I Commissione - Resoconto di marted́ 18 settembre 2007


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COMITATO DEI NOVE

Martedì 18 settembre 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Paolo Naccarato.

Modernizzazione delle amministrazioni pubbliche.
Emendamenti C. 2161-1505-1588-1688-A.

Il Comitato si è riunito dalle 9.50 alle 10.35; dalle 14.10 alle 14.20 e dalle 17 alle 17.05.

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 18 settembre 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Paolo Naccarato.

La seduta comincia alle 10.35.

Schema di decreto legislativo concernente attuazione della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta
Atto n. 131.


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Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
Atto n. 154.

(Esame congiunto e rinvio).

La Commissione inizia l'esame congiunto dei provvedimenti.

Mercedes Lourdes FRIAS (RC-SE), relatore, introduce l'esame dei provvedimenti in titolo ricordando innanzitutto come il Consiglio europeo dell'Aja del novembre 2004 abbia confermato il programma di Tampére e posto le basi per la realizzazione delle seconda fase della politica europea in materia di asilo, la quale è volta ad instaurare entro il 2010 un sistema comune in materia di asilo.
Ricorda, al riguardo, che il Consiglio europeo di Tampére dell'ottobre 1999 ha definito una politica comune dell'Unione europea in materia di immigrazione e di asilo come politica di carattere globale che abbraccia le questioni della politica, dei diritti umani e dello sviluppo dei Paesi d'origine dei flussi migratori. La linea politica stabilita a Tampére prevede quattro direttrici d'azione: una di esse riguarda un regime europeo comune in materia di asilo, secondo la quale l'Unione e gli Stati membri riconoscono l'importanza del rispetto assoluto del diritto di chiedere asilo. La strategia di Tampére si proponeva, in una prima fase, l'armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di asilo per permettere di determinare con chiarezza lo Stato competente all'esame delle domande di asilo, per prevedere una procedura di asilo equa ed efficace e condizioni comuni minime per l'accoglienza dei richiedenti asilo, nonché il ravvicinamento delle normative relative al riconoscimento e agli elementi sostanziali dello status di rifugiato.
Richiama quindi la legislazione nazionale, citando innanzitutto l'articolo 10, terzo comma, della Costituzione, che prevede che lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Ricorda che il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è stato attuato, mancando a tutt'oggi una legge organica in materia, anche se la giurisprudenza ha comunque stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero nonostante l'assenza di una specifica disciplina. Fa presente, al riguardo, incidentalmente, che la Commissione sta lavorando ad un provvedimento apposito che colmi questo vuoto normativo (C. 191 e abbinate).
Evidenzia peraltro che l'istituto del riconoscimento del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato: per l'ottenimento di quest'ultimo non è infatti sufficiente che nel Paese di origine siano generalmente limitate le libertà fondamentali, occorrendo altresì che il richiedente abbia personalmente subito, o vi sia il fondato timore che possa subire, specifici atti di persecuzione. Ricorda che il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nell'ordinamento con l'adesione dell'Italia alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che definisce appunto lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea. Il decreto-legge n. 416 del 1989 (cosiddetta legge Martelli) ha poi stabilito le modalità per il riconoscimento dello status di rifugiato, definendo in questo modo un intervento transitorio in attesa di una disciplina organica. Rileva che la «legge Martelli» presentava alcuni profili positivi, per esempio aveva fatto venir meno la cosiddetta «riserva geografica» fin lì applicata.


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La «legge Martelli» è stata poi modificata nella XIV legislatura dalla legge n. 189 del 2002 (cosiddetta legge Bossi-Fini), la quale ha trasferito a commissioni territoriali gran parte dei compiti della commissione centrale prevista dalla legge Martelli, ha introdotto una procedura semplificata per istanze di asilo di carattere dubbio ed ha previsto il trattenimento in appositi centri del richiedente asilo. Quanto al procedimento, l'innovazione principale è consistita nella distinzione tra una procedura ordinaria, destinata alla generalità dei casi, e una procedura semplificata da attivare per l'esame delle domande di asilo presentate dagli stranieri fermati in condizioni irregolari e da coloro che sono già destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento. Si tratta delle stesse categorie per i quali è disposto il trattenimento obbligatorio nei centri di identificazione (per gli irregolari) o nei centri temporanei di permanenza (per coloro che devono essere espulsi o respinti).
Ricorda che i servizi di assistenza e di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati sono svolti principalmente dagli enti locali. La «legge Bossi-Fini» ha soppresso il contributo di prima assistenza per quarantacinque giorni corrisposto dal Ministero dell'interno in favore dei richiedenti asilo privi di mezzi, previsto dalla «legge Martelli». In luogo di tale contributo, la «legge Bossi-Fini» disciplina un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che consente agli enti locali di accogliere, nell'àmbito dei servizi da essi apprestati, i richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza, ove non ricorrano le condizioni per il trattenimento nei centri di identificazione. Sono previste forme di sostegno finanziario apprestate dal Ministero dell'interno e poste a carico di un fondo ad hoc, nonché l'attivazione, ad opera del Ministero dell'interno, e l'affidamento, mediante convenzione, all'ANCI di un servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza. Il sistema nazionale di accoglienza ha trovato il suo completamento con l'adozione del decreto legislativo n. 140 del 2005, di attuazione della disciplina comunitaria in materia di accoglienza dei richiedenti asilo. Si prevede che l'accoglienza dei richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza sia disposta preferibilmente presso i servizi attivati dagli enti locali e, in caso di indisponibilità, nei centri di identificazione o nei centri di accoglienza allestiti ai sensi della legge n. 563 del 1995 (cosidetta «legge Puglia»). Agli interessati è rilasciato il permesso di soggiorno. Qualora dopo sei mesi non sia stata adottata la decisione sulla domanda di asilo, il permesso di soggiorno è rinnovato per sei mesi e consente di svolgere attività lavorativa.
Passa quindi ad illustrare le due direttive comunitarie, cominciando dalla direttiva 2004/83/CE, relativa alla introduzione di norme minime comuni sull'attribuzione della qualifica di rifugiato, o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, e sul contenuto della protezione riconosciuta. Tale direttiva ha come scopo principale quello di «assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, dall'altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri». Essa si articola in nove capi.
Il Capo I reca le disposizioni generali. In particolare, dopo aver definito l'oggetto e il campo di applicazione della direttiva (articolo 1) ed aver definito alcuni termini (protezione internazionale, rifugiato, status di protezione sussidiaria, etc.) (articolo 2), si riconosce agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli sulla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone ammissibili alla protezione sussidiaria nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale (articolo 3).
Il Capo II disciplina la valutazione delle domande di protezione internazionale. Si prevede, in particolare, che l'esame della domanda di protezione internazionale debba essere effettuato su base individuale (articolo 4). Il timore fondato di esser


