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Discussione della proposta di legge costituzionale: Boato ed altri; D'Elia ed altri; Mascia ed altri, Piscitello: Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte (Approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dalla Camera dei deputati e approvata, senza modificazioni, in prima deliberazione, dal Senato) (A.C. 193-523-1175-1231-B) (ore 10,29).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Boato ed altri, D'Elia ed altri, Mascia ed altri, Piscitello, già approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dalla Camera e approvata, senza modificazioni, in prima deliberazione, dal Senato: Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte.Pag. 20
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce nel resoconto stenografico della seduta del 18 aprile.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 193-523-1175-1231-B)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, deputato Boato, ha facoltà di svolgere la relazione.
MARCO BOATO, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, per la prima volta, da tre legislature a questa parte, giungiamo finalmente alla seconda deliberazione, così come previsto dall'articolo 138 della Costituzione in materia di revisioni costituzionali, su questa importante proposta di legge costituzionale riferita all'articolo 27 e destinata ad abolire definitivamente qualunque riferimento alla pena di morte nella nostra Carta costituzionale.
Come è noto, il quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione stabilisce, leggo testualmente: «Non è ammessa la pena di morte,» - ma fanno eccezione - «i casi previsti dalle leggi militari di guerra». La proposta di legge al nostro esame, in seconda deliberazione, prevede appunto di sopprimere le parole: « se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Quello al nostro esame è un testo unificato che deriva da quattro proposte di legge identiche che sono state presentate alla Camera dei deputati. La prima, a mia prima firma, la seconda, a prima firma del collega D'Elia, la terza, a prima firma della collega Mascia e, infine, la quarta, a firma del collega Piscitello (quest'ultimo collega, lo ricordo, fin dalla XIII legislatura ha assunto iniziative legislative in questa materia). Queste quattro proposte di legge, come detto, sono identiche e sono state sottoscritte complessivamente da decine di deputati appartenenti a diversi gruppi parlamentari.
La prima deliberazione da parte della Camera dei deputati su questa proposta di legge risale al il 10 ottobre 2006; la prima deliberazione, sull'identico testo, si è svolta al Senato il 7 marzo 2007. Ci troviamo, pertanto, nelle condizioni di poter effettuare la seconda deliberazione essendo trascorsi dalla prima deliberazione, avvenuta, come detto, il 10 ottobre 2006, i tre mesi previsti dall'articolo 138 della Costituzione.
Una volta che la Camera dei deputati avrà effettuato la seconda e definitiva deliberazione, dal 7 giugno (vale a dire, quando anche al Senato della Repubblica saranno trascorsi i tre mesi previsti dall'articolo 138 della Costituzione) sarà possibile pervenire, con il voto anche dell'altro ramo del Parlamento, alla definitiva approvazione della riforma costituzionale in esame in questa legislatura.
È, quindi, del tutto realistico prevedere, finalmente, l'esito positivo e definitivo di tale revisione costituzionale, dopo il tentativo compiuto nel corso di tre legislature (le due precedenti e quella attualmente in corso).
Rammento che, in Italia, l'ultima esecuzione capitale - è bene ricordarlo, per memoria storica, visto che siamo all'ultimo capitolo di questa vicenda - era avvenuta, a Torino, il 4 marzo 1947 (quindi, prima dell'entrata in vigore, il 1ogennaio 1948, della Costituzione repubblicana).
Già con la legge n. 589 del 13 ottobre 1994, come abbiamo ricordato in occasione del primo dibattito in questa sede, era stata abolita la pena di morte nel codice penale militare di guerra, dove era ancora presente fino a quell'anno, nonché in qualunque altra legge militare. Debbo dare atto che, all'epoca, l'iniziativa legislativa fu intrapresa dall'allora collega ErsiliaPag. 21Salvato; anche in tal caso, tuttavia, quel provvedimento fu condiviso pressoché all'unanimità dal Parlamento.
L'Italia si è sempre battuta, del resto, affinché anche nei tribunali penali internazionali (pensiamo a quello per l'ex Jugoslavia, a quello per il Ruanda ed al Tribunale penale internazionale) non venisse comunque mai prevista, anche di fronte ai crimini più orrendi, la pena di morte. Ricordo, peraltro, che lo Statuto del Tribunale penale internazionale è stato approvato proprio qui a Roma, presso la sede della FAO.
Del resto, è nella migliore tradizione storica ed istituzionale del nostro Paese il rifiuto della pena di morte. Oltre all'insegnamento di Cesare Beccaria, più volte evocato in quest'aula, ricordo che, già nel 1889, il codice Zanardelli escludeva la pena di morte.
