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TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI DOMENICO ZINZI, BRUNO TABACCI, SALVATORE TOMASELLI, PIETRO RAO E CARMINE SANTO PATARINO IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEI DISEGNI DI LEGGE N. 1746-BIS E N. 1747
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la legge finanziaria rappresenta l'atto che più di ogni altro caratterizza il Governo di un paese, segnando il momento essenziale per l'attuazione delle linee programmatiche con le quali la maggioranza si è presentata agli elettori.Pag. 189
Oggi ci troviamo di fronte ad un documento che avrebbe dovuto rappresentare, in linea teorica, l'applicazione concreta delle proposte contenute nelle circa trecento pagine che l'Unione aveva indicato come programma di governo.
Dobbiamo purtroppo rilevare che, quelli che erano stati i formali impegni presi dal leader dell'Unione in campagna elettorale sono stati disattesi in gran parte, se si tralascia la pasticciata politica ridistribuiva del reddito che ha ispirato la ridefinizione della curva Irpef.
In particolare è venuta meno la promessa che le imposte e le tasse non sarebbero state aumentate.
Sul Documento di programmazione economico-finanziaria del luglio scorso, si affermava che la manovra di correzione degli squilibri di finanza pubblica si sarebbe basata fondamentalmente sulla riduzione della spesa pubblica, con tagli ai quattro principali capitoli di spesa corrente (sanità, enti locali, pubblico impiego e previdenza).
Oggi ci troviamo di fronte ad una finanziaria che, complessivamente, considerando anche il decreto fiscale collegato e la delega sui redditi da capitale, si aggira sui 40 miliardi, dei quali solo 11 sono riconducibili a tagli e risparmi di spesa, ed ad un imprecisato, ma sicuramente corposo, numero di nuove tasse.
Una manovra che ha sollevato dubbi e critiche anche da parte di esperti ed economisti di area governativa, che cozzano con i peana che si erano sollevati in campagna elettorale.
Ma quello che troviamo stupefacente è la perdita di credibilità, tra gli stessi elettori, dopo solo cinque mesi di governo.
Un elettorato deluso che ha creduto nella bontà delle ragioni e delle parole dei leader dell'Unione, deluso soprattutto da quell'area moderata dell'Unione, alla quale il ceto medio, gli artigiani, i dipendenti pubblici e privati, i commercianti ed i professionisti imputano le maggiori responsabilità di una finanziaria che li vede immolati alle ragioni della sinistra massimalista e radicale.
L'insoddisfazione dell'opinione pubblica nei confronti del Governo non è il rituale, normale e trascurabile atteggiamento di dissenso verso coloro che gestiscono il potere.
Nelle strade, negli uffici, negli ambienti di lavoro, è riscontrabile una consistente preoccupazione ed un forte timore degli operatori economici, delle classi professionali ed artigiane, dei dipendenti e dei commercianti sui cui già pesano i primi effetti delle iniziative legislative poste in essere da questa maggioranza.
È una finanziaria con il bollino rosso, condizionata dalle ali estreme della coalizione e a farne le spese è stato proprio il ministro Padoa Schioppa, scivolato all'ultimo posto della classifica dei ministri delle finanze europei del Financial Time (vera Bibbia quando si trattava di dare addosso al Governo Berlusconi, ed ora relegato a foglietto di malelingue).
Avrebbe tradito le imprese, si legge nell'articolo, e come non dargli torto.
Dopo anni di congiuntura sfavorevole molte piccole e medie imprese hanno visto, finalmente, lievitare gli ordini, la produzione e le esportazioni.
Si sarebbero aspettate, quindi, una manovra leggera, aiutata anche dal boom delle entrate, ed invece si sono viste subito portare via il TFR accumulato dai lavoratori e non indirizzato ai fondi pensione, mitigato poi solo in parte dall'esenzione di quelle con meno di 50 dipendenti, con il rischio di condannare di fatto le imprese al nanismo o alla frammentazione.
Senza dimenticare poi che l'operazione TFR, da una parte, danneggerà, forse irrimediabilmente, il decollo della previdenza complementare e, dall'altra, metterà a rischio quella che da cinquant'anni è la formula di credito più usata dai lavoratori, mi riferisco alla cessione del quinto dello stipendio, in quanto dimezzando il TFR accantonato verranno meno le garanzie adeguate per la concessione del credito ai lavoratori che ne faranno richiesta.
Quello che emerge, qui come in tutta la struttura della finanziaria, è una impostazione ideologica dirigista, fortemente penalizzante per le piccole aziende, i piccoliPag. 190imprenditori, fino a comprendere quello che, più in generale, viene chiamato ceto medio.
Le liberalizzazioni del decreto Bersani sono pannicelli caldi, rispetto ad un mercato ingessato che ha bisogno di una drastica liberalizzazione nel settore dei servizi, per consentire alle imprese di essere competitive ed ai cittadini di ottenere vantaggi veri e non transitori.
Questo è tanto più vero se rapportato all'economia meridionale, che rappresenta una opportunità di sviluppo del nostro paese, ma che sconta, rispetto al Centro-nord e all'Europa, un gap infrastrutturale che neanche questa finanziaria sembra tenere in conto.
In questo contesto dovrebbe risultare evidente il ruolo delle piccole e medie imprese, strozzate dai vincoli di una competitività che tarda a crescere, a causa di ritardi nell'impiego di nuove tecnologie, al maggior costo del denaro e ad un quadro di legalità minato dalla presenza della criminalità organizzata.
Abbiamo sperato che, governando 6 regioni meridionali su 7, il Governo avrebbe posto una particolare attenzione a questa area attraverso una politica fiscale che aiutasse la localizzazione di nuove imprese, che indirizzasse una quota superiore degli investimenti in opere pubbliche al Sud, ma purtroppo le nostre attese, e parlo da meridionale, sono state vane.
E come possiamo giustificare la miopia di questo Governo che, nella sua zelante azione fiscale, punisce quella che è una delle più importanti leve per lo sviluppo economico del Mezzogiorno, e cioè il turismo?
Riesumando la tassa di soggiorno soppressa nel 1989, il Governo sembra non comprendere che in questo modo si minerà ulteriormente la competitività delle strutture ricettive del nostro paese sia internamente che esternamente.
Le imprese turistiche europee, infatti, che già godono di un regime IVA agevolato e di numerosi contributi statali, potranno godere di un nuovo appeal rispetto a quelle italiane ed è facile prevedere uno spostamento dei flussi turistici, degli intermediari del settore, verso quelle mete che a parità di benefici praticheranno costi inferiori.