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perseguitato o il rischio effettivo di subire un danno grave può esser basato su avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente dal suo Paese di origine (articolo 5). I responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere lo Stato, i partiti o le organizzazioni, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; nonché i soggetti non statuali, se può essere dimostrato che i soggetti precedenti non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (articolo 6). La protezione può essere fornita dallo Stato, dai partiti o organizzazioni, comprese le organizzazioni internazionali, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio (articolo 7). Gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessiti di protezione internazionale, se in parte del territorio del paese di origine egli non abbia fondati motivi di temere di esser perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del Paese (articolo 8).
Il Capo III disciplina i requisiti per essere considerato rifugiato. In particolare si prevede che gli atti di persecuzione devono essere tali da comportare una violazione grave dei diritti umani fondamentali e devono costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni di diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave (articolo 9). Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto degli elementi della razza, della religione, della nazionalità, del gruppo sociale, dell'opinione politica (articolo 10). A questo riguardo osserva incidentalmente che gli elementi di riferimento dovrebbero essere più ampi e numerosi.
La cessazione della qualifica di rifugiato si verifica alternativamente quando (articolo 11) il cittadino di un Paese terzo o un apolide si sia volontariamente avvalso di nuovo della protezione del Paese di cui ha la cittadinanza; avendo persa la cittadinanza, l'abbia volontariamente riacquistata; abbia acquistato una nuova cittadinanza e goda della protezione del Paese di cui ha acquistato la cittadinanza; si sia volontariamente ristabilito nel paese che ha lasciato o in cui non ha fatto ritorno per timore di essere perseguitato; non possa più rinunciare alla protezione del paese di cui ha la cittadinanza, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato; se trattasi di apolide, sia in grado di tornare nel paese nel quale aveva la dimora abituale, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato. L'esclusione dallo status di rifugiato subentra alternativamente se (articolo 12) il cittadino di un paese terzo o un apolide siano soggetti alla protezione ed all'assistenza di un organo o di un'agenzia delle Nazioni unite, diversi dall'Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati; le autorità competenti del paese nel quale ha stabilito la sua residenza gli riconoscono i diritti e gli obblighi connessi al possesso della cittadinanza del paese stesso o diritti e obblighi equivalenti, nonché se sussistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso reati di particolare gravità, quali un crimine contro la pace o un crimine contro l'umanità, come definiti dagli strumenti internazionali.
Il Capo IV disciplina lo status di rifugiato (articolo 13), in particolare la revoca, la cessazione o il rifiuto di tale status, che subentrano se la persona avrebbe dovuto essere esclusa o è esclusa dallo status di rifugiato o se il fatto di aver presentato i fatti in modo erroneo o di averli omessi ha costituito un fattore determinante per l'ottenimento dello status, nonché se vi sono fondati motivi per ritenere che la persona costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro o se la persona costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro (articolo 14).
Il Capo V individua i requisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria: si tratta di danni gravi, quali la condanna a morte, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine ovvero la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile,


