Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Libertà religiosa - A.C. 36 e 134 - Seconda edizione
Riferimenti:
AC n. 36/XV   AC n. 134/XV
Serie: Progetti di legge    Numero: 62
Data: 08/11/2006
Descrittori:
LIBERTA' RELIGIOSA     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

 

 

Libertà religiosa

A.C. 36 e 134

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 62

Seconda edizione

 

 

8 novembre 2006


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

 

SIWEB

 

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File: ac0119.doc

 


INDICE

 

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  5

§      Contenuto  5

§      Relazioni allegate  6

Elementi per l’istruttoria legislativa  7

§      Necessità dell’intervento con legge  7

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  7

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali7

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  8

§      Impatto sui destinatari delle norme  9

§      Formulazione del testo  9

Schede di lettura

Il quadro normativo vigente  13

§      Le norme costituzionali13

§      I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica  13

§      I rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche  14

I lavori parlamentari nella XIV legislatura  27

§      Il disegno di legge sulla libertà religiosa  27

§      Le modifiche alle intese con la Tavola valdese e con le Chiese cristiane avventiste del 7° giorno  29

I progetti di legge in esame  31

§      Premessa  31

§      Libertà di coscienza e di religione (capo I)31

§      Confessioni e associazioni religiose (capo II)44

§      Stipulazione di intese (capo III)52

§      Disposizioni finali e transitorie (capo IV)56

Progetti di legge

§      A.C. 36, (on. Boato), Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi59

§      A.C. 134, (on. Spini ed altri), Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi77

Normativa di riferimento

§      Costituzione della Repubblica (artt. 7, 8, 17, 18, 19, 20, 21)97

§      Codice civile (artt. 83, 93-108, 316)99

§      Legge 24 giugno 1929, n. 1159. Disposizioni sull'esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi107

§      R.D. 28 febbraio 1930, n. 289. Norme per l'attuazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato  112

§      L. 4 agosto 1955, n. 848. Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952. (art. 9)122

§      L. 2 aprile 1958, n. 339. Per la tutela del rapporto di lavoro domestico. (art. 6)123

§      L. 20 maggio 1970, n. 300. Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.  (artt. 8 e 15)124

§      L. 25 ottobre 1977, n. 881. Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966. (artt. 18, 20 e 27)126

§      L. 11 agosto 1984, n. 449. Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese.127

§      L. 25 marzo 1985, n. 121. Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.142

§      Legge 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (artt. 2, 5, 17, 29)157

§      L. 22 novembre 1988, n. 516. Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno.164

§      Legge 22 novembre 1988, n. 517. Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia.186

§      Legge 8 marzo 1989, n. 101. Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane.201

§      D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. Approvazione del regolamento di polizia mortuaria (art. 100)226

§      L. 12 gennaio 1991, n. 13. Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica.  (art. 1)227

§      D.L. 26 aprile 1993, n. 122, (conv., con mod., Legge 25 giugno 1993, n. 205). Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa  230

§      Legge 5 ottobre 1993, n. 409  Integrazione dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.237

§      Legge 12 aprile 1995, n. 116. Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (UCEBI).241

§      Legge 29 novembre 1995, n. 520. Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI).257

§      Legge 20 dicembre 1996, n. 638. Modifica dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e  l'Unione delle Comunità ebraiche italiane, in attuazione dell'articolo 8, comma terzo, della Costituzione.278

§      L. 15 maggio 1997, n. 127. Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo. (art. 17, commi 25-27)281

§      Legge 23 dicembre 1999, n. 488. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 2000) (art. 42)285

Giurisprudenza costituzionale

§      Sentenza n. 59 del 24 novembre 1958  289

§      Sentenza n. 43 del 19 gennaio 1988  297

§      Sentenza n. 203 del 12 aprile 1989  301

§      Sentenza n. 195 del 27 aprile 1993  313

§      Sentenza n. 329 del 14 novembre 1997  323

§      Sentenza n. 508 del 20 novembre 2000  329

§      Sentenza n. 327 del 1° luglio 2002  335

§      Sentenza n. 346 dell’8 luglio 2002  339

§      Sentenza n. 168 del 29 aprile 2005  345

Atti internazionali e dell’Unione europea

§      Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (artt. 2 e 18)353

§      Assemblea Generale dell’ONU, Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo (25 novembre 1981)354

§      Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (artt. 10, 21 e 22)358

 

 


Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

A.C. 36

Titolo

Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi

Iniziativa

On. Boato

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali

Iter al Senato

No

Numero di articoli

41

Date

 

§          presentazione o trasmissione alla Camera

28 aprile 2006

§          annuncio

28 aprile 2006

§          assegnazione

19 settembre 2006

Commissione competente

I Commissione (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

Commissioni II (Giustizia); III (Affari esteri); IV (Difesa); V (Bilancio); VI (Finanze, ex art. 73, co. 1, reg.); VII (Cultura); VIII (Ambiente); XI (Lavoro); XII (Affari sociali); XIII (Agricoltura); Commissione parlamentare per le questioni regionali

 


 

Numero del progetto di legge

A.C. 134

Titolo

Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi

Iniziativa

On. Spini ed altri

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali

Iter al Senato

No

Numero di articoli

41

Date

 

§          presentazione o trasmissione alla Camera

28 aprile 2006

§          annuncio

28 aprile 2006

§          assegnazione

3 luglio 2006

Commissione competente

I Commissione (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

Commissioni II (Giustizia); III (Affari esteri); IV (Difesa); V (Bilancio); VI (Finanze, ex art. 73, co. 1, reg.); VII (Cultura); VIII (Ambiente); XI (Lavoro, ex art. 73, co. 1, reg.); XII (Affari sociali)

 


Struttura e oggetto

Contenuto

I progetti di legge in esame mirano a sostituire integralmente la disciplina dettata dalla vigente L. 1159/1929, in materia di riconoscimento dei culti diversi da quello cattolico, perseguendo tre obiettivi principali:

§         definire i principi generali sulla libertà religiosa;

§         regolamentare la posizione giuridica delle confessioni religiose;

§         definire le procedure per la stipulazione delle intese fra lo Stato e le confessioni religiose.

I due progetti di legge, pressoché identici, riproducono il disegno di legge esaminato nella XIII legislatura (A.C. 3947), nel testo approvato dalla I Commissione affari costituzionali della Camera, sul quale il relatore aveva ricevuto mandato a riferire in Assemblea, e riproposto, con varie modifiche, nella XIV legislatura (A.C. 2531).

I progetti di legge si articolano in quattro capi:

Il capo I detta norme a tutela della libertà di coscienza e di religione. richiamando quali fonti i princìpi della Costituzione, le convenzioni sui diritti inviolabili dell'uomo, nonché i principi del diritto internazionale, e superando la dizione di “culti ammessi nello Stato”, rappresentativa della concezione, fatta propria dalla normativa del 1929, basata non sul principio della libertà religiosa, ma su quello della tolleranza dello Stato rispetto alla presenza di culti diversi dalla “religione di Stato”.

Gli altri principi individuati dalla legge sono:

§         il diritto di manifestazione della libertà di religione, intesa come diritto a professare la propria fede religiosa, a diffonderla, ad osservarne i riti, ad esercitare il culto, nonché a mutare religione oppure a non averne alcuna;

§         il divieto di discriminazioni connesse a motivi religiosi, il diritto di riunione e di associazione per finalità di culto, e il diritto alla obiezione di coscienza;

§         il diritto dei genitori di istruire i figli secondo le proprie convinzioni religiose, e il principio della libera determinazione dei minori, nell'ambito delle scelte religiose, a partire dai quattordici anni di età;

§         la tutela dell'esercizio della libertà religiosa a soggetti che si trovano in particolari condizioni (appartenenti alle forze armate e di polizia, degenti in ospedale, detenuti), sui luoghi di lavoro e nell’ambito dell’insegnamento scolastico;

§         il riconoscimento della libertà di esercitare le proprie funzioni spirituali anche ai ministri dei culti per i quali non è stata ancora stipulata intesa con lo Stato, con l'unico onere di depositare la certificazione rilasciata dalla confessione di appartenenza, quando pongano in essere atti aventi rilevanza giuridica per lo Stato italiano;

§         la definizione delle procedure per la celebrazione del matrimonio con effetti civili, relativamente a culti religiosi per i quali non sia intervenuta l'intesa, ma le cui confessioni siano dotate di personalità giuridica;

§         la libertà di attività connesse alla vita religiosa, quali la pubblicazione e affissione di stampati e le collette, e la tutela degli edifici di culto.

 

Il capo II è dedicato alla disciplina delle confessioni e associazioni religiose. Esso prevede, innanzitutto, una tutela generale comune a tutte le confessioni, secondo il principio di cui all'articolo 8 della Costituzione, nell'ambito della quale sono compresi il diritto di celebrare i propri riti, di aprire edifici di culto, di diffondere la propria fede, di nominare i ministri di culto. Inoltre, si definiscono e disciplinano le forme di tutela e i benefici (anche di natura fiscale) cui possono accedere le confessioni che chiedono ed ottengono il riconoscimento della personalità giuridica, nonché i requisiti e la procedura del riconoscimento.

 

il capo III definisce le procedure per la stipulazione delle intese, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, fra lo Stato e le confessioni religiose. Il procedimento previsto ricalca sostanzialmente quello utilizzato nella prassi, con la notevole differenza che a tale procedimento possono avere accesso anche le confessioni che non abbiano previamente conseguito la personalità giuridica. Inoltre, il Presidente del Consiglio, già al momento in cui sottopone il progetto di intesa al Consiglio dei ministri, deve informare il Parlamento sui contenuti dello stesso.

 

Il capo IV reca disposizioni finali e transitorie.

 

Relazioni allegate

I progetti di legge, di iniziativa parlamentare, sono accompagnati soltanto dalla relazione illustrativa.

 


Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

I progetti di legge sono intesi a dare attuazione a princìpi costituzionali, ed incidono su materia regolata da fonte legislativa. La materia dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose è coperta da riserva di legge ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La materia “rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose” è menzionata dall’art. 117, secondo comma, lett. c), della Costituzione tra quelle afferenti alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Le proposte di legge sono dichiaratamente volte a dare piena attuazione ai princìpi costituzionali concernenti la libertà religiosa, con particolare riguardo a quelli recati:

§         dall’art. 8 Cost. il quale, oltre a sancire il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose, riconosce alle confessioni religiose diverse da quella cattolica l’autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano;

§         dall’art. 19 Cost. che, indipendentemente dal riconoscimento e dalla stessa esistenza di una confessione religiosa organizzata, riconosce a ciascuno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa “in qualsiasi forma, individuale o associata” ponendo il solo limite del buon costume;

§         dall’art. 20 Cost., che esclude qualsiasi restrizione legislativa o fiscale per le associazioni o istituzioni in ragione delle loro finalità di religione o di culto.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Riflessi sulle autonomie e sulle altre potestà normative

Qualche profilo di interesse per le competenze di regioni ed enti locali è presente, in particolare, nell’art. 22, ove si estende alle confessioni religiose dotate di personalità giuridica l’applicabilità delle norme sulla concessione e locazione dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e degli enti locali vigenti per gli enti ecclesiastici, nonché di quelle che regolano l’utilizzo di fondi per gli interventi di costruzione, restauro e conservazione di edifici aperti al culto, sulla base di intese stipulate con le autorità competenti.

Attribuzione di poteri normativi

All’art. 8, il co. 2 demanda le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al co. 1 (riguardanti l’esercizio della libertà religiosa per gli appartenenti alle forze armate o di polizia, i degenti in ospedali, case di cura e di assistenza e i reclusi in istituti di prevenzione e pena) a regolamenti ministeriali, da emanare ai sensi dell’art. 17, co. 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Coordinamento con la normativa vigente

I progetti di legge abrogano integralmente la L. 1159/1929 e il R.D. 289/1930, recanti disposizioni sull'esercizio dei culti ammessi nello Stato, e novellano, a fini di coordinamento normativo, l’art. 83 c.c..

Essi fanno espressamente salve le disposizioni attuative di accordi o intese stipulati ai sensi degli artt. 7 e 8 della Costituzione, e quelle di cui al D.L. 122/1993 (conv. con mod. in L. 205/1993), recante norme in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa.

Con riguardo alla procedura di riconoscimento della personalità giuridica delle confessioni religiose, si segnala che:

§         l’art. 16 dei progetti di legge, ove si prevede il riconoscimento con D.P.R. senza richiedere la previa deliberazione del Consiglio dei ministri, richiedono un coordinamento con l’art. 1 della L. 13/1991. Quest’ultima disposizione, infatti, non modificabile se non in forma espressa, nell’elencare tassativamente gli atti di competenza del Presidente della Repubblica, non vi ricomprende il riconoscimento della personalità giuridica, prevedendo tuttavia che siano adottati con D.P.R. gli atti per i quali sia intervenuta la deliberazione del Consiglio dei ministri.

§         la previsione del parere del Consiglio di Stato, contemplata dai progetti di legge, appare in controtendenza rispetto alla L. 127/1997, che nel disciplinare in via generale la materia (art. 17, co. 25 e ss.) ha inteso eliminare tutti i pareri obbligatori del Consiglio di Stato, facendo eccezione per gli atti normativi, gli atti amministrativi generali e i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica. Sembra dunque opportuno un coordinamento della disposizione con la disciplina generale di cui alla L. 127/1997.

Impatto sui destinatari delle norme

La normativa è potenzialmente destinata a produrre effetti su tutti i cittadini (oltre che sui residenti non cittadini italiani), avendo ad oggetto l'attuazione e la specificazione di diritti umani costituzionalmente garantiti. Altri soggetti direttamente interessati sono le confessioni e associazioni religiose, nonché le pubbliche amministrazioni coinvolte nell’attuazione del provvedimento.

Formulazione del testo

Per alcune osservazioni su singoli punti dell’articolato, si fa rinvio alle schede di lettura.

 


Schede di lettura

 


Il quadro normativo vigente

Le norme costituzionali

La Costituzione sancisce il diritto di professare le proprie convinzioni, anche religiose. In particolare, l’articolo 3 prevede la non discriminazione in base a ragioni legate al sesso, alla razza, alla lingua, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali e, appunto, alla religione, e l’articolo 21 il diritto per tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero.

La libertà religiosa è garantita dall’articolo 19, che stabilisce il diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa, e dall’articolo 20 che vieta l’introduzione di speciali limitazioni legislative o fiscali per le associazioni religiose.

I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinati dagli articoli 7 e 8 della Costituzione, relativi ai rapporti tra Stato e, rispettivamente, Chiesa cattolica e confessioni non cattoliche.

I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica

L’articolo 7 della Costituzione stabilisce quale sia la reciproca posizione istituzionale dello Stato e della Chiesa cattolica, affermando che “sono ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.

In base a tale articolo, i rapporti istituzionali tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono disciplinati dai Patti Lateranensi, stipulati l’11 febbraio 1929 e resi esecutivi con la L. 810/1929[1], nonché dall’Accordo di modificazione del Concordato e dal “Protocollo addizionale” del 18 febbraio 1984[2].

 

I Patti Lateranensi constavano, nella versione stipulata nel 1929 e parzialmente in vigore, di:

§       un Trattato, che ha restituito in forma simbolica la sovranità della Santa Sede su un territorio ed ha lo scopo di garantire alla stessa Santa Sede l’assoluta indipendenza per l’adempimento della sua missione nel mondo. A tal fine il Trattato riconosce alla Santa Sede sovranità internazionale, creando lo Stato della Città del Vaticano;

§       una Convenzione finanziaria, che ha regolato i rapporti finanziari collegati con la “questione romana” (sorta nel 1870 con l’annessione dello Stato Pontificio e di Roma all’Italia), liquidando l’indennizzo alla Santa Sede sia per la perdita degli Stati pontifici che dei beni degli enti ecclesiastici incamerati dallo Stato;

§         un Concordato, proposto come necessario completamento del Trattato, riguardando le condizioni della religione e della Chiesa cattolica in Italia.

La disciplina contenuta nell’Accordo di modificazione è racchiusa in 14 articoli che riguardano, fra gli altri temi: la libertà della missione della Chiesa, la libertà di comunicazione e corrispondenza dell’autorità ecclesiastica e quella dei cattolici in materia di associazione, riunione e manifestazione del pensiero, la libertà per l’autorità ecclesiastica di nominare i titolari degli uffici ecclesiastici (salvo comunicare all’autorità statale la nomina degli ufficiali che ricoprano uffici rilevanti per lo Stato, quali vescovi, parroci, etc.), la regolamentazione degli enti ecclesiastici e la gestione del patrimonio di questi, il nuovo regime del riconoscimento civile del matrimonio canonico e delle sentenze ecclesiastiche di nullità del vincolo, la disciplina delle scuole cattoliche parificate e delle Università cattoliche, nonché dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.

Il Protocollo addizionale ha lo scopo di assicurare la migliore interpretazione dei Patti lateranensi ed evitare ogni difficoltà di interpretazione: viene eliminato il riferimento alla religione cattolica come religione di Stato (contenuta nel Concordato del 1929) e si disciplina ulteriormente il regime del matrimonio canonico e l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche.

I rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche

I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche (o acattoliche) sono regolati dall’articolo 8 della Costituzione, che sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose. Viene riconosciuta alle confessioni non cattoliche l’autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, ed è posto il principio secondo il quale i rapporti delle confessioni con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Per quanto riguarda l’autonomia organizzativa delle confessioni diverse dalla cattolica, la Corte costituzionale, con la sentenza 43/1988, ha chiarito che “al riconoscimento da parte dell’art. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti. […] questa autonomia istituzionale […] esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nell’emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose”. La Corte ha quindi affermato il principio secondo cui il limite al diritto riconosciuto alle confessioni religiose dall’art. 8 Cost. di darsi i propri statuti, purché “non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano” si può intendere riferito “solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative”.

Il principio della regolazione con intesa, che, come si è visto, avrebbe dovuto costituire la forma principale di rapporto con le confessioni non cattoliche, in realtà è stato attuato solamente a partire dalla metà degli anni ‘80 e riguarda alcune delle varie confessioni presenti in Italia (vedi oltre).

Attualmente, la disciplina riguardante le confessioni non cattoliche presenti in Italia è diversa a seconda che queste abbiano o meno proceduto alla stipulazione di una intesa con lo Stato.

I rapporti tra lo Stato e le confessioni non cattoliche prive di intesa

Per le confessioni prive di intesa è tuttora applicata la “legge sui culti ammessi” (L. 1159/1929[3]) e il relativo regolamento di attuazione (R.D. 289/1930[4]).

La legge del 1929 si fonda sul principio dell’ammissione dei culti diversi dalla religione cattolica “purché non professino princìpi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Entro questi limiti, viene affermata la libertà di culto in tutte le sue forme, anche pubbliche, e l’eguaglianza dei cittadini, qualunque sia la religione da essi professata.

 

Gli istituti dei culti non cattolici possono essere eretti in ente morale dallo Stato italiano. Il riconoscimento comporta una serie di vantaggi tra cui la possibilità dell’ente di culto di acquistare e possedere beni in nome proprio e di avvalersi di agevolazioni tributarie.

D’altra parte, lo Stato, attraverso il Ministero dell’interno, esercita penetranti poteri di controllo nei confronti degli enti riconosciuti. In particolare, sono previste le seguenti misure:

§      l’approvazione governativa delle nomine dei ministri di culto con la precisazione che “nessun effetto civile può essere riconosciuto agli atti compiuti da tali ministri se la loro nomina non abbia ottenuto l’approvazione governativa”;

§      l’autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del matrimonio con effetti civili davanti ad un ministro di culto non cattolico

§      la vigilanza sull’attività dell’ente, al fine di accertare che tale attività non sia contraria all’ordinamento giuridico e alle finalità dell’ente medesimo. La vigilanza include la facoltà di ordinare ispezioni e, in caso di gravi irregolarità, di sciogliere l’ente e di nominare un commissario governativo per la gestione temporanea.

Il R.D. 289/1930 non si è limitato a dettare norme per l’attuazione della legge, ma ha stabilito princìpi nuovi ed in parte più restrittivi. Ad esempio:

§      è prevista la necessaria autorizzazione con decreto per l’apertura di templi o oratori, subordinatamente all’accertamento, da parte dell’autorità amministrativa, della necessità di essi “per soddisfare effettivi bisogni religiosi di importanti nuclei di fedeli” ed della sussistenza di “mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione” (art. 1);

§      i fedeli di un culto ammesso possono tenere riunioni pubbliche, senza autorizzazione preventiva, solo negli edifici aperti al culto ed a condizione che la riunione sia “presieduta o autorizzata da un ministro di culto” nominato con la prevista autorizzazione (art. 2).

Su tali disposizioni è peraltro intervenuta la sent. 59/1958 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 8 e 19 Cost., dell’art. 1 del R.D. 289/1930 “in quanto richiede la autorizzazione governativa per l'apertura di templi od oratori, oltre che per gli effetti civili, anche per l'esercizio del culto”, e del successivo art. 2.

Il R.D. 289/1930 prevede anche disposizioni di favore, quali:

§      la facoltà di prestare assistenza religiosa nei luoghi di cura e di ritiro, presso le Forze armate, gli istituti penitenziari;

§      le esenzioni dal servizio militare;

§      la possibilità, per i genitori di famiglia professante un culto non cattolico, di chiedere la dispensa per i propri figli dal frequentare i corsi di istruzione religiosa nelle scuole pubbliche e di ottenere che sia messo a loro disposizione un locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli.

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 346 del 2002, ha giudicato costituzionalmente illegittima una disposizione di una legge della Regione Lombardia che prevede benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato.

 

La Corte ha affermato che le intese previste dall’art. 8, terzo comma, Cost. non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8 né per usufruire di benefici a loro riservati, quali, nella specie, l’erogazione di contributi; risultano altrimenti violati il divieto di discriminazione (art. 3 e art. 8, primo comma, Cost.), nonché l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto (art. 19, Cost.), di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza, la possibilità per le medesime di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge oggetto del giudizio di costituzionalità.

 

Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti, associazioni o fondazioni di confessioni religiose presuppone come condizione ineludibile che si tratti di religioni i cui princìpi e le cui manifestazioni esteriori (riti) non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato.

La richiesta per il riconoscimento della personalità giuridicaè presentata dal soggetto interessato al prefetto. Alla domanda deve essere allegato lo statuto dell’ente. Il riconoscimento viene concesso, su proposta del ministro dell’interno, con decreto del Presidente della Repubblica, uditi il Consiglio di Stato (che esprime un parere di legittimità) ed il Consiglio dei ministri (il quale si pronuncia in merito alla opportunità politica).