Purtroppo, la pena capitale era stata reintrodotta nel codice penale del 1930; fu tuttavia soppressa con il decreto legislativo luogotenenziale 10 agosto 1944, n. 244. Fu - ahimè - reintrodotta nuovamente con il decreto legislativo luogotenenziale n. 234 del 10 maggio 1945, ma poi seguì l'approvazione e l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. L'immediata attuazione del già citato articolo 27 della stessa è avvenuta attraverso il decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 21, il quale abolì la pena di morte prevista dalle leggi speciali diverse da quelle militari di guerra.
Come abbiamo visto, infatti, nelle leggi militari di guerra la pena capitale è rimasta in vigore fino al 1994. Ciò perché, come ho già ricordato, si è dovuta attendere la XII legislatura, con l'approvazione della legge n. 589 del 13 ottobre 1994, per avere la definitiva abolizione della pena di morte anche dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra.
Ricordo il ruolo svolto, nella XIII legislatura - ne sono testimone diretto e, in parte, anche coprotagonista, assieme ad altri colleghi -, dal collega Piscitello, dal relatore Maccanico e dalla presidente della Commissione affari costituzionali, Rosa Russo Jervolino. Rammento, altresì, che nella XIV legislatura fui io stesso il presentatore, nonché il relatore, della proposta di legge in materia.
Dalla XIII legislatura, quindi, si è più volte tentato di intraprendere il percorso della definitiva revisione costituzionale dell'articolo 27 della nostra Carta. Purtroppo, come già detto, sia nella XIII, sia nella scorsa legislatura (vale a dire, la XIV), la relativa proposta di legge di revisione costituzionale veniva approvata, pressoché all'unanimità, alla Camera dei deputati, ma successivamente non proseguiva il suo iter al Senato della Repubblica.
Per fortuna, in questa legislatura l'andamento è stato diverso. Come ho ricordato all'inizio, questa volta il comportamento del Senato è stato assolutamente positivo, e di ciò voglio dare atto pubblicamente, non solo a tutti i senatori e a tutti i gruppi del Senato, ma in particolare alla I Commissione Affari costituzionali del Senato e al suo presidente Enzo Bianco; così come bisogna dare atto della tempestività con cui, sia in prima lettura che ora in seconda deliberazione, la Commissione affari costituzionali della Camera, presieduta dal presidente Violante, ma con il consenso - lo ripeto ancora una volta - di tutti i gruppi parlamentari, ha affrontato in modo condiviso e unanime l'esame di questa proposta di legge costituzionale.
L'approvazione definitiva della riforma dell'articolo 27 della Costituzione porterà l'Italia ad un più alto livello sotto il profilo internazionale e la farà diventare finalmente un Paese totalmente abrogazionista non solo di fatto, come già è oggi, non solo nell'ordinamento legislativo ordinario, come è già oggi, ma finalmente anche sotto il profilo costituzionale.
Questa riforma costituzionale è anche, signor Presidente, colleghi, il miglior viatico per il Governo nel momento in cui è impegnato sotto il profilo internazionale a presentare e a far approvare dall'Assemblea generale dell'ONU una risoluzione per la moratoria universale sulla pena di morte, battaglia che è stata condivisa unanimemente in quest'aula e che è ancora inPag. 22atto sul piano politico, anche quello esterno a questa aula: voglio qui ricordare la testimonianza e l'impegno di Marco Pannella.
Voglio anche ricordare da ultimo che tale riforma costituzionale si colloca pienamente nel solco di una pluriennale attività di indirizzo e di iniziativa contro la pena di morte sia da parte del Parlamento europeo e dell'Unione europea, di cui non si può entrare a far parte oggi senza abolire la pena di morte nell'ordinamento interno di ciascuno Stato, sia da parte del Consiglio d'Europa e dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa stesso.
Per quanto riguarda l'Unione europea è importante ricordare il percorso che va dal Trattato di Amsterdam alla Carta dei diritti fondamentali di Nizza, carta che, come tutti sanno, è poi ricompresa nel Trattato costituzionale europeo, firmato e ratificato dall'Italia, ma non ancora entrato in vigore per le note difficoltà emerse in Francia e in Olanda.
Innumerevoli sono i documenti approvati dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo, dal Consiglio d'Europa, dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. A tale riguardo, voglio ricordare che, mentre il Protocollo n. 6, aggiunto alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato nel 1983, entrato in vigore nel 1985 e comunque ratificato dall'Italia soltanto nel 1989, ha introdotto, all'articolo 1, il principio dell'abolizione della pena di morte, mantenendo però alcune eccezioni nel caso delle leggi militari di guerra; successivamente, l'attività del Consiglio d'Europa e della sua Assemblea parlamentare si è enormemente rafforzata in questa direzione.
