Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario A.C. 1780 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC n. 1780/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 55
Data: 11/10/2006
Descrittori:
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO     
Organi della Camera: II-Giustizia
Altri riferimenti:
L n. 269 del 24-OTT-06     


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario

A.C. 1780

Schede di lettura

 

 

 

 

 

n. 55

 

 

11 ottobre 2006

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento giustizia

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File: GI0011.doc

 

 


INDICE

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  4

Elementi per l’istruttoria legislativa  5

§      Necessità dell’intervento con legge  5

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  5

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  5

§      Impatto sui destinatari delle norme  5

Schede di lettura

Progetto di legge

§      A.C. 1780, (Governo) Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario  23

§      R.D. 30 gennaio 1941 n. 12. Ordinamento giudiziario (art. 70-bis)34

§      D.L. 28 agosto 1995 n. 361. Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi concernenti la pubblica amministrazione (convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, L. 27 ottobre 1995, n. 437) (art. 1)35

§      L. 25 luglio  2005 n. 150. Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico (art. 1)37

§      D.Lgs. 16 gennaio 2006, n. 20. Disciplina transitoria del conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità, nonché di primo e secondo grado, a norma dell'articolo 2, comma 10, della L. 25 luglio 2005, n. 150.39

§      D.Lgs. 20 febbraio 2006, n. 106. Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della L. 25 luglio 2005, n. 150.41

§      D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109. Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonchè modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della L. 25 luglio 2005, n. 150.45

§      D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160. Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonchè in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150.59

 

 


Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

1780

Titolo

Sospensione dell' efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario

Iniziativa

Governo

Settore d’intervento

Ordinamento giudiziario; Magistratura.

Iter al Senato

Numero di articoli

4

Date

 

§       trasmissione alla Camera

5 ottobre 2006

§       annuncio

5 ottobre 2006

§       assegnazione

5 ottobre 2006

Commissione competente

II Commissione (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari costituzionali), V Commissione (Bilancio)

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

Approvato in prima lettura dal Senato il 4 ottobre scorso, il disegno di legge A.C. 1780 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema ordinamento giudiziario), d’iniziativa del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si compone di 4 articoli il cui contenuto ha subito alcune modifiche, rispetto al testo originario del provvedimento, nel corso dell’esame presso quel ramo del Parlamento.

Essenzialmente il provvedimento interviene su tre dei decreti legislativi (e precisamente i nn.106, 109 e 160 del 2006)  adottati in attuazione della delega contenuta nella legge 25 luglio 2005, n. 150, che ha innovato e modificato profondamente la disciplina dell’Ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, disponendone, secondo i casi, la sospensione dell’efficacia o la modifica del contenuto. Il disegno di legge detta inoltre ulteriori modifiche normative e prevede una specifica disciplina transitoria.

 

Relazioni allegate

Il disegno di legge è corredato, oltre che dalla relazione illustrativa, dall’analisi tecnico-normativa, dall’analisi dell’impatto della regolamentazione e dalla relazione tecnica.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

Il provvedimento interviene a sospendere l’efficacia ed a modificare le disposizioni di alcuni dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega conferita con la legge 150/2005 di riforma dell’Ordinamento giudiziario. Si giustifica pertanto l’utilizzazione dello strumento legislativo.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La base giuridica del provvedimento appare riconducibile all’articolo 117, comma 2, lettera l della Costituzione (Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale;). Si tratta pertanto di materia rientrante nella potestà legislativa esclusiva dello stato.

 

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Coordinamento con la normativa vigente

Il provvedimento interviene per una parte a sospendere l’efficacia di norme contenute in un decreto legislativo e, per altra parte, a modificare le disposizioni contenute in decreti legislativi o in leggi ordinarie. La tecnica utilizzata in questo ultimo caso è quella della novellazione.

 

Impatto sui destinatari delle norme

Dall’analisi dell’impatto della regolamentazione si evince che destinatari dell’intervento normativo sono, oltre al Consiglio superiore della magistratura, l’Ordine giudiziario, il Ministro della giustizia e l’amministrazione della giustizia, in relazione alle competenze ad essi attribuite in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia ed in materia disciplinare. Esso investe, infine, l’attività degli organi giudiziari con competenze in materia disciplinare e, in particolare, quella della Procura generale presso la Corte suprema di cassazione.

 

 


Schede di lettura


 

Approvato in prima lettura dal Senato il 4 ottobre scorso, il disegno di legge A.C. 1780 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema ordinamento giudiziario), d’iniziativa del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si compone di 4 articoli il cui contenuto ha subito alcune modifiche, rispetto al testo originario del provvedimento, nel corso dell’esame presso quel ramo del Parlamento.

Essenzialmente il provvedimento interviene su tre dei decreti legislativi (e precisamente i nn.106, 109 e 160 del 2006)  adottati in attuazione della delega contenuta nella legge 25 luglio 2005, n. 150, che ha innovato e modificato profondamente la disciplina dell’Ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, disponendone, secondo i casi, la sospensione dell’efficacia o la modifica del contenuto. Il disegno di legge detta inoltre ulteriori modifiche normative e prevede una specifica disciplina transitoria.

Nella sua stesura originaria il disegno di legge presentato al Senato si limitava a disporre la sospensione dell’efficacia dei tre decreti legislativi citati. Nella relazione di accompagnamento al provvedimento veniva infatti evidenziato che la concreta operatività di questi decreti legislativi avrebbe comportato la tempestiva riorganizzazione di interi settori dell’apparato giudiziario e, nello stesso tempo, la realizzazione di numerose e complesse attività da parte del Consiglio superiore della magistratura nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali. Peraltro la decorrenza di efficacia dei tre decreti legislativi (fissata al novantesimo giorno successivo alla pubblicazione degli stessi in Gazzetta Ufficiale) ha di fatto coinciso con la scadenza nel luglio 2006 del Consiglio superiore della magistratura in carica, con la conseguenza che, come testualmente evidenziato nella citata relazione, l’Ordine giudiziario sarà privo di un governo autonomo nella pienezza dei suoi poteri, mentre l’operatività dei suddetti decreti legislativi richiede l’immediato e fattivo impegno del Consiglio superiore della magistratura nell’attuazione di una normativa completamente nuova rispetto all’impianto anteriore.

 

Come sopra ricordato il disegno di legge si compone di 4 articoli.

 

L’articolo 1, al comma 1, sospende fino alla data del 31 luglio 2007 l’efficacia delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonchè in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150).

 

Il decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 attua la previsione contenuta negli articoli 1, comma 1, lettera a) e 2, comma 1, lettere da a) ad r), della legge 25 luglio 2005 n. 150, laddove si prevede che sia modificata la disciplina per l’accesso in magistratura, nonché la disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati.

Il provvedimento stabilisce nuove modalità di accesso e tirocinio, di avanzamento, di passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa, di assegnazione di posti di funzione di primo e secondo grado e di legittimità, nonché una nuova disciplina per i concorsi e le relative commissioni, per il conferimento degli incarichi direttivi, per il ricollocamento in ruolo, per la progressione economica.

Il decreto, di particolare complessità, è suddiviso in dodici capi che dettano nuove regole in materia di ammissione in magistratura e tirocinio (Capo I), di individuazione delle varie funzioni dei magistrati (Capo II), di avanzamento in tali funzioni (Capo III), di passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa (Capo IV), di assegnazione dei posti nelle funzioni di primo grado (Capo V), di secondo grado (Capo VI)  e di legittimità (Capo VII), di disciplina dei concorsi e delle relative commissioni (Capo VIII), di conferimento degli incarichi direttivi (Capo IX), di ricollocamento in ruolo dei magistrati fuori ruolo (Capo X), di progressione economica dei magistrati (Capo XI), oltre alle disposizioni finali e relative all’ambito applicativo (Capo XII).

Le innovazioni introdotte in sede di attuazione dei criteri e principi della delega verranno illustrate in relazione ai singoli capi.

 

Il capo I consta di nove articoli e disciplina il concorso per uditore giudiziario, ed, in particolare, i requisiti per l’ammissione al concorso, la fase iniziale della presentazione della domanda, la composizione e le funzioni della commissione di concorso, lo svolgimento delle prove, i lavori della commissione; infine, il capo I regolamenta la nomina degli uditori e, mediante rinvio al decreto legislativo sulla Scuola superiore della magistratura, la destinazione degli uditori al tirocinio.

L’articolo 1 stabilisce lacadenza annuale del bando, le materie su cui vertono le prove scritte ed orali e i punteggi attribuiti all’esito delle prove. Il candidato deve indicare nella domanda di partecipazione, a pena d’inammissibilità, se intende accedere alla funzione giudicante ovvero a quella requirente. E’ altresì previsto un colloquio d’idoneità psico-attitudinale, che dovrà tener conto delle specifiche funzioni indicate nella domanda. Ai fini dell'ammissione al concorso (articolo 2), è richiesto, oltre alla laurea in giurisprudenza, il possesso di specifici titoli ovvero lo svolgimento di determinate esperienze professionali che implicano un approfondimento delle conoscenze giuridiche. Restano ferme alcune previsioni già contenute nel R.D. 12/1941 relative alla cittadinanza, all’esercizio dei diritti civili, al possesso dei requisiti previsti dalle leggi vigenti, all’innalzamento del limite di età per la partecipazione al concorso, all’esclusione di coloro che non presentino condotta incensurabile. L’articolo 3 prevede la cadenza (annuale) dei concorsi, il periodo in cui devono tenersi le prove, le fasi salienti della procedura concorsuale: in particolare, il concorso si svolge in Roma, ferma restando la possibilità di svolgimento delle prove scritte anche in altre sedi mediante il collegamento a distanza delle commissioni esaminatrici. I termini e le modalità della presentazione della domanda di partecipazione al concorso ricalcano sostanzialmente quelli già previsti nell’ordinamento giudiziario (articolo 4).

L’articolo 5 determina la composizione della commissione di concorso, gli adempimenti relativi alla fase di insediamento e le regole di funzionamento. La commissione è composta da membri nominati dal Ministro della giustizia, previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, tra magistrati e professori universitari, in numero determinato in relazione al presumibile numero dei candidati e in funzione del rispetto dei termini per l’espletamento della procedura. In linea di principio, è previsto l'esonero totale dall'esercizio delle funzioni giudiziarie o giurisdizionali per i componenti le commissioni. Al fine di ovviare alle difficoltà di reperimento dei membri della commissione (il decreto esclude la nomina di chi ha fatto parte della commissione in uno degli ultimi tre concorsi precedentemente banditi), è statuito che il presidente e gli altri componenti, appartenenti alla magistratura, possano essere nominati anche tra i magistrati a riposo da non più di cinque anni. La commissione, nonché ciascuna delle sottocommissioni, svolgono la loro attività con la presenza di almeno nove membri.

I lavori della commissione sono disciplinati in modo da rispettare il lasso temporale previsto dalla legge delega (art. 2, comma 1, lett. d) n. 1); a tal fine, sono previsti meccanismi acceleratori, quali la convocazione di sedute supplementari o la revoca dei membri. I lavori della commissione sono articolati, quindi, in ragione di un numero minimo di dieci sedute a settimana, salvo impossibilità della commissione stessa (articolo 6).

L’articolo 7 riproduce le previgenti disposizioni in ordine ai limiti di ammissibilità ed alle esclusioni dai successivi concorsi. Anche nel nuovo ordinamento, deve ritenersi che l’esclusione dai concorsi successivi si riconnetta alla dichiarazione della terza inidoneità, con la conseguente ammissibilità ai concorsi successivi, quando la terza dichiarazione di inidoneità intervenga dopo l’ammissione al concorso successivo.

L’articolo 8 disciplina la nomina ad uditore giudiziario, individuando i criteri per l’individuazione del posto in graduatoria e l’attribuzione della sede. In sintesi, viene stilata preliminarmente la graduatoria, secondo il punteggio riportato dai candidati; quindi viene emesso il decreto ministeriale di nomina; successivamente, le sedi vengono assegnate accordando preferenza all’indicazione della funzione requirente o giudicante contenuta nella domanda di partecipazione. Solo in caso di parità di punteggio, si applicano le disposizioni generali vigenti sui titoli di preferenza per le ammissioni ai pubblici impieghi.

L’articolo 9 coordina il periodo di tirocinio con le previsioni contenute nel decreto legislativo che prevede l’istituzione e l’attività della scuola superiore della magistratura. E’ mantenuta, altresì, la previsione secondo cui il periodo di uditorato è valido come pratica forense, agli effetti dell’ammissione all’esame di abilitazione alla professione di avvocato.

