l'osservazione contenuta nella nuova proposta di parere del relatore, volta a prevedere l'inefficacia illimitata delle leggi e degli atti regionali difformi dalle disposizioni comunitarie, rappresenti una soluzione giuridicamente non condivisibile, che rafforza l'orientamento contrario del proprio gruppo. Dichiara inoltre di non condividere l'affermazione, contenuta nella parte premissiva della proposta di parere, secondo cui non sussistono motivi di rilievo sugli aspetti di legittimità costituzionale del provvedimento. Conclude ribadendo l'opportunità che il Governo ascolti le associazioni di settore e preannunciando quindi il voto contrario del proprio gruppo.

Karl ZELLER (Misto-Min.ling), pur apprezzando lo sforzo compiuto dal relatore nella formulazione della nuova proposta di parere, ritiene che residuino dubbi di legittimità costituzionale soprattutto con riferimento alla potestà legislativa delle regioni a statuto speciale che in materia di caccia godono di una competenza legislativa esclusiva a differenza di quelle a statuto ordinario. Al riguardo osserva che l'articolo 8 del provvedimento in esame prevede che le regioni adeguino il proprio ordinamento non solo alle disposizioni comunitarie, ma anche a disposizioni di legge ordinaria. Essendo gli statuti delle regioni «speciali» fonti di rango superiore alle leggi ordinarie, ritiene incostituzionale il meccanismo previsto dal citato articolo 8 senza che sia prevista un'apposita clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale.

Roberto COTA (LNP) dichiara il voto contrario del proprio gruppo sulla nuova proposta di parere del relatore.

Marco BOATO (Verdi), dopo aver ringraziato il relatore per il lavoro svolto, si sofferma sulla dichiarazione del deputato Benedetti Valentini in ordine alla osservazione contenuta nella nuova proposta di parere del relatore, volta a prevedere l'inefficacia delle leggi e degli atti regionali difformi dalle disposizioni comunitarie. Osserva che tale soluzione non rappresenta un rimedio estemporaneo ai problemi emersi, essendo invece al centro di un dibattito dottrinale in corso, come compiutamente documentato nel materiale predisposto dagli uffici. In ordine poi all'osservazione del deputato Zeller sulla procedura del potere sostitutivo previsto dall'articolo 8 del provvedimento in esame, ritiene che debba essere trovata una soluzione che contemperi da un lato le esigenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e, dall'altro, il diritto per lo Stato


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di prevedere idonee soluzioni atte ad evitare procedure di infrazione comunitarie.

Riccardo MARONE, presidente, ritiene che nella nuova proposta di parere potrebbe aggiungersi una ulteriore osservazione volta a prevedere l'opportunità di inserire nel testo forme di salvaguardia delle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

Karl ZELLER (Misto-Min.ling) dichiara di condividere la proposta formulata dal presidente Marone.

Orazio Antonio LICANDRO (Com.It), relatore, riformula la nuova proposta di parere nel senso indicato dal presidente Marone.

La Commissione approva la nuova proposta di parere favorevole con osservazioni del relatore, come riformulata (vedi allegato 4).

La seduta termina alle 13.20.

SEDE REFERENTE

Mercoledì 13 settembre 2006. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Interviene il ministro per le riforme istituzionali e i rapporti con il Parlamento Vannino Chiti.

La seduta comincia alle 10.30.

Conflitto di interessi.
C. 1318 Franceschini.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, ricorda che nella scorsa legislatura è stata approvata, anche grazie all'importante lavoro svolto da questa Commissione e dal suo presidente, la prima legge italiana in materia di conflitto di interessi; nel corso dell'istruttoria legislativa, furono ascoltati numerosi esperti le cui opinioni furono ampiamente utilizzate per addivenire al testo finale.
Ricorda inoltre che la legge è stata sinora applicata nei confronti di tre governi (Berlusconi II, Berlusconi III, Prodi II) ed ha quindi potuto confrontarsi con una casistica certamente significativa; le due Autorità cui la legge affida il compito della vigilanza, Autorità garante della concorrenza e del mercato e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, hanno presentato puntualmente le loro relazioni semestrali alle Camere, nelle quali hanno segnalato i problemi emersi nell'applicazione delle singole disposizioni e non hanno mancato di prospettare al Parlamento possibili soluzioni.
Segnala quindi come alcuni dei problemi derivino da lacune della legge: alcune erano state in parte segnalate nel corso del dibattito parlamentare, altre sono state determinate dall'emergere di situazioni nuove non previste né prevedibili al momento della redazione del testo. Ritiene che lo spirito con il quale sarebbe proficuo affrontare il tema non sia quindi quello dell'intervento su una tabula rasa, ma quello dell'integrazione e del perfezionamento della legge esistente, sulla base dell'esperienza applicativa, dei suggerimenti delle due Autorità, dell'esperienza di altri Paesi e delle indicazioni degli organismi internazionali.
Particolare rilievo riveste inoltre, a suo avviso, una proposta di legge regionale in materia, presentata nel maggio 2005 dal governo regionale della Sardegna, che sembra realizzare un possibile equilibrio tra le diverse esigenze sottese alla materia.
Ricorda quindi che l'esigenza di disciplinare anche in Italia il conflitto di interessi nasce nella XII Legislatura (1994-1996), con proposte presentate dal Governo Berlusconi (A.S. 1082) e dai senatori Pasquino (A.S. 278), Passigli (A.S. 758) e Tabladini (A.S. 1330). Osserva come non si tratti di una coincidenza casuale, in quanto le elezioni politiche del 1994 sono le prime che si tengono dopo il crollo della


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prima Repubblica: sino a quel momento, il personale politico accedeva alle più alte cariche dello Stato attraverso una selezione operata dai partiti, che privilegiavano coloro che si erano dedicati professionalmente alla politica; ma nel 1994 vince le elezioni politiche e va a Palazzo Chigi una personalità che proviene dal mondo dell'impresa e non dal mondo dei partiti. Al riguardo, osserva che non era mai accaduto sino a quel momento che accedesse al vertice dell'Esecutivo un titolare di grandi aziende e di importanti imprese commerciali e ritiene che tale avvenimento vada depurato dai suoi aspetti polemici e ricondotto al suo significato politico-costituzionale.
Osserva infatti che la fine della prima Repubblica, determinata dal crollo dei principali partiti di governo, dalla trasformazione di altri, dalla nascita di nuove forze politiche, dal cambiamento della legge elettorale, da proporzionale in maggioritaria, coincide con la fine dello Stato dei partiti e della netta separazione tra società politica e società civile, con particolare riferimento a quella parte di società civile che opera nel mercato.
Ritiene che il mancato chiarimento dei caratteri di questa fase sia all'origine di molti equivoci sulle finalità di una legge relativa al conflitto di interessi: non è stato infatti l'avvento al potere di uno specifico uomo d'impresa che ha posto la questione del conflitto di interessi; la questione si è posta per ciò che quell'avvento comportava nel sistema politico italiano.
Sotto questo profilo giudica significativo che successivamente, in altre responsabilità di governo, a livello nazionale, regionale e locale, il fenomeno si sia ripetuto, in entrambe le coalizioni, con una certa frequenza.
Osserva quindi che così ha avuto fine il monopolio dei partiti sulle cariche pubbliche: personalità forti del mondo dell'impresa sono entrate nell'agone politico con proprie formazioni politiche o all'interno di formazioni politiche del tutto nuove; conseguentemente si sono posti alla nostra democrazia problemi inediti, tra i quali c'era e c'è quello del rapporto tra gli interessi privati di cui l'outsider sia titolare e gli interessi pubblici che deve tutelare nella sua attività di governo.
Si tratta a suo avviso di un difficile equilibrio tra il favore per l'accesso di nuovi soggetti alle più elevate responsabilità politiche e la necessità di prevenire processi di privatizzazione della politica che ledono il principio democratico classico come contrapposto al principio patrimonialista.
Osserva quindi come, a tale riguardo, si confrontino nel dibattito pubblico due diverse culture politiche: quella che tende a privilegiare il ruolo dei partiti tradizionali nella vita pubblica e quella, invece, che tende a considerare come vera garanzia democratica il primato nella politica di quella parte della società che è estranea ai partiti; corollario di questo scontro è la diatriba sul professionismo politico: posto che il dilettantismo al governo non è augurabile a nessun Paese, l'esperienza dice che un buon livello di professionalità può essere acquisito anche da chi non viene dalle fila dei partiti.
Considera tuttavia innegabile il ruolo che nella nostra Repubblica e nella esperienza europea hanno avuto ed hanno i partiti politici come strumenti di formazione e selezione della classe politica dirigente e di garanzia della continuità tra le generazioni.
Osserva quindi come, d'altra parte, nella nostra esperienza italiana anche quelle formazioni che sono nate in opposizione al tradizionale modello di partito politico hanno poi scelto di uniformarsi proprio a quel modello: questo sembra il segno che persino i più acerrimi avversari del modello-partito non hanno sinora trovato nulla di meglio per organizzare la partecipazione alla vita politica.
Ritiene pertanto che nel lavoro della Commissione occorrerà individuare un punto di equilibrio lontano tanto da un clima inaccettabile di caccia alle streghe, che a volte questi problemi possono scatenare, quanto da una forma di cinico disinteresse che nasconde a volte l'intento di consentire un uso privato e distorto dei pubblici poteri.


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Osserva infatti come in Italia, dagli scontri sul tema, sia nata una miscela di avversioni personali, utilizzazioni improprie delle funzioni pubbliche, discriminanti politiche, pregiudizi ideologici, che rende ancora oggi difficile il confronto. Confida però che un prudente metodo di lavoro possa sfrondare la discussione in Commissione da conflitti improduttivi e ritiene che a tal fine possa essere opportuno partire da una valutazione degli interessi costituzionali in gioco, poi tener conto dei modelli applicati in altri Paesi che prima dell'Italia hanno affrontato il tema, quindi leggere la normativa vigente alla luce dei due anni di applicazione e delle considerazioni presentate al Parlamento dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; occorrerà poi verificare la coerenza tra le norme sul conflitto di interessi e quelle preesistenti in materia di incompatibilità ed ineleggibilità.
Sottolinea quindi che una buona normativa sul conflitto di interessi non deve avere lo scopo di dissuadere chi proviene da un'esperienza di mercato dalla partecipazione attiva alla vita politica, che è un fatto in sé positivo, ma deve far sì che anche questa partecipazione sia ispirata ai criteri costituzionali della imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione; d'altra parte, una democrazia che pone regole per una migliore trasparenza e affidabilità dei propri governanti per ciò stesso si apre ad una maggiore partecipazione della società civile alle responsabilità di governo del Paese. A questo proposito, ricorda che uno degli studiosi americani che ha più approfondito la materia. E. J. Murdoch, ha scritto che «il regime ideale di conflitto di interessi consiste nel meno oneroso complesso di restrizioni che sia compatibile con la promozione di un contesto istituzionale eticamente efficace».
Ricorda quindi che la democrazia classica, con riferimento alla netta distinzione tra società politica e società civile, si era preoccupata di evitare il cumulo dei poteri nella società politica e di qui è derivato il principio della separazione dei poteri pubblici come fondamento della democrazia; nel momento in cui quella distinzione viene meno, ed esponenti della società civile entrano a far parte della società politica, il principio classico della separazione dei poteri va integrato in relazione alla presenza di nuovi poteri, di carattere privato, finanziario, mediatico, economico e imprenditoriale, sulla scena politica: questa nuova separazione è il nucleo della soluzione del problema del conflitto di interessi.
Passando a trattare dei valori costituzionali che vengono in evidenza in materia di conflitto di interessi, osserva che la cultura politica dei costituenti si preoccupò di disegnare una fitta trama di doveri pubblici, tale da comportare una netta separazione tra funzioni pubbliche e interessi privati; in base all'articolo 51 della Costituzione, tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Al riguardo, ricorda che, nel corso dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione nella scorsa legislatura, più di uno degli specialisti ascoltati tenne a precisare, correttamente, che il principio di eguaglianza vale sia verso il basso, per chi fosse sprovvisto di mezzi economici, sia verso l'alto, per chi ne fosse provvisto in misura sovrabbondante; pertanto, come sarebbe illegittimo impedire la partecipazione ad una competizione elettorale a chi è povero, per questa ragione, allo stesso modo sarebbe illegittimo escludere chi sia particolarmente ricco.
Osserva poi che, in ogni caso, è possibile prevedere casi di ineleggibilità o di incompatibilità con l'ufficio di deputato e di senatore, come dispone l'articolo 65 della Costituzione. Al riguardo, ricorda come la disciplina italiana in materia di ineleggibilità e di incompatibilità sia particolarmente confusa e suggerisce l'opportunità di chiedere agli Uffici di predisporre per la Commissione un quadro riassuntivo di tale disciplina.
Ricorda in proposito che le cause di ineleggibilità o riguardano persone ritenute


