II Commissione - Resoconto di marted́ 17 luglio 2007


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SEDE REFERENTE

Martedì 17 luglio 2007. - Presidenza del presidente Pino PISICCHIO, indi del vicepresidente Daniele FARINA, indi del presidente Pino PISICCHIO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la Giustizia Luigi Scotti.

La seduta comincia alle 9.45.

Riforma dell'ordinamento giudiziario.
C. 2900, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Pino PISICCHIO, presidente, avverte che è stato chiesto che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Il disegno di legge in esame è iscritto nel calendario dell'Assemblea a partire dal 23 luglio prossimo con la clausola «ove concluso dalla Commissione». Come è stato più volte affermato dal Presidente della Camera, in simili contingenze «la Commissione non è obbligata a concludere l'esame in tempi compatibili con la programmazione dei lavori dell'Assemblea». L'iscrizione condizionata di un progetto di legge nel calendario dei lavori dell'Assemblea non limita infatti i poteri relativi all'organizzazione del procedimento, che l'articolo 79, comma 1, del Regolamento, attribuisce all'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ovvero, in difetto della prescritta maggioranza, al suo Presidente.
Come pertanto stabilito a seguito della riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti di gruppo, di giovedì 12 luglio scorso, nella seduta odierna la Commissione inizierà l'esame del disegno di legge, la cui conclusione è prevista entro venerdì 20 luglio prossimo. L'esame preliminare proseguirà nella seduta convocata oggi al termine delle votazioni della seduta pomeridiana dell'Assemblea per concludesi nella seduta convocata domani alle ore 8.30. Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato alle ore 17 di domani mercoledì 18 luglio. Questi saranno esaminati a partire dalla seduta convocata domani al termine delle votazioni della seduta pomeridiana


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dell'Assemblea nonché nelle sedute convocate giovedì 19 e venerdì 20 luglio alle ore 8.30, al termine delle votazioni della seduta antimeridiana dell'Assemblea e al termine delle votazioni della seduta pomeridiana dell'Assemblea. La conclusione dell'esame del provvedimento è previsto entro venerdì 20 luglio. Come si è avuto modo di precisare nel corso della riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti di gruppo, di giovedì 12 luglio scorso, l'organizzazione dei lavori della Commissione potrà subire delle variazioni alla luce dell'andamento dell'esame del provvedimento da parte della Commissione, rimanendo comunque fermo che l'esame in sede referente si concluderà in tempo utile per consentire l'esame in Assemblea a partire da lunedì 23 luglio prossimo. Ciò significa che assunta la decisione in merito alla data di conclusione dell'esame preliminare, Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, potrà avere modo di organizzare le modalità di svolgimento degli interventi nella fase dell'esame preliminare in modo tale da garantire sia il rispetto dei tempi programmati, sia il diritto di ciascun deputato che ne faccia richiesta di intervenire nel dibattito.
Come ha avuto modo di sottolineare nel corso della riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti di gruppo, di giovedì 12 luglio scorso, è a tutti evidente che una settimana di lavoro della Commissione su un tema tanto delicato e rilevante, quale è la riforma dell'ordinamento giudiziario, può essere considerata non sufficientemente esaustiva. Tuttavia, nel programmare i lavori della Commissione non si può non tenere conto del dato che dal 1o agosto entra in vigore una riforma dell'ordinamento giudiziario (la cosiddetta riforma Castelli) che si ispira a principi del tutto diversi rispetto a quelli del testo approvato dal Senato. A tale proposito, ritiene opportuno sottolineare con forza che la Presidenza non intende esprimere alcun giudizio di merito sui due modelli di organizzazione giudiziaria che si contrappongono, anche se una considerazione voglio ribadirla. Deve essere ben chiaro che qualora dovesse entrare in vigore la cosiddetta riforma Castelli non si creerebbe alcun vulnus nell'ordinamento. Si tratta, infatti, di una riforma che può non essere condivisa nel merito, ma i cui principi sono stati individuati democraticamente dal Parlamento. Se è vero ciò, è anche vero che non si deve ritenere, ai fini della programmazione dei lavori della Commissione, del tutto irrilevante la data del 31 luglio, successivamente alla quale entra in vigore la riforma Castelli. È una data rilevante, sia pure non sostanzialmente vincolante (come lo sarebbe invece un vuoto normativo da colmare), ai fini della programmazione dei lavori della Commissione, rappresentando una cesura tra due diversi modelli di ordinamento giudiziario. La programmazione dei lavori tiene conto che qualora la Commissione non concludesse i propri lavori in tempi utili per consentire l'avvio dell'esame da parte dell'Assemblea a partire dal 23 luglio, verrebbero meno i tempi necessari per far entrare in vigore la nuova riforma prima del 31 luglio prossimo. Se ciò possa essere o meno un bene, non interessa ai fini della programmazione dei lavori della Commissione. Ciò che è stato ritenuto decisivo nello scegliere di concludere l'esame entro questa settimana è l'opportunità di evitare che dalla programmazione dei lavori della Commissione possano discendere conseguenze definitive sulla scelta tra i due modelli di ordinamento giudiziario. Questo compito spetta eventualmente all'Assemblea, alla quale il Regolamento attribuisce anche il potere di rinviare un provvedimento in Commissione nel caso in cui si ritenesse non congruo l'esame in sede referente. Qualora la Commissione non concludesse l'esame del testo trasmesso dal Senato entro questa settimana, sarebbe la Commissione a compiere una scelta definitiva sul modello di ordinamento giudiziario. Mentre, ove la Commissione concludesse l'esame entro la prossima settimana, non sarebbe compiuta alcuna scelta definitiva, ma sarebbe rimesso all'Assemblea, quale organo maggiormente rappresentativo di questo ramo


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del Parlamento, il compito di scegliere tra i due modelli di ordinamento giudiziario.
Come Presidente della Commissione, ritiene opportuno svolgere alcune considerazioni di carattere generale sulle prerogative della Commissione stessa. Con disappunto rileva che si assiste ad una ulteriore compressione delle prerogative della Commissione Giustizia e, più in generale, della stessa Camera dei deputati. La Commissione nuovamente, a causa di scadenze ravvicinate, si trova nella condizione di dover esaminare in tempi non sufficientemente adeguati un provvedimento approvato dal Senato. Considerate le oggettive difficoltà del Senato di raggiungere delle intese condivise su temi estremamente rilevanti, sarebbe stato opportuno che il disegno di legge fosse stato presentato dal Governo alla Camera dei deputati. L'approvazione di un testo da parte del Senato, infatti, finisce sostanzialmente nel ridurre la Camera dei deputati in una Camera di ratifica. Nello scegliere la Camera alla quale presentare i propri disegni di legge, il Governo dovrebbe tenere conto di tale situazione.
Per ovviare a tale situazione si sarebbe potuto prorogare il termine del 31 luglio per mezzo di una proposta di legge (da approvare eventualmente in sede legislativa) ovvero, qualora si ritenessero sussistenti i presupposti costituzionali, per mezzo di un decreto-legge. Ciò avrebbe consentito alla Camera di avere tempi adeguati per esaminare ed eventualmente modificare il testo del Senato.
Assicura comunque la Commissione che farò presente al Presidente della Camera che sempre più spesso la Commissione Giustizia vede sostanzialmente ridotte le proprie prerogative costituzionali.
Ribadisce come tale situazione rappreseti un vulmus agli articoli 75 e 70 della Costituzione, poiché si determina una forma di monocameralismo surrettizio senza passare attraverso procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione, quale conseguenza non perspicua del vigente sistema elettorale. Tale legge ha infatti determinato, di fatto, una grave alterazione degli equilibri parlamentari, che relega la Camera ad una posizione marginale di mera Assemblea di ratifica. Ciò nonostante, a prescindere da qualsiasi considerazione politico costituzionale, il Presidente della Commissione ha il compito di organizzare i lavori parlamentari nel miglior modo possibile.

Gaetano PECORELLA (FI) considera le osservazioni del Presidente Pisicchio corrette. Ritiene peraltro che la Commissione si trovi a dover affrontare un problema cruciale, poiché occorre comprendere se sia legittimo che la Camera rinunci ad esercitare la sua funzione, accettando passivamente uno strappo costituzionale così grave, ovvero se non sia doveroso chiedere al Governo di graduare diversamente le proprie scelte per mezzo, a titolo esemplificativo, di un provvedimento d'urgenza che prorogando l'entrata in vigore della cosiddetta riforma Castelli, consenta un esame serio ed approfondito del provvedimento in titolo.
Pur essendo cosciente del fatto che il provvedimento in esame è considerato dalla maggioranza immodificabile e che può apparire forse inutile ogni riflessione e discussione, sottolinea che tuttavia il gruppo di Forza Italia intende partecipare attivamente all'esame da parte della Commissione, poiché vi è in gioco la dignità personale di ciascun deputato. Conseguentemente chiede sin d'ora che, dopo lo svolgimento della relazione, i lavori della Commissione siano organizzati in modo da consentire un esame adeguato di un provvedimento così importante e delicato. In particolare sottolinea la necessità di dedicare l'intera giornata odierna allo studio del provvedimento, come modificato al Senato, e la documentazione correlata.
Sottolinea inoltre la assoluta necessità di svolgere l'audizione quanto meno dei soggetti direttamente interessati dalla riforma dell'ordinamento giudiziario, come i rappresentanti della magistratura e dell'avvocatura, sottolineando come tale attività conoscitiva venga costantemente svolta dalla Commissione con riferimento a provvedimenti molto meno importanti rispetto a quello in esame.


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Ribadisce quindi che il Governo deve prendere atto dei propri errori nella scelta dei tempi e della possibilità di perseguire altre strade per consentire un serio esame da parte della Camera. Ciò anche perché il provvedimento presenta delle sviste particolarmente significative che occorre evidenziare e correggere. Sottolinea che questa non è una richiesta di tipo ostruzionistico bensì una richiesta di buon senso che dovrebbe essere condivisa anche dalla maggioranza.

Pino PISICCHIO, presidente, assicura che subito dopo lo svolgimento della relazione da parte dell'onorevole Samperi si svolgerà un Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppo, allo scopo di verificare l'opportunità di svolgere le audizioni proposte dall'onorevole Pecorella.

Giulia BONGIORNO (AN) riconosce l'onestà intellettuale del Presidente Pisicchio, rilevando peraltro la necessità di essere coerenti con la presa d'atto della sostanziale inutilità del lavoro che la Commissione è chiamata a svolgere, con pregiudizio per la dignità dei deputati che vi appartengono.
Ricorda quindi che il Ministro della Giustizia, in più momenti, aveva affermato che il testo della riforma sarebbe stato redatto previa concertazione di tutti i soggetti interessati e degli operatori del settore. Sottolinea come invece ora, a ridosso della data stabilita per l'entrata in vigore della predetta riforma Castelli, si sia deciso di stringere i tempi nonostante il dissenso manifestato da una parte cospicua della magistratura e dagli avvocati sul provvedimento in esame.
Tale situazione impedisce ai membri della Commissione di partecipare attivamente ad una riforma fondamentale per il Paese. Inoltre, anche in considerazione del fatto che, se anche si dimostrasse che il provvedimento contiene degli errori clamorosi, ciò nonostante non sarebbe possibile apportare modifiche.
Si associa quindi alla richiesta testé formulata dall'onorevole Pecorella, relativa alla necessità di tempi adeguati per l'esame del provvedimento e all'opportunità di svolgere delle audizioni.

Nino MORMINO (FI) riconosce l'onestà intellettuale e il senso di responsabilità dimostrato dal presidente Pisicchio con il suo intervento introduttivo, pur sottolineando la linea di divaricazione fra i tempi a disposizione per i lavori della Commissione e il percorso che si potrebbe immaginare per esaminare in modo adeguato il provvedimento e così consentire il corretto esercizio dei diritti e delle prerogative dei parlamentari. Evidenzia infatti come tutti i deputati, compresi quelli dell'opposizione, siano portatori dell'interesse a contribuire alla sistemazione e rielaborazione di un testo tanto importante come quello che riforma l'ordinamento giudiziario, e come il rispetto di tale interesse rappresenti un principio fondamentale del confronto democratico.
Se pertanto è vero che il Presidente deve occuparsi dell'organizzazione dei lavori della Commissione, è altrettanto vero che egli deve tutelare i diritti e le prerogative non di una parte ma di tutti i membri della Commissione, soprattutto di fronte ad una compressione tanto grave delle relative funzioni. Se così non fosse egli svolgerebbe un ruolo per certi versi anomalo e atipico.
Non ritiene in particolare che l'organizzazione dei lavori della Commissione debba essere dettato dalla volontà del Governo di chiudere l'esame del provvedimento in tempi brevissimi, al fine di scongiurare l'entrata in vigore della riforma Castelli, sottolineando come, anzi, il Parlamento debba rivendicare la propria indipendenza rispetto al Governo.
Chiede quindi che il Presidente si pronunci con estrema chiarezza, anche al di fuori dell'Ufficio di presidenza e, quindi, di fronte all'intera Commissione, sulle richieste precedentemente avanzate dall'onorevole Pecorella, alle quali si associa. Rileva infatti l'assoluta esigenza di disporre del tempo necessario per approfondire lo studio del provvedimento e della relativa documentazione, nonché di disporre


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l'audizione dei soggetti direttamente interessati alla riforma, soprattutto in considerazione degli atteggiamenti di dissenso manifestati in seguito all'approvazione del testo da parte del Senato.