 

Il capo II (articoli 10 e 11) individua le funzioni dei magistrati, distinguendole, secondo le indicazioni della legge delega, in funzioni di merito e in funzioni di legittimità, giudicanti e requirenti. In sintesi, sono quindi previste funzioni requirenti e giudicanti, funzioni direttive e semidirettive (giudicanti e requirenti) sia di primo che di secondo grado, funzioni di legittimità, funzioni direttive di legittimità (giudicanti e requirenti), queste ultime distinte in direttive, direttive superiori e direttive apicali. Nell’ambito delle funzioni direttive di primo grado (giudicanti o requirenti) sono distinte funzioni direttive di grado elevato, corrispondenti a quelle di presidente di tribunale e di presidente della sezione per le indagini preliminari dei tribunali di cui all’articolo 1 del D.L. 25 settembre 1989, n. 327 (Norme sulla dirigenza delle sezioni delle indagini preliminari e delle preture circondariali), convertito dalla legge 24 novembre 1989, n. 380, di presidente dei tribunali di sorveglianza di cui alla tabella A allegata alla legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario), e di procuratore della Repubblica presso i predetti tribunali.

 

Il capo III consta di un articolo che disciplina la progressione nelle funzioni, innovando notevolmente la normativa previgente. In primo luogo, al compimento dell’ottavo anno dalla nomina a uditore giudiziario, i magistrati debbono svolgere effettivamente funzioni requirenti o giudicanti di primo grado; unica eccezione prevista, per esigenze di ordine costituzionale, è quella in favore dei magistrati posti in aspettativa per mandato parlamentare o collocati fuori ruolo organico, in quanto componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura. La progressione nelle funzioni avviene mediante concorso per titoli ed esami o mediante concorso per titoli. Le funzioni di secondo grado possono essere attribuite, alternativamente, dopo otto anni di esercizio effettivo delle funzioni di primo grado previo superamento di concorso per titoli ed esami, scritti e orali, ovvero dopo tredici anni dall’ingresso in magistratura previo concorso per soli titoli. Le funzioni di legittimità sono attribuite, dopo tre anni di esercizio delle funzioni di secondo grado, previo superamento di concorso per titoli, ovvero, dopo diciotto anni dall’ingresso in magistratura, previo concorso per titoli ed esami, scritti e orali. A quest’ultimo concorso possono partecipare anche i magistrati che, pur non avendo maturato diciotto anni di servizio, abbiano esercitato per tre anni funzioni di secondo grado. Le funzioni semidirettive o direttive sono invece attribuite previo concorso per soli titoli (articolo 12).

 

Il capo IV consta di quattro articoli che disciplinano il passaggio di funzioni.

Gli articoli 13, 14 e 15 disciplinano il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, imponendo, in attuazione della legge delega, una scelta netta e definitiva circa le funzioni requirenti o giudicanti. In particolare, è previsto che entro il terzo anno di esercizio delle funzioni dopo l’espletamento del tirocinio, i magistrati possono presentare domanda per partecipare a concorsi per titoli per l’assegnazione di posti vacanti nella diversa funzione. Per ottenere il passaggio di funzioni i magistrati devono frequentare un apposito corso di formazione presso la Scuola superiore della magistratura. A tal fine, il CSM individua annualmente e, comunque, con priorità assoluta, i posti vacanti nelle funzioni giudicanti e requirenti di primo grado. Il mutamento delle funzioni da giudicanti a requirenti, e viceversa, deve avvenire per posti disponibili in uffici giudiziari aventi sede in diversi distretti, con esclusione di quelli previsti dall’articolo 11 del codice di procedura penale.

L’articolo 16, oltre a dettare la disciplina transitoria per i concorsi finalizzati al passaggio di funzioni, banditi in data anteriore all’effettiva entrata in funzione della Scuola superiore, prevede la facoltà dei magistrati in servizio, durante il regime transitorio, di chiedere il passaggio di funzioni. Esso regolamenta, altresì, il passaggio di funzioni relativamente ai magistrati fuori ruolo al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa.

 

Il capo V consta di tre articoli relativi all’assegnazione dei posti nelle funzioni di primo grado.

Gli articoli 17 e 18 contemplano il meccanismo mediante il quale è assicurata la copertura dei posti vacanti nelle funzioni di primo grado. In primo luogo, è previsto che l’individuazione e l’assegnazione delle sedi vacanti sia effettuata dal Consiglio superiore della magistratura, tenuto conto della necessità di assicurare il passaggio tra le funzioni. Assegnati annualmente i posti, secondo l'anzianità di servizio, il Consiglio superiore della magistratura provvede poi sulle domande di tramutamento, previo parere del Consiglio giudiziario. La parte residua dei posti individuati viene messa a concorso per l’accesso in magistratura.

E’ previsto, inoltre, un limite al periodo di permanenza presso lo stesso ufficio giudiziario con le medesime funzioni o, comunque, il medesimo incarico nell’ambito delle stesse funzioni (10 anni). In applicazione del principio di buon andamento, la norma attribuisce al Consiglio superiore della magistratura il potere di prorogare di 2 anni il termine di permanenza, in relazione a comprovate esigenze di funzionamento dell’ufficio (articolo 19).

 

Il Capo VI consta di tre articoli che disciplinano l’assegnazione dei posti nelle funzioni di secondo grado.

Mediante disposizioni attuative della legge delega, risultano regolate l’assegnazione dei posti nelle funzioni giudicanti (articolo 20) e l’assegnazione dei posti nelle funzioni requirenti di secondo grado (articolo 21). Le norme prevedono l’assegnazione dei posti vacanti nelle funzioni di secondo grado, residuati dopo le determinazioni del CSM sulle domande di tramutamento presentate dai magistrati che già esercitano le funzioni di secondo grado. Il CSM assegna, pertanto, i posti di secondo grado, per il 30 per cento, ai magistrati che hanno conseguito l’idoneità nel concorso, cui è possibile partecipare già dopo otto anni dall’ingresso in magistratura e, per il 70 per cento, ai magistrati che hanno conseguito l’idoneità nel concorso per soli titoli cui è possibile accedere dopo tredici anni dall’ingresso in magistratura. E’ così attuata una delle previsioni più innovative della legge di delegazione: l’introduzione di un sistema di progressione in carriera legato, da un canto, al superamento di un concorso, dall’altro, all’effettiva copertura del posto per le funzioni superiori. Gli articoli 20 e 21 dettano poi disposizioni in merito: alla facoltà dei magistrati che hanno assunto funzioni di secondo grado di presentare domanda di tramutamento; al conferimento della precedenza alle domande di tramutamento dei magistrati che hanno assunto le funzioni di secondo grado in una sede indicata come disagiata; alla rilevanza della valutazione della laboriosità nella valutazione delle suddette domande. Sono dettate, infine, disposizioni sul regime transitorio (articolo 22).

 

Il Capo VII è composto di tre articoli che disciplinano l’assegnazione dei posti nelle funzioni di legittimità.

Gli articoli 23 e 24 attuano la direttiva di cui all’art. 2, comma 1, lettera l), numeri 7) e 9), della legge n. 150/2005, disciplinando l’assegnazione dei posti nelle funzioni giudicanti e l’assegnazione dei posti nelle funzioni requirenti di legittimità. I due articoli prevedono l’assegnazione dei posti vacanti nelle funzioni di legittimità, residuati dopo le determinazioni del Consiglio superiore della magistratura sulle domande di assegnazione alle funzioni di legittimità di provenienza presentate da magistrati che esercitano funzioni direttive o semidirettive o sulla loro assegnazione conseguente alla scadenza temporale dell’incarico rivestito. Sui posti residui il Consiglio superiore assegna i posti vacanti, per il 30 per cento, ai magistrati che hanno conseguito l’idoneità nel concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, cui è possibile partecipare dopo diciotto anni dall’ingresso in magistratura o, pur senza aver svolto diciotto anni di servizio, dopo tre anni di esercizio delle funzioni di secondo grado e, per il 70 per cento, ai magistrati che hanno conseguito l’idoneità nel concorso per soli titoli cui è possibile accedere dopo tre anni di esercizio delle funzioni di secondo grado, ferma la possibilità che i posti non coperti in uno dei due concorsi siano assegnati ai magistrati dichiarati idonei nell’altro, e tenuto altresì conto del giudizio finale formulato al termine degli appositi corsi di formazione alle funzioni di legittimità presso la Scuola superiore della magistratura. L’articolo 25 definisce la disciplina transitoria in materia.

 

Il Capo VIII (Concorsi e Commissioni) consta di tre articoli che disciplinano i concorsi per il passaggio di funzioni e per la progressione in carriera, la commissione incaricata di effettuare la valutazione ai fini del passaggio di funzioni e per la progressione in carriera.

In particolare, l’articolo 26, in materia di concorsi per titoli e concorsi per titoli ed esami, dà attuazione ai principi e criteri direttivi di cui alla legge delega. Viene affermato, pertanto, il principio guida per la valutazione, ovvero il riscontro della professionalità del magistrato, indicando altresì gli elementi di cui si dovrà tener conto ai fini della valutazione dei titoli nonché degli elementi ulteriori da cui la professionalità del magistrato potrà essere desunta.  Si definisce, inoltre, la disciplina dei concorsi per titoli ed esami, chiarendo che in tali concorsi si procede alla valutazione dei titoli solo in caso di esito positivo della prova di esame e che la valutazione dei titoli incide nella misura del 50 per cento sulla votazione finale. Restano ferme le disposizioni vigenti ai fini della valutazione dei titoli per l’assegnazione delle funzioni di sostituto procuratore presso la Direzionale nazionale antimafia. Gli esami, per la parte scritta, consistono nella risoluzione di uno o più casi pratici, aventi carattere di complessità ed implicanti la soluzione di rilevanti questioni probatorie, istruttorie e cautelari relative alle funzioni richieste e, per la parte orale, nella discussione del o dei casi pratici oggetto della prova scritta. Infine, sono innalzati i limiti di età per la partecipazione ai concorsi per i magistrati che abbiano subito una sanzione disciplinare superiore all’ammonimento.

L’articolo 27 stabilisce la validità settennale dei corsi di formazione alle funzioni di secondo grado e di legittimità tenuti presso la Scuola superiore della magistratura.

L’articolo 28 disciplina la composizione delle commissioni di concorso, nominate dal CSM, in relazione ai concorsi previsti ai fini della progressione in carriera e, in particolare, ai fini dell’ assegnazione delle funzioni giudicanti di secondo grado, delle funzioni requirenti di secondo grado, delle funzioni giudicanti di legittimità e delle funzioni requirenti di legittimità. Si prevede, altresì, il regime della durata e della proroga delle commissioni, dettando limiti alla possibilità di riconfermare i componenti delle stesse.

 

Il Capo IX consta di 21 articoli che disciplinano l’attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi.

Gli articoli da 29 a 34 riguardano l’individuazione ed attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi di merito. L’articolo 29 disciplina l’individuazione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, quanto alle sedi, dei posti vacanti negli incarichi direttivi e semidirettivi, giudicanti e requirenti, di merito, mentre gli articoli da 30 a 34, recano le disposizioni relative alla attribuzione di tali incarichi, con particolare riferimento alla legittimazione alla partecipazione ai concorsi per titoli per il conferimento degli stessi.

L’articolo 35 chiarisce che il conferimento degli incarichi direttivi di merito, oltre a presupporre la frequentazione dell’apposito corso di formazione alle funzioni direttive presso la Scuola superiore della magistratura ed il conseguimento di una valutazione positiva nel relativo concorso per titoli, potrà aver luogo solo rispetto a magistrati che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, possano garantire ancora quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo, fissata, dall’articolo 5 della legge sulle guarentigie (regio decreto legislativo 511/1946), a settanta anni.

L’articolo 36, in linea con le disposizioni di cui agli articoli 57 e 57 bis della legge 24 dicembre 2003 (Finanziaria 2004), e 2, comma 3, del DL 16 marzo 2004, n. 66 (legge 11 maggio 2004, n. 126) prevede che, ai fini del conferimento degli uffici direttivi di merito, nel computo degli anni di permanenza in servizio, alla data di ordinario collocamento a riposo si aggiunga un periodo pari a quello della sospensione dal servizio o dalla funzione ingiustamente subita e del servizio non prestato per l’anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro.

L’articolo 37 prevede la legittimazione dei magistrati che hanno superato il concorso per il conferimento delle funzioni di legittimità a partecipare ai concorsi per gli incarichi semidirettivi di primo e di secondo grado e per gli incarichi direttivi di primo grado e di primo grado elevato e che l’esercizio delle funzioni di legittimità costituisce, a parità di graduatoria, titolo preferenziale per il conferimento degli incarichi direttivi di primo grado elevato.