E questo accade proprio nel momento in cui le note turbolenze che affliggono le aree del Medio-Oriente stanno cedendo all'Europa una consistente quota del mercato turistico mondiale, a favore proprio di Italia, Francia e Spagna.
Crediamo che il settore turistico abbia bisogno di misure, anche fiscali, che lo rivitalizzino, soprattutto in funzione delle stabili e consistenti ricadute occupazionali che ne deriverebbero.
Abbiamo detto che l'imprimatur vero di questa manovra è sostanzialmente riconducibile all'ala radicale della coalizione, ma il punto è che non si può ricercare ad ogni costo una giustizia sociale sacrificando la crescita, perché in tal modo si innesca un circolo vizioso perdente, in cui tutti sono forse più uguali, ma sicuramente più poveri.
La nuova curva fiscale, ritoccata più volte in Commissione, non sortirà gli effetti sperati.
Non solo, la trasformazione delle deduzioni in detrazioni, abbinata al via libera alle addizionali comunali e regionali ed all'aumento degli estimi catastali, finirà per produrre nuove tasse e nuovi costi per le famiglie, indistintamente, senza progressività.
Ci troveremo a commentare il fatto che l'operazione è riuscita, ma il paziente è morto: la rimodulazione delle fasce di reddito ai fini impositivi non è l'arma con cui combattere la povertà, anzi rischia di creare nuove iniquità perché così facendo si attua una ridistribuzione, che può anche favorire chi non ha diritto a quei benefici, e sfavorire chi non può accedere al regime delle detrazioni introdotto con la nuova disciplina.
Infine una parola su università e ricerca. La manovra risulta penalizzante e priva di una strategia non solo per la mancanza di risorse adeguate per finanziare gli atenei e gli enti di ricerca, da tempo in grave difficoltà, ma anche per l'introduzione di misure che intervengono su aspetti organizzativi delicati, estranei alPag. 191contesto della legge finanziaria: mi riferisco alle deleghe in bianco per i concorsi universitari ed al taglio degli scatti per le retribuzioni dei docenti come misura di riduzione della spesa.
La manovra finanziaria è l'occasione per tradurre in strumenti blindati alcune scelte strategiche su cui è mancato totalmente il confronto parlamentare.
Il disegno di legge di conversione del decreto-legge, approvato la settimana scorsa con la fiducia, ha smantellato i meccanismi di valutazione del sistema universitario e della ricerca.
Un emendamento governativo ha disposto il riordino degli enti nazionali di ricerca con regolamento governativo.
Si tratta di una lesione grave dell'autonomia degli enti, che peraltro, è garantita dalla Costituzione.
Tali misure hanno provocato una reazione della comunità scientifica che registra la beffa di un Governo che, dopo aver promesso di puntare alla formazione, alla ricerca ed all'innovazione, dimostra di non avere una politica di rilancio per l'università e per la ricerca e di perseguire obiettivi come l'azzeramento dei vertici degli enti.
In conclusione, dall'esposta succinta disamina, emerge la totale e complessiva insoddisfazione nei confronti delle proposte formulate dal Governo, contenute nella manovra contabile, sottoposta all'esame del Parlamento, proposte che, privilegiando l'imposizione fiscale, l'inasprimento della tassazione e la contrazione della spesa, provocheranno una profonda crisi nel nostro sistema produttivo nonché la crescita del debito pubblico, rendendo ancor più vulnerabili i conti della finanza statale.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, con questa legge finanziaria, il Governo Prodi sta sbandando pericolosamente, condizionato da quella parte della sua maggioranza che sembra attratta più dal mito della lotta di classe che dalla cultura del buon governo. A luglio il Governo parlava con la faccia di Bersani. E noi l'avevamo sfidato ad andare avanti sulla via delle liberalizzazioni e dell'apertura dei mercati.
Dall'opposizione si può contrastare un Governo, ma per spingerlo a fare di più nell'interesse generale.
A distanza di due mesi, lo stesso Governo parla con la faccia di Visco. Una faccia occhiuta, non serena, quasi vendicativa, con una filosofia da Robin Hood.
Noi in questi anni non abbiamo certo atteso Visco, che già aveva fatto il ministro delle finanze per cinque anni, per segnalare che nel nostro paese c'è una scandalosa evasione fiscale e una progressiva erosione della base imponibile. E per formulare delle proposte coerenti. Magari erano un po' snobbate da Tremonti, ma erano giuste.
Un quarto dell'economia in nero non è compatibile con una condizione di civiltà.
Ma non lanciamo anatemi contro questa o quella categoria. La diffusione dell'evasione è troppo ampia per ricondurla a qualche area specifica.
Facciamo la proposta di un nuovo patto fiscale. Che ha bisogno per affermarsi di un rinnovato rapporto di fiducia. Visco propone un «grande fratello» fiscale, un'overdose di controlli incrociati con la tracciabilità dei percorsi monetari.
Vuol mettere un finanziere alle spalle di ogni cittadino.
Noi non siamo contrari alla predisposizione di controlli più efficaci. Ma riteniamo si debba introdurre nei rapporti fiscali un principio più forte: quello del contrasto di interesse tra i prestatori di servizi e gli utilizzatori finali.
Lavorando sulla struttura delle detrazioni è possibile creare le condizioni perché ogni servizio pagato possa essere documentato e portato in tutto o in parte in detrazione.
Abbiamo presentato emendamenti a questo scopo. Si può cominciare a sperimentare su base settoriale. Non mi pare che il Governo vi abbia prestato una particolare attenzione.
È la via per affermare un nuovo costume fiscale, anche tenendo conto della base familiare. Allargare la base imponibilePag. 192è la condizione per introdurre un vero federalismo fiscale. Che non può essere la cifra distintiva di un egoismo localista, ma la concreta partecipazione ad un percorso di piena responsabilità. La finanziaria era l'occasione per affrontare altresì la qualità della spesa pubblica. Nel nostro paese lo Stato forse non spende troppo, ma certo spende male in diversi settori. E il cittadino trae un'impressione sgradevole, come se la macchina dello Stato non fosse al suo servizio ma rispondesse ad una logica assistenziale.
Per misurare la qualità della spesa e la sua percezione dobbiamo chiederci: le istituzioni scolastiche sono organizzate per gli studenti? O per altri? Le strutture sanitarie e ospedaliere sono vissute in funzione degli ammalati? O per altri? Le istituzioni giudiziarie sono pensate per il cittadino che ha sete di giustizia (penale, civile, fallimentare)? O per altri? La struttura amministrativa e burocratica si muove in funzione del dinamismo degli operatori economici? O per altri? La spesa previdenziale tiene conto dei nuovi equilibri demografici o penalizza i più giovani?