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non degne, come i condannati per delitti gravi, oppure perseguono lo scopo di evitare una indebita influenza sulla libera manifestazione di volontà dell'elettore oppure ancora presumono una capacità di influenza sull'elettorato che altera quelle condizioni di eguaglianza di cui parla l'articolo 51. Le cause di incompatibilità sono invece specificamente volte ad impedire che l'esercizio delle funzioni parlamentari sia viziato dalla titolarità di altro incarico che si ritiene confliggente con alcune funzioni pubbliche specificamente indicate. Mentre l'ineleggibilità è una causa impeditiva dell'assunzione della carica, nel caso della incompatibilità l'eletto deve scegliere se conservare l'incarico parlamentare o optare per l'altro incarico. Ad esempio la carica di parlamentare è incompatibile con quella di componente del Consiglio superiore della magistratura o con funzioni direttive di particolare rilevo presso enti che gestiscano servizi per conto dello Stato. Si è detto che in questi casi si tratta di evitare la figura di parlamentari double face, titolari di cariche di interessi che potrebbero prevalere su quelli istituzionali nazionali di cui devono essere portatori. L'incompatibilità, in definitiva è una misura che tende a prevenire conflitti di interesse. È una misura preventiva e non sanzionatoria e dimostra l'attenzione dell'ordinamento costituzionale per la credibilità e l'affidabilità delle funzioni politiche.
A suo avviso, è solo apparentemente singolare che la Costituzione preveda cause di incompatibilità per le funzioni parlamentari e non per le funzioni di governo: quando il testo costituzionale venne redatto appariva evidente che solo parlamentari avrebbero potuto accedere a responsabilità di governo; era il portato del cosiddetto Parteienstaat, lo stato che si regge sui partiti politici.
Richiama poi il meno noto e meno richiamato articolo 54 della Costituzione, il quale stabilisce che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore: l'espressione è antica, ma non si presta ad equivoci; rispecchia un'idea nobile delle funzioni pubbliche, frutto dello spirito repubblicano e del senso dello Stato.
Osserva in proposito che questo principio si applica, naturalmente, anche a chi ha responsabilità di governo, essendo quella di governo la funzione pubblica per eccellenza; e quindi a chi governa, prima che ad altri, si richiede di adempiere le sue funzioni con disciplina, e cioè con il rispetto dei doveri che incombono su chi esercita una determinata funzione pubblica, e con onore, in modo cioè da meritare il rispetto dei cittadini.
Ricorda infine che strettamente connessi ai principi dell'articolo 54 sono gli articoli 97 e 98: il primo stabilisce che gli uffici devono assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, il secondo stabilisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.
Il complesso delle disposizioni richiamate disegna a suo avviso un profilo delle funzioni pubbliche che tiene nettamente separati gli interessi pubblici dagli interessi privati e che anzi prevede, attraverso l' incompatibilità, interventi preventivi al fine di evitare la lesione dell'affidabilità di cui deve costantemente godere chi adempie alle pubbliche funzioni. Il servizio esclusivo della Nazione e l'imparzialità dei pubblici uffici costituiscono i principi che meglio delineano i doveri dell'uomo di governo.
Rileva quindi come una legge sul conflitto di interessi ponga inevitabilmente il problema delle garanzie e dei limiti della proprietà privata: tanto il parere dei tre saggi nominati dall'onorevole Berlusconi nel 1994 quanto il parere pro veritate redatto dal professor Caianello per la Commissione nella scorsa legislatura, hanno escluso che potesse configurarsi un obbligo a vendere a carico del titolare della funzione di governo che si trovasse in potenziale o effettivo conflitto di interessi, proprio richiamandosi alle norme costituzionali in materia di proprietà privata. Poiché la proposta all'esame della Commissione prevede all'articolo 7 l'eventualità


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della vendita, dichiara di volersi soffermare su questo tema in seguito, limitandosi per il momento a rilevare che sia il diritto di proprietà sia l'iniziativa economica privata sono certamente valori costituzionali di primaria importanza in una società democratica, ma che anche essi, come tutti valori in democrazia, non sono assoluti. Rileva, infatti, che il secondo comma dell'articolo 41 della Costituzione stabilisce che l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, come accadrebbe se il titolare di una funzione di governo gestisse contemporaneamente la sua impresa e la funzione pubblica in modo da alterare le condizioni di libera concorrenza sul mercato.
Passando a illustrare le linee di fondo della legislazione di alcuni altri Paesi su questa materia, osserva come nel corso del dibattito pubblico si sia più volte richiamato, e non sempre a proposito, il sistema americano. Al riguardo, rileva che il sistema di valori proprio della società americana è improntato al principio di responsabilità individuale, all'obbligo da parte di chiunque ricopra pubbliche funzioni di rendere conoscibili tutti i propri interessi economici, alla ferrea controllabilità di chi esercita le pubbliche funzioni da parte della pubblica opinione e dei mezzi di informazione; si deve inoltre considerare l'importante ruolo svolto dal Senato degli Stati Uniti nel controllare preventivamente le nomine presidenziali, comprese quelle dei componenti del governo: nella prassi questo controllo verifica con particolare attenzione l'eventuale sussistenza di un conflitto di interessi.
Cercando di sintetizzare le linee essenziali del sistema statunitense, e scusandosi per eventuali imprecisioni, certamente possibili non solo per i limiti, anche interpretativi, del relatore, ma anche per l'intersecarsi di diversi livelli normativi, provenienti da fonti assai diverse fra loro (solo le fonti federali sono più di dieci), e per una certa elasticità della normativa, ricorda che la legislazione assoggetta tutti coloro che esercitano funzioni pubbliche, nel legislativo, nel giudiziario e nell'esecutivo. Ricorda altresì che ciascun settore è assoggettato, peraltro, a specifiche ulteriori disposizioni in relazione alla specificità della funzione e che gli strumenti individuati dall'esperienza americana sono l'astensione, il qualified blind trust, il qualified diversified blind trust, l'obbligo di alienazione; particolari previsioni, assai dettagliate, riguardano poi la gestione dei doni, che, se eccedenti un certo valore, vanno o restituiti, o pagati al donatore, o, se deperibili, versati a comunità o enti di assistenza.
Con riferimento ai singoli strumenti, ricorda che l'obbligo di alienazione può essere imposto soltanto ai membri dell'Esecutivo (non al Presidente e al vice Presidente) e soltanto come ultima ratio e sempre a condizione che intendano mantenere l'incarico pubblico. È peraltro vero che alcune agenzie impongono a tutti i propri dipendenti di dismettere le partecipazioni finanziarie nei settori di competenza dell'ente. Ad esempio le persone designate dal Presidente degli USA a ricoprire responsabilità nel settore della Difesa debbono dismettere le partecipazioni finanziarie nell'industria bellica. Ma non si tratta di una regola generale. Ricorda poi che i due tipi di trust hanno come caratteristica fondamentale la «cecità» del conferente rispetto al proprio patrimonio: il trust è cieco, e consente quindi al conferente di ricoprire la carica pubblica solo quando il trustee notifica che i beni sono stati ceduti o sostituiti con altri dei quali il conferente non conosce né la natura né l'ammontare. In particolare, osserva che un qualified blind trust deve rispondere a caratteristiche rigorosissime: il pubblico ufficiale non deve aver avuto rapporti precedenti con il trustee e non potrà comunicare con lui durante il corso del trust; il trustee può fornire solo informazioni specifiche relative alla vendita dei beni e le informazioni necessarie per motivi fiscali; questi trust sono supervisionati e disponibili al pubblico per controlli.
Rileva poi che il qualified diversified trust consiste nel conferimento di un portafoglio di titoli ampiamente diversificati


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e rapidamente trasferibili, nessuno dei quali deve far riferimento a settori di primaria responsabilità del conferente.
Osserva quindi che la linea di sbarramento è costituita dal capitolo 11 del titolo 18 del codice penale che disciplina insieme Bribery, Graft and Conflict of interests: la section 208 punisce ogni pubblico ufficiale federale che partecipa nell'esercizio delle sue funzioni ad una decisione che riguarda questioni nelle quali egli ha un qualsivoglia interesse finanziario.
Sottolinea poi che nel sistema statunitense vi è l'obbligo generale della disclosure, la pubblicizzazione delle risorse economiche dell'interessato, del coniuge convivente e dei figli a carico: sono esclusi dalla pubblicizzazione i beni affidati ad un qualified blind trust o ad un qualified diversified trust; il livello della pubblicizzazione è massimo per i gradi più alti dell'Esecutivo mentre scema per i livelli più bassi dell'amministrazione.
Osserva quindi che il Presidente e il vice Presidente degli Stati Uniti e tutte le cariche che hanno bisogno dell'approvazione del Senato per esercitare le loro funzioni (ministri, ambasciatori, giudici della Corte Suprema, eccetera) hanno l'obbligo di presentare all'Office of Government Ethics una completa e dettagliata dichiarazione su tutti i propri redditi e su tutte le proprietà di cui dispongano; le dichiarazioni sono rese pubbliche; il Presidente e il vice Presidente non hanno altri oneri, tuttavia nella storia degli Stati Uniti è accaduto che di fronte a campagne di stampa o a pubbliche richieste di chiarimenti qualcuna di queste autorità abbia spontaneamente provveduto ad assumere decisioni dirette ad evitare il sia pur minimo sospetto di conflitto di interessi.
Ricorda poi che l'Office of Government Ethics, ricevute le dichiarazioni, può chiedere ulteriori chiarimenti all'interessato e può proporre misure dirette a prevenire possibili conflitti di interesse o a scongiurare il protrarsi di un conflitto già verificatosi; queste misure possono essere le più varie, inclusi il blind trust, l'alienazione o anche l'impegno ad astenersi dall'esercizio di determinate funzioni; se le misure proposte non hanno seguito, l'Office of Government Ethics informa l'istituzione competente che decide discrezionalmente i provvedimenti da adottare; l'Office of Government Ethics non è dunque un organo paragiudiziario né un organo abilitato ad applicare sanzioni, quanto piuttosto un organo consultivo, di supervisione e di certificazione della correttezza del comportamento tenuto dal titolare di una funzione di governo in adempimento delle direttive consigliate dall'Office of Government Ethics.
Osserva quindi che i maggiori Paesi europei, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna, hanno specifiche norme dirette a prevenire il conflitto di interessi: in nessuno di questi paesi è consentito al titolare di una responsabilità di governo di esercitare attività professionali, imprenditoriali o nella pubblica amministrazione.
In particolare, spiega che in Francia vige il principio dell'incompatibilità della carica di membro del Governo con molte attività pubbliche e private, e con incarichi direttivi in società finanziarie o società che hanno rapporti privilegiati con lo Stato, in società immobiliari o che hanno come finalità la costruzione di immobili destinati alla vendita. Ricorda altresì che ciascun membro del governo è obbligato a presentare ad un'apposita commissione (Commission pour la transparence financière de la vie politique, costituita dal vice presidente del Consiglio di Stato, dal presidente della Corte di Cassazione e dal presidente della Corte dei Conti) una denuncia della propria situazione finanziaria e patrimoniale; questa denuncia però, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, non è resa pubblica e non può esserne accertata la veridicità. Infine, ricorda che il codice penale francese punisce con pene severe, sino a cinque anni di reclusione, chi prende un interesse privato in atti di ufficio, norma questa la cui efficacia è attenuata dalla discrezionalità dell'azione penale.
Passando a trattare della Germania, ricorda che il cancelliere ed i ministri federali non possono esercitare nessun altro ufficio, nessun altro incarico remunerato,


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nessun mestiere, nessuna professione; non sono previste sanzioni specifiche per l'uomo di governo che versi in conflitto di interessi, ma la dottrina ritiene che il cancelliere debba astenersi dal chiamare a far parte del governo coloro che versino in potenziale conflitto di interessi e debba chiedere al presidente della Repubblica di revocare l'incarico ministeriale a chi successivamente si sia trovato in conflitto di interessi.
Venendo alla Spagna, osserva che tale Paese si è dotato di una nuova legge nell'aprile 2006; in base a tale legge, il Governo è tenuto a sottoporre al Congresso i nomi dei candidati alle più alte cariche dello Stato; il Congresso costituisce una commissione ad hoc per acquisire ogni documentazione dai candidati e decidere se esiste per taluno di essi un conflitto di interessi. Ricorda poi che, per tutte queste cariche e per gli incarichi di governo, è sancito il principio di esclusività: l'esercizio di funzioni pubbliche è incompatibile con qualsiasi altra funzione, pubblica o privata; è vietato altresì avere una partecipazione superiore al 10 per cento in imprese che abbiano relazioni contrattuali con la pubblica amministrazione; i beni mobiliari dei titolari di cariche pubbliche sono gestiti attraverso un blind trust; è altresì istituita una Officina de Conflictos de Interesse, organo del Ministero delle pubbliche amministrazioni, ma del tutto autonoma, che è competente a controllare il regime delle incompatibilità; chi viola le disposizioni sul conflitto di interessi è interdetto per dieci anni da qualsiasi incarico pubblico e quindi decade dalla carica; in caso di violazione, le imprese non potranno concludere contratti con le pubbliche amministrazioni per due anni.
Rileva quindi come la Gran Bretagna costituisca una sorta di caso a sé: la normativa in materia di conflitto di interessi vigente nel Regno Unito non prevede alcuna specifica disciplina legislativa, bensì regole deontologiche e principi di autoregolamentazione; ma i vincoli non sono per questo meno rigorosi, perché in questa materia anche le regole informali e prive di sanzione giuridica sono considerate cogenti dall'opinione comune; i criteri ai quali attenersi sono contenuti in Codici di condotta basati su alcune regole di portata generale individuate dalla Commissione sulle regole della vita pubblica (Committe on standards in public life); in genere, è prevista la «doverosa pubblicità degli interessi» (disclosure of interest) perseguita per i titolari di cariche di governo attraverso l'obbligatoria dichiarazione dei propri interessi privati (declaration and registration of interests); il codice di condotta (Ministerial Code) applicabile ai titolari di cariche di governo prevede che non debbano insorgere conflitti tra le cariche pubbliche e gli interessi privati. In particolare, ricorda che tale codice prevede due principali modalità attraverso le quali si determina il conflitto: esercizio di poteri o di influenza che incida sul valore degli interessi privati oppure impiego di particolari conoscenze acquisite nel corso dell'attività istituzionale, che possa arrecare benefici agli interessi privati. Ricorda inoltre che è rimesso alla responsabilità individuale decidere quali azioni mettere in campo per evitare un conflitto o la percezione di un conflitto, rispondendo della decisione assunta davanti al Parlamento; presso il Cabinet Office è stato istituito un ufficio cui i vari soggetti possono rivolgersi per chiarimenti e consigli in merito, anche avvalendosi del supporto di professionisti esterni al Governo; qualora sussistano dubbi sulla possibilità di porre un efficace rimedio al conflitto possono rendersi necessarie le dimissioni dalla carica politica; gli atti compiuti in condizione di conflitto di interessi possono essere annullati dal giudice.
Osserva inoltre come speciale attenzione nella disciplina britannica sia posta, invece, nel campo dei media, al problema dell'impiego dei mezzi di comunicazione per diffondere informazioni di carattere politico ed industriale. Il Bradcasting Act 1990, che rappresenta la disciplina generale di riferimento del settore dei media, prevede in particolare che la completezza e l'imparzialità dell'informazione radiotelevisiva siano posti come condizione di licenza delle emittenti; per la loro tutela


