XII Commissione - Giovedì 15 novembre 2007


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ALLEGATO 1

5-01432 Poretti: Contraffazione di test diagnostici per diabetici provenienti dalla Cina.

TESTO DELLA RISPOSTA

Si risponde all'atto parlamentare solo sulla base degli elementi di competenza istituzionale del Ministero della salute.
Nel mese di novembre 2006 la LifeScan-Johnson & Johnson, azienda produttrice del test diagnostico One touch Ultra, ha inviato a questa Amministrazione un comunicato nel quale veniva segnalato il rinvenimento di alcune strisce reattive contraffatte in alcuni paesi extraeuropei, precisando, peraltro, che in Europa ne era stato rinvenuto un solo lotto in Grecia.
L'azienda, inoltre, segnalava che in Italia non si erano riscontrati casi di contraffazione e che, comunque, il lotto contraffatto riscontrato in Grecia non era stato distribuito nel nostro Paese.
Veniva anche comunicato che, al fine di garantire la sicurezza dei pazienti/utilizzatori, si era provveduto a pianificare una serie di azioni preventive, sia nei paesi interessati dai lotti contraffatti sia nei paesi europei non interessati, come l'Italia.
La Direzione Generale Farmaci e Dispositivi Medici del Ministero ha valutato efficienti i piani di sicurezza della Life-Scan, tenuto anche conto della lettera di allerta spedita ai soggetti utilizzatori, nella quale venivano riportate dettagliate istruzioni per riconoscere gli eventuali prodotti contraffatti.
L'azienda, sulla base di quanto risulta dagli ordinari canali di distribuzione, ha informato il Ministero di non aver ricevuto, ad oggi, alcuna segnalazione di prodotti contraffatti sul mercato italiano.
Peraltro, anche la citata Direzione Generale non ha, allo stato attuale, ricevuto alcuna segnalazione, relativa ad anomalie delle strisce reattive One Touch, da parte dei pazienti/utilizzatori o dei distributori.
Si può confermare, pertanto, che in Italia, sulla base delle informazioni ad oggi disponibili, non si riscontrano elementi di possibile allarme, per la mancanza sul mercato nazionale di tali strisce reattive contraffatte.
L'attenzione del Ministero della salute permane comunque a livelli elevati relativamente al monitoraggio, nel tempo, dei prodotti citati, al fine della adozione di tutte le possibili misure di tutela dei pazienti.


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ALLEGATO 2

5-01340 Poretti: Effettuazione di studi sul bicromato di potassio utilizzato in prodotti in pelle.

5-01447 Poretti: Presenza di bicromato di potassio su manufatti in pelle.

TESTO DELLA RISPOSTA

Per analogia di contenuto, si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame.
Si precisa che durante la concia per la realizzazione di pellami è possibile impiegare agenti concianti vegetali, minerali o sintetici.
La concia al cromo con una quota superiore al 90 per cento rappresenta il metodo maggiormente diffuso; attualmente viene impiegato esclusivamente cromo trivalente (III), tuttavia può accadere che impurità presenti nell'agente conciante al cromo (III) diano luogo a concentrazioni di cromo esavalente (VI) nel pellame, anche se, per il livello raggiunto dalla tecnica conciaria europea, tali impurità tendono generalmente a non presentarsi.
La problematica relativa alla presenza di dicromato di potassio nelle pelli è stata recentemente affrontata anche dall'Istituto Superiore di Sanità, per gli aspetti di tossicità del cromo (VI).
Si precisa che è pervenuta a questo Ministero da parte della Stazione Sperimentale per l'Industria delle Pelli e delle Materie Concianti (SSIP) una sintesi delle analisi effettuate sui materiali in cuoio di produzione italiana (periodo 2003-2006), che si mette a disposizione dell'onorevole Poretti.
Dalla stessa si evince che la percentuale di campioni in cui si è riscontrata la presenza di cromo esavalente (5,1 per cento) appare molto inferiore a quella riportata nello studio del BfR.
Tale sensibile differenza, al di là dei diversi metodi di prova utilizzati, è determinata dal fatto che i dati del SSIP sono rappresentativi della produzione conciaria italiana, mentre quelli tedeschi riguardano gli articoli presenti sul mercato e, probabilmente, anche articoli in cuoio di provenienza extra europea, per i quali non esistono restrizioni per la concentrazione di cromo esavalente.
In merito alle iniziative a difesa della salute dei cittadini, nel ricordare la competenza in materia degli enti territoriali (Regioni e Aziende Sanitarie Locali), si segnala che il Ministero della salute ha richiesto agli assessorati regionali della sanità l'invio dei dati, eventualmente in loro possesso, relativi a manifestazioni di patologie acute, in particolare di tipo allergico/iperergico, correlate all'uso di prodotti contenenti cromo.
Qualora dai dati che verranno trasmessi dovesse risultare un potenziale pericolo per la salute dei consumatori, questa Amministrazione assicura il proprio concreto impegno ad adottare i provvedimenti opportuni in materia di etichettatura di tali prodotti, per una maggiore tutela del consumatore.
Relativamente all'entrata in vigore del Regolamento CE n. 1907/2006 (reg. REACH), si precisa che, nel caso i produttori decidessero di impiegare dicromato di potassio nel ciclo produttivo, occorre da parte di ogni singolo produttore una specifica richiesta di autorizzazione all'Agenzia europea per le sostanze chimiche di


