Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Titolo: Piano energetico nazionale e nuovi impianti nucleari - A.C. 2211
Riferimenti:
AC n. 2211/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 255
Data: 02/10/2007
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

Piano energetico nazionale
e nuovi impianti nucleari

A.C. 2211

 

n. 255

 

2 Ottobre 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Attività produttive

 

SIWEB

 

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File: AP0183.doc

 

 

 

 

 


INDICE

Scheda di sintesi

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  5

Elementi per l’istruttoria legislativa  6

§      Necessità dell’intervento con legge  6

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  6

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali9

§      Compatibilità comunitaria  11

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  14

§      Formulazione del testo  16

Schede di lettura

§      Art. 1 (Finalità)23

§      Art. 2 (Principi del piano energetico nazionale)26

§      Art. 3 (Partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla produzione energetica nazionale)29

§      Art. 4 (Individuazione dei siti destinati all’insediamento di impianti nucleari)34

§      Art. 5 (Autorizzazione per la costruzione e per l’esercizio di impianti nucleari)36

§      Art. 6 (Procedura per il rilascio dell’autorizzazione)38

§      Art. 7 (Messa in esercizio degli impianti nucleari)41

§      Art. 8 (Garanzia contro i rischi e copertura assicurativa)43

§      Art. 9 (Incentivi alla costruzione di nuovi impianti nucleari)49

§      Art. 10 (Deposito unico nazionale)51

§      Art. 11 (Impianti, infrastrutture e opere di interesse nazionale)57

§      Art. 12 (Modalità di esercizio del potere sostitutivo)58

§      Art. 13 (Copertura finanziaria)61

Progetto di legge

§      A.C.2211, (on.Urso ed altri), Disposizioni per la formulazione del piano energetico nazionale e per la realizzazione di nuovi impianti nucleari65

Normativa nazionale

§      L. 5 agosto 1978, n. 468 Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (Art. 11, co. 3 lettera d))85

§      L. 7 agosto 1990, n. 241 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (Artt. 14-21)87

§      D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230 Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti (Si omettono gli allegati)104

§      D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali (Art. 8)190

§      D.L. 14 novembre 2003, n. 314 Disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi (Artt. 1 e 2)192

Dottrina

§      E. D’Angelo, L. Coralli, A. Mori, “Piani energetici regionali: indicatori e obiettivi” in Energia, ambiente e innovazione, marzo-aprile 2004  197

§      M. Lucani, “Art. 75, Il Referendum abrogativo” in Commentario della Costituzione, La formazione delle leggi, Tomo I, 2, 2005 (Stralcio)212

Dati statistici

§      Ministero dello Sviluppo Economico  235

§      Autorità per l’energia elettrica e il gas  244

§      Terna, Spa  258

 


Scheda di sintesi

per l’istruttoria legislativa

 


 

Dati identificativi

Numero del progetto di legge

A.C. 2211

Titolo

Disposizioni per la formulazione del piano energetico nazionale e per la realizzazione di nuovi impianti nucleari

Iniziativa

On. Urso ed altri

Settore d’intervento

Energia

Iter al Senato

No

Numero di articoli

13

Date

 

§       presentazione alla Camera

2 febbraio 2007

§       annuncio

5 febbraio 2007

§       assegnazione

11 aprile 2007

Commissione competente

X Commissione (Attività Produttive)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari costituzionali)

III Commissione (Affari esteri e comunitari)

IV Commissione (Difesa)

V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione)

VI Commissione (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria)

VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento)

XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea)

Commissione parlamentare per le questioni regionali

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

La proposta di legge AC 2211 (on.Urso e altri) detta disposizioni per la formulazione del Piano energetico nazionale e per la realizzazione di nuovi impianti nucleari.

Il provvedimento si compone di 13 articoli.

L’articolo 1 individua le finalità del provvedimento, consistenti nel favorire e incentivare l’uso e la produzione razionale dell’energia e delle materie prime energetiche.

L’articolo 2 definisce i principi per la formulazione del Piano energetico nazionale.

L’articolo 3 prevede che le regioni e le province autonome contribuiscano alla produzione energetica nazionale per una quota minima del 20% del fabbisogno nazionale, con esclusione  dell’energia nucleare.

L’articolo 4 disciplina l’individuazione dei siti destinati all’insediamento di impianti nucleari.

L’articolo 5 prevede che l'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile è rilasciata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, L’articolo 6 disciplina il procedimento e l’istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti nucleari.

L’articolo 7 disciplina la messa in esercizio degli impianti nucleari, autorizzata con decreto del Ministro dello sviluppo economico subordinatamente:

L’articolo 8 disciplina la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla gestione di impianti di produzione di energia elettrica.

L’articolo 9 introduce incentivi alla costruzione di impianti nucleari.

L’articolo 10 disciplina il deposito unico nazionale.

L’articolo 11 introduce norme volte a promuovere e semplificare la realizzazione di impianti e infrastrutture energetici nei territori delle regioni e delle province autonome.

L’articolo 12 definisce le modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo nel caso in cui non vengano raggiunti gli accordi o le intese con le regioni previsti dal provvedimento

L’articolo 13 reca le norme di copertura finanziaria.

 

Relazioni allegate

Al progetto di legge è allegata la relazione illustrativa.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

L’intervento con legge si rende necessario in quanto il provvedimento interviene in materia disciplinata da fonti primarie.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

In base all'art. 117, comma 3, della Costituzione, la materia della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia” è compresa tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni.

 

Al riguardo merita ricordare che l’articolo 117, comma 6, della Costituzione, dispone che “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni. La potestà regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia”.

 

Considerando taluni profili del provvedimento, inoltre, appare possibile fare riferimento anche a talune materie di competenza esclusiva statale.

In particolare, appare possibile fare riferimento alle materie:

·       tutela dell’ambiente” (di cui all’art. 117, comma 2, lettera s)),per quanto concerne le finalità generali del provvedimento, tra le quali si può individuare quella di ridurre le emissioni attraverso la diversificazione delle fonti energetiche;

·       sicurezza dello Stato” (di cui all’art. 117, comma 2, lettera d)),in quanto si propone di ridurre la dipendenza energetica dall’estero;

·       ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici” (di cui all’art. 117, comma 2, lettera g)),per quanto concerne i compiti affidati all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT);

·       sistema tributario” (di cui all’art. 117, comma 2, lettera e)),per quanto concerne l’esenzione dall’ICI e dalla TARSU a favore dei residenti in territori che ospitano impianti nucleari.

 

Con riferimento alla materia dell’energia si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 6 del 2004, ha dichiarato la legittimità costituzionale di una normativa statale di dettaglio[1] in materia di energia, applicando il principio elaborato nella sentenza n. 303 del 2003.

A partire da tale sentenza, la Corte costituzionale ha dato, infatti, un'interpretazione dinamica dell'attribuzione di funzioni amministrative di cui al primo comma dell'art. 118 della Costituzione. Tale articolo prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello diverso di governo per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. L'allocazione delle funzioni amministrative ha riflessi anche sulla distribuzione delle competenze legislative. Infatti il principio di legalità di cui all'art. 97 Cost. impone che le funzioni amministrative siano organizzate e regolate dalla legge. Allora l'attrazione allo Stato delle funzioni amministrative comporta la parallela attrazione della funzione legislativa.

Pertanto anche se – sulla base di un’interpretazione strettamente letterale del dettato costituzionale - in una materia di competenza concorrente come l'energia, lo Stato dovrebbe limitarsi a stabilire i principi fondamentali, in virtù della capacità ascendente del principio di sussidiarietà, la normativa statale può anche presentare norme di dettaglio. La valutazione della necessità del conferimento di funzioni amministrative ad un livello superiore rispetto a quello comunale (cui spetterebbero tali funzioni in base all'art. 118, co. 1) spetta al legislatore statale ma deve essere proporzionata, non irragionevole e operare nell'ambito di un accordo con le regioni interessate.

In particolare, la sentenza 6/2004 ha fissato le condizioni per il funzionamento del “principio di sussidiarietà ascendente”: perché la legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che:

1. rispetti i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni;

2. detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni;

3. risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine;

4. risulti adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o ( comunque)

5. preveda adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali.

 

Tale impostazione è stata confermata dalla successiva sentenza n. 383 del 2005. Con tale sentenza è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge n. 239 del 2004 di riordino del settore energetico nonché del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2003, n. 290.

Il filo conduttore della sentenza è la ricognizione, ai sensi dei principi affermati nella precedente sentenza n. 6/2004, dei requisiti necessari ad assicurare in concreto, in relazione alle disposizioni oggetto di impugnazione, la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione. In questa ottica la Corte ha dichiarato incostituzionali numerose disposizioni del D.L. n. 239/2003, nella parte in cui non prevedevano che i poteri attribuiti agli organi statali dovessero essere esercitati d’intesa, a seconda dei casi, con la Conferenza Unificata Stato regioni e Stato-città di cui all’art. 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, oppure direttamente con le Regioni e le Province interessate. Particolare rilievo assume poi la definizione da parte della Corte delle caratteristiche che le intese in questione debbono assumere, con la sottolineatura del carattere necessariamente paritario delle stesse.

Secondo la Corte: "[t]ali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la“chiamata in sussidiarietà” di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese “in senso forte”, ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell'intesa, la volontà della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l'unico attore di una fattispecie che, viceversa, non può strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale. L'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potrà certamente ispirare l'opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni".

Con la sentenza n. 133 del 2006, la Corte costituzionale ha esaminato la legittimità di una norma della legge finanziaria per il 2005[2] che istituiva per l'anno 2005 un fondo per il cofinanziamento di studi e ricerche nel campo ambientale e delle fonti di energia rinnovabile. La Corte ne ha dichiarato l'illegittimità nella parte in cui non prevede che la sua attuazione e l'erogazione delle risorse avvengano d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Secondo la Corte occorre fare applicazione del principio di leale collaborazione nella fase di attuazione della disposizione e di erogazione delle risorse. Ciò in quanto la ricerca scientifica, alla cui promozione il Fondo è destinato, ha ad oggetto l’ambiente, materia di competenza esclusiva statale, ma anche la produzione di energia, materia di competenza ripartita.

 

Merita ricordare, infine, che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune leggi regionali volte a “denuclearizzare” i rispettivi territori, ossia a vietare la presenza (anche transitoria) e il transito di materiali nucleari non prodotti nella regione. Si tratta della sentenza n.62/2005 (relativa alle leggi della regione Sardegna n.8/2003, della regione Basilicata n.31/2003 e della regione Calabria n.26/2003) e della sentenza n.247/2006 (relativa alla legge della regione Molise n.22/2005).

 

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Il provvedimento va valutato in relazione al fatto che tende al sostanziale ripristino di una normativa oggetto di abrogazione referendaria.

 

La legislazione che consentiva la realizzazione di impianti nucleari è stata oggetto di tre referendum abrogativi, svoltisi l’8-9 novembre 1987. In particolare, l’effetto abrogativo ha riguardato:

·       le norme per l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni che siano sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi;

·       la disposizione in base alla quale nel caso in cui non fosse tempestivamente perfezionata la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento è effettuata dal CIPE;

·       l'attribuzione all'ENEL della facoltà di promuovere la costituzione di società con società o enti stranieri o di assumervi partecipazioni, al fine di realizzare o gestire impianti elettronucleari.

Alla consultazione referendaria ha partecipato il 65,1 degli aventi diritto.

I risultati dei tre referendum sono stati, rispettivamente:

1)    Contributi per gli enti locali: Sì 80,6%, No 19,4%;

2)    Localizzazione impianti :Sì 79,7%, No 20,3%;

3)    Società con enti stranieri: Sì 71,9% No 28,1%.

 

La possibilità di ripristino, in via legislativa, della normativa abrogata in via referendaria è oggetto di talune pronunce della Corte costituzionale e di un articolato dibattito dottrinale.

Per quanto concerne la giurisprudenza costituzionale, si evidenzia che la Corte in varie pronunce ha stabilito il divieto di ripristino, senza peraltro definirne in termini esatti portata e limiti. In particolare, nella sentenza n.468/1990, la Corte ha affermato, con particolare nettezza, che la caducazione referendaria non potrebbe consentire al legislatore “la scelta politica di far rivivere la normativa ivi contenuta”, anche solo a titolo transitorio. Infatti, “a differenza del legislatore che può correggere o addirittura disvolere quanto ha in precedenza statuito, il referendum manifesta una volontà definitiva e irripetibile”. Nella sentenza n.32/1993 la Corte ha affermato che il legislatore può “correggere, modificare o integrare la disciplina residua”, risultante dall’abrogazione referendaria, “nei limiti del divieto di formale e sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare”. Nella sentenza n.33/1993 la Corte ha affermato che “il legislatore ordinario […] pur dopo l’accoglimento della proposta referendaria, conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata”. Infine, nell’ordinanza n.9/1997, la Corte ha chiarito che “la normativa successivamente emanata dal legislatore è pur sempre soggetta all'ordinario sindacato di legittimità costituzionale, e quindi permane comunque la possibilità di un controllo di questa Corte in ordine all'osservanza - da parte del legislatore stesso - dei limiti relativi al dedotto divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare”.

 

Per quanto concerne il dibattito dottrinale sull’argomento, sono state avanzate – con una vasta gamma di argomentazioni - varie tesi[3].

Da un lato vi sono quanti negano l’esistenza di un divieto di ripristino in via legislativa della normativa abrogata in via referendaria, osservando – nella sostanza – che il referendum è una fonte primaria, per cui nulla esclude che i suoi effetti normativi possano essere modificati o rimossi da altre fonti primarie (Luciani, Mortati, Pizzorusso, Zagrebelsky, Pinardi).

Dall’altro vi sono quanti – facendo leva sul combinato disposto dell’articolo 1, comma 2[4], e dell’articolo 75 della Costituzione – affermano l’esistenza, in via di principio, di un divieto di ripristino in via legislativa della normativa abrogata in via referendaria. Assai variegate, peraltro, sono le posizioni con riguardo ai limiti temporali del divieto di ripristino.

In particolare, si è affermato che il divieto varrebbe:

·       fino a una nuova consultazione popolare dalla quale emerga un mutato avviso dell’elettorato (Siclari, Ferri);

·       rebus sic stantibus, ossia solo fino a quando non muta il contesto di fatto nel quale la volontà referendaria è stata manifestata (Tosato, Galeotti, Pace, Roversi-Monaco, Scoca, Razzano);

·       per cinque anni (applicando per analogia il divieto di riproposizione per 5 anni delle richieste referendarie non approvate, previsto dall’articolo 38 della legge n.352/1970) (Greca);

·       unicamente nella legislatura nella quale si è svolto il referendum (Manzella, Paladin, Mangia, Veronesi, Cuocolo).

 

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

Il provvedimento non presenta profili di incompatibilità con la normativa comunitaria, la quale, per quanto concerne l’energia nucleare, prevede una articolata disciplina in materia di tutela dei lavoratori, della popolazione e delle persone dalle radiazioni ionizzanti, nonché di controllo delle spedizioni transfrontaliere di requisiti radioattivi.

 

Si tratta delle direttive EURATOM 80/836, 84/466, 84/467, 89/618, 90/461, 92/3 e 96/29, recepite nell’ordinamento nazionale con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n.230.

Da ultimo si segnala la direttiva EURATOM 2006/117, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito, il cui termine di recepimento scade 25 dicembre 2008.

Per una più dettagliata esposizione della normativa comunitaria vigente in materia di rifiuti radioattivi si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 10.

Procedure di contenzioso in sede comunitaria

Il 5 luglio 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato   per essere venuta meno agli obblighi imposti dalla direttiva 96/29/Euratom, che stabilisce le norme di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti e dalla direttiva 89/618/Euratom, concernente l’informazione della popolazione sui provvedimenti di protezione sanitaria applicabili e sul comportamento da adottare in caso di emergenza radioattiva. La Commissione, in particolare, contesta all’Italia di non aver adottato i decreti di attuazione necessari a garantire un’effettiva applicazione delle due direttive in esame .

 

Documenti all’esame delle istituzioni europee

Il piano d’azione per l’energia

Il Consiglio europeo dell’8-9 marzo 2007 ha approvato un piano d’azione in materia di politica energetica europea per il periodo 2007-2009, sulla base di quanto prospettato dal pacchetto energia, presentato dalla Commissione il 10 gennaio 2007 .

Il piano comprende un insieme di azioni prioritarie che potrebbero contribuire al raggiungimento dei tre obiettivi della politica energetica europea, già prospettati nel Libro verde sull’energia presentato dalla Commissione nel marzo 2006 :

•      aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento;

•      garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili;

•      promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici.

L’ obiettivo strategico per la politica energetica europea è di ridurre almeno del 20%, entro il 2020, le emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell’UE rispetto ai livelli del 1990, all’interno di un’azione internazionale volta a raggiungere l’obiettivo di ridurre del 30 % le emissioni di gas serra a livello globale, di cui l’UE deve farsi promotrice.

Per quanto riguarda specificamente l’energia nucleare, il piano d’azione ribadisce che la politica energetica europea rispetterà appieno la scelta degli Stati membri riguardo al mix energetico. In particolare, il Consiglio europeo:

•      prende atto della valutazione effettuata dalla Commissione  riguardo al contributo che l'energia nucleare può dare per far fronte alle crescenti preoccupazioni inerenti la sicurezza dell'approvvigionamento energetico e la necessità di ridurre le emissioni di CO2; tale contributo può essere dato mantenendo la sicurezza e la protezione nucleare al centro del processo decisionale;

•      conferma che spetta a ciascuno Stato membro decidere se fare affidamento o meno sull'energia nucleare; il Consiglio europeo prenderà in considerazione la creazione di un gruppo ad alto livello sulla sicurezza nucleare e la gestione dei rifiuti;

•      propone che si svolga fra tutte le parti interessate un'ampia discussione sulle opportunità e sui rischi dell'energia nucleare.

 

Altre proposte

L’8 settembre 2004 la Commissione ha presentato due proposte  modificate di direttiva (COM(2004)526) intese a dotare l’Unione europea allargata di una legislazione vincolante nel settore della sicurezza delle installazioni nucleari e della gestione dei rifiuti, al fine di mantenere un elevato livello di sicurezza nucleare al proprio interno. Le due proposte, che modificano due precedenti presentate dalla Commissione nel 2003, riguardano:

•      la definizione degli obblighi fondamentali e dei principi generali nel settore della sicurezza degli impianti nucleari.

La proposta prevede, tra l’altro, l’istituzione in ciascuno Stato membro di un’autorità di regolamentazione responsabile della sicurezza degli impianti nucleari e dell’effettiva attuazione delle norme di sicurezza. Tali autorità nazionali andrebbero a comporre un Comitato delle autorità di regolamentazione a livello europeo;

•      la gestione sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.

La proposta intenderebbe vincolare gli Stati membri, tra l’altro, alla elaborazione di programmi nazionali di gestione di tali rifiuti, ben definiti e che includano un calendario per il deposito definitivo dei rifiuti radioattivi.

Le due proposte sono tuttora in attesa di una decisione finale da parte del Consiglio, nell’ambito della procedura di consultazione.

Il Consiglio ambiente del 28 giugno 2004, infatti, ha sottolineato l’importanza del principio della responsabilità nazionale per quanto concerne la sicurezza degli impianti nucleari, discostandosi in tal modo dalla posizione della Commissione – sostenuta dal Parlamento europeo - che invece ribadisce la necessità di “comunitarizzare” le norme esistenti.

 

Il 24 ottobre 2006 la Commissione ha adottato una raccomandazione sull’uso efficiente dei fondi per la dismissione dei siti nucleari (decommissioning) (C(2006)3672).

La raccomandazione intende garantire la disponibilità delle risorse finanziarie e la loro effettiva destinazione alle attività di decommissioning degli impianti nucleari, rispondendo alle preoccupazioni evidenziate dal Parlamento europeo. Il PE, infatti, ha sostenuto che la varietà dei metodi adottati per finanziare tali attività può comportare il rischio di distorsioni della concorrenza e di discriminazioni tra i produttori di energia nucleare, con possibili ricadute nel contesto del mercato interno dell’energia elettrica.

