La legge 22 aprile 2005, n. 69[1] ha dato attuazione alla decisione quadro 2002/584/GAI del
Consiglio, del 13 giugno 2002 relativa al mandato d’arresto europeo. Con l’entrata in vigore della legge, la decisione quadro risulta attuata
in tutti gli Stati dell’Unione europea.
Va ricordato che la
trasposizione della nuova disciplina nel diritto interno sarebbe dovuta
avvenire entro il 31 dicembre 2003; il provvedimento ha avuto, però, un iter parlamentare
di particolare lunghezza e complessità, anche in relazione ai numerosi problemi
di compatibilità delle disposizioni della decisione quadro col nostro quadro
costituzionale, da più parti sollevati.
La necessità del
provvedimento trova giustificazione nella esigenza
di superare ed eliminare la lunga e complessa procedura di estradizione,
ritenuta ormai inadeguata in relazione alla esistenza di uno spazio senza
frontiere, caratterizzato da un alto livello di fiducia e di cooperazione
reciproca tra gli Stati dell’Unione.
L’approvazione da parte
del Consiglio della UE della decisione
quadro 2002/584/GAI[2] si inquadra nell’ambito delle iniziative
dirette alla creazione di uno «spazio
giudiziario di libertà, sicurezza e giustizia» (c.d.
terzo pilastro), così come delineato prima
dal Trattato sull'Unione europea e più recentemente dalla Costituzione europea
e costituisce una delle prime
applicazioni del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni
giudiziarie da parte degli Stati
membri, affermato nella Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 sull’assistenza giudiziaria in materia penale.
La necessità del provvedimento trova giustificazione nella esigenza
di superare ed eliminare la
complessa e lunga procedura di estradizione, ritenuta ormai inadeguata in
relazione alla esistenza di uno spazio senza frontiere, caratterizzato da un
alto livello di fiducia e di cooperazione reciproca tra gli Stati dell’Unione.
Nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere
dell'ottobre 1999 si invitavano gli Stati membri a fare del principio del
reciproco riconoscimento il fondamento di un vero spazio giudiziario europeo,
affermando espressamente - per la prima volta - che «la procedura formale di estradizione deve essere abolita tra gli Stati
membri, per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate
definitivamente, ed essere sostituita dal semplice trasferimento di tali
persone in conformità con l'art. 6 del Trattato».
In questo ambito si iscrive la decisione quadro 2002/584/GAI
sul mandato d’arresto europeo, nella cui premessa (considerando n. 5) si
afferma che “un nuovo sistema
semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine
dell'esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle
all'azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi
inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione”.
Secondo tale modello, la cooperazione giudiziaria nell'ambito
dei paesi aderenti all'Unione si deve fondare sulla libera circolazione, in un
clima di reciproca fiducia, dei provvedimenti emanati dall'autorità giudiziaria
competente in conformità alla propria legislazione, costituenti titoli idonei a
produrre effetti anche nel territorio di Stati diversi da quello nel quale sono
stati adottati. In applicazione di tale principio, eliminata la fase
politico-amministrativa che caratterizzava la disciplina sull'estradizione,
l'esecuzione del mandato di arresto avviene attraverso contatti diretti tra le
autorità giudiziarie nazionali, individuate sulla base degli ordinamenti
statali. Il mandato di arresto europeo costituisce (considerando 6) la prima
concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento
reciproco alla base della cooperazione giudiziaria in ambito UE.
Non vi è più motivo di distinguere tra la richiesta di
detenzione provvisoria e la richiesta di estradizione, come previsto sotto il
regime della Convenzione di estradizione del 1957, in quanto oltre alle
caratteristiche classiche di un mandato di arresto (ricerca, cattura,
detenzione provvisoria), il mandato europeo vale come richiesta di consegna
alla autorità dello Stato che ha emesso il provvedimento. Tali previsioni
consentono di snellire la procedura di esecuzione del mandato e di ridurre i
tempi di attuazione della richiesta.
Il mandato d’arresto europeo mira così a sostituirsi al
sistema attuale di estradizione, imponendo ad ogni autorità giudiziaria
nazionale (autorità giudiziaria dell’esecuzione) di riconoscere, dopo controlli
minimi, la domanda di consegna di una persona, formulata dall’autorità
giudiziaria di un altro Stato membro (autorità giudiziaria emittente).
La citata attuale normativa in materia di estradizione è
espressamente sostituita, secondo quanto previsto dall’art. 31 della decisione,
dalle disposizioni della decisione stessa a far data dal 1° gennaio 2004, fermo
restando la possibilità di conclusione di accordi bilaterali o multilaterali
che snelliscano ulteriormente la procedura.
Per quel che riguarda, nello specifico, i principali profili
della decisione quadro, va anzitutto detto che il provvedimento fissa i
principi generali secondo cui uno Stato membro esegue sul proprio territorio un
mandato europeo di arresto emesso da una autorità giudiziaria di un altro Stato
Il mandato d’arresto europeo viene definito come una decisione giudiziaria emessa da uno Stato
membro in vista dell’arresto o della consegna da parte di un altro Stato membro
di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o
dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà.
Il campo di applicazione del mandato d’arresto europeo è
delimitato dall’art. 2 che ne prevede l’emissione:
§
a seguito di condanna definitiva a pena
detentiva o misura di sicurezza non inferiore a 4 mesi;
§
per reati puniti nello Stato membro emittente
con una pena detentiva o una misura di sicurezza non inferiore a 12 mesi.
La decisione quadro prevede un elenco di 32 reati
(partecipazione ad organizzazioni criminali, terrorismo, tratta di esseri
umani, sfruttamento sessuale di minori e pornografia infantile, traffico
illecito di armi, munizioni ed esplosivi, corruzione, frode agli interessi
finanziari delle comunità europee, riciclaggio, crimini contro l'ambiente,
falsificazione di monete, criminalità informatica, dirottamento aereo, ecc.)
per i quali non è necessario il requisito della cd. doppia incriminazione,
ossia la garanzia per il soggetto passivo che il fatto sia previsto come reato tanto
nello Stato richiedente, quanto nel paese dell'esecuzione. Condizione ulteriore
per la consegna in base al mandato d’arresto europeo è, comunque, che nello
Stato membro emittente il massimo della pena e della misura di sicurezza
detentiva previste per tali reati sia pari o superiore a 3 anni.
Per reati diversi da quelli elencati è, invece, necessario ai
fini della consegna il rispetto del requisito della doppia incriminazione.
In relazione al contenuto, nel mandato d’arresto europeo
devono necessariamente essere presenti una serie di informazioni relative, in
particolare, all’identità della persona, all’autorità giudiziaria emittente,
alla natura e alle circostanze del reato, all’esistenza di una sentenza
esecutiva, di un mandato d’arresto o altro analogo provvedimento, alla pena
prevista o a quella già inflitta.
La procedura per l'applicazione del mandato opera
essenzialmente tra le rispettive autorità giudiziarie nazionali; proprio tale
aspetto costituisce una delle novità di maggior rilievo, risultando pressoché
eliminata la fase politica e amministrativa che caratterizza l’attuale
procedura di estradizione.
Gli Stati membri designano le autorità giudiziarie nazionali
competenti all’emissione e all’esecuzione dei mandati d’arresto europei,
potendo inoltre individuare autorità centrali incaricate di fornire assistenza
alle citate magistrature emittenti o dell’esecuzione, ovvero affidando
direttamente alle stesse autorità centrali la trasmissione e la ricezione dei
mandati d’arresto europei e la corrispondenza ad essi relativa.
Dopo l’emissione del mandato si possono delineare, sotto il
profilo procedurale, quattro fasi fondamentali previste dalla decisione quadro.
La prima fase consiste nella trasmissione del mandato di
arresto dall'autorità giudiziaria dello Stato richiedente direttamente a quella
dello Stato dell'esecuzione (art. 9) . In questa fase la ricerca della persona
destinataria del provvedimento di cattura può avvenire attraverso il sistema
informatico SIS oppure con la collaborazione dell'Europol.