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Helsinki (ECHA); tale richiesta comporterà una procedura di valutazione e verifica per l'eventuale autorizzazione.
Il dicromato di potassio, infatti, è classificato come cancerogeno di categoria 2, oltre che come sensibilizzante per la pelle e per inalazione, mutageno, tossico per la riproduzione e corrosivo.
È noto che gli effetti allergizzanti possono manifestarsi anche a concentrazioni molto basse e che il consumatore può non essere a conoscenza della relativa presenza negli oggetti in pelle, poiché non sono previste indicazioni relative ai trattamenti effettuati sui pellami.
In occasione della riunione del gruppo di valutazione delle strategie di riduzione del rischio per le sostanze presenti sulla base del Reg. 793/93/CEE, tenutasi nel mese di maggio 2007, l'Italia ha sottoposto tale problematica all'attenzione della Commissione Europea e degli altri Stati membri, al fine di una possibile azione armonizzata su tutto il territorio comunitario; infatti l'Istituto citato, in considerazione dell'elevata pericolosità della sostanza, ritiene che tutti gli articoli potenzialmente a contatto con la pelle debbano risultare esenti da cromo (VI).
Per quanto concerne quanto rappresentato dall'onorevole interrogante, si precisa che il comunicato stampa dell'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (ADUC) si riferiva ad uno studio dell'Istituto Federale per la Valutazione del Rischio (BfR), relativo al contenuto di cromo (VI) negli articoli in cuoio.
Si tratta dei risultati di 847 analisi effettuate nel periodo 2000-2006; in 485 campioni (57 per cento) è stato riscontrato cromo (VI) in concentrazione superiore a 3 ppm; in 140 campioni (16,5 per cento) il valore di cromo (VI) era superiore a 10 ppm.
Al riguardo va ricordato che la decisione della Commissione Europea (2002/231/CE), la quale stabilisce i criteri per l'assegnazione di un marchio comunitario di qualità ecologica alle calzature e che modifica la precedente decisione 1999/179/CE, individua per il cromo (VI) il limite massimo di 10 ppm.
Si sottolinea, altresì, che il Ministero della salute non ha inoltrato alcun documento dell'ente SSIP ai legali dell'UNIC o all'ADUC e che il mercato extra-europeo dei pellami è stato oggetto negli ultimi tempi di attenta vigilanza, anche tramite azioni di monitoraggio sulle merci in importazione da Paesi terzi.
Infatti, nel periodo gennaio-giugno 2006, gli Uffici di Sanità Marittima Aerea e di Frontiera (USMAF) hanno sottoposto a monitoraggio, mediante controlli analitici «a campione», le calzature (come prodotto finito e/o semilavorato), provenienti da paesi non comunitari, per la ricerca di coloranti azoici e nichel.


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ALLEGATO 3

5-01251 Poretti: Controlli sui prodotti alimentari cinesi e sui dentifrici presenti sul mercato italiano.

5-01494 Fiano: Controlli sulla pericolosità di partite di dentifricio Colgate contraffatte in Cina.