La spesa pubblica non può essere concepita come lo specchio di uno Stato sociale finto che invece di tutelare i più deboli interpreta con crescenti rigidità la cittadella dei garantiti.
Quanti soldi sono stati sprecati per ricapitalizzare Alitalia, senza affrontare con serietà un piano industriale efficace di fronte ad un profondo rivolgimento del trasporto aereo nel mondo?
Ora c'è addirittura chi evoca la necessità di compagnie regionali. Ma io come cittadino che utilizza questo sistema di trasporto nella tratta Roma-Milano e viceversa ho bisogno di un aereo efficiente e a basso costo, non di un aereo lombardo.
Ci saremmo attesi una finanziaria che come primo atto rilevante del nuovo Governo avesse una forte carica riformatrice.
Invece no. Anzi, Prodi annuncia che le riforme le farà. Temo sarà smentito.
Dopo aver fatto alcune privatizzazioni in modo incauto con il suo primo Governo, come insegnano le esperienze di Autostrade e Telecom, era lecito attendersi un'adeguata autocritica e l'indicazione di come organizzare il passaggio dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore.
Invece, i nuovi monopolisti operano indisturbati minando la base di competitività del sistema economico. Il cittadino consumatore, la famiglia consumatrice, la piccola impresa utilizzatrice paga troppo i servizi venduti dai nuovi monopolisti.
I servizi bancari, quelli assicurativi, i costi dell'energia elettrica e del gas, le tariffe autostradali, le bollette della telefonia fissa e mobile, le parcelle dei liberi professionisti, le tariffe dei servizi pubblici locali pesano in maniera sempre più consistente.
Dobbiamo raccogliere la sfida dell'apertura di questi mercati. Il Parlamento deve sfidare il Governo a mettersi in gioco. Prodi si è limitato all'effetto annuncio. Ma la montagna ha partorito un topolino. E che topolino! A Roma, anche grazie alla mediazione di Veltroni, abbiamo subito i blocchi stradali di luglio, le licenze dei taxi sono per ora solo sulla carta aumentate, ma le tariffe sì.
Certo, per guidare questi processi non si può inseguire l'interesse particolare ma individuare e attestarsi sulla linea dell'interesse generale. La manifestazione della sinistra antagonista di ieri l'altro è la conferma di una rincorsa particolarista. Non si scende in piazza a scodinzolare dietro ogni protesta corporativa, ma si indica la via dell'interesse prevalente. Quello del cittadino consumatore, condizione nella quale si trova ognuno di noi. È questo l'interesse prevalente da tutelare.
Dobbiamo rappresentare l'Italia del buon senso, che c'è anche se appare timida e minoritaria di fronte agli eccessi di un bipolarismo muscolare.
Non si governa sugli estremi, non si governa dagli estremi. L'estremismo evidenzia un limite culturale, di sensibilità, di costume. Esaspera i propri «diritti» e richiama i «doveri» degli altri.
Ecco dove sta la radice della nostra crisi: una crescente divaricazione tra la stagione dei diritti e il muoversi dei doveri e delle responsabilità. Chi non ha cultura di governo parla astrattamente di un dirittoPag. 193al lavoro. Disconosce che tale diritto origina dal dovere di ciascuno di concorrere alla produzione della ricchezza. Se si blocca il processo di sviluppo, il diritto al lavoro diventa astrazione.
Dobbiamo operare per una ricomposizione culturale, sociale e civile che viene generata da un intreccio fecondo di diritti e di doveri.
Politicamente tra i nostri doveri c'è quello della lealtà verso il nostro paese.
Dopo oltre un decennio di esperienza in questa seconda Repubblica abbiamo il dovere di segnalare come avere preso talune scorciatoie ha portato effetti negativi. Non vogliamo tornare indietro, ma neppure perseverare nell'errore.
Guardiamo con preoccupazione a tentazioni referendarie che puntano alla semplificazione del bipartitismo, come se non bastasse l'evidente crisi del bipolarismo, e alla conferma della cooptazione servile come strumento di selezione delle classi dirigenti.
La qualità di questa politica è davvero modesta; appare totalmente incapace di fare riforme profonde perché preoccupata di un consenso che si sfilaccia sempre di più. Ma con l'immobilismo non recupera il consenso.
Ci vuole coraggio. Mi ha colpito il manifesto politico del leader conservatore inglese David Cameron. Sta facendo sull'altro versante lo stesso percorso innovatore di Blair.
Ecco, se c'è da copiare qualcosa dalla apolitica inglese è la forza dello svecchiamento programmatico sia sul versante laburista che su quello conservatore. Onestamente mi pare che il suo Governo, Presidente Prodi, batta la strada del galleggiamento, che impone il ricorso al voto di fiducia. Staremo a vedere dove la porterà questa scelta.
SALVATORE TOMASELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, nelle scorse settimane una voce autorevole si è levata nel dibattito politico per incitare le classi dirigenti del nostro paese a ritrovare il senso della missione. Era la voce di Carlo Azeglio Campi.
«Manca la missione. Questo è il vero problema dell'Italia di oggi (...) Quello che conta e che oggi non si vede» - dice l'ex presidente della Repubblica - «è un grande obiettivo, generale e condiviso, che il paese possa comprendere e che dia un senso a tutto ciò che si sta facendo».
Una incitazione a ritrovare il gusto dell'ambizione di un progetto importante, che segni una fase storica nelle cose che facciamo oltre il mero contingente.
Ecco, io penso che il passaggio delicato della approvazione della legge finanziaria 2007 vada collocato dentro questa ambizione.
La complessità della proposta di legge finanziaria che il Governo ha presentato è figlia della volontà del centrosinistra di ridare una prospettiva al nostro paese.
Ed allora l'obiettivo per noi è chiaro ed è quello di modernizzare l'Italia.
Una modernizzazione da conquistare, innanzi tutto, rimettendo i conti a posto dell'azienda Italia, riprendendo il filo del risanamento interrotto con il Governo Berlusconi-Tremonti, che ha pressoché annullato l'avanzo di bilancio prodotto negli anni di governo del centrosinistra, che ha ridato spazio alla crescita della spesa pubblica, che non ha prodotto né riforme strutturali né crescita per il paese ma solo una redistribuzione della ricchezza a favore dei ceti più abbienti.
Gli anni passati hanno annullato gli sforzi di risanamento degli anni precedenti; il debito pubblico - azzerato l'avanzo primario - ha ripreso a correre - 67 miliardi annui di interessi - non è solo una tassa sull'oggi ma è una grave ipoteca sul futuro, sulle prossime generazioni, sulla capacità del paese di onorare gli impegni, di sostenere le spese sociali, la scuola, la sanità, la sicurezza.