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derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (articolo 15). La cessazione dal beneficio della protezione sussidiaria subentra quando sono venute meno le circostanze, che hanno portato alla concessione dello status di protezione sussidiaria (articolo 16). Diversamente, l'esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria consegue alla commissione di un crimine contro la pace, di un crimine di guerra o di un crimine contro l'umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini, alla commissione di un reato grave, alla colpevolezza per atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, al fatto che il soggetto in questione rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello stato in cui si trova (articolo 17).
Il Capo VI disciplina lo status di protezione sussidiaria che viene riconosciuto ai cittadini di paesi terzi o a apolidi, ammessi a beneficiare della stessa protezione sussidiaria secondo quanto previsto dal precedente capo (articolo 18). La revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di protezione sussidiaria subentra se il cittadino di un paese terzo o un apolide avrebbe dovuto essere escluso o è escluso dalla qualifica di persona suscettibile di beneficiare della protezione sussidiaria o nel caso in cui la presentazione di fatti in modo erroneo o l'omissione degli stessi, compreso il ricorso a documenti falsi, abbia costituito un fattore determinante per l'ottenimento dello status di protezione sussidiaria (articolo 19).
Il Capo VII precisa il contenuto della protezione internazionale, che si sostanzia nei punti seguenti: protezione dal respingimento (articolo 21); accesso ai diritti e obblighi previsti dallo status di protezione in lingua comprensibile al soggetto interessato (articolo 22); mantenimento dell'unità familiare (articolo 23); permesso di soggiorno, salvo che non vi ostino motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico (articolo 24); rilascio di documenti di viaggio al di fuori del territorio degli Stati che riconoscono lo status (articolo 25); accesso all'occupazione (articolo 26); accesso all'istruzione (articolo 27); accesso ad adeguata assistenza sociale (articolo 28); accesso all'assistenza sanitaria (articolo 29); tutela dei minori non accompagnati (articolo 30); accesso ad un alloggio (articolo 31); libertà di circolazione nel territorio dello Stato membro (articolo 32); accesso agli strumenti di integrazione (articolo 33); assistenza per il rimpatrio (articolo 34).
Il Capo VIII, relativo alla cooperazione amministrativa, prevede che ciascuno Stato membro designi un punto nazionale di contatto, trasmettendone l'indirizzo alla Commissione, che a sua volta lo comunica a tutti gli Stati membri (articolo 35). Il Capo IX reca le disposizioni finali. In particolare, si prevede la relazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio sull'applicazione della direttiva negli Stati membri, proponendone le necessarie modifiche che devono riguardare in via prioritaria la definizione di danno grave, la normativa sull'accesso all'occupazione e quella sull'accesso agli strumenti di integrazione (articolo 37).
Illustra quindi la direttiva 2005/85/CE, la quale definisce un quadro minimo di norme, valide per tutti i Paesi dell'Unione europea, relative a due aspetti della disciplina in materia di asilo: il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato. Gli obiettivi della direttiva sono sostanzialmente quelli di limitare il fenomeno degli spostamenti di richiedenti asilo tra Paesi membri dovuti ai diversi sistemi normativi in essi vigenti in materia e di favorire l'adozione di procedure efficienti e rapide per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato. La direttiva si articola in sei capi. Il Capo I reca le disposizioni generali. In particolare, viene definito l'oggetto (articolo 1) e il campo di applicazione della direttiva (articolo 3). La direttiva si applica alle domande di asilo presentate nel territorio (o alla frontiera) degli Stati membri (ma non presso le rappresentanze diplomatiche). Le domande di asilo la cui procedura di esame rientra nella presente direttiva sono quelle presentate a norma della Convezione di Ginevra e quelle previste all'articolo 15 della direttiva 2004/83/CE. La Convenzione


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di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata dall'Italia con la legge n. 722 del 1954, indica (articolo 1) i motivi per i quali si ha diritto allo status di rifugiato, vale a dire: discriminazioni fondate sulla razza; discriminazioni fondate sulla nazionalità (cittadinanza o gruppo etnico); discriminazioni fondate sull'appartenenza ad un determinato gruppo sociale; limitazioni al principio della libertà di culto; persecuzione per le opinioni politiche. Accanto a queste situazioni, l'articolo 15 della direttiva 2004/83/CE ne individua altre meritevoli di protezione definita «sussidiaria»: si tratta di eventi gravi, quali la condanna a morte o all'esecuzione, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine ovvero la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La direttiva, inoltre, prevede la designazione da parte di ciascun Paese membro di una autorità competente per l'esame delle domande di asilo (articolo 4) e riconosce agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli sulle procedure di riconoscimento e revoca dello status di rifugiato, se compatibili con la direttiva (articolo 5).
Il Capo II contiene una serie di disposizioni relative alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo. Vengono, innanzitutto, disciplinate dettagliatamente le modalità di accesso alla procedura (articolo 6) prevedendo due possibilità: gli Stati membri possono esigere che le domande siano presentate personalmente dall'interessato, oppure anche da parte di un richiedente a nome delle persone a suo carico. Coloro che presentano richiesta per il riconoscimento dello status di rifugiato possono risiedere, pur senza aver diritto a un titolo di soggiorno, nel Paese dove hanno presentato la domanda fino alla adozione della decisione finale (articolo 7). Di particolare rilievo la disposizione che vieta di respingere o non considerare le domande che non sono state presentate tempestivamente (articolo 8). Un gruppo di disposizioni del Capo II attiene alla disciplina della comunicazione e informazione nei confronti del richiedente asilo. Innanzitutto, le decisioni sulle domande devono essere comunicate per iscritto e, nel caso in cui la domanda sia respinta, la decisione deve essere motivata (articolo 9). Inoltre, il richiedente ha diritto, se ne fa richiesta, di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di asilo, in condizioni di riservatezza adeguate, sul quale deve essere redatto un verbale (articoli 12, 13 e 14). Più in generale, il richiedente asilo ha il diritto di essere informato in una lingua a lui comprensibile della procedura da seguire e di ricevere, se necessario, l'assistenza di un interprete (articolo 10). In materia di assistenza legale sono previste garanzie in ogni fase del procedimento, quali la possibilità di consultare un avvocato o consulente legale. Le spese legali sono gratuite nel caso di decisione negativa (articolo 15). Sono infine previste ulteriori garanzie per i minori non accompagnati (articolo 17).
Il Capo III attiene alle procedure di primo grado relative all'esame delle domande di asilo. Da segnalare la possibilità per gli Stati membri di istituire due tipi di procedure: una ordinaria per la generalità dei casi e una accelerata per una serie tassativamente individuata di situazioni specifiche (articolo 23). La procedura accelerata è destinata a due categorie distinte di domande di asilo: si tratta, da un lato, delle domande verosimilmente fondate o quelle presentate da persone con particolari bisogni, dall'altro, delle domande che presentano una serie di irregolarità o le cui circostanze di presentazione destano sospetti sulla loro fondatezza. In questa categoria rientrano tra le altre le domande contenenti dati falsi o incompleti, o reiterate in assenza di nuovi elementi. Ne fanno parte, inoltre, le domande presentate da soggetti entrati illegalmente, o destinatari di una decisione di espulsione, oppure da un richiedente che costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale. Sono considerate infondate le domande di asilo presentate da coloro che provengono da un Paese di origine ritenuto