Dopo l’arresto, si apre la seconda fase inerente alla
delibazione, da parte dell'autorità giudiziaria che ha eseguito l'arresto,
relativa al mantenimento dello stato di detenzione, secondo le norme del
diritto interno (art. 12). L'arrestato può anche essere rimesso in libertà,
purché l'autorità giudiziaria adotti misure idonee ad evitarne la fuga.
Dalla decisione quadro emerge, quindi, l’assenza di un
preventivo vaglio da parte dell’autorità giudiziaria investita della richiesta
di arresto (come previsto nell’ordinamento italiano): la decisione
sull’esistenza dei presupposti dell’arresto, infatti, appartiene ad una fase
successiva.
Nel caso in cui il soggetto acconsenta alla propria consegna
allo Stato richiedente, la procedura è semplificata; se invece manca il
consenso, si apre una ulteriore fase della procedura, in cui l’autorità
giudiziaria, ascoltato il ricercato, deve assumere una decisione definitiva
sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo ovvero sulla consegna
dell’arrestato all’autorità richiedente, potendo peraltro richiedere a quest’ultima informazioni supplementari.
Nell’ambito della procedura sono previste alcune garanzie per
la persona destinataria del mandato di cattura: oltre alla citata informazione
sulla possibilità di acconsentire alla consegna, in particolare, richiamando i
diritti fondamentali della persona e le norme sul giusto processo, la decisione
quadro prevede il diritto di essere informato del contenuto del mandato di
arresto, di essere assistito da un difensore e da un interprete e di essere
ascoltato dall’autorità giudiziaria.
Entro 60 giorni dalla data dell’arresto, l’autorità
giudiziaria dell’esecuzione deve assumere la decisione definitiva sulla
consegna (nella procedura
semplificata, il termine è invece di 10 giorni dalla comunicazione del consenso
dell’interessato alla consegna), salvo possibilità di proroga motivata di
ulteriori 30 giorni (art. 17).
L’ultima fase è quella della consegna dell’arrestato:
notificata immediatamente la decisione, l’arrestato è, infatti, consegnato in
data concordata tra le rispettive autorità giudiziarie; in ogni caso, salvo
causa di forza maggiore o differimento per gravi motivi umanitari, il termine
di consegna non può superare i 10 giorni dalla citata decisione definitiva di
eseguire il mandato d’arresto europeo.
Dietro assunzione di alcune informazioni (esistenza del mandato, identità della persona, natura,
qualificazione e circostanze del reato),
viene previsto l’obbligo per gli Stati membri di permettere il transito sul
proprio territorio di una persona oggetto di consegna.
In alcuni casi, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve
rifiutare di eseguire il mandato e di consegnare la persona ricercata; ciò
avviene:
§
se nei confronti di tale soggetto è stata già
emessa una sentenza passata in giudicato per lo stesso reato in uno Stato membro dell’Unione diverso da
quello emittente (principio del ne bis in idem);
§
se il reato per cui si procede è stato oggetto
di amnistia nello Stato dell’esecuzione;
§
se, in base alla normativa vigente nello Stato
dell’esecuzione il ricercato non è penalmente responsabile in regione dell’età.
In presenza di ulteriori specifiche condizioni (azione penale prescritta, sentenza
definitiva per lo stesso reato emessa da un Paese terzo, ecc.), l’autorità giudiziaria
dell’esecuzione non deve, ma può rifiutare di dar corso al mandato d’arresto
europeo.
La decisione quadro prevede, inoltre, la possibilità di
confiscare e consegnare all’autorità giudiziaria emittente prove o beni
acquistati dall’arrestato a seguito del reato.
A garanzia della persona consegnata viene sancito il rispetto
del principio di specialità, in base al quale è posto il divieto di perseguire
o restringere la libertà personale per fatti anteriori o diversi da quelli per
cui è stata richiesta l’esecuzione del mandato. In relazione al rispetto di
tale principio sono, peraltro, introdotte specifiche eccezioni.
Di seguito, viene data illustrazione del contenuto della
legge di attuazione[3],
formata da 40 articoli, distinti in tre titoli
Il titolo I, contiene le disposizioni di principio.
Il titolo II, contenente le norme di recepimento
interno, è suddiviso in quattro capi: il capo I, intitolato “Procedura passiva
di consegna”; il capo II, intitolato “Procedura attiva di consegna”; il capo
III, intitolato “Misure reali”; il capo IV, intitolato “Spese”, si compone di
un unico articolo (37).
Il titolo III contiene le disposizioni transitorie e finali
Alle disposizioni di legge, inoltre, deve essere aggiunta la
dichiarazione presentata dall’Italia al momento della entrata in vigore della
decisione quadro e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.
In base a essa l’Italia continuerà ad applicare le convenzioni in materia di
estradizione nella esecuzione dei mandati di arresto europeo emessi in altri
Stati per reati commessi anteriormente alla entrata in vigore della decisione
quadro (7 agosto 2002).
La complessità della normativa italiana appare in linea con
quella delle legislazioni degli altri Stati membri e della stessa decisione
quadro, testo normativo molto più complesso dei singoli strumenti giuridici in
materia di estradizione, che viene a sostituire.
Come accennato, il titolo I della legge è dedicato alle
disposizioni di principio e comprende tre articoli.
Nell’articolo 1 il mandato di arresto europeo viene definito
come una “decisione giudiziaria” emessa da uno Stato membro (di “emissione”) in
vista dell’arresto e della consegna di una persona da parte di un altro Stato
membro (“di esecuzione”). La norma specifica che l’attuazione della decisione
quadro nell’ordinamento interno avviene nei limiti in cui le relative
disposizioni «non sono incompatibili con i principi supremi dell’ordinamento
costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di
libertà e del giusto processo». Risulta invertita, in questo modo, la gerarchia
delle fonti normative, tradizionalmente incentrata sulla regola di prevalenza
del diritto comunitario, seppur nel rispetto dei “controlimiti”
che la Corte costituzionale ha individuato (dalla storica sentenza
16-27 dicembre 1965, n. 98) nei casi di violazione dei «principi
fondamentali del nostro ordinamento costituzionale» o dei «diritti inalienabili
della persona umana».
A parte la sentenza irrevocabile di condanna, Il comma 3
indica un presupposto generale per la esecuzione in Italia dei mandati di
arresto europei emessi a fini cautelari, richiedendo che il provvedimento sul
quale è basato il mandato:a) deve essere «motivato»; b) «sottoscritto da un
giudice».
Va rilevato come entrambi i requisiti non sono contemplati dalla
decisione quadro; l’articolo 8, par. 1, lett. c), fa riferimento soltanto alla
necessaria indicazione, nel mandato di arresto, dell’esistenza di una sentenza
esecutiva, di un mandato di cattura o di “qualsiasi” altra decisione
giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza e rientri nella “tipologia” di
una decisione giudiziaria.
L’articolo 2 della legge indica le garanzie di ordine costituzionale
che debbono essere osservate nell’esecuzione del mandato d’arresto europeo. La
norma rinvia a un insieme di diritti fondamentali, principi e regole in materia
di giusto processo, libertà personale, diritto di difesa, principio di
eguaglianza, responsabilità penale e qualità della sanzione penale, contenuti
nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali e nella Costituzione italiana, e la
cui concreta verifica può rendere necessaria una richiesta di “idonee garanzie”
allo Stato membro di emissione (comma 2). E’, poi, previsto iI
rifiuto di consegna dell’imputato o del condannato in caso di grave e
persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei diritti
fondamentali garantiti nella Cedu.