Fra i moltissimi documenti ricordo la raccomandazione n. 1246 del 1994, la risoluzione n. 1044 sempre del 1994, la risoluzione n. 1097 del 1996, la raccomandazione n. 1302 del 1996, la risoluzione n. 1187 del 1999, la risoluzione n. 1253 del 2001, e via elencando: sono documenti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa di straordinaria importanza e con i quali, in particolare, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha, tra l'altro, reso l'immediata moratoria e l'abolizione della pena di morte quali condizioni preliminari per poter aderire al Consiglio d'Europa.
Uno dei contributi più significativi e ulteriori del Consiglio è rappresentato dall'approvazione del Protocollo n. 13, allegato alla già citata Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che è un ulteriore e definitivo passo in avanti rispetto al già ricordato Protocollo n. 6.
Infatti, il Protocollo n. 13 aggiuntivo, allegato alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, si propone l'abolizione totale e indiscriminata della pena di morte, senza più nemmeno le pur limitate eccezioni contemplate, come ho già detto, nel Protocollo n. 6.
Il Protocollo n. 13 è stato adottato definitivamente dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 21 febbraio 2002 ed è stato aperto alla firma il 3 maggio 2002. Approvare definitivamente la revisione costituzionale dell'articolo 27, oggi al nostro esame in seconda deliberazione, sarà quindi condizione necessaria per poter finalmente, anche da parte dell'Italia, ratificare il Protocollo n. 13 allegato alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (ripeto, tale Protocollo prevede che non ci possa essere nessuna eccezione rispetto al principio generale e assoluto di abolizione della pena di morte).
Per concludere, signor Presidente, signor rappresentante del Governo e colleghi, la decisione che il Parlamento italiano si accinge a prendere, a partire da questa seconda deliberazione, per la definitiva eliminazione di qualunque riferimento alla pena di morte nella Costituzione italiana sarà - sono sicuro - di aiuto, di sostegno e di indirizzo al Governo anche per sviluppare la massima iniziativa per la moratoria universale della pena di morte da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
STEFANO BOCO, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali.Pag. 23Signor Presidente, rinuncio al mio intervento e mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare il deputato Allam. Ne ha facoltà.
KHALED FOUAD ALLAM. Signor Presidente, da tanto tempo sostengo che nel mondo estremamente conflittuale nel quale noi viviamo è probabilmente necessario fondare o rifondare una grammatica delle relazioni internazionali. Probabilmente, uno degli elementi fondanti di questa necessaria, per non dire urgente, grammatica delle relazioni internazionali si basa, a mio avviso, sulla grande questione della pena di morte. Ciò non solo perché tale problematica segna, comunque, un confine fra una prospettiva e l'altra, ma perché, in realtà, la questione della pena di morte e del suo superamento nella legislazione di alcuni paesi potrebbe determinare la costruzione di uno standard giuridico, ma anche filosofico, che potrebbe permettere, in un certo senso, di segnare un passo avanti delle nostre società.
Mi rendo perfettamente conto che tutto questo non pone soltanto un problema di filosofia politica nell'accettazione della moratoria universale per l'abolizione della pena di morte, ma, ovviamente, consente di rivolgere uno sguardo analitico su paesi che la prevedono nella loro legislazione. Io provengo da una cultura di un mondo, i paesi arabi, in cui vige la pena di morte, ma, nel sollevare questa grande questione e nel relazionarsi con difficoltà con i paesi in cui è ancora presente, non dimentichiamo che anche nella politica e nel diritto c'è una specie di virtù pedagogica. Tale virtù pedagogica, che sarebbe in grado di aiutare alcuni paesi a superare questa frontiera, potrebbe permettere - lo ribadisco nuovamente - la fondamentale odierna necessità di rifondare la grammatica delle relazioni internazionali. Infatti, definire, costruire e far accettare, giuridicamente parlando, in un contesto certamente molto complicato, la moratoria universale della pena di morte, significherebbe in un certo senso definire un consenso sovranazionale sul quale precisare realmente cosa possono essere i diritti dell'uomo in una società plurale, in una società culturalmente diversa, ma legata essenzialmente a punti cardinali che non possono essere oltrepassati.
In realtà, noi parliamo spesso di universalismo, ma quest'ultimo non è qualcosa di astratto e si ha bisogno di definirne i contenuti.
Fra questi contenuti estremamente variegati mi sembra evidente che il superamento della pena di morte sia un elemento fondante di questa drammatica relazione internazionale, anche ai fini della definizione di un futuro consenso politico rispetto a tale questione.
