Immigrazione – L’accesso alla cittadinanza

Il riacquisto della cittadinanza italiana

La legge n. 124/2006[1] consente il riconoscimento della cittadinanza agli italiani (e ai loro discendenti) che abitavano nei territori dell’Istria, Fiume e Dalmazia, già facenti parti del Regno d’Italia e passati, dopo la seconda guerra mondiale, sotto la sovranità della Repubblica jugoslava e successivamente di Slovenia e Croazia.

In particolare, la legge 124 modifica la legge 91/1992[2] introducendo un articolo 17-bis che riconosce” il diritto alla cittadinanza italiana ai soggetti che siano stati cittadini italiani e che abbiano risieduto nei territori facenti parte dello Stato italiano e successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza del Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, ovvero in forza del Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo dalla legge 14 marzo 1977, n. 73.

Tale diritto è riconosciuto anche ai figli e ai discendenti in linea retta dei soggetti di cui sopra, purché di lingua e cultura italiana.

La cittadinanza, in realtà, in base al testo in esame non è acquistata ex lege dai soggetti summenzionati, ma solo a seguito della presentazione (e dell’accoglimento) di una apposita istanza. Ciò differenzia l’ottenimento della cittadinanza prefigurato dalla disposizione in esame da quello ex art. 17 l. 91/1992, che invece avviene automaticamente con la presentazione della apposita dichiarazione.

 

L’articolo 19, paragrafo 1, del Trattato di pace tra le Potenze alleate e associate e l’Italia, siglato a Parigi il 10 settembre 1947, reso esecutivo dal D.Lgs.C.P.S 1430/1947[3] ed entrato in vigore il 16 settembre 1947, dispose che i cittadini italiani domiciliati, alla data del 10 giugno 1940, nei territori ceduti dall’Italia ad altro Stato per effetto del Trattato, ed i loro figli nati dopo quella data, perdessero la cittadinanza italiana divenendo automaticamente cittadini dello Stato subentrante.

Il par. 2 dello stesso articolo faceva salva la facoltà di optare per la cittadinanza italiana, facoltà esercitabile, entro un anno dalla data di entrata in vigore del Trattato, dai soli cittadini di età superiore ai diciotto anni, o coniugati. Il par. 3 dello stesso art. 19 recitava: “Lo Stato al quale il territorio è ceduto potrà esigere che coloro che si avvalgono dell’opzione, si trasferiscano in Italia entro un anno dalla data in cui l’opzione venne esercitata”.

In esito a tale disciplina, i cittadini italiani residenti nei territori ceduti alla Jugoslavia (territori oggi facenti parte delle Repubbliche di Slovenia e di Croazia) e non optanti persero la cittadinanza, acquistando ipso iure quella jugoslava.

Analogamente, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Osimo con la Jugoslavia (firmato il 10 novembre 1975, ratificato con L. 73/1977[4] ed entrato in vigore il 3 aprile 1977), persero la cittadinanza italiana, acquistando quella jugoslava, gli appartenenti al gruppo etnico italiano[5] che non si avvalsero della facoltà, contemplata dall’art. 3 del Trattato medesimo e dal suo allegato VI, di trasferire la residenza dalla Zona B dell’ex Territorio libero di Trieste nel territorio italiano (facoltà da esercitare entro un anno dalla data di entrata in vigore del Trattato).

 

L’introduzione, nel 1992, di una nuova disciplina generale della cittadinanza ad opera della L. 91/1992 fu accompagnata da alcune disposizioni transitorie. In particolare, l’art. 17 della L. 91/1992 attribuì il diritto di optare per la cittadinanza italiana a coloro che l’avessero perduta ai sensi degli artt. 8 e 12 della previgente (e contestualmente abrogata) L. 555/1912[6].