Il risanamento dei conti è per noi la premessa di una rinnovata politica di crescita e sviluppo, è lo strumento non certo il fine della nostra politica.
Una politica, infatti, che ha scelto, ad esempio, di fare delle liberalizzazioni unaPag. 194sfida per il paese intero, una occasione di superamento dei tanti egoismi e delle tante corporazioni da cui questo nostro paese è attraversato ma anche il chiavistello per aprire il mercato delle professioni, delle imprese, dei servizi a nuovi soggetti che oggi fanno più fatica di altri o ne sono addirittura esclusi.
Vogliamo costruire, con le riforme e con il più largo confronto, uno Stato forse più leggero ma certamente più efficiente e più utile ai cittadini; uno Stato che si ponga con realismo ma senza indugi il tema dell'efficienza della pubblica amministrazione, se è vero che nella classifica annuale del World Economic Forum siamo al 71o posto.
Insomma, uno Stato meno gestore ma più regolatore, dentro cui il cittadino-consumatore veda affermata la sua centralità e cittadini-consumatori lo siamo tutti.
Vorrei, cioè, che non sfuggisse a nessuno come, accanto ed oltre a questa legge finanziaria, il Governo e la maggioranza che lo sostiene siano impegnati, in parte già in queste settimane e poi subito dopo l'approvazione della legge di bilancio, a discutere ed approvare testi importanti come la liberalizzazione dei servizi pubblici, la tutela dei consumatori, la semplificazione della pubblica amministrazione, e poi l'energia, la riforma radiotelevisiva, e così via.
Un corposo ed ambizioso programma di modernizzazione, dentro il cui quadro vanno inserite le prime scelte della finanziaria che rilanceranno la crescita e lo sviluppo nel paese.
Nel corso del confronto di queste settimane si sono apportate significative innovazioni frutto del dialogo con il paese, a cominciare da enti locali e forze sociali. Mi sembra di poter dire che appaiono ormai lontane le strumentalizzazioni verso una sorta di volontà punitiva di questa legge verso il cosiddetto ceto medio o verso le piccole imprese.
Sono state costruite con il confronto modifiche sostanziali - penso al TFR che esclude le piccole e medie imprese fino a 50 addetti - penso all'apprendistato per le imprese artigiane - che confermano, oltre ogni dubbio, come grande sia l'attenzione del centrosinistra verso il ruolo e la funzione che svolgono nel paese le piccole imprese.
In tale direzione va, peraltro, la presenza, già in questa finanziaria, di una parte dei provvedimenti previsti dal disegno di legge Industria 2015 predisposto dal ministro Bersani, con cui torna in Italia la politica industriale dopo anni di perdita di competitività del sistema produttivo nazionale, che hanno fanno parlare tanti osservatori di vero e proprio declino.
Provvedimenti che sono orientati proprio alla ripresa di competitività del sistema produttivo: ricordo qui i «Progetti di innovazione industriale» attorno a cui ruota la strategia di rilancio industriale; meccanismi di incentivazione selettivi che privilegino settori strategici in grado di produrre maggiore valore aggiunto sul complesso dell'industria nazionale, da finanziare mediante il nuovo fondo unico per la competitività; ed ancora il fondo per la finanza di impresa con cui si vuole dare un contributo decisivo all'annoso problema della debole patrimonializzazione delle nostre imprese, specie le piccole e medie imprese, e nel contempo facilitarne l'accesso a capitali di rischio e a garanzie creditizie.
Insomma, torna l'idea e se ne individuano i primi strumenti, per ridare al paese una politica industriale degna di questo nome.
E di nuove politiche nazionali ha bisogno il Mezzogiorno.
Chi parla viene da un luogo del Mezzogiorno, Brindisi, in cui vi è da decenni una grande presenza industriale: il più grande polo energetico del paese, uno dei poli nazionali della chimica e dell'aeronautica. Non appartiene più a noi da lungo tempo l'idea di chiedere sussidi ed assistenza, rivendichiamo, invece, dallo Stato nuove politiche industriali nazionali che possano rappresentare un'occasione di valorizzazione anche del nostro patrimonio e che possano aiutarci a superare anche crisi e difficoltà.Pag. 195
A differenza del Governo delle destre, il centrosinistra dimostra, cioè, di avere un progetto moderno per il Mezzogiorno e ne dispiega già in questa prima legge finanziaria della nuova legislatura alcuni significativi provvedimenti:il cosiddetto «cuneo fiscale differenziato»; il credito d'imposta per le regioni svantaggiate; l'introduzione di zone franche urbane.
Si delinea un ciclo di programmazione 2007-2013 in cui tra Fondi per le aree sottoutilizzate e Fondi provenienti dall'Unione Europea sono previsti investimenti di grande consistenza fino a 120 miliardi di euro. Con un incremento di risorse per il FAS che passa dal 38,6 per cento (media 2000-2005) al 42 per cento per il periodo 2007-2011 con incremento pari al 3,4 per cento in termini percentuali.
Il quadro di riferimento non è dei migliori. Il rapporto Svimez 2005 parla di un paese che non cresce dove il Mezzogiorno continua lievemente ad arretrare. Negli ultimi anni l'economia del Mezzogiorno ha mostrato segnali di recessione: nel 2005 - secondo la Svimez - il PIL meridionale si è ridotto in termini reali dello 0.3 per cento a fronte di un aumento dell'anno precedente dello 0.7 per cento. L'occupazione, che tra il 1997 e il 2002 era aumentata al Sud di 450 mila unità, negli ultimi 3 anni ( 2002-2005) è scesa di 69 mila unità. Sono eventi che non si verificavano da tempo e che indicano l'impatto sociale della crisi economica del paese nelle aree più deboli.
Siamo convinti che nel Mediterraneo e sulle rotte commerciali provenienti dal lontano oriente si gioca una delle partite più importanti per le regioni del Sud. È diffusa l'aspettativa di un Mezzogiorno come piattaforma logistica dell'Italia del Mediterraneo. In questo contesto, il tema della portualità e dell'intemodalità nei trasporti diventa centrale. Nella proposta di legge finanziaria si investe sullo sviluppo dei porti hub di interesse nazionale e sull'autonomia finanziaria delle autorità portuali delineando una nuova fisionomia nel settore.
Abbiamo in mente l'idea di un paese più giusto, più solidale, più coeso ma anche più competitivo e dinamico nella sfida del mondo globale, un paese che torni a valorizzare le sue risorse più importanti, a cominciare dai giovani ai quali offrire opportunità e non più solo precarietà e indeterminatezza del futuro.