L'altra questione che mi sembra evidente è la necessità di sollevare e definire dei nuovi archetipi di ordine filosofico e politico, ma anche ovviamente definire una metodologia e, soprattutto, una strategia politica. Credo che, da questo punto di vista, l'Italia vada in questo senso e, al riguardo, vorrei ricordare il lavoro e la sensibilità dimostrata dall'onorevole Pannella. In realtà, il fatto di aver sollevato tale questione anche in tempi in cui la stessa non era in discussione ed averla ribadita dopo la vicenda di Saddam Hussein significa in un certo senso che la pena di morte rappresenta un po' uno specchio di questa nostra umanità: ci dice dove vogliamo andare e in che senso potremo definire una visione positiva nella quale giuridicamente e politicamente il consenso della società mondiale potrebbe essere definito.
La pena di morte, al di là delle differenze e delle strategie necessarie per costruire questo consenso e farlo accettare in sede di Nazioni Unite, mi sembra essere una delle più grandi questioni dal punto di vista del diritto internazionale e dell'affermazione dei diritti dell'uomo, della loro fondatezza in quanto diritti universali.
Perciò, si tratta di un incoraggiamento e soprattutto di una battaglia da portare avanti affinché, attraverso la moratoria della pena di morte, possa essere definitoPag. 24uno standard veramente universale nel pieno consenso della società internazionale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, sono molto contento che in questa occasione sia lei a presiedere l'Assemblea: mi rivolgerò anche a lei, signor Presidente Bertinotti, nel corso di questa discussione sulle linee generali concernente un provvedimento di riforma della nostra Costituzione, volto a cancellare un ultimo retaggio di un passato ormai assolutamente espunto dalla coscienza civile e giuridica del nostro Paese: mi riferisco all'abolizione di qualsiasi riferimento alla pena di morte ancora presente nella nostra Costituzione.
Con questa riforma ci liberiamo di un anacronismo, ma ritengo che si debba discutere anche dell'attualità della pena di morte nel mondo. Nel 1994 l'abbiamo cancellata dal nostro ordinamento militare e con la nuova Costituzione, dopo il fascismo, è stata cancellata anche dai codici penali. Pertanto, possiamo a tutti gli effetti considerarci un Paese totalmente abolizionista. Tuttavia, ciò non ci deve soddisfare, se sappiamo che vicino a noi nel mondo - in un mondo sempre più prossimo alla globalizzazione - vi sono ancora paesi in cui la pena di morte viene praticata ed in cui ogni anno migliaia di condannati a morte vengono giustiziati spesso nel silenzio e nell'indifferenza generale. Si tratta, infatti, di condannati che non hanno neanche la dignità di persona, in quanto sono uccisi in paesi illiberali e totalitari. Il 99 per cento delle esecuzioni avviene in questi paesi e i condannati sono dimenticati e innominati.
Quindi, occorre porre fine alla pena di morte: non siamo dei fondamentalisti in nulla e, quindi, neanche nell'abolizionismo. Porre fine alla pena di morte significa moratoria delle esecuzioni capitali.
Nel 1994 l'abbiamo cancellata dai codici militari e proprio nello stesso anno l'Italia ha deciso di proiettare a livello internazionale la sua posizione abolizionista.
Fu proprio nel 1994 che il Governo Berlusconi, allora in carica, decise di presentare alle Nazioni Unite una proposta di risoluzione per una moratoria delle esecuzioni, la quale fu respinta per soli otto voti, a causa del fatto che quattro paesi europei, iperdemocratici e abolizionisti totali, ritennero opportuno in quella circostanza non votare una risoluzione in materia, trattandosi - a loro avviso - di una soluzione poco efficace rispetto alla prospettiva di un'abolizione generalizzata e perpetua.
Perdemmo, ma fu una grande vittoria dell'Italia, che ebbe il merito di smuovere le acque e di sollevare la questione in sede di Nazione Unite: per la prima volta, il termine «moratoria» entrò nell'agenda delle Nazioni Unite e nel vocabolario della lotta - non fondamentalista, ma pragmatica - per l'abolizione della pena di morte.
Quello della moratoria è, come dimostra l'esperienza, lo strumento più funzionale ad ottenere l'abolizione della pena di morte, senza passi indietro.
Tutti i paesi che hanno deciso di abolire la pena di morte sono passati infatti attraverso moratorie (ad esempio, i paesi dell'ex Unione Sovietica o il Sudafrica): solo un discorso politico e pragmatico, in definitiva, può portarci ad abolirla.
Tornando a tempi più recenti, perdemmo dunque per otto voti nel 1994. Si è poi ripetutamente assistito, in questi anni, ad un fatto che è, a parer mio, di una gravità inaudita.
