VIII Commissione - Mercoledì 14 novembre 2007


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ALLEGATO 1

Interrogazione n. 5-01132 Caparini: Transitabilità delle uscite dalla strada statale n. 42.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con riferimento alla chiusura della strada di accesso dalla strada statale n. 42 «Del Tonale e della Mendola» in località Pleno in Coune di Esine, l'ANAS S.p.A. riferisce che questa si è resa necessaria in quanto la strada in questione costituiva un accesso abusivo alla statale 42 e, nel tempo, si era trasformata in uno svincolo non regolamentare nonché pericoloso per la sicurezza della circolazione.
L'attraversamento del rilevato stradale viene effettuato mediante un sottovia in lamiera ondulato di tipo «Armco» di dimensioni ridotte e funzionale esclusivamente per l'accesso ad una proprietà privata.
La statale 42 costituisce un intervento inserito tra le opere strategiche di preminente interesse nazionale di cui alla delibera CIPE n. 121/01 - Allegato 2, nel Contratto di Programma ANAS Spa. 2007-2011 e nel DPEF 2008-2012 - Allegato G.
Le progettazioni in corso di redazione, previste dal medesimo Contratto di Programma, per le quali si sono avviate le procedure approvative ordinarie, riguardano le seguenti tratte:
variante agli abitati dei comuni di Albano S. Alessandro e Trescore Balneario (Progetto definitivo con Appaltabilità 2007);
lavori di ammodernamento da Darfo a Edolo 6o lotto - 2o stralcio da Cedegolo a Malanno - Progetto preliminare (inserito nel Contratto di Programma ANAS - Ulteriori Interventi).

Si sottolinea che le citate tratte non riguardano le criticità rilevate in località Plemo nel comune di Esine per le quali non risultano progettazioni in corso.
In relazione ai previsti contributi pluriennali di cui alla lettera f), comma 78, autorizzati con la legge n. 266 del 2005 a favore del completamento del «Sistema Accessibilità in Valcamonica» - Strada Statale 42 del Tonale e della Mendola, si è, allo stato, in attesa dell'emissione dei relativi nulla osta sugli schemi contrattuali trasmessi dall'ANAS Spa e dei relativi decreti interministeriali.


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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-01666 Fasciani: Attività delle SOA alla luce del regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici.

TESTO DELLA RISPOSTA

Il decreto legislativo n. 113/2007, correttivo del Codice dei contratti pubblici, in vigore dal primo agosto 2007, ha introdotto alcune modifiche che mirano a rafforzare la trasparenza degli appalti pubblici.
Particolarmente significativo in tema di trasparenza è il comma 3 dell'articolo 40 del Codice, con il quale vengono attribuite alle SOA funzioni di natura pubblicistica.
Con l'introduzione di tale norma, oltre a rendersi possibile il superamento di quelle difficoltà operative incontrate dalle SOA nella fase di verifica in ordine alla veridicità dei requisiti di ordine generale e speciale delle imprese che richiedono l'attestazione, viene sancita la prevalenza dell'interesse pubblico alla tutela dell'attività di qualificazione rispetto all'interesse privatistico alla libera organizzazione della attività di impresa delle SOA, con la conseguenza che le stesse non potranno più ricorrere a promotori commerciali esterni non inseriti in organico (i cosiddetti procacciatori d'affari).
Quest'ultimo aspetto è disciplinato dall'articolo 67 dello schema di regolamento che prevede il divieto di affidare a soggetti esterni all'organico delle SOA lo svolgimento di ogni prestazione inerente all'attività di qualificazione compresa l'attività di promotore commerciale.
Inoltre, con l'affermazione del principio della funzione pubblicistica, ne consegue che il dipendente delle SOA, in quanto parte integrante della specifica organizzazione della società, è responsabile di quelle condotte penalmente rilevanti di cui agli articoli 476 e 479 del codice penale (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici - falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).
Tale previsione dà luogo anche all'azione di responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica prevista dall'articolo 1 della legge n. 20/1994 (danno erariale cagionato ad amministratori o ad enti pubblici).
La necessità di individuare precise responsabilità nel caso di falsificazione di documenti che hanno determinato il rilascio di attestazioni illegittime costituisce un obiettivo auspicato anche dalla stessa Autorità di vigilanza la quale ha rilevato che, allo stato, è difficile ricondurre ai promotori commerciali specifiche responsabilità in quanto soggetti giuridicamente estranei all'organico delle SOA e che svolgono attività meramente strumentali all'attività di attestazione.
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, qualora venisse espunta tale disposizione regolamentare rimarrebbe indefinito l'accertamento delle responsabilità