PIETRO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il neonato Movimento per l'Autonomia che io rappresento e che per la prima volta, per ovvi motivi, è presente con una sua componente politica in Parlamento, nel contesto di un dibattito sulla finanziaria non può assolutamente esimersi dall'esprimere la propria posizione ed il proprio giudizio critico sui provvedimenti che stanno per essere varati da questo Parlamento.
Ciò che maggiormente ci ha colpito in queste ultime settimane è il turbinoso valzer di cifre che il ministro dell'economia ha tentato di porre all'attenzione di tutte le forze politiche.
È, inoltre, apparso in maniera chiara ed inequivocabile come sui numeri il ministro dell'economia scivoli per le enormi difficoltà che incontra nel definire le cifre della manovra per l'anno 2007, e nel riferirle correttamente in Parlamento. Tanto per cominciare, si era ipotizzata una manovra da 35 miliardi di euro, ma i dati sulle entrate in forte crescita avevano convinto i tecnici, sollecitazione degli alleati più riottosi, a dare una sostanziale riduzione alla stangata portando la manovra a trenta miliardi di euro.
Successivamente la manovra viene portata a 33,5 miliardi di euro, quindi viene ulteriormente aumentata per dare maggiore impulso alle dinamiche economiche e in queste ultime ore, con una scansione temporale quasi cronometrica, assistiamo ad altri ritocchi.
In queste condizioni restiamo esterrefatti e privi di orientamento, in quanto torna difficile individuare punti di riferimento e motivi di critica politica.
Signor ministro, a questo punto ci viene spontaneo chiederle se, tutto considerato, non sia il caso, oltre che con se stesso, diPag. 196mettersi d'accordo con gli altri rappresentanti del Governo e con tutti i partiti che compongono questa maggioranza, oltre che con tutti i suoi tecnici e farsi spiegare come mai i conti non tornano, prima di presentarsi ad appuntamenti non certo di secondaria importanza come quelli di una manovra finanziaria.
Appare chiaro che, per il modo in cui viene confezionata, questa finanziaria, fatta di bozze diramate e poi smentite, dopo che tutti i settori interessati hanno alzato le barricate, trovando spesso una sponda in qualche partito di maggioranza, non può che essere considerata al limite dell'irrazionale.
Appare chiaro, inoltre, quanto confuse e poco chiare siano le idee all'interno di questa maggioranza.
Dalla finanziaria di questo Governo, o dal suo cilindro magico, signor ministro, esce ogni giorno una sorpresa.
Sparisce prima l'imposta di successione, travestita come tassa di registro per poi ricomparire come d'incanto. Avevate proposto a tutte le imprese, piccole, medie e grandi, di trasferire il TFR all'INPS, mentre notizie dell'ultima ora ci dicono che sono, invece, esentate tutte le imprese con un numero di dipendenti fino a cinquanta. Compare l'aumento dell'imposta di bollo sui «Suv» e l'esenzione dal bollo delle Euro 4 e poi ricompare. Ci informate di massicce assunzioni nel mondo della scuola e notizia ultima è che vengono tagliati 50 mila posti per tutti i precari.
Ci pare che regni veramente molta confusione e poca capacità di gestione di questa manovra.
Non si può certamente governare all'insegna dell'improvvisazione.
Certo, ci rendiamo perfettamente conto dei tira e molla che esistono tra tutti i partiti dell'Unione e come non sia facile conciliare posizioni contrapposte, specie quando nell'aria aleggiano minacce di non supportare il decreto con il proprio voto.
Non avevamo mai assistito nella storia della Repubblica al fatto che tutte le categorie professionali scendessero in piazza per manifestare la propria protesta.
A tal proposito, signor Presidente del Consiglio, per una forma di rispetto e sensibilità, lei dovrebbe chiedere scusa a tutti gli italiani, quando dichiara che non tiene in debita considerazione le proteste di piazza da parte di tutte le categorie, poiché con queste dichiarazioni lei manca di rispetto verso chi lavora e produce in questo nostro paese.
Tornando alle categorie professionali, nella manifestazione del 12 ottobre esse hanno manifestato tutto il loro dissenso, sottolineando anche come questo Governo ha abrogato di fatto, se non in diritto, lo statuto del contribuente, poiché viene continuamente violato e calpestato quando si tenta di introdurre il concetto della retroattività delle norme in materia fiscale, cosa mai successa.
Le chiediamo, in virtù di ciò, che si abbia maggior rispetto per famiglie, imprese e professioni, sempre che questi principi rientrino nelle logiche di una sinistra radicale. Mi faccio portavoce di queste categorie per esprimere tutte le preoccupazioni del caso poiché il decreto Bersani/Visco prima e la finanziaria oggi offrono forti motivi di apprensione. In particolare riteniamo doveroso intervenire nel merito dei tanti provvedimenti normativi che direttamente o indirettamente arrecano danno a tutti i lavoratori autonomi fingendo di perseguire obiettivi di liberalizzazione e di sviluppo del paese.
Non si può legiferare senza sentire le parti sociali, senza aprire un tavolo di concertazione, aumentando, imponendo loro d'autorità e nell'assoluta mancanza di rispetto, le incombenze burocratiche (vedi articolo 35, comma 2, legge 223/2006 decreto Bersani-Visco, vedi obbligo di allegare elenco clienti e fornitori, obbligo di apertura di un conto corrente, eccetera).
Con questo dibattito parlamentare cercheremo di porre rimedio alle tante vessazioni che si vogliono imporre con autoritarismo e statalismo di basso livello.
Ancora brutte sorprese per le piccole e medie imprese per le quali il tanto decantato cuneo fiscale non sortirà effetto alcuno e, come se non bastasse, a loro carico volete imporre l'innalzamento deiPag. 197contributi previdenziali, l'aggravio di dieci punti percentuali per gli apprendisti, il mancato sgravio delle aliquote INAIL per l'artigianato. Oltre il danno la beffa.
A nostro avviso, questa finanziaria è assolutamente sbilanciata sul lato delle entrate con un aumento notevole della pressione fiscale, peraltro poco incisiva sul versante della spesa.
In ultima analisi, è una manovra iniqua e fortemente punitiva per tutte le categorie sociali e ci sembra opportuno darle un consiglio: non vesta i panni di «Robin Hood» che toglie ai ricchi per dare ai poveri perché, molto sinceramente, è un ruolo che non recita molto bene e non le si addice.
Il malumore serpeggia in tutte le categorie e rischia di creare un insieme di situazioni che possono innescare forti conflitti sociali, di mettere le une contro le altre varie categorie produttive del paese quando vengono accusate, da questo Governo, di essere, tutte, evasori fiscali. Altro che unire il paese.