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sono previste specifiche norme di comportamento declinate nel Broadcasting Code - approvato dall'Autorità di settore - applicabili sempre e a tutte le emittenti. Due principi ivi contenuti sono di notevole rilievo: assicurare che le emittenti non usino la propria piattaforma per scopi personali, con riferimento alle questioni politiche ed industriali, ed assicurare che non sia concesso sostegno privilegiato all'opinione di particolari individui o gruppi.
Ricorda quindi che l'OCSE ha presentato nel maggio 2004 un rapporto sul conflitto di interessi che ha due principali obiettivi: identificare, prevenire ed affrontare i casi di conflitto di interessi e aumentare la trasparenza delle decisioni pubbliche quando queste potrebbero essere compromesse da casi di conflitto di interesse. Dopo aver sottolineato l'utilità del rapporto per il suo approccio molto concreto al tema, indica i punti principali dello stesso: bisogna distinguere a seconda che il conflitto sia attuale, apparente, reale, potenziale; il conflitto di interessi esiste quando un pubblico ufficiale ha propri privati interessi che potrebbero impropriamente influenzare la sua attività, i suoi doveri pubblici, la sua responsabilità; i privati interessi devono essere rilevanti dal punto di vista quantitativo oppure dal punto di vista qualitativo; si ha una situazione di apparente conflitto di interessi quando la situazione è tale da danneggiare seriamente la pubblica fiducia nel pubblico ufficiale; si ha una situazione di potenziale conflitto di interessi quando il pubblico ufficiale ha interessi rilevanti, ma i suoi compiti attuali non hanno nulla a che vedere con quegli interessi; il conflitto è effettivo quando si traduce in un abuso di ufficio; al fine di stabilire se i doni ricevuti possono dar vita ad un conflitto di interessi il rapporto suggerisce di porre quattro domande: il dono è stato in qualche modo sollecitato? l'accettazione del dono fa sì che una persona di buon senso possa ritenere che il pubblico ufficiale non potrà essere indipendente nel futuro? dopo aver accettato il dono, il pubblico ufficiale si potrà sentire totalmente libero nei confronti del donatore? il pubblico ufficiale è in grado di comunicare in modo trasparente alla sua organizzazione sindacale o politica, ai colleghi, ai media, al pubblico di aver ricevuto quel tipo di dono?; è suggerito, quindi, che i pubblici ufficiali presentino una pubblica dichiarazione in ordine ai propri rilevanti interessi; il pubblico ufficiale ha l'obbligo di astenersi quando può configurarsi una situazione di conflitto di interessi; in caso di conflitto è da prevedere il blind trust o anche la vendita dei beni in alternativa alle dimissioni.
Passa quindi a illustrare i principali contenuti della proposta di legge sul conflitto di interessi presentata nel maggio 2005 dalla giunta regionale della Sardegna, che, da quanto ha potuto appurare, è l'unica Regione ad aver avanzato proposte in materia. La proposta è a suo avviso complessa e molto ben motivata. Richiama quindi l'attenzione dei colleghi su tre aspetti di interesse specifico: la proposta presenta una definizione del conflitto di interessi che, a differenza della legge nazionale, ha carattere preventivo: sussiste conflitto di interessi quando esiste un conflitto tra i destinatari della legge e un loro interesse «personale o privato» in grado di influenzare impropriamente il corretto adempimento dei doveri pubblici o di produrre a suo vantaggio effetti diversi da quelli propri ad ogni altro soggetto appartenente alla Giunta regionale o al Consiglio Regionale (non è ben chiara, a suo avviso, la ragione per la quale il riferimento non riguarda tutti i cittadini ma solo i componenti del consiglio regionale o della giunta); è prevista l'istituzione di un'autorità regionale composta da tre personalità, eletta dal consiglio regionale con voto segreto e limitato ad un candidato, «garantendo la rappresentanza delle minoranze»; è previsto, invece della vendita o del blind trust, il blind management agreement, un istituto tratto dall'esperienza canadese, quando è diventato ministro delle Finanze Paul Martin, poi primo ministro: Martin era proprietario di un gruppo impegnato nella costruzione e nell'utilizzo di navi da carico, con un patrimonio pari a 690 milioni


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di dollari e ricavi annui per circa 300 milioni. Chiarisce che si tratta di un accordo con il quale il proprietario di una società resta legalmente tale, ma trasferisce tutti i diritti e i privilegi connessi alle azioni ad un terzo da lui scelto, ma soggetto al benestare dell'Autorità, che esercita i suoi poteri senza previe disposizioni; il terzo potrà fornire al proprietario solo i bilanci annuali e non potrà effettuare alcuna vendita delle azioni oggetto dell'intesa. A suo avviso, si tratta di una soluzione che merita di essere studiata.
Osserva poi come, nel dibattito pubblico sul conflitto di interessi, manchino riferimenti all'articolo 323 del codice penale sull'abuso di ufficio, anche se l'articolo 6 della legge vigente obbliga l'Autorità antitrust a denunciare all'autorità giudiziaria i comportamenti che abbiano rilievo penale. La norma punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione delle norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto. Come accade nel sistema francese e in quello statunitense la norma, sia pure con una sanzione assai blanda, punisce penalmente il conflitto di interessi in atto. Si tratterebbe di un reato ministeriale per eccellenza, se la condotta è tenuta da un ministro. Ritiene che il rapporto che passa tra la disciplina extrapenale del conflitto di interessi e la normativa penale sia di particolare interesse perché anche le più sofisticate costruzioni che potrebbero essere elaborate in questa sede rischiano di rivelarsi sterili a fronte della possibile applicazione della norma incriminatrice che ha un ambito di operatività particolarmente esteso.
Per evitare di delegare ancora una volta all'autorità giudiziaria la risoluzione di questioni eminentemente politiche, ritiene che sarebbe utile attribuire all'autorità, a quella ad hoc proposta dal progetto in esame, o all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, come nella legge vigente, anche il potere di svolgere una funzione di consulenza preventiva e di conseguente «certificazione» della condotta tenuta.
Si tratterebbe in questo caso, di mutuare la positiva esperienza svolta dall'Office of Government Ethics statunitense che, come ricordato, svolge anche questa funzione di alta consulenza nei confronti dei titolari di un eventuale conflitto di interessi.
Questa funzione può rivelarsi di particolare utilità nei casi in cui il comportamento dubbio sia stato posto in essere dal Presidente del Consiglio ed il Governo abbia posto la questione di fiducia.
Ricorda che di un caso simile ha dovuto occuparsi l'Autorità Antitrust, su sollecitazione di parlamentari dell'opposizione, nel corso della passata legislatura. Il governo aveva posto la questione di fiducia su un provvedimento che al suo interno conteneva disposizioni che avrebbero potuto favorire il Presidente del Consiglio ed un suo parente entro il secondo grado. Il Presidente del Consiglio non aveva partecipato alla seduta del Consiglio dei ministri che aveva deciso la fiducia, ma l'Autorità ha ritenuto che la sua assenza non fosse sufficiente per escludere il capo del Governo dal circuito decisionale. Per la sua specifica natura costituzionale, la questione di fiducia coinvolge necessariamente la responsabilità politica del Presidente del consiglio. La decisione di porre a questione di fiducia - ha statuito l'Autorità - è sempre imputabile al Presidente del Consiglio ed è quindi idonea a far sorgere un conflitto di interessi. Nella specie, il conflitto è stato ritenuto insussistente per il carattere trascurabile dell'impatto patrimoniale. Peraltro l'Autorità ha avuto l'accortezza di segnalare la difficoltà «di misurare e stabilire l'entità dell'impatto di una misura governativa su specifici patrimoni». Anche questo è un punto sul quale soffermare l'attenzione della Commissione: il conflitto di interessi scatta quando c'è un vantaggio patrimoniale, anche di


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entità non specificabile a priori? Ritiene che occorrerà cercare di dare una risposta insieme nel corso del lavoro della Commissione. Si tratta di valutare se nel conflitto di interessi debba prevalere la lesione dell'affidabilità dell'uomo di governo che potrebbe trarre comunque un vantaggio personale o l'effettivo uso del potere pubblico al fine di conseguire effettivi, significativi e documentati vantaggi patrimoniali.
Illustra quindi i caratteri fondamentali della attuale legge sul conflitto di interessi: sono destinatari della legge il Presidente del Consiglio dei ministri, i ministri, i vice ministri, i sottosegretari di Stato, i commissari straordinari del Governo; queste autorità devono dedicarsi esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e devono astenersi dal compimento di atti - inclusa la partecipazione a deliberazioni collegiali - «in situazione di conflitto di interessi». Osserva in proposito che la legge non prevede tra i destinatari né gli amministratori regionali né gli amministratori degli enti locali, ma rinvia alla legislazione regionale. Ritiene che bisognerà valutare, alla luce dell'interpretazione che dell'articolo 117 della Costituzione ha dato la Corte costituzionale, se non sia più coerente e corretto colmare questa lacuna con normativa statale, per preservare il valore dell'unità dell'ordinamento giuridico.
Quanto ai profili di incompatibilità, ricorda che per la prima volta, nella legge vigente, è prevista una disciplina delle incompatibilità per membri del Governo; l'incompatibilità riguarda: ogni carica o ufficio pubblico, con alcune eccezioni; cariche, uffici o funzioni in enti di diritto pubblico, anche economici; cariche, uffici, funzioni o compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale, o in associazioni o società tra professionisti (l'imprenditore individuale provvede a nominare uno o più institori, ai sensi del codice civile); l'esercizio di attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di Governo; l'esercizio di qualsiasi tipo di impiego o lavoro sia pubblico, sia privato; l'esercizio di funzioni di amministratore regionale. Sottolinea che, singolarmente, non è incompatibile l'esercizio delle funzioni di amministratore locale. Ricorda inoltre che gli incarichi e le funzioni incompatibili cessano con effetto dalla data del giuramento relativo agli incarichi di Governo e comunque dalla data di effettiva assunzione delle cariche; qualora non siano cessati, provvede l'Autorità garante della concorrenza e del mercato; dopo il termine dell'incarico di Governo, l'incompatibilità sussiste per ulteriori dodici mesi nei confronti di cariche in enti di diritto pubblico e in società con fini di lucro che operano in settori connessi con la carica ricoperta; quanto ai rapporti d'impiego o di lavoro pubblico o privato, è previsto il collocamento in aspettativa.
Osserva inoltre che, per quanto attiene alla definizione di conflitto di interessi, la legge ha scelto il criterio del conflitto reale e non il criterio del conflitto potenziale: nella logica della legge, il conflitto potenziale è risolto con il criterio della incompatibilità; pertanto, il conflitto sussiste quando il titolare di cariche di Governo partecipa all'adozione di un atto - anche formulando la proposta - o omette un atto dovuto: se versa in situazione di incompatibilità; se l'atto o l'omissione ha avuto un'«incidenza specifica e preferenziale» sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, o delle imprese o società da essi controllate, con danno per l'interesse pubblico. Si tratta di qualsiasi vantaggio che in modo particolare, ancorché non esclusivo, si può determinare nel patrimonio dei soggetti interessati, anche quando l'azione di governo è formalmente destinata alla generalità dei cittadini; osserva che può trattarsi anche del patrimonio di imprese o società controllate dai destinatari dell'obbligo; violano il divieto anche gli atti che costituiscano o mantengano una posizione dominante sul mercato, ivi comprese le imprese che operano nel settore delle comunicazioni.
Passando a illustrare gli obblighi di dichiarazione, ricorda che la legge in vigore stabilisce che chi assume la titolarità