 

Pur essendo venuta meno l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato con l’approvazione della legge 127/1997 (art. 17, commi 25-27), che ha dettato una disciplina generale dei pareri di tale organo, stabilendo tassativamente i casi in cui i pareri sono obbligatori e non ricomprendendo tra questi il riconoscimento della personalità giuridica[5], rimane tuttavia in capo all’Amministrazione la facoltà di richiedere il parere dell’organo consultivo qualora ne ravvisi la necessità.

 

A seguire, si elencano gli enti di culto (diversi dal cattolico) che hanno ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica e i relativi provvedimenti di riconoscimento.

 

Enti di culto diversi dal cattolico dotati di personalità giuridica

 

§         ASSOCIAZIONE DEI CRISTIANI ORTODOSSI IN ITALIA - GIURISDIZIONI TRADIZIONALI – D.P.R. ric. giur.14/1/1998 – mut. denom. D.P.R. 28/7/2004

§         ASSOCIAZIONE CHIESA DEL REGNO DI DIO – TORINO D.P.R.16/12/1988

§         ASSOCIAZIONE SANTACITTARAMA – D.P.R. 10/7/1995

§         CENTRO ISLAMICO CULTURALE D´ITALIA – D.P.R. 21/12/1974

§         CHIESA CRISTIANA EVANGELICA MISSIONARIA PENTECOSTALE DI OLIVARELLA DI MILAZZO - D.P.R. 16/12/1988

§         CHIESA CRISTIANA EVANGELICA INDIPENDENTE BEREA – D.P.R. 25/10/1999

§         CHIESA CRISTIANA MILLENARISTA – D.P.R. 17/5/1979

§         CHIESA DI CRISTO DI MILANO – D.P.R. 13/6/1977

§         CHIESA E CONFRATERNITA DEI SS. PIETRO E PAOLO DEI NAZIONALI GRECI – Regio Exequatur 20/2/1764

§         CHIESA ORTODOSSA RUSSA IN ROMA – R.D. 14/11/1929

§         CHIESA ORTODOSSA RUSSA IN SANREMO – D.P.R. 3/7/1966

§         COMUNITA´ ARMENA DEI FEDELI DI RITO ARMENO GREGORIANO – D.P.R. 24/2/1956

§         COMUNITA´ DEI GRECI ORTODOSSI IN VENEZIA – SOVRANE CONCESSIONI REPUBBLICA VENETA 28/11/1498, 4/10/1511 E 11/7/1526 – Statuto approvato 30/7/1940

§         COMUNITA´ EVANGELICA DI CONFESSIONE ELVETICA O CHIESA EVANGELICA RIFORMATA SVIZZERA DI TRIESTE – R.D. 4/4/1938

§         COMUNITA´ EVANGELICA DI CONFESSIONE ELVETICA O CHIESA EVANGELICA RIFORMATA SVIZZERA DI FIRENZE – Provvedimento Governo austriaco 7/1/1782

§         COMUNITA´ EVANGELICA DI MERANO DI CONFESSIONE AUGUSTANA – PROVVEDIMENTI GOVERNO AUSTRIACO 28/12/1875 E 5/1/1876

§         COMUNITA´ GRECO-ORIENTALE IN TRIESTE – PROVVEDIMENTI IMPERIALI 9/8/1782 E 7/3/1784 – statuto approvato con decreto imperiale 7/4/1786

§         COMUNITA´ RELIGIOSA SERBO-ORTODOSSA DI TRIESTE – prima approvazione statuto rescritto imperiale 28/2/1773 – ultimo statuto approvato D.P.R. 29/3/1989

§         CONGREGAZIONE CRISTIANA DEI TESTIMONI DI GEOVA –  D.P.R. 31/10/ 1986

§         CONGREGAZIONE CRISTIANA EVANGELICA ITALIANA IN GENOVA-SAMPIERDARENA – D.P.R. 26/10/1976

§         CONSULTA EVANGELICA –  D.P.R. 13/9/1999

§         ENTE CRISTIANO EVANGELICO DEI FRATELLI IN NOVI LIGURE – D.P.R. 13/11/1997

§         ENTE PATRIMONIALE DELLA CHIESA DI GESU’ CRISTO DEI SANTI DEGLI ULTIMI GIORNI (MORMONI) –  D.P.R. 23/2/1993

§         F.P.M.T. ITALIA – FONDAZIONE PER LA PRESERVAZIONE DELLA TRADIZIONE MAHAYANA – D.P.R.20/ 7/1999

§         FONDAZIONE APOSTOLICA – ENTE PATRIMONIALE DELLA CHIESA APOSTOLICA IN ITALIA – D.P.R. 21/2/ 1989

§         FONDAZIONE DELL´ASSEMBLEA SPIRITUALE NAZIONALE DEI BAHA´I D´ITALIA –  D.P.R. 21/11/1966

§         ISTITUTO BUDDISTA ITALIANO SOKA GAKKAI –  D.P.R. 20/11/2000

§         ISTITUTO ITALIANO ZEN SOTO SHOBOZAN FUDENJI –  D.P.R. 5/7/1999

§         MOVIMENTO EVANGELICO INTERNAZIONALE “FIUMI DI POTENZA” –  D.P.R. 10/9/1971

§         OPERA DELLA CHIESA CRISTIANA DEI FRATELLI – R.D. 22/2/1891

§         SACRA ARCIDIOCESI ORTODOSSA D´ITALIA ED ESARCATO PER L´EUROPA MERIDIONALE (PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI) – D.P.R. 16/7/1998

§         SELF REALIZATION FELLOWSHIP CHURCH – ENTE DELLA CHIESA DELLA FRATELLANZA NELLA REALIZZAZIONE DEL SE´ – D.P.R. 3/7/1998

§         UNIONE BUDDHISTA ITALIANA (U.B.I.) – D.P.R. 3/1/1991

§         UNIONE INDUISTA ITALIANA (U.I.I.) SANATANA DHARMA SAMGHA –  D.P.R. 29/12/2000

§         CHIESA CRISTIANA BIBLICA – D.P.R. 28/1/2004

§         MISSIONI CRISTIANE INTERNAZIONALI – AVVENTISTI DEL SETTIMO GIORNO - MOVIMENTO DI RIFORMA – D.P.R. 28/1/2004

§         PRIMA CHIESA DEL CRISTO SCIENTISTA – D.P.R. 28/1/2004

§         CONGREGAZIONI CRISTIANE PENTECOSTALI  -  D.P.R. 20/6/2005

 

Fonte: Ministero dell’interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Direzione centrale degli affari dei culti (www.interno.it).

Le intese tra lo Stato e le confessioni non cattoliche

Per le confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano cessano di avere efficacia le norme sopra indicate, che sono sostituite dalle disposizioni contenute nelle singole intese.

A partire dal 1984, lo Stato italiano, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, ha proceduto a stipulare intese con alcune confessioni religiose (vedi tabella 1).


 

Tab. 1. Le intese approvate con legge

 

Confessioni religiose

Intese

Chiese rappresentate dalla Tavola valdese

L. 11 agosto 1984, n. 449, integrata con la L. 5 ottobre 1993, n. 409

Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno

L. 22 novembre 1988, n. 516, modificata dalla L. 20 dicembre 1996, n. 637

Assemblee di Dio in Italia

L. 22 novembre 1988, n. 517

Unione delle Comunità ebraiche italiane

L. 8 marzo 1989, 101, modificata dalla L. 20 dicembre 1996, n. 638

Unione cristiana evangelica battista d’Italia

L. 12 aprile 1995, n. 116

Chiesa evangelica luterana in Italia

L. 29 novembre 1995, n. 520

 

Le intese finora intervenute danno atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico. Ciascuna intesa contiene disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e quella confessione religiosa che ha stipulato l’intesa. Si tratta, pertanto, di norme specifiche, spesso finalizzate a tutelare aspetti particolari, peculiari della confessione interessata. Si possono tuttavia individuare alcuni elementi ricorrenti: quasi tutte le intese recano disposizioni per l’assistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case di cura e di riposo e nei penitenziari, per l’insegnamento della religione nelle scuole, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e beneficenza, per il regime degli edifici di culto e per i rapporti finanziari con lo Stato nella ripartizione dell’8 per mille del gettito IRPEF e, infine, per le festività.

In generale, tali disposizioni concorrono a definire un regime più indipendente rispetto a quello valido per le confessioni prive di intesa sopra illustrato.

In questo senso particolarmente significative sono le disposizioni relative ai ministri del culto: per le confessioni che hanno stipulato le intese cessano di avere efficacia le norme sui “culti ammessi”, che, come si è detto, prevedono l’approvazione governativa delle nomine dei ministri; le confessioni nominano pertanto i propri ministri senza condizioni, salvo l’obbligo di registrazione in appositi elenchi.

Inoltre, diversa è la procedura relativa al riconoscimento della personalità giuridica degli istituti di culto: per quelli afferenti alle confessioni religiose che per prime hanno stipulato l’intesa, il procedimento ricalca quella per i “culti ammessi”, mentre per gli istituti di culto delle Chiese battista e luterana è prevista una procedura semplificata di emanazione con decreto ministeriale e non con decreto del Presidente della Repubblica.

 

Nella tabella seguente si riporta un quadro delle intese concluse e non ancora ratificate dal Parlamento:


 

Tab. 2. Le intese firmate e non approvate con legge

 

Confessione religiosa

Data firma intesa

Tavola Valdese (modifica)

27 maggio 2005

Unione italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (modifica)

23 aprile 2004

Unione buddista italiana (UBI)

20 marzo 2000

Congregazione cristiana dei testimoni di Geova

20 marzo 2000

Fonte: Presidenza del Consiglio[6](www.governo.it)

 

Le intese con la Chiesa avventista e con la Tavola Valdese contengono alcune modifiche puntuali alle Intese approvate a suo tempo con le due confessioni religiose. I disegni di legge di recepimento sono stati presentati dal Governo alla Camera rispettivamente il 24 giugno 2004 (A.C. 5085) e l’8 luglio 2005 (A.C. 5983). Al termine della XIV legislatura, l’esame dei provvedimenti presso la Commissione affari costituzionali non era giunto a conclusione (sul punto, vedi infra).

Per quanto riguarda le intese con l’Unione buddhista e con i Testimoni di Geova, a seguito della stipulazione delle intese siglate il 20 marzo 2000, il Governo ha presentato alla Camera i relativi disegni di legge di approvazione (XIII legislatura, A.C. 7023 e A.C. 7043). L’esame parlamentare dei due d.d.l. è iniziato presso la Commissione affari costituzionali il 20 luglio 2000. Durante il dibattito, alcune forze politiche hanno rilevato che l’intesa tra lo Stato e la Congregazione dei testimoni di Geova pone diversi problemi di compatibilità costituzionale, in relazione a specifici principi professati da questa confessione religiosa, non sollevati in relazione agli accordi con altre confessioni religiose conclusi fino a quel momento. L’esame parlamentare dei due disegni di legge si è interrotto con la fine della XIII legislatura.

 

La procedura per la stipulazione delle intese non è disciplinata in via legislativa. Si è formata peraltro, a partire dal 1984 (data della prima attuazione del dettato costituzionale in tale materia), una prassi consolidata che si può riassumere come segue.

Le trattative vengono avviate soltanto con le confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica nel nostro Paese ai sensi della legge 1159/1929. Tale riconoscimento presuppone che sia stata già effettuata una verifica della compatibilità dello statuto dell’ente rappresentativo della confessione con l’ordinamento giuridico italiano, così come richiesto dallo stesso articolo 8, comma 2, della Costituzione.

L’esame di compatibilità viene condotto sia dal Ministero dell’interno, competente per l’istruttoria volta al riconoscimento, sia dal Consiglio di Stato, il quale è chiamato ad esprimere il proprio parere in merito[7], concernente anche il carattere confessionale dell’organizzazione richiedente.

La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipulazione di tali intese, spetta al Governo: a tal fine, le confessioni interessate che hanno conseguito il riconoscimento della personalità giuridica si devono rivolgere, tramite istanza, al Presidente del Consiglio.

L’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni religiose è affidato dal Presidente del Consiglio al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con funzioni di Segretario del Consiglio dei Ministri, il quale si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita presso la stessa Presidenza per la prima volta nel 1985.

 

La Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose attualmente in carica è stata istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 1997 e riconfermata dal Governo in carica nella XIV legislatura; essa è presieduta dal prof. Franco Pizzetti ed è composta da rappresentanti dei Ministeri interessati: interno, giustizia, tesoro, finanze (ora accorpati nel Ministero dell’economia e delle finanze), difesa, istruzione, università e ricerca, beni e attività culturali, sanità (ora salute).

 

La Commissione, su indicazione del Sottosegretario, predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta. Sulle bozze di intesa esprime il proprio preliminare parere la Commissione consultiva per la libertà religiosa, operante presso la Presidenza del Consiglio dal 1997.

 

La Commissione consultiva per la libertà religiosa è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 marzo 1997, il quale le attribuisce funzioni di studio, informazione e proposta per tutte le questioni attinenti all’attuazione dei principi della Costituzione e delle leggi in materia di libertà di coscienza, di religione o credenza. La Commissione procede alla ricognizione e all’esame dei problemi relativi alla preparazione di intese con le Confessioni religiose, elaborando orientamenti di massima in vista della loro stipulazione. Essa si esprime, altresì, su questioni attinenti alle relazioni tra Stato e confessioni religiose in Italia e nell’Unione europea che le vengono sottoposte dal Presidente del Consiglio dei ministri e segnala, a sua volta, problemi che emergono in sede di applicazione della normativa vigente in materia, anche di derivazione internazionale.

La Commissione, presieduta dal prof. Francesco Margiotta Broglio, è stata rinnovata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 2002; il suo mandato scadrà nel marzo 2007.

Dopo la conclusione delle trattative, le intese sono sottoposte all’esame del Consiglio dei ministri ai fini dell’autorizzazione alla firma da parte del Presidente del Consiglio.

Una volta che siano state firmate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della confessione religiosa, le intese sono trasmesse al Parlamento per l’approvazione con legge (vedi infra).

 

Nella tabella che segue si riporta un elenco delle confessioni religiose con le quali sono in corso trattative per la stipulazione di intesa:

 

Tab. 3. Le intese in corso di stipulazione

 

Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (Mormoni)

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 23 febbraio 1993

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 17 febbraio 2000

Le trattative sono iniziate il 20 luglio 2000

Chiesa Apostolica in Italia

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 21 febbraio 1989

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 5 maggio 1995

Le trattative sono iniziate il 30 gennaio 2001

Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 16 luglio 1998

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 10 febbraio 2000.

Le trattative sono iniziate il 21 novembre 2000

Istituto buddista italiano Soka Gakkai

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 20 novembre 2000

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 11 aprile 2001.

Le trattative sono iniziate il 18 aprile 2001

Unione Induista Italiana

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 29 dicembre 2000

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 11 aprile 2001

Le trattative sono iniziate il 18 aprile 2001

Fonte: Presidenza del Consiglio[8] (www.governo.it).

 

Dal punto di vista tecnico-giuridico, non sono state avviate, fino ad oggi trattative per la conclusione di intese, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, con associazioni islamiche.

 

Fin dagli anni ‘90 sono state avanzate da parte di alcune comunità islamiche, quali la Comunità religiosa islamica, l’Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia, l’Associazione musulmani italiani e il Centro islamico culturale d’Italia, istanze per arrivare a stipulare intese con lo Stato italiano, basate su proposte unilaterali, dal momento che le predette organizzazioni non avevano raggiunto un accordo preventivo tra loro.

Nel 2000, per superare tale situazione, le organizzazioni citate sono pervenute alla costituzione dell’associazione del Consiglio islamico d’Italia, quale organismo di rappresentanza dell’Islam, sull’esempio di quanto già verificatosi in Spagna, ove nel 1992 la locale comunità islamica ha siglato con lo Stato l’accordo di cooperazione concernente la regolamentazione di alcune tematiche di rilievo, quali il matrimonio, l’assistenza religiosa nei centri pubblici, l’insegnamento della religione islamica, le festività religiose ed altro. Dissidi interni sopravvenuti hanno, tuttavia, impedito che in Spagna tali disposizioni avessero effettiva applicazione. Analogamente in Italia, il Consiglio islamico, costituito nel 2000, non è mai divenuto operativo e l’incapacità di raggiungere un’unitarietà dei richiedenti che fosse rappresentativa dell’universo islamico in Italia ha determinato l’impossibilità di stipulare un’intesa con lo Stato, mancando l’interlocutore riconosciuto. Le richieste di intesa con lo Stato italiano non sono state prese in esame dalla Presidenza del Consiglio dal momento che nessuna delle associazioni è dotata del riconoscimento giuridico come ente di culto, indispensabile per avviare i negoziati da parte della Commissione per le intese con le confessioni religiose[9].

Va infine ricordato che, nel quadro delle iniziative volte a favorire il “dialogo interreligioso quale fattore di coesione sociale”[10], ed anche in considerazione della specificità e consistenza della comunità di fede islamica (circa un milione di persone, in massima parte di cittadinanza straniera[11]), con decreto ministeriale 10 settembre 2005[12] è stata istituita la Consulta per l’Islam italiano, un organo centrale consultivo che si pone l’obiettivo di avviare un dialogo istituzionale con le componenti musulmane presenti in Italia e di agevolare la costruzione di un Islam italiano, fondato sui propri valori religiosi e culturali, ma anche sulla piena accettazione degli ordinamenti politici e delle leggi italiane.

La legge di approvazione delle intese

L’art. 8 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze: si tratta quindi di una riserva di legge rinforzata, essendo caratterizzata da aggravamenti procedurali, che non consente la modifica, abrogazione o deroga di tali leggi se non mediante leggi ordinarie che abbiano seguito la stessa procedura bilaterale di formazione.

Sulla natura delle intese, e di conseguenza delle leggi approvate sulla base delle intese, la dottrina si divide tra i sostenitori della tesi dell’intesa qualeatto esterno, e quindi paragonabile al trattato internazionale che è recepito dall’ordinamento con legge di esecuzione, e quelli che ne sostengono la natura di atto interno. In base alla seconda teoria le intese costituiscono sì dei tipici atti bilaterali, ma essi non sono stipulati tra due ordinamenti indipendenti e sovrani, come è il caso degli accordi tra Stati o tra Stato e Chiesa cattolica, bensì intervengono tra lo Stato (ordinamento primario) ed una società intermedia sottoposta alla sovranità dello Stato (la confessione religiosa non cattolica).

Nella prassi prevalente dal 1984, le leggi sulla base di intese sono state definite leggi di approvazione. A differenza delle leggi di esecuzione dei trattati internazionali, costituite solitamente da un articolo unico recante la formula di esecuzione del trattato che è allegato alla legge, le leggi di approvazione delle intese sono costituite da un articolato che riproduce sostanzialmente, con poche modifiche formali, il testo dell’intesa, anch’essa allegata alla legge.

Per quanto riguarda i riflessi sulla procedura parlamentare, si è posto il problema dell’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare per i progetti di legge volti a regolare i rapporti con le confessioni religiose.

 

L’art. 8 della Costituzione pone una riserva di legge in materia, ma non specifica se l’iniziativa legislativa al riguardo sia attribuita in via esclusiva al Governo, in quanto titolare del potere di condurre le trattative e stipulare le intese, e individua nella stipula delle intese un presupposto costituzionalmente necessario per l’inserimento nell’ordinamento di una legge che regoli i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose. Ciò analogamente a quanto avviene per i disegni di legge di ratifica dei trattati internazionali, in merito ai quali l’avvenuta stipula del trattato costituisce un presupposto necessario dell’iniziativa legislativa.

Come per la ratifica dei trattati, anche in relazione alle intese, non vi sono norme che espressamente attribuiscono l’iniziativa legislativa in materia esclusivamente al Governo (a differenza di quanto avviene per altri procedimenti legislativi, quale la legge di bilancio, di cui all’art. 81 Cost.); parimenti, l’art. 117 Cost., secondo comma, lettera c), rimette la materia dei rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose, alla competenza esclusiva dello Stato, senza individuare limiti all’iniziativa parlamentare.

 

La Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, dopo aver affrontato la questione della titolarità dell’iniziativa legislativa per la presentazione di progetti di legge volti ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali, nella seduta del 5 maggio 1999 – adeguandosi ad una prassi invalsa presso l’altro ramo del Parlamento – si è pronunciata per l’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare in tale materia, ove ricorrano i necessari presupposti di fatto.

 

Come sopra ricordato, secondo la dottrina prevalente, le intese differirebbero dall’autorizzazione alla ratifica in quanto tipici atti bilaterali. Pertanto se si ritengono ammissibili proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali che sono atti tra ordinamenti indipendenti e sovrani, non sembrano a fortiori sussistere elementi ostativi all’ammissibilità di proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’approvazione delle intese che sono atti interni.

A favore dell’inammissibilità sembrano invece far propendere due considerazioni:

§         per le intese – a differenza di quanto previsto per l’autorizzazione alla ratifica[13] – non è prevista alcuna forma di comunicazione in merito all’avvenuta stipulazione e al contenuto delle stesse, per cui risulterebbe difficile per i singoli parlamentari presentare una proposta di legge che recepisca le intese stipulate. Tale difficoltà appare, peraltro, superabile qualora l’intesa risulti oggetto di un disegno di legge di iniziativa governativa già presentato: in tal caso la conoscenza della stessa ai fini della trasfusione in una proposta di legge di iniziativa parlamentare risulterebbe possibile;

§         l’iniziativa legislativa parlamentare in materia di rapporti con le confessioni religiose potrebbe determinare, una volta approvata la legge, un vincolo per il Governo, il quale potrebbe trovarsi obbligato ad assumere decisioni o ad esplicitare la propria posizione nei confronti di confessioni religiose (con le quali pure abbia già stipulato un’intesa) in tempi da esso ritenuti inopportuni.

Non risultano comunque, a differenza di quanto avviene per i progetti di legge di ratifica di trattati internazionali, precedenti di proposte di legge di iniziativa parlamentare volte a recepire intese con confessioni religiose.

 

La forma dell’articolato e la procedura di approvazione parlamentare del disegno di legge di approvazione con votazioni articolo per articolo, alla stregua di qualsiasi progetto di legge, pone la questione dell’emendabilità o meno del testo. Nel corso dei lavori parlamentari, si è affermata una prassi che pur non escludendo in assoluto la emendabilità, restringe l’ambito di intervento del Parlamento a modifiche di carattere non sostanziale, quali quelle dirette ad integrare o chiarire il disegno di legge o ad emendarne le parti che non rispecchiano fedelmente l’intesa.