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e, di conseguenza, perdurerebbe il contenzioso con le imprese le quali si sono sempre difese attribuendo ai promotori l'operato della falsificazione dei documenti.
D'altro canto, il divieto di avvalersi dei promotori commerciali potrà indurre le SOA ad assorbire stabilmente nel proprio organico i soggetti più qualificati mediante l'assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno, eliminando così lo stato di precarietà, tipico dei contratti di consulenza, ed evitando negative ripercussioni sul piano occupazionale.


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ALLEGATO 3

7-00302 Realacci: Disciplina dei criteri di computo dell'indennità di espropriazione.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,
premesso che:
la Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), con la sentenza Scordino c. Italia del 29 marzo 2006, ha riconosciuto l'incompatibilità dei criteri di computo dell'indennità di espropriazione previsti dall'articolo 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 35, con l'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea per i Diritti dell'Uomo e le Libertà fondamentali (CEDU), recante disposizioni in materia di protezione della proprietà;
secondo la citata sentenza Scordino c. Italia del 29 marzo 2006, i criteri di quantificazione dell'indennità di esproprio sostanziano violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, per mancanza del necessario equilibrio che deve sussistere, in tema di proprietà, tra esigenze di carattere generale, direttamente a salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo, e imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo, equilibrio che viene vulnerato quando l'indennizzo non sia ragionevolmente rapportabile al valore della proprietà espropriata;
sulla materia si era espressa la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 283 del 1993, nel dichiarare non fondata la questione relativa al citato articolo 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, aveva posto in rilievo il carattere transitorio di tale disciplina, giustificata dalla grave congiuntura economica che il Paese stava attraversando, precisando che la valutazione sull'adeguatezza dell'indennità doveva essere condotta in termini relativi, avendo riguardo al quadro storico-economico ed al contesto istituzionale;
la medesima Corte costituzionale, con la sentenza n. 348, depositata il 24 ottobre 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato articolo 5-bis, da un lato constatando che il criterio dichiaratamente provvisorio previsto dallo stesso articolo era divenuto definitivo ad opera dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) e, dall'altro, rilevando che la condizione della «sfavorevole congiuntura economica» che aveva indotto nel 1993 la stessa Corte a ritenere le suddette disposizioni non incompatibili con la Costituzione, non poteva protrarsi all'infinito, «conferendo sine die alla legislazione una condizione di eccezionalità che, se troppo prolungata nel tempo, perde tale natura ed entra in contraddizione con la sua stessa premessa»;
secondo la Corte costituzionale, un'indennità «congrua, seria ed adeguata» non può «adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere risultati marcatamente lontani da essa»,