Più volte si è infatti tentato di riportare la questione all'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla base di delibere del Parlamento italiano e del Parlamento europeo, oltre che di altri organismi internazionali, come il Consiglio d'Europa, finalizzate, appunto, ad impegnare il Governo italiano e quelli dell'Unione europea a procedere alla presentazione di una risoluzione all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Nel 1999 la risoluzione venne effettivamente presentata, ma poi, come ci ha ricordato in questi giorni l'autorevole ambasciatore italiano all'ONU Francesco Paolo Fulci, giunse da Bruxelles, dopo chePag. 25la risoluzione medesima, già depositata - era pronta per essere sottoposta a votazione - l'ordine da parte dei ministri degli esteri dell'Unione europea (in quel momento - lo ricordo - era in carica il Governo D'Alema ed il ministro degli esteri era Dini) di sospendere qualsiasi iniziativa e di ritirare la risoluzione già presentata.
Il motivo ufficiale - ma l'ambasciatore Fulci ha precisato che si trattava probabilmente di un pretesto - consistette nel fatto che si temeva di andare incontro ad una sconfitta.
In realtà, l'ambasciatore Fulci aveva personalmente provveduto a contattare un centinaio di ambasciatori rappresentanti di vari paesi del mondo, i quali avevano assicurato il loro sostegno alla risoluzione.
Quindi, la risoluzione fu ritirata perché ci fu la paura di vincere, non di perdere questa battaglia!
Ciò avrebbe messo evidentemente in difficoltà paesi molto importanti e potenti, in particolare il paese politicamente ed economicamente più potente del mondo, ossia gli Stati Uniti, nonché la Cina. Questa fu la ragione.
Si è così arrivati al 2003, quando il Governo Berlusconi, che si era impegnato davanti al Parlamento europeo e al Parlamento italiano a presentare la risoluzione all'ONU, dovette affrontare durissime polemiche, anche in sede parlamentare, dal momento che non ottemperò all'impegno preso.
Ebbene, nel luglio scorso, la Camera dei deputati ha approvato, all'unanimità, una mozione che impegna il Governo a portare la risoluzione in questa Assemblea generale, in 'consultazione' con i partner europei, ma - come è stato chiaramente precisato, oltre che nel testo della mozione, anche nel dibattito parlamentare di luglio scorso - senza vincolarsi al consenso unanime dei paesi membri dell'Unione europea. Tale era il dispositivo della mozione approvata; l'Assemblea generale è iniziata a settembre scorso, ma il Governo italiano non ha presentato la risoluzione allora, tant'è che - e giungiamo così anche a quanto ha riguardato il suo ruolo, Presidente Bertinotti - in ottobre, ad un mese dall'apertura dei lavori dell'Assemblea generale, il Governo non aveva proceduto nel senso nel quale si era impegnato dinanzi al Parlamento. Abbiamo nuovamente presentato un atto di indirizzo, una risoluzione, in sede di Commissione affari esteri della Camera; il Governo, in quella sede, a fronte di un dispositivo «netto», che chiedeva al Governo stesso di dare tempestiva e piena attuazione al dispositivo della mozione di luglio, ci ha invece proposto uno stravolgimento del testo chiedendoci di soprassedere su quell'impegno perché il Governo aveva deciso di procedere altrimenti. Vale a dire, aveva deciso di intervenire non attraverso la presentazione di una risoluzione nella riunione in corso dell'Assemblea generale, ma attraverso la presentazione di un documento di nessun valore ufficiale, formale, politico e istituzionale: una dichiarazione di principi e di intenti contro la pena di morte. Ebbene, il Governo fu battuto all'unanimità in Commissione ed il sottosegretario Vernetti uscì da quella riunione rilasciando alle agenzie di stampa una dichiarazione in ordine al fatto che, certo, esistono i Parlamenti, con i loro giusti appelli, con i loro stimoli e con loro sollecitazioni. Ma come, Presidente Bertinotti, un atto di indirizzo approvato da un organismo parlamentare, dall'Assemblea dapprima e quindi dalla Commissione, può essere considerato come un appello, uno stimolo rispetto al quale, poi, il Governo può decidere cosa fare? Lei intervenne allora, Presidente Bertinotti, per sostenere che il Parlamento non è una organizzazione non governativa, non rivolge appelli né procura stimoli, ma adotta precisi atti di indirizzo ai quali il Governo si deve «semplicemente» e «letteralmente» attendere.
Ma sono passati ancora cinque o sei mesi, Presidente! Siamo giunti al 18 aprile e non esiste ancora traccia, non dico di una risoluzione già presentata in sede di Assemblea generale - come chiedeva la Camera - ma neanche di un testo qualsiasi del Governo. Ebbene, il 2 gennaio scorso, a seguito di un'iniziativa durissimaPag. 26di Marco Pannella (otto giorni di sciopero della fame e della sete), una nota ufficiale di Palazzo Chigi, che riporto testualmente, ha dichiarato che il Presidente del Consiglio ed il Governo tutto si impegnavano ad «avviare le procedure formali perché questa Assemblea generale delle Nazioni Unite metta all'ordine del giorno la questione della moratoria universale sulla pena di morte».