La raccomandazione prevede l’istituzione di organismi regolatori nazionali indipendenti, nel rispetto del principio di sussidiarietà nel campo della sicurezza nucleare: la responsabilità ricadrebbe sui proprietari delle licenze sotto la supervisione degli organismi regolatori nazionali. La Commissione è altresì impegnata a  creare un gruppo permanente di esperti nazionali e a pubblicare un rapporto annuale sull’efficienza dell’uso dei fondi per il decommissioning in tutti gli Stati interessati.

 

Si ricorda, infine, che il 21 settembre 2007 è stata lanciata una piattaforma tecnologica per l’energia nucleare sostenibile.

Nel quadro della realizzazione della strategia di Lisbona le piattaforme tecnologiche europee sono considerate di fondamentale importanza in quanto consentono di creare un quadro di riferimento per poter allineare le priorità della ricerca UE con le necessità dell’industria. Le piattaforme tecnologiche perseguono l’obiettivo di assicurare che la conoscenza generata dalla ricerca sia convertita prima in tecnologie e processi, quindi in prodotti e servizi commercializzabili.

Le piattaforme tecnologiche europee operano, essenzialmente, in tre fasi:

•      concordano una visione comune rispetto alla tecnologia in esame;

•      definiscono un’agenda strategica per la ricerca in modo da delineare gli obiettivi di ricerca e sviluppo tecnologico a medio e lungo termine;

•      applicano l’agenda strategica mobilitando, in tal modo, ingenti risorse umane e finanziarie.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Riflessi sulle autonomie e sulle altre potestà normative

Si fa presente che l’adozione di un nuovo Piano energetico nazionale, volto a consentire il raggiungimento in 20 anni dell’obiettivo di un’autonomia della produzione energetica pari ad almeno il 50% del consumo nazionale, nonché l’assegnazione di quote produttive regionali e la conseguente conformazione dei Piani energetici regionali, comporterà una riduzione dell’autonomia delle regioni nella definizione delle proprie politiche energetiche.

Attribuzione di poteri normativi

L’articolo 9, comma 1, prevede che con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentiti il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze e l'APAT, sono determinate speciali misure di incentivazione da assegnare ai nuclei familiari, agli individui e alle imprese residenti in comuni ospitanti impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile. Il medesimo comma, inoltre, rinvia a un ulteriore DM dello sviluppo economico la determinazione delle somme equivalenti ai minori introiti derivanti dall’esenzione ICI e TARSU da versare ai Comuni ospitanti impianti di produzione di energia nucleare ad uso civile.

 

L’articolo 10, comma 1, rimette a un decreto interministeriale l’individuazione del sito del deposito unico nazionale.

 

L’articolo 11, comma 2, rimette a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata, l’adozione del Piano degli impianti, delle infrastrutture e delle opere di interesse nazionale che le regioni e le province autonome sono tenute ad ospitare sul loro territorio.

 

L’articolo 12, comma 2, rimette a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentiti l’APAT, l’ENEA  e il CNR, l’individuazione dei siti destinati agli impianti di energia nucleare nel caso in cui non si raggiunga l’accordo con le regioni per la produzione delle quote di energia di loro competenza (potere sostitutivo).

Coordinamento con la normativa vigente

All’articolo 10, In considerazione della funzione del deposito unico nazionale di sistemazione definitiva anche dei rifiuti di II categoria, occorre valutare se procedere all’abrogazione espressa dell’articolo 1, comma 100, della legge n. 239 del 2004, che estende le procedure di cui all'articolo 1, comma 1, del DL n. 314 del 2003 all’individuazione del sito per la sistemazione definitiva di tale categoria di rifiuti.

Inoltre, in considerazione dei rinvii all’articolo 1, comma 1, del richiamato decreto-legge, contenuti sia in altre disposizioni del medesimo decreto-legge sia nella legge n. 239 del 2004, occorre valutare se - piuttosto che prevedere la soppressione di tale disposizione - formulare i commi 1 e 2 dell’articolo in commento quali novelle alla medesima.

Collegamento con lavori legislativi in corso

Per quanto concerne la materia dell’energia, si segnala il disegno di legge AS n. 691[5], attualmente in attesa di essere esaminato dall'Assemblea del Senato. Il ddl, recante un’ampia delega al Governo per il completamento della liberalizzazione dei settori dell’energia elettrica e del gas, nonché per il rilancio del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili, in attuazione delle direttive comunitarie 2003/54/CE, 2003/55/CE e 2004/67/CE, è stato presentato, in prima lettura, in Senato il 23 giugno 2006 ed assegnato in sede referente, in data 13 luglio 2006, alla X Commissione Industria, che ne ha concluso l'esame il 9 maggio 2007. In particolare, l'articolo 1 del disegno di legge prevede una delega per completare il processo di liberalizzazione dei settori dell’energia elettrica e del gas naturale e definire conseguentemente gli aspetti connessi della normativa, ivi compresi l’assetto e le competenze delle società pubbliche. L'articolo 2 prevede una delega per il rilancio del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili. Gli articoli 3 e 4 sono stati soppressi dalla Commissione. L'articolo 5 (conseguentemente divenuto articolo 3 dell'A.S. n. 691-A) prevede una ridefinizione dei poteri dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, mentre l'articolo 6 (divenuto articolo 4 dell'A.S. n. 691-A) dispone una serie di abrogazioni. Alcune disposizioni contenute del disegno di legge, concernenti in particolare le tematiche del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili, hanno trovato anticipazione nella legge finanziaria per il 2007.

 

Per quanto concerne le valutazione di impatto ambientale (VIA) (prevista all’articolo 6, comma 5) si segnala che è stato assegnato alla Commissione ambiente lo schema didecreto legislativo correttivo del codice ambientale, il cui esame non è ancora iniziato. Esso contiene un’integrale riscrittura della richiamata Parte seconda in materia di VIA, VAS e IPCC al fine - esplicitato nella relazione illustrativa - di “porre rimedio alle violazione della normativa comunitaria dovute all’errato o incompleto recepimento delle disposizioni in materia di VIA, VAS e IPCC, nonché di accesso alle informazioni e di partecipazione pubblica (Convenzione di Aarhus) con specifico riferimento alle procedure di VIA e di VAS operate dal decreto n. 152”.

In base alla disciplina contenuta nella legge delega per l’adozione di decreti correttivi al codice ambientale, il Governo entro quarantacinque giorni dalla data di espressione del parere, dovrà nuovamente trasmettere il testo alle Camere per il parere definitivo.

Formulazione del testo

All’articolo 2 appare opportuno definire le procedure per la formazione del Piano energetico nazionale .

 

All’articolo 3, comma 3, ove si prevede la consultazione del Consiglio delle autonomie locali, si fa presente che trattasi di un organismo che al momento risulta essere previsto soltanto in alcune regioni.

 

All’articolo 6, comma 5, non appare chiaro se il completamento dell’istruttoria con la procedura di valutazione dell’impatto ambientale si riferisca al completamento ovvero – come sembra più probabile - all’attivazione della procedura di VIA.

 

All’articolo 8, comma 2, andrebbe meglio chiarita la natura dei rischi la cui copertura è rimessa alla SACE Spa. Dalla formulazione della norma, infatti, sembrerebbe che questa sia limitata ai rischi relativi alla sola fase di costruzione degli impianti, e non anche a quella di gestione dei medesimi. Inoltre, andrebbero esplicitati i criteri in base ai quali accertare il verificarsi del presupposto individuato dalla norma, consistente nel fatto che i nuovi impianti “accrescono la competitività internazionale delle attività produttive italiane”.

 

All’articolo 9 andrebbe chiarito il significato del duplice riferimento ai “nuclei familiari” e agli “individui”.


LA MORATORIA NUCLEARE

 

Gli sviluppi della politica energetica nucleare in Italia a seguito del referendum abrogativo del 1987.

 

Nel novembre del 1987 nel nostro Paese si teneva un referendum che prevedeva l'abrogazione, seppur parziale, di norme relative alla localizzazione, alla costruzione e al potenziamento di centrali nucleari (L. n. 8/1983 recante "Norme per l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi" e L. 856/73 recante "Modifiche all'articolo 1, comma settimo, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, sulla istituzione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica"). A seguito dell'esito del referendum, con il quale si constatava la volontà popolare di non proseguire sulla strada dello sviluppo energetico attraverso l'impiego dell'energia nucleare, in seno al Parlamento si apriva un dibattito.

Nella seduta del 17 dicembre 1987, nel corso della discussione su comunicazioni del Governo e su alcune mozioni e interpellanze concernenti, appunto, gli impianti nucleari, alla Camera dei deputati veniva presentata, unitamente ad altre, una risoluzione 6-00018 (a firma degli onn. Martinazzoli e altri) sulla quale veniva posta la questione di fiducia. La risoluzione, approvata nella successiva seduta del 18 dicembre, prendendo atto dei risultati della Conferenza nazionale sull'energia, tenutasi a Roma tra il 24 e il 27 febbraio 1987, e degli esiti del referendum sulla sospensione dei programmi elettronucleari, impegnava il Governo a redigere un nuovo Piano energetico nazionale, e individuava tra i criteri cui attenersi nella predisposizione del documento di pianificazione energetica la definizione di un programma di investimenti da effettuarsi nei successivi cinque anni che, oltre a tener conto della sicurezza, non prevedesse la realizzazione di nuove centrali nucleari a fissione (Il nuovo Piano energetico sarebbe poi stato approvato dal Consiglio dei ministri il 10 agosto 1988).

Riguardo poi alle centrali elettronucleari la risoluzione Martinazzoli impegnava il Governo a procede alla chiusura degli impianti di Latina, ad accertare la sicurezza e il funzionamento degli impianti di Caorso e di Trino 1, a sospendere la costruzione della centrale di Trino 2, a verificare, attraverso un'apposita Commissione nominata dal Ministro dell'industria, le possibilità tecniche e la convenienza economica della riconversione della centrale nucleare di Montalto di Castro (Si tratta della Commissione presieduta dal prof. Spaventa incaricata con decreto 12/1/1988).

Relativamente a Montalto di Castro si osserva che precedentemente al dibattito parlamentare e a seguito dell'esito del referendum abrogativo il CIPE, con due successive deliberazioni adottate rispettivamente in data 27 novembre e 2 dicembre 1987, aveva provveduto a disporre la sospensione dei lavori della centrale nucleare. La definitiva interruzione dei lavori, nonché la riconversione dell'impianto veniva successivamente disposta dal DL n. 522/ 1988 (che reiterava due precedenti decreti), convertito nella L. n. 42/1989.

Per quanto concerne poi le rimanenti centrali nucleari in funzione e in costruzione nel nostro Paese al momento del referendum (Latina, Caorso, Trino Vercellese) si ricorda che successivamente all'approvazione della risoluzione Martinazzoli venivano adottati dal CIPE alcuni provvedimenti, di seguito elencati,  che ne decretavano la chiusura:

- deliberazione CIPE 23 dicembre 1987 con la quale si disponeva la chiusura della centrale  elettronucleare di Foce Verde (Latina);

- deliberazione CIPE 23 dicembre 1987 con la quale si disponeva la sospensione dei lavori per la costruzione della centrale elettronucleare denominata Trino 2 e localizzata nel comune di Trino Vercellese ;

- deliberazione CIPE 26 luglio 1990 con la quale si disponeva la chiusura definitiva delle centrali elettronucleari di Caorso e di Trino Vercellese.

Precedentemente all'adozione di quest'ultima deliberazione, la questione relativa alla chiusura delle centrali di Caorso e di Trino, era stata discussa presso la Camera dei deputati nella seduta del 12 giugno 1990 nel corso della quale si era proceduto all'approvazione della mozione 1-000383(Bianchini ed altri). La mozione discussa assieme ad altre relative alla medesima questione, impegnava il Governo a chiudere definitivamente le centrali di Caorso e di Trino Vercellese, a porle in stato di vigilanza controllata e a predisporre per entrambe i piani di decommissioning. Inoltre, impegnava il Governo ad accelerare e ad incrementare l'impegno di ricerca nel campo dei reattori nucleari intrinsecamente sicuri e nella fusione nucleare, e anche ad affidare all'ENEL lo studio di progetti di installazione nei siti delle due centrali di impianti sostitutivi, realizzati con tecnologie ad elevata compatibilità ambientale.

 

Il nuovo Piano energetico nazionale, recependo la moratoria nucleare concernente la costruzione di centrali, sottolineava l'esigenza di esplorare nuove alternative in grado di consentire, in futuro, un rilancio del nucleare nel nostro Paese. Veniva pertanto evidenziata l'esigenza di potenziare la ricerca con lo scopo di individuare soluzioni impiantistiche innovative aventi caratteristiche di elevata sicurezza intrinseca e passiva. In tale nuovo contesto veniva a rivestire un ruolo di rilievo l'ENEA chiamata a coordinare la propria attività con altri organismi non solo nel campo dell'energia nucleare da fissione, ma anche in quello della fusione, campo nel quale nel 1983 ha ricevuto dal CIPE compiti di coordinamento delle attività che sono condotte nell'ambito di un contratto di Associazione tra ENEA ed EURATOM.

Per quanto riguarda l'energia da fissione nucleare si ricorda che in attuazione del PEN veniva istituito un Comitato di indirizzo costituito da rappresentanti di ENEA, ENEL e Industria. Il Comitato nel 1989 presentava al Ministro dell'industria un programma di attività con  cui si individuavano i principali obiettivi di sicurezza. Il successivo piano quinquennale dell'ENEA 1990-94 si atteneva alle indicazioni del PEN e del Comitato suddetto. Successivamente il CIPE, con la delibera del 26 luglio 1990 di approvazione del Piano, sanciva le linee-guida per il programma nazionale di ricerca sui reattori nucleari di nuova concezione. Il "Piano triennale ENEA 1993-1995", approvato dal CIPE con Delibera 30 novembre 1993, non conteneva indicazioni specifiche sulla ripresa, dopo la moratoria di cinque anni, della costruzione di impianti a fissione nucleare. Il programma si limva ad indicare negli impianti di tipo innovativo la prospettiva per una possibile ripresa del nucleare nel nostro paese.

Diverso è invece il discorso per quanto concerne la ricerca per l'energia da fusione nucleare la quale, al contrario della fissione, è anche finanziata dall'EURATOM. Nell'ambito della ricerca per la fusione ricordiamo il progetto IGNITOR per la realizzazione di una macchina sperimentale per la fusione nucleare i cui studi preliminari risalgono al 1981. Nell'aprile del 1988 veniva stipulato un accordo di progettazione esecutiva dell'impianto sperimentale tra l'ENEA e un consorzio FIAT-Ansaldo i cui lavori sono stati sottoposti al vaglio dell'EURATOM per ottenere l'assegnazione di un contributo.

Il progetto è ad oggi sostanzialmente “fermo” in attesa di una decisione politica. Il sito ad oggi “individuato” per l'eventuale costruzione di IGNITOR è il sito Terna-Enel di Rondissone (Piemonte) a circa 30Km da Torino e nelle vicinanze del centro ENEA di Saluggia (IGNITOR richiede infatti la disponibilità di oltre 1.000 MW di potenza elettrica, richiesta non banale da soddisfare). Un sito alternativo è quello della centrale nucleare (in corso di smantellamento) di Caorso in provincia di Piacenza.

 


Schede di lettura

 


Art. 1
(Finalità)

L’articolo 1 individua le finalità del provvedimento, consistenti nel favorire e incentivare l’uso e la produzione razionale dell’energia e delle materie prime energetiche.

Per produzione razionale di energia si intende quella che si avvale di tecnologie consolidate e sperimentate, utilizzate in modo proporzionale alle loro potenzialità e alla sicurezza di erogazione energetica e in modo inversamente proporzionale ai rispettivi costi di investimento

A tal fine, si propone di realizzare, tenendo conto dei rischi scientificamente segnalati, azioni dirette a promuovere:

·       il risparmio energetico;

·       l’uso appropriato delle fonti di energia;

·       il miglioramento dei processi tecnologici che utilizzano o trasformano l’energia;

·       l’uso e lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia;

·       la sostituzione delle materie prime energetiche di importazione;

·       il ricorso all’energia nucleare.

 

Ai sensi del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità[6]), articolo 2, comma 1, per fonti rinnovabili si intendono: «le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani».

Il decreto,  volto a favorire una crescita significativa, a medio termine, della quota di elettricità generata da fonti energetiche rinnovabili, oltre alla definizione degli obiettivi indicativi nazionali e delle misure di promozione da adottare ai fini dello sviluppo della produzione di detta energia, contiene disposizioni specifiche relative a singole fonti energetiche, norme di semplificazione e di razionalizzazione dei procedimenti autorizzativi, la previsione di una campagna di informazione e comunicazione a favore delle predette fonti, nonché l’inclusione dei rifiuti tra le fonti energetiche ammesse a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili.

Fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 79/99 di liberalizzazione del sistema elettrico (c.d. decreto Bersani),  la politica di supporto alle energie rinnovabili si è basata sul sistema di incentivazione tariffaria meglio noto come CIP 6, attualmente ancora in vigore per i vecchi impianti in esercizio e consistente in un incentivo diretto ai produttori di energie rinnovabili e assimilate che, avvalendosi di una apposita convenzione, cedevano all’ENEL (ai sensi del comma 3, art. 22, della legge 9 gennaio 1991 n. 9[7]) l’energia prodotta in eccedenza  ad un prezzo fisso superiore a quello di mercato. L’ENEL da parte sua recuperava la differenza di prezzo attraverso un’apposita voce di costo nella bolletta degli utenti.

Il citato decreto Bersani all’art. 11 ha introdotto i c.d. certificati verdi che costituiscono il nuovo strumento di incentivazione dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili - perfezionato con successivi decreti ministeriali -basato su regole di mercato e quindi più confacente al contesto di liberalizzazione.

Il nuovo criterio adottato consiste nell’obbligo, a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il primo aprile 1999. La quota, inizialmente fissata nel 2%, è applicata sulla produzione e sulle importazioni dell’anno precedente, decurtate dell’elettricità prodotta in cogenerazione, degli autoconsumi di centrale, delle esportazioni, con una “franchigia” di 100 GWh, ridotta a 50 GWh dalla legge di riordino del settore energetico.

Il nuovostrumento di incentivazione è stato esteso dal comma 71, art. 1, della legge 239/04 di riordino del settore energetico, all’energia elettrica prodotta mediante utilizzo di idrogeno e quella prodotta da impianti statici con l’utilizzo dell’idrogeno ovvero con celle a combustibile, nonché all'energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento urbano, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento.

Il GSE (Gestore dei Servizi Elettrici) ha il compito di qualificare gli impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili (IAFR), una volta accertato il possesso dei requisiti previsti. In particolare, possono ottenere la qualificazione IAFR gli impianti entrati in esercizio successivamente al 1°aprile 1999 a seguito di nuova costruzione, potenziamento, rifacimento totale o parziale, riattivazione e gli impianti che operano in co-combustione entrati in esercizio prima del 1° aprile 1999 che rispettino le condizioni specifiche previste per la qualificazione degli impianti nel suddetto decreto MAP 24 ottobre 2005. La qualificazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili è necessaria per poter riconoscere successivamente al produttore, a determinate condizioni, una quota di Certificati verdi proporzionale all'energia prodotta, con i quali i soggetti sottoposti all’obbligo della quota minima comprovano l’adempimento.

 

Il meccanismo dei certificati verdi non rappresenta l’unica forma nazionale di sostegno al settore delle energie rinnovabili.

In attuazione del disposto dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 387/03, il DM 28 luglio 2005 del Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministero dell’ambiente (come integrato dal DM 6 febbraio 2006 e, da ultimo, dal DM 19 febbraio 2007[8]), definisce criteri di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica da fonte solare coerenti con le disposizioni della direttiva 2003/54/CE, introducendo una nuova modalità di incentivazione per la produzione di energia da impianti fotovoltaici con taglie comprese tra 1 kW e 1000 kW di potenza elettrica. Si prevede, in particolare, il ricorso al cosiddetto “conto energia”, in sostituzione del precedente sistema di incentivazione basato esclusivamente su contributi in conto capitale - erogati a livello regionale, nazionale o comunitario sotto varie forme - e idoneo a finanziare il 50-75 % del costo di investimento[9].