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giungendo «sino alla pratica vanificazione dell'oggetto del diritto di proprietà»;
con la richiamata sentenza n. 348 del 2007, il «Giudice delle leggi» ha dichiarato anche l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell'articolo 37, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), poiché recanti norme identiche a quelle contenute nel citato articolo 5-bis e dichiarate in contrasto con la Costituzione con la medesima sentenza;
alla luce delle richiamate pronunce, si può constatare che sia la giurisprudenza della Corte costituzionale sia quella della Corte EDU concordano nel ritenere sia che il punto di riferimento per determinare l'indennità di espropriazione debba essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato, sia la non coincidenza necessaria tra valore di mercato e indennità espropriativa, alla luce del sacrificio che può essere imposto ai proprietari di aree edificabili in vista del raggiungimento di fini di pubblica utilità;
è, dunque, evidente che la stessa giurisprudenza riconosce l'esigenza, avvertita anche a livello istituzionale, di non impedire, di fatto, agli enti locali di esercitare la potestà espropriativa e di non porre tali enti in condizioni di vera e propria emergenza economico-finanziaria per la corresponsione della relativa indennità;
sia la Corte EDU con il richiamato arresto del 29 marzo 2006 sia la Corte costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007 evidenziano, peraltro, l'esigenza di un intervento del legislatore nella materia;
in proposito, si ricorda che la sentenza n. 348 del 2007 ha dettato i seguenti principi in materia di revisione dell'indennità di esproprio:
a) «il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l'indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato. L'articolo 42 Cost. prescrive alla legge di riconoscere e garantire il diritto di proprietà, ma ne mette in risalto la «funzione sociale»»; ciò comporta, dunque, che il valore dell'indennità corrisponda ad un equo e ragionevole indennizzo del danno prodotto e non all'integrale valore venale del bene;
b) «valuterà il legislatore se l'equilibrio tra l'interesse individuale dei proprietari e la funzione sociale della proprietà debba essere fisso e uniforme, oppure, in conformità all'orientamento della Corte europea, debba essere realizzato in modo differenziato, in rapporto alla qualità dei fini di utilità pubblica perseguiti», posto che secondo la Corte EDU vi è la possibilità di distinguere due tipologie di obiettivi di utilità sociale a cui possono essere preordinate le espropriazioni: da un lato, obiettivi di riforma economica o sociale o di mutamento del contesto politico istituzionale; dall'altro obiettivi di utilità sociale che non si inseriscono in una prospettiva di ampia riforma e che si realizzano attraverso «espropriazioni isolate»; mentre per la prima categoria di espropriazioni è compatibile con la CEDU un'indennità inferiore al valore venale del bene, per la seconda categoria non è giustificata un'indennità inferiore a tale valore;
c) «criteri di calcolo fissi e indifferenziati rischiano di trattare allo stesso modo situazioni diverse, rispetto alle quali il bilanciamento deve essere operato dal legislatore avuto riguardo alla portata sociale delle finalità pubbliche che si vogliono perseguire, pur sempre definite e classificate dalla legge in via generale»;
d) «i parametri per la determinazione dell'indennità di espropriazione riguardante aree edificabili devono fondarsi sulla base di calcolo rappresentata dal valore del bene, quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme ed i vincoli degli


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strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori»,

impegna il Governo:

ad adottare ogni opportuna iniziativa finalizzata a pervenire ad una nuova disciplina legislativa dell'indennità di espropriazione, tenendo presenti i criteri individuati nella sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, di cui in premessa;
a muoversi, in questo contesto e in coerenza con la giurisprudenza costituzionale, verso una commisurazione dell'indennità di espropriazione superiore a quella fissata dalla legislazione vigente, adottando tuttavia una logica che - non potendo garantire l'integrale applicazione del valore di mercato - miri ad assicurare una maggiore prossimità di tale indennità con il valore venale del bene ablato.
(8-00099) «Realacci, Iannuzzi, Mariani, Bocci, Fasciani, Vichi, Marantelli, Stradella, Lupi, Osvaldo Napoli, Dussin, Camillo Piazza, Chianale, Galeazzi, Mereu, Foti».


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ALLEGATO 4

DL 180/07: Differimento di termini in materia di autorizzazione integrata ambientale (C. 3199 Governo).

DOCUMENTAZIONE CONSEGNATA DAL RAPPRESENTANTE DEL GOVERNO

Si forniscono i seguenti elementi di conoscenza richiesti dalla VIII Commissione:
1) gli impianti soggetti ad AIA si possono stimare in Italia (fonte APAT) in circa 8.500, ripartiti sul territorio nazionale secondo l'allegato grafico;
2) vi sono numerose procedure di infrazione aperte dalla Commissione U.E. per recepimento incompleto della direttiva IPPC (96/61/CE) a carico di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Spagna. Per la percentuale delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati membri sul totale vedi grafica e tabella allegati;
3) il Governo mira a ricondurre il disposto del decreto-legge nell'alveo della attuazione della direttiva n. 96/61/CE. Posto infatti che nulla può più essere posto in essere per garantire il rispetto del termine, ormai scaduto, del 30 ottobre 2007, posto dalla direttiva per l'adeguamento degli impianti (situazione di inadempienza che vede peraltro coinvolta la quasi totalità degli Stati membri), si darà mandato alle autorità già competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali di settore (rifiuti ed emissioni in atmosfera e in acqua) nelle more dell'emanazione delle singole AIA ad adeguare le autorizzazioni di settore esistenti ai principi della direttiva, recepiti dagli articoli 3, 7 e 8 del decreto legislativo n. 59 del 2005. Ciò dovrebbe consentire a livello regionale di superare l'attuale empasse collegato alla frammentazione di competenze dovute alla gestione delle autorizzazioni di settore che avviene di frequente da parte di uffici diversi (acqua, aria, rifiuti).


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