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di cariche di Governo ha l'obbligo di comunicare all'Autorità garante della concorrenza e del mercato l'eventuale titolarità di cariche o attività incompatibili nonché tutti i dati relativi alle attività patrimoniali di cui sia titolare, o di cui sia stato titolare nei tre mesi precedenti; gli obblighi di dichiarazione sono estesi al coniuge ed ai parenti entro il secondo grado; le dichiarazioni sono rese anche all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando le incompatibilità o i dati patrimoniali afferiscano a settori di sua competenza. Ricorda inoltre che le dichiarazioni incomplete o non veritiere o la mancata effettuazione delle dichiarazioni stesse costituiscono reato: le due Autorità provvedono agli accertamenti di competenza.
Passando alla materia relativa alla comunicazione, ricorda che essa, stante il rilievo specifico che la comunicazione ha nel mondo contemporaneo e stante la specifica posizione in questo campo di uno dei leader politici del Paese, è trattata con specifiche disposizioni: le imprese che operano nel Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC) e che «fanno capo» al titolare di cariche di governo, al coniuge o ai parenti entro il secondo grado, ovvero sono da essi controllate, non devono fornire un sostegno privilegiato al titolare di cariche di governo; l'espressione «fanno capo» tende evidentemente a sottolineare il dato di fatto sostanziale, al di là delle cortine formali che il proprietario effettivo può sollevare per occultare la sua posizione.
Quanto alle competenze dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ricorda che l'Autorità è competente ad accertare la sussistenza di situazioni d'incompatibilità e di situazioni di conflitto d'interesse: nel primo caso, l'Autorità promuove gli adempimenti volti a superare la situazione di incompatibilità, che vengono eseguiti dagli organi di volta in volta competenti, e ne dà comunicazione ai Presidenti delle due Camere; nel secondo caso, l'Autorità non ha poteri diretti nei confronti del titolare di cariche di Governo, ma comunica ai Presidenti delle Camere il risultato degli accertamenti svolti, indicando la situazione di privilegio; l'Autorità può invece diffidare ed eventualmente infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese che pongano in essere comportamenti volti ad avvantaggiarsi degli atti adottati in situazioni di conflitto d'interesse.
Segnala inoltre che, a seguito degli accertamenti o dell'eventuale irrogazione di sanzioni pecuniarie alle imprese, l'Autorità deve effettuare una comunicazione motivata diretta ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; tale comunicazione deve indicare: i contenuti della situazione di privilegio; gli effetti distorsivi realizzatisi sul mercato; le conseguenze della situazione di privilegio; le eventuali sanzioni inflitte alle imprese. Ritiene che, a questo punto, i Presidenti delle Camere dovrebbero informare le Assemblee; ciascun Gruppo e ciascun parlamentare può assumere le iniziative ritenute più congrue, dal silenzio alla mozione di sfiducia individuale.
Passando all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ricorda che essa ha compiti di vigilanza, di accertamento e sanzionatori non nei confronti del titolare di cariche di governo, ma nei confronti delle imprese che facciano capo al titolare medesimo - ovvero al coniuge o ai parenti entro il secondo grado, o che siano da essi controllate - qualora tali imprese operino nei settori del Sistema Integrato delle Comunicazioni: si tratta del «settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni»; oggetto del controllo e di eventuale sanzione sono i comportamenti che forniscano un «sostegno privilegiato» al titolare di cariche di governo ovvero vìolino le disposizioni di ordine generale volte a disciplinare l'esercizio dell'attività radiotelevisiva, l'assetto complessivo del settore delle comunicazioni e la comunicazione politica attraverso i mezzi di informazione.


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Ricorda infine che le sanzioni pecuniarie previste nella normativa sulle comunicazioni possono essere aumentate sino a un terzo, in relazione alla gravità della violazione, che l'Autorità informa il Parlamento degli accertamenti effettuati e delle eventuali sanzioni irrogate.
Segnala poi che entrambe le Autorità comunicano ogni sei mesi alle Camere, attraverso apposite relazioni, lo stato delle attività di controllo e vigilanza che sono ad esse attribuite: le relazioni sono state puntualmente presentate e sono di particolare interesse per il nostro lavoro.
Passa quindi a illustrare le disposizioni, di carattere sia interpretativo sia procedimentale, emanate dalle due Autorità in attuazione della legge: naturalmente i provvedimenti amministrativi delle due Autorità si distinguono nettamente tra loro in relazione al fatto che una delle due ha competenza generale mentre l'altra ha competenza soltanto per quanto attiene al sistema delle comunicazioni.
Ricorda quindi che il regolamento approvato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella interpretazione dei diversi concetti chiave (ufficio pubblico, compiti di gestione, impresa) segue correttamente un criterio sostanziale e prescinde dalle qualificazione formali delle singole funzioni o delle singole attività; nella competenza dell'Autorità rientrano anche le iniziative legislative del membro del Governo: l'interpretazione è interessante e sembra corretta data la lettera dell'articolo 3 della legge che richiede che l'atto abbia «un'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio ... con danno per l'interesse pubblico»; poiché non si parla di vantaggio ma di incidenza, il concetto è certamente più elastico e tale da tollerare anche la mera eventualità del vantaggio concreto.
Segnala altresì che il concetto è ribadito nell'articolo 5 del regolamento, laddove si dice che l'Autorità prende in considerazione qualsiasi vantaggio che in modo particolare, ancorché non esclusivo, «si può determinare» nel patrimonio dei soggetti interessati.
È altresì interessante, a suo avviso, l'interpretazione del concetto di danno per l'interesse pubblico, che sussisterebbe: quando l'atto o l'omissione del titolare della carica di governo è idoneo ad alterare il corretto funzionamento del mercato (si richiede che l'atto sia idoneo a produrre il danno, non si chiede che il danno sia stato effettivamente prodotto); quando l'incidenza specifica e preferenziale è «frutto di una scelta manifestamente ingiustificata in relazione ai fini istituzionali cui è preordinata l'azione di governo»: tale ultima interpretazione sembra particolarmente idonea a recuperare i valori costituzionali di affidabilità e credibilità dell'azione di governo.
Fa presente altresì che il regolamento approvato dall'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni determina la propria competenza riferendosi alle imprese che fanno parte del Sistema Integrato delle Comunicazioni avuto riguardo, spiega l'articolo 1, ai principi fondamentali «del pluralismo, dell'obbiettività, della completezza, della lealtà e dell'imparzialità dell'informazione»; per sostegno privilegiato si intende anche «qualsiasi forma di vantaggio, diretto, indiretto, politico, economico, di immagine al titolare di cariche di governo».
Ricorda poi che l'ambito di competenza dell'Autorità è fissato nella legge sul conflitto di interessi che richiama le quattro leggi fondamentali della materia (leggi n. 223 del 1990, n. 249 del 1997, n. 28 del 2000 e n. 112 del 2004); sulla base di questo richiamo, il regolamento stabilisce che chi comunica all'Autorità dati o notizie non corrispondenti al vero è punito con le pene previste dall'articolo 2621 del codice civile (reclusione da uno a cinque anni); chi non provvede, nei termini e con le modalità richieste dall'Autorità, a fornire i dati richiesti è punito, in base all'articolo 1, commi 29 e 30, della legge n. 249 del 1997, istitutiva dell'Autorità, con la sanzione amministrativa pecuniaria da uno a duecento milioni di lire.
Considera utile rilevare altresì che chi omette di fornire all'Autorità garante della concorrenza e del mercato i dati da essa


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richiesti è punito a norma dell'articolo 328 del codice penale, con la reclusione da sei mesi a due anni.
In proposito, suggerisce l'opportunità di valutare se questa differenza di sanzione sia giustificata dal particolare rilievo che ha il sistema radiotelevisivo per la formazione del consenso o se non sia piuttosto il caso di prevedere la parificazione delle sanzioni, o verso l'alto o verso il basso.
Quanto ai rilievi sollevati dalle due Autorità sulla legge, ricorda che esse hanno dovuto svolgere i loro controlli nei confronti di tre Governi (Berlusconi I, Berlusconi II e Prodi II): pur nel breve arco di tempo di applicazione della legge è dunque stato possibile, proprio per il succedersi di ben tre diversi governi, compiere un'esperienza applicativa assai rilevante. Le relazioni presentate al Parlamento documentano in modo inappuntabile il lavoro svolto, le difficoltà incontrate, le soluzioni adottate e pertanto intende dare atto della qualità del lavoro svolto dalle due Autorità, anche perché, nella scorsa legislatura, l'opposizione ha manifestato il timore che il criterio di nomina dei presidenti delle Autorità, da parte del Governo, avrebbe inciso sull'obiettività e sul rigore del loro lavoro: i fatti hanno smentito quella preoccupazione, in quanto il lavoro delle autorità è stato obiettivo, fermo ed equilibrato, ispirato alla difesa rigorosa dei valori costituzionali.
Dopo aver ricordato che le Autorità si sono preoccupate nel corso delle diverse relazioni di segnalare al Parlamento i punti della legge che l'esperienza indicava come meritevoli di una correzione, dà conto sinteticamente dei suggerimenti delle Autorità che hanno rilevato che: l'articolo 2, comma 1, lettera a) ha escluso dalle incompatibilità gli amministratori di enti locali, ma non i consiglieri regionali; l'articolo 2, comma 1, lettera d), prevede il «divieto di esercitare attività professionali o di lavoro autonomo connesse con la carica di governo»: l'accertamento della connessione non è agevole e può dar luogo a conflitti interpretativi; l'articolo 2, comma 4, prevede che l'incompatibilità successiva riguarda società che operino «prevalentemente» in settori connessi con la carica ricoperta: è difficile dare un contenuto specifico al «prevalentemente»; manca l'obbligo di segnalare gli incarichi assunti successivamente alla cessazione della carica; l'articolo 3 prevede la necessità di un collegamento formale e funzionale tra l'atto, il titolare che l'ha adottato e il suo patrimonio, pertanto non sussiste conflitto di interessi quando un ministro compie un atto che produce un rilevante vantaggio patrimoniale ad un suo collega di governo: una delle due Autorità ha segnalato un caso concreto; il medesimo articolo 3 prevede il danno per l'interesse pubblico come elemento ulteriore rispetto alla lesione dell'interesse al corretto esercizio dell'attività di governo: dovrebbe essere sufficiente la lesione di quest'ultimo interesse; l'articolo 5, comma 1, prevede che i titolari della carica dichiarino le situazioni di incompatibilità all'atto dell'assunzione della carica: quindi il titolare deve effettuare una propria preventiva valutazione che può dar adito a differenze e contrasti nei confronti di valutazioni che in situazioni analoghe abbiano compiuto suoi colleghi o abbia compiuto l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Questa Autorità ha segnalato che il sistema appare «non del tutto coerente ed impedisce all'Autorità di accedere direttamente, tramite le dichiarazioni degli interessati, alle informazioni di base che rivelino tutte le situazioni suscettibili di essere valutate in relazione all'articolo 2 della legge» (Doc. CCXXII, n. 1, p. 21); l'articolo 6, comma 8 prevede che: «L'Autorità procede a diffidare l'impresa, quando essa pone in essere comportamenti diretti a trarre vantaggio da atti adottati in conflitto di interessi e vi è la prova che chi ha agito conosceva tale situazione di conflitto»: occorrerebbe verificare l'adozione di comportamenti diretti ad avvantaggiarsi da atti compiuti in conflitto di interessi e la consapevolezza della sussistenza del conflitto di interessi da parte del soggetto che ha agito e in molti casi può essere assai difficile se non impossibile provare questa consapevolezza; il regime sanzionatorio per le imprese


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non è efficace: in caso di violazione della legge (e cioè in caso di mancata ottemperanza alla diffida adottata dall'Autorità) la sanzione pecuniaria è commisurata nel massimo al vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall'impresa (articolo 6, comma 8); mancano disposizioni in materia di pubblicità delle decisioni, a differenza di quanto accade per altri settori di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (articolo 26 della legge n. 287 del 1990; articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 284 del 2003); il coniuge e i parenti dei destinatari delle norme sul conflitto di interessi non incorrono in alcuna sanzione se non presentano la dichiarazione sullo stato patrimoniale; non è previsto per gli affini l'obbligo di presentare la dichiarazione sullo stato patrimoniale; non è indicata la quota minima in partecipazioni azionarie che fa scattare il conflitto di interessi: l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha fissato la soglia di 25.000 euro ovvero la misura del 2 per cento per le azioni aventi diritto di voto; all'articolo 7, comma 1, c'è una incongruenza: l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve accertare se le imprese che operano nel Sistema Integrato delle Comunicazioni, violando le disposizioni delle quattro leggi pilastro sopra citate, forniscano un sostegno privilegiato al titolare di cariche in potenziale conflitto di interessi, ma nelle quattro leggi si rinvengono solo marginalmente precetti rivolti agli editori di quotidiani e periodici e mancano del tutto le direttive rivolte agli altri soggetti compresi nel Sistema Integrato delle Comunicazioni (cinema, sponsorizzazioni, eccetera); i titolari della carica, a norma dell'articolo 5, comma 3, devono dichiarare all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni situazioni di incompatibilità che riguardano editoria e radiotelevisione, ma non situazioni di incompatibilità che riguardino gli altri settori del Sistema Integrato delle Comunicazioni; ulteriori problemi solleva l'impianto sanzionatorio, per il quale la legge sul conflitto di interessi rinvia alle quattro leggi pilastro. Questo impianto è in sé particolarmente debole (l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha segnalato più volte questa debolezza) ed in più è particolarmente indeterminato in alcune prescrizioni: la legge n. 28 del 2000 sulla par condicio prevede solo il ripristino della parità di accesso ai media. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si rifà all'articolo 1, comma 3, della legge n. 249 del 1997 per il caso di violazione degli ordini e delle diffide emanati dall'Autorità; l'articolo 9, comma 1, della legge n. 28 del 2000 stabilisce che «Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni». Ne consegue, e così si è comportata l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che le emittenti radiotelevisive private non sono destinatarie di questa normativa e non sono perseguibili in caso di violazione.
Venendo a illustrare la proposta di legge in esame, ricorda che essa è stata presentata da tutti i presidenti di gruppo della maggioranza ed ha quindi un particolare peso politico; essa ripropone, in pratica, la proposta di legge A.C. 2214, recante «Norme in materia di conflitto di interessi», presentata nel corso della legislatura scorsa dai deputati Rutelli ed altri, e sostituisce integralmente la legge n. 215 del 2004, della quale dispone l'abrogazione. Passa quindi a illustrare gli aspetti fondamentali del provvedimento. Le categorie dei destinatari coincidono con quelle della legge vigente: nulla è previsto per gli amministratori regionali e degli enti locali. Le incompatibilità sono più rigide rispetto alla legge vigente; è prevista una generale incompatibilità con qualunque altro tipo di attività, pubblica o privata, senza eccezioni; l'incompatibilità scatta dal momento del giuramento e comunque dal momento dell'effettiva assunzione della carica; in ogni caso, l'apposita Autorità istituita dall'articolo 5 (cui sarebbero attribuite le competenze che oggi esercitano l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e