L’articolo 3, comma 1 della legge, stabilisce che l’ampliamento
nella decisione quadro delle fattispecie di reato che danno luogo a consegna in
base al mandato sottratte alla verifica della “doppia incriminazione” deve
essere sottoposto a riserva d’esame parlamentare. Questo istituto, già noto in
altri ordinamenti, è anche disciplinato in termini generali dall’articolo 4
della legge 11/2005 (Partecipazione
dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di
esecuzione degli obblighi comunitari), che ha previsto l’apposizione della
riserva da parte del Governo, in sede di Consiglio dei ministri dell’Ue, sui progetti di atti comunitari e dell’Ue e sulle loro modificazioni. In assenza di coordinamento
con l’articolo 4 della citata legge 11/2005, la riserva parlamentare in
relazione alle modifiche dell’articolo 2, par. 2, della decisione quadro
seguirà l’iter delineato dall’articolo 3 della legge 69/2005. Sarà il
presidente del Consiglio dei ministri, in concreto, a trasmettere al Parlamento
il progetto di modifica.
L’articolo 4, comma 1, individua nel ministro della
Giustizia l’autorità centrale preposta all’assistenza delle autorità
giudiziarie competenti, stabilendo che spettano ad esso anche le attività amministrative
di trasmissione e ricezione dei mandati d’arresto europei e della
corrispondenza ufficiale ad essi relativa. Ciò comporta che nella fase passiva
della procedura il ministro della Giustizia riceve il mandato di arresto
europeo emesso in un altro Stato membro, unitamente alla documentazione, e lo
trasmette senza indugio alla Corte d’appello territorialmente competente per la
decisione. Nella fase attiva, il ministro riceve dalle autorità giudiziarie
italiane il mandato di arresto europeo e lo trasmette alla autorità straniera
competente per la esecuzione. In entrambi i casi il ministro della Giustizia
cura le traduzioni necessarie.
Si ricorda come la decisione quadro preveda solo come
eventuale l’interposizione tra le autorità giudiziarie di un’autorità centrale
con compiti amministrativi (art. 7); in particolare, tale opzione dovrebbe
attuarsi quando ”l’organizzazione del sistema giudiziario interno dello Stato
lo rende necessario” (articolo 7, par. 2). Tra i Paesi che hanno scelto il
ricorso all’Autorità centrale – oltre all’Italia - si segnalano la Germania, la
Gran Bretagna e la Danimarca.
L’ultimo comma dell’articolo 4 della legge, infine, consente
solo in condizioni di reciprocità, e nei limiti previsti da accordi
internazionali, la corrispondenza diretta tra le autorità giudiziarie con obbligo
di immediata informativa al ministro della ricezione o dell’emissione del
mandato d’arresto europeo.
Dopo le disposizioni di principio, la legge 69/2005 prevede,
nella sua parte di maggior rilievo (titolo II), le norme di recepimento
interno della decisione quadro.
Il capo I (artt. 5-27) disciplina
la procedura passiva di consegna ovvero l’esecuzione, in Italia, del mandato di
arresto europeo emesso in un altro Stato membro.
Dal punto di vista procedimentale
- vale a dire della successione di atti preordinata alla consegna della persona
ricercata - si può distinguere una fase “passiva” e una fase “attiva”.
Per «procedura passiva di consegna», quindi, si intende la
fase in cui una autorità giudiziaria italiana deve adottare la decisione sulla
esecuzione del mandato di arresto europeo e la conseguente consegna della
persona ricercata ovvero rifiutare o sospendere la esecuzione stessa, previa
valutazione della sussistenza dei motivi di rifiuto o rinvio previsti dalla
legge.
Nell’introdurre la disciplina dell’esecuzione, l’articolo 5
della legge stabilisce che la consegna di un imputato o condannato all’estero
non può essere concessa senza la decisione favorevole della corte di appello.
La disposizione è del tutto equivalente a quella contenuta
nell’articolo 701, comma 1, c.p.p., in materia di
estradizione, da cui viene mutuata anche la rubrica (“Garanzia
giurisdizionale”). Analoghi sono i criteri per la determinazione della corte
d’appello territorialmente competente: si tratta, nell’ordine, del luogo di residenza,
dimora o domicilio dell’imputato o condannato, nel momento in cui il mandato di
arresto europeo è ricevuto dall’autorità giudiziaria italiana. Quando la
competenza non può essere determinata in base a tali criteri è competente la
corte di appello di Roma.
Un’ulteriore deroga è prevista nei casi, statisticamente
frequenti, in cui la persona ricercata viene arrestata sul territorio italiano
per effetto di una richiesta di arresto introdotta nel SIS (Sistema informativo
Schengen), ai sensi dell’articolo 95 della relativa
convenzione (Caas, Convenzione di applicazione
dell’accordo di Schengen, ratificata dall’Italia con
legge 388/93); in questi casi è competente la corte d’appello nel cui distretto
si è verificato l’arresto da parte della polizia giudiziaria.
La legge, in definitiva, ha opportunamente attribuito la
decisione sulla esecuzione del mandato di arresto europeo agli uffici
giudiziari già competenti nella fase giurisdizionale del procedimento di
estradizione, per garantire sia i requisiti di alta specializzazione, sono
propri di questa materia, sia il rispetto dei brevissimi termini che
caratterizzano la nuova procedura di consegna.
L’articolo 6 contiene una serie di disposizioni relative al
contenuto del mandato di arresto europeo, agli atti che debbono esservi
allegati, alle richieste di integrazione, al cosiddetto “regime linguistico”.
La norma, al comma 1, indica gli elementi del mandato di arresto europeo, che
consistono nell’indicazione dell’identità e cittadinanza del ricercato; dei dati
relativi alla autorità giudiziaria emittente (lett. b); dell’esistenza della
sentenza esecutiva, del provvedimento cautelare o di ogni altra decisione
esecutiva adottata da un giudice che abbia la stessa forza e che rientri
nell’ambito applicativo degli articoli 7 e 8 della legge (condotta prevista
come reato anche in Italia ovvero illeciti per cui è prevista la consegna
obbligatoria) (lett. c); della natura del reato e nella sua qualificazione
giuridica (lett. d); delle circostanze della commissione del reato (tempo,
luogo e il grado di partecipazione del ricercato) (lett. e); della pena
inflitta, nel caso in cui vi sia già una sentenza, ovvero, negli altri casi,
della pena edittale minima e massima (lett. f); delle
altre conseguenze del reato (lett. g).
Se il mandato di arresto europeo non contiene alcune di
queste informazioni - quelle di cui alle lettere a), c), d), e) f) - o se esse non sono ritenute sufficienti
ai fini della decisione, la corte d’appello richiede informazioni integrative
alla autorità di emissione, direttamente o tramite il ministro della Giustizia
(articoli 6, comma 2, e 16).
Queste disposizioni corrispondono a quelle contenute nella
decisione quadro (articolo 8, par. 1). La seconda parte dell’articolo 6 (commi
3 e 4) prevede che la consegna della persona è consentita, ove ne ricorrono i
presupposti, solo se al mandato di arresto europeo è allegata copia del
provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna
a pena detentiva; e che debbono essere altresì allegati il testo delle
disposizioni di legge applicabili, con indicazione del tipo e della durata
della pena; i dati segnaletici e ogni altra possibile informazione idonea a
determinare l’identità e la nazionalità della persona della quale è domandata
la consegna; una relazione sui fatti addebitati alla persona, che contenga tra
l’altro l’indicazione delle fonti di prova.
Queste prescrizioni - che corrispondono soltanto in parte
alla rubrica dell’articolo 6 (“Contenuto del mandato d’arresto europeo nella procedura
passiva di consegna”) - non sono conformi alla decisione quadro, che prevede la
indicazione, e non anche la allegazione, del provvedimento in base al quale è
stato emesso il mandato di arresto europeo (articolo 8, par.1,
lett. c) e campo b) dell’allegato) e non menziona, tra gli elementi del mandato
di arresto, la relazione sui fatti addebitati alla persona.
Nella prospettiva del legislatore italiano la allegazione
della decisione giudiziaria è invece necessaria ai fini del controllo circa la
sussistenza della motivazione del provvedimento cautelare, che la corte
d’appello deve compiere nei casi in cui il mandato di arresto europeo è stato
emesso «ai fini dell’esercizio di un’azione penale» e che può dar luogo allo
specifico motivo di rifiuto previsto nell’articolo 18 lett. t).