L’articolo 38 reca la disposizione relativa alla individuazione, da parte del CSM, dei posti vacanti negli incarichi direttivi e direttivi superiori di legittimità; gli articoli 39 e 40 definiscono la disciplina relativa all’attribuzione di tali incarichi, oltre che di quello direttivo superiore apicale di legittimità, dettando, in particolare, le regole relative alla legittimazione alla partecipazione ai concorsi per  titoli per il conferimento degli stessi.

L’articolo 41 precisa che il conferimento degli incarichi direttivi di legittimità, oltre a presupporre la frequentazione dell’apposito corso di formazione alle funzioni direttive presso la Scuola superiore della magistratura ed il conseguimento di una valutazione positiva nel relativo concorso per titoli, abbia luogo solo rispetto a magistrati che, al momento della pubblicazione del posto messo a concorso, possano garantire ancora due anni di servizio prima della data di pensionamento. Si precisa, invece, che gli incarichi direttivi superiori e l’incarico direttivo superiore apicale di legittimità sono conferiti ai magistrati valutati positivamente nei relativi concorsi per titoli, senza le restrizioni di età previste per gli incarichi direttivi di legittimità.

L’articolo 42 ricalca, con riferimento al conferimento degli incarichi direttivi di legittimità, la previsione formulata all’articolo 36.

L’articolo 43 disciplina i concorsi per gli incarichi direttivi, che sono finalizzati alla verifica dell’idoneità del magistrato a svolgere le funzioni direttive. A tal fine, la commissione di concorso prevista dall’articolo 47 valuta i titoli in riferimento alla loro specifica rilevanza ai fini della verifica delle attitudini allo svolgimento di funzioni direttive e alla laboriosità del magistrato e alla sua capacità organizzativa. Il Consiglio superiore della magistratura forma la graduatoria acquisiti ulteriori elementi di valutazione ed il parere motivato dei consigli giudiziari, o del consiglio direttivo presso la Corte di cassazione, nei concorsi per le funzioni direttive di legittimità. Il pregresso esercizio di funzioni semidirettive o direttive costituisce titolo preferenziale. Il CSM propone quindi al Ministro della giustizia le nomine nell’ambito dei candidati dichiarati idonei dalla commissione di concorso. Il Ministro della giustizia, fuori dai casi di ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, può ricorrere, esclusivamente al giudice amministrativo (TAR), contro le delibere concernenti il conferimento o la proroga di incarichi direttivi.

Il meccanismo previsto dall’articolo 44 per l’attribuzione degli incarichi semidirettivi ricalca parzialmente lo schema illustrato a proposito del conferimento degli incarichi direttivi; anche in questo caso, il concorso conduce ad una dichiarazione d’idoneità allo svolgimento delle funzioni semidirettive da parte della commissione di cui all’articolo 47, con una valutazione orientata specificamente alla verifica delle attitudini allo svolgimento delle funzioni semidirettive. La valutazione della laboriosità del magistrato e della sua capacità organizzativa è invece richiesta in via prevalente rispetto alla valutazione dei titoli, questi ultimi individuati e valutati nello stesso modo previsto per il conferimento delle funzioni direttive. Anche per l’attribuzione degli incarichi semidirettivi è previsto, quale titolo preferenziale, il pregresso esercizio di funzioni direttive o semidirettive. Per le funzioni semidirettive giudicanti in sezioni specializzate, si tiene adeguatamente conto dell’esperienza maturata dal magistrato nello specifico settore oggetto dei procedimenti trattati dalla sezione di tribunale o di corte di appello la cui presidenza è messa a concorso. Il CSM, acquisiti ulteriori elementi di valutazione ed il parere motivato dei consigli giudiziari, assegna quindi l’incarico semidirettivo nell’ambito dei candidati dichiarati idonei dalla commissione di concorso, tenuto conto del giudizio d’idoneità espresso dalla commissione.

L’articolo 45 sancisce il principio fondamentale della temporaneità dell’incarico direttivo (4 anni), contemplando la possibilità di una sola proroga di 2 anni, subordinata ad una valutazione positiva da parte del CSM. Per non disperdere il patrimonio di esperienza e di capacità acquisito, si prevede che, alla scadenza dell’incarico, il magistrato, nel rispetto di un sostanziale mutamento del nuovo ambito di competenza territoriale, potrà concorrere per altri posti direttivi di uguale grado in sedi poste fuori dal circondario di provenienza e per incarichi direttivi di grado superiore per sedi poste fuori dal proprio distretto, con esclusione di quello competente ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale. Nel caso in cui il magistrato non ambisca a svolgere ancora funzioni direttive, oppure nel caso che la relativa domanda sia stata rigettata, egli è assegnato alle funzioni non direttive da ultimo esercitate nella sede di originaria provenienza, se vacante, ovvero in altra sede, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Si definiscono, infine, disposizioni transitorie per i magistrati che, alla data di entrata in vigore della nuova normativa, ricoprono incarichi semidirettivi requirenti e incarichi direttivi, giudicanti o requirenti.

L’articolo 46 disciplina la temporaneità degli incarichi semidirettivi in modo analogo a quanto previsto per gli incarichi direttivi, con poche varianti legate alla diversa rilevanza dell’incarico. In tal senso vanno evidenziati la diversa durata dell’incarico (6 anni anziché 4) e l’assenza di proroga.

L’articolo 47 prevede la composizione delle commissioni di concorso per l’assegnazione dei posti relativi alle funzioni direttive e semidirettive, giudicanti e requirenti.

L’articolo 48 riguarda il concorso per l’incarico di Procuratore nazionale antimafia. Si prevede, in particolare, che alla scadenza dell’incarico, il magistrato possa concorrere per il conferimento di altri incarichi direttivi requirenti ubicati in distretto diverso da quello previsto ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale.

L’articolo 49, infine, reca un regime transitorio per il conferimento degli incarichi semidirettivi di primo e secondo grado e direttivi di primo grado e primo grado elevato, degli incarichi direttivi di secondo grado, e degli incarichi direttivi e direttivi superiori di legittimità.

 

Il capo X consta di un solo articolo che disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati (articolo 50).

 In particolare, il periodo trascorso dal magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura è equiparato all’esercizio delle ultime funzioni giurisdizionali svolte. Il ricollocamento deve avvenire nella medesima sede, se vacante, o in altra sede, e nelle medesime funzioni. Nel caso di cessato esercizio di una funzione elettiva extragiudiziaria, salvo che il magistrato svolgesse le sue funzioni presso la Corte di cassazione o la Procura generale presso la Corte di cassazione o la Direzione nazionale antimafia, il ricollocamento in ruolo deve avvenire in una sede diversa vacante, appartenente ad un distretto sito in una regione diversa da quella in cui è ubicato il distretto presso cui è posta la sede di provenienza nonché in una regione diversa da quella in cui, in tutto o in parte, è ubicato il territorio della circoscrizione nella quale il magistrato è stato eletto. Si fissa in dieci anni il termine massimo di collocamento fuori ruolo. Si esclude, in ogni caso, che i magistrati collocati fuori dal ruolo organico in quanto componenti elettivi del CSM ovvero per mandato parlamentare possano partecipare ai concorsi previsti dal decreto.

 

Il capo XI prevede la progressione economica dei magistrati, elencando sette classi stipendiali e differenziandone i presupposti. La progressione economica dei magistrati si articola automaticamente secondo sette classi crescenti di anzianità, salva la possibilità di conseguire la superiore classe stipendiale a seguito del superamento del concorso e fermo restando il miglior trattamento economico eventualmente percepito (articolo 51).

 

L’ultimo capo del D.Lgs 160/2006, il capo XII, costa di quattro articoli che riguardano le disposizioni finali, l’ambito di applicazione del decreto, la copertura finanziaria, le abrogazioni e l’entrata in vigore.

In primo luogo, si precisa che la disciplina introdotta dal decreto si applica alla sola magistratura ordinaria (articolo 52). Inoltre, sono previste alcune abrogazioni rese necessarie dall’entrata in vigore del decreto: in particolare, vengono abrogate una serie di norme del regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12, sull’ordinamento giudiziario ormai incompatibili con la nuova disciplina, nonché le leggi 25 luglio 1966 n. 570 (Disposizioni sulla nomina a magistrato di Corte di appello) e 20 dicembre 1973 n. 831 (Modifiche dell'ordinamento giudiziario per la nomina a magistrato di Cassazione e per il conferimento degli uffici direttivi superiori).

Si stabilisce, altresì, una disciplina transitoria relativamente ai limiti di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio (articolo 55).

L’articolo 56, infine, indica la decorrenza della efficacia delle disposizioni del decreto legislativo, individuandolo nel novantesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

 

Il comma 2 dell’articolo in esameapporta alcune modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 (Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera d) della legge 25 luglio 2005, n. 150). Tale modifiche sono state apportate in forza dell’approvazione di un emendamento del relatore, Senatore Salvi (em. 1.600) nel corso dell’esame del provvedimento  presso l’Assemblea del Senato che, come evidenziato dal presentatore, mantiene in capo al procuratore della Repubblica la titolarità esclusiva dell’ azione penale, stemperando l’eccessiva gerarchizzazione insita nella riforma precedentemente approvata.

 

 

Il decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 attua la previsione contenuta negli articoli 1, comma 1, lettera d) , e 2, comma 4, della legge 150/2005, dove, in particolare, si prevede che vengano emanati uno o più decreti legislativi diretti alla riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero.

In linea generale, il legislatore delegante ha inteso delineare per l'ufficio del pubblico ministero un assetto nel quale la titolarità del potere organizzativo dell'ufficio e dell'esercizio dell'azione penale sia riconosciuta in via esclusiva al procuratore della Repubblica, il quale, sotto la sua responsabilità, li esercita personalmente ovvero mediante delega ai magistrati dell'ufficio, assicurando il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale e delle norme sul giusto processo.

Alla luce di tali connotazioni generali della delega legislativa, che trovano compiuto svolgimento nei principi e criteri direttivi dettati dall'articolo 2, comma 4, della legge 150/2005, s'illustra, di seguito, l'articolato, precisando che, per ragioni sistematiche, si è inteso distinguere tra le attribuzioni del procuratore della Repubblica con riguardo al profilo organizzativo dell'ufficio al quale è preposto (articolo 1) e le attribuzioni concernenti l'esercizio dell'azione penale e tutte le attività ad esso strettamente correlate (articolo 2): ciò in quanto si tratta di attribuzioni di natura differente e soprattutto perché, come si dirà in seguito, non esiste esatta coincidenza tra le due regolamentazioni.

L'articolo 1, al comma 1, fissa la regola generale secondo la quale il procuratore della Repubblica è titolare e responsabile esclusivo delle funzioni attribuite dal codice di procedura penale e da altre disposizioni di legge all'ufficio del pubblico ministero, mentre il comma 2 indica una serie di parametri ai quali il procuratore deve attenersi nell'esercitare quelle attribuzioni (corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell'azione penale e rispetto delle norme sul giusto processo) che trovano fondamento negli articoli 111 e 112 della Costituzione.

Il procuratore della Repubblica può designare, tra i procuratori aggiunti, il suo vicario, il quale, investito di attribuzioni di carattere fiduciario, esercita le medesime funzioni del procuratore per il caso in cui sia egli risulti assente o impedito ovvero quando l'incarico sia rimasto vacante (comma 3).

Il procuratore della Repubblica può delegare ad uno o più procuratori aggiunti ovvero ad uno o più magistrati addetti all'ufficio la cura di specifici settori di affari, individuati con riguardo ad aree omogenee di procedimenti ovvero ad ambiti di attività dell'ufficio che necessitano di uniforme indirizzo (comma 4). Con tale formula si è inteso fare riferimento non solo al coordinamento dei pool investigativi specialistici, ma anche a tutti quei settori di attività che, pur non facendo riferimento a procedimenti penali, debbano essere gestiti secondo criteri uniformi, quali il casellario giudiziale, l'esecuzione penale ed i correlativi rapporti con il tribunale di sorveglianza, il centro intercettazioni telefoniche con riguardo all'utilizzo uniforme delle risorse tecniche e finanziarie, gli affari civili, eccetera.

In conseguenza della titolarità esclusiva di tali attribuzioni in capo al procuratore della Repubblica, è previsto il potere di stabilire, in via generale ovvero con singoli atti, i criteri ai quali i procuratori aggiunti ed i magistrati dell'ufficio devono attenersi nell'esercizio della delega loro conferita (comma 5).

Il comma 6, da ultimo, costituisce l'esplicazione del potere di organizzazione del procuratore della Repubblica, sia con riguardo al funzionamento dell'ufficio, sia con riguardo ai criteri di assegnazione degli affari. Tali provvedimenti devono essere trasmessi al Consiglio superiore della magistratura (comma 7).