TESTO DELLA RISPOSTA

Si risponde congiuntamente alle interrogazioni parlamentari in esame, per l'analogia delle problematiche rappresentate.
Si precisa, preliminarmente, che l'attività svolta dal Ministero della salute, tramite i Posti di ispezione frontaliera (PIF) e gli Uffici Veterinari per gli adempimenti comunitari (UVAC), e avvalendosi della collaborazione del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute (NAS) e dell'Istituto Superiore di Sanità, è da sempre rivolta a scongiurare eventuali danni derivanti dall'uso di prodotti non conformi alla normativa nazionale e/o comunitaria; sono infatti oggetto di certificazione la presenza di coloranti pericolosi e di sostanze vietate, la correttezza della etichettatura e la sicurezza microbiologica.
Va ricordato, inoltre, che il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, cosiddetto «Codice del Consumo», ricomprende tutti i prodotti in commercio (quindi anche spazzolini da denti o lamette); in particolare, l'articolo 9 dispone che «Tutte le informazioni destinate ai consumatori e agli utenti devono essere rese almeno in lingua italiana» e che «Qualora le indicazioni di cui al presente titolo siano apposte in più lingue, le medesime sono apposte anche in lingua italiana e con caratteri di visibilità e leggibilità non inferiori a quelli usati per le altre lingue» e l'articolo 11 ne vieta il commercio, in caso di inosservanza.
Al Ministero della salute non risulta che organismi territoriali e di controllo abbiano sequestrato o elevato sanzioni, se non in presenza di evidenti violazioni della normativa vigente.
Per quanto riguarda i sequestri di dentifrici a marchio «Colgate» eseguiti dai carabinieri NAS su tutto il territorio nazionale nello scorso mese di luglio, si precisa che sono stati trasmessi all'Istituto Superiore di Sanità (ISS) 203 lotti di campioni, con richiesta di accertare la possibile presenza della sostanza Dietilenglicole (DEG) e di valutare eventuali fenomeni di contraffazione.
I sequestri sono stati effettuati presso punti vendita di vario genere distribuiti nell'intero territorio nazionale, ed hanno interessato in totale circa un milione di dentifrici, sia della marca «Colgate» che di altre note marche internazionali, le cui confezioni denotavano irregolarità di etichettatura.
L'Istituto ha predisposto un protocollo analitico, mediante i metodi cromatografici TLG e GC-MS, per evidenziare e dosare, a livelli superiori allo 0,1 per cento, la presenza di DEG nei dentifrici campionati.
Infatti, al di sotto di tale soglia, tracce di DEG possono essere normalmente rilevate in simili formulati, come impurità di ingredienti di ampio uso (esempio glicerina e polietilenglicoli), e sono ritenute del tutto accettabili, non costituendo fonte di rischio per la salute pubblica.
Le risultanze analitiche ottenute hanno rilevato la presenza di un numero molto esiguo (un lotto) di dentifrici contraffatti,