Alessandro MARAN (Ulivo) ricorda come nell'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentati dei gruppi tenutosi il 12 luglio scorso il Presidente Pisicchio abbia svolto delle considerazioni, oggi peraltro ribadite, del tutto sensate e condivisibili in ordine alla compressione dei tempi per l'esame del provvedimento ed ai conseguenti margini per l'organizzazione dei lavori della Commissione. In particolare, il Presidente ha illustrato in modo estremamente chiaro come la Commissione, ove non concludesse in tempo utile l'esame del provvedimento in esame, determinerebbe l'entrata in vigore della cosiddetta riforma Castelli e, quindi, sia pure indirettamente, compierebbe una scelta di tipo definitivo sul modello di ordinamento giudiziario. Scelta che, invece, spetta all'Assemblea. Tale considerazione appare sensata per cui da essa occorre trarre i necessari corollari in tema di organizzazione dei lavori della Commissione.
Non si dichiara pregiudizialmente contrario ad un eventuale provvedimento che sospenda ulteriormente l'entrata in vigore della cosiddetta riforma Castelli. Tuttavia, la previsione di tempi maggiori per l'esame avrebbe senso solo se la maggioranza fosse disposta a proporre modifiche o accogliere proposte di modifica, che possano essere concretamente valutate e approfondite. Se invece, all'esito di una scelta di natura politica il testo deve considerarsi immodificabile, allora è di tutta evidenza che qualsiasi rinvio non avrebbe alcuna utilità per l'opposizione.
Ritiene quindi che si debba seguire il percorso organizzativo delineato dal presidente Pisicchio.

Luigi COGODI (RC-SE) fa presente che dalle considerazioni del presidente Pisicchio non può derivare in alcun modo l'impossibilità di procedere nell'esame del provvedimento.
Con riferimento alle considerazioni del deputato Pecorella, ritiene che nel caso di specie i deputati non rinuncino affatto all'esercizio delle proprie funzioni e dalla propria dignità, apparendo più corretto affermare che si stia operando in un contesto di obiettiva difficoltà e di ristrettezza di tempi.
Non appare inoltre corretto affermare che il testo sia intoccabile, poiché non esistono testi intoccabili. Piuttosto, l'eventualità che il testo non sia modificato è da considerare come l'opzione politica ritenuta più utile, date le circostanze, per fare entrare in vigore la riforma. Il che implica, naturalmente, l'assunzione di una specifica responsabilità politica.
Ritiene che le audizioni proposte da taluni colleghi dell'opposizione potrebbero essere utili, tuttavia non si può dire che in questa materia le categorie direttamente interessate non si siano già pubblicamente espresse e che le rispettive posizioni non siano ben note. Più in generale tutta la materia dell'ordinamento giudiziario è ampiamente conosciuta poiché ampiamente e pubblicamente dibattuta.
Ritiene altresì vero che attualmente il bicameralismo presenti delle vistose asimmetrie, ma è pur vero che ciò che accade al Senato non è né estraneo né inutilizzabile da parte della Camera. Inoltre sottolinea che la compressione dei tempi parlamentari, che vale tanto per l'opposizione quanto per la maggioranza, e riguarda molti altri provvedimenti, fa parte della vita e dell'organizzazione dei lavori parlamentari. Il lavoro che la Camera può svolgere in tale contesto non è inutile, anche in considerazione del fatto che il provvedimento tratta solo taluni aspetti della questione, per cui appare ragionevole il fatto che il Parlamento debba ritornare ancora una volta sull'ordinamento giudiziario per definire un quadro normativo organico.

Manlio CONTENTO (AN) rileva, non senza una certa rassegnazione, che il fenomeno di compressione delle prerogative della Camera e, in particolare, della Commissione Giustizia continua periodicamente


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a manifestarsi, dimostrando la sostanziale inutilità delle discussioni effettuate sul punto.
Nel caso di specie, sottolinea come il dato più grave sia rappresentato dal fatto che il provvedimento sia stato originariamente presentato alla Camera e poi ritirato per essere successivamente presentato al Senato. Pertanto, appare evidente che se il Ministro della Giustizia o la maggioranza avessero voluto offrire gli spazi necessari per un adeguato esame presso la Camera, avrebbero dovuto associare al provvedimento in esame, un ulteriore provvedimento di rinvio dell'entrata in vigore della riforma Castelli, che avrebbe potuto essere approvato in tempi brevissimi. Ciò non è accaduto perché, sullo sfondo del provvedimento in esame, vi è un conflitto tra magistratura e politica. Conflitto che dovrebbe spingere le forze politiche ad unirsi piuttosto che dividersi.
Ritiene indispensabile che il Governo fornisca alla Commissione elementi di valutazione che consentano di comprendere come la giustizia sia stata sin d'ora gestita dal Consiglio superiore della magistratura, sottolineando che questioni come quelle attinenti alle tabelle e alla distribuzione dei carichi giudiziari non possa essere completamente sottratta al Parlamento, anche in virtù di quanto stabilito dall'articolo 105 della Costituzione. Preannuncia quindi la presentazione di una formale richiesta di informazioni, resa ancor più necessaria dal fatto che sul punto nulla risulti né nella relazione illustrativa del Governo né negli atti del Senato.

Enrico COSTA (FI) sottolinea come la compressione dei tempi di esame non si giustifichi in alcun modo, soprattutto se posta in relazione all'estrema complessità della materia, che richiede studio e approfondimento. Evidenzia d'altra parte come a provvedimenti molto meno importanti sia dedicato un tempo ben maggiore. Certamente non è la prima volta che il Parlamento si trova a fare una corsa contro il tempo, ma una simile ristrettezza dei tempi non è assolutamente accettabile quando si tratti di costruire un nuovo ordinamento giudiziario. Rivolge quindi un appello al presidente Pisicchio affinché questi assume i provvedimenti più idonee a tutelare le prerogative della Commissione.

Erminia MAZZONI (UDC) rileva come i tempi a disposizione siano eccessivamente ristretti e tale da impedire un esame anche approssimativo del provvedimento. Sottolinea quindi come la richiesta di audizioni del deputato Pecorella non possa essere ignorata, anche in considerazione di talune situazioni verificatesi negli ultimi giorni. Si riferisce in particolare allo sciopero degli avvocati, che non può essere considerato meno importante da quello minacciato dalla magistratura, il quale ha così efficacemente stimolato i lavori del Governo e del Senato.
Ritiene conclusivamente che l'organizzazione dei lavori della Commissione debba essere rivista, al fine di consentire, nel caso di specie, lo svolgimento di tutte le fasi procedimentali che normalmente si svolgono per gli altri provvedimenti.
Il sottosegretario Luigi SCOTTI ringrazia tutti i deputati sinora intervenuti, le cui considerazioni fanno seriamente riflettere sulla dimensione organizzativa e politica del provvedimento in esame. Esprime, in particolare, sincero apprezzamento e rispetto per l'orgogliosa rivendicazione del ruolo della Camera e per la richiesta, avanzata dai deputati, di poter svolgere pienamente le proprie funzioni. Rispetta inoltre le considerazioni del presidente Pisicchio fra le quali sottolinea, in particolare, le conclusioni.
Tuttavia, nella qualità di rappresentante del Governo, pur prendendo atto delle diversità di approccio politico sui tempi di organizzazione dei lavori, e comprendendone la dialettica, auspica che il provvedimento sia discusso e concluso nel più breve termine possibile. Ciò in quanto il Governo si fa portatore dell'interesse generale a risolvere quanto prima i problemi che stanno drammatizzando la vita giudiziaria. Chiudere questa fase appare


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quindi indispensabile per restituire tranquillità alla macchina giudiziaria, che non sta funzionando bene.
Con riferimento alle osservazioni del deputato Bongiorno, sottolinea come il Governo sia sempre stato incline alla concertazione, come d'altra parte dimostrato anche in sede di comitato ristretto presso la Commissione giustizia del Senato, evidenziando come molti emendamenti dell'opposizione siano stati recepiti nel corso dell'esame presso quel ramo del Parlamento. Il Governo ha quindi dimostrato di non essere rigidamente schierato sul proprio testo, ma di essere disposto a modificarlo.
Con riferimento alla richieste di svolgimento di audizioni, ricorda come le stesse si siano svolte in poco più di tre ore presso il Senato, sostanzialmente riducendosi alla mera consegna di documentazione redatta dagli uditi, ciò in quanto le posizioni degli interessati erano ben note in quanto già pubblicamente dichiarate.
Inoltre fa presente che un eventuale decreto legge di proroga dell'entrata in vigore della riforma Castelli non è nella disponibilità del Governo e che, sul punto, occorre tenere presente la posizione espressa dal Presidente della Repubblica. Sottolinea quindi come il provvedimento in esame tratti uno degli aspetti più importanti dell'ordinamento giudiziario, ma è evidente che la riforma dell'ordinamento non può risolvere tutti i problemi della macchina della giustizia.
Infine con riferimento alla richiesta di informazioni dell'onorevole Contento dichiara la piena disponibilità del Governo, sottolineando peraltro che tali informazioni non erano mai state richieste precedentemente nel corso dell'esame al Senato.

Gaetano PECORELLA (FI) si dichiara sorpreso dalla dichiarazione del sottosegretario, secondo il quale il Governo non avrebbe il potere di emanare un decreto-legge.

Il sottosegretario Luigi SCOTTI precisa di aver fatto erroneamente riferimento al Governo, mentre, come è evidente, intendeva affermare che la decretazione d'urgenza non è nella disponibilità del Ministro della giustizia.

Gaetano PECORELLA (FI) ritiene che il Governo debba assumersi la responsabilità di non voler emanare un decreto-legge che potrebbe evitare la strozzatura dei lavori parlamentari e considera inaccettabile la giustificazione secondo la quale occorrerebbe chiudere l'esame del provvedimento in tempi brevissimi, per far cessare la tensione verificatasi nel Paese sul tema della giustizia. La realtà è che la giustizia necessita di una riforma adeguata e, se la situazione appare drammatica, ciò significa che occorre un maggiore approfondimento della situazione medesima da parte del Parlamento.
Non condivide le osservazioni del sottosegretario in merito alle audizioni, ritenendo che le categorie interessate debbano essere sentite direttamente e non de relato. Più in generale, alla luce di quanto affermato dal rappresentante del Governo, ribadisce con maggiore convinzione le proprie precedenti considerazioni e richieste, ritenendo necessaria una differente programmazione dei lavori della Commissione e un'apertura politica della maggioranza e del Governo in ordine ai tempi dei lavori.

Nino MORMINO (FI) contesta con decisione l'affermazione del sottosegretario secondo la quale la rapida approvazione del provvedimento, senza modifiche, risolverebbe lo stato drammatico di conflittualità nel quale versa il mondo della giustizia. Sono i fatti a dimostrare che ciò non è vero, poiché è a tutti noto che l'approvazione sic et sempliciter del provvedimento non soddisfa né i magistrati né gli avvocati né l'opinione diffusa nel sistema giustizia. In sostanza, si verrebbe a consolidare una sistemazione non soddisfacente della materia.
Sempre con riferimento alle osservazioni del sottosegretario Scotti, sottolinea come non sia assolutamente vero che il testo approvato dal Senato sia il frutto di


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ampie concertazioni. Tali affermazioni, piuttosto, destano preoccupazioni e perplessità.
Invita quindi il Presidente Pisicchio a rappresentare al Presidente della Camera la grave situazione di disagio della Commissione in conseguenza della compressione dei tempi parlamentari.