L'articolo 2 si occupa, come accennato in precedenza, della titolarità dell'azione penale, che è attribuita in via esclusiva al procuratore della Repubblica, il quale la esercita, sotto la sua responsabilità, nei casi e nei modi stabiliti dal codice di procedura penale, personalmente ovvero delegando uno o più magistrati addetti all'ufficio. La delega può riguardare non soltanto la trattazione di uno o più procedimenti, ma anche il compimento di singoli atti di essi. La norma fa espressamente salve le disposizioni di cui all'articolo 70-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, riguardanti la direzione distrettuale antimafia.

Il comma 2 regola l'ipotesi in cui il procuratore della Repubblica abbia preposto un procuratore aggiunto o un magistrato dell'ufficio al coordinamento dell'attività di un gruppo o di una sezione per la trattazione di un settore di affari: in tal caso, il potere di delega al singolo magistrato per la trattazione dei procedimenti assegnati dal procuratore a quel gruppo è attribuito al preposto, che lo esercita nel rispetto dei criteri stabiliti dal procuratore della Repubblica, restando comunque ferma la facoltà di revoca da parte di quest'ultimo in caso di divergenze o di inosservanza dei criteri enunciati con la delega stessa.

Al comma 3 è stabilito che la delega per la trattazione di un procedimento può essere accompagnata dall'indicazione di criteri ai quali il delegato deve attenersi nell'esercizio della stessa. Se il delegato si discosta dai criteri definiti in via generale o con la delega, ovvero insorge tra il delegato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio della delega, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocarla. E' quindi stabilita la facoltà di presentare osservazioni scritte da parte del delegato entro dieci giorni; scaduto il termine, il procuratore della Repubblica trasmette immediatamente il provvedimento di revoca e le eventuali osservazioni al procuratore generale presso la Corte di cassazione (pertanto tale invio deve avvenire anche in assenza di osservazioni da parte del magistrato al quale sia stata revocata la delega). Sia il provvedimento di revoca della delega e sia le eventuali osservazioni del delegato sono entrambi inseriti nei rispettivi fascicoli personali.

L'articolo 3 si occupa delle attribuzioni del procuratore della Repubblica in tema di misure cautelari, per le quali la legge delega ha inteso imporre l'espresso assenso da parte del titolare dell'ufficio, prescindendo da eventuali disposizioni generali o specifiche (che pur rientrerebbero nel suo complessivo potere di dettare criteri per l'esercizio della delega conferita ai singoli magistrati dell'ufficio). Infatti è stabilito che il magistrato dell'ufficio il quale dispone il fermo di indiziato di delitto ovvero formula la richiesta di misure cautelari personali o reali, deve ottenere l'espresso assenso del procuratore della Repubblica o di altro magistrato delegato ai sensi dell'articolo 1, comma 4. E' fatta, però, salva l'ipotesi, per le sole richieste di misure cautelari reali, che il procuratore della Repubblica possa stabilire, con direttiva a carattere generale, che l'espresso assenso non sia necessario, avuto riguardo al valore del bene oggetto della richiesta ovvero alla rilevanza del fatto per il quale si procede. Tale specifica eccezione conferma, per converso, che un provvedimento generale di tal fatta non potrebbe riguardare le altre tipologie di provvedimenti cautelari; e l'utilizzo della locuzione “espresso assenso” intende sottolineare la necessità di un'espressione di volontà specifica per ciascuna richiesta cautelare.

Il comma 4 rappresenta un'eccezione alla regola generale, stabilendo che non sia necessario l'espresso assenso nel caso in cui le richieste di misure cautelari personali o reali siano conseguenti alla richiesta di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo di indiziato ai sensi dell'articolo 390 del codice di procedura penale, ovvero alla richiesta di convalida del sequestro preventivo in caso d'urgenza ai sensi dell'articolo 321, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

L'articolo 4 rappresenta un'ulteriore puntualizzazione del generale potere di organizzazione e di gestione conferito al procuratore della Repubblica con riguardo all'ufficio al quale è preposto. Infatti, per assicurare l'efficienza dell'attività dell'ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'esercizio delle deleghe loro conferite, con specifico richiamo all'impiego della polizia giudiziaria ed all'uso delle risorse tecnologiche assegnate all'ufficio. Per quanto poi concerne le risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre, i criteri generali stabiliti dal procuratore della Repubblica devono, a loro volta, essere dettati in conformità alle disposizioni contenute nel decreto legislativo emanato in attuazione della delega di cui agli articoli 1, comma 1, lettera a) e 2, comma 1, lettera s), della legge delega 150/2005, in materia di cosiddetta “doppia dirigenza”.

Il comma 2 del medesimo articolo inserisce un'ulteriore specificazione nell'ambito dell'esercizio dell'azione penale, prevedendo che il procuratore della Repubblica possa definire i criteri generali da seguire per l'impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti, quali ad esempio, nei reati fallimentari, la previsione di soglie minime di valore per l'affidamento di incarichi di consulenza, ovvero, per taluni reati commessi a mezzo del telefono, l'utilizzo della documentazione del traffico telefonico piuttosto che il ricorso all'intercettazione telefonica.

L'articolo 5 regola invece i rapporti tra l'ufficio della procura della Repubblica e gli organi di informazione, stabilendo che spetta al solo procuratore della Repubblica tenere i contatti con i mass media per fornire la doverosa informazione circa vicende giudiziarie trattate dall'ufficio. Tale potere è delegabile ad altro magistrato dell'ufficio.

Il comma 2 precisa che le informazioni inerenti le attività della procura della Repubblica devono essere fornite senza riferimenti ai magistrati assegnatari del procedimento. Correlativamente, è fatto divieto ai magistrati della procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio. Tale divieto è rafforzato dalla previsione dell'obbligo imposto al procuratore della Repubblica di segnalare al consiglio giudiziario, per l'esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell'azione disciplinare, ogni condotta dei magistrati del suo ufficio che sia in contrasto col divieto stesso.

L'articolo 6 delinea l'attività di vigilanza che il procuratore generale presso la corte di appello svolge sugli uffici di procura della Repubblica del distretto, ponendo, quali parametri di tale funzione, da un lato, il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, e dall'altro, il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti.

Nell'espletamento di tale attività di vigilanza il procuratore generale acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione che deve avere cadenza almeno annuale, ciò che significa che la stessa può anche essere trasmessa ad intervalli più brevi ove le circostanze rendano necessaria ovvero opportuna un'informativa più tempestiva.

L'articolo 7 elenca le disposizioni da abrogare sin dalla data di acquisto di efficacia del decreto, al fine di evitare dubbi ed incertezza interpretative; resta ferma l'ulteriore opera di coordinamento delle disposizioni del decreto legislativo con le altre leggi dello Stato e di abrogazione delle disposizioni incompatibili, previste dall’art. 1, comma 3, della legge delega

L'articolo 8 disciplina la decorrenza dell'efficacia delle disposizioni contenute nel decreto, conformemente a quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, della legge delega.

  

La lettera a) del comma citato sopprime, all’articolo 1 del decreto legislativo 106/2006, le parole “sotto la propria responsabilità”, aggettivazione riferita all’esercizio dell’azione penale da parte del procuratore della Repubblica nei modi e termini previsti dalla legge.

La lettera b) sostituisce l’articolo 2 del citato decreto legislativo, relativo alla titolarità dell’azione penale, stabilendo il principio secondo il quale il procuratore della Repubblica, titolare esclusivo dell’azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione ad uno o più magistrati dell’ufficio, assegnazione che può riguardare anche uno o più procedimenti o singoli atti di essi.

Sostanzialmente viene quindi sostituito al meccanismo della delega quello dell’assegnazione, rimanendo per il resto inalterate le rimanenti previsioni, tra le quali quella riguardante la facoltà per il procuratore della Repubblica, con l’atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, di stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell’esercizio della relativa attività e di revocare l’assegnazione nel caso in cui il magistrato non si attenga ai principi stabiliti dal procuratore oppure insorga un contrasto tra i due circa le modalità di esercizio.

E’ stata comunque soppressa la previsione di inserimento nel fascicolo personale del provvedimento di revoca delle delega e delle eventuali osservazioni del delegato.

 

Il comma 3 apporta alcune modifiche al decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f) della legge 25 luglio 2005, n. 150).

 

Il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 dà attuazione alla delega contenuta nella legge 150/2005 (art. 1 comma 1, lett. f) relativa alla individuazione delle fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicazione, nonché alla modifica della disciplina in tema di incompatibilità, di dispensa dal servizio e di trasferimento d'ufficio, secondo i principi e criteri direttivi previsti dall'art. 2, commi 6 e 7.

Il decreto consta di 32 articoli divisi in quattro capi, rispettivamente dedicati alla normativa di diritto sostanziale sulla responsabilità disciplinare (capo I), al procedimento disciplinare (capo II), alle incompatibilità, alla dispensa dal servizio ed al trasferimento d'ufficio (capo III), alle disposizioni finali ed all'ambito di applicazione (capo V).

Il capo I è diviso in due sezioni; la prima sezione contiene le norme che indicano i doveri ai quali il magistrato dovrà conformare la propria condotta, e le norme che tipizzano i comportamenti illeciti; la secondo sezione contiene le norme che prevedono le sanzioni ed i criteri da seguire per l'applicazione delle medesime.

L'articolo 1 individua i doveri che il magistrato dovrà rispettare nell'esercizio delle proprie funzioni, ed i valori ai quali egli dovrà conformare la propria condotta anche al di fuori dell'esercizio delle funzioni. Nel primo comma, vengono quindi richiamati imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio, ma anche un più generale dovere di rispetto della dignità personale che rappresenta diretta emanazione di principi costituzionali, a partire dall'art. 2 della Costituzione. Nel secondo comma vengono vietati i comportamenti che, sebbene legittimi, compromettano la credibilità, il prestigio ed il decoro del magistrato e dell'istituzione giudiziaria. Il terzo comma esprime nel modo più evidente il principio di tipizzazione: la norma seleziona infatti, tra le violazioni dei doveri previsti in via generale dai primi due commi, solo quelle integranti le fattispecie illecite descritte negli articoli 2, 3 e 4.

L'articolo 2 elenca gli illeciti disciplinari commessi nell'esercizio delle funzioni; trattasi di fattispecie in gran parte già focalizzate dalla giurisprudenza del Consiglio superiore della magistratura e della Suprema corte di Cassazione, alle quali si accompagna, quale norma di chiusura prevista dall'ART. 2, comma 6, lett. a) della legge 25 luglio 2005 n. 150, la previsione di ogni altra violazione dei doveri di imparzialità, laboriosità, correttezza e diligenza. Apre l'elencazione l'ipotesi prevista dalla lett. a), che concretizza nel danno ingiusto o nell'indebito vantaggio ad una delle parti la rilevanza della violazione dei doveri previsti nell'art. 1; nelle fattispecie previste dalle lettere c), g), h), l), m), ff) ed gg) vengono in rilievo casi in cui il magistrato compie le attività tipiche della propria funzione violando le norme sostanziali o processuali che avrebbe dovuto osservare, dimostrando, tra l'altro, un'intollerabile negligenza e superficialità nell'effettuare analisi e valutazioni sul piano del fatto o del diritto.

Le ipotesi previste dalle lettere f), dd), ee) sanzionano l'omessa comunicazione agli organi competenti dei comportamenti disciplinarmente rilevanti commessi da altri magistrati, fungendo da stimolo in ordine all'accertamento dei fatti in esame.

La lett. d) prevede come illecito il comportamento che si concretizzi in comportamenti scorretti nei confronti di altri soggetti processuali, o con i quali il magistrato abbia modo di relazionarsi nel servizio.

Alcune ipotesi costituiscono macroscopiche violazioni dei doveri di diligenza (in particolare lett. n), p), q), r), t) e di laboriosità (in particolare lett. o), q), r). Degne di nota sono le fattispecie che inibiscono l'esternazione di notizie attinenti ai procedimenti trattati, diversificate in ragione delle modalità e dei contesti in cui si realizzano (lett. u), v), ed in particolare quella che consiste nel tenere relazione con gli organi di informazione al di fuori dei ristretti limiti ammessi dal decreto legge sull'ordinamento dell'ufficio del pubblico ministero (lett. z). I i criteri generali richiesti dalla lett. bb), imposti ad ogni magistrato e fermo restando il divieto di esternazione per i magistrati del pubblico ministero nei confronti della stampa, sono segnati dall'equilibrio e dal riserbo dell'esternazione; una distinta ipotesi di illecito disciplinare, finalizzata a scongiurare il rischio di un esercizio strumentale della funzione, è quella che vieta al magistrato di sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio e di tessere una trama stabile di contatti personali o privilegiati (lett. aa). Il comma 2, riprendendo opportunamente l'impostazione di principio già introdotto nel nostro ordinamento dalla legge sulla responsabilità civile dei magistrati (l. 13 aprile 1988 n. 117), avverte che non può dare mai luogo a responsabilità disciplinare l'attività di interpretazione di norme di diritto.