Per quanto riguarda la produzione normativa più recente in materia di fonti rinnovabili si segnalano le disposizioni contenute nella legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007).

In particolare si segnalano i commi da 1117 a 1120 dell’articolo 1 che hanno escluso la possibilità di qualificare e rilasciare certificati verdi ai rifiuti e ai combustibili da rifiuti, prevedendo in particolare che i finanziamenti e gli incentivi pubblici di competenza statale finalizzati alla promozione delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica vengano concessi esclusivamente per la produzione di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili. Sono fatti salvi i finanziamenti e gli incentivi concessi, ai sensi della previgente normativa, ai soli impianti già autorizzati e di cui sia stata avviata concretamente la realizzazione[10] anteriormente all’entrata in vigore della presente legge, ivi comprese le convenzioni CIP6 e destinate al sostegno alle fonti energetiche assimilate. Le medesime disposizioni hanno escluso la possibilità di qualificare e rilasciare certificati verdi agli impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, agli impianti alimentati a idrogeno ed a celle a combustibile (comma 1120, lettera. g).

 


Art. 2
(Principi del piano energetico nazionale)

 

L’articolo 2 definisce i principi per la formulazione del Piano energetico nazionale.

A tal fine si prevede che il Governo definisca misure, modalità e tempi idonei a garantire, entro il termine di venti anni dalla data di adozione del medesimo piano, il raggiungimento di un'autonomia della produzione energetica pari ad almeno il 50 per cento del consumo nazionale, tenendo conto anche delle aspettative di crescita dell'economia.

 

La necessità di una programmazione in campo energetico divenne pressante a partire dalla crisi energetica del 1973-74 che evidenziò l’esigenza di affrontare i problemi del settore in modo organico, attraverso l’elaborazione di una vera politica energetica.

I Piani energetici nazionali elaborati a partire dal 1975 costituiscono il tentativo di rispondere a tale esigenza. Circa la loro predisposizione si rileva che l’unico riferimento nel nostro ordinamento è costituito dall’art. 2, comma 1, della legge 393 del 1975 (“Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull'impiego di energia elettrica”) secondo il quale il CIPE su proposta del Ministro dell’industria approva i programmi pluriennali dell'ENEL “Nel quadro del piano nazionale per l'energia…”

Il primo programma energetico nazionale (PEN) fu approvato dal CIPE il 23 dicembre del 1975.

In tale occasione il Parlamento rimase estraneo alla procedura di approvazione che, tuttavia, fu preceduta da una indagine conoscitiva della Commissione industria della Camera sulle fonti di energia, nel cui documento conclusivo, approvato il 12 maggio 1974, si esprimeva l’esigenza che il CIPE giungesse rapidamente all’elaborazione di un piano decennale globale della produzione energetica. Il Parlamento intervenne anche successivamente con una nuova indagine conoscitiva della stessa Commissione che analizzò tutte le principali questioni sollevate dal PEN giungendo, tuttavia, a conclusioni piuttosto lontane  dall’univoca opzione nucleare in esso contenuta.

Il PEN 1975 subì una revisione nel corso del 1977, preceduta dall’approvazione della legge 675 del 1 agosto in cui all’art. 2 l’opzione di una politica organica di approvvigionamento e di razionale utilizzazione di materie prime energetiche, nonché scelte imprenditoriali rivolte verso sistemi produttivi a basso tasso di consumo energetico costituiva uno degli indirizzi di politica industriale .

 

In occasione dell’aggiornamento del PEN il Parlamento si mosse preliminarmente con  un atto di indirizzo politico al Governo costituito da una risoluzione votata dall’Assemblea della sola Camera al termine di un’apposita comunicazione del Governo sulle linee direttrici della programmazione energetica nazionale (5 ottobre 1977). La risoluzione impegnava “il Governo a porre in essere una manovra globale di politica energetica capace di modificare nel medio termine con nuovi indirizzi del settore, l’attuale struttura del sistema energetico nazionale”. Seguì la predisposizione dello schema di PEN da parte del Ministro dell’industria e la successiva presentazione al CIPE.

Il secondo programma  energetico nazionale venne, pertanto, approvato dal CIPE il 23 dicembre 1977, previo parere della commissione consultiva interregionale  istituita, presso il Ministero del bilancio ex art. 13 della legge 16 maggio 1970, n. 281).

A seguito della seconda crisi petrolifera del 1979-89 il secondo PEN venne sottoposto a numerose revisioni, nessuna delle quali, tuttavia, trovò una conclusione nell’approvazione da parte del CIPE.

Solo nel 1981 il CIPE giunse all’approvazione - 4 dicembre - del terzo PEN , preceduto dall’approvazione contestuale, il 22 ottobre 1981, di due identiche risoluzioni delle commissioni  industria di entrambi i rami del Parlamento.

 

Il IV Piano energetico nazionale del 1985 fu approvato con la delibera CIPE  del 20 marzo 1986.

L’approvazione, anche questo caso, fu preceduta da una indagine conoscitiva deliberata in sede congiunta dalle commissioni riunite industria e bilancio della Camera, deliberata il 13 marzo 1985 e conclusasi il 7 novembre dello stesso anno, nonché dall’approvazione in Assemblea di una risoluzione il 28 novembre 1985. Il Pen fu discusso  anche in sede di Commissione industria del Senato nello stesso mese di novembre con approvazione di una relazione per l’assemblea il giorno 26, discussa in Aula il 17 dicembre, seguita dall’approvazione  di un ordine del giorno contenente il testo della relazione medesima il giorno 18 dicembre 1985.

La procedura seguita in tale occasione  fu, pertanto, caratterizzata  dall’approvazione di due distinti documenti di indirizzo  da parte di Camera e Senato, che procedettero in tempi differenti e sulla base di testi di indirizzo diversi

Da ultimo il PEN fu rielaborato nel 1988. Il nuovo (e ultimo) Piano, predisposto dal Ministro dell’industria dopo la vicenda di Chernobyl, la conferenza nazionale dell’energia e il referendum sul nucleare del giugno 1987, fu approvato il 10 agosto 1988 dal Governo[11].

Innovando rispetto al passato il Piano non fu sottoposto alla formale approvazione del CIPE che secondo la prassi precedente interveniva, dopo la discussione parlamentare e l’adozione dei relativi atti di indirizzo.

In tale occasione il Governo provvide a corredare il PEN di tre disegni di legge contenenti disposizioni volte a tradurre in precetti normativi le indicazioni programmatiche del PEN.[12]

Un ulteriore elemento di novità sul piano procedurale è costituito anche dalla trasmissione del PEN al Parlamento successivamente all’approvazione da parte del Governo.

Il Parlamento rimase, in tal modo, estraneo al procedimento, in senso stretto, di formazione e deliberazione del PEN 1988, anche se i suoi orientamenti energetici li aveva già espressi in una risoluzione, approvata nel dicembre del 1987[13],che impegnava il Governo alla redazione del nuovo piano.

 


Art. 3
(Partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla produzione energetica nazionale)

 

L’articolo 3 prevede che le regioni e le province autonome contribuiscano alla produzione energetica nazionale per una quota minima del 20% del fabbisogno nazionale, con esclusione  dell’energia nucleare (comma 1).

Alla distribuzione delle quote produttive di competenza di ciascuna regione e provincia autonoma si provvede mediante accordo da stipulare in sede di Conferenza unificata (comma 2).

Il raggiungimento degli obiettivi regionali è assicurato attraverso la predisposizione di Piani energetici regionali, da adottare, sentito il Consiglio delle autonomie locali,  in conformità al Piano energetico nazionale (comma 3).

 

I Piani energetici regionali (PEAR)

Il Piani energetici regionali costituiscono il principale strumento di  pianificazione primaria e di indirizzo fondamentale per le politiche energetiche regionali,  il quadro di riferimento per i soggetti pubblici e privati che assumono iniziative in campo energetico nel territorio regionale di riferimento.

In particolare contengono  gli indirizzi, gli obiettivi strategici a lungo, medio e breve termine, le indicazioni concrete, gli strumenti disponibili, i riferimenti legislativi e normativi, le opportunità finanziarie, i vincoli, gli obblighi e i diritti per gli operatori di settore, per i grandi consumatori e per l’utenza diffusa.

L’adozione di Piani energetici regionalitrova il suo fondamento giuridico nella legge n. 10/91 di attuazione del PEN . La legge, infatti, disciplina le modalità di programmazione a livello locale degli interventi di razionalizzazione dei consumi, che dovranno essere realizzati sulla base di piani di bacino e di piani per l'utilizzo di fonti rinnovabili, predisposti dalle regioni e dalle province autonome, d'intesa o in coordinamento con l'ENEA.

In particolare l’art.5 della legge n. 10/91 al comma 2 prevedeva che le regioni, d’intesa con l’ENEA, predisponessero piani energetici regionali o provinciali relativi all’uso delle fonti rinnovabili.

L’articolo ha altresì individuato il contenuto di detti piani:

a)  bilancio energetico regionale o provinciale;

b) individuazione dei bacini energetici territoriali;

c) localizzazione e la realizzazione degli impianti di teleriscaldamento;

d) individuazione delle risorse finanziarie da destinare alla realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia;

e) destinazione delle risorse finanziarie, secondo un ordine di priorità relativo alla quantità percentuale e assoluta di energia risparmiata, per gli interventi, di risparmio energetico;

f) formulazione di obiettivi secondo priorità di intervento;

g)procedure per l'individuazione e la localizzazione di impianti per la produzione di energia fino a dieci megawatt elettrici per impianti installati al servizio dei settori industriale, agricolo, terziario, civile e residenziale, nonché per gli impianti idroelettrici.

 

L’obiettivo iniziale previsto con  l’istituzione dei piani energetici regionali era quello di incrementare e  sviluppare le fonti rinnovabili e di un uso più razionale dell’energia.

In seguito, tuttavia, con l’avvento della liberalizzazione e la privatizzazione dei mercati energetici  e la progressiva devoluzione di competenze dallo Stato alle Regioni, a partire dalla riforma Bassanini sino a quella costituzionale del Titolo V, che hanno inciso in modo significativo e determinante sulla competenza delle Regioni, congiuntamente alla rilevanza delle questioni concernenti la tutela e salvaguardia dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile e dei temi del Protocollo di Kyoto, la programmazione energetica regionale si è andata trasformando in uno strumento di programmazione strategico e interdisciplinare.

ricerca scientifica e tecnologica, sostegno all’innovazione per i settori produttivi, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia

Il nuovo scenario normativo, ha indotto le amministrazioni regionali a utilizzare i loro piani energetici come strumenti attraverso i quali predisporre un progetto complessivo di sviluppo dell’intero sistema energetico, coerente con lo sviluppo socio-economico e produttivo del loro territorio, cercando, altresì, di sopperire alla carenza di strumenti di raccordo prefissati tra gli attori istituzionali attraverso la stipula di accordi quadro volontari.

A tale proposito si ricorda il “Protocollo d’intesa per il coordinamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle emissioni dei gas serra nell’atmosfera” siglato a Torino il 5 giugno 2001 dalle regioni e a dalle province autonome che hanno sancito l’impegno di elaborare Piani energetici ambientali sulla base dei singoli PER che privilegino:

§         le fonti rinnovabili e l’innovazione tecnologica;

§         la razionalizzazione della produzione elettrica e dei consumi energetici;

§         il raccordo dei diversi settori di programmazione ai fini della sostenibilità complessiva;

§         la valorizzazione del ruolo delle politiche di sostegno dell’innovazione tecnologica e degli strumenti fiscali, tariffari e incentivanti;

§         la promozione del settore produttivo dell’ecoefficienza e della cooperazione internazionale. 

Nel Protocollo di Torino le regioni hanno individuavano nella pianificazione energetico-ambientale lo strumento di indirizzo e di promozione degli interventi regionali nel campo dell’energia, assumendo a livello di Regione impegni ed obiettivi congruenti con quelli assunti dall’Italia per Kyoto.

 

La Conferenza unificata

Lo Stato intrattiene con le regioni e con il sistema delle autonomie locali un rapporto di cooperazione basato sul confronto e la negoziazione politica attraverso le Conferenze permanenti Stato-regioni, Stato-città-autonomie locali e la Conferenza unificata.

La Conferenza unificata è disciplinata dal D.Lgs. 281/1997[14], il cui articolo 8 stabilisce che la Conferenza Stato-città è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni.

Della Conferenza unificata fanno parte i componenti della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali[15] e della Conferenza Stato-Regioni[16].

La Conferenza svolge funzioni consultive, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alle Comunità montane.

La Conferenza è comunque competente in tutti i casi in cui regioni, province, comuni e comunità montane ovvero la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali debbano esprimersi su un medesimo oggetto. In particolare, ad essa è attribuita l'espressione del parere sul disegno di legge finanziaria, sui disegni di legge collegati e sul documento di programmazione economica e finanziaria.

E' consultata anche sulle linee generali delle politiche del personale pubblico e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali.

La Conferenza svolge inoltre attività di raccordo, in quanto può promuovere e sancire intese ed accordi tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune.

Acquisisce, nei casi previsti dalla legge, le designazioni dei rappresentanti delle autonomie locali indicati dai Presidenti delle regioni e province autonome, dall'ANCI, dall'UPI e dall'UNCEM.

Assicura lo scambio di dati e informazioni tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane anche attraverso l'approvazione di protocolli d'intesa tra le Amministrazioni centrali e locali ed esprime gli indirizzi per l'attività dell'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali.

Il Presidente del Consiglio può sottoporre al suo esame, anche su richiesta delle autonomie regionali e locali, ogni altro oggetto di preminente interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane.

Numerose altre funzioni sono state in seguito attribuite alla Conferenza unificata da specifiche disposizioni.

La Conferenza è convocata dal Presidente del Consiglio e le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell'interno.

Ferma restando la necessità dell'assenso del Governo per l'adozione delle deliberazioni della Conferenza unificata, l'assenso delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle Comunità montane è acquisito con il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie che compongono rispettivamente la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città e autonomie locali. Di regola l'assenso è espresso all'unanimità dei membri dei due predetti gruppi e, qualora non si è raggiunto, dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi.

 

Il Consiglio delle autonomie locali

L’articolo 7 della legge costituzionale n. 3 del 2001[17], di riforma del Titolo V della Costituzione, ha aggiunto un comma all’art. 123 Cost., prevedendo l’istituzione di un organo regionale consultivo, rappresentativo delle autonomie locali, denominato Consiglio delle autonomie locali. Null’altro dispone il comma in ordine a quest’organo, la cui disciplina è espressamente rimessa agli statuti regionali.

Già prima della riforma costituzionale, alcune regioni, sulla base di autonome iniziative, avevano istituito con proprie leggi organismi di rappresentanza degli enti locali.

Peraltro, la L. 142/1990[18], di riforma dell’ordinamento degli enti locali, ha disposto in via generale che “la legge regionale indica i principi della cooperazione dei comuni e delle province tra loro e con la Regione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile” e che “le regioni, nell'ambito della propria autonomia legislativa, prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata fra regioni ed enti locali nell'ambito delle rispettive competenze” (art. 3, commi 3 e 4[19]).

Il principio della cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali è stato enunciato tra i principi di delega sui quali si doveva basare il processo di decentramento amministrativo previsto dalla L. 59/1997[20], la quale ha stabilito che “al conferimento delle funzioni le regioni provvedono sentite le rappresentanze degli enti locali. Possono altresì essere ascoltati anche gli organi rappresentativi delle autonomie locali ove costituiti dalle leggi regionali” (art. 4, comma 1). Il principio in questione è stato recepito nel D.Lgs. 112/1998[21], che ha costituito il principale strumento di attuazione del trasferimento di funzioni statali: ai sensi dell’art. 3, comma 5, del D.Lgs. 112/1998 le regioni, nell'ambito della propria autonomia legislativa, prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata fra regioni ed enti locali nell'ambito delle rispettive competenze.

Il nuovo art. 123 Cost., dunque, ha costituzionalizzato il Consiglio delle autonomie locali, inserendolo nel contenuto necessario degli Statuti regionali. In assenza di indicazioni da parte del legislatore costituzionale, le dieci regioni ordinarie che hanno approvato i nuovi statuti[22] hanno configurato in vario modo tale organismo. Di queste, sei si sono dotate, dopo la revisione dello Statuto, di leggi specifiche per disciplinare il Consiglio delle autonomie[23]; lo avevano inoltre già istituito, prima dell’adozione del nuovo Statuto, l’Umbria (con la L.R. 14 ottobre 1998, n. 34, modificata dalla L.R. 24 settembre 2003, n. 18) e la Toscana (con la L.R. 21 marzo 2000, n. 36).

Attraverso l’esame delle disposizioni statutarie e delle leggi regionali attuative è possibile individuare alcuni tratti comuni nei modelli scelti dalle singole regioni.

I Consigli vengono prevalentemente definiti quali organi di rappresentanza degli enti locali e di consultazione e cooperazione (o di coordinamento) tra gli stessi e gli organi della regione, con il richiamo, talvolta, al principio di sussidiarietà.

Essi sono costituiti da rappresentanti degli enti locali (presidenti delle Province e dei Consigli provinciali; sindaci e presidenti dei Consigli comunali dei comuni maggiori dal punto di vista demografico; sindaci di una parte dei rimanenti Comuni; rappresentanti di Comunità montane, ove previste, ecc.).

Nella gran parte dei casi, i Consigli delle autonomie sono istituiti presso i Consigli regionali, piuttosto che in collegamento con le Giunte, e rimangono in carica per l’intera legislatura regionale.

Per quanto riguarda le funzioni ad essi attribuite, è previsto l’intervento del Consiglio delle autonomie nei procedimenti di attribuzione di funzioni amministrative agli enti locali o nei casi in cui sono coinvolti direttamente gli interessi di questi ultimi.

I Consigli delle autonomie esprimono pareri obbligatori sugli atti (proposte di legge, regolamenti) relativi al riparto delle funzioni tra la Regione e gli enti locali; sugli atti di programmazione generale che coinvolgono l’attività degli enti locali; sui progetti di leggi di bilancio regionale e su altri atti ad essi collegati; sulle proposte di legge regionale di modifica dello Statuto con riferimento alle autonomie locali; ecc.. Qualora il Consiglio regionale ritenga di non doversi attenere al parere obbligatorio espresso dal Consiglio delle autonomie sugli atti che più direttamente incidono sul ruolo degli enti locali (ad esempio, atti di conferimento di funzioni agli enti locali o di modifica del riparto di competenze tra regione ed enti locali), è di solito previsto che l’organo deliberativo debba approvare i medesimi atti a maggioranza assoluta.

Oltre alle otto regioni in precedenza citate, hanno istituito il Consiglio delle autonomie locali la Provincia autonoma di Bolzano (L.P. 11 giugno 2003 n. 10); la Sardegna (L.R. 17 gennaio 2005, n. 1); la Provincia autonoma di Trento (L.P. 15 giugno 2005, n. 7); il Friuli Venezia Giulia (L.R. 9 gennaio 2006 n. 1).

Comunque, anche nelle rimanenti nove Regioni sono previsti organi di raccordo interistituzionale denominati in vario modo (Conferenza permanente Regione - enti locali; Conferenza regionale delle autonomie; Consiglio permanente degli Enti locali), tutti istituiti prima della riforma del Titolo V.

 


Art. 4
(Individuazione dei siti destinati all’insediamento di impianti nucleari)

 

L’articolo 4 disciplina l’individuazione dei siti destinati all’insediamento di impianti nucleari.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame affida al Governo il compito di provvedere all'individuazione preventiva dei siti destinati agli impianti nucleari inseriti nel Piano energetico nazionale (PEN) e disciplina le modalità procedurali da seguire.