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«sicuro» (articolo 23, paragrafo 4, lettera c), salvo che il richiedente invochi «gravi motivi» per ritenere che esso non sia tale nelle specifiche circostanze che lo riguardano (articolo 31, paragrafo 1). Spetta al Consiglio, su proposta della Commissione e con il parere del Parlamento europeo, definire l'elenco dei «Paesi di origine sicuri» (articolo 29). Viene, inoltre, prevista la possibilità di non esaminare le domande, cosiddette irricevibili, che, per diversi motivi, rendono superfluo l'avvio della procedura di esame (articolo 25); si tratta per esempio di richiedenti asilo cui è già stato riconosciuto lo status di rifugiato, oppure che godono di un trattamento equivalente. Gli Stati membri possono prevedere procedure specifiche per le domande reiterate e per quelle presentate ed esaminate nei posti di frontiera (articolo 24). In particolare, per quanto riguarda le procedure di frontiera, la direttiva dà facoltà agli Stati membri di adottare procedure speciali per decidere direttamente alla frontiera sulle richieste di asilo, senza permettere l'ingresso dei richiedenti, ma garantendo loro le forme di tutela previste dal Capo II (articolo 35, paragrafo 1). Tuttavia gli Stati membri possono mantenere in vigore disposizioni vigenti, anche in deroga a tali garanzie, a patto di mantenere un sistema minimo di diritti, quali, ad, esempio, il diritto all'informazione e all'assistenza legale (articolo 35, paragrafo 2). In ogni caso, il procedimento deve concludersi entro quattro settimane, trascorse le quali il richiedente deve essere ammesso nel territorio dello Stato e la sua domanda deve essere esaminata secondo la procedura prevista in generale dalla direttiva.
Il procedimento per la revoca dello status di rifugiato è oggetto del Capo IV. Il procedimento di revoca può aver luogo in qualsiasi momento, qualora emergano fatti nuovi che possono giustificare il riesame del caso (articolo 37). Anche nel corso del procedimento di riesame all'interessato sono garantiti i diritti spettanti al richiedente (diritto ad essere informato, ad essere sentito personalmente, ecc.). Tutti i richiedenti asilo, ai sensi del Capo V, devono poter presentare ricorso contro qualsiasi decisione, compresi i casi di domande considerate irricevibili e di quelle per le quali si è deciso di non proseguire l'esame. Tuttavia, la presentazione del ricorso non consente automaticamente all'interessato di rimanere nel territorio del Paese dove ha presentato la domanda. Spetta, infatti, a ciascuno Stato membro stabilire se l'atto di impugnazione comporti o meno un effetto sospensivo sulla decisione di allontanamento conseguente al rigetto della domanda di asilo (articolo 39). Il Capo VI contiene le disposizioni generali e finali, tra cui i termini per il recepimento.
Conclusa l'illustrazione delle direttive, esprime apprezzamento per l'accurato lavoro svolto dal Governo in sede di redazione dei decreti attuativi, sottolineando in particolare come, là dove le direttive consentivano una qualche flessibilità attuativa, il Governo abbia spesso scelto di non avvalersi delle numerose facoltà previste di prevedere misure derogatorie o più sfavorevoli nei confronti dei richiedenti asilo ed abbia anzi talvolta previsto significative disposizioni più favorevoli per i richiedenti asilo rispetto a quelle delle direttive, anche rinunciando ad attuare talune norme che appaiono ambigue. Osserva poi che temi di fondamentale importanza - quali l'agente di persecuzione, la definizione degli atti di persecuzione e le modalità di accertamento dei fatti e delle circostanze, la nozione di danno grave al fine di riconoscere una protezione sussidiaria - trovano una rigorosa definizione e che gli schemi contengono in gran parte norme legittime ed opportune e nella grande maggioranza delle disposizioni recepiscono correttamente le norme delle direttive comunitarie.
Ciò premesso, intende soffermarsi su alcuni profili critici. Con riferimento allo schema attuativo della direttiva «Qualifiche», rileva con preoccupazione che, all'articolo 10, comma 2, lettera b), la restrizione della protezione assicurata dalla direttiva all'articolo 12, comma 2, lettera b) è stata attuata in modo erroneo. Ricorda che l'articolo 12, comma 2, lettera b)