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rinvenuto in un punto vendita al di fuori del circuito della distribuzione tradizionale e confezionato con una etichettatura costituita esclusivamente da ideogrammi e con una grafica difforme da quella del produttore originario.
Questo lotto di campioni è risultato positivo al DEG, ma con una concentrazione (0,2 per cento) ben inferiore a quella considerata di potenziale rischio per tale composto.
Per il resto dei campioni, costituito da prodotti di provenienza extracomunitaria fatti entrare e circolare illecitamente nel territorio nazionale in regime di importazione parallela, si tratta di dentifrici fabbricati e commercializzati nei vari paesi del mondo dalle stesse aziende produttrici, quindi secondo adeguati standard di qualità e sicurezza, ma che sono privi della prescritta etichettatura in lingua italiana e vengono importati da terzi in Italia, verosimilmente, senza ottemperare alle procedure previste dalla vigente legislazione sanitaria.
Ci si riferisce, in proposito, all'articolo 10 della legge 11 ottobre 1986, n. 713, concernente norme per l'attuazione di direttive europee in materia di produzione e vendita dei cosmetici, il quale prevede che gli importatori di cosmetici di origine extra-U.E. debbono dare comunicazione alle autorità sanitarie di una serie di informazioni relative alla formulazione ed al processo di fabbricazione dei prodotti stessi.
Fatta salva l'applicazione delle sanzioni a carico delle aziende per le quali sono state accertate violazioni di carattere amministrativo, si precisa che laddove risulti confermata la violazione dell'articolo 8, comma 13, della legge n. 713 del 1986, il dissequestro delle confezioni è subordinato all'impegno, da parte dell'azienda, a regolarizzare i prodotti (eventualmente anche mediante sovraetichettatura in lingua italiana).
Nel caso in cui la violazione consista nella mancata notifica prevista dal citato articolo 10, le aziende interessate al dissequestro dovranno procedere alla immediata riesportazione dei prodotti, sotto il controllo e la vigilanza dei carabinieri NAS, in quanto la mancata notifica non consente di considerare sanabile l'irregolare presenza di tali merci nel nostro Paese.
Relativamente a quanto rappresentato dall'onorevole Poretti, ossia il rischio derivante dalla presenza in commercio di prodotti alimentari contaminati da sostanze nocive, si rammenta che a livello europeo, nel settore della sicurezza alimentare, è operativo il sistema rapido di allerta denominato RASFF (rapid alert system for food and feed), il quale consente la notifica in tempo reale della sussistenza di rischi diretti ed indiretti per la salute pubblica, connessi al consumo di alimenti, e la condivisione di tutte le notifiche registrate nel sistema.
Fino ad oggi, nel corso del 2007, sono state registrate nel sistema RASFF 45 notifiche di allerta relative a prodotti alimentari, derivati dalla pesca, originari della Cina, tra cui 3 notificate alla Commissione Europea dal punto di contatto italiano.
In particolare, 20 notifiche riguardano crostacei e molluschi e 25 sono relative a pesci e alimenti derivati.
Nei crostacei e molluschi i rischi sanitari più frequenti sono stati la presenza di additivi non dichiarati, o in quantità superiore ai limiti consentiti (solfiti, polifosfati ed acido benzoico), la presenza di residui di farmaci veterinari (nitrofurani, cloramfenicolo) e l'importazione illegale (uso fraudolento del marchio commerciale e commercio illegale).
Nei prodotti della pesca sono stati riscontrati metalli pesanti (mercurio), residui di farmaci veterinari (leucomalachite verde e cristalvioletto con uso non autorizzato), additivi alimentari (polifosfati, nitrato di sodio), nonché contaminazioni chimiche (trimetilbenzene).
Si precisa che tutti i posti di ispezione frontaliera operanti nella Comunità Europea sono costantemente impegnati nell'attività di vigilanza e nelle attività ispettive e di campionamento concernenti i prodotti oggetto di allerta comunitario, i quali


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devono essere testati per 10 campionamenti successivi, fino ad esito favorevole.
Si segnala, inoltre, che la Commissione europea ha di recente diramato alla Spagna e, per conoscenza, agli altri Stati membri, una nota nella quale si rappresenta l'opportunità di un riesame della legislazione relativa all'utilizzo di polifosfati negli alimenti, per la significativa carenza in materia di metodiche analitiche.
I relativi metodi di analisi non hanno, infatti, allo stato attuale, apposita regolamentazione in ambito comunitario, e rientra nelle responsabilità delle autorità competenti a livello nazionale l'adozione di metodi disponibili e di uso corrente, peraltro non armonizzati con norme di livello europeo.
La Commissione intende perseguire in tempi rapidi una soluzione, prevedendo, oltre alla messa a punto di metodi analitici di riferimento, anche eventuali altri metodi relativi al controllo fisico dell'alimento.
Con riguardo alla sicurezza alimentare e alla tutela dei consumatori nel nostro Paese, occorre ricordare anche il Piano Nazionale per la ricerca dei Residui (P.N.R.), predisposto annualmente per individuare l'eventuale presenza di residui di sostanze chimiche negli animali appartenenti al patrimonio zootecnico italiano e negli alimenti da essi derivati, al quale partecipano i competenti Assessorati Regionali, i Servizi Veterinari delle ASL e gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali.
I campioni vengono prelevati lungo l'intera filiera della produzione primaria ed interessano i vari comparti produttivi (settore bovino, suino, ovino, caprino, equino, avicolo, cunicolo, acquacultura, nonché selvaggina, latte, uova e miele); il numero degli interventi è commisurato all'entità del patrimonio zootecnico di ogni regione.
Tutti i dati relativi ai campionamenti effettuati e ai risultati analitici ottenuti vengono trasmessi dai competenti assessorati regionali al Ministero della salute, che li inoltra alla Commissione Europea con cadenza annuale.
Sebbene il P.N.R. non contempli i controlli dei residui, effettuati all'atto dell'importazione ed in fase di distribuzione, dai risultati ottenuti nell'ambito dei campionamenti ufficiali emerge spesso la necessità di rivolgere l'attenzione verso la ricerca di nuove molecole.
In questo caso, il Ministero della salute, tramite le regioni e province autonome, raccomanda ai servizi veterinari che operano sul territorio di potenziare l'attività di vigilanza alla vendita al dettaglio, per la verifica della conformità dei prodotti esitati al consumo.