Per quanto concerne la relazione sui fatti addebitati alla
persona, va rilevato che essa riguarda soltanto i casi di mandato di arresto
europeo emesso per la esecuzione dei provvedimenti giudiziari non definitivi,
atteso che la espressione «fatti addebitati» è incompatibile con i
provvedimenti di condanna definitivi. Anche così circoscritta, però, la
disposizione appare di dubbia compatibilità con la decisione quadro,
specialmente se si considera che la mancata trasmissione della “relazione sui
fatti” da parte della autorità straniera dà luogo al rifiuto della esecuzione
del mandato di arresto europeo (articolo 6, comma 6).
L’articolo 6 della legge, in conformità al principio
generale dell’articolo 8, par. 2, della decisione quadro, stabilisce che il
mandato di arresto europeo debba essere trasmesso alla corte d’appello tradotto
in lingua italiana (comma 7). La regola, però, non riguarda gli atti giudiziari
che lo Stato di emissione deve allegare al mandato, la cui traduzione dovrà
essere curata dall’autorità centrale prima di trasmetterli alla Corte
d’appello.
L’articolo 8 delimita il campo di applicazione obbligatoria
del mandato di arresto europeo, che prescinde dalla necessità di doppia
punibilità (nel Paese emittente il mandato ed in quello ricevente) enucleando
un elenco di 32 reati (per i quali la pena sia, nel Paese emittente, pari o
superiore a 3 anni): tra essi, si segnalano la partecipazione ad un’associazione
criminale, il terrorismo, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale e
la pornografia minorile, lo stupro, numerose fattispecie di traffico illecito (droga,
armi, materiali nucleari e radioattivi, organi e tessuti umani, veicoli rubati,
sostanze ormonali), la corruzione, frode (anche a danno delle comunità europee)
il riciclaggio, l’omicidio volontario, reati ambientali, il razzismo e la
xenofobia.
Gli articoli 9, 10, 11 e 12 della legge prevedono due
diverse modalità di avvio del procedimento di esecuzione del mandato di arresto
europeo dinanzi alla corte d’appello competente. Nel primo caso, il ricercato è
ancora in libertà in Italia; nel secondo è già in stato di arresto ad opera
della polizia, allertata da una segnalazione immessa
nel SIS (Sistema informativo Schenghen). In entrambi
i casi il procedimento si articola in due fasi: la prima dinanzi al presidente
della corte, la seconda dinanzi all’organo collegiale.
Nella prima delle ipotesi citate, il ministro della
Giustizia riceve il mandato d’arresto europeo dall’autorità straniera, in
qualità di autorità centrale. Questa ipotesi presuppone che sia nota la
localizzazione del ricercato sul territorio italiano e corrisponde a quanto
previsto nell’articolo 9, par.1, della decisione
quadro.
Ricevuto il mandato di arresto europeo, il procedimento si
snoda attraverso le seguenti fasi (articolo 9):
§
trasmissione (senza ritardo) del mandato da
parte del ministro al presidente della corte di appello territorialmente
competente, che ne dà immediata comunicazione al procuratore generale. In
questa fase il presidente della corte può stabilire contatti diretti con
l’autorità giudiziaria straniera che ha emesso il mandato di arresto europeo
(per esempio, se insorgano difficoltà relative alla ricezione o alla
autenticità dei documenti trasmessi). Se invece risulta manifestamente
competente un’altra corte d’appello, il presidente trasmette a quest’ultima il mandato d’arresto senza indugio.
§
il presidente riunisce la corte che, sentito il
procuratore generale, in mancanza di cause ostative alla consegna, applica con
ordinanza motivata la misura coercitiva, se ritenuta necessaria, valutata la
possibilità di fuga.
Per il resto, la
norma contiene un rinvio all’articolo 719 e al titolo I del libro IV del Cpp, in materia di misure cautelari personali, fatta
eccezione per gli articoli 273, commi 1 e 1-bis, 274, comma 1, lettere a) e c),
e 280 (comma 5).
L’articolo 10 prevede che, entro cinque giorni
dall’esecuzione della misura coercitiva, il presidente della corte di appello
deve sentire la persona sottoposta alla misura cautelare, informandola del
contenuto del mandato d’arresto europeo, della facoltà di acconsentire alla
propria consegna all’autorità giudiziaria richiedente e di rinunciare al
beneficio di specialità (e quindi di poter essere sottoposta ad altro
procedimento penale, condannata o privata della libertà personale per reati
anteriori alla consegna diversi da quello per il quale questa è stata
disposta). Della data fissata per queste attività è dato avviso al difensore
almeno 24 ore prima. Copia dei provvedimenti emessi dalla corte d’appello e
relativi alle misure cautelari dev’essere comunicata
e notificata, dopo la loro esecuzione, al procuratore generale, alla persona
interessata e al suo difensore, i quali possono proporre ricorso per cassazione
per violazione di legge (articolo 719 del Cpp, cui fa
rinvio il comma 7 dell’articolo 9 della legge).
Nel secondo caso, l’atto di impulso del procedimento è
rappresentato non dalla ricezione del mandato di arresto europeo da parte del
ministro della Giustizia, ma dall’arresto della persona ricercata ad opera
della polizia giudiziaria, sulla base di una richiesta di arresto immessa nel
sistema informativo Schengen ai sensi dell’articolo
95 della relativa convenzione. Questa ipotesi, in cui l’arresto del ricercato
precede la ricezione del mandato di arresto europeo da parte della autorità
italiana, è prevista nell’articolo 11 della legge e nell’articolo 9, par. 3,
della decisione quadro. Essa ha grande importanza pratica ricorrendo nei casi,
statisticamente frequenti, in cui l’autorità dello Stato estero non può
trasmettere il mandato d’arresto direttamente allo Stato di rifugio in quanto è
ignota la localizzazione del ricercato. Anche nell’estradizione accade che
l’arresto sia eseguito prima dell’emissione di una formale domanda di consegna:
questa situazione ricorre quando uno Stato emette un mandato di cattura
internazionale a fini estradizionali, in base alle
convenzioni vigenti (ad esempio, articolo 16 della convenzione europea di
estradizione del 1957), ed è espressamente prevista nell’articolo 715 Cpp.
Nella nuova procedura di consegna, però, l’arresto di
iniziativa della polizia giudiziaria può avvenire soltanto sulla base di una
specifica segnalazione nel sistema informativo Schengen
(il cosiddetto Sis), quindi limitatamente all’area
dei cosiddetti “Paesi Schengen” e non anche sulla
base delle richieste di cattura internazionale immesse attraverso il canale Interpol.
Verificatosi l’arresto:
§
la polizia giudiziaria deve darne immediata
informazione al ministro della Giustizia e deve trasmettere il verbale al
presidente della corte d’appello entro ventiquattro ore dall’arresto (articoli
11 e 12). Il primo adempimento è funzionale alla immediata comunicazione
dell’avvenuto arresto allo Stato estero, per la trasmissione del mandato di
arresto europeo e della relativa documentazione, che dovranno pervenire alla
corte d’appello nei dieci giorni successivi alla convalida dell’arresto. Il
secondo adempimento è funzionale alla “messa a disposizione” dell’arrestato e
alla convalida dell’arresto (articolo 13);
§
entro 48 ore dalla ricezione del verbale di
arresto, il presidente della corte di appello (o un magistrato della corte da
lui delegato) deve informare il procuratore generale e sentire la persona
arrestata. Questa attività è finalizzata ad una prima verifica giurisdizionale
della legittimità dell’arresto, ma anche alla ricezione della eventuale
dichiarazione di consenso alla consegna (articolo 14, comma 1);
§
se risulta evidente che l’arresto è stato
eseguito per errore di persona o comunque al di fuori dei casi previsti dalla
legge, in questa fase il presidente della corte di appello dispone, con decreto
motivato, la immediata liberazione della persona; viceversa, convalida
l’arresto con ordinanza. La ordinanza di convalida perde efficacia se nel
termine di dieci giorni non perviene alla corte d’appello il mandato d’arresto
europeo emesso nell’altro Stato membro (articolo 13, comma 3).