Pur condividendo le buone intenzioni di questo Governo di combattere l'evasione fiscale, certamente non possiamo condividere gli strumenti, che sono a dir poco fortemente repressivi, al limite della restrizione della libertà dei cittadini, se così li possiamo ancora chiamare dopo questa manovra.
Questi provvedimenti rischiano di provocare effetti disastrosi sulle capacità di spesa e per i consumi delle famiglie italiane e quindi sulle attività del comparto.
La manovra andrà ad incidere, ancora, nei bilanci delle famiglie a causa degli aumenti che vengono introdotti su molti fronti di spesa dei cittadini.
Auspichiamo una inversione di tendenza con significative modifiche di questa linea politica del Governo, linea che pensavamo ormai definitivamente tramontata. Anche in questo senso, lei, signor Primo ministro, è riuscito a mentire agli italiani.
Tutte le rappresentanze sociali hanno commesso l'errore iniziale di credere a tutte le sue promesse e alla descrizione catastrofica della situazione economica nazionale del nostro paese.
In questo senso la sua azione politica ha avuto successo, ma crediamo anche che lei e il suo ministro per l'economia siate due generali senza esercito.
Siamo fortemente dispiaciuti che questo Governo abbia individuato che il male del nostro paese sia quello che fino a poco tempo fa era il vero punto di forza del nostro sistema paese, cioè «la voglia di fare impresa».
In questa fase politica, questo Governo ha usato una metodologia inusitata che ha visto tradire, senza esitazioni, il principio della concertazione, iniziando prima dal decreto Bersani/Visco e continuando in questa occasione.
Un atteggiamento, questo, che rende il giudizio molto critico, soprattutto alla luce delle dichiarazioni di tutt'altro tenore fatte da questa maggioranza in campagna elettorale. «Altre menzogne».
Non ci stancheremo di ribadire quanto questa manovra penalizzi i settori produttivi più deboli, proprio nel momento in cui si avvertono sintomi di ripresa economica, e proprio quando sarebbe stato necessario, se non indispensabile, favorire il rilancio e la crescita per agganciarci saldamente alla ripresa.
Speriamo si possa ritrovare quel modus in rebus» che ci faccia recuperare un minimo di equilibrio rispetto a queste misure, altrimenti sarà un vero disastro sociale. Nell'inevitabile giorno del dare e avere, la finanziaria delle piccole e medie imprese si chiude con un bruciante segno meno.
Tra le promesse svanite c'è proprio quella del cuneo fiscale, sul quale questo Governo ha scommesso in campagna elettorale e solo ora, a pochissimo tempo di distanza, quelle promesse si vanno scoprendo del tutto evanescenti. Ancora una volta avete mentito!
È con sincera preoccupazione che dico queste cose, in quanto sono fortemente convinto che il tanto decantato risanamento, che questo Governo cerca di perseguire, darà come unica risultante la perdita di competitività delle imprese italiane.Pag. 198
Per quanto riguarda gli obiettivi redistributivi di reddito, punto forte di questa manovra, appare del tutto evidente il limite dell'uso della sola leva fiscale, in quanto i benefici di sgravio sono quasi nulli per tutti quei soggetti che, per reddito e per condizione particolare, ricadono al di sotto della linea di pagamento delle imposte (sono quasi dodici milioni di cittadini).
Per contro, stante l'attuale situazione dei tagli per gli enti locali, questi provvederanno ad un generale aumento delle imposte locali.
In particolare aumenterà l'addizionale dell'IRPEF (prima tassa) e le rendite catastali dei fabbricati con conseguente aumento dell'ICI (seconda tassa); la tassa di soggiorno di cinque Euro al giorno per ogni tipo di turista (terza tassa); la tassa di scopo per la realizzazione di opere pubbliche (quarta tassa); aumento della benzina e del bollo auto per tutte quelle regioni che sfondano i tetti di spesa nel settore sanitario per tutti i residenti di quelle regioni (quinta tassa).
Con tutte queste misure, sia di carattere nazionale sia di carattere locale, saremo costretti ad indossare una armatura medioevale per blindare quel poco che si può salvare dalle vessazioni fiscali.
Questa rappresenta una stangata fiscale mai vista nella storia della Repubblica.
Mentre tutti gli altri paesi europei stanno procedendo sulla via opposta, limitando la leva fiscale, noi andiamo in controtendenza.
Tredici miliardi di tasse, ben 67 sono le nuove tasse introdotte da lei, onorevole Visco, il «Rain Man», l'uomo della pioggia, pioggia di tasse s'intende.
Nel leggere attentamente tutti i vostri provvedimenti ci siamo accorti come in questa manovra manchi la riconferma della scelta del cinque per mille da parte dei cittadini a favore di quelle trentamila realtà del non-profit, basate sul volontariato, e che da questo aiuto economico traevano respiro per espletare la loro azione nel sociale.
Per quanto riguarda il Sud e la Sicilia in particolare, visto che sono siciliano, sullo sfondo di questi provvedimenti ho avuto l'impressione che aleggino interrogativi pesanti circa l'effettivo interesse di questo Governo nei confronti di un meridione e della Sicilia in particolare che si vuole irrimediabilmente avviare verso una deriva che fa comodo solo come fornitrice di braccia e di cervelli per l'apparato produttivo del Nord e per il blocco di potere conservatore.
Nella politica nazionale la Sicilia conta sempre meno e viene ricordata solo quando si tratta di sbarcare carichi di rifiuti per solidarizzare con le altre regioni mentre per contro ci viene offerto il contentino di 50milioni di euro per risarcirci del danno del mancato realizzo del ponte sullo Stretto. Non permetteremo che la Sicilia diventi la pattumiera del Mediterraneo.
Ci avete tagliato i fondi per il finanziamento della fondazione del centro ricerche di biotecnologia con l'università di Pittsburg con l'eliminazione dell'articolo 190, che chiediamo venga reinserito.
Chiediamo l'abrogazione della norma che prevede la soppressione delle prefetture, delle questure e dei comandi dei vigili del fuoco nei comuni con meno di 200 mila abitanti. Infine, nessuna sorpresa sul voto della Camera che ha messo il sigillo del «no» al ponte sullo Stretto, ritenendo inutile, non prioritario e velleitario il progetto.
Questo «no» rappresenta la vittoria della sinistra radicale e ambientalista.
Con questa scelta il Governo punta l'indice contro la Sicilia e contro i siciliani, contro un progetto di progresso e di sviluppo economico e sociale.
Noi siciliani non possiamo arrenderci supinamente a una tale decisione di una maggioranza ottusa e poco oculata, di una maggioranza che si rifiuta di dialogare con le popolazioni locali, contrariamente a quanto avveniva quando si protestava sulla TAV.