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l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), ricevute le dichiarazioni degli interessati in ordine alle loro attività patrimoniali, può, caso per caso, determinare se le attività patrimoniali denunciate, a causa dei «poteri e delle funzioni attribuite agli interessati», sono suscettibili di determinare conflitti di interessi; qualche equivoco può forse nascere dal rapporto tra il primo comma dell'articolo 2, per il quale è incompatibile ogni impiego pubblico o privato, e il terzo comma dello stesso articolo, per il quale l'impossibilità di esercitare attività professionali sembra limitata a coloro che sono iscritti in albo o in elenchi professionali.
L'articolo 5 prevede l'istituzione di un'Autorità indipendente denominata «Autorità garante dell'etica pubblica e della prevenzione dei conflitti di interessi»: l'Autorità è un organo collegiale composto da cinque membri, il cui mandato ha durata settennale e non è rinnovabile; i componenti l'Autorità non possono esercitare attività professionali o di consulenza o altri uffici pubblici o privati durante l'esercizio del loro mandato (comma 3); nei due anni successivi alla cessazione delle loro funzioni non possono assumere cariche pubbliche non elettive; quattro dei cinque membri sono eletti, in numero di due da ciascuna Camera, tra «persone di notoria indipendenza» scelte tra i magistrati, i professori universitari ordinari di materie giuridiche o economiche, o personalità altamente specializzate provenienti dai settori economici; la disposizione prevede espressamente la modalità di voto di tali soggetti da parte delle Camere (voto limitato ad un solo nominativo); il quinto membro del collegio è il presidente, il quale viene designato dai quattro membri elettivi entro venti giorni a decorrere dal decreto di nomina. Qualora i membri dell'Autorità non designino il presidente entro il termine stabilito, si prevede che esso sia designato mediante sorteggio tra i giudici costituzionali in carica: si dovrebbe accertare, nel corso della discussione, se questa soluzione sia compatibile con lo specifico status costituzionale dei giudici della Consulta; lo status dei membri dell'Autorità è equiparato a quelli dei giudici costituzionali; specifiche disposizioni riguardano la costituzione degli uffici dell'Autorità.
Per quanto attiene ai compiti previsti per l'Autorità, segnala che essa, in base alla proposta di legge in esame, deve: accertare le situazioni di incompatibilità disciplinate della legge; vigilare sul rispetto dei divieti e degli adempimenti cui sono tenuti i titolari di cariche di Governo (articolo 7); promuovere l'esercizio dell'attività sanzionatoria prevista dalla legge stessa, fatte salve in ogni caso le eventuali conseguenze penali o disciplinari delle relative violazioni.
Segnala inoltre che, in base al comma 2, l'Autorità può esprimere, su richiesta del Governo, pareri sui disegni di legge e sulle proposte di legge, e sugli schemi di atti normativi, mentre particolare rilievo assume l'articolo 12, concernente le procedure istruttorie per l'adozione degli atti dell'Autorità e la relativa tutela giurisdizionale: il comma 1 prevede che per l'espletamento delle funzioni proprie, l'Autorità possa chiedere «a qualsiasi organo della pubblica amministrazione, e ad ogni altro soggetto pubblico», nonché a società private, dati e notizie «concernenti la materia disciplinata dalla legge». Al riguardo, osserva che dal tenore dell'inciso non risulta precisato se i soggetti cui la richiesta è rivolta siano tenuti a fornire le informazioni o possano adempiervi discrezionalmente; conseguentemente, se e quali limiti siano posti all'Autorità nell'acquisizione di tale documentazione. Fa inoltre presente che l'Autorità può espletare indagini, verifiche, accertamenti avvalendosi della collaborazione di amministrazioni ed enti pubblici.
Ricorda poi che il comma 3 dell'articolo 12 prevede l'adozione di particolari modalità per garantire ai titolari delle cariche di Governo e ai gestori interessati la piena conoscenza degli atti istruttori; in particolare, si stabilisce che tali disposizioni siano fissate, su proposta dell'Autorità, con decreto del Presidente della Repubblica. Desidera richiamare l'attenzione dei colleghi su questo punto perché la


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previsione di un decreto del Presidente della Repubblica per l'emanazione di una deliberazione dell'Autorità risulta innovativa rispetto alla normativa vigente, in quanto le delibere delle esistenti autorità non necessitano solitamente di tale emanazione, e ricorda che il regime di adozione degli atti presidenziali è individuato dall'articolo 89 della Costituzione.
Segnala altresì che i provvedimenti adottati dall'Autorità sono impugnabili dinanzi ad un collegio costituito da tre giudici estratti a sorte all'inizio di ogni legislatura tra i magistrati di Corte d'appello (si presume di Roma); la decisione del Collegio è impugnabile con ricorso in Cassazione, che decide entro trenta giorni in sezione composta dal primo presidente e da quattro giudici estratti a sorte tra i magistrati della Corte stessa.
Richiama poi l'attenzione sulla mancata previsione di poteri sanzionatori in capo all'Autorità, poteri che invece possono esercitare, e in pratica hanno esercitato, tanto l'Autorità garante della concorrenza e del mercato quanto l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; né l'Autorità potrebbe far pervenire al Parlamento o al Governo segnalazioni attinenti a materie che rientrano nelle sue competenze.
Ricorda poi che i beni immobili posseduti, anche per interposta persona, ricadono nell'ambito di applicazione della legge solo se strumentali ad un'attività d'impresa: ad esempio, immobili che non sono utilizzati per l'esercizio di un'impresa (case, terreni) esulano dall'ambito di applicazione della legge; i valori mobiliari, posseduti anche per interposta persona, ricadono nell'ambito di applicazione della legge solo se superano il valore complessivo di 10 milioni di euro. A questo proposito, riterrebbe utile precisare il momento nel quale va effettuata la valutazione, poiché è noto ad esempio che i titoli azionari possono avere oscillazioni anche rilevanti (forse potrebbe pensarsi al valore medio nell'anno precedente l'assunzione dell'incarico). Si chiede poi se il tetto fissato non sia particolarmente elevato. Segnala inoltre che la proposta nulla dice in ordine a patenti, brevetti, licenze, diritti di autore che pure condividono lo stesso carattere di strumentalità rispetto all'esercizio dell'impresa e, a differenza della legge vigente, non fa alcun riferimento né al coniuge, né ai parenti, i quali possono essere interessati solo se titolari per conto e nell'interesse di chi ricopre uno degli uffici di cui si occupa la legge.
Ricorda altresì che le partecipazioni rilevanti in imprese che operano in settori strategici (difesa ed energia) oppure in settori particolarmente rilevanti ai fini dei valori della democrazia politica (servizi erogati in concessione o con autorizzazione, imprese dell'informazione editrici di testate a diffusione nazionale) sono sempre suscettibili di determinare conflitti di interesse a meno che l'Autorità Garante, sentite l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e le Autorità di settore eventualmente competenti (l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in caso di mezzi di informazione) accerti ed attesti «motivatamente» la posizione marginale dell'impresa nel settore di attività ovvero la sua non rilevanza in relazione alle specifiche funzioni e a poteri inerenti all'incarico esercitato.
In proposito, ricorda che la nozione di partecipazione rilevante si desume dall'articolo 2359, commi 1 e 3, del codice civile, e dall'articolo 7 della legge n. 287 del 1990; in base all'articolo 2359 del codice civile, si considerano controllate le società nei cui confronti un'altra società: dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; esercita un'influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali.
Ricorda che invece, in base all'articolo 7 della legge n. 287 del 1990, si ha controllo in presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un'influenza determinante sulle attività di un'impresa, anche attraverso diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del


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patrimonio; diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un'influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi; il controllo è acquisito dal soggetto che sia titolare o beneficiario dei rapporti giuridici suddetti ovvero che, pur non essendo titolare o beneficiario, abbia il potere di esercitare i diritti che ne derivano.
Fa quindi presente che nella proposta non è prevista una definizione di conflitto di interesse, ma dal contesto risulta in modo chiaro che finalità della proposta è prevenire, non reprimere possibili situazioni di coesistenza tra interesse pubblico ed interessi privati; nel corso della discussione si dovrà decidere se definire esplicitamente il conflitto di interessi. A suo avviso, questa definizione sarebbe necessaria soprattutto se si dovesse accedere ad una funzione preventiva della legge e ad un sistema sanzionatorio efficace.
Ricorda poi che i titolari di cariche di governo, entro venti giorni dall'assunzione della carica, devono comunicare all'Autorità i dati necessari all'accertamento delle eventuali situazioni di incompatibilità e quelli relativi alla propria situazione patrimoniale; vanno analogamente comunicate le variazioni successivamente intercorse; se, a seguito dell'accertamento operato entro i successivi trenta giorni, l'Autorità riscontra l'incompletezza o la non veridicità delle dichiarazioni, provvede a richiedere un'integrazione all'interessato.
Rileva poi che, in caso di ulteriore violazione, l'Autorità informa i soggetti competenti affinché sia risolta l'incompatibilità attraverso la rimozione o la decadenza dalla carica o dall'ufficio, la risoluzione del rapporto di lavoro ovvero la sospensione dall'abilitazione professionale o, ancora, la revoca dell'eventuale concessione, autorizzazione o licenza alla quale sia soggetta l'attività imprenditoriale svolta; la lettera a) del comma 2 dell'articolo 4 dispone testualmente: «la rimozione o la decadenza dalla carica o dall'ufficio da parte del Presidente della Repubblica, del Presidente della Camera dei Deputati o del Senato della Repubblica...»: occorrerebbe stabilire a quali cariche si fa riferimento essendo dubbio che, senza una norma costituzionale, si possa dichiarare decaduto un ministro; nei casi di sottosegretari, viceministri, commissari straordinari dovrebbe operare il Governo e quindi dovrebbe essere informato il Presidente del Consiglio dei Ministri, che invece non è citato nell'articolo 4.
Segnala poi che i valori mobiliari devono essere conferiti - entro il termine stabilito dall'Autorità - ad una gestione fiduciaria disciplinata sul modello del blind trust; per le altre attività patrimoniali del titolare delle cariche di Governo che siano suscettibili di determinare conflitti di interessi, il titolare di una carica di Governo presenta all'Autorità, entro venti giorni dall'assunzione della carica, una proposta relativa alle misure idonee a prevenire il conflitto di interessi; l'Autorità, entro i successivi trenta giorni, può accettare le proposte dell'interessato oppure, dopo aver sentito l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ed eventualmente la Commissione nazionale per le società e la borsa e le autorità di settore, indicare al titolare della carica pubblica modalità alternative per prevenire il conflitto di interessi.
Ricorda che tra le modalità alternative potrebbe essere prevista la vendita: in tale eventualità, l'Autorità fissa il termine entro il quale la vendita stessa deve essere completata; trascorso tale termine vi provvede l'Autorità stessa anche con un'offerta pubblica di vendita.
Per i valori immobiliari affidati ad una gestione fiduciaria, ricorda che il titolare della carica di Governo interessato ha il diritto di essere informato con periodicità trimestrale, attraverso l'Autorità, del solo risultato economico complessivo della gestione, e di percepire ogni semestre il reddito maturato; ha inoltre diritto a ottenere un rendiconto contabile della gestione al momento della cessazione della carica (commi 3 e 4).
Fa altresì presente che l'Autorità garante vigila sull'osservanza, nella gestione del patrimonio, dei principi stabiliti dalla legge e sull'effettività della separazione