Nei casi in cui la persona arrestata è ristretta in località
diversa da quella in cui l’arresto è stato eseguito, il presidente della corte
di appello può delegare il presidente del tribunale territorialmente competente
per l’interrogatorio di identificazione, ferma restando la sua competenza in
ordine alla convalida dell’arresto.
L’inizio del procedimento davanti alla corte d’appello per
la decisione relativa alla esecuzione del mandato di arresto europeo è
disciplinato dall’articolo 10, comma 4, della legge. Entro venti giorni dalla
esecuzione della misura coercitiva il presidente riunisce la corte d’appello,
per la decisione sulla esecuzione del mandato di arresto europeo. Nello stesso
termine, è disposto il deposito del mandato di arresto e della documentazione
allegata. Il decreto di fissazione dell’udienza deve essere comunicato al
procuratore generale e notificato alla persona e al suo difensore almeno otto
giorni prima dell’udienza.
Salvi i casi di procedura consensuale, la corte d’appello
decide con sentenza sulla esecuzione del mandato di arresto europeo entro
sessanta giorni dalla esecuzione della misura cautelare (articolo 17, comma 2).
Nel caso in cui il termine non possa essere rispettato, per cause di forza
maggiore, il presidente della corte deve informarne il ministro della
Giustizia, che ne dà comunicazione allo Stato di emissione, anche tramite il
membro nazionale di Eurojust. La causa di forza
maggiore, in particolare, può ricorrere quando la corte d’appello non abbia
ritenuto sufficienti la documentazione e le informazioni trasmesse dallo Stato
di emissione richiedendo informazioni integrative o supplementari (articolo 16,
comma 1).
Ai fini della decisione sulla consegna della persona, la
corte d’appello dovrà valutare preliminarmente se sussistano le condizioni
ostative tassativamente indicate dalla legge. Al di fuori di tale ipotesi, la
corte dispone con sentenza la consegna della persona ricercata: in ogni caso,
quando il mandato di arresto europeo è stato emesso per finalità esecutive,
vale a dire in base a una decisione giudiziaria definitiva di condanna;
soltanto se sussistono sufficienti indizi di colpevolezza negli altri casi
(articolo 17, comma 4).
Se la decisione della corte è contraria alla consegna, la
sentenza dispone la revoca immediata delle misure cautelari applicate (articolo
17, comma 5).
Nell’ambito della procedura passiva di consegna, una
significativa variazione procedimentale può essere
determinata dal consenso alla consegna che la persona può prestare a seguito
del suo arresto. Il consenso alla consegna può essere manifestato in tutte le
fasi del procedimento, anche mediante dichiarazione al direttore della casa di
reclusione (che deve immediatamente trasmetterla al presidente della corte di
appello, anche a mezzo telefax) o con dichiarazione resa nel corso dell’udienza
davanti alla corte e fino alla conclusione della discussione. In questi casi,
come per l’estradizione consensuale, ha luogo una procedura semplificata
(articolo 13 della decisione quadro).
La semplificazione riguarda sia la forma del provvedimento decisorio sia i termini: l’articolo 14 della legge prevede
che, a seguito del consenso alla consegna, la corte di appello decide sulla
esecuzione del mandato di arresto europeo con ordinanza emessa senza ritardo e,
comunque, non oltre dieci giorni (termine mutuato dall’articolo 17, par. 2,
della decisione quadro), dopo avere sentito il procuratore generale, il
difensore e, se comparsa, la persona richiesta. L’ordinanza è ricorribile per
cassazione, in quanto l’articolo 22 della legge ammette il ricorso contro tutti
i provvedimenti che decidono sulla consegna della persona interessata, ma il
ricorso non sospende l’esecuzione della decisione di consegna, atteso che
l’articolo 22 fa dipendere l’effetto sospensivo soltanto dalla impugnazione
della sentenza.
La dichiarazione di consenso è espressamente dichiarata irrevocabile
dall’articolo 14 comma 3 della legge, secondo un principio enunciato in termini
generali nell’articolo 205-bis delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura penale.
La disciplina dei motivi di rifiuto della esecuzione del
mandato di arresto europeo (rifiuto alla consegna) riveste una fondamentale
importanza e dimostra i limiti entro i quali la legislazione italiana ha
recepito il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nel
quadro della nuova procedura di consegna. L’articolo 18 della legge elenca
venti motivi di rifiuto obbligatorio della consegna. Ulteriori motivi sono
previsti nell’articolo 6, comma 6 (quando l’autorità straniera non dà corso
alla trasmissione degli atti e documenti richiesti); articolo 7, comma 1
(mancanza della doppia punibilità); articolo 8, comma 3 (consegna del cittadino
italiano in relazione a un fatto non previsto come reato dalla legge italiana,
quando ricorre ignoranza incolpevole sulla norma penale dello Stato di
emissione).
Soltanto una parte dei motivi di non esecuzione del mandato
di arresto europeo previsti nella legge corrispondono a quelli elencati negli
articoli 3 e 4 della decisione quadro (motivi di non esecuzione obbligatoria e
facoltativa) ; altri sono ricavati dal preambolo della decisione; altri,
infine, non trovano corrispondenza nelle disposizioni della decisione quadro.
In quest’ultima tipologia
rientrano sicuramente i motivi di rifiuto previsti nell’articolo 8 comma 3, e
nell’articolo 18 lettera b) (se il diritto è stato leso con il consenso di chi,
secondo la legge italiana, può validamente disporne); lettera c) (se per la
legge italiana il fatto costituisce esercizio di un diritto, adempimento di un
dovere ovvero è stato determinato da caso fortuito o forza maggiore); lettera
d) (se il fatto è manifestazione della libertà di associazione, della libertà
di stampa o di altri mezzi di comunicazione); lettera e) (se la legislazione
dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione
preventiva).
Nell’ambito dei motivi di rifiuto della esecuzione del
mandato di arresto europeo va inquadrata la disciplina della doppia incriminabilità, che è uno degli aspetti nevralgici del
nuovo sistema di consegna post-estradizionale ed è
contenuta negli articoli 7, 8 e 40, comma 3, della legge.
Il sistema si basa – come accennato - su una “lista
positiva” di reati per i quali, in deroga al criterio generale enunciato
nell’articolo 7, comma 1, la legge prevede la consegna obbligatoria della
persona, anche in carenza di doppia incriminazione, a condizione che si tratti
di reati puniti con pena detentiva non inferiore a tre anni. La corte
d’appello, in concreto, dovrà accertare la definizione dei reati per i quali è
stato emesso il mandato di arresto europeo, secondo la legge penale dello Stato
di emissione e quindi verificare se essa corrisponda o meno alle condotte
elencate nell’articolo 8 comma 1. Con una inedita norma transitoria, inoltre, è
stato previsto che le disposizioni dell’articolo 8 relative alla consegna
obbligatoria si applicano unicamente ai fatti commessi dopo la data di entrata
in vigore della legge (articolo 40, comma 3). In questo modo, l’autorità
giudiziaria italiana dovrà rifiutare la consegna della persona per carenza di
doppia incriminazione in tutti i casi, statisticamente frequenti, nei quali il
mandato d’arresto europeo sia stato emesso per reati commessi prima
dell’entrata in vigore della legge italiana.
L’articolo 19 prevede tre casi in cui la corte d’appello
deve subordinare l’esecuzione del mandato di arresto europeo ad alcune
condizioni. Si tratta di disposizioni conformi a quelle contenute nell’articolo
5 della decisione quadro.
Il primo caso è quello in cui il mandato di arresto, emesso
per ragioni attinenti alla esecuzione della pena, si basa su un provvedimento
di condanna pronunciato in absentia, quando l’imputato non è stato personalmente
citato a comparire né altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza.
Si tratta di una condizione che corrisponde a quella del processo contumaciale
italiano, recentemente riformato con decreto legge 21 febbraio 2005, numero 17.