Giulia BONGIORNO (AN) si dichiara sorpresa dalle argomentazioni del sottosegretario, che considera viziate da un errore di prospettiva e da una inversione del rapporto fra causa ed effetto.
Rileva infatti che la situazione della giustizia è divenuta drammatica proprio perché il Parlamento è in procinto di approvare, con queste modalità, una riforma non condivisa dell'ordinamento giudiziario.
Ritiene che il Governo e la maggioranza dovrebbero ammettere di voler chiudere in questo modo l'esame parlamentare del provvedimento per una scelta politica e, in particolare, pur di evitare che la cosiddetta riforma Castelli entri in vigore. Di tale scelta politica entrambe dovranno assumere la responsabilità.

Enrico BUEMI (RosanelPugno) rileva come il tempo a disposizione della Commissione per lo svolgimento dell'esame sia comunque incongruo, a prescindere da come i lavori della Commissione siano organizzati. Sottolinea quindi come si sia persa un'importante occasione e come sia mancato il coraggio di affrontare in modo diverso ed efficace i problemi della giustizia, evitando ogni contrapposizione con i magistrati e gli avvocati. A nome del proprio gruppo, ritiene che non sia stato fatto un buon lavoro e che il provvedimento in esame non sia soddisfacente, anche perché non è stato compiuto un serio sforzo di coinvolgimento anche dell'opposizione.
Osserva che il migliore funzionamento della giustizia non dipenda solo dalla riforma dell'ordinamento giudiziario, poiché occorre considerare più in generale l'impiego delle risorse, l'efficacia delle procedure ed anche la qualità del personale amministrativo degli uffici giudiziari, che troppo spesso viene trascurato anche dal legislatore.
Ritiene che in ogni caso la questione della riforma dell'ordinamento giudiziario non finisca certamente con l'approvazione del provvedimento in esame.
Preannuncia quindi che il proprio gruppo non presenterà emendamenti, ben sapendo che non avrebbero alcuna possibilità di essere approvati.

Paola BALDUCCI (Verdi) si riserva di formulare le proprie osservazioni e considerazioni dopo che il relatore avrà illustrato il contenuto del provvedimento.

Paolo GAMBESCIA (Ulivo) concorda con l'osservazione del Presidente Pisicchio secondo la quale la legge elettorale vigente ha sostanzialmente determinato una riforma occulta del sistema parlamentare in senso monocamerale, ma ciò non toglie che la Commissione e tutti i suoi membri debbano reagire, rivendicando con forza la possibilità di esercitare la propria funzione.
Sottolinea come dato incontestabile che la riforma dell'ordinamento giudiziario è contenuta nel programma del Governo ma, a tale proposito, evidenzia quali problemi possa determinare la scelta del Governo circa il ramo del Parlamento presso il quale presentare i disegni di legge, attraverso i quali realizzare il predetto programma.
Comprende la frustrazione e il risentimento che l'impossibilità di modificare il testo possa in generale nei colleghi deputati, ma questo non deve impedire di discutere il provvedimento nel modo migliore possibile, pur nella ristrettezza dei tempi a disposizione, anche in considerazione del diritto insopprimibile dell'opposizione ad esprimere il proprio dissenso. Arriverà tuttavia il momento, ineludibile, nel quale il provvedimento approderà in Aula, secondo le norme del Regolamento, che sono valide per tutti.
Invita conclusivamente il Presidente Pisicchio a rappresentare al Presidente della Camera il profondo disagio istituzionale emerso anche nell'odierna seduta.


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Pino PISICCHIO, presidente, rileva come le argomentazioni dei colleghi dell'opposizione siano di assoluto buon senso e meritevoli di attenzione.
Con riferimento alle osservazioni degli onorevoli Mormino e Gambescia, fa presente di aver rappresentato al Presidente della Camera il senso di profondo disagio e, addirittura, di dissenso, di fronte alle ripetute situazioni di compressione dei tempi a disposizione della Commissione e delle funzioni della Commissione stessa.
Ricorda tuttavia come, in questa circostanza, il fatto che l'esame del provvedimento in Assemblea sia condizionato alla conclusione dell'esame in Commissione sia determinante. Ciò in particolare non consente alla Commissione di trasmettere all'Assemblea un progetto di legge senza averne concluso l'esame attraverso il conferimento al relatore del mandato a riferire. Ribadisce che non concludere l'esame significa compiere una scelta definitiva in ordine al modello di ordinamento giudiziario. Tale scelta è opportuno che non competa alla Commissione, bensì all'Assemblea.
Ricorda, quindi, che dopo l'illustrazione del provvedimento da parte del relatore si riunirà l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, proprio per definire le questioni organizzative dei lavori della Commissione.

Marilena SAMPERI (Ulivo), relatore, rileva che il disegno di legge all'ordine del giorno, approvato dal Senato dopo un approfondito esame, ha per oggetto la delicata materia dell'ordinamento giudiziario, la cui disciplina è stata già modificata nella scorsa legislatura per mezzo di una serie di decreti legislativi emanati in attuazione della legge delega n. 150 del 2005.
In questa legislatura il Parlamento è intervenuto sulla materia dell'ordinamento giudiziario con la legge 24 ottobre 2006, n. 269, modificando due decreti riguardanti l'assetto dell'ufficio del pubblico ministero e la disciplina del procedimento disciplinare dei magistrati. Tale legge., inoltre, ha sospeso, fino al 31 luglio 2007, l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 160 del 2006, relativo alla nuova disciplina dell'accesso in magistratura e in materia di progressione economica, di attribuzione di funzioni.
Il disegno di legge è diretto a modificare il citato decreto legislativo e, quindi, le norme che entreranno in vigore dal 1o agosto 2007 in materia nonché il decreto legislativo n. 26 del 2006, relativo all'istituzione della scuola della magistratura, e il decreto legislativo n. 25 del 2006, relativo al consiglio direttivo della Cassazione e ai consigli giudiziari.
L'obiettivo che il Governo si è posto nel modificare la disciplina dell'ordinamento giudiziario è stato, in primo luogo, quello di salvaguardare il principio costituzionale secondo cui la distinzione dei magistrati è data soltanto dalla diversità di funzioni. La separazione delle funzioni è comunque uno dei temi trattati dal disegno di legge, ma non l'unico. Si prevede, infatti, una nuova disciplina dell'accesso in magistratura e del tirocinio per i vincitori di concorso, chiamati non più uditori giudiziari ma magistrati ordinari; sono specificate le funzioni dei magistrati; sono dettati nuovi criteri sulla valutazione della professionalità dei magistrati e sul conferimento delle funzioni stesse; sono stabiliti periodi di permanenza nell'ufficio, nonché la temporaneità degli uffici direttivi, rinnovabili una sola volta e solo dopo una positiva valutazione dei risultati conseguiti; è stato eliminato il rischio della automaticità della carriera dei magistrati dovuta ad una valutazione della loro professionalità da parte del CSM meramente formale, prevedendosi un sistema, anch'esso concorsuale come quello della riforma Castelli (a decorrere dalla prima nomina, tutti i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio) in cui assumono un ruolo rilevante i consigli giudiziari che raccolgono dati e segnalazioni anche dai consigli dell'ordine; è stata modificata la disciplina della Scuola superiore della magistratura nonché quella relativa al Consiglio direttivo della Corte di cassazione ed ai Consigli


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giudiziari; sono previsti poi degli interventi specifici su particolari questioni, per lo più di natura transitoria.
Per quanto attiene al contenuto degli otto articoli che compongono il testo, i primi due, ampiamente modificati dal Senato, sono quelli che introducono le modifiche forse più rilevanti alla normativa attuale, avendo ad oggetto la disciplina per l'accesso in magistratura, la progressione economica e le funzioni dei magistrati.
Nello specifico, l'articolo 1 del disegno di legge riscrive la disciplina del concorso per uditore giudiziario, ora definito «concorso per magistrato ordinario» (comma 2). Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, la nuova disciplina - che conferma, sostanzialmente, quello in magistratura come un concorso di secondo grado - viene riformata per ovviare ad alcune storiche problematiche, tra le quali la lunghezza delle procedure concorsuali, rallentate dall'elevato numero di partecipanti.
Il concorso deve svolgersi con cadenza «di norma» annuale per esami, in relazione ai posti vacanti e a quelli che si renderanno tali nel successivo quadriennio per i quali può essere attivata la procedura concorsuale. È confermata l'articolazione delle prove d'esame in prove scritte e prove orali e l'eliminazione della prova preliminare realizzata con l'ausilio di sistemi informatizzati. Tra le novità più importanti vi è la soppressione della disposizione relativa all' indicazione obbligatoria da parte del candidato, già nella domanda, della funzione alla quale intende accedere nonché della specifica prova psico-attitudinale alla professione, da sostenere nell'ambito delle prove orali.
Altre modifiche attengono ai requisiti per l'ammissione al concorso. La disciplina dei requisiti, pur innovata nel contenuto, conferma la linea ispiratrice della riforma Castelli impostando, pur con specifici correttivi, il concorso da magistrato ordinario come concorso di secondo grado.
L'articolo 2 del disegno di legge novella talune disposizioni del decreto legislativo n. 160 del 2006, relative alle funzioni, alla progressione nella carriera ed al trattamento economico dei magistrati, sulla base del principio che i magistrati ordinari sono distinti secondo le funzioni esercitate.
In particolare, a seguito delle modifiche che si intendono apportare con il provvedimento in esame, le funzioni dei magistrati vengono distinte in giudicanti e requirenti (di primo grado, di secondo grado, di legittimità, semidirettive di primo grado; semidirettive elevate di primo grado; semidirettive di secondo grado; direttive di primo grado; direttive elevate di primo grado; direttive di secondo grado; direttive di legittimità; direttive superiori; direttive apicali).
Segnala che nel testo approvato dal Senato i magistrati della Direzione nazionale antimafia hanno un'autonoma classificazione funzionale, di coordinamento nazionale, mentre il presidente del tribunale di sorveglianza è inserito fra le finzioni direttive di primo grado.
Come accennato, rilevanti modifiche sono, poi, introdotte in relazione alla disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati.
Al riguardo, nella relazione illustrativa del disegno di legge presentato al Senato, il Governo ha precisato che nel configurare la nuova disciplina si è partiti dalla constatazione che il sistema di valutazioni della professionalità anteriore alla legge n. 150 del 2005, deve essere considerato non più adeguato, e quindi da riformare, per due prevalenti ragioni: a) la professionalità del magistrato, nella sua ricchezza di conoscenza tecnica, di capacità nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e giurisdizionali, di consapevolezza del ruolo e di responsabilità professionale, non può più essere affermata per presunzioni e solo in occasione dei passaggi di qualifica troppo distanziati o di incarichi specifici; b) il meccanismo è insufficiente ad attuare un reale vaglio delle specifiche capacità, delle doti e delle attitudini richieste per l'esercizio delle diverse funzioni che possono essere svolte nella sua vita professionale.
Si è dunque prefigurato un nuovo intervento riformatore volto a sostituire integralmente


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il decreto legislativo n. 160 del 2006, giudicato farraginoso e basato - oltre che su una opzione di fatto «per una distinzione delle funzioni assimilabile ad una separazione delle carriere» - anche «sulla scelta di una costruzione piramidale della carriera dei magistrati» e su un «sistema di valutazione per titoli ed esami scollegato ad un reale obiettivo di valutazione della professionalità funzionalizzato sull'efficienza».
In via generale, la nuova disciplina introdotta dal disegno di legge approvato dal Senato si articola sui seguenti punti principali: l'introduzione di verifiche professionali ogni quattro anni; una progressione economica sganciata dall'anzianità e dalle funzioni e collegata alle sole valutazioni di professionalità; il possibile passaggio di funzioni (da giudicanti a requirenti e viceversa) per non più di quattro volte nel corso della carriera; la necessità di superare un concorso per soli titoli dopo aver conseguito la valutazione di professionalità richiesta, per esercitare incarichi di secondo grado, direttivi e semidirettivi(questi ultimi sempre temporanei); l'anzianità, da criterio di valutazione, diventa criterio di legittimazione per concorrere agli incarichi direttivi e semidirettivi; il conferimento delle funzioni di legittimità avverrà non solo in base al criterio di anzianità, bensì mediante l'accertata sussistenza di specifiche attitudini ad esercitarle; la possibilità di interventi in caso di riscontrata inadeguatezza professionale del magistrato valutato, modulati in modo differenziato, con ripercussioni, nelle ipotesi più gravi, anche sulla progressione economica; l'individuazione di una procedura urgente da attivare in caso di revoca dei dirigenti che si rilevano inadeguati.
Nello specifico, l'articolo 2, comma 2, del disegno di legge in esame formula un nuovo articolo 11 del decreto legislativo n. 160 volto ad individuare i criteri e le modalità che devono essere osservate nello svolgimento delle valutazioni professionali dei magistrati e alle quali tutti i magistrati devono sottoporsi ogni quattro anni, fino al superamento della settima valutazione. Tali valutazioni si riferiscono al complesso dell'attività professionale del magistrato e in particolare devono riguardare la capacità, la laboriosità, la diligenza e l'impegno.
Inoltre, a seguito di una modifica introdotta dal Senato, è stato precisato che la valutazione dei magistrati deve essere operata sulla base di parametri oggettivi indicati dal CSM e, ove, riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti non può mai riguardare l'attività interpretativa di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove.
L'articolo 11 individua, in relazione a tali parametri di valutazione, specifici indicatori della preparazione professionale del magistrato.
Il nuovo articolo 11 precisa, poi, che le valutazioni di professionalità sono di competenza del Consiglio superiore della Magistratura e vengono espresse a seguito di parere motivato dei Consigli giudiziari territorialmente competenti. In particolare, il comma 3 del citato articolo 11 precisa che il Consiglio superiore della magistratura, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame, disciplina con propria delibera gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni dei consigli giudiziari, i parametri per consentire l'omogeneità delle valutazioni, la documentazione che i capi degli uffici devono trasmettere ai consigli giudiziari entro il mese di febbraio di ciascun anno. Al termine del quadriennio, il Consiglio giudiziario avrà a disposizione per ogni magistrato un fascicolo contenente gli elementi di valutazione necessari al giudizio di professionalità da esprimere.
Il Consiglio giudiziario può, inoltre, assumere informazioni su fatti specifici segnalati, a carico del magistrato, da suoi componenti o dai dirigenti degli uffici o dai consigli dell'ordine degli avvocati, garantendone il diritto di difesa e di audizione.
Il Consiglio giudiziario, sulla base degli elementi in suo possesso formula un parere motivato al CSM, unitamente alla documentazione in suo possesso. Al termine