Gli artt. 8 e 12 della L. 555/1912 disponevano, tra l’altro, la perdita della cittadinanza:

§         di chi avesse acquistato spontaneamente la cittadinanza straniera e stabilito la residenza all’estero (art. 8, primo comma, n. 1);

§         di chi, avendo acquistato la cittadinanza straniera senza aver espresso manifestazione di volontà in tal senso, avesse rinunciato alla cittadinanza italiana (art. 8, primo comma, n. 2);

§         dei figli minori non emancipati di chi avesse perso la cittadinanza, qualora avessero in comune la residenza col genitore esercente la potestà o la tutela legale, e acquistassero la cittadinanza di uno Stato straniero (art. 12, secondo comma).

L’art. 17 citato attribuì la facoltà di optare per la cittadinanza italiana anche a coloro che l’avessero perduta per non aver reso l’opzione di cui all’art. 5 della L. 123/1983[7] (legge anch’essa abrogata dalla L. 91/1992). Tale articolo esigeva che il figlio (anche adottivo) di padre cittadino o di madre cittadina – al quale era attribuita la cittadinanza se minore –, nel caso di doppia cittadinanza, optasse per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età.

Nella circolare del 1993[8] recante le linee interpretative della riforma di cui alla L. 91/1992 il Ministero dell’interno, basandosi sugli orientamenti formulati al riguardo dalla Corte di cassazione (sent. 754/1963) e dal Consiglio di Stato in sede consultiva (parere 209/1979), ritenne che il menzionato art. 17 della legge fosse applicabile:

§         sia ai soggetti, già titolari della facoltà di optare per la cittadinanza italiana loro riconosciuta dal citato art. 19, par. 2, del Trattato del 1947, i quali omisero di avvalersene entro i termini stabiliti dal Trattato;

§         sia agli appartenenti al gruppo etnico italiano che persero la cittadinanza italiana per non essersi avvalsi della facoltà, contemplata dall’art. 3 del Trattato di Osimo, di trasferire la residenza dalla Zona B al territorio italiano.

L’opzione prevista dall’art. 17 della L. 91/1992 avrebbe dovuto essere esercitata entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge. Questo termine fu prorogato una prima volta, sino al 15 agosto 1995, dall’art. 1 della L. 736/1994[9]; un’ulteriore proroga al 31 dicembre 1997 intervenne ad opera dell’art. 2, co. 195, della L. 662/1996[10] (legge collegata alla manovra finanziaria per il 1997).

L’acquisto della cittadinanza da parte degli immigrati

Le proposte di modifica della disciplina della cittadinanza

Il 16 maggio 2005 l’Assemblea della Camera ha iniziato l’esame della proposta di legge A.C. 204-A e abbinate, di iniziativa parlamentare, volta ad agevolare l’accesso alla cittadinanza italiana agli immigrati regolari.

Il testo è stato successivamente (17 maggio) rinviato in Commissione, dietro richiesta del rappresentante del Governo, “al fine di consentire a tutti i gruppi politici di approfondire più compiutamente le rispettive posizioni”.

 

La proposta intende agevolare l’acquisto della cittadinanza per gli stranieri legalmente e continuativamente residenti in Italia e attribuire la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri residenti da lungo tempo nel nostro Paese. Viene invece aggravato il procedimento per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio.

 

In particolare, l’art. 1 estende il diritto alla cittadinanza per nascita – attualmente limitato ai figli dei cittadini italiani o ai figli di ignoti o apolidi – anche a coloro che sono nati in Italia ma da genitori stranieri, a condizione che essi siano residenti legalmente e continuamente in Italia da almeno otto anni o, in alternativa siano in possesso della carta di soggiorno da almeno due anni.

 

La carta di soggiorno, disciplinata dall’art. 9 del testo unico, è un documento destinato agli stranieri extracomunitari residenti di lunga durata: Possono farne richiesta gli stranieri residenti in Italia da almeno 6 anni; viene rilasciata a tempo indeterminato ed è soggetta a vidimazione dopo 10 anni dal rilascio. Essa dà diritto allo straniero di fare ingresso in Italia anche senza visto; di lavorare e svolgere ogni altra attività lecita e di accedere ai servizi sociali. Le modalità di richiesta, rilascio e rinnovo della carta di soggiorno sono disciplinate dagli artt. 16 e 17 del regolamento di attuazione del testo unico, adottato con il D.P.R. 394/1999.