L'articolo 3 elenca gli illeciti disciplinari commessi al di fuori dell'esercizio delle funzioni. Le fattispecie descritte contemplano svariati comportamenti, ognuno dei quali, però, lede in misura prevalente uno o alcuni dei doveri previsti dall'art. 1.

La prima fattispecie (lett. a) identifica una condotta logicamente incompatibile con il ruolo e la funzione sociale del magistrato, cioè l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri (dunque, una forma di “abuso”).

Le fattispecie di cui alle lett. b) ed e) assicurano in misura prevalente la credibilità personale del magistrato ed il prestigio dell'istituzione giudiziaria.

La fattispecie di cui alle lett. c) colpisce un comportamento impeditivo dell'esercizio, da parte del CSM, dei poteri di controllo ed autorizzazione in ordine allo svolgimento di attività extragiudiziali.

Le lettere f), h) ed i) inibiscono condotte che, seppur legittime qualora poste in essere dai cittadini, non possono essere consentite al magistrato in nome dei valori fondamentali che ispirano l'esercizio della funzione giudiziaria; dette previsioni si richiamano ad esigenze di ordine costituzionale, di cui costituisce chiara espressione il divieto di iscrizione a partiti politici (ART. 98 Cost.).

In attuazione del principio di delega previsto dall'art. 2 comma 6 lett. a), la lett. hh) considera illecito disciplinare ogni altro comportamento tale da compromettere l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza. Trattasi, per quanto riguarda la necessità che il magistrato non solo sia imparziale, ma lo appaia anche, di una esigenza più volte sottolineata anche dalla giurisprudenza del Consiglio superiore della magistratura.

L'articolo 4 contempla come illecito disciplinare una serie di fatti, la cui rilevanza in termini di elementi costitutivi di reato è stata accertata in sede penale, ovvero implicitamente “accettata” con il c.d. “patteggiamento”; nel primo caso, la giustificazione del rilievo disciplinare è giustificata con la maggiore affidabilità dell'accertamento penale.

La distinzione delle ipotesi indicate sub a), b) e d) è fondata sulla gravità del reato manifestata dall'atteggiamento soggettivo del colpevole, nonché sulla prevalutazione legale del disvalore del fatto, espressa mediante il tipo di pena previsto. In attuazione del principio di delega contenuto nell'art. 2 comma 6 lett. a), è infine prevista la norma di chiusura che considera illecito disciplinare qualunque fatto di reato idoneo a compromettere la credibilità del magistrato, pur quando il reato sia estinto o l'azione penale sia inammissibile o improcedibile.

L'articolo 5 elenca le sanzioni, che devono ritenersi tassative, conseguenti alla violazione dei doveri specificati dagli articoli precedenti.

Di rilievo è il meccanismo previsto dal secondo comma per il caso di concorso di illeciti. La legge delega ha previsto che quando, per il concorso di più illeciti disciplinari, si dovrebbero irrogare più sanzioni meno gravi, si applichi altra sanzione di maggiore gravità, sola o congiunta con quella meno grave se compatibile.

In attuazione di tale direttiva si è previsto che, nell'ipotesi di illeciti disciplinari puniti con sanzioni disomogenee, si applichi quella prevista per l'infrazione più grave; nell'ipotesi in cui, invece, gli illeciti siano puniti con sanzioni omogenee, si applicherà quella immediatamente più grave. In entrambi i casi, potrà applicarsi anche la sanzione meno grave, se compatibile.

Gli articoli 6, 7, 8, 9, 10 e 11 definiscono le sanzioni applicabili, che sono l'ammonimento, la perdita dell'anzianità, la temporanea incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo, la sospensione dalle funzioni (da 3 mesi a 2 anni), la rimozione. Le caratteristiche strutturali dell'ammonimento, della censura, della perdita dell'anzianità e della rimozione, restano sostanzialmente invariate rispetto al R. D. L.gs 31 maggio 1946 n. 511 (Guarentigie della magistratura), mentre è stata introdotta la sanzione dell' incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo. Sono dunque previste sanzioni conservative (ammonimento, censura, perdita dell'anzianità, temporanea incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo, sospensione dalle funzioni) e sanzioni non conservative (rimozione).

Ammonimento e censura sono formalizzate nel dispositivo della decisione disciplinare; la rimozione, anch'essa pronunziata in esito al procedimento innanzi al Consiglio superiore della magistratura, viene attuata mediante decreto del Presidente della Repubblica.

La perdita dell'anzianità e la sospensione temporanea ad esercitare un incarico sono contenute entro limiti temporali minimi e massimi.

L’articolo 12 prevede quali sanzioni debbano essere comminate per le singole fattispecie di illecito, in attuazione dei principi posti dall'articolo. 2 comma 6 lett. h), i) ed l) della legge 150/2005.

Sono quindi previste sanzioni non inferiori alla censura, ognuna corrispondente, in ordine di crescente gravità, ad un insieme di illeciti disciplinari connotati da un analogo disvalore.

L'articolo 13 prevede il trasferimento d'ufficio e i provvedimenti cautelari.

Il primo comma prevede, nel caso in cui vengano irrogate sanzioni conservative diverse dall'ammonimento, il trasferimento del magistrato quando le peculiarità della sua condotta rendano inconciliabile con le esigenze del buon andamento dell'amministrazione della giustizia la permanenza nella sede o nell'ufficio. Il trasferimento è obbligatorio nel caso in cui è comminata la sanzione della sospensione dalle funzioni, ovvero quando l'illecito disciplinare abbia arrecato ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti.

Il secondo comma prevede la possibilità di trasferire il magistrato di sede, o di destinarlo ad altre funzioni, in via cautelare, ove ricorrano motivi di particolare urgenza, sempre chè sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare.

 

Il Capo II ridelinea, in conformità con i principi e criteri direttivi della legge delega, la disciplina del procedimento per la applicazione delle sanzioni disciplinari ai magistrati.

L'articolo 14 disciplina la fase di avvio del procedimento disciplinare. La novità di maggior rilievo introdotta dalla legge di delegazione e recepita nel presente decreto è rappresentata, ferma restando la doppia titolarità dell'azione disciplinare in capo al Ministro della giustizia ed al Procuratore generale presso la Corte di cassazione (comma 1), dall'esercizio obbligatorio dell'azione da parte di quest'ultimo. Così, mentre il Ministro guardasigilli manterrà la “facoltà” di promuovere l'azione disciplinare, conformemente a quanto previsto dall'ART. 107, secondo comma, della Costituzione, mediante richiesta di indagini al procuratore generale (comma 2), l'esercizio dell'azione disciplinare da parte di quest'ultimo organo - che ne invia comunicazione al Consiglio superiore della magistratura ed al Ministro della giustizia che può chiederne l'estensione ad altri fatti - non sarà più connotato dal carattere della facoltatività, assegnatogli sinora dall' articolo 14, primo comma, n. 1), secondo periodo, della legge 24 marzo 1958, n. 195, ma da quello della obbligatorietà (comma 3). Risulta così sottolineata la distinzione tra la titolarità dell'azione disciplinare facente capo al Procuratore generale, organo non solo politicamente irresponsabile ma anche vincolato al canone dell'eguaglianza ed imparzialità, e la titolarità dell'azione facente invece capo al Ministro della giustizia, il cui esercizio può riposare anche su ragioni politiche delle quali, tuttavia, il Ministro deve rispondere politicamente davanti al Parlamento.

Il comma 4, primo periodo, dell' articolo 15 pone poi l'obbligo, a carico del Consiglio superiore della magistratura, dei consigli giudiziari e dei dirigenti degli uffici, di comunicare ai titolari dell'azione disciplinare i fatti rilevanti sotto tale profilo; analogo e strumentale obbligo di comunicazione dei fatti disciplinarmente rilevanti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio è posto, dal secondo periodo del medesimo comma 4, in capo ai rispettivi presidenti. L'inosservanza dell'obbligo posto in capo a questi ultimi soggetti, nonché in capo al dirigente dell'ufficio, è sanzionata ai sensi dell' articolo 2, comma 1, lett. dd), del decreto.

L'articolo 15 regola i termini dell'azione disciplinare. Mentre resta fermo che l'azione disciplinare deve essere promossa entro un anno dall'apprendimento della notizia, “a seguito dell'espletamento di sommarie indagini preliminari, o di denuncia circostanziata o di segnalazione del Ministro della giustizia” (comma 1, primo periodo), viene chiarito, nel secondo periodo del medesimo comma, quale sia il contenuto proprio di una denuncia circostanziata, in difetto del quale la denuncia medesima non potrà costituire notizia di rilievo disciplinare. Quanto agli ulteriori termini della sequenza, mentre resta pure fermo quello di un anno dall'inizio del procedimento – segnato dalla richiesta di indagini rivolta dal Ministro al Procuratore generale o dalla comunicazione di quest'ultimo al Consiglio superiore (comma 3) - per lo svolgimento delle indagini nel procedimento disciplinare, viene ridotto il lasso temporale entro il quale dovrà essere pronunciata la sentenza dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura: non più due, ma un solo anno dalla richiesta di fissazione dell'udienza di discussione orale o per la declaratoria di non luogo a procedere (comma 2). Il tutto, quindi, con un contenimento della durata complessiva del procedimento entro ragionevoli limiti temporali. Il comma 6 disciplina, infine, i termini per la pronuncia nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento della sentenza della Sezione disciplinare da parte della Corte di cassazione.

Il comma 4 detta la disciplina relativa alla comunicazione all'incolpato dell'inizio del procedimento, con l'indicazione del fatto addebitatogli,nonché delle ulteriori contestazioni nel corso delle indagini. E' prevista la facoltà per l'incolpato di farsi assistere, sin dalla fase istruttoria, da un difensore, avvocato o magistrato, anche in quiescenza. Il comma 5 detta la disciplina della nullità degli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione all'incolpato o dall'avviso al difensore, se previsto. I commi 7 e 8 prevedono, rispettivamente, l' estinzione del procedimento disciplinare per l' inosservanza dei termini, sempre che l'imputato vi consenta, e la disciplina delle ipotesi di sospensione dei termini medesimi.

L'articolo 16 disciplina la fase istruttoria del procedimento disciplinare.

Viene, in primo luogo, eliminata la possibilità, per il Procuratore generale, di scegliere se procedere tramite istruzione formale, spettante ad uno dei componenti della Sezione disciplinare, o tramite istruzione sommaria, spettante al Procuratore generale o ad un magistrato del suo ufficio, attraverso la previsione che all' attività di indagine proceda sempre il pubblico ministero, cioè, appunto, il Procuratore generale o un suo sostituto (comma 1).

In secondo luogo, con il comma 2, viene eliminato il rinvio al previgente codice di rito penale e, quindi, l'ultrattività delle disposizioni del medesimo in materia istruttoria. Dalla data di efficacia del decreto legislativo verranno dunque osservate, in quanto compatibili, le norme del vigente codice di procedura penale del 1989, con l'espressa esclusione, peraltro, di quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, delle persone informate sui fatti, dei periti e degli interpreti, estranee alla natura del procedimento e dell'illecito disciplinari, fatta salva l'applicazione dell' articolo 133 c.p.p..

Il comma 3 mantiene il richiamo alle disposizioni penali sostanziali per ciò che attiene alle persone informate sui fatti, ai periti ed agli interpreti.

Il comma 4 introduce una ulteriore novità di rilievo, contemplata dalla legge di delegazione: la possibilità per il P:G., ove lo ritenga necessario “ai fini delle determinazioni sull'azione disciplinare”, di acquisire atti coperti da segreto investigativo, senza che lo stesso possa essergli opposto, fermo restando che, qualora il procuratore della Repubblica “comunichi, motivatamente, che dalla divulgazione degli atti coperti da segreto investigativo possa derivare grave pregiudizio alle indagini”, il Procuratore generale dovrà disporre con decreto che tali atti rimangano segreti per un periodo non superiore a dodici mesi, sospendendo il procedimento per uguale periodo.

Il comma 5 prevede, infine, la possibilità per il pubblico ministero di delegare il compimento di atti di indagine da compiere fuori dal proprio ufficio ad altro magistrato in servizio presso la procura generale della corte di appello nel cui distretto l'atto deve essere compiuto.