I lavori parlamentari nella XIV legislatura

Il disegno di legge sulla libertà religiosa

La Camera ha discusso un disegno di legge di iniziativa governativa (A.C. 2531) recante norme in materia di libertà religiosa che riproduce, con alcune modifiche, il testo di un progetto di legge del Governo non pervenuto ad approvazione definitiva nella XIII legislatura.

 

Il disegno di legge A.C. 3947, Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi (XIII legislatura), è stato presentato dal Governo alla Camera il 3 luglio 1997 e assegnato alla I Commissione il 15 luglio.

La Commissione ne ha iniziato l’esame il 15 marzo 1998, decidendo di costituire un comitato ristretto il 30 giugno 1998. Nel corso dei lavori il comitato ristretto a proceduto alle audizioni informali di numerosi rappresentanti di culti non cattolici.

A partire dal 13 ottobre 1999 la Commissione ha proceduto all’esame degli articoli del disegno di legge giungendo, infine, all’approvazione di un nuovo testo il 22 febbraio 2001 e dando mandato al relatore, on. Maselli, di riferire all’Assemblea.

A causa della fine della legislatura il provvedimento non ha proseguito l’iter parlamentare.

 

Al disegno di legge del Governo sono stati abbinati due progetti di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 1576, Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi, presentato dagli onn. Spini ed altri, e A.C. 1902, Norme sulla libertà religiosa, d’iniziativa dell’on. Molinari) di impianto simile a quello del disegno di legge del Governo.

La Commissione Affari costituzionali ha approvato un primo testo il 9 aprile 2003; il 24 giugno 2003 l’Assemblea ne ha deliberato il rinvio in Commissione per ulteriori approfondimenti; la Commissione ha quindi concluso l’esame in sede referente il 13 aprile 2005, riformulando la relazione presentata il 9 aprile 2003 (A.C. 2531 e abb.-A/R); il progetto è rimasto in stato di relazione per l’Assemblea sino al momento dello scioglimento delle Camere[14].

 

La Commissione Affari costituzionali ha iniziato l’esame in sede referente delle tre proposte il 30 maggio 2002.

Dopo una serie di sedute in cui si sono svolti interventi di carattere generale, il 9 luglio 2002 la Commissione ha deliberato, ai sensi dell’articolo 79, comma 5, del regolamento, lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti alla libertà religiosa nell’ambito dell’esame dei progetti di legge vertenti su tale materia.

La Commissione ha quindi svolto dal 22 ottobre al 26 novembre 2002 le seguenti audizioni nell’ambito del programma di indagine:


 

Seduta

Soggetti auditi

22 ottobre 2002

Giorgio Villella, segretario dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti.

 

Carlo Cardia, componente della Commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del Consiglio

 

don Gianni Baget Bozzo

 

Francesco Castro, professore di diritto islamico presso la II Università di Roma Tor Vergata

31 ottobre 2002

Francesco Pizzetti, presidente della Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale

 

Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi islamici presso la facoltà di scienze politiche delle Università di Trieste e Urbino

19 novembre 2002

Domenico Maselli, professore di storia del cristianesimo presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Firenze.

 

Roberta Aluffi Beck Peccoz, professore associato di Sistemi giuridici comparati presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino

 

Pierluigi Zoccatelli, vice direttore del Centro europeo per lo studio delle nuove religioni

26 novembre 2002

monsignore Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale italiana e Venerando Marano, direttore dell’Osservatorio giuridico della Conferenza episcopale italiana

 

Giuseppe Ferrari, segretario nazionale del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa

 

Franco Cardini, professore ordinario di Storia medievale presso la facoltà di Lettere dell’Università di Firenze

 

L’esame dei provvedimenti è quindi ripreso il 10 dicembre 2002; il 22 gennaio 2003 si è conclusa la discussione generale con le repliche del relatore on. Bondi (FI) e del Sottosegretario per l’interno D’Alì e con l’adozione come testo base del disegno di legge C. 2531 del Governo.

Dopo vari rinvii dell’esame del provvedimento richiesti anche dal relatore in considerazione dell’elevato numero degli emendamenti, presentati in modo particolare da deputati della maggioranza (e più specificamente della Lega Nord, che ha più volte ribadito nel corso dell’esame la propria contrarietà rispetto al contenuto del disegno di legge), e a motivo della complessità degli argomenti posti, il 26 marzo è iniziata la votazione degli emendamenti, per concludersi il 9 aprile 2003 con la delibera da parte della Commissione di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all’Assemblea sul testo approvato (A.C. 2531 e abb.-A).

Il 10 aprile 2003 si è svolta in Assemblea la discussione sulle linee generali e le repliche del relatore e del Governo; dopo un’ulteriore interruzione dei lavori, nella seduta del 24 giugno 2003, è stata approvata la proposta, avanzata dal relatore a nome del Comitato dei nove, di un rinvio in Commissione del progetto, ritenendosi necessario un periodo aggiuntivo di riflessione al fine di presentare in Aula un provvedimento in grado di ottenere un consenso e un’approvazione il più ampia possibile.

Il 20 aprile 2004 la Commissione ha ripreso l’esame del progetto di legge; il 4 maggio è stata approvata la proposta del presidente di nominare un Comitato ristretto nell’ambito del quale affrontare le questioni maggiormente controverse.

La Commissione si è riunita quindi il 23 novembre 2004 per audire il ministro dell’interno Pisanu, il quale ha svolto alcune considerazioni sul riconoscimento della diversità religiosa quale componente sempre più rilevante delle dinamiche sociali del nostro Paese nonché sul disegno di legge all’esame della Commissione, dichiarando di condividerne le finalità, in piena coerenza con la relazione presentata all’Assemblea dall’on. Bondi.

Dopo le dimissioni dell’on. Bondi dal mandato di relatore, è stata investita dell’incarico l’on. Paoletti Tangheroni, la quale, nella seduta del 14 dicembre 2004, ha svolto la relazione in cui ha ribadito la necessità di un intervento normativo che dia piena attuazione agli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione, abrogando la legge del 1929, e ha richiamato l’intervento in Commissione del ministro dell’interno, il quale aveva sottolineato l’esigenza di valutare attentamente i problemi multietnici presenti nel nostro Paese e di governare in termini di integrazione e non di conflitto i rapporti con cittadini di culti diversi da quello cattolico.

Il 16 dicembre la Commissione ha adottato quale testo base per il seguito dell’esame il testo predisposto nella precedente fase di esame in sede referente, al quale sono stati presentati, il 19 gennaio 2005, emendamenti e articoli aggiuntivi.

Il provvedimento è stato iscritto nel calendario dei lavori dell’Assemblea, su richiesta dei gruppi di opposizione – sin dall’inizio favorevoli a una legge in materia – per il mese di febbraio.

Il 13 aprile 2005, a conclusione della votazione degli emendamenti, la Commissione ha deliberato, con il voto contrario della Lega Nord e l’astensione di Alleanza nazionale, di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all’Assemblea sul nuovo testo.

L’Assemblea non ha iniziato la discussione del provvedimento.

Le modifiche alle intese con la Tavola valdese e con le Chiese cristiane avventiste del 7° giorno

Sul finire della legislatura, la Commissione affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame di due disegni di legge di iniziativa del Governo volti a recepire alcune circoscritte modifiche alle intese già stipulate con due confessioni religiose. Entrambi i provvedimenti non sono giunti all’esame dell’Assemblea.

A conferma del sostanziale accordo su di essi, durante l’esame presso la Commissione affari costituzionali non sono stati presentati emendamenti ad alcuno dei due provvedimenti; il 2° dicembre 2005 essi sono stati trasmessi alle Commissioni competenti per l’espressione dei prescritti pareri.

Il disegno di legge A.C. 5983, mediante una modifica della L. 409/1993[15] con cui è stata approvata l’Intesa tra il Governo italiano e la Tavola valdese stipulata il 25 gennaio 1993 (che a sua volta ha integrato l’Intesa recepita con la L. 449/1984[16]), intende consentire a tale confessione religiosa, che già gode del beneficio della destinazione dell’8 per mille del gettito dell’imposta sui redditi limitatamente alle scelte precisate in suo favore dai contribuenti, di partecipare anche alla ulteriore suddivisione delle somme derivanti da quei contribuenti che non hanno espresso alcuna preferenza.

La Tavola valdese infatti attualmente non partecipa, secondo quanto stabilisce espressamente la L. 409/1993, all’attribuzione della quota dell’8 per mille relativa ai contribuenti che non hanno operato alcuna scelta in sede di dichiarazione dei redditi in merito alla destinazione di tale quota, rimanendo gli importi relativi di pertinenza dello Stato.

Il disegno di legge A.C. 5085 modifica l’Intesa tra il Governo italiano e L’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (approvata con L. 516/1988[17]) al fine di riconoscere anche le lauree in teologia rilasciate, dopo un corso di studi quinquennale, dall’Istituto avventista di cultura biblica.

La normativa vigente già prevede che presso lo stesso Istituto possano essere conseguiti, al termine di un corso tre anni, diplomi in teologia e cultura biblica: con la modifica proposta, l’Istituto verrebbe ad adeguarsi alle tipologie previste dall’ordinamento universitario italiano per i titoli di primo livello – laurea – e di secondo livello – laurea specialistica.


I progetti di legge in esame

Premessa

Sono stati presentati e assegnati alla I Commissione (Affari costituzionali) della Camera due progetti di legge recanti norme sulla libertà religiosa, entrambi di iniziativa parlamentare (A.C. 36, Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi, presentato dall’on. Boato, e A.C. 134, con identico titolo, presentato dagli onn. Spini ed altri).

I due progetti di legge, pressoché identici, riproducono il testo del disegno di legge del Governo esaminato nella XIII legislatura dalla Commissione affari costituzionali della Camera (A.C. 3947), la quale giunse nel febbraio 2001 all’approvazione di un testo per il quale conferì mandato al relatore on. Maselli di riferire all’Assemblea. Peraltro i due p.d.l. in esame si presentano in buona parte simili al disegno di legge di iniziativa governativa discusso nella scorsa legislatura (A.C. 2531), del quale si è detto nella precedente scheda.

I progetti di legge si articolano in quattro capi:

§      il capo I detta norme in materia di libertà di coscienza e di religione;

§      il capo II è dedicato alla disciplina delle confessioni e associazioni religiose;

§      il capo III regola la stipulazione di intese, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione;

§      il capo IV reca disposizioni finali e transitorie.

 

Per semplicità di esposizione si articolerà il prosieguo della descrizione per temi, illustrando congiuntamente i due testi in esame.

Libertà di coscienza e di religione (capo I)

In generale

I primi due articoli riconoscono e garantiscono, rispettivamente, la libertà di coscienza e di religione e le relative manifestazioni.

In particolare, l’articolo 1 enuncia espressamente la garanzia, riconosciuta a tutti, del diritto fondamentale, proprio della persona, della libertà di coscienza e di religione, sulla base delle disposizioni costituzionali, delle convenzioni internazionali sui diritti inviolabili dell’uomo e dei princìpi del diritto internazionale in materia.

L’articolo 2 garantisce invece le manifestazioni proprie di tale libertà, enumerando i diritti:

§      di professare liberamente la propria fede religiosa o credenza, in forma individuale o associata;

§      di diffonderla e di farne propaganda;

§      di osservarne i riti e di esercitare il culto in privato e in pubblico;

§      di mutare religione o credenza;

§      di non averne alcuna.

L’espressione “libertà di coscienza e di religione” recata dall’art. 1 e il termine “credenza” che, all’art. 2 e in alcuni tra i successivi articoli, accompagna le parole “fede religiosa” o “religione”, sembra voler suggerire un’interpretazione non restrittiva del fenomeno religioso ai fini della tutela della libertà dei singoli (oggetto prevalente del capo I delle proposte di legge), pur se non necessariamente sotto il profilo del riconoscimento delle confessioni religiose organizzate (al quale sono dedicate le disposizioni recate dai capi II e III[18]).

 

La libertà di religione è garantita esplicitamente, nell’ordinamento italiano, dall’articolo 19 Cost., in base al quale tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

L’ampiezza del diritto in esame trova una ulteriore garanzia, da un lato, nelle disposizioni costituzionali che, garantendo il libero esplicarsi della personalità dei singoli e l’aggregarsi degli individui in formazioni sociali, concorrono a tutelare la realizzazione delle facoltà riconducibili a detto fenomeno; dall’altro, nelle norme introdotte nell’ordinamento italiano in esecuzione di convenzioni internazionali. A tale proposito, si ricordano in particolare l’art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848), l’art. 18 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 19 dicembre 1966 (ratificato con legge 25 ottobre 1977, n. 88), e la Dichiarazione dell’ONU sulla libertà religiosa del 1981.

Nella disposizione costituzionale la libertà religiosa è considerata come diritto soggettivo – valido nei rapporti interprivati dei singoli e dei gruppi sociali, anche stranieri – alla professione della fede religiosa, alla propaganda in materia religiosa e all’esercizio privato e pubblico del culto. Tale diritto è altresì azionabile nei confronti dello Stato – in tal senso, la libertà religiosa è stata definita in dottrina quale diritto pubblico soggettivo[19] – escludendosi quindi l’ammissibilità di norme che limitassero le facoltà garantite dall’art. 19, il quale ammette solo interventi repressivi nei confronti di riti contrari al buon costume.

L’art. 19 Cost. garantisce non solo la scelta tra religioni diverse ma assicura anche il diritto di rifiutare qualsiasi professione di fede, proteggendo quindi la libertà di coscienza e l’ateismo. L’ordinamento italiano, quindi, da un lato favorisce la manifestazione positiva della libertà religiose, tutelando, dall’altro, la posizione di chi non riconosce alcuna confessione religiosa o ne ha una concezione esclusivamente personale (c.d. libertà di coscienza), nei cui confronti, in base all’art. 3, primo comma, Cost., non può derivare al singolo alcun effetto favorevole o sfavorevole.

L’art. 20 Cost. esclude, nei confronti di associazioni ed istituzioni aventi “carattere ecclesiastico” e “fine di religione o di culto”, trattamento speciali restrittivi. La disposizione costituzionale ha inteso individuare, parificandole, due distinte categorie. Mentre la prima locuzione si riferisce esclusivamente agli enti della Chiesa cattolica, la successiva fa riferimento agli enti espressi o creati dalle confessioni acattoliche. Tale distinzione è stata in seguito in larga parte superata, avendo il legislatore, a partire dal 1984, adottato una terminologia uniforme nel definire ecclesiastici anche gli enti delle confessioni diverse dalla cattolica: si veda in questo senso l’art. 12 della legge 449/1984, che ha regolato i rapporti tra lo Stato e la Tavola valdese, l’art. 22 della L. 516/1988 (Intesa con l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno) e l’art. 13 della L. 517/1988 (Intesa con le assemblee di Dio in Italia).

Si ritiene che l’art. 20 tuteli sia le associazioni e istituzioni riconosciute sia quelle che non abbiano ancora ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica.

La disposizione costituzionale pone inoltre un divieto di introdurre tributi speciali a carico degli enti religiosi; tale divieto sta ad indicare che il carattere religioso o cultuale di associazioni o di istituzioni non può costituire criterio giustificativo di particolari imposizioni.

 

Il contenuto essenziale del diritto di libertà religiosa consiste quindi nell’assicurare all’individuo la possibilità di estrinsecare la propria personalità religiosa in varie direzioni: dal soddisfacimento dei bisogni dello spirito (professione di fede ed atti di culto), al bisogno di far partecipi gli altri delle proprie idee (propaganda, riunione, corrispondenza) e di costituire organizzazioni o partecipare ad esse (associazione).

L’ultimo periodo dell’art. 2 precisa che non possono essere disposte limitazioni alla libertà di coscienza e di religione diverse da quelle previste dai citati artt. 19 e art. 20 Cost. (quest’ultimo, peraltro, come già ricordato, non reca limitazioni, ma al contrario esclude che possano derivarne dal carattere ecclesiastico o dal fine di religione o di culto di una associazione o istituzione). Il successivo articolo 5 estende espressamente alle finalità di religione o culto i diritti di riunione ed associazione che gli articoli 17 e 18 Cost. sanciscono (e, al tempo stesso, delimitano).

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 17 Cost., i cittadini hanno diritto di riunirsi “pacificamente e senz’armi”, senza necessità di autorizzazione. Per le sole riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, “che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

L’art. 18 Cost. proclama il diritto dei cittadini di associarsi liberamente e senza autorizzazione, “per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”, e vieta al contempo le associazioni segrete e quelle che “perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”.

 

Le facoltà in cui si estrinseca la libertà religiosa sono elencate nell’articolo 6, comma 1; la libertà religiosa comprende quindi:

§      il diritto di aderire liberamente ad una confessione o associazione religiosa e di recedere da essa;

§      il diritto di partecipare, senza ingerenza da parte dello Stato, alla vita ed all’organizzazione della confessione religiosa di appartenenza in conformità alle sue regole.

 

Per quanto attiene ai gruppi sociali che perseguono fini di religione o di culto, si ricordano gli artt. 7 e 8 Cost., che specificamente concernono la libertà delle confessioni religiose, ed anche l’art. 2 Cost., che tutela i diritti inviolabili dell’uomo anche “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

Divieto di discriminazione

Il comma 2 del testé citato articolo 6 ribadisce, a tutela dei diritti connessi alla libertà religiosa, che non possono essere posti in essere atti aventi lo scopo di discriminare, nuocere o recare molestia a coloro che abbiano esercitato tali diritti.

L’articolo 3, più in generale, vieta qualunque discriminazione o costrizione in ragione della propria religione o credenza. Viene altresì escluso l’obbligo di dichiarazioni specificamente relative alla propria appartenenza confessionale.

 

La disposizione riprende quanto sancito dall’art. 3, primo comma, Cost., che vieta qualunque discriminazione fondata, tra l’altro, sulla religione.

Una specificazione di tale principio per le formazioni sociali è contenuta sia nell’art. 8, primo comma, Cost., ai sensi del quale tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge, sia nell’art. 20, a norma del quale il carattere ecclesiastico ed il fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività.

Il complesso di norme di maggiore organicità in materia di discriminazione razziale è costituito dalla L. 654/1975[20], di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966.

La Convenzione condanna qualsiasi forma di discriminazione razziale, ed in particolare le forme più estreme quali la segregazione razziale e l’apartheid.

Gli Stati contraenti si impegnano da un lato, a non porre in essere pratiche di discriminazione razziale e, dall’altro, ad adottare provvedimenti volti ad eliminare tali pratiche, ove esistano.

In particolare, si prevede che ciascuno degli Stati che aderiscono alla Convenzione modifica la propria legislazione penale nel senso di prevedere i delitti di propaganda e di violenza razziale. Tali modifiche sono state apportate nel nostro ordinamento dalla stessa L. 654/1975 di ratifica della Convenzione, e in particolare dall’art. 3.

L’articolo 5 della Convenzione, inoltre, impegna gli Stati contraenti ad adoperarsi per garantire – senza distinzione di razza o nazionalità – una serie di diritti fondamentali quali il diritto all’eguaglianza davanti alla legge, il diritto alla sicurezza e all’integrità personale, i diritti politici ed altri diritti civili (tra i quali il diritto di circolazione, alla libertà di pensiero, di religione, di associazione, diritto al lavoro, alla sanità, all’educazione).

Si segnala che il D.L. 26 aprile 1993, n. 122[21] ha modificato il reato di cui all’art. 3 della L. 654/1975, che punisce chi diffonde idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale o incita a commettere o commette atti di violenza verso gruppi nazionali, etnici o razziali. Il D.L. 122/1993 ha infatti esteso tale previsione anche alle fattispecie di odio etnico e di discriminazione per finalità religiose, anche se commesse in forma organizzata.

La disciplina in materia di discriminazione razziale dettata dalla L. 654/1975 è stata integrata ad opera del Testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998[22]) e in particolare dagli articoli 43 e 44, recanti rispettivamente l’individuazione puntuale degli atti di discriminazione e la disciplina dell’azione in sede civile contro gli atti di discriminazione.

Entrambi gli articoli citati si riferiscono ai comportamenti discriminatori compiuti non solamente nei riguardi di cittadini stranieri non comunitari – destinatari della gran parte delle disposizioni del testo unico – ma anche di cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea presenti in Italia.

L’art. 43 del Testo unico sull’immigrazione qualifica come discriminatori i comportamenti che, direttamente o indirettamente, operano una distinzione, un’esclusione, una restrizione o una preferenza per motivi di razza, colore, nazionalità, etnia, religione e che abbiano l’intento o l’effetto di distruggere o compromettere il riconoscimento o l’esercizio, in condizione di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.

Il principio della parità di trattamento è solennemente affermato, in ambito europeo, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre del 2000. L’art. 21 della Carta di Nizza vieta infatti “qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”[23].

Anche il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), come modificato dal Trattato di Nizza del 2001, all’art. 13, reca alcune disposizioni in materia di razzismo e xenofobia. Tale articolo, infatti, conferisce al Consiglio europeo il compito di adottare gli opportuni provvedimenti volti a combattere qualsiasi discriminazione, tra cui quelle fondate sulla razza, l’origine etnica o la religione.

In attuazione di questi principi l’Unione ha adottato due direttive (2000/43/CEe 2000/78/CE) volte ad armonizzare gli ordinamenti dei Paesi membri in materia di non discriminazione. L’Italia ha provveduto ad adeguare la normativa interna al quadro comunitario illustrato.

Il D.Lgs. 215/2003[24], recependo la direttiva 2000/43/CE, ha introdotto disposizioni relative alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, prevedendo le misure necessarie ad evitare che le differenze di razza o etnia siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere su donne e uomini e sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.

Un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro è stato stabilito dal D.Lgs. 216/2003[25], attuativo della direttiva 2000/78/CE, recante disposizioni per la tutela, in questi ambiti, contro ogni forma di discriminazione legata all’orientamento sessuale, alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età.

In attuazione di una specifica disposizione del D.Lgs. 215, nell’ambito del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio è stato istituito l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica[26].

L’Ufficio svolge, in modo autonomo e imparziale, funzioni di controllo e di garanzia delle parità di trattamento e dell’operatività degli strumenti di tutela; attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica, anche in un’ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini, nonché dell’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.