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della gestione (comma 5); le operazioni finalizzate sia al trasferimento dell'impresa al gestore, sia alla successiva restituzione al proprietario godono di un regime di neutralità fiscale.
Osserva che la disciplina sin qui sintetizzata si applica anche nel caso che il titolare della carica di Governo abbia ceduto i propri beni dopo il conferimento della carica, o nei tre mesi precedenti, ad uno dei seguenti soggetti: coniuge, parente o affine entro il quarto grado; società collegata, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile; persona fisica o giuridica a cui il patrimonio venga ceduto allo scopo di eludere la disciplina.
Ricorda infine che, in caso di violazione degli obblighi o divieti recati dal provvedimento dell'Autorità, la proposta stabilisce la decadenza della concessione (o di analoghi atti di assenso da parte della pubblica amministrazione) alla quale sia eventualmente subordinato l'esercizio dell'attività economica; alle imprese nelle quali i titolari di cariche di governo abbiano partecipazioni rilevanti è vietato instaurare alcun rapporto giuridico con amministrazioni pubbliche e ottenere concessioni.
Passa quindi a definire i principali campi di discussione in materia di conflitto di interessi, a cominciare dal problema della definizione di conflitto di interessi: come già ricordato, mentre la legge vigente definisce il conflitto di interessi, sia pure con limitazioni che sono appare eccessive all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la proposta all'esame della Commissione non offre alcuna definizione; stante il carattere preventivo della proposta e le significative sanzioni che sono connesse alla presenza del conflitto, sarebbe forse più corretto definire il conflitto anche avvalendosi dell'esperienza e dei suggerimenti delle due Autorità di garanzia che sinora hanno esercitato la responsabilità di gestire le situazioni di conflitto. In caso si accedesse a questa ipotesi, dovrebbe a suo avviso essere tipizzato non l'atto, né il vantaggio patrimoniale, perché la proposta ha carattere preventivo e non repressivo; bisognerebbe invece operare sviluppando la nozione di incompatibilità con riferimento alla contemporanea titolarità di una funzione pubblica qualificata e di un altrettanto qualificato interesse privato.
Per quanto attiene al problema dei soggetti destinatari, osserva che esso presenta due facce: la legge vigente considera destinatari dell'obbligo di denuncia anche il coniuge e i parenti sino al secondo grado, mentre la proposta in esame si riferisce soltanto ai titolari delle funzioni pubbliche, pur non limitandosi alla titolarità giuridica, ma alla situazione di fatto.
In ogni caso, ritiene che si dovrebbe valutare se sia più congruo, ai fini della coerenza della disciplina, riprendere i criteri usati nella legge vigente e quindi estendere l'obbligo di dichiarazione anche al coniuge ed ai parenti entro il secondo grado; in questo caso occorrerebbe probabilmente, recependo il suggerimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, estendere l'obbligo anche agli affini e sanzionarne l'omissione.
Il secondo aspetto che intende sottolineare riguarda gli amministratori regionali e locali, rispetto ai quali la legge vigente rinvia alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, mentre la proposta in esame tace su questo tema. Suggerisce l'utilità di un approfondimento in materia, anche perché sembra che nessuna Regione abbia sinora legiferato sul tema e riterrebbe utile estendere la normativa sul conflitto di interessi agli amministratori regionali ed agli amministratori locali di grandi province e grandi comuni: in molti casi, infatti, un presidente di Regione o un sindaco di grande città esercita più poteri reali di un sottosegretario o di un ministro e ha quindi una capacità maggiore di turbare i valori etici e di mercato che sono a fondamento della legge.
Quanto al problema se questa materia rientri nelle competenze della legislazione statale, ritiene che non sussista alcun dubbio per gli enti locali, in quanto la lettera p) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione assegna espressamente


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allo Stato la competenza su organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, province e città metropolitane.
Tuttavia, a suo avviso, il fondamento di una competenza statale anche per le Regioni risiede altrove: ritiene infatti che i principi attinenti ai doveri dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche (articolo 54, comma 2, della Costituzione) e al buon andamento e all'imparzialità dell'amministrazione pubblica (articolo 97, comma 1, della Costituzione), come anche i principi attinenti alla libera concorrenza, alla prevenzione di posizioni dominanti e al pluralismo dei mezzi di informazione, tutti a fondamento di una legislazione sul conflitto di interessi, debbano essere classificati tra quelli che sulla base di numerose decisioni della Corte costituzionale riguardano «l'unità giuridica» e «l'unità economica» della Repubblica e che come tali fanno capo «naturalmente» allo Stato come ultimo responsabile del mantenimento dell'unità e indivisibilità della Repubblica, garantita dall'articolo 5 della Costituzione. Considera perciò opportuno valutare questo problema nel corso della discussione.
Quanto al tema della pubblicità delle dichiarazione patrimoniali, oggi sembra che non debba essere data alcuna pubblicità alle dichiarazioni; sulla questione la proposta in esame tace e quindi dovrebbero applicarsi i principi generali sulla riservatezza. Ricorda che nella legislazione statunitense è fissato il principio opposto, quello della massima trasparenza, ed altrettanto vale in Italia per i parlamentari: crede pertanto che si potrebbe proporre un sistema analogo a quello che si applica per i parlamentari.
Venendo a parlare dell'autorità di controllo e delle sue funzioni, ricorda che nella scorsa legislatura si discusse a lungo circa l'autorità che avrebbe dovuto avere il compito di applicare la legge sul conflitto di interessi: molte proposte di legge, a partire da quella presentata dal Governo, proponevano l'istituzione di un'autorità ad hoc. Ricorda altresì che questa tesi venne criticata in particolare dal professor Caianello, che temeva la costituzione di un «intruso» che si frapponesse tra Parlamento e Governo usurpando funzioni proprie del Parlamento: infatti, una volta configurato il conflitto di interessi come compimento o omissione di un atto, è evidente che il compito dell'Autorità non avrebbe riguardato più soltanto la presenza di situazioni di incompatibilità ritenute dalla legge idonee a produrre un conflitto di interessi, come nella proposta in esame, ma la natura, i caratteri e gli effetti di uno specifico atto di governo ritenuto capace di avvantaggiare l'uomo di governo.
Osserva che questa critica non convince, perché sarebbe valida nei confronti di qualunque tipo di autorità, comprese le due istituzioni alle quali la legge ha poi ha affidato i compiti di governo della materia; l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni hanno svolto il loro compito con obiettività e senso dello Stato: l'eventuale costituzione di una nuova autorità non potrebbe essere frutto di un giudizio critico sul loro operato ma solo di una diversa costruzione del conflitto di interessi e soprattutto di un'applicazione delle nuove norme anche agli amministratori regionali e dei maggiori enti locali, estensione che il considera auspicabile.
Se si accedesse all'ipotesi di una nuova autorità, sarebbe a suo avviso necessario, come fa la proposta in esame, prevedere comunque un ruolo assai significativo tanto per l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per le questioni attinenti alle turbative del mercato, quanto per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in relazione alle questioni relative ai mezzi di informazione.
Segnala inoltre l'opportunità che l'Autorità abbia anche funzioni consultive per i destinatari della legge al fine di individuare, caso per caso, le soluzioni più idonee ad evitare il conflitto di interessi.
Infine, riterrebbe opportuno liberare il campo da un equivoco che è emerso in qualche recente dichiarazione alla stampa: questa autorità, qualora si decidesse di istituirla, non sarebbe un'autorità «etica» incaricata di giudicare i comportamenti


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sulla base di parametri morali; sarebbe un'autorità amministrativa, non meno dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato o dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, che giudicherebbe di comportamenti e di atti sulla base di precisi parametri giuridici che si dovranno definire con particolare cura, dati gli effetti che derivano dalla loro violazione.
Quanto poi alle categorie della ineleggibilità e della incompatibilità, osserva che esse per molti aspetti interferiscono con la materia del conflitto di interessi; nel nostro ordinamento l'intera materia è priva di ordine e di coerenza perché frutto di normative che si sono succedute nel tempo. Sarebbe probabilmente utile, a suo avviso, rimettere mano al tema seguendo anche in questo caso i suggerimenti della Corte costituzionale, che in più occasioni ha manifestato un giustificato sfavore per l'estensione della categoria dell'ineleggibilità, perché in possibile contrasto con l'articolo 51 della Costituzione, che intende estendere al massimo l'elettorato passivo.
A proposito della ineleggibilità, intende proporre alla Commissione la possibilità di attribuire, con legge costituzionale, alla Corte costituzionale la competenza ad intervenire sulla materia, come in Francia e Germania; l'esperienza ci dice che nei sistemi maggioritari come quello italiano, le maggioranze di qualsiasi colore tendono a privilegiare il principio di maggioranza rispetto al principio di legalità. Una rivisitazione della materia delle incompatibilità, inoltre, consentirebbe a suo avviso di evitare «interpretazioni di legislatura», dipendenti cioè dalle maggioranze di legislatura (si riferisce in particolare alla incompatibilità tra le funzioni di parlamentare e di sindaco o presidente di provincia) e permetterebbe di meglio definire casi che potrebbero dar luogo a conflitto di interessi; dovrebbe altresì continuare ad essere disciplinata l'incompatibilità successiva, come fa la legge oggi in vigore. Ritiene che si potrebbe chiedere agli uffici di preparare una rassegna della normativa e della giurisprudenza in materia di ineleggibilità e incompatibilità e poi decidere il da farsi.
Quanto poi all'obbligo di vendere, la proposta in esame prevede come «ultima ratio», qualora nessuna altra misura risulti idonea, la vendita delle attività patrimoniali diverse dai valori mobiliari: è una misura certamente radicale che, se adottata, va circondata di adeguate garanzie; non si tratta tuttavia di una novità, in quanto la vendita forzosa è già prevista in numerosi casi dall'ordinamento. Ricorda infatti che gli articoli 2357 e 2359-bis del codice civile stabiliscono l'alienazione obbligatoria in tema di acquisto di azioni proprie e di quote della società controllante da parte della società controllata, oltre i limiti fissati dalla legge; l'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 385 del 1993, per prevenire conflitti di interessi tra banche e imprese, pone limiti di partecipazione azionaria delle imprese nelle banche con obbligo di vendita delle azioni eccedenti; infine, l'articolo 6 della legge n. 287 del 1990 attribuisce all'Autorità garante della concorrenza e del mercato poteri interdittivi nei confronti di operazioni di concentrazione derivanti da fusioni o acquisizioni: l'Autorità può sospendere le operazioni; per quelle che si sono già perfezionate, l'Autorità può prescrivere le misure necessarie «a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva»; tra queste misure rientrano lo scioglimento dell'impresa risultante dalla fusione oppure la vendita delle partecipazioni.
Ricorda altresì che dalle audizioni disposte nella scorsa legislatura emerge che le posizioni oscillano tra chi ritiene che la vendita forzosa sia sempre e comunque incostituzionale (Caianello), chi la ritiene corretta se posta in alternativa alle dimissioni dalla carica all'interno di un procedimento formale legato alla incompatibilità (Angiolini), chi (Cassese) ritiene che vada definita l'incompatibilità prevedendo come alternativa alla decadenza dalla carica la revoca delle concessioni governative (ove l'attività imprenditoriale sia svolta in regime di concessione). Peraltro ricorda


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che anche un fermo avversario della vendita come il professore Caianiello, rispondendo nella seduta del 28 gennaio 2002 ad una domanda del deputato Boato, disse testualmente: «Tale soggetto (quello in conflitto di interessi) può sapere che per la prima volta viene applicata la sanzione pecuniaria di 100 miliardi, la seconda volta si sospende l'amministratore, la terza volta si riceve una sospensione (forse: sanzione) interdittiva dell'esercizio dell'attività fino a giungere anche a misure che potrebbero essere di privazione della proprietà quando si dovessero "sforare" gli ultimi capisaldi (come il cartellino giallo e quello rosso nel calcio)».
In ogni caso, si dovrebbe a suo avviso tener conto delle seguenti considerazioni: la vendita forzosa è di per sé una decisione che, per la sua radicalità, va attentamente valutata; la vendita, a differenza di altre misure, ha effetti permanenti e quindi, se prevista, dovrebbe esserlo come misura da ultima ratio e sempre all'interno di una previsione di incompatibilità, per dare al soggetto interessato la possibilità di scelta tra la conservazione dell'incarico e la dismissione del bene; in un mercato ristretto come quello italiano, l'obbligo di vendere importanti asset industriali potrebbe avere come conseguenza tanto grave quanto non voluta la riduzione della ricchezza nazionale. Proporrebbe pertanto di studiare con attenzione la proposta canadese del blind management agreement.
Quanto all'alternativa tra misure preventive o misure successive, evidenzia che la legge in vigore ha carattere prevalentemente repressivo, interviene cioè dopo che l'uomo di governo ha compiuto l'atto o tenuto il comportamento omissivo che integra il conflitto di interessi.
Rileva che, invece, la proposta in esame ha carattere prevalentemente preventivo, cerca cioè di individuare, attraverso la categoria della incompatibilità, tutte le situazioni che possono dar adito a conflitto di interessi. Personalmente ritiene che una normativa efficace debba essere preventiva e oggettiva: una disciplina preventiva garantisce meglio la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e può meglio raggiungere lo scopo di una gestione della cosa pubblica disinteressata nella sostanza e nell'apparenza.
Sottolinea altresì l'importanza di una disciplina oggettiva, perché qui non si discute della moralità o della correttezza dei comportamenti, né della buona o cattiva intenzione dell'uomo di governo, ma della eliminazione di quelle situazioni oggettive che possono dar luogo a conflitti di interessi, indipendentemente dalla volontà del soggetto; naturalmente, poi, le specifiche norme di carattere penale dovrebbero intervenire in caso di presa concreta di un interesse privato in un atto di governo.
Passando quindi a trattare di un campo specifico, quale il rapporto tra conflitto di interessi e mezzi di comunicazione, osserva che la normativa sui mezzi di comunicazione ha l'obiettivo di garantire la correttezza dell'informazione sotto due profili tra loro connessi: assicurare la massima possibile obiettività della comunicazione ed evitare un uso distorto della comunicazione quando i titolari di cariche di governo siano collegati a società concessionarie del settore radiotelevisivo.
In questa sede ritiene ci si debba occupare del secondo profilo: la prima considerazione riguarda l'evoluzione del mercato dei media verso la tecnologia digitale, che ha comportato una mutazione dello scenario giuridico e di mercato. In particolare, ricorda che il regime delle concessioni - che individuava un unico soggetto, l'emittente, come realizzatore tanto del palinsesto quanto della diffusione del segnale - è stato sostituito da un regime autorizzatorio più articolato che ha visto nascere due distinte figure, quella del fornitore di contenuti e quella dell'operatore di rete; quest'ultimo si trova nella condizione di diffondere, oltre ai propri contenuti, anche quelli di fornitori terzi, sui quali potrebbe esercitare condizionamenti e limitazioni a danno del pluralismo ed a vantaggio del proprio titolare.
Allo stesso tempo segnala come occorra tener presente che stanno cominciando a diffondersi nuovi sistemi di comunicazione (via Internet ad esempio), che possono