L'articolo 17 disciplina la fase relativa alla chiusura delle indagini.

Con riferimento a tale fase, particolarmente significativo è il rilievo attribuito dal legislatore delegante e, conseguentemente dal decreto, al ruolo del Ministro della giustizia.

In particolare, nel caso di richiesta di declaratoria di non luogo a procedere (di cui al comma 6), il Ministro della giustizia potrà opporvisi, nelle ipotesi in cui abbia promosso l'azione disciplinare o richiesto l'integrazione della contestazione, presentando memoria; in caso di accoglimento dell'opposizione - sulla quale pronuncia, in camera di consiglio, la sezione disciplinare - il Ministro della giustizia potrà chiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando l'incolpazione (comma 7). Nell'ipotesi di richiesta di declaratoria di non luogo a procedere, e sempre che abbia promosso l'azione disciplinare o richiesto l'integrazione della contestazione, il Ministro della giustizia potrà, peraltro, anche optare per richiedere direttamente al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando l'incolpazione (comma 8).

Nel caso in cui invece il procuratore generale formuli l'incolpazione e richieda al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale (comma 2), ricevuta la relativa comunicazione, il Ministro della giustizia potrà, nei successivi 20 giorni, chiedere l'integrazione e, nel caso di azione disciplinare da lui promossa, la modificazione della contestazione, che il procuratore generale sarà tenuto a porre in essere (comma 3). La disposizione in esame prevede, ancora, che il Ministro della giustizia, nel caso in cui abbia promosso l'azione disciplinare, richiesto l'integrazione o la modificazione della contestazione, possa esercitare la facoltà di partecipare all'udienza orale, della cui data gli viene dato avviso, delegando un magistrato dell'Ispettorato del Ministero (comma 5). Analoga facoltà è prevista nelle ipotesi di cui ai commi 7 e 8.

L'articolo 18 detta le regole relative al dibattimento nel giudizio disciplinare.

Degna di nota risulta, in primo luogo, l'espressa previsione relativa alla pubblicità dell'udienza, fatte salve le ipotesi in cui è consentita l'eccezione a tale regola generale (comma 2). Il comma 3 disciplina la assunzione delle prove da parte della sezione disciplinare, mentre il comma 4, richiama, anche per il dibattimento, le norme del codice di procedura penale vigente, in quanto compatibili, facendo così cessare, anche con riferimento a tale fase, quella sorta di anomalia del sistema rappresentata dalla ultrattività del codice Rocco con riferimento ai soli procedimenti disciplinari. Come per la fase istruttoria è, peraltro, prevista l'espressa esclusione del richiamo delle disposizioni del codice di procedura penale che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti, fermo restando quanto previsto dall' articolo 133 c.p.p..

Il comma 5 mantiene, infine, il richiamo alle disposizioni penali sostanziali per ciò che attiene ai testimoni, ai periti ed agli interpreti.

L'articolo 19 disciplina lo svolgimento della discussione finale e le modalità della deliberazione da parte della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (comma 1), la forma di sentenza del provvedimento, la decisione ed il deposito dei motivi della sentenza (comma 2), la comunicazione dei provvedimenti adottati al Ministro della giustizia, con riferimento alle sole ipotesi in cui egli abbia promosso l'azione disciplinare ovvero richiesto l'integrazione o la modificazione della contestazione, con invio di copia integrale, anche ai fini della decorrenza dei termini per il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione (comma 3).

L'articolo 20 disciplina i rapporti tra il procedimento disciplinare ed il giudizio civile o penale, prevedendo, al comma 1, che l'azione civile di risarcimento del danno o l'azione penale relativa allo stesso fatto, non hanno effetto preclusivo dell'azione disciplinare, ferme restando, tuttavia, le ipotesi di sospensione dei termini di cui all'articolo 15, comma 8 e, dunque, tra l'altro, la sospensione del corso dei termini del procedimento disciplinare in caso di esercizio della azione penale per il medesimo fatto, di cui alla lettera a), dell'articolo 15, comma 8, citato.

Al comma 2 sono poi dettate le regole relative alla efficacia delle sentenze penali irrevocabili di condanna, delle sentenze penali irrevocabili emesse ai sensi dell'art. 444 c.p.p. e delle sentenze penali irrevocabili di assoluzione nel giudizio disciplinare.

Gli articoli 21 e 22 disciplinano le ipotesi di sospensione cautelare obbligatoria e di sospensione cautelare facoltativa. In particolare, mentre la sospensione è facoltativa allorquando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare, che siano, per la loro gravità, incompatibili con l'esercizio delle funzioni, essa è invece obbligatoria nel caso in cui nei confronti del magistrato sottoposto a procedimento penale sia adottata una misura cautelare personale. Il provvedimento, che comporta la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio e la collocazione fuori del ruolo organico della magistratura, è adottato dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Sono poi disciplinati, oltre al procedimento applicativo, le ipotesi di revoca delle misure, la corresponsione di un assegno alimentare durante la sospensione e gli effetti delle pronunce di proscioglimento o di non luogo a procedere adottate nel procedimento penale o di quelle, adottate nell'ambito del procedimento disciplinare, di non luogo a procedere o di assoluzione o condanna ad una sanzione diversa dalla rimozione o dalla sospensione dalle funzioni per un tempo pari o superiore alla durata della sospensione, in termini di riacquisto, da parte del magistrato, del diritto agli stipendi ed alle altre competenze non percepiti, detratte le somme già corrispostegli a titolo di assegno alimentare.

L'articolo 23 attua, al comma 1, il principio e criterio della legge di delegazione, che riconosce al magistrato sottoposto a procedimento penale e cautelarmente sospeso, nei confronti del quale sia stata poi pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, il “diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore”. Tale diritto, secondo una interpretazione razionale tesa a consentire una effettiva elisione delle conseguenze dannose, in termini di impossibilità di avanzamento in carriera, subite, per effetto della sospensione, dal magistrato poi riconosciuto innocente, che mira, altresì, a coordinare la disciplina del decreto con i principi già accolti dall'ordinamento con le disposizioni di cui agli articoli 3, commi 57 e 57 bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Finanziaria 2004) e 2, comma 3, del decreto legge 16 marzo 2004, n. 66[1], convertito dalla legge 11 maggio 2004, n. 126,è stato inteso ancorando la suddetta “reintegrazione” al criterio, oggettivo, costituito dalla attribuzione al magistrato, nel limite dei posti vacanti, di funzioni di livello pari a quelle più elevate assegnate ai magistrati che lo seguivano nel ruolo al momento della sospensione cautelare, con l'eccezione delle funzioni direttive superiori giudicanti e requirenti di legittimità e delle funzioni direttive superiori apicali di legittimità, previa valutazione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, delle attitudini desunte dalle funzioni da ultimo esercitate. Nelle ipotesi in cui non sia possibile l'assegnazione di funzioni più elevate rispetto a quelle svolte al momento della sospensione – non avendole ottenute i magistrati che seguivano nel ruolo il magistrato reintegrato o non essendo state le stesse conferite al medesimo dal Consiglio superiore della magistratura all'esito della valutazione attitudinale compiuta – il magistrato sarà assegnato, alla stregua di quanto previsto dal secondo periodo della lettera m) del comma 7 dell'articolo 2 citato, al posto precedentemente occupato, se vacante; in caso contrario egli avrà diritto di scelta fra quelli disponibili ed entro un anno potrà chiedere l'assegnazione ad ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad eventuali concorrenti.

L'articolo 24, in attuazione del principio di delega previsto dall'articolo 2, comma 7, lettera l) della legge n. 150/2005, introduce il nuovo regime della impugnazione contro i provvedimenti in materia di sospensione cautelare, obbligatoria e facoltativa, (di cui agli articoli 21 e 22) e contro le sentenze della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

La norma, che nulla innova in materia di legittimazione attiva e quanto al tipo di impugnazione, atteso che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti innanzi indicati continua ad essere proposto dall'incolpato, dal Ministro della giustizia e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, stabilisce, in maniera innovativa, che il predetto ricorso debba essere effettuato nelle forme e nei limiti stabiliti (non più dal codice di procedura civile, ma) dal vigente codice di procedura penale, e che debba essere indirizzato (non più alle Sezioni Unite Civili, bensì) alle Sezioni Unite penali.

In tal modo, il giudice di legittimità non dovrà più valutare, con gli strumenti del processo civile, una decisione assunta sulla base di istituti affini al processo penale. Inoltre, al fine di abbreviare i tempi di durata del processo, viene espressamente previsto che la decisione del ricorso dev'essere adottata entro il termine massimo di sei mesi dalla proposizione del ricorso per cassazione.

Da sottolineare, infine, la disposizione secondo la quale, nei confronti dei provvedimenti in materia di sospensione, la proposizione del ricorso per cassazione non ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato.

L'articolo 25, in attuazione del principio di delega previsto dall'articolo 2, comma 7, lettera n) della legge n. 150/2005, disciplina l'istituto della revisione, mezzo di impugnazione straordinario delle sentenze irrevocabili adottate dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il comma 1, dispone che la revisione è ammessa in ogni tempo, in caso di travisamento dei fatti rispetto a quanto accertato in sede penale, nel caso in cui emergano nuovi elementi di prova atti a dimostrare l'insussistenza dell'illecito disciplinare, in caso di sanzione disciplinare determinata da falsità o altro reato accertato con sentenza irrevocabile.

Il comma 2 indica le condizioni richieste a pena di inammissibilità della domanda di revisione.

I commi 3 e 6 trattano, rispettivamente, della legittimazione attiva del magistrato al quale è stata applicata la sanzione disciplinare o, in caso di morte dello stesso, dei suoi familiari, e quella del Ministro della giustizia del Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Il comma 7 detta norme di carattere processuale, mentre il comma 8 ammette il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite penali contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di revisione.

Infine, il comma 10, prevede che il magistrato assolto con decisione irrevocabile a seguito di giudizio di revisione abbia diritto alla ricostruzione integrale della carriera ed alla percezione delle spettanze economiche arretrate.

 

Il capo III reca Modifica alla disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d'ufficio.

L'articolo 26 dà attuazione al criterio di delega contenuto nell'articolo 2, comma 6, lettera n), seconda parte, della legge n. 150/2005, il quale richiede la modifica del secondo comma dell'articolo 2 del regio decreto legislativo n. 511/1946 al fine di precisare che, salvo i casi in cui costituisca pena accessoria di una sanzione disciplinare o misura cautelare in pendenza di un procedimento disciplinare, il trasferimento d'ufficio ad altra sede o la destinazione ad altro ufficio del magistrato, possono essere disposti con procedimento amministrativo “solo per una causa incolpevole tale da impedire al magistrato di svolgere le sue funzioni, nella sede occupata, con piena indipendenza ed imparzialità”. In altri termini, la norma ha voluto collocare nell'ambito delle sanzioni accessorie dell'illecito disciplinare i casi in cui il magistrato, per sua colpa o per dolo, non possa più svolgere con piena indipendenza ed imparzialità le proprie funzioni nella sede occupata, mentre ha limitato la sfera di applicazione del procedimento amministrativo di trasferimento d'ufficio ai sensi del secondo comma dell'articolo 2 del R.Dlgs. 511/1946 alle sole ipotesi in cui la situazione di c.d. incompatibilità ambientale dipenda da causa indipendente da colpa del magistrato interessato.

Al fine di sottolineare tale distinzione, mentre la disciplina dei trasferimenti di ufficio disposti all'esito o come misura cautelare di un procedimento disciplinare sono disciplinati dall'articolo 13 del decreto, le modifiche apportate dalla norma in commento all'articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo n. 511/1946 continuano a riguardare, in via esclusiva, i trasferimenti di ufficio disposti con procedimento amministrativo.

Il secondo comma dell'articolo 26 dà attuazione al criterio di delega contenuto nell'articolo 2, comma 6, lettera n), terza parte, della legge n. 150/2005 che, coerentemente con la novità introdotta con il primo comma dell'articolo in commento, richiede una disciplina transitoria in base alla quale i procedimenti amministrativi di trasferimento d'ufficio non ancora definiti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, per fatti astrattamente riconducibili agli illeciti disciplinari previsti dagli articoli 2, 3 e 4 dello decreto medesimo, dovranno essere “trasmessi al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione per le sue determinazioni in ordine all'azione disciplinare.”.