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della direttiva prevede che un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato «ove sussistano fondati motivi per ritenere abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere qualificati quali reati gravi di diritto comune». La direttiva si riferisce sia a reati gravi, sia ad «atti particolarmente crudeli» anche se commessi con un terminato scopo politico. In tal senso esprime perplessità per il fatto che si sono considerati reati più gravi anche tutti quelli per i quali la pena prevista dalla legge italiana sia non inferiore nel minimo a 4 o nel massimo a 10 anni. A suo avviso, in sede di attuazione della direttiva, il novero dei reati ostativi non deve essere ulteriormente ampliato. Occorre al contrario che tali reati siano ridotti ai delitti più gravi indicati nell'articolo 407, comma 2 , lettera a) del codice procedura penale, che sono stati introdotti nell'articolo 12, comma 1, lettera c) quali cause di diniego del riconoscimento dello status e non già anche nell'articolo 10, comma 2 lettera c) della direttiva quali cause di esclusione. In tal senso è evidente che si tratta di una palese contraddizione che deve essere corretta: lo status di rifugiato non è riconosciuto al richiedente che sia stato condannato per uno dei reati molto meno numerosi rispetto a quelli previsti quali cause di esclusione. Infine, per rispettare la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva prevista dall'articolo 27 della Costituzione è indispensabile far riferimento ad una sentenza definitiva di condanna.
In relazione alla nozione di danno grave, che è nozione cardine della protezione sussidiaria, osserva che l'articolo 14 dello schema di decreto si limita a recepire in modo letterale le circostanze indicate nel testo della direttiva. Tale ripetizione appare però inadeguata, anche in riferimento alla legislazione vigente e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Infatti le ipotesi di danno grave che dà luogo a protezione sussidiaria devono essere attuate in modo estensivo adottando in modo esplicito tutti i criteri della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che vincola tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa, sicché non potrebbe trattarsi di un trattamento più favorevole previsto soltanto dall'Italia. In tale ottica è indispensabile prevedere nel decreto legislativo che la nozione di trattamento, inumano e degradante debba essere inteso quale ricavabile dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che oggi fa proprie definizioni di tortura e di trattamento inumano e degradante che sono previste dalla Convenzione ONU del 10 dicembre 1984 sulla tortura ed altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti.
Con riferimento poi all'articolo 16, relativo all'esclusione, osserva che, in base all'articolo 17 della direttiva europea, le cause di esclusione per gravi reati anche dalla protezione sussidiaria sono più ampie rispetto alle cause di esclusione dallo status di rifugiato e tuttavia esse devono essere interpretate in modo assai restrittivo facendo riferimento all'articolo 15 della direttiva che riconosce la protezione sussidiaria in caso di pericolo grave derivante da condanna a morte o da esecuzione o da pena o trattamento inumano e degradante. Perciò ritiene indispensabile che l'articolo 16, comma 1, lettera b) sia riformulato sotto vari profili. In primo luogo, onde tener conto dell'articolo 27, comma secondo della Costituzione, che prevede la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, occorre che la clausola di esclusione per la commissione del reato grave sia attuata in modo da prevedere che la commissione del reato grave debba essere accertata con sentenza definitiva pronunciata da giudice italiano o straniero. In secondo luogo, per tenere conto del divieto di estradizione dello straniero per motivi politici previsto dall'articolo 10, quarto comma della Costituzione, nonché del divieto di pena di


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morte previsto dall'articolo 27 della Costituzione e del divieto di subire torture o pene o trattamenti inumani o degradanti previsto dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come definiti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ritiene indispensabile prevedere che i fondati motivi per ritenere che il richiedente abbia commesso all'estero un reato grave sussistono soltanto se lo Stato estero abbia regolarmente presentato all'Italia domanda di estradizione a seguito di una sentenza definitiva di condanna, per la quale sia definitiva la sentenza favorevole all'estradizione pronunciata dalla competente Corte d'appello italiana. In terzo luogo, ritiene che l'esigenza di assicurare effettività al diritto d'asilo comporti che i reati gravi debbano essere individuati nei gravi delitti indicati nell'articolo 407 del codice procedura penale e non già nei reati che prevedono una pena edittale minima di 4 anni o massima di 10 anni. Anche la causa di esclusione della protezione sussidiaria prevista dall'articolo 16, comma 1 lettera d) deve essere, a suo avviso, riformulata perché contiene riferimenti troppo generici. Ricorda infatti che l'articolo 17, comma 1, lettera d) della direttiva si riferisce a persona che «rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato in cui si trova «. Il pericolo per la sicurezza dello Stato deve riferirsi ad elementi di carattere concreto ed attuale che si riferiscono al comportamento della persona e non già alla mera circostanza della sua presenza sul territorio. Il riferimento corre quindi alla nozione di pericolosità sociale dichiarata dal giudice nella sentenza definitiva di condanna, per la quale è disposta l'espulsione a titolo di misura di sicurezza.
Con riferimento all'articolo 22, relativo al mantenimento del nucleo familiare, esprime perplessità sulla scelta compiuta dal Governo nel comma 4 di prevedere che il ricongiungimento familiare degli stranieri ammessi alla protezione sussidiaria avvenga con le forme e le condizioni previste dall'articolo 29 del decreto legislativo n. 286 del 1998, anziché con quelle più favorevoli previste per il ricongiungimento familiare dei rifugiati dall'articolo 29-bis dello stesso testo. Osserva infatti che le ragioni di maggior debolezza soggettiva ed oggettiva in cui si trovano i titolari di protezione sussidiaria e i loro familiari esigono proprio quelle forme e condizioni agevolate e semplificate di ricongiungimento familiare. Sottolinea al riguardo che i familiari di uno straniero cui è stata riconosciuta la protezione internazionale da parte dell'Italia sono loro stessi in pericolo e che possono trovarsi nell'impossibilità di giungere in Italia attraverso gli ordinari canali di ingresso previsti per i cittadini stranieri: potrebbero infatti non disporre di un passaporto in corso di validità, essere privi di mezzi o essere già fuggiti dal proprio paese di origine. Ritiene pertanto che equiparare la loro condizione a quella di qualunque altro migrante sia irragionevole e che rischi di costringere i familiari dello straniero che gode della protezione italiana a rivolgersi alla criminalità internazionale per venire in Italia, mettendo così a rischio la propria vita. Osserva inoltre che, se può essere ragionevole ipotizzare che il familiare italiano titolare della protezione sussidiaria che chiede il ricongiungimento con i propri famigliari disponga di mezzi economici per mantenere la famiglia che intende ricongiungere, occorre però almeno prevedere che il ricongiungimento familiare per i titolari della protezione sussidiaria avvenga con una procedura semplificata rispetto all'ordinario, apparendo sufficiente l'accertamento, da parte delle autorità consolari o da enti accreditati, della sussistenza del rapporto di parentela.
In relazione all'articolo 27, relativo all'assistenza sanitaria e sociale, rileva che esso non sembra dare un'adeguata attuazione all'articolo 29, comma 3, della direttiva, il quale prevede che ogni Stato debba fornire un'adeguata assistenza sanitaria, secondo le stesse modalità previste per i cittadini, ai beneficiari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria i quali presentino particolari esigenze, quali le donne in stato di gravidanza, i disabili, le vittime di torture, stupri o altre gravi