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ALLEGATO 4

5-01723 Sanna: Interventi a favore dei cittadini colpiti da sindrome da affaticamento cronico (CFS).

TESTO DELLA RISPOSTA

Preliminarmente ritengo opportuno riferire su alcuni aspetti della sindrome da fatica cronica o «Chronic Fatigue Sindrome» (CFS), che è una condizione clinica caratterizzata da una fatica cronica e debilitante e da molteplici sintomi non specifici, quali cefalea, mal di gola ricorrente, dolori osteo-muscolari e malessere generale. La fatica profonda, che è la caratteristica primaria della malattia, può subentrare improvvisamente o gradualmente, e persistere, spesso per anni, o ripresentarsi durante il decorso clinico.
Nell'accezione maggiormente condivisa, il sintomo fatica va riferito a «una spossatezza molto grave, sia mentale che fisica, che si determina anche con uno sforzo fisico minimo»; in particolare, la fatica prolungata è una fatica insistente che dura da un mese o più, mentre la fatica cronica è uno stato che persiste per almeno 6 mesi o più, per il quale è necessaria una valutazione clinica per identificare ed evidenziare le condizioni che effettivamente necessitino di un trattamento.
Il termine «Sindrome da Fatica Cronica», coniato nel 1988, riflette il sintomo più comune di questa condizione; la definizione di caso, stabilita da un gruppo
internazionale di studio costituito dai «Centers for Disease Control» (CDC) di Atlanta, e pubblicata nel 1994, prevede che per definire un caso di Sindrome da Fatica Cronica debbano sussistere le seguenti condizioni:
1) fatica cronica persistente per almeno 6 mesi che: a) non è alleviata dal riposo, b) si aggrava con piccoli sforzi, c) provoca una sostanziale riduzione dei livelli precedenti delle attività occupazionali, sociali o personali;
2) presenza di quattro o più dei seguenti sintomi, anche questi presenti per almeno 6 mesi: disturbi della memoria e della concentrazione tali da ridurre i precedenti livelli di attività occupazionale e personale; faringite; dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari; dolori muscolari e delle articolazioni, senza infiammazioni o rigonfiamento delle stesse; cefalea di tipo diverso da quella presente eventualmente in passato; sonno non ristoratore; debolezza post esercizio fisico che perdura per almeno 24 ore.

Sono stati inoltre descritti numerosi altri sintomi, variabili a seconda dell'individuo, quali irritabilità, depressione, febbre, disturbi della vista. La CFS si presenta più comunemente nei giovani e nelle donne intorno ai 35-40 anni, ed è praticamente assente negli anziani (oltre i 65-70 anni); si rilevano alcuni rari casi nell'età pediatrica.
Una corretta diagnosi di CFS richiede: a) l'accertamento della condizione di fatica cronica con i sintomi sopra descritti; b) l'esclusione di altre malattie, possibili cause di fatica persistente (è infatti necessario escludere alcune patologie fra le quali, tra le altre, apnea notturna, disturbi endocrini, ad esempio ipotiroidismo o ipertiroidismo, epatite B o C non risolte, obesità grave, lupus eritematoso sistemico, disturbi ai muscoli o al sistema nervoso, disturbi depressivi maggiori).
Allo stato non esistono esami specifici per confermare la diagnosi di CFS e gli