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del giudizio di valutazione, il CSM può esprimere tre tipi di giudizi di professionalità: a) positivo; b) non positivo; c) negativo. Se il giudizio è negativo, il magistrato è ulteriormente valutato dal CSM dopo un biennio e «salta» così uno degli aumenti periodici biennali. Ai sensi del comma 12, il nuovo trattamento economico eventualmente spettante è dovuto solo a seguito di giudizio positivo e con decorrenza dalla scadenza del biennio. Ai sensi del comma 13, se il Consiglio superiore della magistratura, previa audizione del magistrato, esprime un secondo giudizio negativo, il magistrato stesso è dispensato dal servizio.
L'articolo 2, comma 3, del disegno di legge in esame riformula l'articolo 12 del decreto legislativo n. 160 del 2006, ora relativo ai «Requisiti e criteri per il conferimento delle funzioni». Con la nuova norma è eliminato ogni riferimento al sistema di valutazione per esami ai fini del conferimento di funzioni.
L'unica procedura prevista dal nuovo comma 1 dell'articolo 12 è quella concorsuale per soli titoli, alla quale sono ammessi a partecipare, a domanda, i soli magistrati che abbiano conseguito almeno la necessaria valutazione di professionalità richiesta. Solo nel caso di esito negativo di due procedure concorsuali (mancanza di candidati, o loro inidoneità), spetta al CSM, valutata l'urgenza, procedere alla nomina d'ufficio.
Con riferimento, poi, al conferimento delle funzioni di legittimità, il comma 13 prevede come oggetto di valutazione «la capacità scientifica e di analisi delle norme». Detto requisito è oggetto unico di valutazione da parte di un'apposita commissione interna al CSM, composta da 5 membri (3 magistrati che abbiano superato la quarta valutazione più 2 membri laici). Con una integrazione apportata dal Senato si è stabilito che i tre membri togati debbano esercitare o aver esercitato funzioni di legittimità per almeno 2 anni.
L'articolo 2, comma 4 del disegno di legge sostituisce l'articolo 13 del decreto legislativo n. 160, ora rubricato «Attribuzione delle funzioni e passaggio da quelle giudicanti a quelle requirenti e viceversa».
La nuova norma stabilisce, anzitutto, la competenza del CSM a disporre con provvedimento motivato, previo parere del Consiglio giudiziario, le assegnazioni di sede, i passaggi di funzioni, i conferimenti di funzioni direttive e semidirettive e l'assegnazione al relativo ufficio dei magistrati che non abbiano ancora conseguito la prima valutazione.
Ai magistrati che abbiano terminato il tirocinio è comunque, interdetto l'accesso a specifiche funzioni prima del conseguimento della prima valutazione di professionalità: si tratta delle funzioni requirenti, giudicanti monocratiche penali, di giudice delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare (comma 2). L'interdizione anche dalle funzioni giudicanti monocratiche penali e di GUP è frutto di una modifica del Senato.
I successivi commi del nuovo articolo 13 del decreto legislativo n. 160 sono relativi alla disciplina del passaggio di funzioni, attualmente contenuta negli articoli 13 e 14 del decreto n. 160 del 2006.
Gli articoli 13 e 14 del decreto legislativo n. 160 del 2006 prevedono analoga disciplina per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa. In entrambi casi, infatti, è stabilita una procedura concorsuale per titoli bandita dal CSM, con la relativa domanda di passaggio da proporre inderogabilmente entro il terzo anno di esercizio delle funzioni (giudicanti o requirenti).
In base alla nuova disciplina prevista dal disegno di legge governativo in esame, come modificata nel corso dell'esame al Senato, il passaggio di funzioni, da giudicanti a requirenti e viceversa - sempre disposto a seguito di concorso e possibile non più di quattro volte nel corso della carriera del magistrato - è soggetto ad una serie limitazioni. La prima è di natura geografica, in quanto, salvo quanto previsto dal successivo comma 3-bis, il passaggio non è possibile né all'interno dello stesso distretto di corte d'appello né all'interno di altri distretti della stessa regione né (se fuori regione) in relazione al


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capoluogo distrettuale competente per i procedimenti riguardanti i magistrati ex articolo 11 del codice di procedura penale (rispetto al distretto in cui il magistrato presta servizi all'atto del mutamento delle funzioni). Il passaggio di funzioni comporterà, quindi, il trasferimento del magistrato ad ufficio giudiziario di diversa regione (comma 3). Si ricorda che il testo iniziale del Governo non prevedeva la limitazione a livello regionale, oggetto di specifica modifica del Senato.
Ai sensi del successivo comma 4, modificato durante l'esame del disegno di legge al Senato, la citata limitazione non si applica e, quindi, non è necessario il trasferimento ad altra regione ed il tramutamento di funzioni può avvenire in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quella di provenienza in una serie di ipotesi. In primo luogo, quando un magistrato abbia negli ultimi 5 anni svolto solo funzioni civili o del lavoro e chieda il passaggio a funzioni requirenti penali. In tal caso, il magistrato non potrà essere destinato, neanche come sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Altra ipotesi è quella che ricorre quando un magistrato che svolge funzioni requirenti (sia civili che penali) chieda di passare a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni ove ci siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. In tale ipotesi, il magistrato non può essere destinato, neanche come sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni.
Il medesimo comma 4, precisa, comunque, che il tramutamento di secondo grado può avvenire solo in un distretto diverso rispetto a quello di provenienza e, quindi, quando il distretto coincida con la regione, sarà comunque, necessario cambiare regione.
Le ulteriori limitazioni sono disposte in relazione allo status professionale del magistrato, il quale deve aver svolto 5 anni di servizio nella funzione di provenienza; deve aver frequentato un corso di qualificazione professionale; deve essere giudicato «idoneo» allo svolgimento delle nuove funzioni dal CSM, previo parere del Consiglio giudiziario.
Ai sensi, poi, del comma 5 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 160 del 2006, così come riformulato dal provvedimento in esame, oltre all'anzianità di servizio, ai fini dei passaggi di funzione, devono essere valutate le specifiche attitudini desunte dalle quadriennali valutazioni di professionalità (comma 4).
Da ultimo, le limitazioni ai passaggi di funzione precisate al comma 3 non sussistono nè in relazione all'esercizio di funzioni direttive superiori ed apicali negli uffici di legittimità né limitatamente alla sede di destinazione, per l'esercizio di funzioni di legittimità e direttive di legittimità che comportino mutamento di funzioni da giudicante a requirente e viceversa.
Una specifica eccezione alla limitazione geografica relativa ai passaggi di funzione è prevista per i magistrati delle provincia autonoma di Bolzano, cui è consentito il passaggio cambiando soltanto circondario (comma 7).
L'articolo 2, comma 5, novella ed integra il contenuto dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 160 del 2006, relativo ai limiti temporali di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio giudiziario.
La novella dell'articolo 19 introduce, in particolare, alcune novità. Il limite decennale di permanenza nell'incarico è espunto dall'articolo 19. Spetta, infatti, al CSM definire in via regolamentare il periodo massimo di permanenza, individuandolo in ogni caso, a seconda delle funzioni esercitate, tra un minimo di 5 ed un massimo di 10 anni, in base alle diverse funzioni. In relazione, poi, alla facoltà di proroga è previsto che il Consiglio superiore possa disporre la proroga dello svolgimento delle medesime funzioni limitatamente alle udienze preliminari già iniziate e per i procedimenti penali per i quali sia stato già dichiarato aperto il dibattimento, e per un periodo non superiore a due anni.


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L'articolo 2, commi 6 e 7, novellando il decreto legislativo n. 160 del 2006, introducono un limite di età per il conferimento di funzioni, rispettivamente, semidirettive e direttive. Nello specifico, viene stabilito che dette funzioni possono essere assegnate ai soli magistrati che - al momento della vacanza del posto - possano assicurare un periodo minimo di 4 anni di servizio prima della data di collocamento a riposo di cui all'articolo 16, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 503 del 1999 (75 anni di età) ed abbiano esercitato la relativa facoltà. Sarà quindi necessario, al momento della vacanza, non aver superato i 71 anni di età.
Le sole funzioni per le quali non è previsto un limite di età risultano, quindi, quelle direttive superiori di legittimità (presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, presidente aggiunto e procuratore generale aggiunto presso la cassazione) e le due apicali (primo presidente e procuratore generale aggiunto presso la cassazione).
L'articolo 2, comma 8, del disegno di legge novella, invece, l'articolo 36, comma 1, del Decreto legislativo n. 160 del 2006, stabilendo che i magistrati riammessi in servizio all'esito di procedimento penale concluso con sentenza definitiva di proscioglimento non possano recuperare il periodo di sospensione dal servizio superando il limite massimo di 75 anni di età previsto per il collocamento a riposo. Al riguardo, si ricorda che la disciplina vigente stabilisce che nelle citate ipotesi, alla data di ordinario collocamento a riposo, è aggiunto un periodo pari a quello della sospensione ingiustamente subita e del servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza, cumulati fra loro. Il limite dei 75 anni può, quindi, essere superato se necessario a recuperare il periodo di sospensione ingiustamente sofferto.
L'articolo 2 del disegno di legge sostituisce, poi, con i commi 9 e 10, gli articoli 45 e 46 del decreto legislativo n. 160 del 2006, relativi alla temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive.
Il nuovo articolo 45 conferma la regola generale, introdotta dal «decreto Castelli» riguardante la durata quadriennale degli incarichi direttivi, prorogabili di altri quattro anni.
Il nuovo articolo 46 prevede, poi, anche per gli incarichi semidirettivi una durata di 4 anni (l'attuale corrispondente norma del Decreto legislativo 160 prevede una temporaneità di 6 anni) prorogabile per uguale periodo. Anche in tal caso, quindi, la permanenza massima è di 8 anni.
L'articolo 2, comma 11, del disegno di legge in esame sostituisce, infine, con la tabella «A» allegata, la tabella relativa alla magistratura ordinaria allegata alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 «Provvidenze per il personale di magistratura». Detta tabella riporta le qualifiche nella magistratura ordinaria (dai tirocinanti ai magistrati con funzioni direttive apicali di legittimità) ed i relativi stipendi annui lordi.
L'articolo 2, comma 12, riformula l'articolo 51 del Decreto legislativo 160/2006 in materia di progressione economica dei magistrati che, attualmente individua le cosiddette classi di anzianità.
Il nuovo articolo 51 del decreto legislativo 160/2006, ora rubricato «Trattamento economico», precisa, in particolare, che le somme indicate tengono conto degli adeguamenti economici triennali fino alla data del 1o gennaio 2006 e conferma esplicitamente la disciplina attualmente prevista in materia di progressione stipendiale, determinata da classi e scatti biennali e dall'adeguamento economico triennale.
L'articolo 3 apporta numerose modifiche al decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, relativo all'istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché al tirocinio e alla formazione degli uditori giudiziari, all'aggiornamento professionale e alla formazione dei magistrati. In particolare, vengono ampliate le finalità della Scuola aggiungendo, fra le altre, la formazione della magistratura onoraria, dei magistrati dirigenti degli uffici giudiziari, ma anche di magistrati stranieri; il coordinamento delle attività di formazione decentrata;