L'articolo 27 attua il principio di delega contenuto nell'articolo 2, comma 6, lettera o), della legge n. 150 del 2005 che richiede di inserire, attraverso la modifica dell'articolo 3 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946, una previsione che consenta ai magistrati dispensati dal servizio per infermità o sopravvenuta inettitudine di transitare nei ruoli della pubblica amministrazione, con funzioni amministrative. La norma precisa che il magistrato dispensato dal servizio potrà essere destinato, a domanda, e nel limite dei posti diponibili, presso il Ministero della giustizia. Le modalità ed i criteri di comparazione di tale destinazione saranno definiti con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica ed il Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto conto del tipo e gravità dell'infermità o della sopravvenuta inettitudine. L'articolo precisa infine il trattamento economico del magistrato dispensato dal servizio e destinato allo svolgimento di funzioni amministrative.

L'articolo 28 dà attuazione al criterio di delega contenuto nell'articolo 2, comma 6, lettera q) della legge n. 150/2005, il quale, innovando rispetto all'attuale situazione, richiede di equiparare gli effetti della decadenza a quelli delle dimissioni. Esso, pertanto, equiparando gli effetti della decadenza a quelli della domanda con la quale il magistrato chiede di cessare di far parte dell'ordine giudiziario, estende a tutti i casi di decadenza, sia quelli previsti dall'articolo 11 del regio decreto n. 12/1941, che quelli previsti dall'articolo 127 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) il divieto di riammissione in magistratura del magistrato decaduto.

L'articolo 29 attua il criterio di delega contenuto nell'articolo 2, comma 6, lettera p) della legge n. 150/2005 e, con il sistema della novella, riformula gli articoli 18 e 19 del regio decreto n. 12/1941, disciplinando “in maniera più puntuale e rigorosa” le norme in materia di incompatibilità di sede per il magistrato.

Posto che la legge delega ha previsto l'introduzione, salvo eccezioni, di un criterio generale di incompatibilità “per il magistrato a svolgere l'attività presso il medesimo ufficio in cui parenti sino al secondo grado, affini in primo grado, il coniuge o il convivente esercitano la professione di magistrato o di avvocato o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria”, il nucleo centrale delle modifiche apportate agli articoli 18 (in materia di incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense) e 19 (in tema di incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria) del regio decreto n. 12/1941 consistono nella puntuale individuazione delle deroghe al generale principio di incompatibilità innanzi indicato. A tal fine, la tecnica normativa utilizzata, è stata quella di indicare, in senso positivo, anche alla luce del contenuto delle circolari del Consiglio Superiore della Magistratura, i casi in cui si verificano in concreto le ipotesi di incompatibilità di sede del magistrato.

 

Il Capo IV disciplina l'ambito di applicazione del decreto, le abrogazioni e la decorrenza di efficacia.

L'articolo 30, relativo all'ambito di applicazione, esclude che il decreto si applichi alle magistrature amministrativa e contabile.

L'articolo 31 elenca le disposizioni la cui abrogazione - ferma restando l'ulteriore opera di coordinamento delle disposizioni del decreto legislativo con le altre leggi dello Stato e di abrogazione delle disposizioni con esso incompatibili, che il legislatore delegato è chiamato a svolgere nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 3, della legge delega - si è ritenuto opportuno disporre sin dalla data di acquisto di efficacia del decreto, al fine di evitare dubbi ed incertezza interpretative.

L'articolo 32 disciplina la decorrenza dell'efficacia delle disposizioni contenute nel decreto, conformemente a quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, della legge 150/2005.

 

Anche tali modifiche sono state apportate in forza dell’approvazione di un emendamento del relatore (em. 1.700) nel corso dell’esame del provvedimento presso l’Assemblea del Senato.

Punti salienti delle variazioni proposte, come evidenziato dal relatore nella discussione in Assemblea, sono rappresentate dalla modifica delle fattispecie di illecito disciplinare previste dalla legislazione vigente, nel senso di semplificare ridurre ed eliminare quelle parti che ad alcuni potevano apparire compressive della dignità dei magistrati, pur mantenendo il principio della tipizzazione che rappresenta la grande novità del sistema. In tema di procedimento disciplinare, pur mantenendo il principio dell’obbligatorietà della relativa azione si è tuttavia introdotto un meccanismo di filtro che consenta di esaminare preventivamente esposti manifestamente infondati o che concernono questioni a prima vista non suscettibili di sanzione disciplinare senza dover impegnare in tutto il procedimento la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.  E’ stato anche previsto un meccanismo per evitare che questo filtro possa tradursi in rapide archiviazioni prevedendo la possibilità di ricorrere contro la prima pronuncia di manifesta infondatezza, con un meccanismo che garantisce sia l’esigenza di una certa rapidità del procedimento disciplinare sia quella del magistrato che fosse chiamato in causa di avere una chiara risposta, che quella del cittadino o di chi abbia proposto l’esposto di ricevere una risposta da parte dell’ordinamento. In accoglimento di alcune sollecitazioni mosse dall’opposizione è stato poi portato a due anni il periodo di tempo concesso al procuratore generale per l’esaurimento della fase istruttoria nonché il tempo previsto per la sezione disciplinare per l’emissione della relativa sentenza.

Venendo all’esame più specifico delle modificazioni apportate al testo del decreto legislativo 109/2006, la lettera a) del comma 3  abroga i commi 2 e 3 dell’articolo 1, concernente i doveri del magistrato.

 

In proposito va ricordato che il citato comma 2 dell’articolo 1 stabilisce genericamente il divieto per il magistrato di tenere, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria. Il comma 3 qualifica poi come illecito disciplinare le violazioni dei doveri (otre che del comma 1) del comma 2 sopra descritto.

 

La lettera b) del comma 3 detta una serie di modifiche all’articolo 2 del citato decreto legislativo, che definisce ed elenca gli illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni.

Viene in primo luogo abrogata la lettera i), che qualifica come illecito disciplinare del magistrato il perseguimento di fini estranei ai suoi doveri ed alla funzione giudiziaria.

Viene inoltre sostituita, rendendone più stringente la formulazione, la lettera v), nel senso di qualificare come illecito disciplinare le pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui nonché la violazione del divieto di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 riguardante le regole da osservare in tema di rapporti con gli organi di informazione.

Viene conseguentemente anche abrogata la lettera z) che qualifica autonomamente come illecito disciplinare la violazione delle citate regole in tema di rapporti con gli organi di informazione.

Viene inoltre soppressa la lettera bb) che qualifica come illecito il rilasciare dichiarazioni ed interviste in violazione dei criteri di equilibrio e di misura.

Anche la sostituzione della lettera ff) è diretta a rendere più stringente la qualificazione del relativo illecito disciplinare limitato all’adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza.

 

La lettera c), sostituendo il comma 2 dell’articolo 2 del decreto legislativo 109/2006 amplia le ipotesi di esclusione della responsabilità disciplinare prevedendo tale esclusione non soltanto in presenza di interpretazione di norme di diritto ma anche di valutazione del fatto e delle prove.

La lettera d) dispone le modifiche all’articolo 3 del citato decreto legislativo, concernente gli illeciti disciplinari fuori dall’esercizio delle funzioni, abrogando le lettere f) ed l) riguardanti, rispettivamente, la qualificazione come illecito disciplinare della pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine a un procedimento in corso  quando, per la posizione del magistrato o le modalità di espressione del giudizio sia idonea a condizionare la libertà di decisione nel procedimento medesimo, e di ogni altro comportamento idoneo a compromettere l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell’apparenza, e sostituendo le lettere h) ed i).

Anche la sostituzione delle lettera h) ed i) è diretta a restringere l’area dell’illecito punibile prevedendo che l’iscrizione o la partecipazione a partiti politici possa qualificarsi come violazione disciplinare solo quando sia sistematica e continuativa (lettera h), e che l’uso strumentale della qualità di magistrato debba condizionare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste (lettera i).

La lettera e) inserisce un nuovo articolo 3 bis che esclude, in ogni caso, la configurabilità dell’illecito disciplinare quando il fatto è di scarsa rilevanza.

La lettera f) sostituendo il comma 4 dell’articolo 14, relativo alla titolarità dell’azione disciplinare, si limita ad inserire i procuratori aggiunti tra i soggetti tenuti a comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare.

All’articolo 15 viene poi inserito dalla lettera g) un nuovo comma 1 bis diretto ad escludere la promovibilità dell’azione disciplinare quando siano decorsi dieci anni dal fatto.

Come sopra già ricordato, inoltre, al comma 2 del medesimo articolo viene portato da uno a due anni il termine (decorrente dall’inizio del procedimento) entro il quale il procuratore generale è tenuto a concludere la fase istruttoria e quello (decorrente in questo caso dalla richiesta) entro il quale la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si pronuncia.

Inoltre, mediante alcune modifiche al comma 8, vengono ampliate le ipotesi di sospensione del corso dei termini dell’azione disciplinare, compresa l’ipotesi di decadenza prevista dal nuovo comma 1 bis sopra illustrato, mediante l’inserimento di due nuove lettere d) bis e d) ter, riguardanti, rispettivamente, l’ipotesi in cui, nei casi di grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile o di travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile all’accertamento del fatto costituente illecito disciplinare è pregiudiziale l’esito di un procedimento civile, penale o amministrativo e l’ipotesi di sospensione del procedimento a seguito di provvedimento a norma dell’articolo 16.

La lettera h) introduce una serie di modifiche all’articolo 16 riguardante le Indagini nel procedimento disciplinare.

Vengono innanzitutto dettate alcune modifiche al comma 4 concernenti il regime di secretazione degli atti disposto dal Procuratore generale che, precedentemente consentito in alcune ipotesi per un periodo massimo di dodici mesi, può essere prorogato di altri sei mesi su richiesta motivata del procuratore della repubblica o di altri dodici mesi quando si procede per reati di cui all’articolo 407, comma 2, c.p.p.

Viene inoltre inserito, dopo il comma 5, il comma 5 bis disciplinate il potere di archiviazione del Procuratore generale esercitabile in una serie di casi:

Viene poi disposta la comunicazione al Ministro della giustizia del provvedimento di archiviazione ed attribuita a quest’ultimo la facoltà di richiedere la trasmissione di copia degli atti e di richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale formulando l’incolpazione. Tale potere deve essere esercitato dal Ministro entro termini prefissati, decorsi inutilmente i quali il provvedimento di archiviazione acquista efficacia.

Conseguentemente alle modifiche illustrate alla rubrica dell’articolo 16 vengono aggiunte le parole “Potere di archiviazione”.

Modifiche all’articolo 17, concernete la Chiusura delle indagini sono poi dettate dalla lettera i).

 Mediante un intervento sui commi 5 e 7, viene soppressa la previsione che consente al Ministro, al quale viene comunicato il decreto di fissazione dell’udienza di discussione nel procedimento disciplinare, di partecipare all’udienza delegando un magistrato dell’ispettorato.

La lettera l) sopprime il secondo periodo del comma 1 dell’articolo 18, disciplinante la discussione nel giudizio disciplinare, che consente al delegato del Ministro della giustizia di presentare memorie, esaminare testi, consulenti e periti e interrogare l’incolpato.

Coordinata con le modifiche sopra esaminate appare anche quella disposta all’articolo 19, comma 1, dalla lettera m) che elimina il riferimento alle conclusioni del delegato del Ministro della giustizia quale passaggio necessario per la deliberazione di competenza della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

La lettera n) aggiunge un periodo al comma 1 dell’articolo 22 relativo alla sospensione cautelare facoltativa.

Sostanzialmente, nei casi di minore gravità, viene consentito al Ministro della giustizia od al Procuratore generale di chiedere alla sezione disciplinare il trasferimento provvisorio dell’incolpato (piuttosto che, come nei casi più gravi, la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura) ad altro ufficio di un distretto limitrofo, diverso da quello indicato dall’articolo 11 c.p.p. relativo alla competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati.

La lettera o) sostituisce il comma 2 dell’articolo 24 riguardante le impugnazioni delle decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, stabilendo che la Corte di cassazione decida a sezioni unite civili (invece che penali) entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso.

Limitate sono anche le modifiche che la lettera p) introduce ai commi 7 ed 8 dell’articolo 25 riguardante la revisione delle sentenze divenute irrevocabili con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare.

In sede di dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di revisione da parte della sezione disciplinare è stata soppresso il riferimento all’obbligo di sentire il Ministro della giustizia (comma 7) mentre viene consentito il ricorso alle sezioni unite civili (anziché penali) della Corte di cassazione contro la decisione che dichiara inammissibile l’istanza di revisione.

Infine, la lettera q) inserisce dopo l’articolo 32, l’articolo 32 bische detta le disposizioni transitorie, stabilendo che le disposizioni del decreto legislativo si applichino ai procedimenti disciplinari promossi a partire dalla data della sua entrata in vigore. Per i fatti commessi anteriormente a tale data viene tuttavia disposta l’applicabilità, se più favorevoli, delle disposizioni di cui agli articoli 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e 38 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946 n. 511 (Guarentigie della magistratura).