Per quanto riguarda il divieto di dichiarazioni obbligatorie relative all’appartenenza confessionale, si ricorda che l’art. 4 del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003[27]) ricomprende tra i dati sensibili, che possono essere trattati soltanto con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante, i dati personali idonei a rivelare le convinzioni religiose e l'adesione ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso.

L’art. 26 del Codice stabilisce che possono essere oggetto di trattamento anche senza consenso e senza autorizzazione del Garante i dati sensibilirelativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che, con riferimento a finalità di natura esclusivamente religiosa, hanno contatti regolari con le medesime confessioni, effettuato dai relativi organi, ovvero da enti civilmente riconosciuti, sempre che i dati non siano diffusi o comunicati fuori delle medesime confessioni. Queste ultime devono determinare idonee garanzie per i trattamenti effettuati, nel rispetto dei princìpi indicati al riguardo con autorizzazione del Garante.

Ai sensi dell’art. 72 del Codice, si considerano di rilevante interesse pubblico le finalità relative allo svolgimento dei rapporti istituzionali con enti di culto, confessioni religiose e comunità religiose. Ciò ai fini degli articoli 20 e 21 del Codice stesso, che consentono il trattamento dei dati sensibili e di quelli giudiziari esclusivamente per le finalità di rilevante interesse pubblico.

Infine si ricorda che l’art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori) vieta le indagini sulle opinioni religiose dei lavoratori.

Educazione religiosa nella famiglia

L’articolo 4, al comma 1, prevede il diritto di istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, in coerenza con la propria fede religiosa o credenza, nel rispetto della loro personalità e senza pregiudizio della salute dei medesimi.

 

La disposizione va letta in connessione con il primo comma dell’art. 30 Cost., che riconosce, con analoga formulazione, il dovere ed il diritto di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio, e con l’art. 147 del codice civile, che impone ad entrambi i coniugi il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

 

I genitori hanno quindi il potere di educare i figli in modo religioso o non religioso, fermo restando che tale educazione non può che rappresentare un avviamento, non essendo possibile alcuna coercizione e dovendosi ammettere che il figlio, anche prima della maggiore età, abbia il diritto di scegliere la sua vita religiosa, criterio che trova conferma nella formula del c.c. che impone ai genitori il rispetto delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli.

Il comma 2 della disposizione in esame riconosce infatti al minore al di sopra dei quattordici anni la possibilità di compiere autonomamente le scelte pertinenti all’esercizio del diritto di libertà religiosa. In base all’art. 316 c.c., tuttavia, esplicitamente menzionato nella norma, entrambi i coniugi possono paritariamente influire sull’educazione religiosa dei figli ed in caso di disaccordo che non sia composto nell’ambito familiare, potrà adirsi il Tribunale per i minori. Il concetto è ribadito nell’ultimo periodo del comma ove si precisa che il giudice decide “nell’interesse primario del minore”.

Obiezione di coscienza

L’articolo 7 stabilisce (comma 1) che i cittadini hanno diritto di agire secondo i dettami imprescindibili della propria coscienza, nel rispetto dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione, mentre viene demandata (comma 2) alla legge la disciplina delle modalità per l’esercizio dell’obiezione di coscienza nei vari settori.

 

Poiché la libertà religiosa tutela sia l’azione di chi intenda professare una data fede religiosa sia l’omissione di chi non intenda professare alcuna fede, sono da ritenersi in contrasto con l’art. 19 Cost. tutte quelle disposizioni che impongano ai singoli di tenere un comportamento che, in modo diretto o indiretto, importi l’adesione ad una qualunque fede religiosa. Di converso, esistono numerose disposizioni che impongono doveri suscettibili di entrare in conflitto con le proprie convinzioni etiche o religiose. Di qui, il fenomeno c.d. dell’obiezione di coscienza, che, secondo la maggior parte della dottrina, trova fondamento (pur se non testualmente previsto) nell’articolo 2 Cost. ed è riconosciuto, in varia misura, nel diritto positivo con riferimento ad obblighi derivanti da norme costituzionali.

Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza nei confronti del servizio militare, si ricorda che la L. 230/1998[28] ha riformato organicamente la disciplina dell’obiezione di coscienza istituto abrogando contestualmente la normativa risalente al 1972.

Il principio di fondo al quale è ispirata la legge consiste nel pieno riconoscimento al cittadino, del diritto di rifiutare, sulla base di motivi di coscienza (non necessariamente di ordine religioso) e per contrarietà all'uso delle armi, la prestazione del servizio militare. Coloro che non accettano l'arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato, possono adempiere gli obblighi di leva prestando un servizio civile, in sostituzione del servizio militare che, come questo, sia rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e ordinato ai fini enunciati nei principi fondamentali della Costituzione. La legge sopraccitata detta le modalità e le norme per lo svolgimento di tale servizio.

Si rileva peraltro che le disposizioni relative all'obiezione di coscienza non si applicano in seguito alla sospensione del servizio di leva conseguente alla professionalizzazione delle Forze armate[29].

A tale proposito, si segnala inoltre che l’art. 6, co. 1, della legge 22 novembre 1988, n. 516 (Intesa con le Chiese cristiane avventiste), stabilisce che “la Repubblica italiana, preso atto che la Chiesa cristiana avventista è per motivi di fede contraria all’uso delle armi, garantisce che gli avventisti soggetti all’obbligo del servizio militare siano assegnati, su loro richiesta, e nel rispetto delle disposizioni sull’obiezione di coscienza, al servizio sostitutivo civile”.

Si ricorda infine che la L. 194/1978[30] (art. 9) ha consentito l’obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto da parte del personale medico ed ausiliario in servizio presso le strutture sanitarie. Analoga disposizione è contenuta nella più recente L. 40/2004[31] (art. 18) con riguardo all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Esercizio della libertà religiosa e pratiche di culto

L’articolo 8, al comma 1, afferma il principio secondo cui l’appartenenza alle Forze armate, alle Forze di polizia o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura e di assistenza o la permanenza in istituti di prevenzione e pena non impediscono l’esercizio della libertà religiosa e delle pratiche di culto, né l’adempimento delle prescrizioni religiose:

§      in materia alimentare;

§      relative all’astensione dalle attività in determinati giorni o periodi previsti come festività.

Detti giorni o periodi devono peraltro essere considerati festivi dagli statuti delle confessioni o associazioni religiose che non hanno ancora stipulato un’intesa con lo Stato italiano; le leggi di recepimento delle intese recano norme specifiche sulle festività religiose osservate da ciascuna confessione.

In ogni caso, da tali adempimenti non devono derivare nuovi o maggiori oneri per le amministrazioni interessate.

Con riguardo alla formulazione letterale di quest’ultimo inciso si segnala che esso, benché i presentatori intendano presumibilmente riferirlo alla sola astensione dalle attività nei periodi festivi, potrebbe leggersi quale condizione limitativa di tutte le pratiche di cui al comma 1.

Il comma 2 demanda le modalità di attuazione della norma a regolamenti ministeriali, da emanare ai sensi dell’art. 17, co. 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Il comma 3 mira ad assicurare, in caso di decesso, la celebrazione delle esequie (previa intesa con i familiari del defunto) ad opera di un ministro di culto della religione di appartenenza. A differenza di quello di cui al comma 1, tale disposto è riferito alle sole confessioni religiose che abbiano personalità giuridica.

 

Si ricorda che l’art. 11, co. 1, del Concordato del 1984 (reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121), prevede forme di assistenza spirituale nelle istituzioni collettive: Forze armate, strutture ospedaliere e luoghi di cura, istituti penitenziari. L’assistenza spirituale è assicurata da ecclesiastici nominati da autorità italiane competenti su designazione dell’autorità ecclesiastica e secondo la stato giuridico, l’organico e le modalità stabilite d’intesa fra tali autorità.

L’assistenza spirituale è stata disciplinata anche nelle Intese stipulate con le confessioni diverse dalla cattolica, colmando un lacuna legislativa che aveva costituito motivo di contrasto tra le diverse comunità religiose. La previsione del servizio di assistenza religiosa è contenuta nelle seguenti disposizioni:

§       Intesa con la Tavola valdese (L. 449/1984, artt. 5-8);

§       Intesa con le Chiese cristiane avventiste (L. 516/1988, artt. 8-10)

§       Intesa con le Assemblee di Dio (L. 517/1988, artt. 3-7);

§       Intesa con le Comunità ebraiche italiane (L. 101/1989, artt. 7-10);

§       Intesa con l’Unione cristiana evangelica battista (L. 116/1995, artt. 5-7);

§       Intesa con la Chiesa evangelica luterana (L. 520/1995, artt. 5-9).

Per quanto riguarda le Forze armate, le modalità per garantire il servizio di assistenza spirituale sono:

§       la partecipazione alle attività religiose o di culto nella stessa località dove si svolge il servizio militare;

§       la partecipazione alle attività religiose che si svolgono in località vicine;

§       l’intervento diretto di ministri di culto nelle strutture militari (è quanto accade per esempio per la Chiesa cattolica, che ha l’Ordinariato militare, disciplinato dalla L. 512/1961[32], da ultimo modificata dall’art. 69 del D.lgs. 490/1997[33], e per l’Unione delle comunità israelitiche, che hanno un corpo di “rabbini castrensi”).

L’assistenza religiosa negli ospedali e negli altri istituti di cura è prestata da ministri della rispettiva confessione, che hanno accesso libero agli istituti senza limiti di orario.

Infine, l’assistenza negli istituti penitenziari è svolta su richiesta dei detenuti o delle loro famiglie o ad iniziativa del ministro di culto, che è compreso tra i soggetti che possono visitare gli istituti di pena senza particolare autorizzazione, ai sensi della legge sull’ordinamento penitenziario.

 

L’articolo 9 opera, al comma 1, un generale rinvio alla legislazione vigente con riguardo a vari aspetti della tutela della libertà religiosa nel lavoro domestico e nei luoghi di lavoro.

A fronte della completezza delle disposizioni recate dall’art. 8 in relazione a professioni e situazioni particolari, il comma 1 dell’art. 9 si limita ad operare un rinvio alle norme vigenti limitatamente ai seguenti aspetti:

§         l’adempimento dei doveri essenziali del culto nel lavoro domestico. In materia, la norma fondamentale è l’art. 6 della legge 339/1958[34], , che impone al datore di lavoro di “lasciare al lavoratore il tempo necessario per adempiere agli obblighi civili ed ai doveri essenziali del suo culto”;

§         il divieto di licenziamento determinato da ragioni di fede religiosa nei luoghi di lavoro e la nullità di patti o atti diretti a fini di discriminazione religiosa. Le norme più importanti in materia, in attuazione dell’art. 3 della Costituzione, sono: l’art. 15 dello statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), che prevede tra l’altro – per l’appunto – la nullità dei patti o atti sopra citati; l’art. 3 della legge 108/1990[35], che dispone la nullità del licenziamento determinato da ragioni discriminatorie, indipendentemente dalla motivazione addotta;

§         il divieto di indagine sulle opinioni religiose, di cui all’art. 8 dello statuto dei lavoratori. Come già ricordato, le convinzioni religiose rientrano tra i dati sensibili di cui all’art. 4 del Codice in materia di protezione dei dati personali, che possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante[36].

Il comma 2 rimette, invece, ai contratti collettivi e individuali di lavoro l’esercizio della libertà religiosa nelle sue varie espressioni.

Il termine “contemplano” parrebbe configurare tale materia quale contenuto necessario della contrattazione, sia collettiva sia individuale (pur non prevedendo alcun rimedio in caso di assenza).

 

Importanti disposizioni relative all’esercizio della libertà religiosa con specifico riguardo all’astensione dall’attività in determinati giorni o periodi, sono contenute nelle intese di cui all’art. 8, terzo comma, della Costituzione.

 

Il comma 3 menziona specificamente la macellazione rituale in conformità a prescrizioni religiose, rinviando alla legislazione vigente in materia.

 

Si ricorda in proposito che la religione ebraica e quella musulmana prevedono una serie di divieti e limitazioni alimentari, in particolare per quanto riguarda il consumo di carne. Sono proibiti determinati tipi di animali ed è comunque vietato, anche per gli animali ammessi, nutrirsi del loro sangue. Per questo motivo è previsto un particolare tipo di macellazione, effettuata attraverso il taglio della giugulare dell'animale, dal quale viene fatto sgorgare via tutto il sangue. L'animale viene poi salato per eliminare ogni residuo sanguigno.

Questo tipo particolare di macellazione – variamente giudicato in sede veterinaria in relazione al maggiore o minore dolore arrecato all'animale rispetto all'abbattimento preceduto da stordimento – è tutelato dalla direttiva comunitaria 93/119 che, nello stabilire rigide regole per l'abbattimento a favore del benessere degli animali, ha previsto anche la possibilità di deroghe per particolari riti religiosi.

La direttiva è stata recepita con il D.Lgs. 333/1998[37], che preserva la possibilità della macellazione rituale sotto controllo veterinario ufficiale.

La macellazione rituale ebraica è inoltre esplicitamente garantita dall'art. 6 della legge con cui è stata approvata l'intesa tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane (legge 8 marzo 1989, n. 101), che richiama la normativa precedente al D.Lgs. 333/1998 (D.M. 11 giugno 1980).

 

Il libero svolgimento di altre attività ricollegabili all’esercizio della libertà religiosa, quali le affissioni e la distribuzione di pubblicazioni, o le collette effettuate all’interno ed all’ingresso dei luoghi di culto, è garantito dall’articolo 13.

 

Tale disposizione sembra in realtà riproporre il disposto dell’art. 3 del R.D. 289/1930[38], il quale consente ai ministri dei culti ammessi (attualmente, delle confessioni che non hanno stipulato intese) di pubblicare ed affiggere nell’interno ed alle porte esterne degli edifici destinati al proprio culto gli atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli, senza particolare licenza dell’autorità di pubblica sicurezza e con esenzione dalle tasse. L’art. 4 del R.D. 289 consente poi che siano effettuate, senza alcuna ingerenza delle autorità civili, collette all’interno ed all’ingresso degli edifici di culto.

Analogamente, il regime delle intese in questa materia prevede che le affissioni, la distribuzione di pubblicazioni e stampati relativi alla vita religiosa effettuate all’interno ed all’esterno dei luoghi di culto, nonchè le collette effettuate a fini ecclesiastici possono avvenire, nel rispetto delle libertà in tema di religione, senza autorizzazione né altra ingerenza da parte degli organi dello Stato.

 

L’articolo 14 introduce infine, a tutela della loro destinazione, limitazioni agli interventi pubblici su edifici aperti al culto di confessioni religiose aventi personalità giuridica. Tali interventi (occupazione, requisizione, espropriazione, demolizione) sono possibili solo per gravi motivi e sentite le confessioni stesse.

Ministri di culto e celebrazione del matrimonio

L’articolo 10 è volto ad attuare il principio della libertà di organizzazione confessionale, sancendo la libertà per i ministri di culto di svolgere il loro ministero spirituale (comma 1) e stabilendo (comma 2) che i ministri di culto che compiano atti destinati ad avere rilevanza giuridica nello Stato (ad esempio, la celebrazione di matrimoni) debbano depositare all’ufficio competente per l’atto da compiere una certificazione, rilasciata dalla confessione di appartenenza, che attesti la qualifica rivestita.

Il comma 3, presente soltanto nell’A.C. 134, estende la facoltà di compiere atti rilevanti per l’ordinamento giuridico italiano anche ai ministri di culto appartenenti a confessioni religiose non dotate di personalità giuridica (purchè cittadini italiani), previa approvazione della loro nomina da parte del ministro dell’interno.

 

Le intese riconoscono alle confessioni il diritto di nominare i ministri di culto senza condizioni; quando tuttavia i ministri pongono in essere atti destinati ad avere rilevanza civile o intendono esercitare facoltà previste dalle intese, devono essere in possesso di determinati requisiti o addurre apposita certificazione (ad esempio, i ministri di culto delle confessioni avventista, pentecostale, battista e luterana, per accedere a strutture penitenziarie o ospedaliere o militari devono presentare apposita certificazione confessionale).

Parzialmente diversa da questa è la disciplina della nomina dei ministri di culto per le altre confessioni religiose: le confessioni senza intesa sono soggette alla L. 1159/1929[39],che prescrive, all’art. 3, che le nomine dei ministri di culto devono essere notificate al Ministero dell’interno per l’approvazione, in quanto nessun effetto civile può essere riconosciuto agli atti del proprio ministero compiuto da tali ministri di culto se la loro nomina non ha ottenuto l’approvazione governativa.

 

L’articolo 11 disciplina la celebrazione del matrimonio davanti ad un ministro di culto di una confessione religiosa avente personalità giuridica ai sensi della normativa proposta: ricollegandosi alla normativa del 1929, l’articolo in esame presuppone che sia il singolo a voler celebrare il matrimonio con effetti civili in forma religiosa, e che il ministro di culto appartenga ad una confessione che non abbia stipulato intese od accordi ai sensi dell’art. 7, secondo comma, e dell’art. 8, terzo comma, Cost., ma alla quale sia stata riconosciuta la personalità giuridica.

La disposizione pone come condizione che la confessione religiosa rivolga una specifica richiesta al riguardo al ministro competente, specificando in particolare se preferisce che la lettura degli articoli del codice civile concernenti i diritti ed i doveri dei coniugi abbia luogo durante il rito o all’atto (della richiesta) delle pubblicazioni.

Dalla formulazione del comma (e dal disposto di cui al successivo comma 5) si può desumere che

§         per i ministri di culto appartenenti a confessioni religiose non dotate di personalità giuridica, la facoltà di compiere atti rilevanti per l’ordinamento giuridico italiano, di cui al precedente art. 10, co. 3, non include la possibilità di celebrare matrimoni con effetti civili;

§         per i ministri di culto appartenenti a confessioni religiose dotate di personalità giuridica, la possibilità di celebrare matrimoni con effetti civili è subordinata a una richiesta formulata dalla rispettiva confessione al ministro competente.

L’iter procedurale prevede che dopo la richiesta delle pubblicazioni da parte dei nubendi, l’ufficiale di stato civile rilasci loro un nulla osta (in duplice originale) dal quale risulti tra l’altro l’inesistenza d’impedimenti al matrimonio e si attesti che l’ufficiale di stato civile ha provveduto a spiegare ai nubendi medesimi i diritti ed i doveri dei coniugi attraverso la lettura dei relativi articoli del codice civile (se la confessione religiosa ha optato in tal senso).

Ai sensi dei commi 2 e 3 il ministro di culto, dopo aver celebrato il matrimonio, trasmette il relativo certificato – cui è allegato il nulla osta – all’ufficiale di stato civile (entro e non oltre cinque giorni dalla celebrazione); la trascrizione del matrimonio deve essere effettuata entro ventiquattro ore dalla ricezione di detta documentazione. Indipendentemente dalla tempestività della trascrizione, gli effetti civili del matrimonio decorrono in ogni caso dalla celebrazione (comma 4).

Mentre il comma 5 reca disposizioni di coordinamento (espungendo all’art. 83 del codice civile l’espressione “culti ammessi nello Stato” e sostituendole con “confessione religiose aventi personalità giuridica”), il comma 6 specifica che le nuove procedure introdotte dall’articolo non pregiudicano quanto stabilito nelle intese stipulate o da stipulare ai sensi dell’art. 7, secondo comma, e dell’art. 8 terzo comma, Cost..

Attività scolastiche

L’articolo 12 reca, al comma 1 una disposizione di ordine generale inerente all’insegnamento nelle scuole pubbliche, che deve svolgersi “nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione”. Si tratta di una specificazione dei princìpi generali introdotti nei primi articoli dei progetti di legge in esame, ricavabile altresì dai principi di libertà di insegnamento (“intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente”) e di libertà di coscienza degli alunni sanciti, rispettivamente, dagli artt. 1 e 2 del Testo unico in materia di istruzione[40], e peraltro direttamente discendente dal dettato costituzionale.

Il successivo comma stabilisce che, nell’ambito delle attività di promozione culturale, sociale e civile previste dall’ordinamento scolastico vigente, gli alunni e i genitori possano chiedere agli organi competenti di svolgere “libere attività complementari” attinenti al fenomeno religioso, con l’esclusione di oneri aggiuntivi a carico delle amministrazioni interessate.

 

L’articolo sembra pertanto introdurre una specifica finalizzazione, attivabile su istanza degli alunni o dei loro genitori, tra le attività didattiche e educative che ogni istituzione scolastica, nell’ambito della propria autonomia (oggi regolata dal D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275[41], attuativo dell’art. 21 della L. 59/1997[42]) può inserire nel piano dell’offerta formativa (cfr. art. 3 del citato D.P.R. 275/1999) inquadrandola, è da ritenere, tra le iniziative volte all’ampliamento dell’offerta formativa (art. 9 del D.P.R.). Come per altre norme del disegno di legge, si tratta di una previsione che potrebbe ricomprendersi, in via interpretativa, fra quelle già contemplate dalla normativa in vigore.

 

L’inciso “senza oneri aggiuntivi a carico delle amministrazioni interessate” sembra escludere che tali attività possano gravare sui bilanci delle istituzioni scolastiche (ipotizzandosi dunque l’apporto finanziario degli alunni richiedenti, delle loro famiglie o di altra fonte esterna); appare opportuno valutare se e in che misura tale disposizione possa limitare l’autonomia finanziaria delle istituzioni scolastiche, sancita dall’art. 21, co. 5, della L. 59/1997.

 

Ai sensi del co. 5 dell’art. 21 citato, la dotazione finanziaria è attribuita alle istituzioni scolastiche “senza altro vincolo di destinazione che quello dell'utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie di ciascuna tipologia e di ciascun indirizzo di scuola”. La disposizione è riprodotta all’art. 1 del regolamento sulla gestione amministrativo-contabile delle scuole[43].

Confessioni e associazioni religiose (capo II)

Libertà delle confessioni religiose

L’articolo 15 enuncia i diritti che competono a tutte le confessioni religiose in attuazione dell’art. 8, primo comma, Cost., che riconosce eguale libertà a tutte le confessioni senza richiedere per ciascuna di esse alcun requisito formale o sostanziale.

Tra i diritti riconosciuti, quelli di celebrare i propri riti (purchè non contrari al buon costume: cfr. art. 19 Cost.), di aprire edifici di culto, di diffondere la propria fede o credenza, di nominare i propri ministri, di emanare atti in materia spirituale, di assistere i propri fedeli; di corrispondere liberamente con proprie organizzazioni o con altre confessioni, di promuovere la valorizzazione delle proprie espressioni culturali.