Viene infatti previsto che la decisione governativa venga assunta sulla base di una apposita intesa definita in sede di Conferenza unificata e che, qualora l'intesa non sia raggiunta, si proceda ai sensi dell'articolo 12, comma 2 (ovvero con D.P.C.M, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentiti l'APAT, l'ENEA e il CNR).

 

Il comma 2 impone al Governo, nell’individuazione dei siti, di tener conto di un apposito atlante dei siti suscettibili di accogliere impianti nucleari, redatto e tenuto dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

 

Ai sensi del successivo comma 3, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, l'APAT provvede alla redazione dell'atlante dei siti suscettibili di accogliere impianti nucleari.

 

Si ricorda, in proposito, che tra le funzioni assegnate all’APAT vi sono quelle di controllo in materia di impiego pacifico dell'energia nucleare e di tutela dalle radiazioni ionizzanti, di cui alla legge n. 1860/1962 e al D.Lgs. n. 230/1995 (si veda in particolare l’articolo 01, comma 1, lett. l) del DL n. 496/1993).

Le funzioni citate sono quelle attribuite all’Agenzia dalla legge n. 1860/1962 (Impiego pacifico dell'energia nucleare) e dal D.Lgs. n. 230/1995 (Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti).

Si ricorda, in particolare, che l’art. 10, comma 1, del decreto da ultimo citato attribuisce all’ANPA le funzioni ispettive per l'osservanza del medesimo decreto nonché, per quanto attiene alla sicurezza nucleare ed alla protezione sanitaria, della legge 31 dicembre 1962, n. 1860. L’ANPA esercita tali compiti a mezzo dei propri ispettori che nell’esercizio delle loro funzioni sono ufficiali di polizia giudiziaria. La disposizione prevede inoltre che l'ANPA informi gli organi di vigilanza competenti per territorio degli interventi effettuati.

Si segnala che è attualmente all’esame della Commissione ambiente della Camera la proposta di legge A.C. 1561 (Realacci e Franceschini), che riforma il sistema delle agenzie ambientali, attraverso sostanziali innovazioni all’attuale disciplina dell’organizzazione e del funzionamento, nonché delle funzioni delle medesime. Con riferimento a queste ultime, l’articolo 4 del provvedimento conferma l’attribuzione all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPAT) delle funzioni di controllo in materia di impiego pacifico dell'energia nucleare e di tutela dalle radiazioni ionizzanti, di cui alla legge n. 1860/1962 e al D.Lgs. n. 230/1995. In base all’articolo 6, comma 7, della specificità di tali funzioni deve tenersi conto nella definizione, nello statuto, dell'organizzazione dell'Agenzia in strutture operative.

 


Art. 5
(Autorizzazione per la costruzione e per l’esercizio di impianti nucleari)

 

L’articolo 5 prevede che l'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile è rilasciata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, quale organo nazionale preposto alla sicurezza e all'economicità del sistema elettrico nazionale, su istanza del soggetto richiedente, previa intesa con la regione o con la provincia autonoma interessata e sulla base di apposita conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

 

La conferenza di servizi è uno strumento organizzativo attivabile nella fase decisoria di procedimenti amministrativi complessi al fine di accelerare l’espressione dei consensi delle amministrazioni coinvolte[24].

Quando risulti opportuno esaminare contestualmente più interessi pubblici ovvero sia necessario acquisire una pluralità di atti di intesa (concerti, nulla osta, pareri, etc.) l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi, le cui decisioni sostituiscono, a tutti gli effetti, ogni atto di tutte le amministrazioni partecipanti.

Al di fuori di questa ipotesi, le amministrazioni pubbliche possono comunque concludere tra loro accordi volti a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.

La legge prevede tre tipi di conferenza dei servizi:

§         conferenza c.d. istruttoria;

§         conferenza su istanze o progetti preliminari;

§         conferenza c.d. decisoria.

La conferenza istruttoria costituisce la fattispecie più generale: può, infatti, essere indetta ogni qual volta sia opportuno un confronto tra più amministrazioni portatrici di interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. La conferenza è convocata dall’amministrazione responsabile del procedimento.

La conferenza su istanza o progetti preliminari, istituita dalla L. 340/2000[25], è un particolare tipo di conferenza “preliminare” convocata – su richiesta dell’interessato – per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi prima della presentazione di un’istanza o di un progetto definitivo.

L’obiettivo della conferenza preliminare è di verificare le condizioni alle quali potrebbe essere dato l’assenso sull’istanza o sul progetto definitivo stesso, in modo di eliminare, od almeno limitare, l’emersione di ostacoli amministrativi nelle fasi ulteriori della procedura. La conferenza, in tale sede, è tenuta a pronunciarsi entro un temine determinato (30 giorni).

Tempi più lunghi sono previsti nel caso in cui sia richiesta la valutazione di impatto ambientale (VIA). In ogni caso l’autorità competente alla VIA è tenuta ad esprimersi in tempi definiti, ed il suo intervento costituisce parte integrante della procedura di VIA che prosegue anche dopo la presentazione del progetto definitivo.

Le indicazioni fornite dalle amministrazioni coinvolte nella conferenza preliminare, comprese quelle eventuali dell’autorità competente alla VIA, non possono essere modificate in assenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento.

La terza e principale fattispecie è la conferenza decisoria. Essa interviene nei procedimenti che prevedono, per il loro perfezionamento, l’assenso, sotto forma di intesa, concerto, nulla osta, o comunque altrimenti denominato, di più autorità. In questi casi l’amministrazione responsabile del procedimento è tenuta prima ad esperire la procedura normale richiedendo formalmente, al momento dell’avvio del procedimento, l’assenso alle altre amministrazioni interessate. Se questo non è ottenuto entro 30 giorni dalla richiesta (o si è verificato il dissenso di una amministrazione coinvolta)  si procede con la convocazione della conferenza.

La legge definisce le procedure di convocazione della conferenza, dello svolgimento e della conclusione dei lavori. In particolare, le amministrazioni convocate devono subito stabilire il termine per l’adozione della decisione conclusiva, che comunque non può pervenire oltre i 90 giorni dalla prima seduta, così come da ultimo stabilito dalla L. 340/2000 che per la prima volta definisce un termine certo per la conclusione dei lavori. Nel caso in cui è richiesta la VIA c’è la possibilità di prolungare i termini (di 90 giorni), ma essi devono comunque rientrare in limiti definiti.

La legge disciplina l’espressione di eventuali dissensi in seno alla conferenza da parte di rappresentanti di una o più amministrazioni: in questi casi il dissenso deve essere espresso in sede di conferenza, deve essere motivato, deve riferirsi a questioni connesse al procedimento e, soprattutto, deve indicare le modifiche necessarie per l’ottenimento dell’assenso.

La conferenza di servizi, nel testo originario della L. 241/1990[26], prevedeva la partecipazione unicamente delle amministrazioni pubbliche. L’unica apertura a soggetti esterni era costituita dalla possibilità di convocazione su richiesta dell’interessato, quando l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso (art. 14, co. 4).

Successivamente, la L. 15/2005[27] ha ampliato la possibilità di intervento da parte di soggetti estranei alla pubblica amministrazione. Innanzitutto, ha stabilito che, in caso di affidamento di lavori pubblici, la conferenza di servizi può essere convocata su richiesta, oltre che del concedente, anche del concessionario (art. 14, co. 5).

In secondo luogo, sempre nel caso di lavori pubblici, i concessionari partecipano alla conferenza di servizi, senza diritto di voto, così come partecipano, anch’essi senza diritto di voto, i soggetti privati che intervengono in una operazione di project financing (art. 14-quinquies).


Art. 6
(Procedura per il rilascio dell’autorizzazione)

 

L’articolo 6 disciplina il procedimento e l’istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti nucleari.

Il soggetto richiedente presenta la richiesta al Ministero dello sviluppo economico e, per conoscenza, ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute, alla regione, alla provincia e al comune interessati, nonché all'APAT.

Il richiedente deve documentare:

a) il progetto di costruzione, con l'indicazione del sito prescelto, della spesa e del tempo necessario alla sua realizzazione;

b) un rapporto preliminare sulla sicurezza dell'impianto, con l'indicazione delle misure che vengono adottate per prevenire i rischi e per limitare le conseguenze di un eventuale incidente;

c) lo studio di valutazione dell'impatto ambientale;

d) un progetto preliminare sulla gestione dei rifiuti radioattivi che verranno prodotti in fase di esercizio dell'impianto;

e) la documentazione sul possesso della di adeguate capacità tecniche ed economiche, nonché sulla comprovata esperienza nel settore dell'ingegneria nucleare; le società miste pubblico-privato, o i soggetti pubblici e privati, riuniti secondo le modalità del project financing[28] possono richiedere l'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile, sulla base del possesso dei requisiti indicati dalla presente lettera anche da parte del solo soggetto privato.

L’istruttoria si svolge in fasi successive, la cui durata complessiva non può comunque superare i sei mesi.

In particolare, raccolte le osservazioni di tutte le amministrazioni interessate (Ministeri dell’ambiente, della salute e dell’interno, nonché regione, provincia e comune interessati), l’APAT trasmette al Ministero dello sviluppo economico il proprio parere definitivo, con l’indicazione di eventuali prescrizioni.

 

Il ministero dello sviluppo economico completa l’istruttoria con:

·       la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA)[29];

·       l’intesa con la regione o la provincia autonoma interessata, sulla base di apposita conferenza di servizi (secondo quanto previsto all’articolo 5).

 

La vigilanza sulla costruzione dell'impianto e sul rispetto delle prescrizioni indicate nel decreto di autorizzazione, infine, è affidata all’APAT.

 

Con riferimento al comma 5, non è chiaro se il completamento dell’istruttoria con la procedura di valutazione dell’impatto ambientale si riferisca al completamento ovvero – come sembra più probabile - all’attivazione della procedura di VIA.


Art. 7
(Messa in esercizio degli impianti nucleari)

 

L’articolo 7 disciplina la messa in esercizio degli impianti nucleari, autorizzata con decreto del Ministro dello sviluppo economico subordinatamente:

·       all'approvazione del rapporto finale di sicurezza, delle procedure operative, delle specifiche tecniche, nonché del programma delle prove nucleari da parte del Ministero dello sviluppo economico, sentiti l'APAT e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

·       all’esito positivo del collaudo, da svolgere ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230;

La messa in esercizio dell’impianto avviene sotto la vigilanza dell'APAT e dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente competente (ARPA).

 

Il decreto legislativo 17 marzo 1995, n.230, ha dato attuazione, nell’ordinamento interno, alle direttive EURATOM 80/836, 84/466, 84/467, 89/618, 90/461, 92/3 e 96/29, con cui è stata adottata una articolata disciplina in materia di tutela dei lavoratori, della popolazione e delle persone dalle radiazioni ionizzanti, nonché di controllo delle spedizioni transfrontaliere di requisiti radioattivi.

Le disposizioni recate dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230  si applicano alla costruzione, all'esercizio ed alla disattivazione degli impianti nucleari e a pratiche che implicano un rischio dovuto a radiazioni ionizzanti provenienti da una sorgente artificiale o da una sorgente naturale e cioè:

§       alla produzione, trattamento, manipolazione, detenzione, deposito, trasporto, importazione, esportazione, impiego, commercio, cessazione della detenzione, raccolta e smaltimento di materie radioattive;

§       al funzionamento di macchine radiogene;

§       alle lavorazioni minerarie.

Il decreto si applica altresì alle attività lavorative che implicano la presenza di sorgenti naturali di radiazioni e agli interventi in caso di emergenza radiologica o nucleare o in caso di esposizione prolungata dovuta agli effetti di un'emergenza oppure di una pratica o di un'attività lavorativa non più in atto.

Il decreto specifica, inoltre, che nuovi tipi o nuove categorie di pratiche che comportano un'esposizione alle radiazioni ionizzanti devono essere giustificati, anteriormente alla loro prima adozione o approvazione, dai loro vantaggi economici, sociali o di altro tipo rispetto al detrimento sanitario che ne può derivare. I tipi o le categorie di pratiche esistenti sono sottoposti a verifica per quanto concerne gli aspetti di giustificazione ogniqualvolta emergono nuove ed importanti prove della loro efficacia e delle loro conseguenze.

Qualsiasi pratica deve essere svolta in modo da mantenere l'esposizione al livello più basso. La somma delle dosi derivanti da tutte le pratiche non deve superare i limiti di dose stabiliti per i lavoratori esposti, gli apprendisti, gli studenti e gli individui della popolazione. Tale principio non si applica alle seguenti esposizioni:

a) esposizione di pazienti nell'ambito di un esame diagnostico o di una terapia che li concerne;

b) esposizione di persone che coscientemente e volontariamente collaborano a titolo non professionale al sostegno e all'assistenza di pazienti sottoposti a terapia o a diagnosi medica;

c) esposizione di volontari che prendono parte a programmi di ricerca medica o biomedica, essendo tale esposizione disciplinata da altro provvedimento legislativo.

d) esposizioni disciplinate in modo puntualmente da decreto legislativo medesimo.

Il decreto detta specifiche norme per le esposizioni da attività lavorative con particolari sorgenti naturali di radiazioni, per le lavorazioni minerarie, per il regime giuridico di importazione, produzione, commercio, trasporto e detenzione, per il regime autorizzativo relativo alle installazioni, per i rifiuti radioattivi, per gli impianti, per la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione e per le procedure di emergenza.

 


Art. 8
(Garanzia contro i rischi e copertura assicurativa)

 

L’articolo 8 disciplina la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla gestione di impianti di produzione di energia elettrica (non solo nucleare) rinviando alla normativa nazionale, comunitaria, e internazionale vigente in materia e prevedendo che nel caso in cui i nuovi impianti accrescano la competitività internazionale delle attività produttive italiane la copertura dei rischi sia attribuita all’Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE Spa).

 

Le Convenzioni internazionali sulla sicurezza nucleare, di cui l’Italia è Parte.

Il quadro normativo delle Convenzioni internazionali sulla sicurezza della gestione degli impianti nucleari civili è piuttosto complesso: si riporta di seguito un elenco delle Convenzioni su tale argomento delle quali l'Italia è Parte, con alcune note esplicative del relativo contenuto.

La Convenzione per la protezione fisica dei materiali nucleari, adottata a Vienna il 26 ottobre 1979, è stata ratificata dall'Italia con la legge 7 agosto 1982, n. 704, ed è in vigore per il nostro paese dal 6 ottobre 1991. La Convenzione è il solo strumento vincolante a livello internazionale nel campo della protezione fisica del materiale radioattivo; essa detta misure relative alla prevenzione, scoperta e punizione dei reati riguardanti materiali radioattivi.

La Convenzione internazionale sulla notifica tempestiva incidenti nucleari è stata adottata il 26 settembre 1986 a Vienna: l'Italia ha ratificato la Convenzione con la legge 31 ottobre 1989, n. 375, e lo strumento è in vigore per il nostro paese dall'11 marzo 1990. L'adozione della Convenzione in oggetto ha fatto seguito nel 1986 all'incidente nucleare di Chernobyl, mirando a dare vita a un sistema di notifiche per gli incidenti nucleari suscettibili di effetti transfrontalieri di entità tale da arrecare danno alla sicurezza radiologica di altri Stati. In base alla Convenzione agli Stati è richiesto di fornire tempestive informazioni sul momento, il luogo, la quantità di radiazioni rilasciate e altri dati essenziali per la valutazione ella situazione successiva a un incidente nucleare. Le notifiche vanno indirizzate direttamente agli Stati interessati o mediante l'AIEA, nonché naturalmente all'AIEA stessa. Le informative sono obbligatorie per qualunque incidente nucleare che ricomprenda impianti e attività riportate all'articolo 1 della Convenzione. In ogni modo, in base all'articolo 3, gli Stati possono notificare anche altri incidenti. Le cinque potenze nucleari membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno anche dichiarato la loro intenzione di diffondere informazioni su incidenti derivanti da armamenti nucleari e da esperimenti ad essi collegati.

La Convenzione internazionale sull'assistenza in caso di incidenti nucleari o di emergenza radiologica è stata adottata il 26 settembre 1986 a Vienna. L'Italia ha ratificato la Convenzione con la legge 9 aprile 1990, n. 92 e lo strumento è in vigore per il nostro paese dal 25 novembre 1990. Anche la Convenzione in oggetto è stata adottata in seguito all'incidente nucleare di Chernobyl: essa pone una cornice di cooperazione internazionale degli Stati Parte tra loro e con l'AIEA per facilitare la pronta assistenza e il supporto nel caso di incidenti nucleari o emergenze radiologiche. In base alla Convenzione, gli Stati Parte devono fornire all'AIEA informazioni sui propri esperti disponibili, nonché sulle attrezzature e altri materiali utili a fornire assistenza. In caso di una richiesta, ciascuno Stato Parte decide se e in che misura può soddisfare alla richiesta stessa. L'assistenza può essere offerta anche gratuitamente, tenendo conto tra l'altro della necessità dei paesi in via di sviluppo o dei paesi privi di installazioni nucleari. Il ruolo dell'AIEA nel quadro della Convenzione è essenziale, per convogliare informazioni, sostenere gli sforzi e fornire i propri qualificati servizi.

La Convenzione congiunta sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi è stata aperta alla firma a Vienna il 29 settembre 1997, e l'Italia l'ha ratificata con la legge 16 dicembre 2005, n. 282: la Convenzione è in vigore per il nostro paese dal 9 maggio 2006. la Convenzione si applica al combustibile esaurito e ai rifiuti radioattivi risultanti dall'esercizio di impianti nucleari civili, nonché da programmi militari o di difesa, se e quando tali materiali vengano trasferiti in modo permanente nell'ambito di programmi civili, ovvero ancora quando siano stati dichiarati quale combustibile esaurito o rifiuti radioattivi ai fini della Convenzione da ciascuno Stato Parte. La Convenzione si applica anche ai rilasci pianificati e controllati nell'ambiente di materiali radioattivi liquidi o gassosi da parte di impianti nucleari civili, e prevede riunioni periodiche di revisione degli Stati Parte, ciascuno dei quali deve presentare ad ognuna di tali riunioni un rapporto nazionale contenente le misure adottate per attuare ciascuno degli obblighi della Convenzione.

La Convenzione sulla sicurezza nucleare, aperta alla firma e il 20 settembre 1994 a Vienna, è stata ratificata dal nostro paese con la legge 19 gennaio 1998,n. 10, ed è in vigore per l'Italia dal 14 luglio 1998. La gestazione della Convenzione è avvenuta fra il 1992 e il 1994 attraverso una serie di riunioni a livello di esperti, nelle quali sono stati colti i frutti di un considerevole sforzo da parte di governi e autorità nazionali sulla sicurezza nucleare, nonché del segretariato dell'AIEA. lo scopo della Convenzione è quello di creare obblighi agli Stati Parte, in possesso di impianti nucleari a terra, per il mantenimento di un elevato livello di sicurezza correlato a parametri internazionali accettati da ciascuno Stato. Gli impegni delle Parti sono basati in larga misura sui principi contenuti nel documento dell'AIEA intitolato "La sicurezza del installazioni nucleari", e vanno per esempio dalla localizzazione, progettazione , costruzione e gestione degli impianti, alla disponibilità di adeguate risorse umane e finanziarie, alla valutazione e alle verifiche di sicurezza, agli standard di qualità e alla preparazione ad eventuali emergenze. La Convenzione funziona come uno stimolo agli Stati, poiché essa non è volta ad assicurare il rispetto delle proprie disposizioni attraverso controlli e sanzioni, bensì si basa sul comune interesse degli Stati Parte di raggiungere elevati livelli di sicurezza da promuovere e sviluppare attraverso regolari incontri delle Parti stesse. Anche questa Convenzione impegna le Parti a presentare rapporti sull'attuazione dei rispettivi obblighi in occasione delle riunioni delle Parti, da tenersi nella sede dell'AIEA:

Il Protocollo per l'armonizzazione delle Convenzioni di Parigi (1960) e Vienna (1963) sulla responsabilità civile dell'esercente nucleare è stato aperto alla firma a Vienna il 21 settembre 1988 e ratificato dall'Italia con la legge 23 aprile 1991, n.147, entrando in vigore per il nostro paese il 27 aprile 1992. Lo scopo del Protocollo, come risulta dal preambolo, considerando che al momento della sua adozione nessuno Stato era al tempo stesso Parte ad entrambe le Convenzioni, è appunto quello di evitare ogni possibile controversia o contraddizione nell'applicazione di entrambi gli strumenti (si ricorda peraltro che l'Italia è Parte solamente della Convenzione di Parigi del 1960 e del Protocollo addizionale del 1964, nonché della Convenzione ad essa complementare del 1963, del Protocollo addizionale a quest'ultima del 1964, e del Protocollo del 1982, di modifica della Convenzione del 1963).

