Commissioni Riunite VII e IX - Resoconto di giovedì 15 novembre 2007


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SEDE REFERENTE

Giovedì 15 novembre 2007. - Presidenza del presidente della VII Commissione Pietro FOLENA. - Interviene il sottosegretario di Stato per le comunicazioni Giorgio Calò.

La seduta comincia alle 11.20.

Disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale.
C. 1825 Governo, C. 2077 Beltrandi, C. 2502 De Zulueta e C. 2601 De Laurentiis.
(Seguito dell'esame e conclusione).

Le Commissioni proseguono l'esame del provvedimento, rinviato da ultimo nella seduta del 14 novembre 2007.

Pietro FOLENA, presidente e relatore per la VII Commissione, ricorda che nella seduta di ieri sono stati presentati ulteriori emendamenti dei relatori volti a dare attuazione ai pareri espressi dalle Commissioni competenti.
Si passa all'esame dell'emendamento dei relatori 1.600.

Pietro FOLENA, presidente e relatore per la VII Commissione, raccomanda l'approvazione dell'emendamento 1.600.

Il sottosegretario Giorgio CALÒ esprime parere favorevole sull'emendamento 1.600 dei relatori.

Nicola BONO (AN) ritiene che l'emendamento 1.600 dei relatori crei di fatto una contraddizione con il termine previsto dal decreto-legge n. 159 del 2007. Preannuncia quindi voto contrario sull'emendamento in esame.

Emerenzio BARBIERI (UDC) concorda con le perplessità sollevate dal collega Bono. Preannuncia quindi voto contrario sull'emendamento in esame.

Pietro FOLENA, presidente e relatore per la VII Commissione, sottolinea che il termine di cui all'emendamento in questione e il termine di cui al decreto-legge n. 159 del 2007 attengono a due fattispecie


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diverse e non esiste quindi alcun tipo di contraddizione tra i due termini, mentre l'emendamento soppressivo 4.600 dei relatori è invece volto a evitare che vi siano contraddizioni tra il provvedimento in esame e il decreto-legge n. 159 del 2007.

Le Commissioni approvano quindi l'emendamento 1.600 dei relatori.

Si passa all'esame degli emendamenti 2.600, 4.600, 5.600, 7.600, 8.600 e 11.600 dei relatori.

Pietro FOLENA, presidente e relatore per la VII Commissione, raccomanda l'approvazione degli emendamenti 2.600, 4.600, 5.600, 7.600, 8.600 e 11.600 dei relatori.

Il sottosegretario Giorgio CALÒ esprime parere favorevole sugli emendamenti 2.600, 4.600, 5.600, 7.600, 8.600 e 11.600 dei relatori.

Le Commissioni, con distinte votazioni, approvano quindi gli emendamenti 2.600, 4.600, 5.600 e 7.600 dei relatori.

Egidio Enrico PEDRINI (IdV) chiede chiarimenti in ordine all'emendamento 8.600 dei relatori.

Pietro FOLENA, presidente e relatore per la VII Commissione, chiarisce che l'emendamento 8.600 recepisce il parere della Commissione bilancio, ai fini della copertura finanziaria.

Le Commissioni, con distinte votazioni, approvano quindi gli emendamenti 8.600 e 11.600 dei relatori.

Pietro FOLENA, presidente, avverte che si passerà alla votazione del mandato al relatore a riferire favorevolmente in Assemblea.