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riproporre il tema del conflitto di interessi anche con riferimento a differenti realtà digitali: contenuti informativi tipicamente televisivi vengono ora diffusi anche attraverso l'uso di piattaforme tecnologiche diverse da quella tradizionale della televisione su frequenze terrestri. Pertanto, ritiene che limitare il controllo unicamente ai concessionari radiotelevisivi potrebbe risultare insufficiente.
In ogni caso, una riflessione crede vada fatta rispetto alla tradizionale impostazione fondata sul modello della concessione: i titoli giuridici abilitativi, infatti, alla luce della normativa europea, sono oggi cambiati e consistono prevalentemente in autorizzazioni generali e marginalmente in licenze; in particolare, nelle comunicazioni elettroniche (concetto che in base alle direttive europee comprende tutte le reti di trasmissione indipendentemente se utilizzate per radiotelevisione o per telecomunicazioni) è previsto il solo strumento dell'autorizzazione generale affiancata dall'attribuzione di diritti d'uso per l'impiego delle risorse di frequenza.
Osserva dunque che, nel settore dei media, i soggetti vanno individuati come titolari di concessione per la televisione analogica, di autorizzazione generale per i fornitori di contenuti, di licenze per gli operatori di rete e di autorizzazioni generali per gli operatori di telecomunicazioni, che usano la rete per distribuire contenuti, e per i fornitori degli stessi contenuti.
Desidera inoltre svolgere un'ulteriore considerazione di prospettiva, osservando che, negli USA, recentemente è sorto un dibattito sul tema del conflitto di interessi relativo alla possibilità che i grandi fornitori di contenuti su Internet (ad esempio Google, Yahoo, Microsoft MSN) polarizzino i loro motori di ricerca, indirizzando i risultati in modo più gradito a determinate parti politiche: con ciò essi possono trasformare un'azione di ricerca, appartenente neutrale, in una forma di condizionamento politico dell'opinione pubblica.
Al riguardo, ritiene che potrebbe essere utile trovare una formula che all'occorrenza dia alle istituzioni competenti (ad esempio l'ipotizzata Autorità sul conflitto di interesse o l'Autorità di settore) la flessibilità per intervenire.
Dichiara inoltre che una particolare attenzione dovrebbe essere posta in tutti quei casi in cui la pratica di «sostegno privilegiato» all'uomo di governo sia riconducibile ad un'impresa operante nel settore dei media, la cui titolarità sia riferibile direttamente o indirettamente a soggetti che rivestono cariche di governo o comunque a soggetti politici; in questi casi, l'apparato normativo della par condicio, che è limitato alla campagna elettorale, si rivela per alcuni aspetti insufficiente, perché il sostegno privilegiato estende la sua portata al di là del tempo limitato della campagna elettorale, e per altri aspetti inutilmente oppressivi, in quanto evidentemente il rigore della par condicio in campagna elettorale non è estensibile in misura indeterminata senza produrre serie distorsioni nel sistema stesso della comunicazione.
Ricorda in proposito che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in una recente sentenza relativa ad un provvedimento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (TAR Lazio, sez. III-ter, n. 6832/2006) ha ribadito che l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche costituiscono principi fondanti dell'ordinamento radiotelevisivo e non possono operare solo nel periodo della propaganda elettorale; tale sentenza ha riconosciuto la legittimità dell'Autorità - e quindi a maggior ragione del legislatore - di porre regole finalizzate a garantire l'osservanza di quei principi senza limitazioni di carattere temporale.
Nel caso in cui ad un soggetto politico o di governo sia comunque riconducibile un'impresa del settore dei media osserva che potrebbero, pertanto, essere previste anche nella legge sul conflitto di interessi regole che tendano ad impedire il sostegno privilegiato realizzato mediante la lesione dei principi sopra enunciati.
Quanto infine al profilo della trasparenza, ritiene che si dovrebbe riflettere sull'opportunità di prevedere un obbligo


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per l'Autorità preposta di informare periodicamente (ogni tre-sei mesi) il Parlamento sui i dati relativi alle presenze politiche nei programmi delle emittenti o dei fornitori di contenuti nazionali.
Osserva poi come in questa materia venga spesso citato il caso del sindaco di New York, Michael Bloomberg, proprietario di una grande rete televisiva specializzata di informazioni di carattere finanziario; il Conflict of interest Board di New York ha emesso quattro anni fa un interessante provvedimento nei suoi confronti: esso ha premesso che la titolarità di un interesse proibito ai sensi dello Statuto della città «deve portare alla dismissione della situazione proprietaria ovvero alla sua comunicazione al Board e conformarsi alle sue disposizioni»; il Board non ha tuttavia imposto di vendere le televisioni perché si sarebbe trattato «di un servizio di informazione finanziaria privo di rilevanza politica», ma ha imposto al sindaco di astenersi da tutte le decisioni dell'Amministrazione inerenti le trasmissione televisive via cavo e lo ha obbligato ad alienare cospicue partecipazioni azionarie.
In conclusione, dopo aver ribadito la già accennata necessità di costruire un sistema coerente di previsioni, osserva che l'attuale normativa dichiara incompatibili con le cariche di governo tutti i dipendenti di un'impresa mentre lascia pienamente compatibile il proprietario; restano alcune gravi indeterminatezze nei rami alti dell'amministrazione mentre sono imposte a tutti i pubblici dipendenti, attraverso il Codice di comportamento (approvato nel 1994), severe restrizioni ogni qualvolta possa configurarsi anche solo in apparenza un conflitto di interessi. Ritiene che tali incoerenze vadano superate.
Sintetizza quindi le proposte specifiche di lavoro che, come contributo ai lavori della Commissione, sottopone all'attenzione dei colleghi:
valutare l'idoneità dell'attuale nozione legislativa di conflitto di interessi e decidere se conferire un carattere preventivo a tale nozione;
rendere rilevante ai fini del conflitto di interessi ogni atto del governo o del singolo ministro, anche se firmato dal direttore generale, che avvantaggi in modo specifico e preferenziale il responsabile politico dell'atto o un altro componente del Governo;
definire chiaramente i doveri pubblici dei destinatari della legge (come fa l'articolo 1 della legge vigente), sulla base delle previsioni costituzionali relative alla pubblica amministrazione e a chi esercita pubbliche funzioni;
estendere l'applicabilità della legge anche agli amministratori regionali e dei grandi enti locali;
rendere pubbliche le dichiarazioni patrimoniali dei destinatari della legge, come oggi accade per i parlamentari;
istituire un'Autorità autonoma, con irrobustimento dell'organico in relazione ai compiti;
attribuire alla nuova Autorità gli stessi poteri sanzionatori che hanno oggi le due Autorità che gestiscono la materia, con le correzioni proposte dalle stesse Autorità;
fare dell'Autorità un organo capace di fornire anche consulenza preventiva e di determinare insieme all'interessato le misure più opportune per prevenire conflitti di interessi;
prevedere l'obbligo di comunicare gli atti di governo anche all'Autorità, che avrebbe poi il dovere di informare il presidente del Consiglio (o il presidente di Regione e di Provincia ovvero il sindaco) in ordine ai possibili casi di conflitto di interesse;
preferire la categoria della incompatibilità a quella della ineleggibilità;
dedicare un apposito approfondimento al tema dei mezzi di comunicazione tenendo conto delle innovazioni e delle continue trasformazioni che riguardano il settore;


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guardare con la necessaria prudenza alla tipologia delle procedure preventive e delle sanzioni successive al fine di tipicizzare misure efficaci e non esorbitanti rispetto allo scopo.

Ritiene che la Commissione saprà valutare caso per caso le soluzioni più opportune, più congrue, più eque, costituzionalmente corrette.
In proposito osserva che la legge deve garantire insieme il massimo accesso possibile all'attività politica e la massima trasparenza dell'attività di chi esercita funzioni pubbliche ed è perciò stesso al servizio esclusivo della Nazione; una buona legge sul conflitto di interessi è una necessità democratica anche nel nostro Paese, come in tutte le altre democrazie avanzate. Crede che le sue finalità debbano essere la tutela della trasparenza e della credibilità dell'azione di governo, la prevenzione di posizioni dominanti nel mercato, l'integrazione del sistema di regole che garantiscono la libera concorrenza: ogni altra finalità sarebbe di ostacolo insuperabile al nostro lavoro.
Ricorda infine che lo Statuto della città di New York afferma che un'efficace regolazione dei conflitti di interesse deve «conservare la fiducia nei funzionari pubblici, promuovere l'affidamento dei cittadini verso il Governo, preservare la non influenzabilità dei processi decisionali dell'esecutivo, accrescerne l'efficienza» (capitolo 68 del Preambolo): sono finalità che la Commissione potrebbe sforzarsi di conseguire attraverso i suoi lavori.
Con riferimento alle modalità di prosieguo dei lavori da parte della Commissione propone di valutare l'opportunità di procedere alle audizioni dei presidenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni.

Italo BOCCHINO (AN), intervenendo sull'ordine dei lavori, in considerazione dell'ampiezza della relazione svolta dal presidente, propone di rinviare alla prossima settimana l'inizio della discussione di carattere generale, così da consentire ai componenti della Commissione di approfondire i numerosi ed interessanti spunti offerti dalla relazione medesima.

Gabriele BOSCETTO (FI) si associa alla richiesta del deputato Bocchino, rilevando come la relazione abbia aperto prospettive più ampie rispetto ai termini del proposta di legge in esame. Ritiene pertanto che sarebbe utile un rinvio della discussione di carattere generale, al fine di approfondire i nuovi elementi contenuti nella relazione, ivi compresi i riferimenti alla legislazione degli altri Paesi e in particolare del Canada. Nel dichiarare di condividere l'opportunità di procedere alle audizioni dei presidenti delle due Autorità competenti, anche in considerazione del fatto che le decisioni di tali autorità hanno oggettivamente ampliato e reso più incisiva la disciplina del conflitto di interessi, osserva che potrebbe essere utile audire altresì un ristretto numero di altri soggetti.

Roberto COTA (LNP) ringrazia il presidente per l'impostazione che ha inteso dare alla discussione del provvedimento in esame e si augura che essa sia mantenuta nel seguito dell'esame. Si associa quindi alla richiesta di rinvio della discussione di carattere generale alla prossima settimana, in considerazione della ricchezza di argomenti che ha caratterizzato la relazione e che meritano un opportuno approfondimento.

Roberto ZACCARIA (Ulivo) si associa agli apprezzamenti dei colleghi per la relazione svolta dal presidente e, pur sottolineando l'esigenza che l'esame del provvedimento proceda speditamente, dichiara di condividere la richiesta di rinvio della discussione generale alla prossima settimana. Ritiene inoltre che i soggetti da audire nell'ambito dell'esame del provvedimento potranno essere individuati nel corso di tale discussione. Suggerisce infine la possibilità di acquisire nel corso della presente seduta un chiarimento, da parte del ministro Chiti, sulle iniziative che il Governo intende assumere in materia.


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Graziella MASCIA (RC-SE) si unisce al generale apprezzamento per la relazione del presidente, che consente a suo avviso di avviare l'esame del provvedimento in un clima positivo, secondo una impostazione seria e rigorosa. Ritiene inoltre giusto che all'esame in Commissione del provvedimento siano dedicati tempi congrui e ritiene pertanto che le richieste di rinvio possano essere accolte. Rileva infine che sarebbe opportuno individuare i soggetti da audire a seguito della discussione di carattere generale sul provvedimento.

Felice BELISARIO (IdV) condivide le considerazioni dei colleghi circa l'opportunità di prevedere tempi adeguati per l'esame del provvedimento, che rappresenta una proposta iniziale, anche al fine di consentire la formazione del consenso più ampio possibile. Suggerisce quindi l'opportunità di procedere alle audizioni delle due Autorità competenti in materia prima dell'inizio della discussione generale, rinviando, invece, lo svolgimento di una ulteriore attività conoscitiva ad una fase successivs.