Anche in questa occasione avete mentito.
Con questa decisione vengono infranti 35 anni di sogni e di speranze.Pag. 199
Trentacinque anni di smanie e di desideri che vengono destinati ad affogare non nelle acque dello Stretto ma in un baule pieno di planimetrie, disegni, mappe, tavole, progetti e grafici.
Lì dentro si vuole chiudere tutta la storia di un ponte e la storia di un desiderio di sviluppo di un popolo, il popolo siciliano, che tante speranze aveva riposto in tale opera. La più colossale opera del secolo, dieci anni di lavori, infranti da una decisione ottusa e poco oculata, ma di sicura valenza politica, quasi una ripicca e una vendetta contro il Sud.
Il popolo siciliano aveva puntato tutto su questa striscia di speranza che poteva unire l'isola al continente non solo geograficamente ma anche economicamente, un'opera che ha fatto sognare mezza Italia e che ci lascia orfani, orfani persino dei nostri sogni.
Noi, come Movimento per l'autonomia, non ci rassegneremo a tale decisione e continueremo la nostra battaglia politica nel nome del popolo siciliano che tanto fortemente desidera la realizzazione di un tale progetto.
Noi porteremo avanti un'operazione senza precedenti, un'operazione di grande portata popolare, l'operazione «ponte fai da te» perché questo ponte ce lo faremo da soli con la collaborazione di tutte le forze politiche che vorranno aderire a questo progetto.
Per finire non posso esimermi dall'affermare che la politica economico-sociale portata avanti da questo Governo, una politica di riformismo radicale di tipo moderno, viene caratterizzata, sul piano fiscale, da una politica di regime, improntata al terrorismo fiscale e a tutta una serie di norme e provvedimenti fortemente vessatori e limitativi della libertà dei cittadini e quindi improponibili in un paese civile e democratico.
In alternativa ai provvedimenti proposti noi ribadiamo la necessità di applicazione di sistemi e procedure di semplificazione per non perderci in una serie di adempimenti di tipo burocratico che tolgono ore di lavoro e quindi prodotto interno lordo.
Riteniamo necessario predisporre una serie di strumenti atti a migliorare i rapporti con i contribuenti e ridurre il contenzioso fiscale.
Annotiamo ancora come, nonostante le enfatiche dichiarazioni di questo Governo, questa manovra non è in realtà idonea ad offrire una adeguato sostegno alle famiglie né ad incidere significativamente sulla competitività del sistema paese né tanto meno ad intervenire sulla dinamica della spesa. Rilevo, quindi, come gli interventi di sgravio fiscale appaiono scarsamente incisivi.
Chiudo, signor Presidente del Consiglio, ricordandole che in piena campagna elettorale, quando le fu detto che se la sinistra avesse vinto le elezioni avrebbe inevitabilmente alzato le tasse, lei, che è uomo d'onore, replicò molto indignato «Questa è delinquenza politica» accusando la destra di seminare il panico fra gli elettori.
Non crede oggi che, alla luce di tutti i provvedimenti proposti, fosse lei a mentire e che oggi stia dando una coltellata alla schiena a tutto il popolo italiano?
Lei ha mentito agli italiani, ha mentito in Parlamento anche in occasione della vicenda Telecom gestita da lei in prima persona e sulla cui vicenda ha ottenuto solo una solidarietà formale dai suoi alleati. Ci pare opportuno darle un ulteriore consiglio, che: alla luce di tutte queste menzogne, lei dovrebbe, con un gesto di dignità politica, rassegnare le dimissioni non prima però di avere chiesto scusa agli italiani.
CARMINE SANTO PATARINO. Non sono passati neanche 6 mesi dal loro insediamento e il Governo Prodi e la sua maggioranza hanno già battuto tutti i record negativi, tanto da conquistarsi larghissimi spazi di critiche e di scherni da parte dei mass-media, non solo quelli italiani di destra, ma anche quelli di sinistra, loro grandi sostenitori dichiarati durante la campagna elettorale, e quelli di destra e di sinistra di quasi tutto il mondo.
Non ho, sia chiaro, alcuna intenzione di soffermarmi a parlare di quei record, anche perché se lo facessi solo limitatamentePag. 200all'elenco e a qualche commento, avrei bisogno almeno del doppio del tempo a mia disposizione. Mi atterrò, invece, al tema della finanziaria.
L'ultimo velo era caduto con il decreto Bersani che, spacciato come il provvedimento delle cosiddette liberalizzazioni, rappresentava, invece, un grave abuso, una sorta di spedizione punitiva, mirata, ed a freddo, nei confronti di talune categorie di lavoratori autonomi ree di non essere catalogabili tra quelle di riferimento dei veri poteri forti di questo paese, ai quali soltanto spetta, per diritto di autoinvestitura, concedere e garantire perpetui privilegi. Rimaneva solo la maschera.
Ora, il Governo e la sua maggioranza hanno tolto anche quella e hanno finalmente portato allo scoperto il volto e le intenzioni tenuti prudentemente nascosti durante la campagna elettorale.
Con questa finanziaria, infatti, sono passati immediatamente alle vie di fatto, rendendosi responsabili di due delitti: il primo commesso direttamente, che è quello di tartassare a sangue gli italiani; il secondo, affidato per commissione, che è quello di obbligare i sindaci e gli amministratori degli enti locali a dare il colpo di grazia ai propri concittadini.
E, in entrambi i delitti appare, in tutta la sua evidenza, la vera vocazione manifestatasi sempre nella storia della sinistra, che è quella dell'accanimento indiscriminato contro tutti; con la sola eccezione di alcuni privilegiati.
E, per giustificare questo assurdo salasso, che fa questa sinistra? Quello che la sinistra ha sempre fatto, qua e altrove: ricorre alla menzogna.
Appena entrate nelle stanze dei bottoni, le schiere dei ministri e dei sottosegretari si sono affrettate a recitare la formula di rito studiata e concordata precedentemente: i conti pubblici sono un disastro. La colpa è del centrodestra. Bisogna correre ai ripari immediatamente. E, non potendo stampare più soldi, come si faceva un tempo, si sono stampate pagine di articoli e commi per inventare balzelli di ogni genere.
Altro che finanza creativa di tremontiana memoria, demonizzata e messa per 5 anni alla berlina. Quella, non solo stava riuscendo a risollevare l'economia nazionale e a ridare fiducia e speranza agli italiani, ma veniva e viene ancora presa a modello in molti altri paesi europei.