Infine viene disposto un adeguamento ad alcune delle nuove disposizioni introdotte dal decreto legge in esame, stabilendo che i ricorsi proposti avverso le sentenze pronunziate dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura pendenti presso le sezioni unite penali della Corte di cassazione sono trasferiti alle sezioni unite civili della Corte medesima.

 

L’articolo 2 sostituisce il comma 3 dell’articolo 1 della legge 25 luglio 2005, n. 150 recante la delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario.

La nuova formulazione del comma citato delega il Governo, entro i centoventi giorni successivi all’acquisto di efficacia delle disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega (di cui al comma 1) ad adottare eventualmente i decreti legislativi recanti la disciplina transitoria, se necessaria, oltre che le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento dei medesimi con le altre leggi dello Stato, e l’abrogazione delle norme divenute incompatibili.

Viene quindi modificato il termine per l’esercizio di questa delega da parte del Governo (precedentemente fissato in novanta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1 dell’articolo 1, pari ad un anno dall’entrata in vigore della legge 150/2005) e resa eventuale l’esercizio della delega medesima, poiché subordinata all’effettiva necessarietà della disciplina transitoria e di coordinamento.

Inoltre, oltre a riaffermare (come già precedentemente previsto) l’osservanza dei principi e criteri di cui all’articolo 2, comma 9 della legge, viene stabilito che i decreti legislativi previsti nel comma in esame divengono efficaci dopo quindici giorni dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.  

 

L’articolo 3 modifica l’articolo 1, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 28 agosto 1995, n. 361, convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 1995, n. 437 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi concernenti la pubblica amministrazione).

Il testo vigente della disposizione modificata (concernente progetti finalizzati e disposizioni in materia di incarichi ed altre disposizioni) prevede che l'applicazione degli articoli 7, commi 1 e 3, e 7-bis, della legge 24 marzo 1958, n. 195 (come modificata dagli articoli 2 e 3 della legge 12 aprile 1990, n. 74), nella parte in cui rispettivamente prevedono che la segreteria e l'ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della magistratura sono costituiti da funzionari da selezionare mediante concorsi pubblici, è differita alla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario.

A seguito della riformulazione, il termine di applicazione delle disposizioni richiamate al citato articolo 1, comma 6, primo periodo, risulta differito alla data di efficacia dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui alla legge 25 luglio 2005, n. 150.

 

 

 

L’articolo 4 è suddiviso in due commi che prevedono rispettivamente la disciplina applicabile durante il periodo di sospensione dell’efficacia del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 e la salvaguardia degli effetti prodotti e delle situazioni esaurite durante la vigenza di quest’ultimo.

Il primo comma, in particolare, stabilisce che, fino al 31 luglio 2007, ossia fino alla scadenza del periodo di sospensione della legge di riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, continuano ad applicarsi, nelle materie oggetto del citato decreto, le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nonché le altre disposizioni in materia di ordinamento giudiziario, ed in particolare gli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20.

Il Decreto legislativo 20/2006 detta la Disciplina transitoria del conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità, nonché di primo e secondo grado, a norma dell'articolo 2, comma 10, della legge. 25 luglio 2005, n. 150. L’articolo 2 del citato decreto stabilisce che gli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità possono essere conferiti esclusivamente ai magistrati che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno due anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo prevista dall'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511. Analogamente, l’articolo 3 prevede che gli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di primo e di secondo grado possono essere conferiti esclusivamente ai magistrati che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo.

Al fine di salvaguardare il principio di certezza delle situazioni giuridiche, il comma 2 dell’articolo in commento fa salvi gli effetti già prodotti e le situazioni esaurite durante il periodo di vigenza del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160.

 

 


Progetto di legge

 


N. 1780

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

DISEGNO DI LEGGE

 

 

APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA

 

il 4 ottobre 2006 (v. stampato Senato n. 635)

 

 

presentato dal ministro della giustizia

(MASTELLA)

 

di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze

(PADOA SCHIOPPA)

 

 

 

Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario

 

______________________

 

Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 5 ottobre 2006

______________________

 

 

 

 


 

 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. L'efficacia delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, è sospesa fino alla data del 31 luglio 2007.

2. Al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, comma 1, le parole: «sotto la propria responsabilità» sono soppresse;

 

b) l'articolo 2 è sostituito dal seguente:

«Art. 2. - (Titolarità dell'azione penale). - 1. Il procuratore della Repubblica, quale titolare esclusivo dell'azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell'ufficio. L'assegnazione può riguardare la trattazione di uno o più procedimenti ovvero il compimento di singoli atti di essi. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

2. Con l'atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio della relativa attività. Se il magistrato non si attiene ai princìpi e criteri definiti in via generale o con l'assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l'assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica».

3. Al decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, sono apportate le seguenti modificazioni:

a)all'articolo 1, i commi 2 e 3 sono abrogati;

b)all'articolo 2, comma 1:

1) la lettera i) è abrogata;

2) la lettera v) è sostituita dalla seguente:

«v) pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui nonché la violazione del divieto di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106»;

3) la lettera z) è abrogata;

4) la lettera bb) è abrogata;

5) la lettera ff) è sostituita dalla seguente:

«ff) l'adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza»;

c)all'articolo 2, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Fermo quanto previsto dal comma 1, lettere g), h), i), l), m), n), o), p), cc) e ff), l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare»;

d)all'articolo 3, comma 1:

1) la lettera f) è abrogata;

2) la lettera h) è sostituita dalla seguente:

«h) l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici ovvero il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato»;

3) la lettera i) è sostituita dalla seguente:

«i) l'uso strumentale della qualità che, per la posizione del magistrato o per le modalità di realizzazione, è diretto a condizionare l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste»;

4) la lettera l) è abrogata;

e)dopo l'articolo 3, è inserito il seguente:

«Art. 3-bis. - (Condotta disciplinare irrilevante). - 1. L'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza»;

 f)all'articolo 14, il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici hanno l'obbligo di comunicare al Ministro della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio nonché i procuratori aggiunti debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio o dell'ufficio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare»;

g)all'articolo 15:

1)dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Non può comunque essere promossa l'azione disciplinare quando sono decorsi dieci anni dal fatto»;

2)al comma 2, ovunque ricorrano, le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «due anni»;

3)al comma 8, alinea, dopo le parole: «il corso dei termini», sono inserite le seguenti: «, compreso quello di cui al comma 1-bis,», e dopo la lettera d) sono aggiunte le seguenti:

«d-bis) se, nei casi di cui all'articolo 2, comma 1, lettere g) ed h), all'accertamento del fatto costituente illecito disciplinare è pregiudiziale l'esito di un procedimento civile, penale o amministrativo;

d-ter) se il procedimento è sospeso a seguito di provvedimento a norma dell'articolo 16»;

h)all'articolo 16:

1) il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, se lo ritiene necessario ai fini delle determinazioni sull'azione disciplinare, può acquisire atti coperti da segreto investigativo senza che detto segreto possa essergli opposto. Nel caso in cui il procuratore della Repubblica comunichi, motivatamente, che dalla divulgazione degli atti coperti da segreto investigativo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il Procuratore generale dispone, con decreto, che i detti atti rimangano segreti per un periodo non superiore a dodici mesi, prorogabile di altri sei mesi su richiesta motivata del procuratore della Repubblica ovvero di altri dodici mesi quando si procede per reati di cui all'articolo 407, comma2, del codice di procedura penale, e sospende il procedimento disciplinare per un analogo periodo. Successivamente il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può prendere visione degli atti. Il procedimento può essere altresì sospeso nel corso delle indagini preliminari»;

2) dopo il comma 5, è aggiunto il seguente:

«5-bis. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione procede all'archiviazione se il fatto addebitato non costituisce condotta disciplinarmente rilevante ai sensi dell'articolo 3-bis o forma oggetto di denuncia non circostanziata ai sensi dell'articolo 15, comma 1, ultimo periodo, o non rientra in alcuna delle ipotesi previste dagli articoli 2, 3 e 4 oppure se dalle indagini il fatto risulta inesistente o non commesso. Il provvedimento di archiviazione è comunicato al Ministro della giustizia, il quale, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, può richiedere la trasmissione di copia degli atti e, nei sessanta giorni successivi alla ricezione degli stessi, può richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando l'incolpazione. Sulla richiesta si provvede nei modi previsti nei commi 4 e 5 dell'articolo 17 e le funzioni di pubblico ministero, nella discussione orale, sono esercitate dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto. Il provvedimento di archiviazione acquista efficacia solo se il termine di cui sopra sia interamente decorso senza che il Ministro abbia avanzato la richiesta di fissazione dell'udienza di discussione orale davanti alla sezione disciplinare. In tale caso è sospeso il termine di cui al comma 1 dell'articolo 15»;

3) nella rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «.Potere di archiviazione»;

i)all'articolo 17:

1) il comma 5 è sostituito dal seguente:

«5. Il decreto di cui al comma 4 è comunicato, almeno dieci giorni prima della data fissata per la discussione orale, al pubblico ministero e all'incolpato nonché al difensore di quest'ultimo, se già designato, e, nelle ipotesi in cui egli abbia promosso l'azione disciplinare o abbia richiesto l'integrazione o la modificazione della contestazione, al Ministro della giustizia»;

2) al comma 7, è soppresso l'ultimo periodo;

l)all'articolo 18, comma 1, è soppresso il secondo periodo;

m)all'articolo 19, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura delibera immediatamente dopo l'assunzione delle prove e le conclusioni del pubblico ministero e della difesa dell'incolpato, il quale deve essere sentito per ultimo. Il pubblico ministero non assiste alla deliberazione in camera di consiglio»;

n)all'articolo 22, comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei casi di minore gravità il Ministro della giustizia o il Procuratore generale possono chiedere alla sezione disciplinare il trasferimento provvisorio dell'incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo, ma diverso da quello indicato nell'articolo 11 del codice di procedura penale»;

o)all'articolo 24, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. La Corte di cassazione decide a sezioni unite civili, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso»;

 p)all'articolo 25, i commi 7 e 8 sono sostituiti dai seguenti:

«7. La sezione disciplinare acquisisce gli atti del procedimento disciplinare e, sentiti il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, l'istante ed il suo difensore, dichiara inammissibile l'istanza di revisione se proposta fuori dai casi di cui al comma 2, o senza l'osservanza delle disposizioni di cui al comma 4 ovvero se risulta manifestamente infondata; altrimenti, dispone il procedersi al giudizio di revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il procedimento disciplinare.

8. Contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di revisione è ammesso ricorso alle sezioni unite civili della Corte di cassazione»;

q)dopo l'articolo 32, è aggiunto il seguente:

«Art. 32-bis. - (Disposizioni transitorie). - 1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano ai procedimenti disciplinari promossi a decorrere dalla data della sua entrata in vigore.

2. Per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore delle disposizioni del presente decreto continuano ad applicarsi, se più favorevoli, gli articoli 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e 38 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511.

3. I ricorsi proposti avverso le sentenze pronunziate dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura pendenti presso le sezioni unite penali della Corte di cassazione sono trasferiti alle sezioni unite civili della stessa Corte».

Art. 2.

1. All'articolo 1 della legge 25 luglio 2005, n. 150, il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Il Governo è delegato ad adottare, entro i centoventi giorni successivi all'acquisto di efficacia delle disposizioni contenute in ciascuno dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti la disciplina transitoria, se necessaria, le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento dei medesimi con le altre leggi dello Stato e l'abrogazione delle norme divenute incompatibili. I decreti legislativi previsti nel presente comma sono adottati con l'osservanza dei princìpi e dei criteri di cui all'articolo 2, comma 9, e divengono efficaci dopo quindici giorni dalla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

Art. 3.

1. All'articolo 1, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 28 agosto 1995, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 1995, n. 437, le parole: «è differita alla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario» sono sostituite dalle seguenti: «è differita alla data di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui alla legge 25 luglio 2005, n. 150».

Art. 4.

1. Fino al 31 luglio 2007 continuano ad applicarsi, nelle materie oggetto del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, nonché le altre disposizioni in materia di ordinamento giudiziario, ed in particolare gli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20.

2. Sono fatti salvi gli effetti prodotti e le situazioni esaurite durante la vigenza del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160.

 

 




[1] Il provvedimento reca: Interventi urgenti per i pubblici dipendenti sospesi o dimessisi dall'impiego a causa di procedimento penale, successivamente conclusosi con proscioglimento.