Marco BOATO (Verdi) si associa ai ringraziamenti rivolti al presidente per l'ampia e interessante relazione svolta. Pur osservando che, ove vi fossero colleghi pronti a intervenire, la discussione generale potrebbe iniziarsi nella giornata di domani, ritiene che le richieste di rinvio alla prossima settimana possano senz'altro essere accolte. Concorda inoltre con il deputato Belisario sull'opportunità di procedere tempestivamente all'audizione dei presidenti delle Autorità competenti, eventualmente anche prima dell'avvio della discussione generale. Sottolinea poi come la proposta di legge in esame riproduca una proposta già avanzata dall'allora opposizione nella scorsa legislatura, con l'intento, come si legge nella relazione di accompagnamento, di aprire un ampio confronto sull'argomento, e osserva come anche la relazione svolta dal presidente appaia animata dallo stesso spirito. Dichiara infine di condividere la proposta del deputato Boscetto circa l'opportunità di svolgere ulteriori audizioni a seguito della discussione generale.

Francesco ADENTI (Pop-Udeur) si associa ai colleghi che lo hanno preceduto nel ringraziare il presidente per l'approfondita relazione, che, a suo avviso, può aiutare ad affrontare in modo serio un tema su cui è evidente la necessità di intervenire. Ritiene inoltre che sarebbe importante raggiungere il consenso più ampio possibile sul provvedimento in esame, anche al fine di sancire con forza l'assenza di qualsiasi intento punitivo. Nell'osservare che la materia del conflitto di interessi non costituisce, a suo avviso, una priorità dell'agenda politica, sottolinea comunque la necessità di procedere ai necessari approfondimenti. Ritiene pertanto che sia condivisibile la proposta di procedere ad un ciclo di audizioni e suggerisce l'opportunità di ascoltare, tra gli altri, il professor Guido Rossi, in quanto estensore della proposta di legge della Regione Sardegna, cui ha fatto riferimento il presidente.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, sulla base degli interventi dei colleghi, ritiene che, dopo l'intervento del rappresentante del Governo, si possa rinviare alla prossima settimana l'esame del provvedimento, valutando la possibilità di procedere già a partire dalla giornata di martedì alle audizioni dei presidenti delle due Autorità competenti.

Il ministro Vannino CHITI esprime apprezzamento per la relazione svolta dal presidente, che dimostra la volontà e la possibilità di procedere nell'esame del provvedimento in modo serio e costruttivo, tenendo nel debito conto la legislazione degli altri Paesi. Osserva poi che, nel caso dell'Italia, gli elementi da cui partire siano non soltanto la proposta di legge all'esame della Commissione, ma anche i rilievi delle Autorità competenti, richiamati nella relazione. L'obiettivo da perseguire è, a suo avviso, che quanti ricoprono incarichi di Governo o funzioni equivalenti si dedichino in modo esclusivo all'esercizio delle


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loro funzioni pubbliche. Ricorda inoltre che il Governo, pur ritenendo di non poter rimanere estraneo alla disciplina di una materia così delicata, ha salutato con favore la presentazione di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, in quanto giudica che ciò possa favorire un confronto più sereno tra maggioranza e opposizione, a differenza di quanto avvenne nella scorsa legislatura, quando l'iniziativa in materia fu assunta direttamente dal Governo; naturalmente, il Governo seguirà con attenzione il dibattito parlamentare e interverrà nel corso della discussione. Illustra poi l'avviso del Governo, in base al quale la disciplina del conflitto d'interessi dovrebbe riguardare anche le funzioni di governo negli enti locali nonché le funzioni equiparate a quelle di governo, e ricorda come in altri Paesi le disposizioni in materia si applichino anche agli uffici di diretta collaborazione di chi riveste cariche di governo. Sotto questo profilo, ritiene che gli strumenti più idonei possano essere individuati nell'approvazione di una legge delega per quanto attiene agli enti locali e nell'assegnazione alle Regioni di un termine entro cui queste debbano dotarsi di una legislazione efficace, all'interno di un quadro di principi definiti a livello nazionale. Dopo aver dichiarato di condividere ipotesi quali l'estensione agli affini del soggetto in conflitto d'interessi dell'obbligo di presentare la dichiarazione sullo stato patrimoniale, la pubblicità di tali dichiarazioni e la sanzionabilità della mancata presentazione, sottolinea l'importanza di offrire idonee garanzie al titolare di attività economiche che si trovi a doverle affidare a un blind trust. Rileva inoltre come la soluzione adottata in Canada e citata dal presidente nella sua relazione meriti attenzione e approfondimento. Per quanto poi attiene al soggetto incaricato di gestire l'applicazione della futura legge e i suoi rapporti con le Autorità esistenti, sottolinea l'esigenza che esso sia costruito tenendo conto della già ricordata esigenza di estendere la disciplina del conflitto d'interessi al livello delle Regioni e degli enti locali. Si dichiara comunque d'accordo sull'opportunità di affidare a tale soggetto funzioni di consulenza, fatti naturalmente salvi i necessari poteri sanzionatori. Conclude ribadendo l'intenzione del Governo di favorire un confronto aperto e costruttivo tra maggioranza e opposizione sul provvedimento in esame.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, in considerazione della eventualità di estendere agli enti locali l'ambito di applicazione della nuova disciplina in materia di conflitto d'interessi, suggerisce di valutare l'opportunità di procedere, nel corso dell'esame del provvedimento, all'audizione di rappresentanti delle associazioni di province e comuni.

Gabriele BOSCETTO (FI), intervenendo sull'ordine dei lavori fa presente la difficoltà sua e di alcuni colleghi a intervenire alle riunioni di Commissioni che si svolgono la mattina del martedì.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, pur riconoscendo l'esistenza del problema, ritiene che esso possa essere affrontato nella prossima riunione dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale.
C. 203 cost. Zeller, C. 980 cost. Bressa e C. 1241 cost. Boato.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato da ultimo nella seduta del 1o agosto 2006.

Michaela BIANCOFIORE (FI) chiede che l'esame del provvedimento possa essere rinviato al fine di consentire che la proposta di legge da lei presentata su materia analoga sia assegnata a questa Commissione per poterne valutare l'eventuale


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abbinamento alle proposte di legge in oggetto.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Difensore civico delle persone private della libertà personale.
C. 626 Mazzoni, C. 1090 Mascia e C. 1441 Boato.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 1o agosto 2006.

Domenico BENEDETTI VALENTINI (AN) dichiara che il gruppo di Alleanza Nazionale ha una posizione tendenzialmente non favorevole sulle proposte di legge in esame, pur rilevando che sulla complessiva problematica delle persone in stato di detenzione si registra una diffusa sensibilità da parte di molti settori della vita politica nazionale. Osserva come le emergenze del settore carcerario abbiano indotto spesso il legislatore a prevedere interventi per disciplinare la normativa in questione. Tuttavia ritiene che, per assicurare un idoneo funzionamento delle strutture carcerarie, sia inutile prevedere l'istituzione di nuove figure di dubbia utilità, essendo preferibile potenziare le strutture già esistenti, con particolare riferimento alla magistratura di sorveglianza, che è l'organismo concepito con le specifiche funzioni di tutelare i soggetti detenuti. Con riferimento al Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, come disciplinato dalle proposte di legge in esame, ritiene che la scarsa chiarezza in ordine ai poteri ed alle funzioni conferiti allo stesso ne renderebbe problematica l'operatività, rischiando inoltre, a causa dell'aumento del numero dei contenziosi, di essere pregiudizievole rispetto al fine per il quale è stato concepito. Tale figura rischierebbe inoltre di entrare in conflitto ed in contraddizione con gli altri soggetti deputati alla gestione ed all'amministrazione delle strutture carcerarie. Sottolinea quindi come dalle proposte di legge in esame derivino oneri per le finanze pubbliche che potrebbero essere più opportunamente utilizzati per potenziare le strutture già esistenti. Conclude evidenziando come a livello regionale e locale siano già state intraprese apposite iniziative per garantire la istituzione di figure analoghe a quella in esame.

Marco BOATO (Verdi) ricorda che nel corso della passata legislatura era stato esaminato da questa Commissione un analogo provvedimento, varato a larghissima maggioranza, il cui iter in Assemblea si concluse per la fine della legislatura stessa. Dichiara di condividere il contenuto della relazione del deputato Mascia e dell'intervento del deputato Amici svolti nel corso della seduta del 1o agosto scorso. Con riferimento all'intervento del deputato Benedetti Valentini, ritiene che esso rappresenti un arretramento della posizione del gruppo rispetto a quella espressa nella scorsa legislatura. In particolare osserva che la perplessità relativa al fatto che a livello locale siano state istituite figure analoghe a quella in esame dovrebbe invece rappresentare un incentivo per il Parlamento a legiferare, al fine di evitare che sulla materia vengano previste a livello locale più discipline diverse tra loro. Ritiene che la figura del Garante in esame debba rappresentare una sorta di magistratura di persuasione, che riguarda la vita di tutti i soggetti privati della libertà personale, inclusi i minori, come già opportunamente evidenziato dal presidente Violante nel corso della seduta del 1o agosto scorso. Conclude affermando che, seppure il provvedimento in esame necessiti di adeguati tempi di riflessione, si potrebbe prevedere un termine entro il quale dare mandato al relatore per la predisposizione di un testo unificato da sottoporre alla Commissione, evitando invece la costituzione di un Comitato ristretto.

Jole SANTELLI (FI) dichiara preliminarmente la posizione favorevole del proprio


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gruppo sulle proposte di legge in esame, già espressa nel corso della passata legislatura sul provvedimento recante analoghe disposizioni. Ritiene che la figura di un Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale debba essere munita di una forza adeguata ad operare un efficace controllo, non limitato solo alla verifica dei diritti dei detenuti, ma esteso alla valutazione delle condizioni del complessivo istituto della detenzione e di quanti operano all'interno delle strutture carcerarie. Ritiene inoltre necessario approfondire i rapporti della figura in esame con la magistratura di sorveglianza, che tuttavia per diverse ragioni non è riuscita a svolgere compiutamente il compito per il quale è stata istituita. Con riferimento al contenuto delle proposte di legge in esame, dichiara preliminarmente di condividere la previsione per cui la nomina dei componenti dell'Autorità sia fatta dal Parlamento a maggioranza assoluta. Non condivide invece l'opportunità di creare una commistione tra l'attività del Garante e quella delle strutture regionali ritenendo più opportuno mantenere separati i due ambiti. In ordine ai settori di competenza dell'Autorità, ritiene che essi debbano essere rigorosamente circoscritti, evitando che siano estesi ai centri di permanenza temporanea ed assistenza e alle camere di sicurezza, cosa che altrimenti ne altererebbe la natura. Conclude invitando il relatore a riflettere sull'opportunità di restituire alcuni poteri, attualmente attribuiti alla magistratura di sorveglianza, alla competenza delle strutture amministrative, che meglio conoscono la situazione dei detenuti.

Roberto COTA (LNP) rileva che, nonostante la diffusa esigenza di razionalizzare il numero delle autorità e dei relativi componenti, le proposte di legge in esame vanno nella direzione opposta. Ritiene che sussista un significativo problema rappresentato dai rapporti che sorgerebbero tra la figura del Garante in esame e la magistratura di sorveglianza, attualmente competente a garantire il rispetto dei diritti dei detenuti. Ritiene che sia più opportuno intervenire sul problema in discussione mediante una commissione d'inchiesta ovvero una commissione di indagine su argomenti mirati, ovvero mediante un coinvolgimento del Consiglio superiore della magistratura.

Maurizio TURCO (RosanelPugno) ritiene preliminarmente che su questo tema debba essere tenuto in considerazione il dibattito attualmente in corso a livello europeo sulla situazione delle carceri, e in particolare quello presso il Consiglio d'Europa. Ritiene che la figura del Garante in esame debba avere natura provvisoria. Essendo lo scopo delle proposte di legge in esame quello di assicurare il rispetto dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, ritiene che si debbano preliminarmente esaminare le ragioni del fallimento della magistratura di sorveglianza, organismo istituito proprio con tale finalità. Ritiene che debbano essere altresì esaminati i rapporti del Comitato per la prevenzione della tortura nonchè la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo al fine di prevedere una disciplina che garantisca l'effettivo rispetto delle leggi a tutela dei detenuti. Infine, con riferimento all'attuale situazione nelle carceri, esprime perplessità sull'attività svolta dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria.

Luciano VIOLANTE, presidente, fa presente che nella giornata di domani potranno avere luogo ulteriori interventi nell'ambito della discussione di carattere generale, al termine della quale ritiene opportuno chiedere al relatore di predisporre una proposta di testo base, anche mediante l'eventuale elaborazione di un testo unificato. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifica alla legge sulla cittadinanza.
C. 24 Realacci, C. 938 Mascia e C. 1529 Boato.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 3 agosto 2006.


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Roberto COTA (LNP) chiede che l'esame delle proposte di legge in titolo sia rinviato per consentire l'abbinamento del disegno di legge di iniziativa governativa sulla stessa materia, che è già stato presentato, ma non ancora assegnato alla Commissione.

Luciano VIOLANTE, presidente, dichiara di condividere la richiesta formulata dal deputato Cota e propone di rinviare l'esame della materia alla seduta di martedì 19 settembre 2006. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.50.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Aggregazione del comune di Lamon alla Regione Trentino-Alto Adige.
C. 1359 cost. Boato e C. 1427 cost. Governo.
Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende relative ai fatti accaduti a Genova nel luglio 2001 in occasione del vertice G8 e delle manifestazioni del Genoa Social Forum.
C. 1043 Mascia e C. 1098 Sgobio.