 

L’art. 2 si riferisce all’acquisto della cittadinanza per matrimonio. Viene aumentato da sei mesi a due anni il periodo minimo di residenza legale del coniuge per richiedere la cittadinanza. Parimenti è elevato da due a tre anni il periodo minimo di durata del matrimonio quale requisito richiesto dalla legge in alternativa a quello della residenza legale.

 

Infine, l’art. 3 riguarda la naturalizzazione, ossia l’accesso alla cittadinanza da parte di un cittadino straniero nato all’estero che ne fa richiesta. Rispetto alla disciplina vigente, viene ridotto il periodo minimo di residenza legale (da dieci a otto anni) richiesto per poter presentare la domanda di cittadinanza. In alternativa alla residenza viene introdotto il requisito del possesso da almeno due anni della carta di soggiorno.

A queste forme di agevolazione, fa riscontro l’introduzione di alcuni condizioni aggiuntive, quali:

§      la non sussistenza delle cause ostative che impediscono l’acquisto della cittadinanza per matrimonio indicati dall’art. 6 della legge 92[11];

§      il possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento;

§      la conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiana.

La disciplina vigente in materia di acquisto della cittadinanza

La legge n. 91/1992 stabilisce che acquistano automaticamente alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani (L. 91/1992, articolo 1, comma 1, lettera a): si tratta della così detta modalità di acquisizione della cittadinanza jure sanguinis.

La legge n. 91 riconosce anche il criterio alternativo dello jus soli, pur in via residuale e per casi limitati a:

§      coloro che nascono nel territorio italiano e i cui genitori siano da considerarsi o ignoti (dal punto di vista giuridico) o apolidi (cioè privi di qualsiasi cittadinanza) (L. 91/1992, art. 1, co. 1, lett. b);

§      coloro che nascono nel territorio italiano e che non possono acquistare la cittadinanza dei genitori in quanto la legge dello Stato di origine dei genitori esclude che il figlio nato all’estero possa acquisire la loro cittadinanza (L. 91/1992, art. 1, co. 1, lett. b).

Sono inoltre considerati cittadini italiani i figli di ignoti che vengono trovati (a seguito di abbandono) nel territorio italiano e per i quali non può essere dimostrato, da parte di qualunque soggetto interessato, il possesso di un’altra cittadinanza (L. 91/1992, art. 1, co. 2).

 

Lo straniero che sia nato in Italia può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana (L. 91/1992, art. 4, co. 2).

Disposizioni particolari sono dettate per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza da parte di stranieri che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani (L. 91/1992, artt. da 5 a 8). Gli stranieri coniugi di cittadini italiani ottengono la cittadinanza, dietro richiesta presentata al prefetto del luogo di residenza dell’interessato, oppure, se residenti all’estero, all’autorità consolare competente, se possono soddisfare, contemporaneamente, le seguenti condizioni:

§      residenza legale nel territorio italiano da almeno sei mesi, o, in alternativa, per gli stranieri residenti all’estero, il decorso di tre anni dalla data del matrimonio tra lo straniero e il cittadino;

§      persistenza del vincolo matrimoniale;

§      insussistenza della separazione legale;

§      assenza di condanne penali per i delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato e contro i diritti politici dei cittadini;

§      assenza di condanne penali per i delitti non colposi per i quali è prevista una pena edittale non inferiore a tre anni;

§      assenza di condanne penali per reati non politici, con pena detentiva superiore a un anno, inflitte da autorità giudiziarie straniere con sentenza riconosciuta in Italia;

§      insussistenza di fondati motivi che facciano ritenere che lo straniero il quale aspira a divenire cittadino italiano sia pericoloso per l’ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato.