 

La SACE Spa

Costituita nel 1977 come Sezione speciale dell'INA, ai sensi della legge n. 227 del 24 maggio 1977 (cd "Legge Ossola"), la SACE è stata oggetto di numerosi interventi normativi, culminati con il decreto legislativo n. 143 del 31 marzo 1998 (poi modificato dal D.Lgs. 170/99), che ha portato alla nascita della nuova SACEIstituto per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero, con funzioni di: rilascio di garanzie e nell’assicurazione dei rischi di natura politica, economica, catastrofica, commerciale e di cambio; stipula di accordi di riassicurazione e coassicurazione; conclusione di accordi o convenzioni con soggetti pubblici e privati.

In particolare le funzioni dell’Istituto, individuate dal decreto legislativo 143/98 e confermate dal DL 269/03, consistono:

§       nel rilascio di garanzie e nell’assunzione in assicurazione dei rischi di natura politica, catastrofica, economica, commerciale e di cambio ai quali sono esposti gli operatori nazionali nello svolgimento delle loro attività imprenditoriali all’estero. Le garanzie e le assicurazioni possono essere rilasciate anche a banche nazionali o estere per crediti da esse concessi ad operatori nazionali o alla controparte estera, destinati al finanziamento delle suddette attività, nonché per i crediti dalle stesse concessi a Stati e banche centrali destinati al rifinanziamento di debiti di tali Stati;

§       nella conclusione di accordi di riassicurazione e coassicurazione, che possono essere conclusi sia con le imprese assicuratrici italiane, autorizzate ai sensi dell’articolo 17 del DPR 13 febbraio 1959, n, 449 (Testo unico delle leggi sull’esercizio delle assicurazioni private), sia con enti o imprese estere ed organismi internazionali.;

§       nella stipula di accordi e convenzioni, consentita con soggetti sia pubblici che privati, per quanto riguarda l’assistenza agli operatori, la raccolta di documentazione e l’espletamento delle fasi istruttorie, nonché con le finanziarie delle regioni, al fine di promuovere la fruizione di servizi da parte delle piccole e medie imprese.

La trasformazione della SACE in spa a partire dal 1° gennaio 2004 è stata disposta dal decreto-legge n. 269/03, “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, conv. con modif. nella legge n. 326/03 (art. 6).

Secondo il Governo la trasformazione in spa è stata dettata dall’esigenza di sviluppare ulteriormente l’attività caratteristica della SACE, cioè la copertura dei rischi a medio/lungo termine cui sono esposti gli operatori nella loro attività con l’estero ed, inoltre, di sostenere il commercio estero e l’internazionalizzazione delle imprese nazionali anche in settori sinora preclusi all’ente pubblico[30].

Il decreto – legge n. 269/03 prevede, in particolare:

§       l’attribuzione delle azioni di SACE spa al Ministero dell’economia e delle finanze, cui competono le nomine dei componenti degli organi sociali, d’intesa con i Ministeri degli affari esteri, delle attività produttive e delle politiche agricole e forestali;

§       Il trasferimento alla società, a titolo di conferimento di capitale[31], dei crediti indennizzati del Ministero del tesoro ex art 7, comma 2, del D.Lgs. 143/1998 al fine di garantire alla società la piena autonomia gestionale e patrimoniale, nel rispetto degli equilibri di bilancio esistenti alla data del 31 dicembre 2003 (si tratta dei crediti di SACE acquistati dal Ministero); i crediti vengono iscritti a bilancio della spa al valore indicato nella posta del Conto patrimoniale dello Stato. Ulteriori conferimenti e trasferimenti sono demandati ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia;

§       la non applicabilità ai conferimenti e trasferimenti a favore di SACE spa degli artt. 2342 – 2345 c.c. relativi al conferimento nelle spa[32];

§       la costituzione del capitale iniziale di SACE spa con il netto patrimoniale del bilancio al 31/12/2003 integrato dai crediti di cui sopra;

§       il rinvio ad un decreto non regolamentare del Ministro dell’economia, ed in deroga agli artt. 2343 – 2345 c.c, della rettifica dei valori di attivo e passivo;

§       la conferma delle funzioni dell’Istituto svolte in precedenza;

§       la conferma della garanzia dello Stato  per l’assicurazione dei  rischi non di mercato nei limiti stabiliti dal CIPE e dalla legge di bilancio, ad esclusione di tipologia di operazioni individuate dal Ministro dell’economia con decreti non regolamentari;

§       il riconoscimento della legittimità delle assicurazione di rischi di mercato, ma senza garanzia dello Stato e con contabilità separata[33].

Riguardo alla situazione previgente è significativo sottolineare, inoltre, che:

§       la liquidità dell’istituto è tenuta presso la Tesoreria centrale dello Stato in conti infruttiferi;

§       dal momento in cui rimborsa l’impresa assicurata, la SACE si surroga nei diritti di questa;

§       il Ministero degli affari esteri può stipulare trattati bilaterali di ristrutturazione del debito e per i crediti inseriti in tali trattati che sono stati indennizzati da SACE il Ministero del tesoro acquista i crediti di quest’ultimo;

§       quando viene attivata la garanzia dello Stato a favore degli impegni dell’istituto, il Ministero del tesoro si surroga nei diritti verso il debitore (SACE e impresa, a seconda che si tratti di garanzia o assicurazione);

§       SACE costituisce un fondo di riserva con accantonamenti prudenziali.

Modifiche alla disciplina relativa alla trasformazione della SACE in spa sono state apportate dal decreto-legge n.35/05 che con l’articolo 11-quinquies ha introdotto disposizioni volte al sostegno dell’internazionalizzazione delleimprese, con particolare riferimento all’attività di rilascio di garanzie e di coperture assicurative da parte di SACE spa.

In particolare, il comma 1dell’articolo ha modificato l’art. 6 del DL n. 269/03 disponendo la soppressione di alcune parole dell’ultimo periodo del comma 18, in cui si prevede il mantenimento in un apposito conto di tesoreria di una quota pari 10% degli utili della SACE spa, i quali, conseguentemente, vengono destinati interamente in entrata al bilancio dello Stato.

Anche l’art. 5 dello stesso DL 35/05, al comma 16-ter, interviene sull’articolo 6 del DL 269 inserendo un nuovo comma, il 24-bis, che riconosce alla SACE la facoltà di destinare beni e rapporti giuridici di propria pertinenza al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli da essa emessi, realizzando così un’apposita separazione patrimoniale. Il successivo comma 16-quater dispone, invece, l’abrogazione del comma 5 dell’articolo 2 della legge 30 dicembre 2004, n. 312, relativo alla quota massima delle garanzie che la SACE spa è autorizzata a rilasciare per il 2005 (fissata, per l’anno finanziario 2005, rispettivamente in 5.000 milioni di euro per le garanzie di durata sino a ventiquattro mesi e in 7.000 milioni di euro per le garanzie di durata superiore a ventiquattro mesi).

 

L’assicurazione degli impianti nucleari

L’articolo 22 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860, stabilisce che gli esercenti impianti nucleari destinati alla produzione di energia elettrica devono stipulare e mantenere una assicurazione per un ammontare doppio a quello previsto dall’articolo 19 della stessa legge  o fornire altra garanzia finanziaria di pari importo.

Le condizioni generali della polizza di assicurazione debbono essere approvate con decreto del Ministro per l'industria, il commercio l'artigianato, di concerto con il Ministro per i trasporti. Qualora si tratti di altra garanzia finanziaria, questa deve essere riconosciuta idonea con decreto del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato, di concerto con il Ministro per il tesoro, sentita l'Avvocatura generale dello Stato.

L'assicurazione o la garanzia finanziaria date per un impianto nucleare non possono in alcun caso essere sospese o avere termine senza che sia dato preavviso scritto di almeno tre mesi notificato, a mezzo di ufficiale giudiziario, al Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato.

Le somme dovute per il risarcimento di danni derivanti da incidenti nucleari non sono sequestrabili o pignorabili.

Si segnala che gli articoli da 15 a 24 della citata legge n. 1860 del 1962 sono stati sostituiti dall’articolo 2 del D.P.R. 10 maggio 1975, n. 519, adottato in attuazione dell'articolo 4 della legge 12 febbraio 1974, n. 109, di ratifica delle convenzioni sulla responsabilità civile nel campo dell'energia nucleare, firmate a Parigi il 29 luglio 1960 e a Bruxelles il 31 gennaio 1963 e dei protocolli addizionali alle dette convenzioni, firmati a Parigi il 28 gennaio 1964.

 

 


 

Art. 9
(Incentivi alla costruzione di nuovi impianti nucleari)

 

L’articolo 9 introduce incentivi alla costruzione di impianti nucleari.

La disposizione, in particolare, rimette a un decreto ministeriale la definizione dei criteri per il riconoscimento di benefici a favore dei soggetti residenti nei comuni che ospitano impianti nucleari, consistenti:

·       nella riduzione della tariffa elettrica nazionale (stabilita dal Ministero dello sviluppo economico su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas);

·       l’esenzione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) e della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU). Le minori entrate per i Comuni sono compensate dal versamento di somme equivalenti, definite con DM del Ministero dello sviluppo economico.

 

L’imposta comunale sugli immobiliICI, disciplinata dal Titolo I, Capo I del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, recante “Riordino della finanza degli enti locali”, grava sui proprietari e sui titolari di diritti reali di godimento su fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli siti nel territorio dello Stato. L’imposta è liquidata, accertata e riscossa dal Comune nel quale è situato l’immobile.

L’importo dovuto si ottiene applicando al valore dell’immobile, determinato sulla base della rendita catastale, l'aliquota stabilita dal Comune ove è ubicato l'immobile (compresa, normalmente, tra il 4 e il 7 per mille). I Comuni possono fissare aliquote diverse in relazione al tipo di immobile e all’uso che ne fa il titolare e prevedere aliquote agevolate.

Per l'abitazione principale è concessa una detrazione d'imposta di 103,29 euro, il cui importo può essere elevato dai Comuni (articolo 8 del D.Lgs. n. 504).

Sono esenti dall’imposta, ai sensi dell’articolo 7 del citato D.Lgs. n. 504:

a)              gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane e loro consorzi, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;

b)              i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9 (immobili a destinazione particolare);

c)              i fabbricati destinati ad usi culturali;

d)              i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto e le loro pertinenze;

e)              i fabbricati di proprietà della Santa Sede;

f)                i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è prevista l'esenzione dall'imposta locale sul reddito dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia;

g)              i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati ad attività assistenziali;

h)              i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina;

i)                gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali pubblici e privati, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, di religione e di culto.

 

La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbaniTARSU è disciplinata dal Capo III del D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507. La tassa è dovuta per il servizio di smaltimento, raccolta, cernita, trasporto, trattamento, ammasso, deposito e discarica sul suolo e nel suolo dei rifiuti solidi urbani interni, e dei rifiuti ad essi equiparati, effettuato nell'ambito di tutto il territorio comunale. Il soggetto passivo obbligato alla corresponsione della tassa è colui che occupa oppure detiene i locali o le aree scoperte interessate al tributo.

L’articolo 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. decreto Ronchi), ha previsto la soppressione della tassa e l'istituzione di una tariffa a copertura dei costi di gestione dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, a decorrere dal 1° gennaio 1999. Tale termine è stato più volte prorogato, da ultimo dall’articolo 1, comma 134, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria per il 2006).

Successivamente l’articolo 238 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) ha ridisciplinato la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, abrogando il citato articolo 49 del D.Lgs. n. 22 del 1997.

La tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, che sarà applicabile in seguito all’emanazione di un apposito regolamento da parte del Ministro dell’ambiente, è dovuta da chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, che producano rifiuti urbani. La tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

La tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, che saranno determinati con il regolamento sopra menzionato, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali. Nella determinazione della tariffa possono essere previste agevolazioni per le utenze domestiche e per quelle adibite ad uso stagionale o non continuativo, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali.

In attesa del ricordato regolamento attuativo continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti.[34]

 


Art. 10
(Deposito unico nazionale)

 

L’articolo 10 disciplina il deposito unico nazionale.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame disciplina la procedura per l’individuazione del sito in cui realizzare il deposito unico nazionale per:

§         la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi di II categoria;

§         lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi di III categoria.

 

La definizione di “rifiuti radioattivi” è contenuta nell’articolo 4, comma 3, lettera i), del decreto legislativo n. 230 del 1995, che fa riferimento a “qualsiasi materia radioattiva, ancorché contenuta in apparecchiature o dispositivi in genere, di cui non è previsto il riciclo o la riutilizzazione”.

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 3 del D.Lgs. 230/95,per quanto concerne le definizioni rinvia, a sua volta, all’art. 1 della legge 1860/62[35] che alla lettera d) del comma 2 definisce i prodotti o i rifiuti radioattivi come “le materie radioattive prodotte o rese radioattive mediante esposizione alle radiazioni inerenti alle operazioni di produzione e di impiego di combustibili nucleari”. Da tale definizione sono esclusi i combustibili nucleari e i radioisotopi che, fuori di un impianto nucleare, siano utilizzati o destinati ad essere utilizzati per scopi industriali, commerciali, agricoli, medici e scientifici.

Si ricorda che il citato D.Lgs n. 230, successivamente modificatodal D.Lgs n. 241/2000 (“Attuazione della direttiva 96/29/EURATOM in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti), nel Capo VI (“Regime giuridico per le installazioni e particolari disposizioni per i rifiuti radioattivi ) contiene l’intera disciplina dei rifiuti radioattivi.

In merito alla gestione dei rifiuti radioattivi si segnala altresì che, nella Guida Tecnica n. 26 dell’ENEA (1987), il Rifiuto radioattivo è definito come “materiale o utilizzato nell'impiego pacifico dell'energia nucleare contenente sostanze radioattive e per il quale non è previsto il riutilizzo; non sono da computarsi i radionuclidi delle famiglie dell'uranio e del torio naturalmente presenti nei materiali, purché in concentrazioni inferiori a quelle stabilite dal Consiglio delle comunità europee ai sensi dell'art. 197 del Trattato istitutivo della Comunità europea dell'energia atomica; non sono altresì da considerarsi rifiuti radioattivi gli elementi di combustibile irraggiato”.

La Guida, inoltre, classifica i rifiuti radioattivi nelle seguenti tre categorie, in relazione alle caratteristiche tecniche e alle concentrazioni dei radioisotopi contenuti, a ciascuna delle quali corrispondono diverse modalità di gestione e, in particolare, diverse soluzioni di smaltimento:

-          I categoria (bassa attività)  rifiuti radioattivi che richiedono tempi dell'ordine di mesi, sino ad un tempo massimo di alcuni anni, per decadere a livelli di radioattività per i quali non si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 230/95 in materia di radiazioni ionizzanti (potendo essere gestiti dopo tale periodo come rifiuti convenzionali);

-          II categoria (media attività)rifiuti radioattivi che richiedono tempi variabili da qualche decennio fino ad alcune centinaia di anni per raggiungere concentrazioni di radioattività dell'ordine di alcune centinaia di Bq/g nonché quei rifiuti contenenti radionuclidi a vita molto lunga purché in concentrazione di tale ordine;

-          III categoria (alta attività)    rifiuti radioattivi che richiedono tempi dell'ordine di migliaia di anni e oltre per raggiungere concentrazioni di radioattività dell'ordine di alcune centinaia di Bq/g.

Le categorie meno pericolose di residui sono di solito classificate come residui a bassa e media attività, smaltibili in siti in superficie o a poca profondità. Dopo la chiusura del sito, va mantenuto un controllo regolamentare (o istituzionale) per circa 300 anni per impedire che le attività umane disturbino i residui mentre persiste un pericolo radiologico.

I residui più pericolosi, invece, sono classificati come residui altamente radioattivi e a lunga vita. Il combustibile nucleare esaurito può essere trattato per estrarre il materiale di scarto e riciclare l’uranio e il plutonio non utilizzati nella fabbricazione di combustibile nucleare fresco. Questo processo è noto come “ritrattamento”. I residui altamente radioattivi sono di solito fusi in vetro (vetrificazione) per conservarli in una forma adatta allo stoccaggio e successivamente allo smaltimento definitivo. Questi residui vetrificati, o il combustibile esaurito stesso se il ritrattamento non è praticato, sono considerati residui ad alta radioattività. Questo tipo di residui rimane pericoloso per migliaia di anni.

 

L’individuazione del sito – da realizzare entro un anno dall’entrata in vigore del provvedimento – spetta al Ministero dello sviluppo economico:

§         sulla base di un'intesa con la Conferenza unificata;

§         previo parere dell'APAT, che valuta le caratteristiche geomorfologiche del terreno;

§         di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro dell'interno e con il Ministro della difesa.

 

La disposizione disciplina anche il caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro il termine previsto, demandando in tal caso l’individuazione definitiva del sito ad un D.P.C.M., previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

 

Ai sensi del comma 2, il citato deposito nazionale è opera di difesa nazionale.

 

Il successivo comma 3 provvede, conseguentemente, all’abrogazione dell’art. 1, comma 1, del DL n. 314/2003, le cui disposizioni vengono superate da quelle recate dai primi due commi dell’articolo in esame.

Si ricorda, infatti, che l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 314 del 2003 (come modificato prima dalla legge di conversione 24 dicembre 2003, n. 368 e poi dall'art. 1, comma 106, della legge 23 agosto 2004, n. 239) disciplina proprio la sistemazione in sicurezza dei rifiuti radioattivi (rinviando alla richiamata definizione recata dall'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230), degli elementi di combustibile irraggiati e dei materiali nucleari, ivi inclusi quelli rinvenienti dalla disattivazione delle centrali elettronucleari e degli impianti di ricerca e di fabbricazione del combustibile, dismessi nel rispetto delle condizioni di sicurezza e di protezione della salute umana e dell'ambiente.

Il comma 1 citato prevede che tale sistemazione avvenga presso il Deposito nazionale, riservato ai soli rifiuti di III categoria. Tale sito - che costituisce opera di difesa militare di proprietà dello Stato – “in relazione alle caratteristiche geomorfologiche del terreno e in relazione alle condizioni antropiche del territorio, è individuato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, dal Commissario straordinario di cui all'articolo 2, sentita la Commissione istituita ai sensi del medesimo articolo 2, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Qualora l'intesa non sia raggiunta entro il termine di cui al periodo precedente, l'individuazione definitiva del sito è adottata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri”.

In base al successivo comma 2, la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi viene affidata alla SOGIN S.p.a. e dovrà essere completata entro e non oltre il 31 dicembre 2008.

Si ricorda, inoltre, che il comma 100 dell’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, prevede che “con le procedure di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 14 novembre 2003, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 368, viene individuato il sito per la sistemazione definitiva dei rifiuti di II categoria”.

Sulla base del combinato disposto della legge Marzano e del D.L. n. 314, quindi, la Sogin dovrà provvedere alla realizzazione di un deposito per i rifiuti di III categoria e di uno per quelli di II categoria.

 

In considerazione della funzione del deposito unico nazionale di sistemazione definitiva anche dei rifiuti di II categoria, occorre valutare se procedere all’abrogazione espressa dell’articolo 1, comma 100, della legge n. 239 del 2004, che estende le procedure di cui all'articolo 1, comma 1, del DL n. 314 del 2003 all’individuazione del sito per la sistemazione definitiva di tale categoria di rifiuti.