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forme di violenza psicologica, fisica o sessuale, o i minori che abbiano subito qualsiasi forma di abuso, negligenza, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante o che abbiano sofferto gli effetti di un conflitto armato. Al riguardo, osserva che, al fine di dare effettiva attuazione alla direttiva, sarebbe necessario prevedere specifiche forme di assistenza e tutela sanitarie e psicologiche in favore di coloro che hanno vissuto situazioni normalmente sconosciute ai cittadini italiani, vale a dire coloro che hanno subito tortura, sfruttamento, trattamenti o pene inumani o degradanti o effetti di un conflitto armato. Ricorda che i dati che provengono dalla rete dello SPRAR rivelano che presso le strutture di accoglienza sono numerosi i casi di persone sottoposte a tortura e trattamenti o pene inumani o degradanti. Tali casi comportano l'attivazione di percorsi di riabilitazione specifici per i quali non si prevedono risorse economiche adeguate nonché percorsi di formazione specifica per il personale delle strutture sanitarie. I programmi oggi eventualmente attivati ricadono sulle spalle dei comuni e delle locali aziende sanitarie. Ritiene quindi che il recepimento della direttiva europea dovrebbe costituire l'idonea sede normativa per prevedere un ordinario canale di finanziamento di interventi da realizzarsi un questo delicato settore.
Per quanto poi riguarda lo schema di decreto legislativo attuativo della direttiva Procedure, osserva che la disciplina della composizione delle Commissioni territoriali appare problematica in quanto, pur risultando migliorato l'impianto legislativo vigente, alle commissioni territoriali non viene assicurata la piena indipendenza dal potere esecutivo, il che costituisce, a suo avviso, il presupposto fondamentale per garantire che l'esame delle domande di asilo sia scevro da ogni influenza del Governo. Richiama l'attenzione da un lato sul fatto che, nel diritto internazionale, il riconoscimento dello status di rifugiato si configura come atto umanitario e non politico; dall'altro sul fatto che il paventato rischio di interferenze è assolutamente reale. Nella storia dell'istituto dell'asilo in Italia sono state infatti numerose le circostanze nelle quali il riconoscimento del diritto è stato condizionato dalle valutazioni politiche del momento, anche in relazione ai rapporti diplomatici e commerciali dell'Italia con i paesi di provenienza dei rifugiati. Sono situazioni che vanno assolutamente evitate perché minano in profondità la credibilità dell'istituto.
Ritiene pertanto che le disposizioni contenute agli articoli 4 e 5 dello schema di decreto legislativo vadano profondamente riviste prevedendo che le commissioni giudicanti abbiano la natura di autorità amministrativa indipendente. In ogni caso, qualora si intendesse mantenere il non pienamente condivisibile impianto attuale, ritiene che si dovrebbe almeno prevedere che tra i membri di ciascuna Commissione sia presente un qualificato esperto in materia di diritto degli stranieri, di rifugiati e di diritto di asilo, scelto in modo indipendente, ad esempio attraverso la designazione del Consiglio universitario nazionale tra i docenti o ricercatori di ruolo oppure del Consiglio nazionale forense tra gli avvocati.
Ritiene inoltre non condivisibile la previsione per cui ogni Commissione è validamente costituita con la sola presenza della maggioranza dei componenti. Proprio in virtù dell'eterogeneità dell'estrazione dei suoi componenti, la quale è utile ai fini di un equilibrato esame di ogni domanda, è infatti essenziale che siano presenti ad ogni riunione della Commissione tutti i suoi componenti e che venga precisato che i componenti delle commissioni territoriali non possono per tutta la durata del loro incarico ricoprire cariche elettive e che devono operare in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione, nel rispetto delle norme internazionali, comunitarie e nazionali vigenti in materia e gli indirizzi elaborati dalla Commissione nazionale per il diritto d'asilo. Ritiene infine grave la scelta, contenuta al comma 5 dell'articolo 4, di non prevedere dotazioni aggiuntive all'organico esistente per le attività di supporto delle