L’acquisto della cittadinanza può avvenire, infine, per concessione (L. 91/1992, art. 9): in questo caso, a differenza dei procedimenti finora illustrati, che riservano all’autorità margini di intervento molto ristretti, l’emanazione del provvedimento di concessione della cittadinanza è soggetto ad una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione, pur attenuata dall’obbligo del parere preventivo del Consiglio di Stato. Il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti, che costituisce il requisito fondamentale per conseguire la cittadinanza secondo tale modalità, deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell’istanza per la concessione della cittadinanza.

Può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana il cittadino straniero che si trova in una delle seguenti condizioni:

§      residente in Italia da almeno dieci anni, se cittadino non appartenente all’Unione europea, o da almeno quattro anni, se cittadino comunitario (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. f) e d);

§      apolide residente in Italia da almeno cinque anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. e);

§      il cui padre o la cui madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato in Italia e, in entrambi i casi, vi risiede da almeno tre anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. a);

§      maggiorenne adottato da cittadino italiano e residente in Italia da almeno cinque anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. b);

§      aver prestato servizio[12] alle dipendenze dello Stato italiano, anche all’estero, per almeno cinque anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. c).

La modifica dell’art. 48 Cost.

Un’altra proposta di legge in materia di cittadinanza ha iniziato l’esame in sede referente presso la I Commissione. Si tratta della proposta di legge costituzionale A.C. 4786 (on. Bressa ed altri) volta a modificare l’art. 48 Cost. introducendo quale requisito per il riconoscimenti della cittadinanza l’effettiva partecipazione alla vita economica, sociale e politica del Paese.

La proposta di legge mira infatti ad integrare il disposto dell’articolo 48 della Costituzione, che disciplina la titolarità e l’esercizio del diritto di voto, anteponendo al primo comma di tale articolo un nuovo comma del seguente tenore:

“Sono cittadini coloro i quali partecipano effettivamente alla vita economica, sociale e politica del Paese e soddisfano i requisiti stabiliti dalla legge”.

Nella seduta del 28 aprile 2004 fu nominato un comitato ristretto e si procedette, inoltre, a varie audizioni informali.



[1]     Legge 8 marzo 2006, n. 124, Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti.

[2]     Legge 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza.

[3]     Decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, Esecuzione del Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947.

[4]     Legge 14 marzo 1977, n. 73, Ratifica ed esecuzione del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, con allegati, nonché dell’accordo tra le stesse Parti, con allegati, dell’atto finale e dello scambio di note, firmati ad Osimo (Ancona) il 10 novembre 1975.

[5]     Più precisamente: le persone, facenti parte del gruppo etnico italiano, che alla data del 10 giugno 1940 erano cittadini italiani ed avevano la loro residenza permanente sul territorio di cui all’articolo 21 del Trattato di pace del 1947, e i loro discendenti nati dopo il 10 giugno 1940.

[6]     Legge 13 giugno 1912, n. 555, Sulla cittadinanza italiana.

[7]     L. 21 aprile 1983, n. 123, Disposizioni in materia di cittadinanza.

[8]     Circolare 28 settembre 1993, n. K.60.1, Legge 5 febbraio 1992, n. 91 – Nuove norme in materia di cittadinanza – Linee interpretative.

[9]     L. 22 dicembre 1994, n. 736, Modifica dell’articolo 17 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernente la proroga del termine per il riacquisto della cittadinanza italiana.

[10]    Legge 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[11]    Si tratta della la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale; della la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione; ovvero la condanna per un reato non politico ad una pena detentiva superiore ad un anno da parte di una autorità giudiziaria straniera, quando la sentenza sia stata riconosciuta in Italia; o della sussistenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

[12]    Salvi i casi previsti dall’art. 4 della legge, nel quale si richiede specificamente l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego, si considera che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato chi sia stato parte di un rapporto di lavoro dipendente con retribuzione a carico del bilancio dello Stato (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett. c)).