Adesso, con questo Governo e con questa maggioranza siamo passati alla tassazione fantasiosa che, garantendo solo a pochissimi i grandi privilegi e combattendo astiosamente contro la ricchezza, assicurerà miseria e povertà per tutti.
È stato il Presidente di Confindustria, quel Montezemolo che ha negli anni scorsi alacremente lavorato per preparare l'avvento di questo Governo, a dichiarare stizzito e sfiduciato, che «ormai c'è una tassa al giorno», riprendendo i temi di una unanime disapprovazione che ha già accomunato il Governatore della Banca e la Corte dei conti, le agenzie internazionali di rating e gran parte della stampa straniera.
Contro questa tremenda spedizione punitiva, che sottrae immediatamente dalle tasche degli italiani 40 miliardi di euro laddove bastava un riequilibrio di meno di 15 per onorare pienamente i nostri impegni comunitari, sono scesi già in campo liberi professionisti ed artigiani, commercianti e pensionati, accademici e ricercatori, governatori e sindaci, al di là ed al di sopra delle stesse appartenenze politiche.
I nostri governanti, guidati dall'ideologia della criminalizzazione dell'agiatezza e della distribuzione forzata della miseria di massa, hanno cercato di contrabbandarci questa rapina scientifica come una nobile operazione di redistribuzione delle risorse tra «ricchi» e poveri, laddove per ricchi si devono intendere coloro che hanno un reddito appena sufficiente ad una vita quotidiana senza angosce, ed invece stanno mettendo coscientemente in campo una macchina infernale che sottrarrà a tutti senza dare a nessuno, con l'effetto di impoverire la società italiana nel suo complesso e di tarpare le ali, colpendo investimenti e consumi, di una ripresa economica che pure si stava annunciando, e che avrebbe da sola potuto riequilibrare anchePag. 201i conti pubblici, come dimostra il fortissimo quanto spontaneo aumento delle entrate fiscali in tutto l'anno in corso.
Se infatti qualcuno non ci rimetterà immediatamente per effetto della revisione al rialzo delle aliquote IRPEF, che di per sé aggraverà il prelievo già sui redditi intorno ai 30 mila euro, e si sarà anche salvato da quell'ulteriore truffaldina torchiatura rappresentata dalla sostituzione del sistema delle deduzioni con quello delle detrazioni, saranno gli altri salassi (69 tasse nuove o inasprite) contenuti in questa finanziaria e nel decreto fiscale collegato a rovistare anche nelle sue povere tasche, rendendo più povero chi è già povero perfino per questa sinistra superpauperista per la quale anche un modesto funzionario è un nababbo da tartassare.
L'aumento delle tasse locali (ICI, IRPEF, TARSU) di fatto imposto dal Governo, come ho già detto, attraverso il taglio dei trasferimenti agli enti locali e la contestuale autorizzazione agli stessi ad aumentarle; l'ulteriore aumento della tassazione sulla casa per effetto della prevista revisione degli estimi catastali; la maggiorazione di bolli e super-bolli sulle auto; l'innalzamento del prelievo dal 12 al 20 per cento su BOT e CCT; l'aumento dei contributi previdenziali sul lavoro autonomo, su quello dipendente e financo, con intenti punitivi che saranno pagati soprattutto dai lavoratori stessi, su quello precario; il ripristino della tassa di soggiorno; il ripristino degli «aggi» esattoriali ossia di una vergognosa tassa sulla tassa, che peraltro si aggiunge - contro ogni assicurazione pre-elettorale - alla riedizione della tassa sulla morte (successioni e donazioni), sono soltanto alcuni dei balzelli che rincareranno il costo della vita per tutti, gravando inevitabilmente di più sui già precari tenori di vita delle componenti sociali più deboli.
Né sarà indolore per nessuno il trattamento di rapina riservato al nostro sistema di imprese ed al lavoro autonomo in genere, a partire da un inasprimento degli «studi di settore» da cui il viceministro Visco si propone di succhiare 4 miliardi di euro e dai pesanti costi che comporterà per tutti il sistema inquisitorio posto in piedi dallo stesso Visco che invaderà ogni aspetto della nostra vita quotidiana nel trionfo della cultura del sospetto e della criminalizzazione generalizzata, o la confisca del TFR sia pur soltanto per imprese medio-grandi che determinerà comunque una pesante disincentivazione alla crescita delle imprese, o l'irrigidimento di un mercato del lavoro la cui maggiore apertura è invece la sola strada per ampliare l'occupazione, o il blocco dell'ammodernamento infrastrutturale sull'altare di un paralizzante fondamentalismo pseudo-ambientalista: tutti fattori di depressione dello sviluppo, di inevitabile perdita di produttività e di competitività del sistema-Italia, di impoverimento complessivo della nostra società, da cui i primi a non salvarsi saranno gli italiani più poveri, e quindi più abbisognevoli di sviluppo economico e di occasioni di lavoro, sui quali prioritariamente ricadranno anche i costi di una crescita dell'inflazione che inevitabilmente conseguirà all'aumento dei costi di produzione e di distribuzione.
A fronte di tutto questo, l'unica vera posta attiva di questa finanziaria, che è il taglio del cuneo fiscale, è stata fortemente diluita rispetto agli impegni originari di Prodi e compagni, e soprattutto avvantaggerà quasi esclusivamente le grandi imprese ed i loro dipendenti. E, quanto al Mezzogiorno, nella finanziaria c'è un taglio secco di trasferimenti per due miliardi ed ottocento milioni di euro rispetto alle precedenti statuizioni del Governo Berlusconi, mentre ricadranno più pesantemente sugli italiani i tagli agli enti locali, molti dei quali nel Sud non riescono a garantire nemmeno la propria sopravvivenza: una vera e propria «macelleria sociale».
Se, infine, si vuole una prova finale della anti-socialità di questa finanziaria, si consideri che essa aveva «dimenticato» di confermare la possibilità del 5 per mille a favore degli organismi di assistenza e di beneficenza, ed infierisce perfino contro gli oratòri, tartassando anch'essi.
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A fronte di tutto, se da parte del Governo e della maggioranza non vi sarà alcuna volontà di rivedere le proprie decisioni, modificando radicalmente l'intero impianto di questa finanziaria e si continuerà ostinatamente sulla strada del muro contro muro e della totale chiusura al dialogo, allora una mobilitazione di massa è il minimo che si possa immaginare, quantomeno per bloccare l'andazzo di «una nuova tassa al giorno», per respingere un disegno sadico e prepotente che vorrebbe mettere le famiglie italiane nella condizione non più soltanto di »non arrivare alla fine del mese", come è stato detto per 5 anni, ma addirittura di non poterlo nemmeno iniziare.