Ma ciò, ancora ad oggi, non è avvenuto. Il 1o febbraio, il Parlamento europeo ha ribadito - peraltro, in maniera forse anche irrituale - la propria posizione. Non solo ha approvato una risoluzione che chiede la presentazione della moratoria, impegnando in tal senso i paesi membri dell'Unione, ma ha addirittura dichiarato che questi ultimi devono sostenere l'iniziativa del Governo italiano. Quindi, vi è un'iniziativa del Governo italiano che viene riconosciuto leader in questa campagna per la moratoria; ma, ad oggi, il Governo non ha ancora agito in tal senso. Due sono gli argomenti che sono stati addotti a questo riguardo: da un lato, si sostiene di non avere certezza del risultato, come dichiarò Paolo Fulci già nel 2003. Voglio solo ricordare, a tale proposito, che quando, nel 1994, perdemmo per otto voti, vi erano, rispetto ad oggi, ben 45 paesi in più che facevano parte del blocco degli Stati praticanti la pena di morte e mantenitori di tale istituto; e perdemmo per otto voti! Anche ora si continua ad osservare che non vi è certezza di vittoria; ma questa è una battaglia vinta in partenza. Una battaglia che, se si perde, la si perde perché si decide di non condurla fino in fondo.
Si sostiene che occorre il consenso europeo; ebbene, ieri, in sede di Commissioni affari esteri riunite di Camera e Senato, è stato audito il Segretario generale delle Nazioni unite il quale anche al Governo italiano, oltre che al Parlamento, ha manifestato il suo sostegno. Si è rivolto non all'Unione europea ma al Governo italiano invitandolo a procedere in Assemblea generale ed a cercare quel consenso che non ha in Europa - ed è uno scandalo dell'Europa dei diritti umani! - in sede di Assemblea generale delle Nazioni unite. Ha manifestato, in tal senso, al Governo italiano tutto il suo sostegno, quindi il sostegno del Segretario generale delle Nazioni unite.
Ebbene, questa è la situazione; ritengo, Presidente Bertinotti, che noi dobbiamo a questo punto esigere una corretta condotta del Governo. È un problema che riguarda la sovranità, il primato e la dignità del Parlamento, che non rivolge appelli ma adotta precisi atti di indirizzo rispetto ai quali il Governo si ritiene, invece, libero di decidere.
Il Governo, Presidente Bertinotti, va richiamato al rispetto dei deliberati del Parlamento, ma anche dei suoi stessi impegni. Mi riferisco alla nota ufficiale di Palazzo Chigi del 2 gennaio scorso.
Su questo obiettivo, personalmente da tre giorni e Marco Pannella dal 21 marzo, insieme ad altri compagni, militanti abolizionisti radicali quali Valter Vecellio, Guido Biancardi, Claudia Sterzi, Lucio Bertè, abbiamo intrapreso uno sciopero della fame ad oltranza. Ciò non significa che durerà fino all'ottenimento del risultato o dell'obiettivo, positivo o meno, del voto: l'obiettivo è che il Governo corrisponda pienamente agli impegni assunti davanti al Parlamento e proceda alla presentazione di una risoluzione in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Non è un ricatto. La nostra debolezza, che acquisiamo di giorno in giorno con il nostro sciopero della fame, per il principio dei vasi comunicanti, può divenire forza del Governo.
C'è stata una marcia il giorno di Pasqua a Roma, alla quale lei, Presidente, ha trasmesso un autorevole e convinto messaggio, come ha fatto anche il Presidente della Repubblica, cui hanno aderito anche 17 ministri di questo Governo.
Noi mettiamo a disposizione la mobilitazione popolare e dell'opinione pubblica, dando corpo alle idee e agli obiettivi che ci convincono e che uniscono noi e il Parlamento in una straordinaria convergenza di maggioranza ed opposizione. NonPag. 27è consueto che ci sia convergenza in questo Parlamento, ma l'abbiamo ottenuta su questo obiettivo.
Quindi, non c'è nessun ricatto, ma trasferiamo la forza della non violenza a chi di questa può dotarsi per procedere, a sua volta più forte, sul nostro obiettivo, che sono convinto, signor Presidente, lei condivida in pieno.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stucchi. Ne ha facoltà.
GIACOMO STUCCHI. Ho ascoltato con molto interesse l'intervento del collega D'Elia. Non ripeterò alcune delle sue valutazioni estremamente interessanti e le critiche all'azione di Governo, che non è rispettoso della volontà del Parlamento.