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la collaborazione con altri paesi nell'organizzazione del servizio giustizia.
Il disegno di legge elimina ogni richiamo alla competenza interregionale delle tre sedi nelle quali si articola la scuola, ribadendo che sarà un decreto interministeriale a individuare le sedi della scuola ed a prescegliere quella delle tre in cui si riunirà il comitato direttivo della scuola stessa.
Il comma 4 dispone che organi della Scuola sono: il comitato direttivo, il presidente e il segretario generale. Quest'ultima figura sostituisce i comitati di gestione previsti dalla normativa vigente. Il comma 5 amplia la composizione e le funzioni del comitato direttivo, che adotta e modifica lo statuto ed i regolamenti interni, approva i bilanci e vigila sul corretto andamento della scuola; nomina il segretario generale; adotta e modifica, nel rispetto delle linee programmatiche proposte dal CSM e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell'attività didattica; cura la tenuta dell'albo dei docenti e nomina i docenti delle singole sessioni formative; determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative ammissioni.
Il comma 6 conferma in 4 anni la durata del comitato ed elimina i componenti di diritto, per cui l'organo risulta composto da 7 magistrati, 3 professori universitari e 2 avvocati. Le nomine competono per 7 unità al CSM e per le restanti 5 unità al Ministro della giustizia. Il comma 7 apporta limitate modifiche alle maggioranze richieste per il funzionamento del comitato direttivo. Il comma 8, relativo alle funzioni del Presidente della Scuola, come modificato dal Senato, prevede, tra l'altro, che questi possa adottare i provvedimenti d'urgenza, salva la loro ratifica in caso di atti di competenza di un altro organo.
Il nuovo articolo 12 dispone che i componenti del comitato direttivo svolgano anche i compiti di responsabili di settore. Il comitato direttivo assegnerà loro i compiti istruttori ed i compiti esecutivi.
Per quanto attiene al procedimento di valutazione del tirocinio, prevedendo che al termine del tirocinio siano trasmesse dal comitato direttivo della scuola al CSM le schede di valutazione redatte al termine delle sessioni. Sarà il Consiglio Superiore della Magistratura a pronunciare il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle schede di valutazione, ma anche del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante. Laddove il giudizio sia positivo il CSM dovrà anche pronunciarsi in ordine all'attitudine del magistrato a svolgere funzioni giudicanti o funzioni requirenti.
Inoltre, il comma 19 interviene sull'articolo 25 del decreto n. 26 del 2006 e prevede che tutti i magistrati in servizio abbiano l'obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni, ad un corso di formazione e di aggiornamento professionale. Nel corso dell'esame del disegno di legge presso il Senato è stato inoltre specificato che il corso di formazione che il magistrato dovrà frequentare dovrà essere individuato dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze specifiche di ciascun magistrato e tenuto conto delle sue richieste.
Solo nei primi quattro anni successivi all'assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati dovranno partecipare a sessioni di formazione annuali. Inoltre, diversamente da quanto è disposto attualmente, la partecipazione ai corsi è considerata attività di servizio (e non periodo di congedo retribuito).

Il sottosegretario Luigi SCOTTI, con riferimento all'articolo 3 del provvedimento, fa presente che sussistevano vari orientamenti in ordine al ruolo e alla posizione che dovesse assumere la Scuola Superiore della magistratura. Secondo una prima tesi, la scuola avrebbe dovuto avere un rapporto organico con il Consiglio Superiore della Magistratura. Secondo altre impostazioni, avrebbe dovuto avere un legame funzionale con il Ministero della giustizia e la Corte di Cassazione. Il disegno di legge in esame ha invece optato per una diversa impostazione, stabilendo che la scuola debba avere una posizione autonoma


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pur conservando uno stretto legame con il Consiglio superiore della magistratura, fermo restando che mentre la scuola si occupa della preparazione dei magistrati, è invece il Consiglio superiore della magistratura a dare le valutazioni. La Scuola conserva altresì taluni rapporti con il Ministro della giustizia, soprattutto per quanto concerne la nomina dei componenti del Comitato direttivo e la partecipazione agli orientamenti generali relativi alla formazione. In sostanza, si scioglie invece il rapporto con la Corte di Cassazione.

Marilena SAMPERI (Ulivo), relatore, proseguendo nell'illustrazione del contenuto del provvedimento, rileva come l'articolo 4 riguardi l'istituzione del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e la disciplina dei Consigli giudiziari.
È modificata la composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, confermando i tre componenti di diritto (mentre il disegno di legge governativo aveva invece eliminato il presidente del Consiglio nazionale forense) ed eleva a 11 gli ulteriori membri, così ripartiti: 8 magistrati (due che esercitano funzioni requirenti e sei che esercitano funzioni giudicanti, eletti da tutti e tra tutti i magistrati in servizio presso la Corte e la Procura generale, ivi compresi i magistrati con funzioni di merito addetti all'Ufficio del ruolo e del massimario); 2 professori universitari di ruolo di materie giuridiche, nominati dal Consiglio universitario nazionale; 1 avvocato con almeno venti anni di esercizio effettivo della professione ed iscritto da almeno cinque anni nell'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, nominato dal Consiglio nazionale forense.

Il sottosegretario Luigi SCOTTI, con riferimento alla partecipazione di esponenti dell'avvocatura nei consigli giudiziari, ricorda come anche il testo della riforma Castelli ponesse delle limitazioni molto forti. Il problema, segnatamente, è che gli avvocati componenti i Consigli giudiziari che esprimano valutazioni sui magistrati possono trovarsi in situazioni di incompatibilità. Si è pensato quindi di procedimentalizzare e rendere impersonale tale presenza nei Consigli giudiziari, assegnandola ai Consigli forensi e non a singoli avvocati.

Marilena SAMPERI (Ulivo), relatore, riprende quindi l'illustrazione del contenuto del provvedimento e rileva che l'articolo 4, comma 2 interviene sull'articolo 2 del decreto legislativo n. 25 del 2006, eliminando la previsione di componenti supplenti del Consiglio direttivo. Il comma 4 sostituisce l'articolo 4 del decreto legislativo, relativo all'elezione dei componenti togati del Consiglio direttivo, e aggiunge un ulteriore articolo 4-bis volto a disciplinare la ripartizione dei seggi. Sono state modificate le competenze del Consiglio direttivo, intervenendo sull'articolo 7 del predetto decreto legislativo. Quanto all'attività consultiva, è precisato che il parere sull'attività dei magistrati consiste in una valutazione di professionalità ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 160 del 2006. È soppresso il parere al Consiglio Superiore della Magistratura su alcune vicende riguardanti la vita professionale dei magistrati; sono soppresse tutte le funzioni di vigilanza disciplinare e le competenze amministrative.
Il comma 6 modifica l'articolo 8 del decreto legislativo prevedendo che i componenti laici del consiglio direttivo (avvocato e professori) possano partecipare alle riunioni esclusivamente quando si tratta di rendere il parere sulle tabelle della Corte di cassazione.
I commi da 8 a 12 dell'articolo in commento intervengono sul Capo I del Titolo II del decreto legislativo, relativo alla composizione e alla durata in carica dei Consigli giudiziari.
In particolare, il comma 8 modifica l'articolo 9 del decreto legislativo, relativo alla composizione dei consigli giudiziari.
Tale comma elimina anzitutto il presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati del capoluogo di distretto dai membri di diritto dei consigli giudiziari. Inoltre, distingue tre differenti profili strutturali


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dei consigli in funzione del numero dei magistrati presenti in organico nei distretti. In tutti i casi elimina però sia i rappresentanti dei giudici di pace che i rappresentanti dei consigli regionali, creando una Sezione del consiglio giudiziario relativa ai giudici di pace.
Il comma 12 modifica il sistema elettorale per l'elezione dei componenti togati dei consigli giudiziari, sostituendo l'articolo 12 del decreto legislativo e inserendo gli articoli da 12-bis a 12-quater.
In particolare, il nuovo articolo 12, commi 1 e 2, disciplina la presentazione delle liste prevedendo che ciascuna lista debba essere sottoscritta da almeno 25 elettori, le cui firme dovranno essere autenticate; che ciascun elettore possa presentare una sola lista; - che ciascuna lista non possa essere composta da un numero di candidati superiore ai numero degli eleggibili; - che ciascun candidato non possa essere inserito in più di una lista. Il comma 3 interviene sulle modalità di voto prevedendo che ciascun elettore abbia a disposizione due schede, una per eleggere i magistrati requirenti e una per eleggere i magistrati giudicanti; nell'ambito di ciascuna scheda l'elettore potrà esprimere un voto di lista e una sola preferenza.
L'articolo 12-bis disciplina il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi prevedendo un sistema proporzionale.
Gli articoli 12-ter e 12-quater disciplinano le modalità per l'elezione dei giudici di pace all'interno dell'apposita sezione del consiglio giudiziario. Le disposizioni ricalcano sostanzialmente quelle previste per i componenti togati dei consigli, non a caso anche le elezioni si tengono contestualmente e negli stessi locali, con le seguenti differenze: le liste contrapposte devono essere sottoscritte da almeno 15 elettori; ogni elettore riceve una sola scheda.
Il comma 13 modifica l'articolo 15 del decreto legislativo, relativo alle competenze dei consigli giudiziari.
Analogamente alle modifiche apportate alla competenza del consiglio direttivo della Cassazione, tale norma interviene sulle funzioni consultive dei consigli giudiziari precisando che il parere sull'attività dei magistrati consiste in una valutazione di professionalità ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 160 del 2006. È soppresso il parere al Consiglio Superiore della Magistratura su alcune vicende riguardanti la vita professionale dei magistrati; sono soppresse tutte le funzioni di vigilanza disciplinare e le competenze amministrative.
Il comma 14 interviene sull'articolo 16 del decreto legislativo relativo alla composizione dei consigli giudiziari in relazione alle competenze da esercitare.
Il comma 15 inserisce un ulteriore articolo nel decreto legislativo: l'articolo 18-bis, che demanda ad un regolamento, adottato su proposta del ministro della giustizia, di concerto con il ministro dell'economia, la disciplina esecutiva del procedimento per l'elezione dei componenti del consiglio direttivo della Cassazione e dei consigli giudiziari.
Il comma 16 dell'articolo 4 interviene sull'articolo 5, comma 2, della legge 4 maggio 1998, n. 133, relativa agli incentivi ai magistrati trasferiti in sedi disagiate. Il provvedimento ribadisce il diritto del magistrato trasferito in sede disagiata, in caso di trasferimento a domanda, ad essere preferito a tutti gli altri aspiranti ove la permanenza in servizio presso al sede disagiata sia stata superiore ai cinque anni.
Il comma 17 novella l'articolo 14 del decreto n. 109 del 2006, riguardante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, al fine di specificare che il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare entro un anno dalla notizia del fatto.
Il comma 18 interviene sul decreto legislativo n. 240 del 2006, relativo alle competenze dei magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari nonché al decentramento su base regionale di alcune competenze del Ministero della giustizia. In particolare, la disposizione inserisce il comma 2-bis all'articolo 2 del decreto, dedicato alla gestione delle risorse umane da parte del dirigente amministrativo. Il nuovo comma 2-bis demanda ad un decreto ministeriale


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di natura non regolamentare del ministro della giustizia, emanato di concerto con il ministro dell'economia la determinazione dei posti di dirigente di seconda fascia negli uffici giudiziari, operando una razionalizzazione che possa anche comportare la previsione di un solo dirigente per più uffici giudiziari.
Il comma 19 modifica l'articolo 7-bis dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto n. 12 del 1941, prevedendo che: le tabelle degli uffici giudicanti siano adottate per un triennio; la violazione dei criteri per l'assegnazione degli affari non determina mai la nullità dei provvedimenti emessi, salvo il possibile rilievo disciplinare. Tale comma coordina poi due disposizioni della precedente disciplina con quella di nuova introduzione: la prima è relativa all'abolizione del limite decennale di permanenza nelle funzioni dei GIP, ora previsto tra 8 e 15 anni; la seconda è relativa all'obbligo, per il Consiglio Superiore della Magistratura, di sentire il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione in sede di adozione delle tabelle della stessa corte.
Al comma 20 dell'articolo 4, infine, sono espressamente indicate una serie di abrogazioni.
L'articolo 5 contiene disposizioni di vario contenuto, volte, in particolare, a dettare la disciplina transitoria di talune situazioni oggetto dell'intervento legislativo in esame.
L'articolo 7 del provvedimento delega il Governo ad emanare, entro 2 anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi compilativi, volti a coordinare la complessa normativa vigente in tema di ordinamento giudiziario, fissando i principi e criteri direttivi e stabilendo il procedimento per l'emanazione dei decreti medesimi.
Gli articoli 6 e 8 sono relativi, rispettivamente, alla copertura finanziaria del provvedimento e all'entrata in vigore dello stesso.

