La legge 2 agosto 2002, n. 181[1] è diretta a garantire la cooperazione giudiziaria dell’Italia con il Tribunale internazionale competente per le gravi violazioni del diritto umanitario commesse in Ruanda e negli Stati vicini, adeguando la legislazione italiana alle prescrizioni delle risoluzioni ONU n. 955/1994 e n. 1165/1998, e dello statuto del tribunale ivi annesso.
Il Tribunale internazionale incaricato di perseguire i responsabili delle gravi violazioni del diritto umanitario e degli atti di genocidio commessi nel territorio del Ruanda e i cittadini ruandesi responsabili di tali atti o violazioni commessi negli Stati limitrofi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 1994 è stato istituito, a seguito della richiesta del Governo del Ruanda, sulla base della risoluzione n. 955, adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’8 novembre 1994, a norma del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, concernente le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale e le misure che il Consiglio può adottare in tali casi. Il provvedimento è stato successivamente integrato dalla risoluzione n. 1165 del 30 aprile 1998 limitatamente alle disposizioni concernenti la composizione del Tribunale. L'organizzazione e le competenze del Tribunale sono disciplinate dalle norme dello Statuto annesso alla risoluzione n. 955 del 1994.
Il provvedimento, che si compone di 17 articoli, ricalca sostanzialmente le norme in materia di cooperazione con il tribunale internazionale per la ex Jugoslavia dettate dal D.L. 544 del 1993[2], convertito con modificazioni dalla legge n. 120/1994. In particolare, dopo aver definito alcuni termini, che nel provvedimento sono riportati sinteticamente come “risoluzione”, “Tribunale internazionale” e “statuto” (art. 1), la legge afferma espressamente l'obbligo per l'Italia di cooperare con il Tribunale internazionale ed individua nel Ministro della giustizia l’autorità competente a ricevere le richieste di collaborazione e a dare ad esse seguito (art. 2).
La disposizione dello Statuto, che stabilisce la prevalenza della giurisdizione del Tribunale
internazionale sui tribunali nazionali in ordine al perseguimento delle
violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e negli
Stati vicini nel corso del 1994, viene applicata nel nostro ordinamento
prevedendo che, quando il Tribunale internazionale richiede la remissione alla
propria competenza del procedimento pendente dinanzi al giudice italiano,
questi, con sentenza dichiarativa, disponga di non potersi procedere
ulteriormente (art. 3) per l'esistenza della giurisdizione prioritaria del
Tribunale internazionale. Devono però sussistere le seguenti condizioni:
§
il Tribunale internazionale deve procedere per
il medesimo fatto;
§
il fatto deve rientrare nella giurisdizione
territoriale e temporale del Tribunale internazionale, ai sensi dell’articolo 7
dello Statuto.
Il procedimento relativo alla richiesta di trasferimento del procedimento dinanzi al
Tribunale internazionale si svolge in camera di consiglio a norma dell’art.
127 c.p.p.; ad eccezione di quanto previsto dal comma
8 di tale articolo però, il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa
dall'autorità giudiziaria sospende l'esecuzione di tale provvedimento.
Se l'autorità giudiziaria accoglie la richiesta di
trasferimento del procedimento, gli atti vengono trasmessi al Ministro della
giustizia per l'inoltro al Tribunale internazionale, fermo restando che da tale
momento la prescrizione del reato rimane sospesa per non più di tre anni per
poi riprendere il suo corso alla riapertura del procedimento.
Infatti, laddove il Tribunale internazionale non addivenga
ad una sentenza definitiva (es. il procuratore presso il Tribunale non formula
l'atto di accusa; il giudice del Tribunale non conferma l'atto di accusa; il
Tribunale dichiara la propria incompetenza), si avrà la riapertura del procedimento
nazionale (art. 4). Viceversa, della legge riafferma il principio generale del ne bis in idem e dunque il divieto di
nuovo giudizio per il medesimo fatto in caso di persona giudicata con sentenza
definitiva dal tribunale internazionale (art. 5).
Per evitare il contemporaneo esercizio dell'azione penale da
parte delle autorità giudiziarie italiane e l'inizio del procedimento da parte
del Tribunale internazionale, la legge n. 181/2002 stabilisce che le prime
debbano comunicare a quest’ultimo le iscrizioni nel
registro delle notizie di reato relativamente a questioni per le quali è
presumibile la giurisdizione concorrente di tale organo, nonché eventuale
ulteriore documentazione richiesta dal Tribunale stesso ai fini della
valutazione di una successiva richiesta di trasferimento del procedimento (art.
6).
Nel caso in cui il Tribunale internazionale abbia indicato
lo Stato italiano come luogo di espiazione della pena, il Ministro della
giustizia richiede il riconoscimento della sentenza del Tribunale e, a tale
scopo, trasmette la richiesta al procuratore generale presso la corte d'appello
di Roma la quale è competente a deliberare il riconoscimento con sentenza
emessa in camera di consiglio. La sentenza determina la durata della pena, che
non può superare trenta anni di reclusione (art. 7). Il riconoscimento non
interviene se:
§
la sentenza non è divenuta irrevocabile;
§
se il fatto non è previsto come reato dalla
legge italiana;
§
per rispetto del principio ne bis in idem, quando vi sia già una sentenza irrevocabile in
Italia per lo stesso fatto e contro la medesima persona;
§
se la sentenza contiene disposizioni contrarie
ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
L'esecuzione della pena in Italia avrà luogo con le modalità
previste dalla legge nazionale, fatta salva la supervisione del Tribunale
internazionale (art. 8); in caso di domanda di grazia, la relativa decisione non compete però al Presidente della
Repubblica, bensì al Tribunale internazionale, cui il Ministro della giustizia invierà
la proposta e i relativi atti (art. 9).