Nicola BONO (AN) preannuncia, anche a nome dei deputati del gruppo cui appartiene, il voto contrario. Sottolinea, in particolare, che nonostante il dibattito svolto in Commissione negli ultimi mesi, non si è riusciti a fare in modo che il provvedimento fosse coerente rispetto agli obiettivi perseguiti, ricordando in particolare che il disegno di legge del Governo non riesce a spiegare i motivi di necessità ed urgenza che erano stati posti a fondamento della necessità di una sua rapida approvazione. Evidenzia inoltre l'incongruenza della procedura adottata, che vede da una parte il Senato occuparsi della riforma della Rai e dall'altra la Camera impegnata a discutere della riforma del settore televisivo nel suo complesso, senza che sia stato tenuto in considerazione il fatto che i due temi sono tra di loro strettamente collegati e avrebbero dovuto quindi essere affrontati e discussi congiuntamente. Rileva, inoltre, che il provvedimento in esame è stato «bocciato» non solo dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dall'Autorità per le comunicazioni, ma anche dall'Unione europea, che ha sottolineato che il provvedimento in questione non solo provocherà un aumento degli spot televisivi, ma danneggerà notevolmente i consumatori.
Segnala inoltre che sul provvedimento il gruppo di Alleanza nazionale svolgerà un'importante attività emendativa nel prosieguo dell'esame in Assemblea, al fine di renderlo confacente alle aspettative dei consumatori.

Angelo Maria SANZA (FI), esprime a nome suo e del suo gruppo, il voto contrario al conferimento ai relatori del mandato a riferire in senso favorevole in Assemblea sui provvedimenti in titolo per i motivi già esposti in sede di discussione generale. In particolare esprime la sua contrarietà sulla norma che va sotto il titolo «Limiti alla raccolta pubblicitaria nel settore televisivo e altre misure a tutela della concorrenza del pluralismo nella fase di transizione al digitale». In tale norma si definisce «posizione dominante vietata», quella assunta dall'operatore che, fino al 30 novembre 2012 e comunque fino alla completa conversione delle reti alla tecnologia digitale, consegua, anche attraverso soggetti controllati o collegati, ricavi


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pubblicitari superiori al 45 per cento del totale dei ricavi pubblicitari del settore televisivo, riferito alle trasmissioni via etere terrestre in tecnologia analogica e digitale via satellite e via cavo. La norma non ha alcun serio fondamento antitrust, visto che essa non si basa su una analisi dei mercati rilevanti condotta secondo adeguati criteri economici, bensì su una predefinizione normativa di un mercato, quello della pubblicità televisiva, e sulla posizione di una soglia massima di ricavi, determinata in via del tutto discrezionale, che prescinde da qualsiasi valutazione dell'effettivo potere di mercato del soggetto che supera tale soglia. Nel disegno di legge Gentiloni, invece, tale individuazione è fatta una volta per tutte, per legge. Di recente anche la Commissione europea, con una lettera scritta dal direttore generale Concorrenza, Philip Lowe, il 12 aprile 2007, ha fatto conoscere al Governo italiano il proprio orientamento negativo sul disegno di legge in esame, così come presentato dal Governo. Inoltre, la individuazione della posizione dominante è svolta con norma che è in realtà una legge provvedimentale, in quanto è molto facile comprendere quale si allo specifico soggetto che è intenzione legislativa individuare e sanzionare. Si tratta in altre parole di una disposizione di legge che, per un verso pecca di eccessiva astrattezza, dall'altro pecca di eccessiva concretezza. Da una parte, infatti, irrigidisce in norma astratta una valutazione che, come ricorda il Presidente dell'Autorità, dovrebbe essere svolta in concreto caso per caso. Dall'altra parte, rivela i tratti del provvedimento concreto giacché si tratta di una decisione legislativa che interviene su un mercato nettamente strutturato, nel quale, inevitabilmente, ogni pretesa normazione astratta e generale finisce per presentarsi come norma ad personam. Detta norma, stabilisce il tetto del 45 per cento sui ricavi da pubblicità nel settore televisivo che vale per l'anno solare successivo all'approvazione parlamentare, si applica solo a Mediaset cui riduce di circa un quarto il fatturato globale, derivato per intero della pubblicità TV e pari oggi a circa il 60 per cento del totale. Pur tralasciando il fatto che la previsione di un tetto del 45 per cento delle sole risorse pubblicitarie televisive è stato evidentemente ideato a misura di una sola azienda, appaiono evidenti le clamorose contraddizioni di una tale misura. Infatti: è a tutti noto che, in termini di concorrenza le emittenti concorrono su un medesimo mercato fatto di acquisizioni diritti, realizzazioni produzioni, contrattualizzazione artisti che contribuiscono a costruire l'offerta complessiva sulla base della quale si raccolgono ascolti e, dunque, risorse pubblicitarie. È allo stesso tempo noto che i tre principali soggetti italiani - Rai, Mediaset e Sky, ciascuna tra il 20 per cento e il 30 per cento del totale delle risorse del sistema - competono per l'acquisizione dei medesimi diritti, produzioni e artisti pur essendo caratterizzate da una raccolta profondamente diversa, in particolare Rai con oltre il 50 per cento da canone, Mediaset con oltre il 90 per cento di risorse pubblicitarie e Sky con oltre il 90 per cento dei ricavi di abbonamento. Appare dunque evidente che introdurre un solo limite antitrust sulla raccolta pubblicitaria significa inevitabilmente penalizzare una sola tipologia di azienda, l'emittenza commerciale, a scapito delle altre. Ben diverso sarebbe, come ad esempio già stabilito dieci anni fa dalla legge Meccanico, l'introduzione di un limite sul totale delle risorse televisive che prefigurerebbe una situazione assai simile a quella esistente in tutti i Paesi europei. L'applicabilità di tale misura, affidata all'AGCOM, appare davvero problematica se non addirittura impraticabile. Infatti nessuno sarebbe in grado di stabilire, visti gli andamenti variabili dei mercati il 100 per cento presunto della fine dell'anno o radicali riduzioni di tariffe ed evidenti discriminazioni concorrenziali trai clienti pubblicitari. Addirittura paradossale l'effetto indotto al servizio pubblico poi che si troverebbe, nell'ipotetico caso di sforare il 45 per cento nella misura punitiva di portare il suo affollamento orario al 16 per cento dall'attuale 12 per cento, addirittura elevandolo al 25 per cento. Non solo, indicando