Inoltre, in considerazione dei rinvii all’articolo 1, comma 1, del richiamato decreto-legge, contenuti sia in altre disposizioni del medesimo decreto-legge sia nella legge n. 239 del 2004, occorre valutare se - piuttosto che prevedere la soppressione di tale disposizione - formulare i commi 1 e 2 dell’articolo in commento quali novelle alla medesima.

 

Il comma 4 novella il secondo periodo del comma 3 dell'articolo 2 del DL n. 314/2003, modificando la composizione della Commissione tecnico-scientifica prevista dal periodo precedente.

Si ricorda che l’art. 2, comma 3, primo periodo, dispone che “con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è istituita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una Commissione tecnico-scientifica con compiti di valutazione e di alta vigilanza per gli aspetti tecnico-scientifici inerenti agli obiettivi del presente decreto e per le iniziative operative del Commissario straordinario” (incaricato dell’attuazione del decreto stesso) e, al secondo periodo ne disciplina la composizione.

 

La nuova composizione della Commissione prevede 13 membri anziché 19, così individuati:

§         6 esperti con comprovata conoscenza del settore nucleare nominati dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro dell'ambiente;

§         3 esperti con comprovata conoscenza del settore nucleare nominati dalle regioni, dalle province e dai comuni in sede di Conferenza unificata;

§         2 rappresentanti delle associazioni ambientaliste riconosciute dal Ministero dell'ambiente;

§         1 rappresentante dell'APAT;

§         1 rappresentante dei comuni ospitanti impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile.

Rispetto al testo vigente, in cui tutti i 19 membri erano “esperti di elevata e comprovata qualificazione tecnico-scientifica” (nominati dai vari ministeri, dalla Conferenza unificata dall’APAT, ecc.), il comma in esame riduce il numero di “esperti” a sole 9 unità, che vengono affiancate da rappresentanti delle associazioni ambientaliste e dei comuni ospitanti impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile, con l’evidente finalità di garantire la partecipazione delle comunità locali.

 

La normativa comunitaria in materia di rifiuti radioattivi

Con il Libro verde sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici[36], del 29 novembre 2000, la Commissione europea ha avviato un dibattito sull’energia nucleare, sottolineando che l’opzione nucleare rimane aperta negli Stati membri che lo desiderano. Il Libro verde affronta, fra l’altro, il problema della gestione dei rifiuti nucleari, sottolineando a tal riguardo la necessità di proseguire le ricerche nel settore delle tecnologie di gestione dei rifiuti radioattivi e di definire un programma integrato di gestione dei rifiuti che tenga in debito conto le preoccupazioni dell’opinione pubblica in materia di sicurezza dell’intera catena, a partire dal trasporto delle materie radioattive fino al loro stoccaggio. Il documento evidenzia, inoltre, la necessità di garantire la massima trasparenza nell’elaborazione delle soluzioni al problema della gestione dei rifiuti radioattivi e ritiene essenziali ulteriori ricerche per risolvere i problemi tecnici in sospeso in questo settore.

In tale ottica è sembrato necessario alla Commissione definire chiaramente le proprie competenze in materia di sicurezza degli impianti nucleari e dotarsi di una regolamentazione giuridicamente vincolante, anche al fine di colmare le lacune del Trattato Euratom che non prevede disposizioni legislative specifiche per la sicurezza degli impianti nucleari.

Alla luce di tali considerazioni, il 6 novembre 2002 la Commissione ha presentato una Comunicazione[37] dal titolo “La sicurezza nucleare e l’allargamento dell’Unione europea” con la quale delinea un approccio comunitario in materia di sicurezza nucleare nell’Unione europea.

Tale comunicazione, insieme ad altri provvedimenti, costituisce il cd. “pacchetto nucleare”, che comprende anche due proposte di direttive (Euratom)[38] relative, rispettivamente, alla definizione degli obblighi fondamentali e dei principi generali nel settore della sicurezza degli impianti nucleari, e alla gestione sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi[39].

 

Il problema della gestione dei rifiuti radioattivi si iscrive anche nell’ambito dell’attività internazionale dell’Unione europea nel settore nucleare. In tale ottica si segnala l’emanazione della decisione del Consiglio del 24 gennaio 2005 (2005/84/Euratom) che approva l'adesione della Comunità europea dell'energia atomica alla «Convenzione congiunta sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi», firmata dalla quasi totalità degli Stati membri dell’UE ed entrata in vigore il 18 giugno 2001.

 

Si ricorda, infine, che il Consiglio dell’Unione europea ha adottato in data 20 novembre 2006 la Direttiva 2006/117/EURATOM, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito.

Si ricorda, in proposito, che la materia delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito è soggetta a una serie di prescrizioni stabilite da strumenti normativi comunitari e internazionali, concernenti in particolare la sicurezza del trasporto dei materiali radioattivi e le condizioni di smaltimento o di stoccaggio dei rifiuti radioattivi o del combustibile esaurito nel paese di destinazione[40].

La direttiva in esame intende istituire un sistema comunitario di sorveglianza e controllo delle spedizioni  transfrontaliere di rifiuti radioattivi e di combustibile esaurito[41], allo scopo di garantire una protezione adeguata della popolazione. Essa trova applicazione quando il paese di origine o il paese di destinazione o un paese di transito è uno Stato membro della Comunità, e quando le quantità e la concentrazione dei materiali spediti superano i livelli previsti all’articolo 3, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 96/29/Euratom[42]. Non pregiudica comunque né diritti e obblighi che derivano dal diritto internazionale (articolo 1), né la piena responsabilità degli Stati membri della scelta della propria politica di gestione dei rifiuti nucleari e del combustibile esaurito all’interno della loro giurisdizione (articolo 3).

La direttiva stabilisce specifiche prescrizioni relative alla tutela della salute dei lavoratori e della popolazione imponendo di assoggettare le spedizioni di rifiuti radioattivi o di combustibile esaurito fra Stati membri e quelle in entrata o in uscita dal territorio comunitario a un sistema comune e obbligatorio di autorizzazione preventiva e all’utilizzo di un documento uniforme.

La direttiva 2006/117/Euratom abroga la direttiva 92/3/Euratom del Consiglio con effetto dal 25 dicembre 2008 (data entro la quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva), lasciando comunque impregiudicati gli obblighi incombenti agli Stati membri per quanto riguarda i termini per il recepimento nell’ordinamento nazionale e per l’applicazione della direttiva abrogata (articolo 23). Essa assicura inoltre la coerenza con altre disposizioni comunitarie e internazionali e in particolare con la succitata Convenzione comune sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi.

Si segnala che la delega per il recepimento della direttiva è contenuta nel disegno di legge comunitaria 2007 (la direttiva è inserita nell’elenco di cui all’Allegato B e l’articolo 22 detta specifici principi e criteri direttivi), che il Senato ha approvato in prima lettura lo scorso 25 settembre.

 

 

 


 

Art. 11
(Impianti, infrastrutture e opere di interesse nazionale)

 

L’articolo 11 introduce norme volte a promuovere e semplificare la realizzazione di impianti e infrastrutture energetici nei territori delle regioni e delle province autonome, prevedendo:

·       che ogni regione debba ospitare almeno un impianto o infrastruttura di interesse nazionale ad alto impatto sociale;

·       la realizzazione di un Piano degli impianti e delle infrastrutture di interesse nazionale e delle relative opere, da adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, con Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata;

·       risorse aggiuntive (ai sensi dell’articolo 119, comma 5, Cost.) e un contributo definito mediante la determinazione di un’aliquota della componente della tariffa elettrica pari a 0,015 centesimi di euro per ogni kilowattora consumato.

 


Art. 12
(Modalità di esercizio del potere sostitutivo)

 

L’articolo 12 definisce le modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo nel caso in cui non vengano raggiunti gli accordi o le intese con le regioni previsti dal provvedimento in materia di:

·       distribuzione delle quote produttive di competenza di ciascuna regione: nel caso in cui non venga raggiunto l’accordo in Conferenza unificata il Governo può procedere alla negoziazione separata con ciascuna regione;

·       individuazione dei siti destinati ad impianti nucleari: nel caso in cui non venga raggiunta l’intesa in sede di Conferenza unificata, l’individuazione dei siti avviene mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentiti l’APAT, l’ENEA  e il CNR;

·       autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di impianti nucleari: nel caso in cui non venga raggiunta l’accordo in sede di conferenza di servizi, previa intesa con la regione interessata, l’autorizzazione è rilasciata con deliberazione del Consiglio dei ministri;

·       adozione del Piano degli impianti, delle infrastrutture e delle opere di interesse nazionale che le regioni e le province autonome sono tenute ad ospitare sul loro territorio: nel caso in cui non venga raggiunta l’intesa in sede di Conferenza unificata, il Piano è adottato con deliberazione del Consiglio dei ministri.

 

Il potere sostitutivo statale nella legislazione vigente

Il secondo comma dell’art. 120, come sostituito dall’art. 6 della legge di riforma del Titolo V della Costituzione[43], disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni.

Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che tali enti non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale di attuazione il compito di disciplinare l’esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

L’articolo 8 della L. 131/2003[44], nel dettare le norme attuative dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, ha in primo luogo delineato (comma 1) un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l’adozione da parte dell’ente degli “atti dovuti o necessari”.

La fissazione del termine e la previsione, dopo il suo inutile decorso, dell’intervento sostitutivo del Governo viene a configurare un’ipotesi di inadempienza avente ad oggetto atti che, in quanto “dovuti” dovrebbero trovare un proprio fondamento in una disposizione di legge o comunque normativa.

E’ prevista una procedurache può essere qualificata come “generale” (comma 1), sulla quale si innestano, poi, le procedure “settoriali” previste dai successivi commi per le specifiche ipotesi ivi indicate.

Alla fissazione del “congruo termine” per l’adozione degli atti “dovuti o necessari” provvede il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio, esercita il potere sostitutivo, che può esprimersi adottando direttamente i “provvedimenti necessari, anche normativi”, ovvero nominando un apposito Commissario[45]. Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

Il successivo articolo 10 della L. 131/2003 affida l’esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al Rappresentante dello Stato, ossia al prefetto titolare dell’Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale.

Il comma1dell’articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti “anche normativi”, prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa.

Per quanto riguarda il potere sostitutivo in materia comunitaria, l’articolo 8 (comma 2) individua la prima “disciplina settoriale” che si innesta sul tronco della procedura generale di cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria.

La L. 131/2003 prevede una seconda “procedura settoriale” (art. 8, comma 3) per i casi in cui l’esercizio del potere sostitutivo riguardi gli enti locali (Comuni, province o Città metropolitane).

In questi casi si prevede che la nomina del Commissario debba tenere conto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione e si richiede, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).

Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell’ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l’esclusione dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l’altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l’adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.

L’articolo 8 prevede poi una “procedura d’urgenza” (comma 4), ricalcando almeno in parte quanto disposto dall’articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998[46]: si tratta di una procedura speciale, cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono chiederne il riesame.

Il comma 4 configura regole procedurali ridotte, rispetto a quelle recate dal comma 1: il “peso” del principio di “leale collaborazione”, richiesto dall’art. 120 della Costituzione, appare infatti minore[47].

il medesimo articolo 8 (comma 5) impone, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi, il criterio della proporzionalità degli stessi in rapporto alle finalità perseguite.


Art. 13
(Copertura finanziaria)

 

L’articolo 13 reca le norme di copertura finanziaria.

La disposizione prevede i seguenti oneri:

1.    2 milioni di euro annui, per gli anni 2007-2009, a favore, rispettivamente dell’APAT e del Ministero dello sviluppo economico (gli altri enti interessati provvedono, invece, con le risorse assegnate a legislazione vigente);

2.    18 milioni di euro per l’anno 2009 per compensare i Comuni delle minori entrate derivanti dalla prevista esenzione dall’ICI e dalla TARSU per i soggetti residenti nei territori ospitanti impianti di produzione di energia nucleare; a decorrere dal 2010 si provvede, invece, mediante quantificazione nella tabella C della legge finanziaria[48];

3.    100 milioni di euro annui, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, per far fronte agli altri oneri previsti dalla legge; a decorrere dal 2010 si provvede, invece, mediante quantificazione nella tabella C della legge finanziaria.

All'onere di cui ai punti 1 e 2, pari a 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007 e 2008 e a 22 milioni di euro per l'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

All'onere di cui al punto 3, pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

 

 


 

Progetto di legge

 


N. 2211

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

URSO, GIANFRANCO FINI, LA RUSSA, FOTI, RAISI, SAGLIA, AIRAGHI, ANGELI, ASCIERTO, BARBIERI, BIANCOFIORE, BONIVER, BONO, BRUSCO, BUONTEMPO, CATANOSO, CIRIELLI, CONSOLO, GIORGIO CONTE, CONTENTO, FILIPPONIO TATARELLA, FRATTA PASINI, GAMBA, HOLZMANN, LO PRESTI, MENIA, MIGLIORI, MINASSO, MISTRELLO DESTRO, ANGELA NAPOLI, NESPOLI, PALMIERI, PALUMBO, PATARINO, SIMEONI, TASSONE, TONDO, ULIVI, VALDUCCI, ZACCHERA

¾

 

Disposizioni per la formulazione del piano energetico nazionale e per la realizzazione di nuovi impianti nucleari

 

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Presentata il2 febbraio 2007

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Onorevoli Colleghi! - La situazione energetica italiana pone oggi delle questioni pressanti che non possono più essere eluse.

Lo scenario attuale vede l'Italia al primo posto al mondo per dipendenza dall'estero, con una produzione energetica che deriva quasi esclusivamente dall'approvigionamento di gas naturale dalla Russia e dall'Algeria. Dopo l'abbandono del nucleare nel 1986, dalla dipendenza dall'olio combustibile siamo approdati alla dipendenza dal gas.

La tendenza è in aumento nei prossimi due anni, con l'entrata in esercizio di tutti i repowering in costruzione, mentre la previsione per l'anno 2015 vede la produzione di energia da gas salire a quasi il 70 per cento del totale nazionale, surclassando le altre fonti combustibili. Rispetto al tema dei costi in campo energetico le nostre industrie pagano le bollette più alte d'Europa: 12,08 euro per 100 KWh nel 2006.

L'Italia, inoltre, importa 50 miliardi di KWh elettrici l'anno da fonte nucleare d'oltralpe, rispetto alla Spagna che importa 2 miliardi di KWh annui, mentre la Francia ne esporta 66 miliardi.

Un problema strutturale, quello italiano, destinato a peggiorare nel tempo e ad influenzare negativamente lo sviluppo del Paese, considerando, inoltre, che il carbone e il nucleare sono, rispettivamente, la prima e la seconda fonte di produzione di energia elettrica in Europa, e la seconda e la prima fonte negli Stati Uniti d'America.

L'Italia non è neanche in classifica per quanto concerne il carbone ed è collocata all'ultimo posto per quanto concerne il nucleare. La diversificazione delle fonti per l'Italia è certamente la priorità.

La nostra proposta organica, su cui speriamo si possa ottenere un largo consenso bipartisan con la consapevolezza che ogni progetto energetico, non solo quello nucleare, debba inserirsi in un piano nazionale condiviso. Non è ammissibile infatti che esso possa venire annullato ad ogni cambio di Governo o di legislatura, perché per sua natura ha bisogno di tempo per realizzarsi, ben oltre la vita media dei Governi italiani. A tal fine la nostra proposta di legge parte dalla realizzazione del piano energetico nazionale e delimita le competenze e gli obiettivi dello Stato e delle regioni, nell'ambito della Costituzione vigente, con il fine di responsabilizzare gli elettori lasciando a ciascuno la propria autonomia nel contesto più generale dell'interesse nazionale. Anche per questo la nostra proposta di legge tratta in modo organico tutte le fonti energetiche quali l'energia idroelettrica, geotermica, eolica, solare e delle biomasse, meccanica, termica, elettromagnetica, chimica e nucleare, senza alcun pregiudizio ideologico, ma solo sulla base delle compatibilità economiche, sociali e ambientali.

Si presenta infatti come necessario l'avvio di un nuovo interesse politico per il nucleare, contrastando l'ostracismo culturale che questo settore ha subìto dal 1986 ad oggi.

Il nucleare, a livello mondiale, sta vivendo una fase di forte sviluppo: Germania, Svizzera e Svezia stanno rivedendo la decisione di abbandonare il nucleare, la Francia ha avviato un nuovo programma di costruzione, la Finlandia sta costruendo la quinta centrale, la Polonia si doterà della prima centrale entro il 2021, l'Inghilterra ha recentemente annunciato che verrà programmata la costruzione di altri nuovi reattori nucleari.

La Russia si doterà di 40 nuove unità nei prossimi venticinque anni, la Cina costruirà 40 nuovi impianti entro il 2020, in Canada si parla dell'installazione di 12 nuovi impianti, la Turchia, il cui programma di sviluppo energetico passa per la costruzione di 3 centrali nucleari entro il 2014, sta vagliando attraverso il Ministero dell'energia otto offerte provenienti da Russia, Giappone, Corea, Cina, Canada e Francia.

Alleati di questo nuovo sviluppo sono il basso costo della produzione energetica, la volontà di affrancamento dalla dipendenza dal petrolio, la necessità di rispettare i requisiti di Kyoto: se l'Italia oggi facesse ricorso al nucleare per una percentuale pari alla media europea di circa il 30 per cento, le emissioni italiane sarebbero inferiori di 40 milioni di tonnellate all'anno rispetto a quelle odierne.

In Italia dopo le scelte referendarie del 1987 abbiamo perso gran parte delle competenze e delle tecnologie di cui eravamo leader a livello mondiale prima del referendum, tanto che le aziende in grado di operare nel settore si contano ormai sulle dita di una mano. Nella scorsa legislatura cancellammo uno dei requisiti che impedivano all'Ente nazionale per l'energia elettrica di operare all'estero, e attualmente l'ENEL, per accrescere la sua massa critica in Europa, nel suo piano di acquisizioni, sta investendo nei mercati dei paesi dell'est - in particolare nella Repubblica Slovacca e in Romania - e ha firmato con il gruppo EDF un programma che lo vedrà impegnato nello sviluppo del reattore EPR di Flamanville.

In Italia attualmente, purtroppo, la realizzazione di un impianto industriale, per la produzione di energia, per il trattamento dei rifiuti, o la progettazione di una grande opera civile di pubblica utilità determinano frequentemente opposizioni da parte del territorio. Oltre il 90 per cento degli impianti previsti in Italia subisce, infatti, contestazioni che causano enormi ritardi o bocciature dei progetti. Le conseguenze sono perdite economiche, tensioni sociali e incertezze. Che cosa si può fare per mettere sullo stesso piano progresso e tutela del territorio, interessi pubblici e privati, impresa e governo, sviluppo e sostenibilità? Questo è il cosiddetto principio Nimby. Con «Nimby» (acronimo derivante dall'inglese (not in my backyard, ovvero: «non nel mio cortile») si intende la sindrome di chi si oppone all'insediamento territoriale di impianti e infrastrutture. Un fenomeno che ha assunto proporzioni vastissime in tutto il mondo. Secondo i dati del Nimby Forum sono 190 le infrastrutture e gli impianti oggetto di contestazioni. Altro principio che spesso si accompagna al Nimby è il meno noto Nimg («not in my generation») il quale sostiene la netta opposizione a qualsivoglia opera strutturale o cambiamento nel proprio tempo, lasciando così ogni tipo di problema irrisolto per le generazioni future.

Purtroppo questa cultura della deresponsabilizzazione è in Italia più diffusa che altrove, ma bisogna trovare la forza di contrastarla con azioni volte al superamento dei danni prodotti dai cosiddetti «effetti Nimby e Nimg», attraverso un'informazione corretta verso i cittadini per quel che concerne le trasformazioni e la programmazione del territorio nonché l'incentivazione degli enti territoriali che accolgono nel proprio territorio infrastrutture energetiche.

Bisogna definire, quindi, una cultura della responsabilità, che abbia come linee direttrici i princìpi di autonomia e di responsabilità, una cultura che guardi al cittadino e al futuro e che renda possibile il corretto sviluppo energetico del Paese secondo quanto indicato dalla Commissione europea nel rapporto Limiting global climate change to 2o Celsius: The way ahead for 2020 and beyond, nella stesura del quale si è posto l'accento proprio sulla necessità che gli Stati utilizzino in maniera responsabile ogni forma di energia.