Per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria, la legge
(art. 10) attribuisce al Ministro della giustizia la competenza a dar corso
alle richieste di assistenza formulate dal Tribunale internazionale; competente
a provvedere alla loro esecuzione è invece il procuratore generale della corte
d'appello di Roma, cui il Ministro trasmette le richieste. Se le richieste
riguardano attività di indagine o di acquisizione delle prove l'esecuzione
della richiesta viene effettuata dalla corte d'appello; se si tratta di
citazioni e di notificazioni competente è il tribunale del luogo in cui esse
devono essere eseguite. Per il compimento degli atti si applicano le norme del codice
di procedura penale, salvo che il tribunale chieda l'osservanza di forme
particolari, compatibili con i principi dell'ordinamento giuridico italiano. Il
Tribunale può partecipare all'acquisizione delle prove.
Per le ipotesi di consegna di imputati al Tribunale la legge
individua (art. 11) un’apposita procedura: riproponendo alcuni dei limiti
sostanziali posti dalla disciplina dell’estradizione, la legge esclude la
consegna dell’imputato se il fatto per il quale si richiede la consegna non è
previsto come reato dalla legge italiana o se non è compreso nella
giurisdizione temporale e territoriale del Tribunale internazionale; se per lo
stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata già pronunciata nello
Stato sentenza irrevocabile di condanna; se il Tribunale internazionale non
abbia emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale; se manca il
requisito dell’identità fisica tra la persona richiesta e quella di cui si
richiede la consegna. Circa la procedura, il provvedimento in commento prevede
che il procuratore generale della corte d'appello, ricevuti gli atti, presenti
la requisitoria alla corte d'appello, che decide senza ritardo in camera di
consiglio. La consegna è disposta con decreto del Ministro della giustizia dopo
che siano decorsi inutilmente i termini per la impugnazione in Cassazione della
sentenza della corte di appello o sia avvenuto il deposito della sentenza della
Cassazione ovvero del verbale di identificazione della persona contenente
espressa menzione del consenso della persona alla consegna (v. infra).
L’applicazione della custodia cautelare in carcere o di
altra misura specifica richiesta dal Tribunale internazionale è disposta con
ordinanza della corte d'appello (art. 12). La corte può disporre una misura
meno grave solo se il procuratore non ha richiesto esclusivamente l'adozione di
una specifica misura. Ai fini della consegna il presidente della corte
d’appello provvede all’identificazione della persona e all’acquisizione del suo
eventuale consenso alla consegna, la cui verbalizzazione
è trasmessa al procuratore generale per l’ulteriore inoltro al Ministro della
giustizia. È prevista la revoca
della misura quando la corte d’appello abbia pronunciato sentenza contraria
alla consegna ovvero siano decorsi inutilmente i termini per la pronuncia della
corte di appello o per l’emanazione del decreto del Ministro della giustizia o
per la presa in consegna da pare del Tribunale internazionale. Peraltro, la
legge (art. 13) consente l'applicazione provvisoria della misura cautelare
prima che la richiesta di consegna sia pervenuta nei casi in cui il Tribunale
internazionale abbia dichiarato l’avvenuta applicazione di un provvedimento
restrittivo e l’intenzione di presentare richiesta di consegna fornendo i
necessari elementi di conoscenza dei fatti e della persona.
Se il Tribunale internazionale ha formulato richiesta di
applicazione di una misura cautelare coercitiva si può ricorrere all’arresto da
parte della polizia giudiziaria, con il relativo sequestro del corpo del reato
e la immediata comunicazione al Ministro della giustizia, ma solo nei casi di
urgenza e se ricorrono le condizioni per l’applicazione della misura stessa.
Non oltre quarantotto ore dopo l’arresto, l’arrestato è posto a disposizione
del presidente della corte d’appello competente per la eventuale convalida e
per l’applicazione, con ordinanza, della misura cautelare coercitiva. Di ciò è
data immediata comunicazione al Tribunale internazionale; se tale organo, nei
successivi venti giorni, non trasmette la richiesta di consegna, la misura è
revocata (art. 14).
Infine, la legge valorizza il ruolo delle organizzazioni non
governative dettando disposizioni dirette a favorire la collaborazione delle ONG
nazionali e internazionali con il Tribunale internazionale (art. 15) e apporta
al testo del D.L. 544 del 1993, recante disposizioni in materia di cooperazione
con il Tribunale internazionale competente per i crimini commessi nella ex
Jugoslavia, le modifiche necessarie ad omogeneizzarne il testo rispetto alla
disciplina della cooperazione giudiziaria con il tribunale internazionale per
il Ruanda (art. 16).
[1]
La legge reca: Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale
competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio
del Ruanda e Stati vicini
[2]
D.L. 28 dicembre 1993 n. 544, Disposizioni in materia di cooperazione con
il tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto
umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito con
modificazioni dalla legge 14 febbraio 1994, n. 120