Riconoscimento della personalità giuridica

Gli articoli da 16 a 20 disciplinano l’iter procedurale finalizzato al riconoscimento civile della personalità giuridica delle confessioni religiose: ai sensi di tale disciplina normativa, le confessioni “prive di intesa” possono dunque richiedere, direttamente o per il tramite di un proprio ente esponenziale, il riconoscimento della personalità giuridica.

 

La disciplina generale del riconoscimento di persone giuridiche private, essenzialmente contenuta nel codice civile e nelle relative disposizioni di attuazione, è stata delegificata ad opera del D.P.R. 361/2000[44], ai sensi del quale “le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture” (art. 1, co. 1). È peraltro fatta salva (art. 9) la disciplina degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti in base alla legge 20 maggio 1985, n. 222, e degli enti civilmente riconosciuti in base alle leggi di approvazione di intese con le confessioni religiose ai sensi dell'art. 8, terzo comma, Cost. (per i quali è comunque prevista l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche), nonché le altre norme speciali derogatorie rispetto alla disciplina generale delle persone giuridiche.

La legislazione vigente sui c.d. culti ammessi, recata dalla citata L. 1159/1929 (art. 2) stabilisce che: “Gli istituti di culti diversi dalla religione dello Stato possono essere eretti in ente morale, con regio decreto su proposta del Ministro per la giustizia e gli affari di culto, di concerto col Ministro per l'interno, uditi il Consiglio di Stato e il Consiglio dei ministri”. Per quanto riguarda gli enti cattolici, l’art. 1 della L. 20 maggio 1985, n. 222, prevede che: “Gli enti costituiti o approvati dall'autorità ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato[45]”.

 

Quanto ai modi di acquisto della personalità giuridica, si può preliminarmente osservare che la normativa proposta (articolo 16) si richiama alla procedura in passato adottata per il riconoscimento di tutti i nuovi enti, cattolici e non cattolici, a carattere unitario e su base nazionale: decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato e su proposta e previa istruttoria del ministro dell’interno.

Occorre segnalare, a tale proposito, che la L. 13/1991[46], nell’elencare tassativamente gli atti di competenza del Presidente della Repubblica, non vi ha espressamente ricompreso il riconoscimento della personalità giuridica. Essa, tuttavia, prevede che siano adottati con D.P.R. tutti gli atti per i quali sia intervenuta la deliberazione del Consiglio dei ministri (art. 1, co. 1, lett. ii)).

La disposizione in esame, ove richiede il riconoscimento con D.P.R. senza prevedere la deliberazione del Consiglio dei ministri, non appare conforme al disposto del citato art. 1 della L. 13/1991 il quale – come detta al comma 2 il medesimo articolo[47] – non può essere modificato se non espressamente.

Quanto al parere del Consiglio di Stato, si ricorda che la materia è stata riordinata ad opera della legge 127/1997[48], con l’intento di operare una sensibile riduzione dell’attività consultiva obbligatoria del Consiglio di Stato.

 

L’art. 17, co. 25 e ss., della L. 127/1997 ha dettato una disciplina generale dei pareri che devono essere resi in via obbligatoria dall’organo, stabilendo che essi occorrono:

§         per l'emanazione degli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, ai sensi dell’art. 17 della L. 400/1988;

§         per l'emanazione di testi unici;

§         per la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;

§         sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.

Il co. 28 ha istituito un’apposita sezione consultiva del Consiglio di Stato per l’esame degli schemi di atti normativi che, oltre ai casi di pareri obbligatori testé indicati, esamina anche gli schemi di atti normativi per i quali il parere del Consiglio di Stato sia comunque richiesto dall'amministrazione, nonché gli schemi di atti normativi dell'Unione europea, se il parere è richiesto dal Presidente del Consiglio dei ministri (pareri facoltativi).

Ai sensi del co. 26 dello stesso articolo è abrogata ogni diversa disposizione di legge che preveda il parere del Consiglio di Stato in via obbligatoria.

Evidente è dunque l’obiettivo del legislatore del 1997: eliminare tutti i pareri obbligatori del Consiglio di Stato, con le sole eccezioni degli atti normativi o degli atti amministrativi generali (oltre che del parere richiesto in caso di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica). Devono pertanto ritenersi abrogate anche le previsioni della L. 1159/1929 (vedi sopra) e della L. 222/1985, nella parte in cui prevedono il parere del Consiglio di Stato, rispettivamente, per i culti non cattolici e per gli enti cattolici.

 

In sostanza, la previsione dei p.d.l. in esame avrebbe l’effetto – in controtendenza rispetto alla L. 127/1997 – di ripristinare il parere del Consiglio di Stato in procedimenti amministrativi destinati a produrre un provvedimento di natura puntuale, quale quello di riconoscimento della personalità giuridica delle confessioni religiose (o degli enti rappresentativi). La reintroduzione del parere obbligatorio del Consiglio di Stato appare riconducibile – come può dedursi dal tenore del successivo art. 18 (v. infra) – all’esigenza di verificare sia la compatibilità dello statuto della confessione religiosa con l’ordinamento giuridico, sia la stessa natura confessionale dell’associazione che chiede il riconoscimento, in considerazione del fatto che l’ordinamento giuridico non definisce cosa sia una confessione religiosa.

Si segnala comunque l’opportunità di operare un coordinamento tra la disciplina in esame e quella generale di cui alla L. 127/1997.

L’articolo 17 dispone che l’istanza di riconoscimento sia corredata dello statuto e di una documentazione (i cui contenuti sono definiti dall’articolo 18) in cui risultino – oltre all’indicazione della denominazione e della sede – le norme di organizzazione, amministrazione e di funzionamento nonchè “ogni elemento utile alla valutazione della stabilità e della base patrimoniale di cui dispone la confessione o l’ente esponenziale in relazione alle finalità perseguite”.

L’art. 17, al comma 2, pone inoltre, quali condizioni per la presentazione dell’istanza, che la sede del soggetto sia in Italia e che esso sia rappresentato da un cittadino italiano avente domicilio in Italia.

Il comma 2 a tale proposito prevede – con una locuzione che, invero, appare di non immediata interpretazione – che il cittadino italiano abbia la rappresentanza dell’ente sia giuridica, sia “di fatto”.

Particolare rilievo presenta la seconda parte dell’articolo 18, ove – circoscrivendosi l’ambito di discrezionalità nella valutazione degli organi amministrativi – si dispone che il parere del Consiglio di Stato verta principalmente:

§         sulla natura confessionale del soggetto richiedente;

§         sulla conformità dello statuto all’ordinamento giuridico italiano;

§         sull’assenza, nello statuto medesimo, di disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell’uomo.

Gli adempimenti successivi al riconoscimento della personalità giuridica riflettono, in linea generale, la normativa derivante dalle intese con le confessioni religiose ex art. 8 Cost.: l’articolo 19 prescrive che la confessione riconosciuta si iscriva nel registro delle persone giuridiche (come già previsto per gli enti delle confessioni pentecostale, avventista, ebraica, battista e luterana), con la specificazione delle norme di funzionamento e dei poteri degli organi rappresentativi dell’ente.

La mancata iscrizione comporta per la confessione o l’ente la preclusione dell’attività negoziale.

L’articolo 20 prevede che le modificazioni dello statuto della confessione o dell’ente esponenziale riconosciuti siano comunicate al ministro dell’interno.

Qualora intervenga un mutamento che implichi la perdita di uno dei requisiti prescritti per il riconoscimento, quest’ultimo è revocato  con le stesse modalità procedurali precedentemente richiamate.

L’articolo 23, al fine di dare esplicita attuazione all’art. 20 Cost. (che vieta trattamenti speciali restrittivi nei confronti di associazioni ed istituzioni aventi “carattere ecclesiastico” e “fine di religione o di culto”), prevede che associazioni e fondazioni con finalità di religione e di culto (diverse, com’è ovvio, dalle confessioni religiose in sé e dai loro enti esponenziali) possano ottenere il riconoscimento della personalità giuridica secondo le norme del diritto comune: tale rinvio non opera, secondo quanto specificato dall’articolo in esame, per le attività di religione o di culto.

Acquisti delle confessioni religiose; edilizia di culto; sepoltura dei defunti

L’articolo 21 rinvia per gli acquisti delle confessioni religiose o dei loro enti esponenziali alle leggi civili concernenti gli acquisti delle persone giuridiche: sul punto si ricorda che l’art. 13 della L. 127/1997 ha abrogato l’art. 17 c.c. che prevedeva l’autorizzazione prefettizia per l’acquisto di beni immobili e l’accettazione di lasciti e donazioni da parte di persone giuridiche.

L’articolo 22 estende, al comma 1, l’applicabilità alle confessioni religiose che hanno acquisito la personalità giuridica, delle norme sulla concessione e locazione degli immobili demaniali e patrimoniali dello Stato e degli enti locali vigenti per gli enti ecclesiastici, nonché di quelle che regolano l’utilizzo di fondi per gli interventi di costruzione, restauro e conservazione di edifici aperti al culto. L’estensione è peraltro limitata alle confessioni aventi personalità giuridica che abbiano una presenza organizzata nell’ambito del relativo comune. Inoltre, l’applicazione di tali disposizioni è definita sulla base di intese stipulate con le autorità competenti, tenuto conto delle esigenze religiose della popolazione.

 

Si ricorda che la disciplina relativa alla concessione dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato agli enti ecclesiastici è recata dal D.P.R. 296/2005[49] (artt. 23-28). Le norme ivi previste sono applicabili agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano regolati in base ad intese, ai sensi dell’art. 8 Cost..

 

Il comma 2 dell’art. 22 reca disposizioni sulla sepoltura dei defunti, che è effettuata secondo il rito della confessione di appartenenza, se avente personalità giuridica, compatibilmente con le norme di polizia mortuaria. È esplicitamente fatto salvo l’art. 100 del regolamento di polizia mortuaria[50], ai sensi del quale (co. 1) i piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico.

Il comma 3 dispone che gli edifici di culto costruiti con contributi regionali o comunali non possono essere sottratti alla propria destinazione se non dopo venti anni dalla erogazione del contributo.

Regime tributario; attività delle confessioni religiose

L’articolo 24 dispone direttamente l’equiparazione, sotto il profilo tributario, delle confessioni religiose aventi personalità giuridica (o dei loro enti esponenziali) aventi fine di religione, credenza o culto, nonchè delle attività dirette a tali scopi, agli enti ed alle attività aventi finalità di beneficenza o di istruzione.

Quanto alle altre attività svolte, diverse da quelle di religione, credenza o culto, si stabilisce che resta valido il regime vigente, ivi compreso quello tributario.

L’articolo 25 opera una distinzione tra le attività di religione, credenza e di culto e le altre attività: riprendendo una ripartizione già invalsa nella legislazione ecclesiastica (art. 16 della L. 222/1985), agli effetti civili, sono ricomprese nella prima categoria le attività “dirette all’esercizio del culto e dei riti, alla cura delle anime, alla formazione dei ministri di culto, a scopi missionari e di diffusione della propria fede ed all’educazione religiosa”. Rientrano nella sfera delle altre attività, quelle di “assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”.

La disciplina del finanziamento delle chiese in Italia

La disciplina del finanziamento delle chiese in Italia si fonda sui seguenti principi:

§         destinazione di una quota pari all’8 per mille dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) ad una confessione religiosa effettuata all’atto della presentazione annuale dei redditi;

§         possibilità da parte dei singoli cittadini di effettuare donazioni liberali in denaro a favore delle confessioni religiose aventi personalità giuridica. Tali donazioni sono deducibili dal reddito ai fini IRPEF fino all’importo di 1.032,91 euro;

§         agevolazioni fiscali previste per le confessioni religiose che sono riconosciute come organizzazioni non a scopo di lucro (ONLUS).

Destinazione dell’8 per mille dell’IRPEF

L'art. 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222, recante “Disposizioni sugli enti ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”, ha stabilito che a decorrere dal 1990 una quota pari all'8 per mille del gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, venga destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica: la scelta relativa all'effettiva destinazione viene effettuata dai contribuenti all'atto della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi. Se il contribuente non opera una scelta la quota dell’8 per mille viene ripartita proporzionalmente tra Stato e Chiesa in base alle scelte effettuate dagli altri contribuenti (art. 47, terzo comma).

Relativamente all'impiego dei fondi disponibili, il successivo art. 48 prevede che tali quote vengano utilizzate:

§         dallo Stato, per interventi straordinari per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei beni culturali;

§         dalla Chiesa cattolica, per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di Paesi del terzo mondo.

Successivamente, tale finanziamento è stato esteso anche ad alcune delle confessioni religiose non cattoliche che hanno stipulato intese con lo Stato italiano ai sensi dell’art. 8 della Costituzione. Si tratta in particolare delle seguenti confessioni:

§         Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (L. 22 novembre 1988, n. 516);

§         Assemblee di Dio in Italia (L. 22 novembre 1988, n. 516);

§         Chiesa evangelica valdese (L. 5 ottobre 1993, n. 409, “Integrazione dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione”);

§         Chiesa Evangelica Luterana in Italia - CELI (L. 29 dicembre 1995, n. 520);

§         Unione delle Comunità ebraiche italiane (L. 20 dicembre 1996, n. 638).

Donazioni liberali

Attualmente, la disciplina delle erogazioni liberali prevede casi sia di deducibilità sia di detraibilità.

Sotto il primo profilo, va segnalato che all’art. 10, co. 1, lett. i) ed l), del TUIR (Testo unico sull’imposta dei redditi, approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), si prevede la deducibilità delle erogazioni liberali in denaro – fino ad un massimo di 1.032,91 euro – a favore dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana, nonché delle erogazioni liberali a favore di alcune confessioni religiose che hanno stipulato intese con lo Stato italiano (Avventisti, Assemblee di Dio, Tavola valdese).

Riguardo ai casi di detraibilità, il TUIR prevede il diritto di detrarre dall'imposta lorda nella misura del 19%, sia per la generalità dei contribuenti (art. 15) sia specificamente per gli enti non commerciali (art. 147 del TUIR), le erogazioni liberali in denaro tra cui le erogazioni liberali in denaro a favore delle organizzazioni non profit (organizzazioni non lucrative di utilità sociale – ONLUS), per importo non superiore a 2.065,83 euro (art. 15, co. 1, lett. i-bis) o non superiori a 2.065,83 euro o al 2% del reddito d'impresa dichiarato da parte degli imprenditori (art. 100, comma 1, lett. h).

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 14 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, ha esteso alla totalità dei contribuenti la possibilità di dedurre dal reddito le erogazioni liberali, effettuate in favore delle ONLUS e di altri soggetti espressamente indicati. La deduzione riconosciuta è ammessa nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato e, comunque, nella misura massima complessiva di 70.000 euro annui.

Agevolazioni fiscali

Per quanto concerne in particolare il regime fiscale, si segnala che il D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 ha provveduto al riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle ONLUS. In particolare, ai sensi dell’articolo 10 del decreto, sono ONLUS le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e altri enti di carattere privato, il cui statuto o atto costitutivo preveda, tra l’altro, lo svolgimento di determinate attività (fra le quali rientrano anche quelle di beneficenza ed istruzione) e l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale.

Si ricorda peraltro che in base al comma 9 dell’articolo 10 del D. Lgs. n. 460 del 1997 gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese sono considerati ONLUS limitatamente all'esercizio delle attività elencate alla lettera a) del comma 1 (tra le quali rientrano le attività aventi fine di beneficenza o di istruzione).

Se rispondono ai requisiti indicati, tali enti, in quanto ONLUS, possono usufruire di alcune agevolazioni fiscali, tra le quali si ricordano le seguenti:

§         ai sensi dell’articolo 12 del D. Lgs. n. 460, per le ONLUS lo svolgimento di attività istituzionali non costituisce esercizio di attività commerciale;

§         ai sensi dell’articolo 13, si consente la detrazione delle erogazioni liberali effettuate a favore delle medesime ONLUS fino all’importo di 2.065,83 euro (vedi paragrafo precedente);

§         ai sensi degli articoli 14 e 15, riguardanti disposizioni agevolative relative all’IVA, alcune operazioni riguardanti le ONLUS sono ricomprese tra le operazioni esenti, e si esentano le ONLUS dall’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale;

§         ai sensi dell’articolo 16, si esentano le ONLUS dalla ritenuta che deve essere versata all’Erario a titolo d’acconto sui contributi corrisposti dagli enti pubblici, di cui all’articolo 28 del D.P.R. 600/1973;

§         inoltre, si esentano le ONLUS da una serie di imposte indirette, quali l’imposta di bollo, le tasse sulle concessioni governative, oltre a prevedere ulteriori facilitazioni in materia di imposta sugli spettacoli e imposta di registro.

Fondi pubblici per il finanziamento delle attività svolte dalle chiese

Per quanto riguarda il finanziamento pubblico assegnabile per le attività svolte dalle chiese, come i restauri, si segnala il fondo edifici di culto istituito dalla legge 222 del 1985, con lo scopo di provvedere alla conservazione ed al restauro degli edifici di culto di proprietà statale. L’amministrazione del fondo è affidata al Ministero dell’interno che la esercita a mezzo della direzione generale degli affari dei culti e, nell’ambito provinciale, tramite i prefetti. Il bilancio del fondo è allegato allo stato di previsione del Ministero dell’interno, nell’ambito del bilancio dello Stato.

Non risultano altri fondi pubblici destinati esclusivamente alle funzioni svolte dalle chiese: le chiese e gli altri edifici di culto possono usufruire dei finanziamenti destinati ai restauri nell’ambito degli stanziamenti per i beni culturali non statali. Va ricordato, inoltre, che finanziamenti pubblici finalizzati a specifiche finalità (interventi per calamità naturali, contributi per grandi eventi come il Giubileo) prevedono la destinazione di fondi anche per il restauro e il recupero di edifici di culto.

Disposizioni previdenziali

L’articolo 26 sembra avere natura esclusivamente ricognitiva, limitandosi a prevedere l’applicazione dell’art. 42, co. 6, della L. 488/1999[51] (vale a dire l’obbligo di iscrizione al “Fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica”) ai ministri di culto delle confessioni religiose che abbiano ottenuto la personalità giuridica, a condizione che essi risiedano in Italia.

 

La legge 903/1973[52], ha istituito presso l’INPS il “Fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica”, unificando i due separati fondi già istituiti, rispettivamente con la legge 5 luglio 1961, n. 579, e con la legge 5 luglio 1961, n. 580, per i sacerdoti della religione cattolica e per i ministri di culto delle altre confessioni religiose.

Il Fondo, che l’art. 42 della L. 488/1999 ha ridisciplinato per più aspetti, ha lo scopo di concedere una pensione diretta all’iscritto che abbia i prescritti requisiti di età e contributivi o sia divenuto permanentemente invalido ed una pensione indiretta o di reversibilità ai superstiti dell’iscritto; l’art. 5 della L. 903/1973 stabilisce che sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione al Fondo tutti i sacerdoti secolari, nonchè tutti i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica aventi cittadinanza italiana, residenti in Italia, dal momento della loro ordinazione sacerdotale o dall’inizio del ministero di culto in Italia fino alla data di decorrenza della pensione di vecchiaia ovvero della pensione di invalidità; disposizioni particolari sono dettate per i funzionari di culto delle comunità ebraiche. Il Fondo è alimentato da un contributo annuo degli iscritti e da un contributo dello Stato.

In particolare, il co. 6 del citato art. 42 della L. 488/1999 ha esteso, dal 1° gennaio 2000, l'obbligo di iscrizione al Fondo ai sacerdoti e ai ministri di culto non aventi cittadinanza italiana e presenti in Italia al servizio di diocesi italiane e delle Chiese o enti acattolici riconosciuti, nonché ai sacerdoti e ai ministri di culto aventi cittadinanza italiana, operanti all'estero al servizio di diocesi italiane e delle Chiese o enti acattolici riconosciuti.

Stipulazione di intese (capo III)

Il Capo III (articoli da 27 a 36) dei progetti di legge in esame prevede una disciplina del procedimento per la stipulazione delle intese tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica.

Il procedimento proposto per la stipulazione delle intese ricalca sostanzialmente quello che si è andato affermando nella prassi (vedi la scheda sul quadro normativo vigente) e si può suddividere in tre fasi:

§         la fase preliminare, relativa alle modalità di presentazione della istanza da parte della confessione religiosa (artt. 27-29);

§         la fase di formazione dell’intesa, fino alla firma della stessa (artt. 30-34);

§         la fase finale, di perfezionamento dell’intesa con la ratifica parlamentare (art. 35).

Per quanto riguarda la fase preliminare, il testo in esame consente la presentazione dell’istanza per la stipulazione dell’intesa, sia alle confessioni religiose aventi personalità giuridica sia a quelle che non abbiano avuto tale riconoscimento. Si tratta di una innovazione rispetto al procedimento utilizzato nella prassi, in cui non si procede nemmeno all’esame dell’istanza nel caso di presentazione da parte di confessione non avente personalità giuridica.

Come unica condizione per la presentazione dell’istanza si richiede che la confessione sia dotata di un proprio statuto e che questo non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico (art. 27). La richiesta, da presentare al Presidente del Consiglio, deve essere accompagnata dalla documentazione, compreso lo statuto, da cui risulti l’organizzazione della confessione. Si tratta della stessa documentazione richiesta per il riconoscimento della personalità giuridica alle confessioni prive di intesa, ai sensi dell’articolo 18 dei provvedimenti in esame, cui si rinvia.

Nel caso delle istanze presentate dalle confessioni non aventi personalità giuridica, l’avvio della procedura è subordinata alla verifica che lo statuto della confessione religiosa non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico. La verifica è effettuata dal Ministero dell’interno, su richiesta del Presidente del Consiglio, e previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato (art. 28).

Infine, prima di procedere all’inizio delle trattative per la definizione dell’intesa, il Presidente del Consiglio procede ad una specie di preistruttoria (“acquisite le necessarie valutazioni”), ed invita formalmente la confessione interessata a indicare i propri rappresentanti, responsabili delle trattative (art. 29).

Una volta compiute le formalità sopra brevemente descritte, prende avvio il procedimento vero e proprio di formazione dell’intesa. Le trattative sono condotte, da parte della confessione religiosa, da propri rappresentanti indicati ai sensi dell’art. 29, e da parte del Governo, da un sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, delegato dal Presidente del Consiglio. La base della trattativa è costituita dalle proposte formulate da una Commissione di studio ad hoc (vedi infra). Al termine delle trattative si giunge ad un progetto di intesa che il Sottosegretario di Stato trasmette al Presidente del Consiglio accompagnato da una propria relazione (art. 30).