La corte d’appello, in questo caso, subordina la esecuzione del mandato di
arresto europeo alla condizione che l’autorità giudiziaria di emissione
fornisca sufficienti assicurazioni in ordine alla possibilità di richiedere un
nuovo processo.
Il secondo caso è quello in cui il mandato di arresto
europeo è stato emesso per la esecuzione di una pena detentiva a vita, nel
quale la corte d’appello subordina l’esecuzione del mandato di arresto europeo
alla circostanza che l’ordinamento giuridico dello Stato di emissione preveda
una revisione della pena comminata, su richiesta del condannato o comunque
entro venti anni, oppure la possibilità di applicare misure di clemenza.
Il terzo caso è quello in cui il mandato di arresto europeo
è stato emesso, per finalità processuali, nei confronti di un cittadino
italiano o di persona residente nello Stato italiano. La corte d’appello, in
questo caso, subordina l’esecuzione del mandato alla condizione che la persona
sia trasferita nello Stato per scontare in Italia la pena detentiva
eventualmente comminata.
L’articolo 20 dispone sui criteri di precedenza
nell’esecuzione in caso di concorso di più mandati di arresto europeo nei
confronti di una stessa persona, prevedendo l’eventuale consulenza di Eurojust, Analogamente, il concorso di un mandato UE con
una richiesta di estradizione proveniente da Stato terzo imporrà analoga scelta
alla corte d’appello competente.
Mentre l’articolo 21 stabilisce come perentori i termini per
la decisione della corte d’appello (pena la rimessione
immediata in libertà del ricercato), l’articolo 22 prevede la ricorribilità per cassazione della sentenza emessa; il
ricorso ne sospende l’esecuzione. La cassazione decide entro 15 gg. dalla
ricezione degli atti.
Dalla decisione della corte d’appello (ordinanza o
sentenza), il ricercato è consegnato allo Stato richiedente entro 10 giorni
(articolo 23). Tale termine, che presuppone un accordo tra le autorità
interessate, volto a individuare in concreto una data per la consegna, può
essere posticipato in alcuni casi:
§
se la consegna nel rispetto del termine è
impedita da cause di forza maggiore. Le autorità giudiziarie dovranno allora
fissare una nuova data e la consegna dovrà avvenire entro 10 giorni dal nuovo
termine fissato.
§
se la consegna nel rispetto del termine può
provocare un concreto pericolo per la vita o la salute del ricercato (motivi
umanitari) . La Corte d’appello può in questo caso differire la consegna per il
tempo strettamente necessario a far venir meno il pericolo; dovrà quindi
concordare una nuova data di consegna con l’autorità giudiziaria emittente e la
consegna dovrà avvenire entro 10 giorni dal nuovo termine fissato.
La corte d’appello trasmette all’autorità giudiziaria
richiedente le informazioni che permettano la deduzione del periodo trascorso
in stato di custodia in Italia dalla durata complessiva della detenzione
inflitta o per la determinazione massima della custodia cautelare.
Ai sensi dell’articolo 24 la consegna, oltre che rinviata,
può anche essere temporanea, nelle seguenti ipotesi:
§
consegna rinviata: si ha quando il ricercato è
sottoposto a procedimento penale in Italia ovvero quando nei suoi confronti è
eseguibile nel nostro Paese una pena detentiva per reato diverso da quello cui
si riferisce il mandato d’arresto europeo;
§
consegna temporanea: nell’indicato caso di
rinvio, la corte di appello può decidere per la consegna a titolo temporaneo,
sentita l’autorità italiana competente per il procedimento penale pendente nel
nostro Paese, concordando le condizioni con l’autorità giudiziaria emittente.
L’articolo 25 disciplina le condizioni cui è subordinata la
consegna del ricercato. Non si dà, infatti luogo a consegna nei seguenti casi
(comma 1):
§
consegna del ricercato (da parte dello Stato
ricevente) ad altro Stato membro in esecuzione di altro mandato emesso per un
reato anteriore alla consegna medesima;
§
estradizione del ricercato in altro Stato terzo,
senza l’assenso alla estradizione successiva
Sulla richiesta di consenso da parte dell’autorità
giudiziaria straniera a che la persona consegnata dall’Italia in esecuzione di
un mandato di arresto europeo sia ulteriormente consegnata ad altro Stato
membro, la Corte d’appello che ha trattato il caso, previa verifica che la
richiesta dello Stato estero contenga tutte le informazioni tipiche del mandato
d’arresto e che il reato per il quale si intende procedere è contemplato nella
decisione quadro, decide entro 30 gg.
La condizione di cui al comma 1 dell’art. 25 relativa alla
consegna ad altro Stato membro non si applica quando ricorrano le seguenti
circostanze:
§
il soggetto ricercato, pur potendo, non ha
lasciato il territorio dello Stato al quale è stato consegnato trascorsi 45
giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto
volontariamente ritorno;
§
il soggetto ricercato ha espressamente
consentito ad essere consegnato ad un altro Stato membro, oltre a rinunciare al
principio di specialità;
§
il soggetto ricercato non beneficia del
principio di specialità in quanto: a) dopo la consegna all’autorità giudiziaria
emittente, è stato liberato e trascorsi 45 giorni non ha lasciato il territorio
dello Stato - ovvero l’ha lasciato ma vi ha fatto volontariamente ritorno; b) dopo
la consegna, ha rinunciato al principio di specialità e la Corte d’appello ha
verbalizzato la rinuncia (comma 3).
L’articolo 26
sancisce il citato principio di specialità, in base al quale la consegna del
ricercato è sottoposta alla condizione che lo stesso non venga – nello Stato
emittente - processato, né privato della libertà personale per fatti anteriori
o diversi da quelli per cui è stata richiesta l’esecuzione del mandato.
In relazione al
rispetto di tale principio sono, peraltro – come accennato - introdotte
specifiche eccezioni.
L’articolo 27 disciplina un’altra ipotesi particolare,
quella del transito sul territorio italiano, nell’ambito di un procedimento di
consegna, di una persona ricercata con mandato di arresto europeo (art. 25
della decisione quadro).
Il transito deve essere autorizzato dal Ministro della
giustizia, che può rifiutare la richiesta quando manchino informazioni
essenziali sul mandato di arresto, sulla persona che ne è oggetto o sul reato
del quale è accusata, ovvero quando il ricercato è un cittadino italiano o
residente in Italia e il transito prelude alla esecuzione di una misura
privativa della libertà. In questa seconda ipotesi, l’autorizzazione al
transito può essere sottoposta alla condizione che – dopo essere stata
ascoltata – la persona sia rinviata in Italia per scontare la misura
eventualmente pronunciata nei suoi confronti dallo Stato che ha emesso il
mandato.
Il Capo II disciplina la procedura attiva di consegna.
L’articolo 28 della legge, in conformità al disposto di cui
al par. 1 dell’articolo 6 della decisione quadro, che attribuisce alle
legislazioni dei singoli Stati membri la facoltà di individuare l’autorità
giudiziaria competente all’emissione del mandato d’arresto europeo, introduce
una opportuna suddivisione di competenze stabilendo che il mandato d’arresto è
emesso:
§
dal giudice che ha applicato la misura cautelare
della custodia in carcere o degli arresti domiciliari (si tratta dell’ipotesi
di mandato emesso per finalità processuali);
§
dal PM presso il giudice dell’esecuzione che ha
emesso, ex articoli 656 e seguenti del c.p.p.,
l’ordine di esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza a
carattere detentivo ordinata con la sentenza (si tratta, in questo caso,
dell’ipotesi di mandato d’arresto emesso per finalità di esecuzione della
pena).
Viene in tal modo riaffermato il principio secondo cui il
mandato d’arresto europeo rappresenta solo lo strumento per garantire la
esecuzione extraterritoriale di un provvedimento giudiziario la cui legittimità
è subordinata al necessario rispetto delle regole interne che ne disciplinano
l’emissione.