Ha ragione D'Elia quando afferma che quelli espressi da quest'Assemblea e dalle Commissioni parlamentari non sono indirizzi, non sono suggerimenti, ma atti precisi di indirizzo cui il Governo si dovrebbe attenere e che dovrebbe rispettare, soprattutto su questioni così delicate e importanti.
Infatti, quando si parla di pena di morte, si tocca uno degli argomenti che vengono dibattuti anche all'interno dell'opinione pubblica solo quando accadono determinati eventi o delitti efferati, ma che, per chi fa politica e lavora all'interno di quest'aula, devono essere tenuti in considerazione quotidianamente.
Argomenti così delicati devono essere affrontati con la massima attenzione. Un Governo che non è sensibile a tali questioni o che ha paura di giocare una partita a livello internazionale, perché la ritiene persa in partenza, non fa fare una bella figura al nostro paese.
Allora, forse - perdonate la mia provocazione - bisognerebbe avere la forza di cambiare Governo e trovare qualcuno che abbia in sé questa forza - dalle mie parti utilizzerebbero un'espressione più volgare, ma in quest'aula forse non è opportuno riportarla - e che possa impegnarsi nelle istituzioni internazionali per ottenere un risultato auspicato da tutti.
Però una cosa è auspicare a parole, un'altra cosa è passare ai fatti: c'è una differenza fondamentale.
Detto questo, e per evitare di ripetere le considerazioni svolte dall'onorevole D'Elia ma anche da altri colleghi - ringrazio l'onorevole Boato per la relazione che ha svolto non solo oggi ma anche in sede di prima deliberazione -, riconfermo il giudizio favorevole del gruppo della Lega Nord Padania sulla proposta di legge costituzionale in esame.
Non è la prima volta che affrontiamo l'argomento, l'abbiamo già fatto qualche mese fa sempre in questa legislatura, mentre nella precedente si lavorò attorno a questo tema ad opera del collega Fontanini. Manteniamo da tempo la stessa linea, che è ispirata dai valori di riferimento del nostro movimento: il bene supremo della vita che deve essere tutelato ad ogni costo. È una battaglia di civiltà, una battaglia di tutela della nostra cultura, una battaglia a difesa delle nostre radici comunitarie. Si tratta di una partita che deve essere giocata anche accettando di «scontrarsi» con paesi amici, con paesi che dialogano continuamente con noi.
Il provvedimento in esame è anche un forte monito a tutti coloro che, in determinati paesi, sono abituati a considerare quella del «boia» una professione ordinaria, come fosse un operaio o un impiegato. Si tratta di un monito anche per quei governi, mi consenta signor rappresentante del Governo, che accettano di trattare con i tagliatori di gole, con coloro che su questioni fondamentali, come la pena di morte, non stanno molto a discutere o a farsi problemi: quando devono giustiziare delle persone dopo aver fatto un processo sommario - spesso non lo fanno nemmeno -: non hanno il minimo scrupolo a procedere in quella direzione.
È il momento giusto per riflettere e per invitare gli altri a fare altrettanto. Svolgeremo il nostro ruolo, non oggi ma con l'approvazione definitiva che sicuramente vi sarà al Senato; come paese ci porremo in una condizione che ci permetterà di essere tra i leader a livello mondiale su tale questione. Potremo essere, se mi consentitePag. 28di usare questo termine, degli «apostoli», persone che si impegnano per convincere gli altri referenti istituzionali e diversi paesi del mondo sulla necessità di seguire questa strada. Potremo quindi essere presi come esempio, ma dobbiamo agire con convinzione. Questa Assemblea ha dimostrato tale convinzione. Mi auguro che anche il Governo faccia la sua parte e segua questa linea, perché non credo che nel paese vi sia una difformità di vedute rispetto alla posizione assunta dalla Camera e dalle Commissioni parlamentari. Credo invece che vi sia un distacco tra quello che desidera il paese, il cittadino comune, e quello che sta facendo il Governo. Lo testimonia l'unanimità di quest'Assemblea sul provvedimento in esame.
Non voglio fare polemiche politiche cui l'argomento non vi si deve prestare, quindi invito al Governo a cogliere lo spirito della proposta di legge costituzionale in esame e a fare tutto il possibile per addivenire ad una soluzione definitiva e positiva, che riguardi non solamente il nostro paese - a questo possiamo pensare da soli - ma tutto il mondo, tutti i popoli, tutti i cittadini di questo pianeta.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, credo, avendo ascoltato gli ultimi due interventi, che non dobbiamo perdere il senso vero e profondo della discussione che stiamo svolgendo e del voto che esprimeremo sulla proposta di legge costituzionale in esame relativa alla soppressione del riferimento alla pena di morte contenuto in un inciso dell'articolo 27 della Carta costituzionale.