La commissione di studio con il compito di elaborare il progetto per le trattative è disciplinata dal successivo art. 31.

Si tratta di una commissione che rientra tra i gruppi di studio o di lavoro misti, ossia formati da rappresentanti della pubblica amministrazione e da esperti esterni, che il Presidente del Consiglio può istituire ai sensi della L. 400/1988, art. 5, co. 2, lett. i). La commissione, istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è composta dal direttore della Direzione centrale degli affari dei culti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’interno e da rappresentanti delle amministrazioni interessate con incarico di dirigente generale o equiparato. La confessione religiosa interessata designa propri esperti (scelti tra cittadini italiani) in numero pari a quello dei funzionari pubblici.

Il Presidente del Consiglio sceglie il presidente della commissione tra le categorie indicate dall’articolo 29, comma 2, della L. 400 del 1988: magistrati, docenti universitari, avvocati dello Stato, dirigenti e altri dipendenti delle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici, anche economici, delle aziende a prevalente partecipazione pubblica, ed esperti esterni all'amministrazione dello Stato.

In ogni caso l’istituzione e il funzionamento della commissione non deve comportare nuovi oneri per il bilancio dello Stato.

 

Attualmente il compito di predisporre le bozze di intesa è svolto dalla Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita la prima volta nel 1985. La commissione attualmente in carica è stata istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 1997 e riconfermata dal Governo in carica nella XIV legislatura; essa è presieduta dal prof. Franco Pizzetti ed è composta da rappresentanti dei Ministeri interessati: interno, giustizia, tesoro, finanze (ora accorpati nel Ministero dell’economia e delle finanze), difesa, pubblica istruzione, università e ricerca, beni e attività culturali, sanità (ora salute).La Commissione, su indicazione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle Confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta.

 

Oltre alla commissione interministeriale, nella procedura vigente per la stipulazione di intese, interviene, con compiti consultivi, un altro organismo: la Commissione per la libertà religiosa, che il testo in esamenon prende in considerazione.

 

La Commissione consultiva per la libertà religiosa è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 marzo 1997, il quale le attribuisce funzioni di studio, informazione e proposta per tutte le questioni attinenti all’attuazione dei principi della Costituzione e delle leggi in materia di libertà di coscienza, di religione o credenza. La Commissione procede alla ricognizione e all’esame dei problemi relativi alla preparazione di intese con le Confessioni religiose, elaborando orientamenti di massima in vista della loro stipulazione. Essa si esprime, altresì, su questioni attinenti alle relazioni tra Stato e confessioni religiose in Italia e nell’Unione europea che le vengono sottoposte dal Presidente del Consiglio dei ministri e segnala, a sua volta, problemi che emergono in sede di applicazione della normativa vigente in materia, anche di derivazione internazionale.

La Commissione, presieduta dal prof. Francesco Margiotta Broglio, è stata rinnovata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 2002; il suo mandato scadrà nel marzo 2007.

 

Il progetto di intesa concordato tra il Presidente del Consiglio e la confessione religiosa viene sottoposto, prima della firma definitiva, ad un duplice controllo: del Consiglio dei ministri e del Parlamento (art. 32).

Nel primo caso, il Presidente del Consiglio sottopone il progetto di intesa al Consiglio che è chiamato a deliberare in proposito. Nel secondo caso, il Parlamento è semplicemente informato dal Presidente del Consiglio sui princìpi e contenuti dell’intesa.

Qualora nell’(eventuale) esame parlamentare o in seno al Consiglio dei ministri emergano osservazioni ed indirizzi di portata tale da rendere necessaria la modifica dell’intesa, il testo viene rimesso al Sottosegretario di Stato che riprende le trattative con le stesse procedure sopra viste (art. 33).

Infine, il procedimento si conclude con la firma dell’intesa da parte del Presidente del consiglio e il rappresentante della confessione religiosa (art. 34).

L’ultima fase consiste nella presentazione al Parlamento da parte del Governo del disegno di legge di approvazione dell’intesa (art. 35).

 

L’ambito di intervento del Parlamento è limitato alla possibilità di approvare o respingere il disegno di legge di recepimento dell’intesa, dal momento si è affermata la prassi di restringere l’emendabilità del testo esclusivamente a modifiche di carattere formale (si veda in proposito il paragrafo relativo alla legge di approvazione nella parte sul quadro normativo vigente).

In questo senso, è particolarmente innovativa la disposizione introdotta dagli articoli 32 e 33 del testo in esame, laddove si prevede che il progetto di intesa sia sottoposto all’esame delle Camere e che il Governo deve tener conto delle osservazioni emerse in quella sede. Si introduce, pertanto, una specie di “parlamentarizzazione” del procedimento di formazione delle intese: il coinvolgimento preventivo delle Camere compensa la scarsa possibilità di incidere sul disegno di legge di approvazione.

 

Conclude il capo III in esame, l’articolo 36, relativo ad una materia estranea alla stipulazione delle intese.

Si tratta, infatti, della questione della applicazione di disposizioni di legge relative a specifiche materie che riguardino i rapporti tra lo Stato e singole confessioni religiose che hanno personalità giuridica[53]. In questi casi si provvede con decreto del Presidente della Repubblica su richiesta della confessione e previa intesa (da intendersi nel senso di “concertazione”) con essa.

 

Si tratta di una procedura già utilizzata soprattutto nella normativa in vigore in materia di previdenza, come ad esempio la legge istitutiva del Fondo di previdenza dei ministri di culto (sul quale, vedi supra). Il fondo, istituito presso l’INPS, eroga le pensioni per i sacerdoti cattolici e i ministri di culto delle confessioni non cattoliche, che sono tenuti ad iscriversi e a contribuire al fondo medesimo. La legge 903/1973 disciplina dettagliatamente la tenuta del fondo e le modalità di contribuzione, ma demanda la concreta applicazione della legge nei confronti delle confessioni acattoliche alla concertazione tra Governo e singole confessioni. I risultati della concertazione sono recepiti da decreti del Ministro dell’interno (art. 5 della L. 903/1973), a differenza del testo in esame che prevede l’emanazione di decreti del Presidente della Repubblica).

Disposizioni finali e transitorie (capo IV)

L’articolo 37 prevede che le confessioni religiose e gli istituti di culto riconosciuti ai sensi della normativa del 1929 conservino la personalità giuridica; essi sono tenuti, tuttavia, a richiedere l’iscrizione al registro delle persone giuridiche entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge.

La norma transitoria di cui all’articolo 38, in relazione alle nuove modalità di riconoscimento dei ministri di culto contenute nell’art. 10 (vedi supra), salvaguarda il regime giuridico e previdenziale spettante ai ministri di culto la cui nomina sia stata approvata ai sensi dell’art. 3 della L. 1159/1929; la disposizione opera sino a quando i soggetti interessati mantengano la qualifica loro riconosciuta.

L’articolo 39 precisa che alle confessioni religiose che siano persone giuridiche straniere si applicano le norme di cui all’art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale: le persone giuridiche straniere godono pertanto degli stessi diritti delle persone giuridiche italiane a condizione che abbiano soggettività giuridica riconosciuta all’estero e che sussista un regime di reciprocità nello Stato di appartenenza.

Occorre peraltro richiamare il disposto dell’art. 31 disp. legge gen., in base al quale l’atto di riconoscimento effettuato dallo Stato straniero non deve essere in contrasto con l’ordine pubblico o il buon costume.

E’ comunque prevista la facoltà, per le confessioni che abbiano una “presenza sociale organizzata”, di presentare domanda di riconoscimento della personalità giuridica ai sensi della normativa in esame, abbandonando, pertanto, la qualificazione di persone giuridiche straniere di “diritto comune”.

Gli articoli 40 e 41 dispongono l’abrogazione della L. 1159/1929 e del relativo regolamento di attuazione (R.D. 289/1930) delimitando l’applicazione della normativa contenuta nel testo in esame e mantenendo in vigore le disposizioni di origine negoziale emanate in attuazione di accordi e Intese già stipulate ai sensi degli artt. 7 e 8 Cost. e quelle di attuazione di disposizioni di diritto internazionale, come il già citato D.L. 26 aprile 1993, n. 122 (convertito con modificazioni dalla L. 25 giugno 1993, n. 205), recante Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa.

 

 


Progetti di legge

 


N. 36

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa del deputato BOATO

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Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi

 

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Presentata il 28 aprile 2006

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Onorevoli Colleghi! - Nella XIV legislatura non è stato possibile giungere ad approvare le nuove norme sulla libertà religiosa il cui testo nella XIII legislatura era stato elaborato in modo ampio e condiviso. L'iniziativa del Governo Prodi, di cui era stato relatore l'onorevole Maselli, che a quell'importante obiettivo era giunto consapevole delle profonde lacune e contraddizioni della legislazione vigente, è stata riproposta dall'onorevole Valdo Spini nella scorsa legislatura, con la presentazione di una proposta di legge (atto Camera n. 1576), che riproduceva il contenuto del disegno di legge presentato dal Governo Prodi il 3 luglio 1997. Questa proposta di legge riprende quel lavoro e allo stesso tempo fa riferimento all'approfondito dibattito che nelle ultime due legislature ha avuto luogo nella Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati.

      Nella XIV legislatura anche il Governo Berlusconi ha presentato un disegno di legge, nel merito ampiamente condivisibile, il cui iter è stato reso difficile per l'ostruzionismo posto in essere da una componente della maggioranza di centro-destra e la cui discussione in Assemblea è stata possibile solo grazie all'impegno delle opposizioni. Una pagina paradossale, che ha impedito un esito positivo di un provvedimento volto, in attuazione della nostra Costituzione, a garantire alcuni dei princìpi fondamentali della dignità della persona.

      Attuare la Costituzione. Tanto più importante in questa fase storica e geo-politica in cui a ciò che dovrebbe essere proprio di uno Stato costituzionale e di diritto, ovvero l'attuazione di diritti fondamentali, sono contrapposte in forme ideologiche questioni che richiederebbero ben altra riflessione. Fra queste - giacché anche nella XIV legislatura essa è stata

 

posta a ostacolo di una possibile convergenza fra l'allora maggioranza e le opposizioni - la questione della cosiddetta «reciprocità». Problema reale, giacché laicamente occorre operare affinché la libertà religiosa sia rispettata in tutto il mondo, ma che non può costituire un vincolo per dare attuazione, nel nostro Paese, ai nostri princìpi costituzionali. La nostra coscienza, il nostro ordinamento costituzionale e i patti internazionali liberamente sottoscritti sono i riferimenti di un confronto parlamentare che in questa legislatura deve necessariamente giungere a un esito positivo.

      La presente proposta di legge si articola in 4 capi: libertà di coscienza e di religione (capo I, articoli 1-14); confessioni e associazioni religiose (capo II, articoli 15-26); stipulazioni di intese (capo III, articoli 27-36); disposizioni finali e transitorie (capo IV, articoli 37-41, con la previsione, in particolare, all'articolo 41, dell'abrogazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, e del regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289).

      Essenziali, nel capo I, sono il riconoscimento della libertà di coscienza e di religione «quale diritto fondamentale della persona» (articolo 1), la tutela del diritto di professare la propria libertà religiosa «in qualsiasi forma individuale o associata» (articolo 2), il divieto assoluto di ogni forma di discriminazione «in ragione della propria religione o credenza» (articolo 3), i diritti dei genitori nell'educazione dei figli e nel contempo l'autonomia delle scelte del minore oltre i quattordici anni di età (articolo 4), la tutela dei diritti di riunione e di associazione anche per finalità di religione o di culto in conformità con gli articoli 17 e 18, primo comma, della Costituzione (articolo 5), il diritto di libera adesione a una confessione o associazione religiosa come espressione del diritto alla libertà religiosa (articolo 6), il diritto dei cittadini di operare «secondo i dettami imprescindibili della propria coscienza», nel rispetto della Costituzione (articolo 7).

       Gli articoli 8 e 9 disciplinano e tutelano l'esercizio della libertà religiosa nei casi di appartenenza alle Forze armate o di polizia e nei casi di degenza in ospedale e di detenzione; si prevede, inoltre, «il divieto di licenziamento determinato da ragioni di fede religiosa nei luoghi di lavoro» e «di indagine sulle opinioni religiose».

      All'articolo 10 è tutelata la libertà del ministero spirituale dei ministri di culto. All'articolo 11 la libertà religiosa è coniugata con i diritti e con i doveri relativi al matrimonio e alle disposizioni civili che lo regolano. All'articolo 12 si afferma che «l'insegnamento è impartito nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione» e si riconosce il ruolo di alunni e di genitori in ambiti e con responsabilità essenziali nel processo educativo.

      La libertà di pubblicazione e di affissione (articolo 13) e la tutela degli edifici di culto delle confessioni aventi personalità giuridica (articolo 14) concludono il capo I.

      Con il capo II si stabiliscono i criteri e si regolano le procedure previste per la domanda di riconoscimento di una confessione religiosa o dell'ente esponenziale che la rappresenta come persona giuridica agli effetti civili, per la definizione e le modifiche dello statuto adottato, prevedendo tra l'altro l'obbligo, per «la confessione religiosa o l'ente esponenziale che ha ottenuto la personalità giuridica» di «iscriversi nel registro delle persone giuridiche» (articolo 19). All'articolo 23, in particolare, si afferma che «associazioni e fondazioni con finalità di religione o di culto possono ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con le modalità ed i requisiti previsti dalla normativa vigente in materia».

      Al capo III si afferma, tra l'altro, che «Le confessioni religiose organizzate secondo propri statuti non contrastanti con l'ordinamento giuridico italiano, le quali chiedono che i loro rapporti con lo Stato siano regolati per legge sulla base di intese ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, presentano la relativa istanza» (...) al Presidente del Consiglio dei ministri (articolo 27) e, nei successivi articoli, si definiscono i requisiti conseguenti.


 

 


 


proposta di legge

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Capo I

LIBERTÀ DI COSCIENZA E DI RELIGIONE

 

Art. 1.

      1. La libertà di coscienza e di religione, quale diritto fondamentale della persona, è garantita a tutti in conformità alla Costituzione, alle convenzioni internazionali sui diritti inviolabili dell'uomo e ai princìpi del diritto internazionale generalmente riconosciuti in materia.

 

Art. 2.

      1. La libertà di coscienza e di religione comprende il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa o credenza, in qualsiasi forma individuale o associata, di diffonderla e farne propaganda, di osservare i riti e di esercitare il culto in privato o in pubblico. Comprende inoltre il diritto di mutare religione o credenza o di non averne alcuna. Non possono essere disposte limitazioni alla libertà di coscienza e di religione diverse da quelle previste dagli articoli 19 e 20 della Costituzione.

 

Art. 3.

      1. Nessuno può essere discriminato o soggetto a costrizioni in ragione della propria religione o credenza, né essere obbligato a dichiarazioni specificamente relative alla propria appartenenza confessionale.

 

Art. 4.

      1. I genitori hanno diritto di istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, in coerenza con la propria fede religiosa o credenza, nel rispetto della loro personalità e senza pregiudizio della salute dei medesimi.

      2. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 316 del codice civile, i minori, a partire dal quattordicesimo anno di età, possono compiere autonomamente le scelte pertinenti all'esercizio del diritto di libertà religiosa; in caso di contrasto fra i genitori decide il giudice competente, tenendo conto dell'interesse primario del minore.

 

Art. 5.

      1. I diritti di riunione e di associazione previsti dagli articoli 17 e 18, primo comma, della Costituzione sono liberamente esercitati anche per finalità di religione o di culto.

 

Art. 6.

      1. La libertà religiosa comprende il diritto di aderire liberamente ad una confessione o associazione religiosa e di recedere da essa, nonché il diritto di partecipazione, senza ingerenza da parte dello Stato, alla vita e all'organizzazione della confessione religiosa di appartenenza in conformità alle sue regole.

      2. Non possono essere posti in essere atti aventi lo scopo di discriminare, nuocere o recare molestia a coloro che hanno esercitato i diritti di cui al comma 1.

 

Art. 7.

      1. I cittadini hanno diritto di agire secondo i dettami imprescindibili della propria coscienza, nel rispetto dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione.

       2. Le modalità per l'esercizio dell'obiezione di coscienza nei diversi settori sono disciplinate dalla legge.

 

Art. 8.

      1. L'appartenenza alle Forze armate, alla Polizia di Stato o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura e di assistenza, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non impediscono l'esercizio della libertà religiosa e l'adempimento delle pratiche di culto, l'adempimento delle prescrizioni religiose in materia alimentare e di quelle relative all'astensione dalle attività in determinati giorni o periodi previsti come festività dagli statuti delle confessioni e associazioni religiose di cui al capo II, purché non derivino nuovi o maggiori oneri per le pubbliche amministrazioni interessate.

      2. I Ministri competenti, con regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, definiscono le modalità di attuazione del comma 1 del presente articolo. Sugli schemi di regolamento è acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

      3. In caso di decesso in servizio dei soggetti di cui al comma 1, che appartengono a una confessione avente personalità giuridica, l'ente di appartenenza adotta le misure necessarie, di intesa con i familiari del defunto, per assicurare che le esequie siano celebrate da un ministro di culto della confessione di appartenenza.

 

Art. 9.

      1. L'adempimento dei doveri essenziali del culto nel lavoro domestico, il divieto di licenziamento determinato da ragioni di fede religiosa nei luoghi di lavoro, il divieto di indagine sulle opinioni religiose e la nullità di patti o atti diretti a fini di discriminazione religiosa sono regolati dalle disposizioni vigenti in materia.

      2. I contratti collettivi e individuali di lavoro contemplano l'esercizio della libertà religiosa, con riferimento alle sue varie espressioni, come indicate negli articoli 1, 2 e 3.

      3. La macellazione rituale in conformità a prescrizioni religiose è regolata dalla normativa vigente in materia.

 

Art. 10.

      1. I ministri di culto di una confessione religiosa sono liberi di svolgere il loro ministero spirituale.

      2. I ministri di culto di una confessione religiosa avente personalità giuridica, in possesso della cittadinanza italiana, che compiono atti rilevanti per l'ordinamento giuridico italiano, dimostrano la propria qualifica depositando presso l'ufficio competente per l'atto apposita certificazione rilasciata dalla confessione di appartenenza.

 

Art. 11.

      1. Coloro che intendono celebrare il matrimonio davanti a un ministro di culto di una confessione religiosa avente personalità giuridica che ne abbia fatto esplicita richiesta al ministro competente devono specificarlo all'ufficiale dello stato civile all'atto della richiesta della pubblicazione prevista dagli articoli 93 e seguenti del codice civile. Nella richiesta al ministro competente la confessione religiosa specifica, altresì, se preferisce che gli articoli del codice civile riguardanti il matrimonio siano letti durante il rito o al momento delle pubblicazioni. L'ufficiale dello stato civile, il quale ha proceduto alle pubblicazioni richieste dai nubendi, accerta che nulla si oppone alla celebrazione del matrimonio secondo le vigenti norme di legge e ne dà attestazione in un nulla osta che rilascia ai nubendi in duplice originale. Il nulla osta deve precisare che la celebrazione del matrimonio avrà luogo nel comune indicato dai nubendi, che essa seguirà davanti al ministro di culto indicato o in caso di impedimento di questi davanti a un ministro di culto allo scopo delegato dai medesimi, che il ministro di culto ha comunicato la propria disponibilità e depositato la certificazione di cui all'articolo 10, comma 2. Attesta inoltre che l'ufficiale dello stato civile ha spiegato ai nubendi i diritti e i doveri dei coniugi, dando ai medesimi lettura degli articoli del codice civile al riguardo.

      2. Il ministro di culto, nel celebrare il matrimonio, osserva le disposizioni di cui agli articoli 107 e 108 del codice civile, omettendo la lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi qualora la confessione abbia optato per la lettura al momento delle pubblicazioni. Lo stesso ministro di culto redige subito dopo la celebrazione l'atto di matrimonio in duplice originale e allega il nulla osta rilasciato dall'ufficiale dello stato civile.

      3. La trasmissione di un originale dell'atto di matrimonio per la trascrizione nei registri dello stato civile è fatta dal ministro di culto davanti al quale è avvenuta la celebrazione all'ufficiale dello stato civile di cui al comma 1. Il ministro di culto ha l'obbligo di effettuare la trasmissione dell'atto non oltre i cinque giorni dalla celebrazione e di darne contemporaneamente avviso ai contraenti. L'ufficiale dello stato civile, constatate la regolarità dell'atto e l'autenticità del nulla osta allegato, effettua la trascrizione entro le ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al ministro di culto.

      4. Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione anche se l'ufficiale dello stato civile che ha ricevuto l'atto ha omesso di effettuare la trascrizione nel termine prescritto.

      5. All'articolo 83 del codice civile le parole: «dei culti ammessi nello Stato», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «delle confessioni religiose aventi personalità giuridica».

      6. Il presente articolo non modifica né pregiudica le disposizioni che danno attuazione ad accordi o intese stipulati o da stipulare ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, e dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

 

Art. 12.

      1. Nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado l'insegnamento è impartito nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione.

      2. Su richiesta degli alunni e dei loro genitori le istituzioni scolastiche possono organizzare, nell'ambito delle attività di promozione culturale, sociale e civile previste dall'ordinamento scolastico, libere attività complementari relative al fenomeno religioso e alle sue applicazioni, in conformità ai criteri e con le modalità stabilite da tale ordinamento senza oneri aggiuntivi a carico delle pubbliche amministrazioni interessate.

 

Art. 13.

      1. Le affissioni e la distribuzione di pubblicazioni e di stampati relativi alla vita religiosa e le collette effettuate all'interno e all'ingresso dei rispettivi luoghi o edifici di culto avvengono liberamente.

 

Art. 14.

      1. Gli edifici aperti al culto pubblico delle confessioni religiose aventi personalità giuridica non possono essere occupati, requisiti, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni, sentite le confessioni stesse o i loro enti esponenziali.

 

Capo II

CONFESSIONI E ASSOCIAZIONI RELIGIOSE

 

Art. 15.

      1. La libertà delle confessioni religiose garantita dalle norme costituzionali comprende, tra l'altro, il diritto di celebrare i propri riti, purché non siano contrari al buon costume; di aprire edifici destinati all'esercizio del culto; di diffondere e fare propaganda della propria fede religiosa e delle proprie credenze; di formare e nominare liberamente i ministri di culto; di emanare liberamente atti in materia spirituale; di fornire assistenza spirituale ai propri appartenenti; di comunicare e corrispondere liberamente con le proprie organizzazioni o con altre confessioni religiose; di promuovere la valorizzazione delle proprie espressioni culturali.