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tale tetto non limitato alla prima applicazione ma addirittura definendolo posizione dominante si renderebbe strutturale tale misura affidando all'AGCOM l'applicazione di una norma veramente improcedibile. Il limite del 45 per cento dei ricavi pubblicitari pone dei problemi applicativi: l'operatore non è in grado di prevedere in anticipo il superamento del tetto e dunque di evitare la sanzione. In particolare, anche in relazione ai tempi della panificazione dei programmi l'operatore avrebbe assunto impegni contrattuali con gli inserzionisti cui non potrebbe sottrarsi sena incorrere in penali severe. Dovrebbe inoltre prevedere quale è il fatturato delle altre imprese comprese nel sistema delle comunicazioni. Le conseguenze di una tale misura avrebbero effetti depressivi e deleteri, anziché di sviluppo, sull'intero mercato della comunicazione italiano. Si assisterebbe ad una evidente riduzione degli investimenti pubblicitari televisivi dal momento che è abbastanza prevedibile che non ci sarà realisticamente alcun soggetto in grado di garantire i medesimo ascolti; ad un innalzamento dei prezzi e delle tariffe pubblicitarie, vista la riduzione dell'offerta disponibile, con una evidente discriminazione dei piccoli e medi utenti pubblicitari; nessun beneficio per la carta stampata vista la nota non travasabilità degli investimenti televisivi; una forzata riduzione degli investimenti da parte dei broadcaster sullo sviluppo tecnologico e sulla produzione audiovisiva nazionale. In definitiva tale misura rappresenta una norma unicamente punitiva e anticoncorrenziale, sostanzialmente inapplicabile e devastante per l'intero settore della comunicazione.