Sappiamo bene che la strada è irta di ostacoli, perché in Italia vi è ancora una forte pregiudiziale ideologica falsamente ecologista, ma che solo in questo modo sarà possibile ripartire da subito sulla ricerca nucleare, soprattutto di quarta generazione, consentendo al nostro Paese di partecipare in modo attivo e responsabile ai piani di ricerca internazionali, recuperando così al più presto possibile le risorse umane e scientifiche che venti anni fa ci vedevano all'avanguardia nel mondo e che in questi decenni sono state purtroppo disperse.

La presente proposta di legge è composta da tredici articoli, che si procede ad illustrare:

l'articolo 1 illustra e promuove l'uso appropriato delle fonti energetiche, la cultura del risparmio energetico e la sostituzione delle materie prime d'importazione tramite la realizzazione di nuovi impianti nucleari;

l'articolo 2 definisce gli obiettivi che il Governo deve fissare con il prossimo piano energetico nazionale. Stabilisce, in particolare, che entro il termine di venti anni lo Stato deve raggiungere l'autonomia nella produzione energetica, pari ad almeno il 50 per cento del consumo nazionale;

l'articolo 3 conferisce allo Stato la responsabilità per il fabbisogno energetico attraverso il nucleare, mentre alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano affida la competenza all'utilizzo delle altre forme di energia per una copertura pari al 20 per cento del fabbisogno energetico nazionale. Definisce, inoltre, che vi sia un accordo tra Stato e regioni e province autonome per un'equa suddivisione del carico energetico tra le regioni e le province autonome che devono, attraverso piani energetici armonizzati, garantire il raggiungimento del carico energetico di loro competenza;

l'articolo 4 identifica nel Governo il soggetto che si occupa dell'individuazione preventiva dei siti destinati agli impianti nucleari. Stabilisce, inoltre, che l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) aggiorni l'atlante dei siti suscettibili di accogliere impianti nucleari;

l'articolo 5 prevede la necessità di una particolare autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione di energia nucleare. Tale autorizzazione è concessa con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o con la provincia autonoma interessata;

l'articolo 6 definisce la procedura per il rilascio dell'autorizzazione. Il soggetto richiedente presenta la richiesta al Ministero dello sviluppo economico e, per conoscenza, ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute, alla regione, alla provincia e al comune interessati, nonché all'APAT.

L'istruttoria deve in ogni caso concludersi entro sei mesi dalla data di presentazione dell'istanza.

L'APAT è il soggetto incaricato di vigilare sulla costruzione dell'impianto e sul rispetto delle prescrizioni indicate nel decreto di autorizzazione;

l'articolo 7 prevede che sia il Ministero dello sviluppo economico, sentiti l'APAT e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ad approvare l'istanza del richiedente e la documentazione da lui presentata per l'avvio dell'impianto.

Il Ministero dello sviluppo economico deve altresì emettere la certificazione di avvenuto collaudo qualora esso abbia esito positivo;

l'articolo 8 stabilisce la garanzia dai rischi e la copertura assicurativa per i rischi di carattere catastrofico, economico e commerciale che potrebbero verificarsi durante l'esecuzione dei lavori volti alla realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica;

l'articolo 9 prevede speciali misure di incentivazione da assegnare a nuclei familiari, individui e imprese residenti in comuni che ospitano impianti di produzione di energia nucleare ad uso civile;

l'articolo 10 identifica nel Ministero dello sviluppo economico, attraverso la commissione tecnico-scientifica già prevista dall'articolo 2 del decreto-legge n. 314 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 368 del 2003 (la cui composizione viene modificata), il soggetto che individua il sito del deposito unico nazionale per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi di II categoria e per lo stoccaggio dei rifiuti di III categoria;

l'articolo 11 prevede che ogni regione o provincia autonoma debba ospitare almeno un impianto, un'infrastruttura o un'opera di interesse nazionale necessaria per l'approvvigionamento energetico. Tali impianti e infrastrutture e le relative opere sono allocati nelle regioni e nelle province autonome di Trento e Bolzano tenendo conto della connotazione geopolitica, storica e della dimensione della regione interessata.

Per i comuni e per le province che ospitano impianti, infrastrutture e le relative opere sono previsti appositi contributi e compensazioni;

l'articolo 12 prevede adeguate procedure sostitutive per risolvere le situazioni di impasse amministrativa laddove le intese previste in sede decisionale non vengano raggiunte;

l'articolo 13 reca la copertura finanziaria necessaria per l'attuazione della legge.


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Finalità).

1. Nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario sulla politica energetica, la presente legge favorisce e incentiva l'uso e la produzione razionale dell'energia, definita ai sensi del comma 2, e delle materie prime energetiche, in modo da realizzare azioni dirette alla promozione del risparmio energetico, all'uso appropriato delle fonti di energia, anche convenzionali, al miglioramento dei processi tecnologici che utilizzano o trasformano l'energia, all'uso e allo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, alla sostituzione delle materie prime energetiche di importazione e al ricorso all'energia nucleare.

2. Per produzione razionale di energia si intende quella che si avvale di tecnologie consolidate e sperimentate, utilizzate in modo proporzionale alle loro potenzialità e alla sicurezza di erogazione energetica e in modo inversamente proporzionale ai rispettivi costi di investimento. Gli interventi finalizzati alla produzione razionale di energia devono, altresì, tenere conto e, ove possibile, prevenire i rischi segnalati dalle analisi scientifiche e tecnologiche e adottare le opportune strategie per impedire il diffondersi di atteggiamenti di rifiuto nei confronti delle fonti di energia prescelte non giustificati dall'esistenza di un pericolo.

Art. 2.

(Princìpi del piano energetico nazionale).

1. Nella formulazione del piano energetico nazionale successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo definisce misure, modalità e  tempi idonei a garantire, entro il termine di venti anni dalla data di adozione del medesimo piano, il raggiungimento di un'autonomia della produzione energetica pari ad almeno il 50 per cento del consumo nazionale, tenendo conto anche delle aspettative di crescita dell'economia.

Art. 3.

(Partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla produzione energetica nazionale).

1. Ferma restando la responsabilità dello Stato per il fabbisogno energetico, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, utilizzando le varie forme di energia, in conformità alle finalità di cui all'articolo 1, esclusa l'energia nucleare, contribuiscono alla produzione energetica nazionale, garantendo la copertura del fabbisogno totale per una percentuale pari al 20 per cento.

2. In sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a stipulare un accordo per la distribuzione delle quote di produzione energetica di loro competenza.

3. Entro sei mesi dalla stipulazione dell'accordo di cui al comma 2 e in conformità ai princìpi del piano energetico nazionale stabiliti ai sensi dell'articolo 2, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentito il Consiglio delle autonomie locali, conformano il rispettivo piano energetico triennale in modo da assicurare il raggiungimento della quota di produzione energetica di loro competenza.

Art. 4.

(Individuazione dei siti destinati all'insediamento di impianti nucleari).

1. La realizzazione di impianti nucleari, inseriti nel piano energetico nazionale, è soggetta alla preventiva individuazione dei

 

siti da parte del Governo, sulla base di una apposita intesa definita in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Qualora l'intesa non sia raggiunta, si procede ai sensi dell'articolo 12, comma 2.

2. Agli effetti dell'intesa, di cui al comma 1, il Governo tiene conto di un apposito atlante dei siti suscettibili di accogliere impianti nucleari, redatto e tenuto dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'APAT provvede alla redazione dell'atlante dei siti suscettibili di accogliere impianti nucleari.

Art. 5.

(Autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti nucleari).

1. L'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile è rilasciata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, quale organo nazionale preposto alla sicurezza e all'economicità del sistema elettrico nazionale, su istanza del soggetto richiedente, previa intesa con la regione o con la provincia autonoma interessata e sulla base di apposita conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

Art. 6.

(Procedura per il rilascio dell'autorizzazione).

1. I soggetti interessati al rilascio dell'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile di cui all'articolo 5 presentano l'apposita richiesta e la relativa documentazione al Ministero dello sviluppo economico, inviandone, per conoscenza, una copia ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e

 

dell'interno, alla regione, alla provincia e al comune interessati, nonché all'APAT. La documentazione allegata alla richiesta deve contenere:

a) il progetto di costruzione, con l'indicazione del sito prescelto, della spesa e del tempo necessario alla sua realizzazione;

b) un rapporto preliminare sulla sicurezza dell'impianto, con l'indicazione delle misure che vengono adottate per prevenire i rischi e per limitare le conseguenze di un eventuale incidente;

c) lo studio di valutazione dell'impatto ambientale;

d) un progetto preliminare sulla gestione dei rifiuti radioattivi che verranno prodotti in fase di esercizio dell'impianto;

e) la documentazione sul possesso della capacità tecnica ed economica adeguata, nonché sulla comprovata esperienza nel settore dell'ingegneria nucleare; le società miste pubblico-privato, o i soggetti pubblici e privati, riuniti secondo le modalità del «project financing», possono richiedere l'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile, sulla base del possesso dei requisiti indicati dalla presente lettera anche da parte del solo soggetto privato.

2. Le amministrazioni di cui al comma 1 trasmettono al Ministero dello sviluppo economico e all'APAT, non oltre un mese dalla data di ricevimento della richiesta, le proprie osservazioni.

3. L'APAT, entro un mese dalla data di ricevimento, esamina la richiesta e la relativa documentazione e, tenuto conto delle osservazioni pervenute ai sensi del comma 2, predispone una relazione con le proprie valutazioni, che trasmette al Ministero dello sviluppo economico e alle altre amministrazioni di cui al comma 1.

4. Le amministrazioni di cui al comma 1, non oltre un mese dalla data di ricevimento

 

della relazione di cui al comma 3, trasmettono le loro osservazioni finali all'APAT, che nel mese successivo predispone e trasmette al Ministero dello sviluppo economico il proprio parere definitivo con l'indicazione di eventuali prescrizioni che possono riguardare la progettazione, la realizzazione o la conduzione dell'impianto.

5. Il Ministero dello sviluppo economico, ricevuto il parere definitivo dell'APAT di cui al comma 4, entro due mesi, completa l'istruttoria con la procedura di valutazione dell'impatto ambientale, stipula l'intesa con la regione interessata e promuove la conferenza di servizi ai sensi dell'articolo 5. L'istruttoria si conclude in ogni caso entro il termine di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta.

6. La costruzione dell'impianto avviene sotto la vigilanza dell'APAT, che verifica il rispetto delle prescrizioni indicate nel decreto di autorizzazione di cui all'articolo 5.

Art. 7

(Messa in esercizio degli impianti nucleari).

1. La messa in esercizio di un impianto di produzione dell'energia nucleare ad uso civile è subordinata all'approvazione del rapporto finale di sicurezza, delle procedure operative, delle specifiche tecniche, nonché del programma delle prove nucleari da parte del Ministero dello sviluppo economico, sentiti l'APAT e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

2. Effettuato positivamente il collaudo, ai sensi delle disposizioni del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro un mese dalla data di rilascio della certificazione di avvenuto collaudo e sentita l'APAT, è consentita la messa in esercizio dell'impianto di cui al comma 1, che avviene sotto la vigilanza dell'APAT e dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente competente. 

Art. 8.

(Garanzia contro i rischi e copertura assicurativa).

1. I rischi derivanti dalla gestione di impianti di produzione di energia elettrica sono coperti da assicurazione in conformità a quanto previsto dalla legislazione nazionale vigente in materia nonché dalla normativa comunitaria e internazionale alla quale l'Italia ha dato esecuzione.

2. In caso di realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da parte dello Stato, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, che accrescono la competitività internazionale delle attività produttive italiane, la SACE SpA - Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero provvede ad assicurare i rischi di carattere catastrofico, economico e commerciale che potrebbero verificarsi durante l'esecuzione dei lavori.

Art. 9.

(Incentivi alla costruzione di nuovi impianti nucleari).

1. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentiti il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze e l'APAT, sono determinate speciali misure di incentivazione da assegnare ai nuclei familiari, agli individui e alle imprese residenti in comuni ospitanti impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile, sulla base dei seguenti criteri:

a) i nuclei familiari, gli individui e le imprese residenti in comuni ospitanti impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile godono di una riduzione della tariffa elettrica nazionale, stabilita dal Ministro dello sviluppo economico su proposta dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;

b) i nuclei familiari, gli individui e le imprese residenti in comuni ospitanti impianti

 

di produzione dell'energia nucleare ad uso civile godono dell'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) e dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU);

c) la diminuzione di introiti derivante dall'esenzione dall'ICI e dalla TARSU disposta ai sensi della lettera b) è compensata mediante versamento ai singoli comuni di somme equivalenti, determinate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro tre mesi dalla data di emanazione del decreto del Ministro dello sviluppo economico di cui all'alinea.

Art. 10.

(Deposito unico nazionale).

1. Sulla base di un'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Ministero dello sviluppo economico, previo parere dell'APAT, che valuta le caratteristiche geomorfologiche del terreno, individua, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il sito del deposito unico nazionale per la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi di II categoria e per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi di III categoria. Qualora l'intesa non sia raggiunta entro il termine di cui al periodo precedente, all'individuazione definitiva del sito si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Il decreto di individuazione del sito è emanato di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro dell'interno e con il Ministro della difesa.

2. Il deposito nazionale individuato ai sensi del comma 1 è opera di difesa nazionale.

3. Il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge 14 novembre 2003, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 368 e successive modificazioni, è abrogato.

 4. Il secondo periodo del comma 3 dell'articolo 2 del decreto-legge 14 novembre 2003, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 368, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «La predetta Commissione è composta da tredici membri così individuati: 6 esperti con comprovata conoscenza del settore nucleare nominati dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; 3 esperti con comprovata conoscenza del settore nucleare nominati dalle regioni, dalle province e dai comuni in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; 2 rappresentanti delle associazioni ambientaliste riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; un rappresentante dell'APAT; un rappresentante dei comuni ospitanti impianti di produzione dell'energia nucleare ad uso civile».

Art. 11.

(Impianti, infrastrutture e opere di interesse nazionale).

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione e al fine di garantire la realizzazione dell'interesse nazionale all'approvvigionamento energetico, ospitano almeno uno tra i seguenti impianti o infrastrutture di interesse nazionale definiti ad alto impatto sociale: termovalorizzatori; impianti di produzione e utilizzazione dell'energia nucleare ad uso civile; rigassificatori; depositi per lo stoccaggio temporaneo o definitivo dei rifiuti radioattivi; impianti di smaltimento dei rifiuti; opere necessarie per il loro funzionamento.

2. Gli impianti e le infrastrutture di interesse regionale e le opere di cui al comma 1 sono allocati nei territori delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano tenendo conto della posizione, della dimensione, della popolazione

 

e delle esigenze di infrastrutturazione derivanti dalla situazione storica delle medesime regioni e province autonome, nonché sulla base di una valutazione delle strutture similari eventualmente già esistenti.

 

3. Il piano degli impianti e delle infrastrutture di interesse nazionale e delle relative opere di cui al presente articolo è adottato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

4. I comuni e le province che ospitano gli impianti e le infrastrutture di interesse nazionale e le relative opere godono:

a) di risorse aggiuntive, ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, per la realizzazione di specifiche infrastrutture locali e di servizi per la popolazione residente;

b) di un contributo definito mediante la determinazione di un'aliquota della componente della tariffa elettrica pari a 0,015 centesimi di euro per ogni kilowattora consumato.

Art. 12.

(Modalità di esercizio del potere sostitutivo).

1. Qualora l'accordo di cui all'articolo 3, comma 2, non sia raggiunto, il Governo procede a negoziare con ogni regione e con le province autonome di Trento e di Bolzano la quota di produzione energetica di loro competenza sino al raggiungimento della percentuale indicata al comma 1 del citato articolo 3.

2. Qualora l'intesa di cui all'articolo 4, comma 1, non sia raggiunta, all'individuazione dei siti destinati agli impianti di produzione dell'energia nucleare per uso civile si procede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentiti l'APAT, l'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente (ENEA) e il Consiglio

 

nazionale delle ricerche (CNR). Il decreto è motivato in base alle risultanze degli studi effettuati e alle valutazioni di ordine economico e sociale, tenendo conto degli elementi indicati nell'articolo 11, comma 2, e della necessità di salvaguardare gli interessi nazionali.

3. Qualora l'intesa di cui all'articolo 5, comma 1, non venga raggiunta, l'autorizzazione per la costruzione e per l'esercizio di impianti di produzione dell'energia nucleare per uso civile è rilasciata sulla base di deliberazione del Consiglio dei ministri.

4. Qualora l'intesa di cui all'articolo 11, comma 3, non sia raggiunta, il piano degli impianti e delle infrastrutture di interesse nazionale è adottato sulla base di deliberazione del Consiglio dei ministri.

Art. 13.

(Copertura finanziaria).

1. Il Ministero dello sviluppo economico e l'APAT provvedono agli adempimenti previsti dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla vigente legislazione, che, per le finalità della presente legge, sono integrate, a decorrere dall'anno 2007, nella misura annua di 2 milioni di euro in favore del Ministero dello sviluppo economico e di 2 milioni di euro in favore dell'APAT. Gli altri enti e amministrazioni pubbliche provvedono agli adempimenti previsti dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali già ad essi assegnate in base alla legislazione vigente.

2. Per le finalità di cui all'articolo 9, comma 1, lettere b) e c), è autorizzata la spesa di 18 milioni di euro per l'anno 2009. A decorrere dall'anno 2010, si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468.

3. Per far fronte agli ulteriori oneri derivanti dalla presente legge, diversi da quelli di cui ai commi 1 e 2, è autorizzata la spesa massima di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. A decorrere dall'anno 2010, si provvede ai

 

sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468.

4. All'onere di cui ai commi 1 e 2, pari a 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007 e 2008 e a 22 milioni di euro per l'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

5. All'onere di cui al comma 3, pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 




[1]    Si tratta del decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002, n. 55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante: Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale).

[2]    Si tratta dell'art. 1, comma 248 della legge 311/2004.

[3]     Per una rassegna dei più significativi contributi dottrinali sull’argomento si rinvia alla sezione “Dottrina” del presente dossier.

[4]     Articolo 1, comma 2, Cost.: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

[5]     Recante “Delega al Governo per completare la liberalizzazione dei settori dell' energia elettrica e del gas naturale e per il rilancio del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili, in attuazione delle direttive comunitarie 2003/54/CE, 2003/55/CE e 2004/67/CE”.

[6]    Nell’ambito delle fonti rinnovabili la direttiva 2001/77/CE - principale riferimento normativo comunitario - è volta a favorire un aumento del contributo di tali fonti energetiche nella produzione di elettricità e a porre le basi di un quadro comunitario in materia che consenta di contemperare le due esigenze di garantire la sicurezza e la diversificazione dell'approvvigionamento energetico e la tutela dell'ambiente. Con tale direttiva, l’Unione europea ha stabilito per ogni Stato membro gli obiettivi da raggiungere nell’ambito della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; per l’Italia l’obiettivo da raggiungersi entro il 2010 è fissato al 25% di energia elettrica prodotta.

[7]     L'articolo 22 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 che ha liberalizzato la produzione di energia elettrica a mezzo di impianti utilizzanti fonti di energia considerate rinnovabili o assimilate, ha stabilito che l'energia prodotta da questi impianti, non utilizzata dalla stessa impresa produttrice, dovesse essere venduta all'ENEL a prezzi incentivanti. La cessione doveva avvenire tramite apposite convenzioni stipulate tra l'impresa produttrice e l'ENEL, in conformità di una convenzione tipo predisposta dal Ministero dell'industria, sentite le regioni interessate.