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accertamenti sono effettuati per escludere altre possibili cause di fatica persistente.
Negli Stati Uniti, alcuni studi hanno riportato una prevalenza della CFS, variabile fino al 3 per cento, a seconda dei criteri diagnostici utilizzati (Wessely, 1997; Steele, 1998), sottolineando l'importanza di poter escludere altre possibili patologie.
Indagini sistematiche su popolazioni hanno rilevato una prevalenza analoga di CFS in soggetti con diversa estrazione socioeconomica e in tutti i gruppi etnici (Steele, 1998; Lawrie, 1995), con un rischio maggiore delle donne rispetto agli uomini.
Attualmente non può essere stabilito il decorso della CFS e anche se la condizione può persistere per parecchi anni, gli studi a lungo termine indicano che essa generalmente non è progressiva. I sintomi, più severi nei primi due anni, poi si stabilizzano, e possono andare incontro a miglioramento. Molti pazienti guariscono parzialmente, altri completamente ed altri ancora guariscono, ma con successiva ricaduta. Non sono stati comunque associati rischi di salute a lungo termine come, per esempio, un aumento del rischio di sviluppare neoplasie.
Relativamente agli aspetti eziologici, attesa l'eterogeneità della sindrome, non c'è accordo circa il fatto che essa possa essere causata da un agente esterno. Molti ricercatori ritengono che essa rappresenti un insieme di sintomi, scatenati da più combinazioni di vari meccanismi. In particolare, sono state individuate le seguenti 5 diverse ipotesi eziologiche (National Center for Infecticus Diseases, 2005):
agenti infettivi;
alterazioni immunologiche;
alterazioni a carico dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA);
ipotensione neurogena;
deficit nutrizionali.

Molte volte la sindrome segue ad un'infezione o un trauma fisico o psicologico, ma alcune volte si sviluppa gradualmente senza che sia riconoscibile alcun evento scatenante. Anche se molte persone con CFS soffrono di ansia e depressione, in circa un terzo dei casi non viene descritta alcuna malattia psichiatrica.
In riferimento a quanto richiesto dagli interroganti, si precisa che, nell'ambito del vigente sistema normativo, le malattie rare (MR) sono state identificate, come area di priorità in sanità pubblica, per la prima volta nel nostro Paese con il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, che ha recepito la normativa europea.
Il riferimento legislativo in materia è il decreto ministeriale n. 279 del 18 maggio 2001 «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124».
Il Regolamento, che prevede la realizzazione di una rete clinico-epidemiologica costituita da presidi accreditati individuati dalle regioni, istituisce il Registro Nazionale delle Malattie Rare e stabilisce il diritto all'esenzione per le malattie rare contenute in un elenco allegato.
Le malattie che danno diritto all'esenzione ai sensi del decreto citato devono presentare caratteristiche rispondenti ai criteri generali definiti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124: rarità (riferita al limite di prevalenza <5/10.000 abitanti stabilito a livello europeo), gravità clinica, grado di invalidità e onerosità della quota di partecipazione derivante dal costo del relativo trattamento.
Nel corso dei lavori di revisione del decreto ministeriale in questione, il Ministero della salute ha tenuto conto, oltre che dei suddetti principi generali, di due ulteriori criteri specifici (difficoltà di formulare una diagnosi di malattia e difficoltà di individuare un «pacchetto» prestazionale adeguato), con l'obiettivo di includere nell'elenco solo le malattie che presentino caratteristiche tali da giustificare la tutela garantita dal decreto, vale a dire il diritto all'esenzione per tutte le prestazioni (diagnostiche e terapeutiche) correlate alla malattia e la costruzione di