Pino PISICCHIO, presidente, ringrazia l'onorevole Samperi per aver svolto una relazione chiara, efficace ed esaustiva. Sospende quindi la seduta per consentire la riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.

La seduta, sospesa alle 12.20, riprende alle 12.30.

Pino PISICCHIO, presidente, avverte che a seguito della riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, appena svoltasi, domani, alle ore 14.30, la Commissione procederà all'audizione informale dei rappresentanti dell'Associazione Nazionale Magistrati, dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura, dell'Unione delle Camere Penali Italiane nonché dell'Associazione Italiana Giovani Avvocati. Non è stato possibile invece organizzare per domani l'audizione di rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense. Conseguentemente è stato posticipato alle ore 9 di giovedì 19 luglio il termine per la presentazione degli emendamenti.

Manlio CONTENTO (AN) preliminarmente si sofferma sulla scelta del Governo di presentare il disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario al Senato. A tale proposito, ricorda che originariamente il disegno di legge è stato presentato alla Camera ma che, a seguito di un ripensamento del Ministro della Giustizia, è stato successivamente ritirato per essere poi presentato al Senato. Non si tratta di una questione meramente organizzativa relativa alla suddivisione tra i due rami del Parlamento dei disegni di legge del Governo secondo un principio di razionalità, quanto piuttosto di una scelta politica effettuata in prima persona dal Ministro della Giustizia che ha finito di comprimere in maniera grave le prerogative della Camera dei deputati, la quale si trova sostanzialmente nelle condizioni di ratificare un testo approvato dall'altro ramo del Parlamento. Si tratta di una responsabilità politica della quale il Ministro deve rispondere.
Altra questione grave è quella relativa ai tempi di esame della riforma dell'ordinamento giudiziario a disposizione della


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Camera dei deputati. Mentre nella scorsa legislatura l'esame parlamentare, accompagnato da una accesa ed approfondita discussione sviluppatasi fuori dalle aule parlamentari, è iniziato nel febbraio del 2002 e si è concluso nel luglio del 2005. In questa legislatura, invece, la riforma dell'ordinamento giudiziario è stata esaminata per pochi mesi dal Senato e solamente per due settimana dalla Camera. Tale situazione è il risultato di una strategia predeterminata da parte del Governo, considerato che avrebbe potuto presentare al Parlamento il disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario già dal mese di novembre. Ricorda, infatti, che la legge n. 269 del 2006 ha sospeso fino alla data del 31 luglio 2007 l'efficacia delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 160 del 2006. Successivamente all'approvazione di tale legge il Governo avrebbe dovuto sottoporre al Parlamento il nuovo modello di ordinamento giudiziario. Invece si è preferito aspettare il 21 marzo 2007 quando è stato presentato alla Camera il disegno di legge di riforma per essere successivamente trasferito al Senato il 30 marzo 2007. Qualora il Governo avesse tenuto in debito conto l'esigenza della Camera dei deputati di esaminare in tempi congrui il testo trasmesso dal Senato, avrebbe potuto presentare al Senato insieme al disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario un ulteriore disegno di legge volto a prorogare il termine del 31 luglio 2007 di almeno sei mesi. In tal modo sarebbe stato possibile per il Senato, da un lato, esaminare il disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario e, dall'altro, approvare la proroga del termine di sospensione di efficacia della riforma Castelli. Qualora ciò fosse avvenuto, la Camera sarebbe stata in grado di approvare definitivamente il disegno di legge di proroga e contemporaneamente di esaminare con tempi congrui il testo del disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario nel frattempo approvato dal Senato. Ritiene che la questione della salvaguardia delle prerogative della Camera e, quindi, del principio del bicameralismo perfetto, non debba essere relegata ad una problematica che attiene unicamente agli interessi dell'opposizione, trattandosi di una questione che invece attiene alle prerogative di tutti i deputati sia che appartengano alla maggioranza, sia che appartengano all'opposizione.
Altra questione estremamente grave riguarda il contenuto del disegno di legge trasmesso dal Senato. Il Governo prima, presentando il disegno di legge, e la maggioranza del Senato dopo, approvandolo sia pure con alcune modifiche, si sono limitati a recepire i dettato della Associazione Nazionale Magistrati in materia di ordinamento giudiziario. Sostanzialmente, attraverso il Governo, l'Associazione Nazionale Magistrati ha imposto, al Senato prima ed alla Camera successivamente, il proprio modello di ordinamento giudiziario. Ritiene che sia stato politicamente grave l'atteggiamento passivo del Ministro della Giustizia rispetto alle iniziative dell'Associazione Nazionale Magistrati svolte in concomitanza all'esame da parte del Senato del disegno di riforma dell'ordinamento giudiziario. Il Ministro si è limitato a fare proprie le istanze dei magistrati e, durante la seduta, a casusa delle solite contraddizioni della maggioranza, è stato costretto a minacciare che, nel caso di ulteriori dissensi, si sarebbe dimesso invitando il rappresentante del Governo in Aula a rimettersi al parere dell'Assemblea su ogni singola questione. In sostanza, su questioni estremamente delicate, come quelle relative all'organizzazione giudiziaria, il Ministro della Giustizia ha preferito non esprimere la posizione del Governo, in quanto altrimenti avrebbe creato forti divisioni all'interno della maggioranza, ovvero avrebbe contraddetto l'Associazione Nazionale Magistrati. Da tutto ciò emerge una grave responsabilità politica da parte del Ministro della Giustizia il quale, peraltro, ha finito per confermare che le sue scelte non sono dettate dall'obiettivo di conseguire interessi generali. A tale proposito, richiama alcuni episodi che, a suo parere, testimoniano la propensione del ministro a perseguire interessi specifici. In particolare, ricorda che da parte del Ministero della Giustizia sono stati dirottati


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ad interventi a favore di istituti penitenziari collocati in Campania i fondi previsti (circa 32 milioni di euro) per la costruzione del carcere di Pordenone, nonché il decreto ministeriale del 30 novembre 2006 con il quale il Ministro ha modificato la sede della Scuola Superiore della Magistratura decentrata nel meridione, sostituendo la sede di Catanzaro con quella di Benevento. Tuttavia, ritiene che l'atto dal quale con maggior evidenza risulta la scarsa capacità politica del Ministro della Giustizia sia lo schema di regolamento da lui presentato in materia uffici di diretta collaborazione del Ministro della Giustizia. Secondo una ottica del tutto simile, il Ministro ha ritenuto opportuno circondarsi di consiglieri in materie del tutto specifiche, come quella economico-finanziaria, delle libere professioni nonché delle tematiche sociali e della devianza. Finché si tratta di materie come quelle appena elencate, la questione si limita alla reale opportunità che il ministro sia coadiuvato da ulteriori collaboratori. La questione, invece, ha un risvolto grave, ma non serio, in quanto paradossalmente il Ministro, organo politico per definizione, avrebbe voluto avere anche la collaborazione di un «consigliere politico». Tale previsione non è contenuta nello schema di decreto presentato alle Camere, in quanto è stata bocciata dal Consiglio di Stato in occasione del parere espresso sul provvedimento. Richiama espressamente tale parere nella parte in cui si evidenzia che, quale che sia la metodica che sarà seguita dall'Amministrazione, non può essere in ogni caso condiviso l'intento di radicare tra le figure di collaborazione diretta quella del «consigliere politico». Il Consiglio di Stato ha precisato che, a prescindere dal rilievo che la competenza politica è prerogativa del ministro in virtù dell'investitura ad opera del Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 92, comma 1, della Costituzione, è comunque certo che l'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 consente la nomina di «esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni». Nel parere si è sottolineato opportunamente che la consulenza politica, che presuppone le particolari professionalità e specializzazioni per traguardarle in un ambito valutativo del tutto peculiare, non rientra tra quelle richiamate dal testo legislativo e dalla sopra trascritta disposizione regolamentare. Pertanto il Consiglio di Stato ha ritenuto indispensabile l'eliminazione della figura di consigliere politico del ministro. A tale proposito osserva che sarebbe stata del tutto incongrua la previsione di un consigliere politico che affianchi un organo politico, quale è il ministro. Nel caso specifico, invece, la richiesta del Ministro di essere coadiuvato da un collaboratore politico deve essere letta come la riprova della inadeguatezza politica, oltre che tecnica, del Ministro a svolgere il proprio ruolo. Se così è, al Ministro non rimarrebbe che dimettersi.
Passando al merito del disegno di legge, osserva che questo rappresenta una vera e propria controriforma rispetto a quella approvata nella scorsa legislatura. Rispetto a quest'ultima è significativa la mancanza nel testo di qualsiasi riferimento ai principi di cui all'articolo 111 della Costituzione. La cosiddetta riforma Castelli, invece, si basava proprio su tali principi per affermare la terzietà ed autonomia dei magistrati, a tutela dei cittadini utenti del servizio giustizia. La riforma in esame, invece, non prestando alcuna attenzione agli interessi dei cittadini, non richiama in alcun punto i predetti principi costituzionali.
In riferimento alla questione del rapporto gerarchico tra magistrati, osserva che la riforma appare del tutto inadeguata, non tenendo conto che il principio gerarchico deve essere considerato positivamente quando ad esso è connesso il principio di responsabilità. Sottolinea che non vi è alcuna contraddizione tra il principio di gerarchia e quello di autonomia della magistratura se il rapporto gerarchico viene delineato dal legislatore in maniera adeguata alla peculiarità dell'esercizio della funzione giudiziaria. A tale proposito ricorda che paradossalmente, nei giorni scorsi, il capo di una


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procura della Repubblica ha dichiarato di non avere alcuna notizia circa eventuali indagini giudiziarie condotte da suoi sostituti nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri. In questi casi non si tratta di garantire l'autonomia della magistratura quanto piuttosto di modificare un assetto degli uffici giudiziari che finisce per essere un alibi a favore dei magistrati. Osserva che le garanzie previste per la magistratura hanno la propria giustificazione nell'esigenza di garantire gli interessi dei cittadini, piuttosto che quelli dei singoli magistrati. La scarsa attenzione per il cittadino da parte del disegno di legge in esame risulta chiaramente anche dalla mancata previsione di forme di interlocuzione da parte di enti esponenziali, come ad esempio gli enti locali, in materia di valutazione sulla funzionalità del lavoro svolto dai magistrati sul territorio e comunque in ordine alle questioni della giustizia, per quanto gran parte delle spese di giustizia finiscono per ricadere sui bilanci degli enti locali. È singolare che un Governo di centro-sinistra non tenga conto in alcun modo degli interessi delle comunità che usufruiscono del servizio giustizia, preferendo invece privilegiare gli interessi di una categoria.
Ritiene che la riforma dell'ordinamento giudiziario approvata dal Senato non risolve quello che può essere considerato uno dei problemi più rilevanti dell'amministrazione della giustizia. Si riferisce, in particolare, alla totale mancanza di trasparenza delle scelte effettuate dal Consiglio Superiore della Magistratura in relazione alla copertura degli uffici giudiziari. Sarebbe opportuno che il Governo chiarisca quali siano i criteri utilizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura per valutare il numero dei carichi di lavoro per ciascun ufficio giudiziario e conseguentemente decidere quali siano gli uffici giudiziari ai quali destinare nuovi magistrati. Su tale questione non vi è attualmente chiarezza né il disegno di legge in esame offre delle soluzioni. Ritiene poi che il Senato abbia soppresso una delle poche disposizioni del disegno di legge condivisibili. Si tratta, in particolare, della disposizione che per la prima volta prevedeva che le piante organiche degli uffici giudiziari siano stabilite attraverso un provvedimento del Ministro, anziché da parte del Consiglio Superiore della Magistratura sulla base di criteri indefiniti e, pertanto, arbitrari.
Per quanto attiene alla questione dei limiti temporali di permanenza dei magistrati negli incarichi, rileva che sarebbe stato meglio confermare la scelta fatta dal Governo nel disegno di legge, prevedendo un termine di otto anni, anziché di cinque anni come stabilito dal Senato. Il termine più lungo potrebbe essere utilizzato come elemento di valutazione dell'eventuale richiesta di trasferimento ad altra funzione, in quanto può essere considerato fisiologico che un magistrato dopo un periodo sufficientemente lungo cambi funzione.
In riferimento al parere motivato dei consigli giudiziari in relazione alle valutazioni di professionalità dei magistrati attribuite alla competenza del Consiglio Superiore della Magistratura, ritiene che sarebbe opportuno meglio precisare per legge i parametri oggettivi in base ai quali i consigli giudiziari possono esprimere le loro valutazioni circa la capacità, la laboriosità, la diligenza e l'impegno dei magistrati. Il disegno di legge in esame, invece, attribuisce al Consiglio Superiore della Magistratura il ruolo di precisare tali parametri.
Una palese incongruenza del testo è determinata dalla circostanza che il Consiglio Superiore della Magistratura valuta anche dei magistrati fuori ruolo, come ad esempio quelli distaccati presso il Ministero della Giustizia. Si chiede sulla base di quali elementi il Consiglio Superiore della Magistratura possa esprimere valutazioni rispetto ad attività di natura non giurisdizionale.
Altra grave mancanza del testo trasmesso dal Senato è l'eliminazione dei controlli sulla gestione, necessari per valutare concretamente la capacità di un magistrato a svolgere funzioni direttive. Non si comprende in tal caso come si possa, ad un tempo, attribuire tali compiti di responsabilità relativi alla gestione degli