[8]     Con la delibera n.90/07 dell’11 aprile, l'Autorità per l’energia elettrica e il gas ha provveduto, in attuazione del decreto del 19 febbraio 2007, alla definizione delle regole che consentiranno l’avvio operativo del nuovo conto energia per incentivare la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici. In particolare con tale provvedimento sono state definite le procedure per l’entrata in esercizio degli impianti fotovoltaici (che costruiscono parte rilevante della generazione distribuita e per l’ammissione al regime di incentivazione previsto per la produzione da fotovoltaico. Tali procedure saranno gestite operativamente dal Gestore dei servizi elettrici (GSE), che ha attivamente collaborato con l’Autorità alla loro definizione.

[9]    Tali programmi non sono tuttavia ancora estinti. Si pensi al bando del Ministero dell'ambiente per le piccole e medie imprese, finalizzato al cofinanziamento (tramite le risorse indicate all'art. 5, comma 1, del DM n. 337 del 20 luglio 2000) di interventi che prevedono l'installazione di impianti per la produzione di energia elettrica e/o di calore da fonte rinnovabile, di cui al comunicato pubblicato nella G.U. n. 12 del 16 gennaio 2007.

[10]   Si segnala che, all’indomani dell’approvazione della legge finanziaria, il Governo ha precisato che tale formulazione è scaturita da un errore materiale di redazione, in quanto gli impianti dovevano essere già “realizzati” e non solo “autorizzati”. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento ha poi annunciato un intervento sul tema, confermando “l'interpretazione del Comma 1119 della legge Finanziaria secondo cui gli impianti a cui ci si riferisce per gli interventi di contributo finanziario alle energie rinnovabili sono quelli gia realizzati e operativi. Il Governo quindi assicura che interverrà per porre rimedio all'errore materiale, già evidenziato con una lettera da me inviata al presidente del Senato, e che non è stato possibile correggere per semplici motivi procedurali". Si segnala, in proposito, che gli auspicati interventi correttivi della norma sono contenuti nell’art. 8 del DDL comunitaria 2007, attualmente all’esame dell’Aula del Senato (AS 1448-A).

[11]    Si segnala, in proposito, che la delibera del Consiglio dei ministri non fu pubblicata in Gazzetta  e venne formalmente richiamata  nella premessa al DL 24 giugno 1989, n. 239 per l’assegnazione di un contributo all’ENEA nello stesso anno e soprattutto nella relazione governativa al ddl AC 3423 della X legislatura sull’attuazione del PEN in materia di risparmio energetico.

[12]   L'approvazione da parte del Governo del Piano energetico nazionale nel 1988 ha determinato l'approvazione nella X legislatura di tre fondamentali leggi in materia energetica: la legge 9 gennaio 1991, n. 9, "Norme per l'attuazione del piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali"; - la legge 9 gennaio 1991, n. 10, "Norme per l'attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili"; - la legge 25 agosto 1991, n. 282, "Riforma dell'ENEA".Caratteristiche comuni alle tre leggi sono: il coinvolgimento, in un organico disegno, teso al conseguimento degli obiettivi di politica energetica enunciati nel PEN, di diversi soggetti operanti ai vari livelli istituzionali e territoriali; una profonda attenzione al quadro delle compatibilità ambientali nel quale si inseriscono la produzione e l'utilizzazione delle fonti energetiche.

[13]   Si tratta della risoluzione n. 6-00018 (Martinazzoli, De Michelis, Del Pennino, Caria e Battistuzzi) approvata il 17 dicembre 1987.

[14]   D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[15] La Conferenza Stato-Città ed autonomie locali è composta, per quanto riguarda la parte governativa, dal Presidente del Consiglio dei ministri - che la presiede - dal Ministro dell'interno e dal Ministro per gli affari regionali - che possono avere la presidenza su delega del Presidente del Consiglio dei ministri - e dai Ministri dell’economia, delle infrastrutture, della salute.

La Conferenza è composta, poi, per le città e le autonomie locali, dal presidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), dal presidente dell'Unione delle province d'Italia (Upi), dal presidente dell'Unione dei comuni e delle comunità montane (Uncem), da 14 sindaci designati dall'Anci e da sei presidenti di provincia designati dall'Upi. Dei 14 sindaci designati dall'Anci, cinque rappresentano le città maggiori, considerate aree metropolitane dall'art. 22 del D.Lgs. 267/2000 (testo unico enti locali). Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici (D.Lgs. 281/1997, art. 8).

[16]   La Conferenza è presieduta dal Presidente del Consiglio, o per sua delega, dal Ministro per gli Affari Regionali, e ove tale delega non sia attribuita, da altro Ministro; ne fanno parte i Presidenti delle Regioni a statuto speciale e ordinario e i presidenti delle Province Autonome di Trento e Bolzano; ai suoi lavori partecipano altresì i Ministri interessati agli argomenti iscritti all'ordine del giorno delle sedute (L. 400/1988, art. 12; D.Lgs. 281/1997, art. 2).

[17]   L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[18]   L. 8 giugno 1990 n. 142, Ordinamento delle autonomie locali.

[19]   Successivamente trasfusi nel testo unico degli enti locali, D.Lgs. 267/2000, all’art. 4, commi 4 e 5.

[20]   L. 15- marzo 1997 n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[21]   D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[22]   Al momento, le regioni ordinarie che ancora non hanno approvato un nuovo statuto sono: Basilicata, Campania, Molise, Lombardia e Veneto.

[23]   Si tratta di Calabria, L.R. 5 gennaio 2007 n. 1; Lazio, L.R. 26 febbraio 2007 n. 1, Liguria, L.R. 26 maggio 2006 n. 13; Marche, L.R. 10 aprile 2007 n. 4; Piemonte, L.R. 7 agosto 2006 n. 30; Puglia, L.R. 26 ottobre 2006 n. 29.

[24]    L’istituto della conferenza di servizi, la cui disciplina generale è stata fissata dalla L. 241/1990 (artt. 14-15), è stato in seguito modificato più volte e parzialmente riformato dalla L. 127/1997. Una completa riforma è stata operata dalla legge di semplificazione per il 1999, la legge 24 novembre 2000, n. 340 (artt. 9-15). Modifiche di rilievo sono state apportate dalla L. 15/2005 (artt. 8-13).

[25]   L. 24 novembre n. 2000 n. 340 Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999.

[26]   L. 7 agosto 1990 n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[27]   L. 11 febbraio 2005 n. 15, Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa.

[28]    Le modalità indicate alla lettera e) sembrano riferirsi alla costituzione di una società di progetto, disciplinata dagli artt. 156-157 del d.lgs. n. 163/2006 (cd. codice appalti)

[29]    L'attuale disciplina della valutazione di impatto ambientale (VIA) è contenuta nella Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006 (cd. codice ambientale). Essa è entrata in vigore il 31 luglio 2007 dopo una serie di proroghe, l’ultima delle quali disposta dall'art. 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300.

La Parte Seconda del codice ambientale raccoglie le disposizioni in materia di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e di Autorizzazione Ambientale Integrata (AIA), meglio nota con l’acronimo in lingua inglese, IPPC (Integrated Pollution Prevention and Controll).

Il Titolo III in particolare reca una disciplina generale della VIA, unificando ed elevando al rango legislativo tutta la normativa previgente che costituiva il frutto di una stratificazione di norme con cui erano stati, di volta in volta, regolati i singoli aspetti della materia. Accanto all’originaria disciplina statale, dichiaratamente transitoria, di recepimento dell'allegato I della direttiva 85/337/CEE, si collocavano numerose fonti, di rango primario e secondario, che subordinavano alla VIA l'approvazione delle più varie tipologie di opere, nonché la disciplina sulla VIA regionale  che aveva completato il recepimento della direttiva 85/337/CEE, sottoponendo a VIA anche le opere elencate nell’allegato II della direttiva stessa.

Il Capo I detta disposizioni comuni in materia di VIA.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, esso viene definito dall’articolo 23, che ne prevede l’obbligatorietà per tutti i progetti di cui ai due allegati della direttiva 85/337/CEE, per i progetti soggetti a procedura di VIA statale e regionale ai sensi dell’attuale disciplina vigente, per i progetti di specifiche opere/interventi per i quali la procedura di VIA è espressamente prescritta dalle leggi speciali di settore per gli interventi su opere già esistenti, non rientranti nelle categorie previste, nel momento in cui da tali interventi derivi un’opera che rientra nelle categorie stesse, nonché per le modifiche sostanziali di opere/interventi rientranti nelle precedenti categorie.

Con specifico riferimento alla materia disciplinata dal provvedimento in esame, si segnala che l’elenco A dell’Allegato III alla Parte seconda del codice prevede espressamente, al punto 3, la procedura di VIA, oltre che per i progetti relativi alle centrali termiche e agli altri impianti di combustione con potenza termica pari o maggiore di 300 MW, anche per quelli relativi alle centrali nucleari e agli altri reattori nucleari, compreso lo smantellamento e lo smontaggio di tali centrali e reattori, esclusi gli impianti di ricerca per la produzione e la lavorazione delle materie fissili e fertili, la cui potenza massima non supera 1 kW di durata permanente termica- Esso prevede inoltre che le centrali nucleari e gli altri reattori nucleari cessino di essere tali quando tutto il combustibile nucleare e gli altri elementi oggetti di contaminazione radioattiva sono stati rimossi in modo definitivo dal sito in cui si trova l’impianto.

Con riferimento ai soggetti competenti, l’articolo 25, ai fini dell’attribuzione della competenza statale o regionale, sostituisce al precedente criterio della tipologia dell’opera/intervento in relazione al suo impatto ambientale, quello criterio della corrispondenza fra competenza in materia di VIA e competenza al rilascio dell’autorizzazione alla costruzione (o all’esercizio) dell’opera (o dell’impianto).

Viene quindi individuato nel Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, il soggetto cui spetta la pronuncia sulla compatibilità ambientale per i progetti di opere/interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto ambientale interregionale o internazionale (articolo 35) (mentre, negli altri casi, la competenza appartiene all’autorità individuata dalla regione o dalla provincia autonoma).

Le articolazioni del procedimento attraverso cui si snoda la procedura di VIA possono essere essenzialmente ricondotte a tre fasi principali:

·          la fase introduttiva, comprendente eventualmente anche un sub-procedimento di carattere preliminare (art. 26), lo studio di impatto ambientale (art. 27), le adeguate forme di pubblicità (art. 28) e la procedura di verifica (art. 32);

·          la fase istruttoria, con la partecipazione del pubblico al procedimento (art. 29) e l’istruttoria tecnica (art. 30);

·          la fase decisionale, alla quale va ricondotto il giudizio di compatibilità ambientale (art. 31).

Con specifico riferimento alla VIA statale, disciplinata dal capo II:

·          la fase introduttiva, disciplinata dall’articolo 36, commi 1-6 e dall’articolo 38, comprende il procedimento di valutazione e la fase preliminare e di verifica preventiva;

·          la fase istruttoria, disciplinata dall’articolo 37, comprende lo svolgimento di attività tecnico istruttorie della Commissione tecnico-consultiva;

·          la fase decisionale, infine, disciplinata dall’art. 36, commi da 7 a 9, e dall’art. 40, alla quale va ricondotto il giudizio di compatibilità ambientale, sulla quale si pronuncia il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro proponente.

Per quanto riguarda i termini, l’articolo 36 prevede un termine di 60 giorni dalla data di trasmissione del progetto entro il quale Regioni province e comuni interessati devono esprimere i loro parere e, per il giudizio sulla compatibilità ambientale da parte del Ministero dell’ambiente, un termine massimo di novanta giorni (decorrente dall’ultima delle pubblicazioni sui quotidiani dell’avvenuta presentazione di cui all’articolo 36, comma 5) e un termine minimo di sessanta giorni  (decorrente dall’ultima delle trasmissioni di cui ai commi 1 e 2).

[30]   Nella  primavera del 2004, a Sace spa è stata affiancata la Sace BT spa che opera nel campo della copertura assicurativa del rischio politico e commerciale dei crediti con scadenza nel breve termine.L'innovazione introdotta sul mercato assicurativo con la creazione della nuova Sace BT spa consiste nella possibilità di  assicurare i rischi di credito (con scadenza nel breve termine) che gli operatori vantano nei confronti di tutti i mercati esteri compresi i paesi UE e i paesi di 1º categoria OCSE, ossia: Australia, Canada, Giappone, Islanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Stati Uniti e Svizzera e, in particolare, i rischi vantati nei confronti di clientela italiana. Le due società (la Sace spa e la Sace BT spa) possono coprire tutti i rischi di natura politica in abbinamento a quelli di natura commerciale mentre è possibile coprire isolatamente i soli rischi commerciali a cui sono esposti gli esportatori italiani in tutti i paesi del mondo.

[31]    I conferimenti costituiscono l’apporto dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società; il loro valore complessivo in denaro costituisce il capitale sociale nominale

[32]   Il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, di riforma del diritto societario, in vigore dal 1° gennaio 2004, ha innovato la disciplina dei conferimenti attribuendo preferenza ai conferimenti di liquidità. Il conferimento deve essere fatto in denaro, se non viene stabilito diversamente nell’atto costitutivo (c.c., art. 2342, comma 1). Entità non conferibili sono le prestazioni di opera e servizi, per le oggettive difficoltà di valutazione del loro valore effettivo (c.c. 2342, ultimo comma). I conferimenti diversi dal denaro devono formare oggetto di uno specifico procedimento di valutazione regolato dall’articolo 2343 c.c., al fine di garantire una valutazione oggettiva e veritiera di tali conferimenti, impedendo che ad essi sia assegnato un valore nominale superiore a quello reale. Con riferimento infine alla disciplina degli acquisti effettuati dalla società ai sensi dell'art. 2343-bis, essa vieta l'acquisto, senza l'autorizzazione dell'assemblea ordinaria, dei beni degli amministratori, promotori, fondatori soci o amministratori, nei due anni successivi all'iscrizione nel registro delle imprese (e previa relazione giurata), esclusi gli acquisti a condizioni normali in operazioni correnti e quelli in borsa o sotto controllo giudiziario o amministrativo. L'articolo 2344 c.c. riguarda il mancato pagamento delle quote: la novità risiede nella possibilità che gli amministratori, salva l'azione di esecuzione del conferimento, offrano le azioni del moroso agli altri soci (in proporzione alla loro partecipazione e per un corrispettivo non inferiore al dovuto), e solo in via subordinata possono procedere alla vendita coatta. Ai sensi dell'articolo 2345, nel caso in cui siano previste in atto costitutivo prestazioni accessorie in capo ad un socio (non consistenti in denaro), si dovranno osservare le norme applicabili ai rapporti aventi ad oggetto le medesime prestazioni (nella maggior parte dei casi, trattandosi di prestazioni di lavoro, saranno i contratti collettivi nazionali di lavoro).

[33]   Il comma 12 stabilisce che la SACE spa può svolgere attività assicurativa e di garanzia rischi di mercato, che non beneficia comunque di garanzia da parte dello Stato, mediante la costituzione di una diversa società od operando con contabilità separata rispetto alle attività che beneficiano, invece, di garanzia statale. Nel caso in cui l'esercizio dell'attività suddetta venga effettuato attraverso la costituzione di una diversa società, la partecipazione in tale società da parte della SACE spa non può essere inferiore al 30%. Tale partecipazione, inoltre non può essere sottoscritta mediante i crediti indennizzati e ristrutturati, dei quali è attualmente titolare il Ministro dell'economia e delle finanze e del relativo flusso di recuperi, che il comma 3 dell'articolo in esame trasferisce alla SACE spa.

[34]    Si veda l’articolo 1, comma 184, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007).

[35]   L. 31 dicembre 1962, n. 1860 “Impiego pacifico dell'energia nucleare”.

[36] COM(2000)769

[37] COM(2002)605

[38] COM(2003)32

[39] In data 8 settembre 2004 la Commissione ha emanato un nuovo testo che contiene le proposte modificate, COM(2004)526def.

[40]    A livello comunitario la direttiva 92/3/Euratom del Consiglio, del 3 febbraio 1992, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di residui radioattivi fra Stati membri e di quelle verso la Comunità e fuori da essa, ha istituito un sistema comunitario di autorizzazione preventiva e di controllo rigoroso delle spedizioni di rifiuti radioattivi. A livello internazionale, si richiama la Convenzione comune dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica) sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e sulla sicurezza della gestione dei rifiuti radioattivi. Nel dicembre 2005, l’Euratom è diventato parte contraente di due convenzioni dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) (la convenzione sulla tempestiva notifica di un incidente nucleare e quella sull’assistenza in caso di incidente nucleare).

[41] Per “rifiuti radioattivi” si intendono, ai sensi dell’art. 5, i materiali radioattivi in forma gassosa, liquida o solida per i quali non è previsto un ulteriore uso da parte dei paesi di origine e di destinazione o di una persona fisica o giuridica la cui decisione è accettata da tali paesi, e che sono oggetto di controlli in quanto rifiuti radioattivi da parte di un’autorità di regolamentazione, secondo le disposizioni legislative e regolamentari dei paesi di origine e di destinazione. Per “combustibile esaurito”, invece (sempre ai sensi dell’art. 5), il combustibile nucleare irraggiato e successivamente rimosso in modo definitivo dal nocciolo di un reattore; il combustibile esaurito può essere considerato come una risorsa usabile da ritrattare, oppure essere destinato allo smaltimento definitivo, senza che siano previsti altri utilizzi, ed essere trattato al pari di rifiuti radioattivi.

[42]    La direttiva 96/29/Euratom del Consiglio, del 13 maggio 1996, stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti; essa si applica fra l’altro al trasporto, all’importazione e all’esportazione di sostanze radioattive in partenza da o verso la Comunità e prevede un sistema di notificazione e di autorizzazione delle pratiche che implicano radiazioni ionizzanti.

[43]   Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

[44]   L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

[45]    La procedura ora ricordata, ricalca, con alcune modifiche, quella disciplinata dall’articolo 5 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59. In particolare, la legge in esame si differenzia dall’articolo 5 del D.Lgs n. 112 quanto ai presupposti, che sono da quest’ultimo espressamente e specificamente individuati, mentre gli aspetti procedurali sono pressoché identici.

[46]   L’articolo 5, comma 3, citato, recita: “In casi di assoluta urgenza, non si applica la procedura di cui al comma 1 e il Consiglio dei Ministri può’ adottare il provvedimento di cui al comma 2, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro competente. Il provvedimento in tal modo adottato ha immediata esecuzione ed e’ immediatamente comunicato rispettivamente alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata “Conferenza Stato-Regioni” e alla Conferenza Stato-Citta’ e autonomie locali allargata ai rappresentanti delle comunità’ montane, che ne possono chiedere il riesame, nei termini e con gli effetti previsti dall’articolo 8, comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59”. Quest’ultimo recita: “3. In caso di urgenza il Consiglio dei ministri può provvedere senza l’osservanza delle procedure di cui ai commi 1 e 2. I provvedimenti in tal modo adottati sono sottoposti all’esame degli organi di cui ai commi 1 e 2 entro i successivi quindici giorni. Il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi”.

[47]    Rispetto al testo del citato art. 5 del D.Lgs. 112/1998, può osservarsi che vi sono alcune differenze:

§          l’ente territoriale non è avvertito ex ante (come già nel d l.vo 112, art. 5) e neppure appare, nella procedura del comma 4, avvertito ex post (è destinataria di comunicazione solo la Conferenza). Nella disciplina dell’articolo 5 del d.lgs. n. 112/98 e dell’articolo 8, comma 3, della legge n. 59/97 i provvedimenti adottati in via d’urgenza sono sottoposti all’esame degli organi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 8 citato (ossia la Conferenza Stato-Regioni, la Regione interessata e la Commissione parlamentare per le questioni regionali);

§          il Governo non sembra tenuto al riesame a seguito della richiesta dell’ente. Nella disciplina dell’articolo 5 del D.Lgs. 112/1998 e dell’articolo 8, comma 3, della L. 59/1997 il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi”.

[48]    L’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge n.468/1978, prevede che la legge finanziaria disponga la determinazione, in apposita tabella (la c.d. Tabella C), della quota da iscrivere nel bilancio di ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale per le leggi di spesa permanente, di natura corrente e in conto capitale, la cui quantificazione è rinviata alla legge finanziaria