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Commissioni, in quanto l'esperienza ha ampiamente provato che le carenze dell'organico amministrativo producono gravi ritardi e generali difficoltà di funzionamento delle Commissioni territoriali.
Sottolineata poi l'importanza di garantire un effettivo diritto alla difesa al richiedente asilo, che è quasi sempre persona del tutto priva di mezzi, avendo abbandonato la propria terra a causa di persecuzioni e guerre, osserva che l'articolo 16 dello schema legislativo, pur cogliendo tale esigenza, è formulato, a suo avviso, in modo impreciso. Risulta infatti necessario prevedere espressamente che il richiedente asilo è sempre ammesso al gratuito patrocinio, sia che goda di un permesso di soggiorno sia che ne sia privo; che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 79 (L), comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio, il richiedente non è tenuto a produrre alcuna attestazione consolare di eventuali redditi prodotti all'estero, dei quali non si deve tenere conto, e che possa autocertificare gli eventuali redditi percepiti in Italia. Si tratta di precisazioni che potrebbero apparire ovvie, ma che sono necessarie in quanto l'attuale disciplina italiana sul gratuito patrocinio non è idonea a tutelare al meglio la condizione di rifugiato, e ciò in quanto il legislatore non ha finora previsto tale figura. Può pertanto accadere che venga richiesto al richiedente asilo una regolarità di soggiorno che egli non può avere, essendo giunto in Italia in deroga alle ordinarie disposizioni sull'immigrazione, o che addirittura gli venga richiesto proprio ciò che per lui non è possibile ottenere, ossia una certificazione rilasciata dall'autorità del proprio Paese ovvero dal soggetto che lo perseguita o comunque che non lo protegge.
Per quanto attiene poi all'accoglienza dei richiedenti asilo, rileva che in tale ambito si concentrano tanto gli aspetti più innovativi quanto quelli più critici dell'intero schema di decreto. Ritiene pertanto che a tale materia debba essere dedicata una speciale attenzione da parte della Commissione. Fa presente che, nel riformare il sistema di accoglienza, il Governo prende atto del completo fallimento dei cosiddetti centri di identificazione e ne prevede la definitiva chiusura a favore di un nuovo modello di accoglienza. Ricorda che la grave situazione di tali centri era stata autorevolmente evidenziata nella relazione della Commissione De Mistura, nominata dal ministro dell'interno Amato, con il compito di effettuare una rilevazione indipendente sulla situazione dei centri per gli stranieri, e che ne era emerso un quadro desolante. Pur prendendo atto con soddisfazione della volontà del Governo di modificare l'esistente, rileva che le proposte di cambiamento sono, a suo giudizio, confuse. Ricorda che la Commissione De Mistura aveva raccomandato quanto segue: «Per ovviare ad una situazione complessiva che presenta caratteristiche di poca chiarezza ed efficienza e solleva rilevanti problematiche per ciò che attiene il pieno rispetto dei diritti dei richiedenti asilo, comportando altresì dispendi di energie e di risorse ingiustificati, la Commissione auspica una riforma normativa che preveda un unico Sistema nazionale di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati da collocarsi come evoluzione dell'attuale Sistema di protezione (SPRAR). Nell'ottica sopra indicata la Commissione auspica che vi sia una graduale sostituzione dell'attuale sistema dei Centri di identificazione con il sistema SPRAR». Fa presente che, diversamente da quanto suggerito dalla Commissione, nello schema di decreto in esame si seguita a mantenere due ben distinti canali di accoglienza per i richiedenti protezione: da una parte la rete dell'accoglienza diffusa realizzata dalle amministrazioni comunali, che ha da dato risultati eccezionalmente positivi in questi anni, anche in termini di contenimento della spesa; dall'altra una nuova tipologia di centri di accoglienza, detti «centri richiedenti asilo», la cui natura non viene definita, dai quali comunque i richiedenti medesimi non possono allontanarsi. Le ipotesi nelle quali il richiedente asilo verrebbe inviato in tali centri sono numerosissime, riguardano quasi la totalità delle


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domande di asilo e per molti aspetti coincidono con le ipotesi di invio ai vecchi centri di identificazione.
Osserva che l'ampiezza e l'indeterminatezza delle ipotesi in cui verrebbe comunque prevista una limitazione della libertà di circolazione per i richiedenti asilo ospitati presso i futuri Centri per richiedenti asilo e la stessa condizione «sospesa» del richiedente asilo presente nei centri, il quale resta privo di un valido titolo di soggiorno, appare collidere con il principio generale della libera circolazione del richiedente asilo e della regolarità di soggiorno nel territorio in pendenza dell'esame della domanda. Le ipotesi di limitazione della libertà di circolazione dei richiedenti asilo andrebbero invece rigorosamente ristrette a situazioni nelle quali tale limitazione appare ragionevole in ragione della sicurezza della collettività. Tale ragione appare ad esempio sussistere nel caso di domande di asilo presentate da cittadini stranieri già presenti nel territorio nazionale e precedentemente colpiti da un provvedimento di espulsione. È invece irragionevole estendere tale doverosa vigilanza a quasi tutti i richiedenti asilo. Sottolinea in particolare la previsione dell'invio nei centri di tutti i richiedenti asilo privi di documenti di viaggio o di identità, anche nei casi in cui i richiedenti stessi si siano presentati spontaneamente, senza indugio alle autorità chiedendo asilo. A suo avviso, tale condizione soggettiva dei richiedenti non dovrebbe, al di là del tempo strettamente necessario ad eseguire l'identificazione di pubblica sicurezza e l'avvio della procedura di asilo, comportare l'applicazione di una misura di limitazione della libertà di circolazione per tutto il tempo dell'esame della domanda, trattandosi della condizione più ovvia e normale per coloro che fuggono dal loro Paese di origine per sottrarsi a persecuzioni o a condizioni di grave pericolo per la propria vita e sicurezza.
Aggiunge che ai richiedenti asilo inviati nei centri non verrebbe rilasciato un permesso di soggiorno, bensì solo un attestato nominativo che ne certifica la qualità di richiedenti la protezione internazionale, mentre il permesso di soggiorno per richiesta di asilo verrebbe rilasciato solo «negli altri casi», vale a dire nei casi di non invio ai centri, bensì di accoglienza ordinaria. Ritiene che tale previsione sia in contrasto con i principi generali di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, che regolano l'ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato. Va infatti considerato che il richiedente ha fatto ingresso nel territorio nazionale in condizioni di esenzione dai requisiti ordinariamente prescritti per gli stranieri ammessi per ragioni diverse da quelle legate all'applicazione delle norme di protezione internazionale e che, ad eccezione delle ipotesi di cui al comma 2, lettera d), si tratta di stranieri che non sono stati né espulsi né respinti. Deve pertanto ritenersi che la posizione del richiedente di cui all'articolo 20, comma 2, lettere a), b), c), non possa che essere quella di uno straniero temporaneamente ammesso a soggiornare nel territorio dello Stato per l'esame della domanda di asilo. In pendenza dell'esame della domanda il richiedente non può pertanto essere assimilato ad un soggetto irregolarmente presente e quindi va munito di un regolare permesso di soggiorno. Il fatto che tale permesso di soggiorno sia di breve durata, sia rilasciato esclusivamente per permettere l'esame della domanda di asilo e non sia convertibile in altro titolo di soggiorno non incide sulla piena regolarità del soggiorno del richiedente. L'irragionevolezza della previsione in esame appare, a suo avviso, tanto più evidente quando si consideri che, all'articolo 35 dello schema di decreto legislativo, si prevede correttamente che al richiedente asilo che agisca avverso la decisione di rigetto dell'istanza da parte della commissione territoriale, e al quale è garantita la prosecuzione dell'accoglienza presso il medesimo centro, deve essere rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo; con la conseguenza paradossale che, per diventare regolarmente soggiornanti, bisogna essere ricorrenti.
Ritiene quindi che tali incongruità dell'articolato debbano essere riviste, prevedendosi che il richiedente asilo abbia diritto