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uffici giudiziari senza che la valutazione sulle persone tenga conto di criteri di efficienza che dovrebbero improntare sempre l'azione dei pubblici uffici.
Circa la copertura finanziaria del provvedimento, ritiene che, a seguito delle modifiche apportate dal Senato al testo originario del disegno di legge, sia necessaria una nuova relazione tecnica che tenga conto di tali modifiche. Annuncia, pertanto, la presentazione di una richiesta di relazione tecnica, ai sensi dell'articolo 79 del Regolamento.

Carlo LEONI (SDPSE) preliminarmente ringrazia la relatrice per la completezza della relazione svolta su un tema tanto delicato e complesso quanto quello della riforma dell'ordinamento giudiziario. Dichiara la propria soddisfazione sulla decisione di audire i rappresentanti dei magistrati e della classe forense sul disegno di legge in esame. A tale proposito dichiara di non condividere le dichiarazioni del presidente dell'Unione Camere Penali riportate dagli organi di stampa, secondo cui il testo approvato dal Senato avrebbe disatteso il programma dell'Unione dove si afferma il principio della separazione delle funzioni. Se ciò fosse vero sarebbe grave non solo politicamente, ma anche sotto il profilo etico, in quanto si tratterebbe di un tradimento dei propri elettori da parte della maggioranza.
In realtà il disegno di legge in esame è del tutto conforme al programma elettorale dell'Unione. In tale programma si esprime una forte critica alla riforma Castelli, si afferma il principio della valutazione di professionalità permanente dei magistrati nonché il principio di separazione delle funzioni.
Non è neanche vero che il contenuto del disegno di legge in esame sia stato imposto al Senato, prima, e alla Camera, dopo, dalla Associazione Nazionale Magistrati. Ciò risulta dalle stesse modifiche apportate dal Senato al testo originario del Governo, che sono fortemente criticate dall'Associazione Nazionale Magistrati.
Per quanto attiene alla particolare questione della separazione delle funzioni, ritiene che sia condivisibile la soluzione adottata dal Senato di prevedere che le funzioni nuove possano essere esercitate solamente in una diversa regione. Sottolinea comunque che la questione relativa alla separazione delle funzioni ovvero delle carriere non debba essere ridotta come una questione contro o a favore dei magistrati. È piuttosto importante che il pubblico ministero non si riduca ad un mero accusatore pubblico, ma abbia l'obbligo di cercare le prove anche a favore dell'indagato.
Per quanto attiene alla scelta operata dal Senato, ritiene che questa abbia il pregio di eliminare i disagi di quella commistione tra i magistrati requirenti e giudicanti che, in un sistema processuale ispirato al principio accusatorio, può far apparire i magistrati non sufficientemente terzi ed autonomi. È esclusa qualsiasi possibilità di commistione, anche apparente, quando il magistrato deve svolgere le nuove funzioni in una diversa regione. La riforma Castelli, invece, risolveva il problema limitandosi a prevedere una mera separazione delle funzioni senza tener conto delle reali esigenze che tale separazione dovrebbe soddisfare, apparendo invece come una scelta punitiva nei confronti di magistrati.
Non condividendo, pertanto, le critiche dell'Associazione Nazionale Magistrati sul tipo di separazione delle funzioni individuata dal Senato, sottolinea che questo è pienamente conforme al terzo comma dell'articolo 107 della Costituzione che sancisce il principio secondo cui la distinzione tra i magistrati è soltanto quella relativa alla diversità di funzioni.
Esprime apprezzamento per la nuova disciplina della Scuola Superiore della Magistratura nonché per le disposizioni che prevedono la presenza dell'avvocatura nei consigli giudiziari. In relazione a quest'ultima questione, sottolinea l'esigenza che la politica possa far superare tutte quelle contrapposizioni che sinora hanno visto come protagonisti l'avvocatura e la magistratura.


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Pino PISICCHIO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.30.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 12.20 alle 12.30.

SEDE REFERENTE

Martedì 17 luglio 2007. - Presidenza del presidente Pino PISICCHIO, indi del vice- presidente Daniele FARINA, indi del presidente Pino PISICCHIO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la Giustizia Luigi Scotti.

La seduta comincia alle 18.20.

Riforma dell'ordinamento giudiziario.
C. 2900, approvato dal Senato.
(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta antimeridiana.

Pino PISICCHIO, presidente, avverte che è stato chiesto che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.

Gaetano PECORELLA (FI) ricorda che oggi in Assemblea il Presidente del gruppo di Forza Italia ha sottoposto al Presidente della Camera le questioni emerse nel corso del dibattito in Commissione, con riferimento alla compressione dei tempi per l'esame parlamentare della riforma dell'ordinamento giudiziario. Dichiara che il Presidente della Camera, dimostrandosi particolarmente sensibile al tale questione, ha ritenuto praticabile la soluzione di un provvedimento, eventualmente da adottare in sede legislativa, che proroghi l'entrata in vigore della cosiddetta «riforma Castelli». Esprime, quindi, la convinzione che anche il Presidente Pisicchio concordi sull'opportunità di perseguire questa diversa soluzione procedimentale, che consentirebbe alla Commissione e, più in generale, alla Camera, di recuperare la pienezza delle proprie funzioni. A nome del gruppo di Forza Italia, dichiara sin d'ora la propria disponibilità a perseguire la via di un provvedimento che proroghi l'entrata in vigore della riforma Castelli fino al 31 ottobre prossimo.

Pino PISICCHIO, presidente, preliminarmente specifica che il Presidente della Camera ha rilevato che le questioni sollevate dal Presidente del gruppo di Forza Italia chiedono un approfondimento da parte della Presidenza, che si è riservato di fare. Il Presidente ha inoltre evidenziato che la proposta di una ulteriore proroga della sospensione di efficacia della riforma Castelli debba essere esaminata da parte di tutti i gruppi.
Per quanto lo riguarda, ricorda di avere espresso varie volte, anche pubblicamente, posizioni compatibili con la soluzione testé prospettata dall'onorevole Pecorella che, pertanto, considera con estremo favore. Si dichiara disponibile a verificare quanto prima l'orientamento dei gruppi sul punto, auspicando che la soluzione prospettata sia condivisa anche dal Senato. Per assicurare ai gruppi un adeguato periodo di riflessione, avverte che tale verifica potrà essere effettuata nell'ambito di un apposito ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, che sarà convocato domani al termine della sede referente prevista nella seduta antimeridiana della Commissione.

Nino MORMINO (FI) esprime talune considerazioni che costituiscono il frutto anche di una lunga esperienza maturata nell'esercizio della professione forense. Sottolinea quindi come il disegno di legge in esame riprenda un dibattito ormai risalente sull'attività ed il ruolo dei magistrati, evidenziando altresì la necessità di


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una riforma radicale non solo dell'ordinamento giudiziario, ma anche del diritto processuale civile e della procedura penale.
In tale contesto ritiene, peraltro, che non possa negarsi un'importanza primaria alla riorganizzazione della magistratura, a causa del suo ruolo centrale, di intersezione con gli altri poteri dello Stato ed anche, sotto il profilo patologico, di condizionamento di tutte le altre attività del sistema. Sottolinea quindi come oggi il potere giudiziario possa esercitare un potere, per lo più sostanziale, di interdizione, in grado di paralizzare qualunque altro potere dello Stato, come un'iniziativa della magistratura possa avere effetti devastanti sull'attività degli altri poteri. Mentre altrettanto non può dirsi per gli altri poteri dello Stato nei confronti di quello giudiziario.
Autonomia e indipendenza della magistratura non sono certamente poste in discussione, anche se non se ne deve fare un uso strumentale. Sussiste, tuttavia, l'esigenza diffusa di porre regole precise e condizioni all'esercizio del potere giurisdizionale, al fine di garantire il corretto funzionamento di tutto il sistema. Non condivide l'opinione secondo la quale una adeguata riforma dell'ordinamento giudiziario non sarebbe efficace o, comunque, sufficiente in tal senso, giacché sarebbe invece preferibile una riforma delle procedure che renderà certi e predeterminati i tempi processuali.
Riservandosi di intervenire in sede emendativa, ritiene comunque di dovere sollevare sin d'ora alcune questioni. Rileva, in particolare, che oggi il sistema parlamentare appare fortemente condizionato dalla forza interdittiva e di pressione esercitata da una specifica componente della magistratura, la quale, a suo avviso, ha palesemente oltrepassato i limiti e confini posti dalla costituzione al potere giudiziario. Rimane inoltre aperto il contenzioso con l'avvocatura e con quella parte della magistratura che vorrebbe vedere applicato il principio di separazione delle carriere. Si riferisce, in particolare, alla battaglia svolta in tal senso anche da Giovanni Falcone.
Ritiene, inoltre, che sia stata gravemente trascurata la questione della concreta realizzazione del principio accusatorio, che colloca il giudice in una posizione di effettiva terzietà, nonché dei principi del giusto processo. Si è impedito, col provvedimento in esame, di attuare tale principio.
Rileva, infine, che i limiti apposti al trasferimento di funzioni appaiono eccessivamente rigidi, non condivisibili, non razionali e, soprattutto, non idonei a risolvere i concreti problemi del mondo della giustizia.

Carolina LUSSANA (LNP) rileva che la discussione sul provvedimento in esame sarà inutile e sterile, soprattutto se non avrà seguito la proposta avanzata dall'onorevole Pecorella. Sottolinea quindi come il comportamento del Governo continui a svilire il ruolo della Camera, ridotta ad una mera Camera di ratifica di quanto deciso dal Senato, peraltro con il voto decisivo dei senatori a vita, e come ormai il bicameralismo perfetto sembri soltanto un ricordo. Appare in ogni caso chiaro che non sarà possibile esaminare compiutamente il provvedimento, nonostante le garbate proteste del Presidente Pisicchio.
Quella all'esame della Commissione non è una riforma, ma una vera e propria «controriforma» dell'ordinamento giudiziario, scritta sotto dettatura dell'Associazione nazionale magistrati, quasi si trattasse di una sorta di «terza» Camera. Le ingerenze esercitate dall'ANM sono state inaccettabili e si sono spinte addirittura fino alla minaccia di sciopero.
Sottolinea quindi come la riforma Castelli non avesse affatto un contenuto destabilizzante, ma si ponesse l'obiettivo di rispondere concretamente ai problemi della giustizia in Italia. Rileva, piuttosto, che nella redazione del provvedimento in esame, come evidenziato anche dal presidente dell'Unione Camere penali, vi è stata una grave e inaccettabile carenza di concertazione.