Emerenzio BARBIERI (UDC) ricorda che una delle principali innovazioni proposte dal disegno di legge in esame, sul quale preannuncia il voto contrario, anche a nome dei deputati del suo gruppo, è costituita dallo spostamento della data prevista per lo spegnimento del segnale televisivo analogico, provvedimento peraltro proposto dal disegno di legge collegato alla Finanziaria 2008. Tale data, attualmente fissata al dicembre 2008, viene posticipata al 31 dicembre 2012 con uno slittamento di quattro anni. Il disegno di legge in esame si basa sulla tesi fondamentale che negli ultimi dieci anni il sistema radiotelevisivo italiano avrebbe mostrato una situazione di stallo provocata dalla staticità del duopolio, tale da rendere necessario un ulteriore intervento normativo propulsivo del cambiamento tecnologico rappresentato dalla digitalizzazione. Al riguardo, rileva che sembra un po' paradossale il proposito di accelerare i cambiamenti portati dalla digitalizzazione posticipandone la scadenza al 2012: Se gli ipotizzati problemi del sistema radiotelevisivo italiano si trovano nell'analogico, protrarre la sopravvivenza di questo fino al 2012 è un modo per ritardarne la soluzione. Il provvedimento in esame postpone infatti al 31 dicembre 2012 «la definitiva conversione delle reti» in maniera immotivata. Considerato che vi è consenso sull'idoneità della digitalizzazione a garantire l'incremento della concorrenza e del pluralismo del sistema, la postposizione ritarda questi effetti, in contraddizione con le finalità declamate dal disegno di legge. Aggiunge che d'altro canto, il 2012 è la data ultima attesa a livello europeo per la digitalizzazione, e non vi è alcuna dimostrazione di un ritardo nel nostro Paese, né alcun elemento di fatto che faccia supporre che il termine attualmente previsto di fine 2008 non possa essere osservato. Ricorda inoltre che già attualmente, sui mercati in cui lo sviluppo delle nuove piattaforme è più marcato sono evidenti gli effetti di tale processo sulla ripartizione dei ricavi e della audience share tra i diversi operatori.
Ritiene che fissando livelli di concorrenza e di pluralismo accettabili e adeguati alle migliori aspettative del sistema economico e sociale, il legislatore dovrebbe considerare un modello evolutivo del sistema televisivo basato non sul rallentamento ma sull'accelerazione della migrazione al digitale. In tal modo, con l'elaborazione di una sorta di «piano industriale», si raggiungerebbero al meglio già al 2010 gli obiettivi di un maggior pluralismo


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e di una maggiore concorrenza, senza intervenire con l'introduzione di limiti alle dimensione delle imprese e alla loro capacità di crescere. Osserva che il disegno di legge in esame sembra, al contrario, focalizzato nel definire limiti e freni al processo di crescita di alcuni soggetti proponendo come unica misura di accelerazione al digitale la migrazione forzosa di un canale Rai e uno Rti dall'analogico al digitale. La crescita dovrebbe avvenire perché gli utenti analogici, privati di una parte rilevante di contenuti, che potrebbe rappresentare circa il 20 per cento di share, sarebbero obbligati, volendo mantenere le proprie abitudini di ascolto, a dotarsi di ricevitori digitali. Segnala inoltre che il telespettatore dei prossimi anni percepirà come proprio diritto universale l'accesso gratuito ad un'adeguata offerta di canali generalisti e la disponibilità di un certo numero di canali tematici. In assenza di un passaggio completo e rapido dai sistemi della televisione analogica gratuita a quelli della televisione digitale gratuita, l'approccio dell'utente alla televisione multicanale si svolgerebbe prevalentemente sui versante della televisione a pagamento presidiato da altre piattaforme. In altre parole, il ritardo dello switch off impoverisce allo stesso tempo la televisione analogica e quella digitale gratuita a evidente vantaggio delle piattaforme digitali proprietarie a pagamento che diventano l'unica o la via principale per accedere ad un'offerta televisiva ricca.
Rileva, inoltre, che al fine di incentivare gli investimenti delle imprese e dare certezza agli operatori economici si rende necessaria oltre una data certa e credibile per lo switch off, anche la definizione di aree e tappe progressive che portino all'effettivo passaggio. Lo spostamento dello switch off non solo genera incertezza negli investimenti internazionali, accelerati dalla stabilità e affidabilità del quadro delle regole, ma provoca rallentamenti anche nei piani di investimento delle imprese a capitale italiano, siano esse piccole, medie o grandi. La pianificazione degli investimenti delle imprese maggiori, quali Rai e Mediaset, è pesantemente condizionata dalle date che verranno fissate per via legislativa e soprattutto dalla credibilità che queste date siano rispettate. Prolungamenti e incertezze nelle fasi di switch over risulterebbero diseconomici e inefficienti a causa della contemporanea trasmissione in analogico e digitale di molti canali. Ricorda inoltre che un aspetto evidente che caratterizza l'intero processo di switch over avviato già dal lancio della televisione digitale terrestre in Italia è la costante incertezza del quadro normativo e l'instabilità della tempistica e delle modalità di evoluzione della tecnologia digitale terrestre. In Italia il passaggio alla tecnologia digitale terrestre si va caratterizzando per un andamento estremamente incerto rispetto a quello di altri paesi che, dopo una fase di avvio difficile e/o fallimentare, hanno intrapreso una strada «decisa» per la gestione dello switch over.