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a ricevere un permesso di soggiorno per richiesta di asilo dal momento della presentazione della domanda e valido per tutto il tempo in cui è pendente l'esame dell'istanza, in via amministrativa nonché in sede di tutela giurisdizionale. In conclusione, ritiene necessario rivedere il testo sulla materia dell'accoglienza e sulle disposizioni collegate il testo del decreto. Diversamente, poco o nulla cambierà rispetto ai vecchi centri di identificazione, al di là del nome, col rischio che si continuino ad utilizzare, come ora, vecchi aeroporti militari dismessi, come Crotone e Foggia, ammassandovi migliaia di persone in container, laddove tali strutture dovrebbero essere al massimo punti di primo soccorso in caso di afflussi concentrati, in modo che, una volta terminata la fase del soccorso e della identificazione di polizia, i richiedenti asilo possano essere trasferiti in strutture di ospitalità civili, ordinarie, gestite dai comuni e dalle associazioni Si tratta di una scelta che il testo dello schema di decreto non opera con la dovuta chiarezza.
Da ultimo, si sofferma sulla scelta operata dal Governo di prevedere come norma generale che la presentazione di un ricorso in sede giurisdizionale abbia effetto sospensivo sull'esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dello straniero, fino alla decisione di merito di primo grado. Si tratta di una scelta che segna una importantissima evoluzione e testimonia della sensibilità del Governo sulla materia. Si riconosce in questo modo ciò che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sui diritti dell'Uomo ha costantemente affermato, ossia che la tutela giurisdizionale nella materia dell'asilo deve essere pienamente effettiva, nel rispetto dell'articolo 13 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. Fa presente che «rispetto del principio di effettività» significa che lo straniero che chiede l'accertamento del diritto soggettivo all'asilo non deve essere rinviato nel Paese di presunta persecuzione prima che l'intero procedimento di riconoscimento del diritto d'asilo venga concluso con esito negativo. Sulla materia, l'articolato proposto presenta tuttavia due rilievi critici di forte rilievo. In primo luogo, il criterio prescelto per individuare la competenza territoriale del giudice ordinario dovrebbe conformarsi al principio, previsto dall'articolo 39 della direttiva europa, dell'obbligo dello Stato di assicurare al richiedente il diritto ad un ricorso efficace. L'articolato incardina la competenza dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede la commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento Ciò confligge però con il principio del diritto ad un ricorso efficace. Si tratta di dare attuazione ad un diritto soggettivo dello straniero o dell'apolide e non alle esigenze organizzative dell'amministrazione che ha adottato il provvedimento impugnato. Perciò il giudice dovrebbe essere individuato nel luogo più possibile vicino a quello in cui lo straniero o l'apolide si trova, cioè nel luogo in cui allo straniero è consegnata la decisione impugnata, pur essendo ragionevole mantenerlo presso il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, per esigenze organizzative degli uffici giudiziari connessi anche ad eventuali necessità connesse al reperimento di traduttori ed interpreti. In secondo luogo, per la medesima necessità di assicurare allo straniero un ricorso efficace, il termine di 15 giorni a pena di inammissibilità, per proporre ricorso andrebbe aumentato almeno a 30 giorni. La previsione del termine di 15 giorni non sembra infatti tenere nella dovuta attenzione fattori che possono avere un grande peso sull'effettività dell'accesso dello straniero alla tutela giurisdizionale, quali la mancanza di padronanza della lingua, la non conoscenza del territorio italiano, la possibile lontananza del tribunale competente, la necessità di reperire in tempi brevissimi un legale di fiducia, la brevità del tempo a disposizione per valutare gli elementi da porre a fondamento dell'azione giurisdizionale, la richiesta di ammissione al gratuito patrocinio. Risulta pertanto di primaria importanza prevedere un termine più lungo, pur se ragionevolmente breve, poiché diversamente


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si verrebbe ad inficiare gravemente l'esercizio del diritto di difesa da parte del richiedente asilo.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.05.

SEDE REFERENTE

Martedì 18 settembre 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Paolo Naccarato.

La seduta comincia alle 11.05.

Sui lavori della Commissione.

Luciano VIOLANTE, presidente, avverte che, su richiesta di un gruppo parlamentare, il termine per la presentazione di emendamenti al testo base adottato nell'ambito dell'esame delle proposte di legge in materia di ineleggibilità e di incandidabilità (C. 1451), già fissato alle ore 10 di oggi, è prorogato alle ore 10 di giovedì 20 settembre.

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
C. 199 Zeller, C. 768 Marras e C. 2170 Palomba.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 12 settembre 2007.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta, avvertendo che con la prossima seduta si concluderà l'esame preliminare del provvedimento.

Modificazioni all'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, in tema di distacco ed aggregazione di comuni e province.
C. 2523 cost. Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 12 settembre 2007.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Interpretazione autentica dell'articolo 56, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di pari opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo.
C. 2946 D'Alia.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, il 12 settembre 2007.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.25.