 

Art. 16.

      1. La confessione religiosa o l'ente esponenziale che la rappresenta può chiedere di essere riconosciuta come persona giuridica agli effetti civili. Il riconoscimento ha luogo con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato, ai sensi degli articoli 17 e 18.

 

Art. 17.

      1. La domanda di riconoscimento è presentata al Ministro dell'interno unitamente allo statuto e alla documentazione di cui all'articolo 18.

      2. La domanda di riconoscimento può essere presa in considerazione solo se la confessione o l'ente esponenziale ha sede in Italia e se è rappresentata, giuridicamente e di fatto, da un cittadino italiano avente domicilio in Italia.

 

Art. 18.

      1. Dallo statuto o dalla documentazione allegata alla domanda di riconoscimento devono risultare, oltre alla indicazione della denominazione e della sede, le norme di organizzazione, amministrazione e funzionamento e ogni elemento utile alla valutazione della stabilità e della base patrimoniale di cui dispone la confessione o l'ente esponenziale in relazione alle finalità perseguite. Il Consiglio di Stato, nel formulare il proprio parere anche sul carattere confessionale del richiedente, accerta, in particolare, che lo statuto non contrasti con l'ordinamento giuridico italiano e non contenga disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell'uomo.

 

Art. 19.

      1. La confessione religiosa o l'ente esponenziale che ha ottenuto la personalità giuridica deve iscriversi nel registro delle persone giuridiche. Nel registro devono risultare le norme di funzionamento ed i poteri degli organi di rappresentanza della persona giuridica. La confessione o l'ente può concludere negozi giuridici solo previa iscrizione nel registro predetto.

Art. 20.

      1. Le modificazioni allo statuto della confessione religiosa o dell'ente esponenziale che abbiano ottenuto la personalità giuridica devono essere comunicate al Ministro dell'interno.

      2. In caso di mutamento che faccia perdere alla confessione o all'ente uno dei requisiti in base ai quali il riconoscimento è stato concesso, il riconoscimento della personalità giuridica è revocato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato.

 

Art. 21.

      1. Per gli acquisti delle confessioni religiose o dei loro enti esponenziali che abbiano ottenuto la personalità giuridica si applicano le disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti delle persone giuridiche.

 

Art. 22.

      1. Le disposizioni in tema di concessioni e locazioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato e degli enti locali in favore di enti ecclesiastici, nonché in tema di disciplina urbanistica dei servizi religiosi, di utilizzo dei fondi per le opere di urbanizzazione secondaria o comunque di interventi per la costruzione, il ripristino, il restauro e la conservazione di edifici aperti all'esercizio pubblico del culto, si applicano alle confessioni religiose aventi personalità giuridica che abbiano una presenza organizzata nell'ambito del comune. L'applicazione delle predette disposizioni ha luogo, tenuto conto delle esigenze religiose della popolazione, sulla base di intese tra le confessioni interessate e le autorità competenti.

      2. Fermo il disposto dell'articolo 100 del regolamento di polizia mortuaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, la sepoltura dei defunti è effettuata nel rispetto delle prescrizioni rituali della confessione o associazione religiosa di appartenenza avente personalità giuridica, compatibilmente con le norme di polizia mortuaria.

      3. Gli edifici di culto costruiti con contributi regionali o comunali non possono essere sottratti alla loro destinazione se non sono decorsi venti anni dalla erogazione del contributo. L'atto da cui trae origine il vincolo, redatto nelle forme prescritte, è trascritto nei registri immobiliari. Gli atti e i negozi che comportano violazione del vincolo sono nulli.

 

Art. 23.

      1. Associazioni e fondazioni con finalità di religione o di culto possono ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con le modalità ed i requisiti previsti dalla normativa vigente in materia. Alle stesse si applicano le norme relative alle persone giuridiche private, salvo quanto attiene alle attività di religione o di culto.

 

Art. 24.

      1. Agli effetti tributari le confessioni religiose aventi personalità giuridica o i loro enti esponenziali aventi fine di religione, credenza o culto, nonché le attività dirette a tali scopi, sono equiparati agli enti e alle attività aventi finalità dì beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione, credenza o culto da essi svolte restano soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime.

 

Art. 25.

      1. Agli effetti civili, si considerano comunque:

          a) attività di religione, credenza o culto quelle dirette all'esercizio del culto e dei riti, alla cura delle anime, alla formazione di ministri di culto, a scopi missionari e di diffusione della propria fede e alla educazione religiosa;

          b) attività diverse da quelle di religione, credenza o culto, quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.

 

Art. 26.

      1. Ai ministri di culto delle confessioni religiose che hanno ottenuto la personalità giuridica, che sono residenti in Italia, si applica l'articolo 42, comma 6, della legge 23 dicembre 1999, n. 488.

 

Capo III

STIPULAZIONE DI INTESE

 

Art. 27.

      1. Le confessioni religiose organizzate secondo propri statuti non contrastanti con l'ordinamento giuridico italiano, le quali chiedono che i loro rapporti con lo Stato siano regolati per legge sulla base di intese ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, presentano la relativa istanza, unitamente alla documentazione e agli elementi di cui all'articolo 18 della presente legge, al Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Art. 28.

      1. Se la richiesta è presentata da una confessione religiosa non avente personalità giuridica, il Presidente del Consiglio dei ministri comunica la richiesta al Ministero dell'interno affinché verifichi che lo statuto della confessione religiosa non contrasta con l'ordinamento giuridico italiano. A tale fine il Ministro dell'interno acquisisce il parere del Consiglio di Stato ai sensi dell'articolo 18.

 

Art. 29.

      1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, acquisite le necessarie valutazioni, prima di avviare le procedure di intesa, invita la confessione religiosa interessata a indicare chi, a tale fine, la rappresenta.

Art. 30.

      1. Ai fini della stipulazione dell'intesa, il Governo è rappresentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, il quale delega un Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, per la conduzione della trattativa con il rappresentante della confessione religiosa interessata, sulla base delle valutazioni espresse e delle proposte formulate dalla commissione di studio di cui all'articolo 31.

      2. Il Sottosegretario di Stato, conclusa la trattativa, trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri, con propria relazione, il progetto di intesa.

 

Art. 31.

      1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è istituita, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera i), della legge 23 agosto 1988, n. 400, una commissione di studio con il compito di predisporre un progetto per le trattative ai fini della stipulazione dell'intesa.

      2. La commissione di cui al comma 1 è composta dal direttore della Direzione centrale degli affari dei culti del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno e da funzionari delle amministrazioni interessate con qualifica non inferiore a dirigente generale o equiparato, nonché da altrettanti esperti, cittadini italiani, designati dalla confessione religiosa interessata. Il presidente della commissione è scelto tra le categorie indicate dall'articolo 29, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

      3. Dal funzionamento della commissione di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 

Art. 32.

      1. Il Presidente del Consiglio dei ministri sottopone il progetto di intesa alla deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera l), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e informa, quindi, il Parlamento sui princìpi e sui contenuti del progetto stesso.

 

Art. 33.

      1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, qualora si renda necessario in relazione alle osservazioni, ai rilievi e agli indirizzi emersi in seno al Consiglio dei ministri o in sede parlamentare, rimette il testo al Sottosegretario di Stato per le opportune modifiche al progetto di intesa.

      2. Anche in ordine al nuovo progetto si procede ai sensi di quanto previsto dagli articoli 30 e 32.

 

Art. 34.

      1. Concluse le procedure per la stipulazione dell'intesa, il Presidente del Consiglio dei ministri firma l'intesa stessa con il rappresentante della confessione religiosa.

 

Art. 35.

      1. Il disegno di legge di approvazione dell'intesa che disciplina i rapporti della confessione religiosa con lo Stato è presentato al Parlamento con allegato il testo dell'intesa stessa.

 

Art. 36.

      1. Per l'applicazione di disposizioni di legge relative a specifiche materie che coinvolgono rapporti con lo Stato delle singole confessioni religiose aventi personalità giuridica, si provvede, ove previsto dalla legge stessa, con decreti del Presidente della Repubblica previa intesa con la confessione che ne faccia richiesta.

 

Capo IV

DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

Art. 37.

      1. Le confessioni religiose e gli istituti di culto riconosciuti ai sensi della legge 24 giugno 1929, n. 1159, conservano la personalità giuridica. Ad essi si applicano le disposizioni della presente legge. Essi devono richiedere l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, ai sensi dell'articolo 19, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 38.

      1. I ministri di culto, la cui nomina è stata approvata ai sensi dell'articolo 3 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sino a quando mantengono la qualifica loro riconosciuta conservano il regime giuridico e previdenziale loro riservato dalla medesima legge, dal regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, e successive modificazioni, e da ogni altra disposizione che li riguardi.

 

Art. 39.

      1. Le confessioni religiose che sono persone giuridiche straniere restano regolate dall'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale. Ove abbiano una presenza sociale organizzata in Italia e intendano essere riconosciute ai sensi della presente legge, esse devono presentare domanda di riconoscimento della personalità giuridica alle condizioni e secondo il procedimento previsti dalle disposizioni di cui al capo II.

 

Art. 40.

      1. Le norme della presente legge non modificano né pregiudicano le disposizioni che danno attuazione ad accordi o intese stipulati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, e dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

      2. La presente legge non modifica e non pregiudica le disposizioni di cui al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

Art. 41.

      1. Sono abrogati la legge 24 giugno 1929, n. 1159, e il regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, e successive modificazioni.

 

 

 

 


N. 134

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

SPINI, AMICI, BENZONI, CHIAROMONTE, CHITI, CIALENTE, CORDONI, CRISCI, DATO, GIANNI FARINA, FEDI, FINCATO, FRANCI, GIULIETTI, GRILLINI, LEONI, MANTINI, MARAN, MARIANI, MARONE, NICCHI, RUGGHIA, SANNA, SASSO, SPOSETTI, TESSITORE, ZANOTTI, ZUNINO

¾

 

Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi

 

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Presentata il 28 aprile 2006

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Onorevoli Colleghi! - Il sistema dei rapporti Stato - Chiese nell'ordinamento costituzionale italiano è articolato e complesso.

      I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica sono regolati dall'articolo 7 della Costituzione, che, dopo avere richiamato il principio che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, sancisce che i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi, cioè in forma giuridica di trattato internazionale. Nel tempo, e cioè nel 1984, si è provveduto alla stipula di un nuovo Concordato tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica in cui non figura più l'affermazione che la religione cattolica è la religione dello Stato italiano, e si è introdotto il regime del contributo volontario mediante l'8 per mille del gettito IRPEF in sede di dichiarazione dei redditi che può essere attribuito sia alla Chiesa Cattolica sia alle altre Chiese che hanno stipulato intese con lo Stato italiano.

      Per le altre confessioni religiose vige infatti l'articolo 8 della Costituzione che recita: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».

      Questo articolo ha cominciato ad avere attuazione sempre nel 1984 con la stipula dell'intesa con la Chiesa Valdese, seguita da quella con la Chiesa Avventista, con le Assemblee di Dio in Italia, con l'Unione delle Comunità ebraiche in Italia, con la Chiesa Evangelica Luterana e con la Chiesa Battista (UCEBI). In definitiva sei organizzazioni religiose di cui cinque cristiano evangeliche e una degli ebrei in Italia.

      Successivamente, sono state firmate dal Governo D'Alema altre due intese con l'Unione buddista italiana (UBI) e con la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, uscendo quindi dall'ambito «protestanti - ebrei» e affrontando la disciplina dei rapporti con altri culti. Tali intese non sono peraltro state finora approvate dal Parlamento e quindi non sono in vigore.

      Il Governo Berlusconi nella XIV legislatura ha stipulato altre due intese che pure non sono state approvate dal Parlamento. Si tratta di modifiche alle intese rispettivamente con la Chiesa Avventista e con la Chiesa Valdese.

      L'auspicio è che nella presente legislatura tutte e quattro queste intese già firmate dal Governo vengano approvate dal Parlamento e che le altre intese convenute dall'apposita commissione governativa e non ancora firmate dal Governo - quelle con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (Mormoni), con la Sacra Arcidiocesi d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale (Ortodossi), con la Chiesa Apostolica in Italia, con l'Istituto Buddista italiano Soka Gakkai e con l'Unione Induista Italiana - vengano firmate dal Governo Prodi.

      Per tutte le confessioni religiose che non sono coperte da intese ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, o perché non sono in grado di adirvi o perché per rispettabilissimi motivi non intendono avvalersi di un regime pattizio con lo Stato, dovrebbe valere una legge di attuazione della Costituzione. Si richiamano di seguito gli articoli 19 e 20 della Costituzione:

          Art. 19 - Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda, e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

          Art. 20 - Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

      Tali princìpi hanno bisogno per la loro attuazione di una legge dello Stato. In assenza dell'approvazione di una legge siffatta risultano vigenti (per quanto non annullate dalle sentenze della Corte costituzionale) le disposizioni della legislazione del 1929-1930 sui «culti ammessi». Tale legislazione era però stata emanata in un contesto del tutto diverso da quello attuale, ossia successivamente al Concordato del 1929 che sanciva che la religione cattolica era la religione dello Stato e in un regime giuridico precedente alla Costituzione repubblicana.

      Si sono succeduti in questo periodo vari tentativi di arrivare ad una legge sulla libertà religiosa coerente con la Costituzione.

      Si ricorda in proposito il disegno di legge presentato dal primo governo Prodi il 3 luglio 1997 (atto Camera n. 3947 - XIII legislatura) lungamente esaminato e integrato dalla Commissione Affari costituzionali (relatore l'onorevole professor Domenico Maselli) che giunse all'approvazione di un testo organico nel 2001 proprio alla vigilia dello spirare della legislatura stessa.

      Nella XIV legislatura il primo firmatario di questa proposta di legge si fece parte diligente della ripresentazione del testo «Maselli» (atto Camera n. 1576 del 14 settembre 2001), cui seguì poco tempo dopo un disegno di legge d'iniziativa del Governo Berlusconi (atto Camera n. 2531). Dopo alterne vicende e varie polemiche, peraltro, anche la XIV legislatura si è chiusa senza alcuna approvazione.

      Si ritiene pertanto urgente e opportuno ripresentare nella XV legislatura il testo della citata proposta di legge n. 1576, proprio perché la soluzione del problema di una legge sulla libertà religiosa coerente con i princìpi della Costituzione repubblicana è ormai indifferibile.

      Infatti, da grande e ineludibile problema di principio ma di fatto coinvolgente piccole comunità religiose, il tema delle confessioni religiose non coperte da intese si è di fatto allargato, anche per effetto del processo di immigrazione. In tale contesto esso investe quella che oggi è la più consistente minoranza religiosa in Italia, cioè la musulmana nelle sue varie articolazioni. Anzi la polemica che da parti politiche ben individuate si è levata nella scorsa legislatura nei confronti della legge sulla libertà religiosa si è fondata sulla critica che essa fosse troppo generosa o lassista verso le comunità musulmane. Così la possibilità per un'organizzazione religiosa di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica previa istruttoria condotta dal Ministero dell'interno e previo parere del Consiglio di Stato sulla coerenza del suo statuto con i princìpi dell'ordinamento giuridico italiano è stata dipinta come una sorta di avventurosa concessione. Ancora, la possibilità per i ministri di culto musulmani riconosciuti di poter celebrare matrimoni è stata dipinta come un'inaccettabile equiparazione ad altre religioni, piuttosto che come occasione di estensione del codice civile italiano in materia di matrimonio e di figli anche ai matrimoni celebrati con rito musulmano.

      In realtà, lo Stato italiano ha tutto da guadagnare dall'integrazione di chi si vuole integrare e tutto da perdere nell'alimentare una situazione «grigia» di non regolazione e di confusione in materia.

      Per tutti questi motivi si raccomanda all'approvazione del Parlamento la seguente proposta di legge.

      Essa ha come primo compito, all'articolo 41, l'abrogazione delle leggi sui «culti ammessi». Si è però considerato che il tempo passato dalla entrata in vigore della Costituzione, la lentezza con cui si sono approvate le intese - finora solo sei - ed anche la moltiplicazione di presenze religiose diverse nel Paese dovute alla mutata situazione, ed ora anche a una notevole immigrazione, rendono necessaria una legge quadro che non si sostituisca alle intese, che recepisca alcuni diritti pur contenuti nella legislazione abroganda e che eviti una discriminazione tra i culti per cui esiste il regime pattizio e quelli ancora in attesa di tale regime. Si può dire che, una volta approvata la legge sulla libertà religiosa, le nuove intese si presenteranno notevolmente snellite e dedicate proprio agli elementi specifici di ciascuna fede religiosa.

      La proposta di legge si compone di 4 capi: il Capo I, formato, da 14 articoli, riguarda la libertà di coscienza e di religione, riaffermando in tale campo e specificando i princìpi costituzionali a tale riguardo: l'articolo 1 infatti garantisce la libertà di coscienza e di religione in conformità alla Costituzione, alle Convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo e ai princìpi del diritto internazionale generalmente riconosciuti.

      L'articolo 2 chiarisce in dettaglio in che cosa consistono tali diritti e prevede anche quali ne siano i limiti costituzionali.

      L'articolo 3 impedisce discriminazioni o costrizioni e anche l'obbligo di effettuare dichiarazioni specificamente relative alla propria appartenenza confessionale.

      L'articolo 4 si occupa dell'istruzione e dell'educazione dei figli.

      L'articolo 5 estende alle finalità di religione e di culto i diritti di riunione e di associazione previsti dagli articoli 17 e 18 della Costituzione.

      L'articolo 6 garantisce il diritto di aderire liberamente ad una associazione religiosa e di recedere da essa.

      L'articolo 7 sancisce il diritto di agire secondo i dettami della propria coscienza nel rispetto dei diritti e doveri sanciti dalla Costituzione.  

      L'articolo 8 prevede i diritti connessi all'appartenenza alle Forze armate, o enti assimilati, la permanenza negli istituti di prevenzione e di pena e l'assistenza religiosa relativa.

      L'articolo 9 prevede la non possibilità di discriminazioni sul lavoro per l'appartenenza ad una determinata confessione o associazione religiosa.

      L'articolo 10 dispone misure per il riconoscimento dei ministri di culto.

      L'articolo 11 riguarda i matrimoni religiosi validi agli effetti civili.

      L'articolo 12 si occupa dei diritti religiosi degli studenti.

      Gli articoli 13 e 14 riguardano i diritti per affissioni e distribuzioni di stampati relativi alla vita religiosa e per gli edifici aperti al culto pubblico.

      Il capo II, che comprende gli articoli da 15 a 26, si occupa delle confessioni e associazioni religiose e del loro eventuale riconoscimento giuridico, mentre il capo III, dall'articolo 27 all'articolo 36, riguarda la stipulazione di intese, ed il capo IV contiene le disposizioni finali e transitorie.

      La presente proposta di legge riproduce, come si è detto, l'analoga proposta presentata nella XIV legislatura a firma Spini ed altri (atto Camera n. 1576), con un'integrazione all'articolo 10, in cui viene introdotto un terzo comma per comprendere tutti i ministri di culto riconosciuti dal Ministro dell'interno.

      In conclusione, tra le libertà previste dalla nostra Costituzione, quella di coscienza e di religione assume una valore particolare, perché attiene alla sfera più personale e intima, riguardante il proprio rapporto con il trascendente o comunque la convinzione personale sul senso della vita. Non a caso Franklin Delano Roosevelt nel 1941 le mise in evidenza tra le sue quattro libertà: libertà di espressione, di religione, dal bisogno e dalla paura. Un programma tuttora valido e attuale.


 

 


 


proposta di legge

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Capo I

LIBERTÀ DI COSCIENZA

E DI RELIGIONE

 

Art. 1.

      1. La libertà di coscienza e di religione, quale diritto fondamentale della persona, è garantita a tutti in conformità alla Costituzione, alle convenzioni internazionali sui diritti inviolabili dell'uomo e ai princìpi del diritto internazionale generalmente riconosciuti in materia.

 

Art. 2.

      1. La libertà di coscienza e di religione comprende il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa o credenza, in qualsiasi forma individuale o associata, di diffonderla e farne propaganda, di osservare i riti e di esercitare il culto in privato o in pubblico. Comprende inoltre il diritto di mutare religione o credenza o di non averne alcuna. Non possono essere disposte limitazioni alla libertà di coscienza e di religione diverse da quelle previste dagli articoli 19 e 20 della Costituzione.

 

Art. 3.

      1. Nessuno può essere discriminato o soggetto a costrizioni in ragione della propria religione o credenza, né essere obbligato a dichiarazioni specificamente relative alla propria appartenenza confessionale.

 

Art. 4.

      1. I genitori hanno diritto di istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, in coerenza con la propria fede religiosa o credenza, nel rispetto della loro personalità e senza pregiudizio della salute dei medesimi.

      2. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 316 del codice civile, i minori, a partire dal quattordicesimo anno di età, possono compiere autonomamente le scelte pertinenti all'esercizio del diritto di libertà religiosa; in caso di contrasto fra i genitori decide il giudice competente, tenendo conto dell'interesse primario del minore.

 

Art. 5.

      1. I diritti di riunione e di associazione previsti dagli articoli 17 e 18, primo comma, della Costituzione sono liberamente esercitati anche per finalità di religione o di culto.

 

Art. 6.

      1. La libertà religiosa comprende il diritto di aderire liberamente ad una confessione o associazione religiosa e di recedere da essa, nonché il diritto di partecipazione, senza ingerenza da parte dello Stato, alla vita e all'organizzazione della confessione religiosa di appartenenza in conformità alle sue regole.

      2. Non possono essere posti in essere atti aventi lo scopo di discriminare, nuocere o recare molestia a coloro che hanno esercitato i diritti di cui al comma 1.

 

Art. 7.

      1. I cittadini hanno diritto di agire secondo i dettami imprescindibili della propria coscienza, nel rispetto dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione.

      2. Le modalità per l'esercizio dell'obiezione di coscienza nei diversi settori sono disciplinate dalla legge.

 

Art. 8.

      1. L'appartenenza alle Forze armate, alla Polizia di Stato o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura e di assistenza, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non impediscono l'esercizio della libertà religiosa e l'adempimento delle pratiche di culto, l'adempimento delle prescrizioni religiose in materia alimentare e di quelle relative all'astensione dalle attività in determinati giorni o periodi previsti come festività dagli statuti delle confessioni e associazioni religiose di cui al capo II, purché non derivino nuovi o maggiori oneri per le pubbliche amministrazioni interessate.