Emilia Grazia DE BIASI (PD-U) preannuncia, anche a nome dei deputati del gruppo cui appartiene, il voto favorevole sul provvedimento in esame, ricordando che lo stesso è il frutto di un intenso lavoro svolto in Commissione. Sottolinea che il provvedimento in esame rappresenta un punto di svolta fondamentale per il Paese sia per quel che riguarda l'allineamento al progresso tecnologico sviluppatosi nel campo televisivo, sia in quanto lo stesso genera processi di liberalizzazione che aumenteranno le possibilità di scelta per il consumatore e daranno la possibilità contemporaneamente a più soggetti economici di accedere al mercato televisivo. Il provvedimento consente inoltre all'Italia di mettersi al pari degli altri Paesi europei non solo per quel che riguarda il settore della televisione, ma anche in riferimento a quello della carta stampata. Ricorda in particolare che l'Unione europea ha dato una valutazione positiva del provvedimento, anche con particolare riferimento al tema dell'abuso di posizione dominante, ricordando in particolare che la centralità di tale tema è evidenziata da ultimo anche dalla recente sentenza di condanna della


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Corte di giustizia delle Comunità europee nei confronti della Microsoft. È stato infatti espressamente evidenziato in una successiva documentazione inviata al Governo italiano come l'avvio della procedura d'infrazione era collegata all'approvazione della legge Gasparri e non certo al disegno di legge Gentiloni che si è ritenuto invece idoneo a superare quella violazione. Ricorda inoltre che la scelta di spostare al 2012 il passaggio al digitale è coerente con le scelte effettuate in tal senso in Europa, sottolineando inoltre che occorre anche che vi sia un lasso di tempo congruo al fine di poter predisporre tutti gli interventi di natura tecnica e infrastrutturale implicata dal passaggio stesso. Segnala infine che un aspetto qualificante del provvedimento risiede nella previsione della separazione tra le reti e i contenuti.

Wladimiro GUADAGNO detto Vladimir Luxuria (RC-SE) sottolinea l'importanza del provvedimento in questione, che mira ad evitare che l'Italia sia soggetta all'applicazione di gravose sanzioni pecuniarie da parte dell'Unione europea. L'attuale maggioranza cerca infatti di risolvere dei problemi prima della fine della legislatura, in modo da non scaricarli su chi governerà in futuro il Paese. Preannuncia quindi, anche a nome dei deputati del gruppo cui appartiene, il voto favorevole.