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Si domanda quindi se oggi si possa ancora parlare di indipendenza della magistratura e sottolinea come la latitanza del potere legislativo consenta al potere giudiziario di interferire, esercitando un improprio ruolo di supplenza.
Il provvedimento in esame appare fortemente criticabile anche nel merito, anche perché sono stati compiuti gravi passi indietro rispetto alla cosiddetta riforma Castelli.
Con particolare riferimento all'articolo 2, sottolinea il netto peggioramento rispetto alla riforma Castelli, poiché il sistema non appare più di tipo meritocratico e la progressione in carriera non è più significativamente condizionata al superamento di concorsi. Ciò, tra l'altro, potrebbe consentire di limitare l'autoreferenzialità della magistratura e l'impropria influenza delle correnti del CSM sulle carriere dei magistrati. Ci si espone invece nuovamente al rischio che le valutazioni sulla professionalità dei magistrati siano fortemente influenzate dalle predette «correnti». Quale esempio del carattere patologico di tale fenomeno, cita il caso eclatante della «bocciatura» di Giovanni Falcone, allorché fu proposto quale Capo della Direzione nazionale antimafia. Quanto, infine, al parere dei Consigli giudiziari, rileva come la presenza dell'avvocatura sia stata ulteriormente depotenziata e, così, la possibilità di esercitare una legittima forma di controllo sulla professionalità dei magistrati.
Critica poi le modalità con le quali si intenderebbe realizzare la separazione delle funzioni, settore nel quale si è forse compiuto il più vistoso passo indietro. Sottolinea come l'interscambiabilità di funzioni sia estremamente dannosa per l'amministrazione della giustizia.
Molti altri sono, a suo avviso, gli aspetti non condivisibili, come, ad esempio, il diverso ruolo attribuito alla Scuola superiore della magistratura. La Scuola, in particolare, viene privata della possibilità di esprimere valutazioni, completamente rimesse al Consiglio superiore della magistratura.
Preannuncia quindi la presentazione di numerosi emendamenti, auspicando peraltro che un provvedimento di proroga dell'entrata in vigore della riforma Castelli possa consentire un effettivo dibattito parlamentare ed aprire il dialogo fra maggioranza e opposizione.

Giuseppe CONSOLO (AN) ritiene che il provvedimento abbia assoluto bisogno di essere emendato, poiché appare quantomeno incompleto. Concorda con l'onorevole Lussana, quando afferma che la Camera dei deputati è ormai in una Camera di mera ratifica, ridotta a svolgere un ruolo infimo. Rileva quindi come il provvedimento in esame sia immodificabile e quindi «blindato», sottolineando come tale situazione, unitamente all'influenza impropriamente esercitata da una sorta di «terza» Camera, esterna al Parlamento, determini la morte del bicameralismo o, almeno, del bicameralismo come configurato dalla Costituzione.
Si sofferma quindi su quelli che ritiene essere errori macroscopici, esemplificativi della qualità del testo normativo in esame.
In particolare, rileva come la formulazione dell'articolo 1, comma 3, lettera c), appaia del tutto oscura ed ambigua. In tema di requisiti di ammissione al concorso, si domanda, infatti, quale sia il trattamento giuridico riservato al dipendente dello Stato che abbia conseguito, come seconda laurea, la laurea in giurisprudenza. In base ad un'interpretazione meramente letterale, tale seconda laurea non consentirebbe l'accesso al concorso. Se, poi, si volesse interpretare nel senso che la seconda laurea in giurisprudenza possa anche essere triennale, mentre la prima possa anche non essere una laurea in giurisprudenza, la norma apparirebbe del tutto irragionevole.
Altrettanto oscure e mal formulate appaiono le successive lettere e), h) ed i), che pongono analoghi problemi interpretativi.
Chi ha redatto le disposizioni in esame avrebbe quantomeno dovuto precisare che la prima laurea debba essere in giurisprudenza o in materia affine.


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A prescindere dagli schieramenti politici, si domanda quindi come sia possibile approvare, in coscienza, norme formulate in tale maniera.
Riservandosi ulteriori interventi e la presentazione di emendamenti, esprime la disponibilità del proprio gruppo ad accedere all'ipotesi di una ulteriore proroga della riforma Castelli.

Luigi VITALI (FI) rileva come il provvedimento sia stato trattato per tre mesi al Senato, mentre alla Camera restano pochi giorni per esaminarlo, per di più con un atteggiamento di chiusura da parte della maggioranza. Constata amaramente che il Parlamento è stato fortemente influenzato da talune componenti della magistratura, che sono le uniche interessate all'approvazione.
Auspica che si possa raggiungere l'accordo che possa far slittare l'entrata in vigore della riforma Castelli, ma in tal caso appare verosimile che le pressioni esterne aumenteranno.
Governo e maggioranza in un anno hanno dimostrato come intendono affrontare le riforme più importanti. In realtà, si è dimostrato che manca una reale volontà di riformare la giustizia, come è dimostrato dalla carenza sempre più grave dei fondi necessari per far funzionare il sistema giudiziario. Quarantacinquemila dipendenti del Ministero della giustizia attendono da circa otto anni una nuova modifica della disciplina delle qualifiche funzionali. A fronte di tale immobilismo, in piena estate si mobilita il Parlamento per approvare, senza un reale esame, la riforma dell'ordinamento giudiziario. Sulla particolare questione della separazione delle funzioni, rileva che nella scorsa legislatura si è pervenuti ad una soluzione dopo circa tre anni di esame parlamentare. Correttamente si pervenne alla scelta di una separazione netta delle funzioni. Ricorda che proprio per venire incontro alle proteste dell'Associazione Nazionale Magistrati si optò per la via della separazione delle funzioni anziché per quella, sempre auspicabile, della separazione delle carriere. Oggi, per venire incontro alle istanze della magistratura associata, si effettua un passo indietro sopprimendo il principio della separazione delle funzioni. Anziché andare avanti verso la separazione delle carriere si è preferito fare un passo indietro rispetto alla riforma Castelli. La scelta operata dal Senato è del tutto irrazionale. Ad esempio, si chiede che senso abbia porre dei limiti al passaggio tra funzioni. Grave è stata la soppressione della prova psicoattitudinale, che è invece prevista per quasi la maggior parte dei concorsi pubblici e privati. Non si capiscono le ragioni di tale soppressione.
Altra questione è quella relativa alla valutazione meritocratica delle carriere. Non è vero che vi è una reale verifica permanente di professionalità. Il nuovo modello, in realtà, lede l'articolo 105 della Costituzione, ledendo le prerogative del Consiglio Superiore della Magistratura che dovrebbe essere messo in grado di poter valutare effettivamente, attraverso un esame, la professionalità dei magistrati. Il Consiglio Superiore della Magistratura, in sostanza, non è messo in grado di valutare realmente la professionalità del magistrato.
Circa la temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi, osserva che il testo trasmesso dal Senato allunga i tempi rispetto alla riforma Castelli. La Scuola Superiore della magistratura è stata snaturata facendole perdere il ruolo di strumento di crescita della magistratura.
Nonostante tutto, comunque, nel Paese vi è una elevata professionalità media dei magistrati. La controriforma in esame elimina il principio meritocratico che invece ispirava il meccanismo di progressione della carriera delineato dalla riforma Castelli. Della controriforma saranno contenti i magistrati che non lavorano ma non certamente i magistrati che lavoravano.

Lanfranco TENAGLIA (Ulivo) rileva preliminarmente come la legge sull'ordinamento giudiziario venga citata più volte dalla Costituzione, proprio per il suo carattere fondamentale. Per circa quarant'anni la materia è stata disciplinata


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sostanzialmente dal cosiddetto «ordinamento Grandi» e dall'intervento di paranormazione del Consiglio superiore della magistratura. In questo quadro, l'attività della magistratura è stata fondamentale per il consolidamento e lo sviluppo della democrazia. Di ciò si deve essere grati ai magistrati.
Ricorda quindi come la magistratura sia stata la prima a reclamare una riforma che rendesse, tra l'altro, effettiva la distinzione tra magistratura giudicante e requirente. Nella precedente legislatura per la prima volta la questione è stata affrontata in modo organico e, a tale scopo, sono stati necessari tre anni. Tuttavia è anche vero che si sono susseguiti ben quattro testi e che spesso si è fatto ricorso allo strumento della fiducia. Gran parte di tale riforma è entrata in vigore, anche col contributo dell'opposizione di allora, ma senza suggeritori esterni. Così come oggi non si può affermare che vi sia alcun soggetto che abbia dettato, dall'esterno, il testo del provvedimento in esame.
Nella scorsa legislatura, peraltro, sono state effettuate talune scelte palesemente in contrasto con la Costituzione, sia per quanto concerne per la valutazione di professionalità dei magistrati, sia per quanto concerne l'attuazione del il principio di separazione delle funzioni. Criticabile è anche la scelta alla base della costituzione della Scuola superiore della magistratura, che relegava sotto questo profilo il Consiglio superiore della magistratura ad una posizione secondaria, sottolineando come invece la capacità formativa del CSM sia di prim'ordine e riconosciuta a livello internazionale.
La riforma era comunque nel complesso inaccettabile. Il che ha reso necessario sospendere l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 160 del 2006 e intervenire col provvedimento in esame, che, per quanto perfettibile, appare equilibrato e conforme alla Costituzione. Il disegno di legge appare particolarmente condivisibile con particolare riferimento alle norme relative alla configurazione del concordo per accedere alla magistratura quale concorso di secondo grado, nonché alle modalità di verifica della professionalità dei magistrati, che, tra l'altro, attribuisce all'Avvocatura un ruolo concreto e importante. Sussistono tutti i presupposti perché il meccanismo previsto dalla riforma in tema di valutazione della professionalità sia posto in grado di funzionare. Quanto alla distinzione delle funzioni, il meccanismo appare rigido, ma serio e nel complesso condivisibile. Sulla Scuola Superiore della Magistratura, le scelte appaiono in linea col principio di autogoverno della magistratura, stabilito dalla Costituzione.
Come accennato, il provvedimento presenta aspetti tecnici non pienamente soddisfacenti, che andranno valutati con attenzione, eventualmente anche in sede di monitoraggio dell'attuazione delle relative norme. Segnala in particolare la disposizione di cui all'articolo 5, comma 3; le norme che consentono di attribuire funzioni collegiali ai tirocinanti; la rigidità del meccanismo di avvicendamento e di osmosi delle funzioni; la sostanziale assenza di verifiche dopo i ventotto anni di anzianità.
Valuta positivamente il provvedimento nel suo complesso, anche se ritiene che esso costituisca solo un primo passo, essendo necessario riformare anche le regole procedurali. Ritiene infatti necessaria anche l'individuazione di un corretto punto di equilibrio tra potere e responsabilità nell'esercizio dell'azione penale.

Gaetano PECORELLA (FI) preliminarmente dichiara di iscriversi ad intervenire, insieme ai deputati del suo gruppo Costa, Laurini, Mario Pepe, Paniz, Corsetto e Boscetto, nella seduta convocata domani alle ore 8.30.
Rinviando a domani l'intervento sul merito del provvedimento, chiede alla relatrice di chiarire alcuni punti della relazione. In primo luogo rileva che nel corso della relazione è stato affermato che «gli articoli 13 e 14 del decreto legislativo n. 160 del 2006 prevedono analoga disciplina per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa. In entrambi casi, infatti, è stabilita una procedura concorsuale per titoli bandita dal Consiglio


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Superiore della Magistratura, con la relativa domanda di passaggio da proporre inderogabilmente entro il terzo anno di esercizio delle funzioni». Ritiene che tale disposizione non sia prevista dal disegno di legge trasmesso dal Senato. Altra questione è quella relativa alla composizione della commissione di esame per il concorso di accesso in magistratura. Sembrerebbe che questa sia composta da 29 soggetti. Considerato che si tratta di un numero dispari di componenti, ritiene che possano sussistere problemi applicativi della disposizione nella ipotesi in cui siano istituite delle sottocommissioni, le quali, necessariamente, presenteranno una composizione diversa sotto il profilo quantitativo.
Sempre in relazione all'accesso in magistratura, evidenzia che dalla lettura del disegno di legge sembrerebbero essere eliminati i requisiti minimi e massimi per poter partecipare al concorso. Chiede alla relatrice se tali limiti siano stati soppressi o se invece siano desumibili da altre disposizioni dell'ordinamento. Altra questione è quella relativa alla conferma del principio affermato dalla riforma Castelli secondo cui le funzioni di legittimità possono essere attribuite a magistrati solo nel caso in cui vi siano dei posti vacanti presso la Corte di Cassazione. Non è ben chiaro se tale principio sia venuto meno.
Infine, pone una questione di carattere generale legata al tema della successione temporale delle fonti. In particolare esprime forti perplessità sulla possibilità che una legge, come quella che il Parlamento si appresta ad approvare, possa modificare una disposizione legislativa precedente che non sia ancora entrata in vigore, come il decreto legislativo n. 160 del 2006. Sottolinea, a tale proposito, che una norma può essere modificata solo se già entrata in vigore. Prima di tale momento la norma è del tutto irrilevante.

Pino PISICCHIO, presidente, assicura che la relatrice fornirà gli opportuni chiarimenti nella seduta convocata per domani. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 21.20.