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una rete di presidi specializzati che consenta un percorso diagnostico e assistenziale protetto e agevolato.
Sulla base di quanto esposto, relativamente alla complessità clinica, ai contraddittori dati epidemiologici, alle carenze conoscitive circa le cause e i meccanismi patogenetici, e ai criteri utilizzati per l'inclusione nell'elenco delle malattie rare, si ritiene che allo stato attuale non sussistano le condizioni per un eventuale inserimento della CFS tra le malattie di cui al decreto ministeriale n. 279 del 2001.
In primo luogo, dalla mancanza di sintomi patognomonici nonché di accertamenti specifici, ne consegue che alla diagnosi di CFS si arrivi sempre per esclusione, al termine di una complessa diagnosi differenziale rispetto ad altre condizioni patologiche.
Sotto questo aspetto, occorre precisare che la tutela offerta per le malattie rare, in termini di diritto all'esenzione, prevede la gratuità delle prestazioni diagnostiche eseguite presso i presidi della rete, sulla base di un sospetto diagnostico formulato da uno specialista del SSN; l'eventuale inclusione della CFS porrebbe anzitutto il problema di individuare puntualmente e correttamente i destinatari di tale offerta, senza eccedere in generalizzazioni che rischierebbero di tradursi in un meccanismo di induzione della spesa sanitaria, senza vantaggi concreti per coloro che realmente ne sono affetti.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla necessità di giungere ad una precisa valutazione epidemiologica, con particolare attenzione circa l'identificazione dei criteri con cui definire le forme gravi ed invalidanti; inoltre, non esistendo accertamenti specifici, si pone il problema della individuazione delle prestazioni rispondenti a criteri di appropriatezza, efficacia, onerosità del costo del trattamento ai sensi del decreto legislativo n. 124 del 1998.
Infine, la difficoltà di identificare, in termini di definizione clinica, le forme da prendere in considerazione per un eventuale inserimento tra le patologie soggette a tutela, comporta l'impossibilità di effettuare una corretta valutazione dell'impatto che una tale collocazione comporterebbe sotto il profilo sia economico che organizzativo.
Si precisa che nel luglio 2006 il Ministero della salute ha promosso un incontro con un gruppo di esperti a livello nazionale, al fine di esaminare le richieste pervenute da parte di alcune associazioni di malati circa l'inserimento della CFS tra le malattie croniche e invalidanti previste dal decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 e successive modifiche.
Preso atto delle difficoltà riportate, il gruppo ha concordato all'unanimità sulla necessità di rimandare ad un momento successivo ogni valutazione di merito.
Va, comunque, evidenziato che, una volta consolidati presso la comunità scientifica gli orientamenti diagnostici ed i dati epidemiologici, sussiste la più ampia disponibilità da parte di questa Amministrazione a sottoporre la possibilità di inserire la CFS, nella sua forma più grave, alle valutazioni opportune, nell'ambito dei lavori della Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza.


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ALLEGATO 5

Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento (Nuovo testo C. 2843, approvata dalla 7a Commissione permanente del Senato e abb.)

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La XII Commissione,
esaminato, per le parti competenza, il nuovo testo della proposta di legge C. 2843, approvata dalla 7a Commissione permanente del Senato e abb. recante «Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento», cui risultano abbinate le proposte di legge C. 563 Fabris e C. 2474 Formisano;
considerato che l'articolo 3, relativo alla diagnosi di DSA, è stato modificato nel corso dell'esame in sede referente rispetto al testo licenziato dal Senato, in particolare per quanto riguarda il comma 3;
rilevato altresì che la rubrica dell'articolo 3 non sembra corrispondere al contenuto dell'articolo medesimo, che disciplina la procedura per l'effettuazione della diagnosi e non anche la riabilitazione dei soggetti affetti da DSA;
ritenuto che dall'attuazione delle disposizioni potrebbero derivare oneri a carico della finanza pubblica che, in base all'articolo 9, ricadrebbero esclusivamente sui bilanci scolastici;

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
a) all'articolo 3, il comma 3 sia sostituito dal seguente:
3. La diagnosi di DSA è effettuata dai servizi specialistici del Servizio sanitario nazionale ed è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dell'alunno;
b) all'articolo 3, la rubrica sia sostituita dalla seguente «Diagnosi di DSA»;
e con le seguenti osservazioni:
a) al fine di evitare confusioni interpretative, valuti la Commissione di merito l'opportunità di sostituire il comma 2 dell'articolo 1 con il seguente:
2. La legge 5 febbraio 1992, n. 104, non trova applicazione nei confronti degli alunni affetti da DSA tranne che gli stessi non siano riconosciuti come persone con handicap ai sensi delle vigenti disposizioni;
b) valuti la Commissione di merito se non sia opportuno modificare l'articolo 9, nel senso di prevedere la copertura finanziaria degli eventuali nuovi oneri recati dal provvedimento.