Davide CAPARINI (LNP) ritiene che con l'esame del provvedimento in titolo sia stata persa una grande occasione per adottare una vera riforma del sistema radiotelevisivo, necessaria ad adeguare l'ordinamento all'innovazione tecnologica che ha caratterizzato fortemente il settore, soprattutto sotto il profilo della convergenza multimediale dei media. Invece, il provvedimento guarda indietro, quasi che si fosse ancora nella fase connotata principalmente dall'espansione delle televisioni commerciali analogiche. Nello specifico, appare incomprensibile l'ennesimo rinvio della data per la conversione definitiva del sistema televisivo alla tecnologia digitale, che attesta un forte arretramento dell'Italia in materia rispetto agli altri partner europei, laddove si pensi che in Olanda è già operativo il digitale terrestre, in Germani lo sarà a partire dal 2008 e in Gran Bretagna, dove peraltro c'è già il sistema televisivo via cavo, il 75 per cento degli utenti ha comunque già gli strumenti per ricevere trasmissioni digitali. Il provvedimento non ha seguito neppure la scelta della Francia, che ha optato per l'avvio di aree all digital, anche a dispetto dei buoni risultati conseguiti nelle regioni Val d'Aosta e Sardegna. Il disegno di legge, oltre a mancare di tale prospettiva tecnologica, reca disposizioni che si connotano per confusione e improvvisazione, soprattutto nell'aver trattato il tema della ridondanza delle frequenze televisive analogiche in modo generico, senza tenere conto che vi sono differenze tra impianto e impianto e, soprattutto, che l'Italia ha una morfologia molto particolare. Vi è poi la questione del ritardo accumulato dal concessionario radiotelevisivo pubblico in tema di investimenti per la transizione al digitale e, ancora, la mancanza di disposizioni volte ad incentivare l'ampliamento dell'offerta di contenuti, che rappresenta notoriamente un volano per la crescita della televisione digitale. Peraltro, a fronte dell'imponente crescita di fatturato che, negli ultimi anni, ha connotato il sistema delle telecomunicazioni anche in Italia, il nostro paese continua a contare un gap infrastrutturale intollerabile sotto il profilo della diffusione della banda larga sul territorio nazionale, che si traduce in un crescente digital divide di seconda generazione. Alla luce di tali considerazioni dichiara il voto contrario della sua parte politica sul conferimento del mandato ai relatori a riferire favorevolmente in Assemblea sul provvedimento in titolo.

Silvano MOFFA (AN), nel condividere l'intervento del deputato Bono, intende ribadire che, sin dall'inizio della discussione da parte delle Commissioni, il gruppo di Alleanza Nazionale ha sottolineato come la principale pecca del provvedimento sia quella di voler smantellare l'impianto introdotto dalla legge n. 112 del 2004, piuttosto che, e questa operazione


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sarebbe stata più comprensibile, apportare alla disciplina vigente in materia i necessari correttivi per venire incontro alla procedura di infrazione avviata in sede europea e per tenere conto dell'evoluzione tecnologica nel frattempo intervenuta. Inoltre, sarebbe stato auspicabile, come i gruppi di opposizione hanno richiesto con tenacia, che la discussione sul provvedimento in titolo fosse stata abbinata a quella sull'altro provvedimento presentato dal Governo in materia di revisione della disciplina della RAI. Quanto poi al lavoro istruttorio compiuto dalle Commissioni, non può non riconoscere che vi sia stato molto impegno e, soprattutto con le audizioni svolte, siano stati acquisiti dati e informazioni rilevanti per il prosieguo dell'esame. A tale proposito, auspica che nel corso della fase dell'esame del provvedimento in Assemblea vi sia ancora spazio per riaprire un serio confronto con la maggioranza sui contenuti del disegno di legge in titolo, tenuto conto che Alleanza Nazionale ritiene che una nuova disciplina complessiva per il settore radiotelevisivo sia necessaria e che vi si dovrebbe giungere senza subire condizionamenti o subalternità, ma avendo quali obiettivi la valorizzazione del comparto industriale interessato e, soprattutto, la garanzia dei diritti degli utenti.

Le Commissioni deliberano quindi di conferire il mandato ai relatori, deputato Folena per la VII Commissione, e deputato Meta per la IX Commissione, a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame.

Pietro FOLENA, presidente, avverte che le Presidenze si riservano di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.

La seduta termina alle 12.10.