Nel primo caso le condizioni di emissione del provvedimento
- attraverso l’implicito richiamo ai parametri generali di cui all’articolo 280
c.p.p. - richiedono necessariamente la sussistenza di
un limite edittale di pena di gran lunga superiore
rispetto a quello minimo fissato dall’articolo 2, par. 1, della decisione
quadro; nel secondo caso, invece, accanto alla previsione di un limite minimo
di pena più elevato rispetto a quello consentito nella citata disposizione
della decisione quadro, l’emissione del mandato è possibile sempre che non
ricorra una condizione di sospensione dell’ordine di esecuzione.
In entrambi i casi, peraltro, l’autorità giudiziaria
trasmette il mandato d’arresto al ministro della giustizia, che provvede alla
sua traduzione nella lingua ufficiale dello Stato di esecuzione ed alla
successiva trasmissione all’autorità straniera competente.
Della emissione del mandato è altresì prevista l’immediata
comunicazione al servizio per la cooperazione internazionale di polizia presso
il ministero dell’Interno: in assenza di una esplicita previsione normativa al
riguardo, deve ritenersi che l’adempimento sia rimesso alla competenza
dell’ufficio II della direzione generale della giustizia penale presso il
ministero della giustizia, che con quell’organo già
dialoga ai fini della diffusione internazionale delle ricerche a scopo estradizionale.
L’articolo 28, dunque, produce una evidente asimmetria
nell’articolazione della competenza giurisdizionale tra la fase attiva e quella
passiva della procedura di consegna attraverso la previsione di un
significativo elemento di novità nel quadro dei rapporti giurisdizionali con le
autorità straniere: per la prima volta, infatti, la competenza non è radicata a
livello distrettuale presso le procure generali delle corti d’appello, ma viene
attribuita al giudice titolare del potere cautelare secondo le regole generali,
implicitamente richiamate, di cui agli articoli 279 e 91 disp.
att. c.p.p.
Il contenuto del mandato d’arresto deve necessariamente
presentare il complesso delle informazioni espressamente indicate nell’articolo
30 della legge, che a sua volta riproduce la disposizione di cui all’articolo
8, par. 1, della decisione quadro: al riguardo, pur non essendo stato
formalmente adottato il modello tipico di eurordinanza
allegato alla decisione quadro, nulla vieta alle nostre autorità giudiziarie di
farvi ricorso utilizzandolo in concreto nella prassi applicativa, anche per
soddisfare evidenti criteri di uniformità degli atti nelle relazioni con le
autorità giudiziarie degli altri Paesi.
Ai fini dell’emissione del mandato d’arresto europeo è
necessario che la “localizzazione” del ricercato nel territorio di uno Stato
membro sia nota alla competente autorità giudiziaria, che, in caso contrario,
dispone, ex articolo 29 comma 2 ella legge, l’inserimento di una specifica
segnalazione nel S.I.S (sistema informativo Schengen), conformemente alle disposizioni di cui
all’articolo 95 della convenzione del 19 giugno 1990, di applicazione degli
accordi di Schengen del 14 giugno 1985 (espressamente
richiamati nell’articolo 9, par. 3, della decisione quadro). L’articolo 29
comma 2 della legge, infatti, stabilisce in tal caso - conformemente alla analoga
previsione della decisione quadro - la regola della equiparazione tra il
mandato d’arresto europeo e la segnalazione nel Sis
(un criterio, questo, seguito del resto nelle legislazioni di attuazione di
tutti gli altri Paesi europei).
Pur non essendo espressamente richiamate nel corpus della
legge di attuazione, deve ritenersi comunque possibile per l’autorità
giudiziaria emittente avvalersi delle facoltà previste dalle disposizioni di
cui ai paragrafi 3 e 5 dell’articolo 10 della decisione quadro, ossia:
§
fare ricorso ai servizi dell’Interpol
per comunicare il mandato d’arresto, quando, e i relativi casi saranno tutt’altro che infrequenti, non è possibile ricorrere al Sis (cui non aderiscono tutti i Paesi membri dell’Ue);
§
avviare contatti diretti con le autorità
giudiziarie interessate o, se del caso, con l’intervento delle rispettive
autorità centrali, per risolvere qualsiasi difficoltà relativa alla
trasmissione o all’autenticità di un documento necessario per l’esecuzione del
mandato d’arresto.
In linea con la previsione contenuta nel secondo inciso del
par. 2 dell’articolo 20 della decisione quadro, l’articolo 29, comma 3, della
legge di attuazione stabilisce che sia proprio l’autorità giudiziaria emittente
a dover provvedere all’inoltro della richiesta di revoca del privilegio o di
esclusione dell’immunità di cui la persona ricercata eventualmente benefici,
allorquando tali situazioni soggettive siano riconosciute da uno Stato diverso
da quello di esecuzione, ovvero da un organismo internazionale.
L’articolo 31 della legge, inoltre, stabilisce il principio
della non autonomia del mandato rispetto al provvedimento interno, prevedendo
che il mandato d’arresto europeo, emesso dal giudice che ha applicato
l’ordinanza cautelare, perde efficacia quando il provvedimento restrittivo
della libertà personale viene revocato, annullato, o diviene inefficace (sulla
base dei principi e delle ordinarie regole processuali fissate dagli articoli
272 e seguenti c.p.p.). In tal caso, deve darsi
immediata comunicazione allo Stato membro al quale il provvedimento era stato
inviato per l’esecuzione. A tal fine, il procuratore generale presso la Corte
d’appello ne deve dare immediata comunicazione al ministro della Giustizia che,
a sua volta, provvede a informarne lo Stato membro di esecuzione. Nella citata
disposizione di legge, peraltro, non vi è alcuna norma di coordinamento che
preveda la comunicazione al procuratore generale della revoca o della
sopravvenuta inefficacia del titolo cautelare, con la conseguenza che il procuratore
generale potrebbe non esserne tempestivamente informato.
L’articolo 32 stabilisce, anche dal lato attivo della
procedura di consegna, la rilevanza del principio di specialità con un rinvio
alle stesse eccezioni previste dall’articolo 26 relativamente alla procedura
passiva di consegna.
Particolarmente rilevante, infine, la disposizione contenuta
nell’articolo 33 della legge, che dà attuazione nel nostro ordinamento al
principio generale della deducibilità del periodo di
custodia cautelare scontato all’estero, contemplato nel par. 1 dell’articolo 26
della decisione quadro.
Il principio di computabilità della
custodia cautelare sofferta all’estero opera non solo ai fini della
determinazione della pena detentiva (in virtù del richiamo all’articolo 657 Cpp), ma anche ai fini del computo dei termini di durata
complessiva delle misure cautelari e della possibilità della loro sospensione
(ex articoli 303, comma 4, e 304 Cpp, anch’essi
richiamati nel testo normativo).
A seguito di una pronuncia della Corte costituzionale (n. 253/2004),
peraltro, deve ritenersi che la custodia cautelare dell’estradando all’estero
rilevi anche ai fini del computo dei termini di fase, essendo stato ritenuto
costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’articolo 3 Cost., l’articolo 722 Cpp
(disposizione che rinvia proprio all’articolo 303, comma 4, Cpp),
nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare sofferta all’estero in
conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata
anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’articolo 303,
commi 1, 2, e 3, Cpp.
Muovendo dal presupposto dell’equivalenza tra detenzione
cautelare all’estero in attesa di estradizione e custodia cautelare in Italia,
infatti, la Corte costituzionale ha ritenuto che evidenti motivi di razionalità
e coerenza interna al sistema impongono di applicare alla custodia cautelare
all’estero la medesima disciplina prevista per la durata dei termini custodiali in Italia.
La stessa decisione quadro, del resto, autorizza con l’ampia
formulazione del disposto di cui al par. 1 dell’articolo 26 («il periodo
complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di un mandato d’arresto
europeo…») una lettura ampia della nozione di deducibilità,
idonea a ricomprendere anche il computo dei termini
di fase, superando in tal modo le incongruenze del precedente sistema estradizionale che non sempre garantiva la possibilità di
dedurre dal totale della pena il periodo trascorso in stato di custodia dovuta
all’estradizione: a tal fine, dovranno trasmettersi allo Stato emittente tutte
le informazioni inerenti al computo esatto della durata del periodo di
carcerazione scontato a titolo di esecuzione del mandato d’arresto europeo (ex
articolo 26, par. 2, della decisione quadro).