      2. I Ministri competenti, con regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, definiscono le modalità di attuazione del comma 1 del presente articolo. Sugli schemi di regolamento è acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

      3. In caso di decesso in servizio dei soggetti di cui al comma 1, che appartengono a una confessione avente personalità giuridica, l'ente di appartenenza adotta le misure necessarie, di intesa con i familiari del defunto, per assicurare che le esequie siano celebrate da un ministro di culto della confessione di appartenenza.

 

Art. 9.

      1. L'adempimento dei doveri essenziali del culto nel lavoro domestico, il divieto di licenziamento determinato da ragioni di fede religiosa nei luoghi di lavoro, il divieto di indagine sulle opinioni religiose e la nullità di patti o atti diretti a fini di discriminazione religiosa sono regolati dalle disposizioni vigenti in materia.

      2. I contratti collettivi e individuali di lavoro contemplano l'esercizio della libertà religiosa, con riferimento alle sue varie espressioni, come indicate negli articoli 1, 2 e 3.

      3. La macellazione rituale in conformità a prescrizioni religiose è regolata dalla normativa vigente in materia.

 

Art. 10.

      1. I ministri di culto di una confessione religiosa sono liberi di svolgere il loro ministero spirituale.

      2. I ministri di culto di una confessione religiosa avente personalità giuridica, in possesso della cittadinanza italiana, che compiono atti rilevanti per l'ordinamento giuridico italiano, dimostrano la propria qualifica depositando presso l'ufficio competente per l'atto apposita certificazione rilasciata dalla confessione di appartenenza.

      3. I ministri di culto di una confessione religiosa priva di personalità giuridica, ovvero di una confessione il cui ente esponenziale non abbia personalità giuridica, in possesso della cittadinanza italiana, possono compiere gli atti di cui al comma 2 se la loro nomina è stata approvata dal Ministro dell'interno.

 

Art. 11.

      1. Coloro che intendono celebrare il matrimonio davanti a un ministro di culto di una confessione religiosa avente personalità giuridica che ne abbia fatto esplicita richiesta al ministro competente devono specificarlo all'ufficiale dello stato civile all'atto della richiesta della pubblicazione prevista dagli articoli 93 e seguenti del codice civile. Nella richiesta al ministro competente la confessione religiosa specifica, altresì, se preferisce che gli articoli del codice civile riguardanti il matrimonio siano letti durante il rito o al momento delle pubblicazioni. L'ufficiale dello stato civile, il quale ha proceduto alle pubblicazioni richieste dai nubendi, accerta che nulla si oppone alla celebrazione del matrimonio secondo le vigenti norme di legge e ne dà attestazione in un nulla osta che rilascia ai nubendi in duplice originale. Il nulla osta deve precisare che la celebrazione del matrimonio avrà luogo nel comune indicato dai nubendi, che essa seguirà davanti al ministro di culto indicato o in caso di impedimento di questi davanti a un ministro di culto allo scopo delegato dai medesimi, che il ministro di culto ha comunicato la propria disponibilità e depositato la certificazione di cui all'articolo 10. Attesta inoltre che l'ufficiale dello stato civile ha spiegato ai nubendi i diritti e i doveri dei coniugi, dando ai medesimi lettura degli articoli del codice civile al riguardo.

      2. Il ministro di culto, nel celebrare il matrimonio, osserva le disposizioni di cui agli articoli 107 e 108 del codice civile, omettendo la lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi qualora la confessione abbia optato per la lettura al momento delle pubblicazioni. Lo stesso ministro di culto redige subito dopo la celebrazione l'atto di matrimonio in duplice originale e allega il nulla osta rilasciato dall'ufficiale dello stato civile.

      3. La trasmissione di un originale dell'atto di matrimonio per la trascrizione nei registri dello stato civile è fatta dal ministro di culto davanti al quale è avvenuta la celebrazione all'ufficiale dello stato civile di cui al comma 1. Il ministro di culto ha l'obbligo di effettuare la trasmissione dell'atto non oltre i cinque giorni dalla celebrazione e di darne contemporaneamente avviso ai contraenti. L'ufficiale dello stato civile, constatate la regolarità dell'atto e l'autenticità del nulla osta allegato, effettua la trascrizione entro le ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al ministro di culto.

      4. Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione anche se l'ufficiale dello stato civile che ha ricevuto l'atto ha omesso di effettuare la trascrizione nel termine prescritto.

      5. All'articolo 83 del codice civile le parole: «dei culti ammessi nello Stato», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «delle confessioni religiose aventi personalità giuridica».

      6. Il presente articolo non modifica né pregiudica le disposizioni che danno attuazione ad accordi o intese stipulati o da stipulare ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, e dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

 

Art. 12.

      1. Nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado l'insegnamento è impartito nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione.

      2. Su richiesta degli alunni e dei loro genitori le istituzioni scolastiche possono organizzare, nell'ambito delle attività di promozione culturale, sociale e civile previste dall'ordinamento scolastico, libere attività complementari relative al fenomeno religioso e alle sue applicazioni, in conformità ai criteri e con le modalità stabilite da tale ordinamento senza oneri aggiuntivi a carico delle pubbliche amministrazioni interessate.

 

Art. 13.

      1. Le affissioni e la distribuzione di pubblicazioni e di stampati relativi alla vita religiosa e le collette effettuate all'interno e all'ingresso dei rispettivi luoghi o edifici di culto avvengono liberamente.

 

Art. 14.

      1. Gli edifici aperti al culto pubblico delle confessioni religiose aventi personalità giuridica non possono essere occupati, requisiti, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni, sentite le confessioni stesse o i loro enti esponenziali.

 

Capo II

CONFESSIONI E ASSOCIAZIONI

RELIGIOSE

 

Art. 15.

      1. La libertà delle confessioni religiose garantita dalle norme costituzionali comprende, tra l'altro, il diritto di celebrare i propri riti, purché non siano contrari al buon costume; di aprire edifici destinati all'esercizio del culto; di diffondere e fare propaganda della propria fede religiosa e delle proprie credenze; di formare e nominare liberamente i ministri di culto; di emanare liberamente atti in materia spirituale; di fornire assistenza spirituale ai propri appartenenti; di comunicare e corrispondere liberamente con le proprie organizzazioni o con altre confessioni religiose; di promuovere la valorizzazione delle proprie espressioni culturali.

 

Art. 16.

      1. La confessione religiosa o l'ente esponenziale che la rappresenta può chiedere di essere riconosciuta come persona giuridica agli effetti civili. Il riconoscimento ha luogo con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato, ai sensi degli articoli 17 e 18.

 

Art. 17.

      1. La domanda di riconoscimento è presentata al Ministro dell'interno unitamente allo statuto e alla documentazione di cui all'articolo 18.

      2. La domanda di riconoscimento può essere presa in considerazione solo se la confessione o l'ente esponenziale ha sede in Italia e se è rappresentata, giuridicamente e di fatto, da un cittadino italiano avente domicilio in Italia.

 

Art. 18.

      1. Dallo statuto o dalla documentazione allegata alla domanda di riconoscimento devono risultare, oltre alla indicazione della denominazione e della sede, le norme di organizzazione, amministrazione e funzionamento e ogni elemento utile alla valutazione della stabilità e della base patrimoniale di cui dispone la confessione o l'ente esponenziale in relazione alle finalità perseguite. Il Consiglio di Stato, nel formulare il proprio parere anche sul carattere confessionale del richiedente, accerta, in particolare, che lo statuto non contrasti con l'ordinamento giuridico italiano e non contenga disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell'uomo.

 

Art. 19.

      1. La confessione religiosa o l'ente esponenziale che ha ottenuto la personalità giuridica deve iscriversi nel registro delle persone giuridiche. Nel registro devono risultare le norme di funzionamento ed i poteri degli organi di rappresentanza della persona giuridica. La confessione o l'ente può concludere negozi giuridici solo previa iscrizione nel registro predetto.

 

Art. 20.

      1. Le modificazioni allo statuto della confessione religiosa o dell'ente esponenziale che abbiano ottenuto la personalità giuridica devono essere comunicate al Ministro dell'interno.

      2. In caso di mutamento che faccia perdere alla confessione o all'ente uno dei requisiti in base ai quali il riconoscimento è stato concesso, il riconoscimento della personalità giuridica è revocato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato.

 

Art. 21.

      1. Per gli acquisti delle confessioni religiose o dei loro enti esponenziali che abbiano ottenuto la personalità giuridica si applicano le disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti delle persone giuridiche.

 

Art. 22.

      1. Le disposizioni in tema di concessioni e locazioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato e degli enti locali in favore di enti ecclesiastici, nonché in tema di disciplina urbanistica dei servizi religiosi, di utilizzo dei fondi per le opere di urbanizzazione secondaria o comunque di interventi per la costruzione, il ripristino, il restauro e la conservazione di edifici aperti all'esercizio pubblico del culto, si applicano alle confessioni religiose aventi personalità giuridica che abbiano una presenza organizzata nell'ambito del comune. L'applicazione delle predette disposizioni ha luogo, tenuto conto delle esigenze religiose della popolazione, sulla base di intese tra le confessioni interessate e le autorità competenti.

      2. Fermo il disposto dell'articolo 100 del regolamento di polizia mortuaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, la sepoltura dei defunti è effettuata nel rispetto delle prescrizioni rituali della confessione o associazione religiosa di appartenenza avente personalità giuridica, compatibilmente con le norme di polizia mortuaria.

      3. Gli edifici di culto costruiti con contributi regionali o comunali non possono essere sottratti alla loro destinazione se non sono decorsi venti anni dalla erogazione del contributo. L'atto da cui trae origine il vincolo, redatto nelle forme prescritte, è trascritto nei registri immobiliari. Gli atti e i negozi che comportano violazione del vincolo sono nulli.

 

Art. 23.

      1. Associazioni e fondazioni con finalità di religione o di culto possono ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con le modalità ed i requisiti previsti dalla normativa vigente in materia. Alle stesse si applicano le norme relative alle persone giuridiche private, salvo quanto attiene alle attività di religione o di culto.

 

Art. 24.

      1. Agli effetti tributari le confessioni religiose aventi personalità giuridica o i loro enti esponenziali aventi fine di religione, credenza o culto, nonché le attività dirette a tali scopi, sono equiparati agli enti e alle attività aventi finalità di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione, credenza o culto da essi svolte restano soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime.

Art. 25.

      1. Agli effetti civili, si considerano comunque:

          a) attività di religione, credenza o culto quelle dirette all'esercizio del culto e dei riti, alla cura delle anime, alla formazione di ministri di culto, a scopi missionari e di diffusione della propria fede e alla educazione religiosa;

          b) attività diverse da quelle di religione, credenza o culto, quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.

 

Art. 26.

      1. Ai ministri di culto delle confessioni religiose che hanno ottenuto la personalità giuridica, che sono residenti in Italia, si applica l'articolo 42, comma 6, della legge 23 dicembre 1999, n. 488.

 

Capo III

STIPULAZIONE DI INTESE

 

Art. 27.

      1. Le confessioni religiose organizzate secondo propri statuti non contrastanti con l'ordinamento giuridico italiano, le quali chiedono che i loro rapporti con lo Stato siano regolati per legge sulla base di intese ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, presentano la relativa istanza, unitamente alla documentazione e agli elementi di cui all'articolo 18 della presente legge, al Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Art. 28.

      1. Se la richiesta è presentata da una confessione religiosa non avente personalità giuridica, il Presidente del Consiglio dei ministri comunica la richiesta al Ministero dell'interno affinché verifichi che lo statuto della confessione religiosa non contrasta con l'ordinamento giuridico italiano. A tale fine il Ministro dell'interno acquisisce il parere del Consiglio di Stato ai sensi dell'articolo 18.

 

Art. 29.

      1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, acquisite le necessarie valutazioni, prima di avviare le procedure di intesa, invita la confessione religiosa interessata a indicare chi, a tale fine, la rappresenta.

 

Art. 30.

      1. Ai fini della stipulazione dell'intesa, il Governo è rappresentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, il quale delega un Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, per la conduzione della trattativa con il rappresentante della confessione religiosa interessata, sulla base delle valutazioni espresse e delle proposte formulate dalla commissione di studio di cui all'articolo 31.

      2. Il Sottosegretario di Stato, conclusa la trattativa, trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri, con propria relazione, il progetto di intesa.

 

Art. 31.

      1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è istituita, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera i), della legge 23 agosto 1988, n. 400, una commissione di studio con il compito di predisporre un progetto per le trattative ai fini della stipulazione dell'intesa.

      2. La commissione di cui al comma 1 è composta dal direttore della Direzione centrale degli affari dei culti del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno e da funzionari delle amministrazioni interessate con qualifica non inferiore a dirigente generale o equiparato, nonché da altrettanti esperti, cittadini italiani, designati dalla confessione religiosa interessata. Il presidente della commissione è scelto tra le categorie indicate dall'articolo 29, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

      3. Dal funzionamento della commissione di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 

Art. 32.

      1. Il Presidente del Consiglio dei ministri sottopone il progetto di intesa alla deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera l), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e informa, quindi, il Parlamento sui princìpi e sui contenuti del progetto stesso.

 

Art. 33.

      1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, qualora si renda necessario in relazione alle osservazioni, ai rilievi e agli indirizzi emersi in seno al Consiglio dei ministri o in sede parlamentare, rimette il testo al Sottosegretario di Stato per le opportune modifiche al progetto di intesa.

      2. Anche in ordine al nuovo progetto si procede ai sensi di quanto previsto dagli articoli 30 e 32.

 

Art. 34.

      1. Concluse le procedure per la stipulazione dell'intesa, il Presidente del Consiglio dei ministri firma l'intesa stessa con il rappresentante della confessione religiosa.

 

Art. 35.

      1. Il disegno di legge di approvazione dell'intesa che disciplina i rapporti della confessione religiosa con lo Stato è presentato al Parlamento con allegato il testo dell'intesa stessa.

 

Art. 36.

      1. Per l'applicazione di disposizioni di legge relative a specifiche materie che coinvolgono rapporti con lo Stato delle singole confessioni religiose aventi personalità giuridica, si provvede, ove previsto dalla legge stessa, con decreti del Presidente della Repubblica previa intesa con la confessione che ne faccia richiesta.

 

Capo IV

DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

 

Art. 37.

      1. Le confessioni religiose e gli istituti di culto riconosciuti ai sensi della legge 24 giugno 1929, n. 1159, conservano la personalità giuridica. Ad essi si applicano le disposizioni della presente legge. Essi devono richiedere l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, ai sensi dell'articolo 19, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 38.

      1. I ministri di culto, la cui nomina è stata approvata ai sensi dell'articolo 3 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sino a quando mantengono la qualifica loro riconosciuta conservano il regime giuridico e previdenziale loro riservato dalla medesima legge, dal regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, e successive modificazioni, e da ogni altra disposizione che li riguardi.

 

Art. 39.

      1. Le confessioni religiose che sono persone giuridiche straniere restano regolate dall'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale. Ove abbiano una presenza sociale organizzata in Italia e intendano essere riconosciute ai sensi della presente legge, esse devono presentare domanda di riconoscimento della personalità giuridica alle condizioni e secondo il procedimento previsti dalle disposizioni di cui al capo II.

 

Art. 40.

      1. Le norme della presente legge non modificano né pregiudicano le disposizioni che danno attuazione ad accordi o intese stipulati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, e dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

      2. La presente legge non modifica e non pregiudica le disposizioni di cui al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

 

Art. 41.

      1. Sono abrogati la legge 24 giugno 1929, n. 1159, e il regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, e successive modificazioni.

 

 

 

 




[1]     L. 27 maggio 1929, n. 810, Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929.

[2]     Entrambi ratificati dalla L. 25 marzo 1985, n. 121, Ratifica ed esecuzione dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

[3]     L. 24 giugno 1929, n. 1159, Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi.

[4]     R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, Norme per l’attuazione della legge n. 1159/1929, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato.

[5]     L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo. Gli atti per i quali rimane obbligatorio il parere del Consiglio di Stato sono:

§       gli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, ai sensi dell’articolo 17 della L. 400/1988;

§       i testi unici ;

§       i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;

§       gli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.

[6]    Presidenza del Consiglio, Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni istituzionali.

[7]    Come in precedenza ricordato, il parere del Consiglio di Stato in materia non è obbligatorio, pur essendo sempre riservata all’Amministrazione la facoltà di richiederlo.

[8]    Presidenza del Consiglio, Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni istituzionali.

[9]    Cfr. Camera dei deputati, Assemblea, seduta del 1 dicembre 2004, Svolgimento dell’interrogazione a risposta immediata n. 3-03938 (Iniziative volte alla stipula di intese con le comunità islamiche), intervento del Ministro per i rapporti con il Parlamento, on. Giovanardi.

[10]    Il tema del dialogo interreligioso, promosso anche in ambito comunitario durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea, ha portato all’adozione di un’apposita Dichiarazione dei Ministri dell’interno dell’Unione europea. Nella Dichiarazione è stato riconosciuto il contributo positivo che il dialogo tra le fedi è in grado di dare all’interno della società europea e la sua capacità di porsi come mezzo di pace in Europa e ai suoi confini, in particolare nell’area del Mediterraneo la cui stabilità dipende in larga misura dalla convivenza tra diverse religioni. I Capi di Stato e di governo, nel Consiglio europeo del 12 dicembre 2003, hanno poi incoraggiato gli Stati ad appoggiare un “dialogo intenso, aperto e trasparente con le varie comunità religiose”. Il tema del dialogo interreligioso figura pertanto tra le priorità che l’Unione europea si è data in materia sia di lotta al terrorismo, sia di politica dell’immigrazione.

[11]    Cfr. anche Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2005. XV Rapporto, ottobre 2005.

[12]   Ministro dell’interno, Decreto 10 settembre 2005, Istituzione della Consulta per l’Islam italiano, pubblicato nella G.U. 26 ottobre 2005, n. 250.

[13]   L’art. 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839, Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ha fatto obbligo al Servizio del contenzioso diplomatico presso il Ministero degli affari esteri anche di provvedere alla comunicazione alle Presidenze delle Camere di “tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si obbliga nella relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi di note, accordi ed altri atti comunque denominati”.

[14]    I lavori parlamentari dei progetti di legge A.C. 2531 e abbinati sono raccolti nel Dossier progetti di legge n. 62/1 (24 ottobre 2006) del Servizio studi.

[15]   L. 5 ottobre 1993, n. 409, Integrazione dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

[16]   L. 11 agosto 1984, n. 449, Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese.

[17]   L. 22 novembre 1988, n. 516, Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno.

[18]    Come si dirà, l’accertamento del “carattere confessionale” è necessario, ai sensi dell’art. 18, ai fini del riconoscimento della personalità giuridica di una confessione o del suo ente esponenziale.

[19]    Cfr. F. Finocchiaro, Art. 19, in: “Commentario della Costituzione”, a cura di G. Branca, artt.13-20, 1977, p. 242, ed autori ivi citati.

[20]   L. 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.

[21]   D.L. 26 aprile 1993, n. 122 (convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205), Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa.

[22]   D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[23]    La Carta dei diritti è stata inserita nel corpo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato dall’Italia con legge 7 aprile 2005, n. 57. Com’è noto, il Trattato non è entrato in vigore: a seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi, si è aperto in ambito comunitario un periodo di riflessione sul futuro costituzionale dell’ Unione europea.

[24]   D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

[25]   D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

[26]   A proposito del quale si veda anche il D.P.C.M. 11 dicembre 2003, Costituzione e organizzazione interna dell'Ufficio per la promozione della parita' di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, di cui all'art. 29 della legge comunitaria 1° marzo 2002, n. 39.

[27]   D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali.

[28]   L. 8 luglio 1998 n. 230, Nuove norme in materia di obiezione di coscienza.

[29]   Il processo di professionalizzazione delle Forze armate è stato avviato dalla legge 14 novembre 2000, n. 331 e dal decreto delegato n. 215/2001. Successivamente tale processo è stato ulteriormente accelerato, anticipando la data di sospensione della leva obbligatoria (al 1° luglio 2005), con l’intento di rispondere alla necessità sempre più avvertita di assicurare alti livelli di specializzazione ed efficienza, anche in rapporto al maggiore coinvolgimento, qualitativo e quantitativo, dei nostri militari nello scenario internazionale.

[30]   L. 22 maggio 1978 n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza.

[31]   

[32]   L. 1 giugno 1961 n. 512, Stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell'assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato.

[33]   D.Lgs. 30 dicembre 1997 n. 490, Riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli ufficiali, a norma dell'articolo 1, comma 97, della L. 23 dicembre 1996, n. 662.

[34]   L. 2 aprile 1958 n. 339, Per la tutela del rapporto di lavoro domestico.

[35]   L. 11 maggio 1990 n. 108, Disciplina dei licenziamenti individuali.

[36]    Come già osservato, tale disposizione non si applica ai dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che con riferimento a finalità di natura esclusivamente religiosa hanno contatti regolari con le medesime confessioni, che siano trattati dai relativi organi o enti civilmente riconosciuti, sempre che i dati non siano diffusi o comunicati fuori delle medesime confessioni (art. 26, D.Lgs. 196/2003).

[37]   D.Lgs. 1 settembre 1998, n. 333, Attuazione della direttiva 93/119/CE relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l'abbattimento.

[38]   R.D. 28 febbraio 1930 n. 289, Norme per l'attuazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato.

[39]   L. 24 giugno 1929, n. 1159, Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi,

[40]    D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado“.

[41]    “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

[42]   L. 15 marzo 1997 n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[43]    D.M. 1 febbraio 2001, n. 44, “Regolamento concernente le «Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche”.

[44]    D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, “Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto (n. 17 dell'allegato 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59)”.

[45]    Con riguardo ai pareri obbligatori del Consiglio di Stato, si veda però infra.

[46]   L. 12 gennaio 1991, n. 13, Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica.

[47]    Il comma 2 recita: “L'elencazione degli atti di competenza del Presidente della Repubblica, contenuta nel comma 1, è tassativa e non può essere modificata, integrata, sostituita o abrogata se non in modo espresso”.

[48]    L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

[49]   D.P.R. 13 settembre 2005 n. 296, Regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato.

[50]    D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.

[51]   L. 23 dicembre 1999 n. 488, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 2000).

[52]   L. 22 dicembre 1973, n. 903, Istituzione del Fondo di previdenza del clero e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e nuova disciplina dei relativi trattamenti pensionistici.

[53]    La norma, dunque, è diretta sia alle confessioni che hanno stipulato intese, sia a quelle che non lo hanno fatto.