Nel capo III del titolo II è contenuta la disciplina delle
misure reali accessorie alla richiesta di consegna, sia per la procedura attiva
che per quella passiva. Gli articoli 34 e 35 della legge di attuazione
concentrano la relativa competenza, sia in fase attiva che passiva, su base
distrettuale, attribuendola rispettivamente al procuratore generale presso la
corte d’appello e alla stessa corte d’appello. Si tratta di una scelta che
ripropone sostanzialmente l’originaria impostazione codicistica,
muovendosi in una direzione inversa rispetto alla suddivisione della competenza
operata negli articoli 5 e 28, in fase di esecuzione e di emissione del mandato
d’arresto, laddove radica il potere di richiesta di consegna dei beni oggetto
del provvedimento di sequestro o di confisca, eventualmente emesso dal giudice
competente, in capo al procuratore generale presso la corte d’appello, che
dovrà inoltrare direttamente la richiesta all’autorità giudiziaria dello Stato
di esecuzione, trasmettendo copia del provvedimento di sequestro unitamente al
mandato d’arresto europeo emesso ai sensi dell’articolo 28. Al riguardo,
tuttavia, non v’è nella legge alcuna disposizione di coordinamento che preveda
la comunicazione al procuratore generale del mandato d’arresto europeo e del
provvedimento di sequestro o di confisca eventualmente emesso dal giudice
competente ex articolo 28. In ordine alle richieste provenienti da Stati membri
dell’Unione europea, l’articolo 35 si limita a riprodurre sostanzialmente il
contenuto della disciplina di cui all’articolo 29 della decisione quadro, salvo
dettare con maggiore precisione la fondamentale distinzione tra beni la cui
consegna necessita ai soli fini della prova e beni suscettibili di confisca: in
tal caso, infatti, il presidente della Corte d’appello invita l’autorità
giudiziaria richiedente a trasmettere tale precisazione, ove non risulti
contenuta nella richiesta. Si prevede, al riguardo, che la Corte d’appello
provveda con decreto motivato, dopo avere sentito il procuratore generale,
applicando - in quanto compatibili - le disposizioni di cui agli articoli 253 e
seguenti c.p.p. (esplicitamente richiamate
nell’articolo 35, comma 3).
Ove la consegna sia richiesta a fini probatori, la stessa è
subordinata alla condizione che i beni siano restituiti una volta soddisfatte
le esigenze processuali. Allorquando, invece, la consegna dei beni è richiesta
ai fini della confisca, la corte d’appello ne dispone il sequestro facendo
salvi gli eventuali diritti sugli stessi maturati in capo a terzi o allo Stato
italiano, e comunque subordinando la consegna alla condizione risolutiva che
siffatti diritti, acquisiti ai sensi del comma 9 dell’articolo 35, non
risultino conosciuti successivamente. In entrambi i casi sono applicabili, in
forza dell’espresso richiamo contenuto nel comma 8 dell’articolo 35, le
disposizioni dell’articolo 719 c.p.p., che consente,
al procuratore generale presso la Corte d’appello, all’interessato e al suo
difensore, l’impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari con
ricorso per cassazione per violazione di legge.
Ne consegue:
§
che il vincolo reale sui beni può essere
apposto, in entrambe le evenienze su considerate, soltanto se ricorrono le
condizioni specificamente previste dalla legge italiana;
§
che in relazione a entrambe le tipologie di
consegna considerate dal legislatore, a fini probatori ovvero a fini di
confisca, è possibile esperire una via di ricorso interna alle condizioni ed
entro i limiti previsti dall’articolo 719 c.p.p..
Va ricordato, infine, che la consegna delle cose sequestrate
all’autorità giudiziaria richiedente avviene «secondo le modalità e le intese
con la stessa intervenute tramite il ministro della Giustizia» e che nel caso
in cui i beni richiesti in sequestro siano già oggetto di un sequestro disposto
dall’autorità giudiziaria italiana, nell’ambito di un procedimento penale o
civile in corso, la consegna può essere disposta solo per fini probatori e
previo nulla osta da parte dell’autorità procedente (ex articolo 36, commi 1 e
2).
In reIazione alla misure
transitorie e finali, il legislatore ha opportunamente inserito una
disposizione (articolo 38, comma 1) a garanzia degli obblighi internazionali
già assunti dal nostro Stato nell’ipotesi in cui il ricercato sia stato
estradato da uno Stato terzo e sia tutelato dalla regola della specialità sulla
base delle relative norme pattizie: in tal caso, il
ministro dovrà richiedere, ai fini della consegna allo Stato membro, l’assenso
allo Stato terzo dal quale il ricercato è stato estradato.
Mentre l’articolo 39 specifica, per quanto non previsto
dalla legge, l’applicabilità delle disposizioni del codice di procedura penale
e delle leggi complementari, in quanto compatibili, l’articolo 40, comma 3,
della legge contiene la disposizione transitoria, già citata, in base alla
quale il nuovo regime della doppia incriminazione - prefigurato nell’articolo
2, par. 2, della decisione quadro e introdotto nell’ordinamento italiano con
l’articolo 8 della legge - può essere applicato ai soli fatti commessi dopo la data
di entrata in vigore della stessa legge. La previsione, da una parte, è
estranea all’articolo 32 della decisione quadro, e, dall’altra, non appare
conforme alla dichiarazione unilaterale effettuata dall’Italia, che esclude
l’applicazione della nuova procedura di consegna soltanto per i reati commessi
anteriormente al 7 agosto 2002.
Parimenti difforme dalle previsioni di cui all’articolo 32
della decisione quadro appare la disposizione di cui all’articolo 40, comma 1,
della legge, che prevede l’applicabilità della nuova normativa alle richieste
di esecuzione dei mandati d’arresto europei emessi e ricevuti dopo la data
della sua entrata in vigore, laddove il dato testuale offerto dalla su citata
disposizione della decisione quadro stabilisce espressamente che le richieste
ricevute a partire dal primo gennaio 2004 debbono considerarsi soggette al
nuovo regime di consegna, fatta salva la rilevanza delle dichiarazioni a tale
riguardo eventualmente effettuate dagli Stati membri (che nel caso dell’Italia
consentiva di applicare la previgente disciplina estradizionale alle sole richieste di esecuzione relative a
reati commessi prima della data del 7 agosto 2002). Ne discende, contrariamente
al contenuto e alle finalità della decisione quadro, che nel caso in cui uno
Stato membro abbia richiesto al nostro Paese l’esecuzione di un mandato
d’arresto europeo prima della data di entrata in vigore della legge per fatti
commessi successivamente alla data-limite del 7 agosto 2002, dovranno comunque
continuare ad applicarsi le previgenti regole in
materia di estradizione.
[1] La legge reca: Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri
[2] A differenza dei tradizionali strumenti di cooperazione a livello intergovernativo, quali convenzioni e accordi, la decisione quadro non richiede per la sua operatività di essere ratificata dagli Stati membri, ma vincola i paesi appartenenti all'Unione a porre in essere, entro i limiti di tempo fissati nella decisione stessa, le necessarie procedure di adattamento del diritto nazionale alle disposizioni in essa contenute, lasciando tuttavia, al pari delle direttive comunitarie, piena discrezionalità a ciascuno Stato in ordine alle forme e ai mezzi da adottare per il raggiungimento dello scopo prefissato, non potendo la decisione stessa modificare, alla stregua dei regolamenti, direttamente le situazioni giuridiche soggettive dei cittadini.
[3] L’illustrazione della legge 69/2005 è basata sul contributo di De Amicis-Iuzzolino, Al via in Italia il mandato d’arresto europeo, in Diritto e Giustizia, n. 19/2005.