Lo dico, onorevole D'Elia, perché noi, come gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, abbiamo appoggiato con convinzione, come lei sa, la risoluzione che impegnava il Governo a presentare in sede di Assemblea generale dell'ONU una proposta di risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Devo anche aggiungere che il fatto di concentrarci soltanto sulle inadempienze del Governo (sulle quali svolgerò in seguito alcune considerazioni) e di impegnarci affinché queste inadempienze vengano superate non deve cancellare il dato di fondo della discussione odierna.
Finalmente, dopo tre legislature - come ha ricordato il collega Boato - siamo giunti alla seconda lettura della proposta di legge costituzionale in esame e, poiché siamo ancora al primo anno della XV legislatura, esiste la possibilità reale che questo provvedimento veda la luce e che, pertanto, si cancelli l'ultima traccia della pena di morte contenuta nella nostra Carta costituzionale (nell'ordinamento era già sparita), un peccato, una sforbiciata, che ledeva la bellezza dei principi contenuti nella nostra Costituzione del 1948.
Vorrei preliminarmente fare il punto del dibattito svoltosi in ordine all'abolizione della pena di morte. Siamo giunti alla seconda lettura e se riuscissimo ad approvare la proposta di legge con la maggioranza dei due terzi, sia alla Camera sia al Senato, questa diventerebbe immediatamente legge dello Stato, senza necessità di attendere i tre mesi e senza ricorrere al referendum, che credo comunque nessuno in Italia richiederebbe.
Se le due Camere riuscissero, ripeto, ad approvare il testo con la maggioranza dei due terzi dei loro componenti, si darebbe un segnale molto importante al paese e forse anche al Governo di una volontà politica ferma e forte, non limitata soltanto alla richiesta della soppressione dell'inciso dell'articolo 27 che prevede la pena di morte, ma estesa ad un impegno politico più generale - contenuto già nella risoluzione a cui faceva riferimento l'onorevole D'Elia -, in modo che il nostro Esecutivo si impegni a presentare la proposta di risoluzione nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Ritengo che un voto favorevole (mi auguro con la maggioranza dei due terzi delle due Camere) renderà onore alla tradizione della nostra cultura e civiltà giuridica, poiché - come ha ricordato più volte l'onorevole Boato - il primo codice penale d'Italia (che dobbiamo a quel liberalePag. 29illuminato di Zanardelli) non contemplava la pena di morte. Essa fu reintrodotta durante il fascismo e poi nuovamente abolita durante la Resistenza e successivamente, grazie alla nuova cultura costituzionalista di difesa dei diritti della persona, pur permanendo nella Costituzione il richiamo al codice militare di guerra.
Ci inseriamo in una lunga onda della nostra cultura e civiltà giuridica e per questo dicevo all'inizio che non dobbiamo segnare un neo nella discussione odierna, perché il dato fondamentale è costituito appunto da questa abolizione, che avviene sulla scia di impegni di organismi internazionali e di organismi europei (non solo quelli dell'Unione europea, ma anche del Consiglio d'Europa) che in numerose risoluzioni si erano impegnati a sollecitare l'abolizione della pena di morte.
Vorrei ricordare che il Parlamento europeo, altro organismo altamente rappresentativo, il 5 luglio del 2001 ha approvato una risoluzione - è questo il punto su cui voglio richiamare l'attenzione dell'Assemblea - in cui si richiamava il dato drammatico dell'esistenza della pena capitale anche per i minori di diciotto anni e per i ritardati mentali. La radicale brutalità della pena di morte, infatti, non conosce confini, e colpisce anche minori e ritardati mentali. A tale brutalità dobbiamo porre fine.
In Italia, per fortuna, anche nell'ambito militare, la pena di morte non è più applicata da molti decenni. Ma l'abrogazione di cui oggi si discute significa che è ormai stato maturato un impegno da parte delle istituzioni italiane, e del Parlamento innanzitutto, perché la pena di morte venga abolita su scala internazionale. Per queste ragioni ho fatto riferimento - come anche il collega Boato - alle risoluzioni degli organismi internazionali sul tema.
Ho molto apprezzato in proposito, questa mattina, un riferimento assai significativo fatto dal deputato Allam: nell'ampia discussione che si svolge in questo periodo sul cosiddetto conflitto di civiltà, infatti, è particolarmente importante che si lavori insieme in un confronto fra le diverse radici culturali, al fine di individuare i nuclei fondamentali dei diritti universali. L'Europa non si erge, dunque, a giudice e censore delle civiltà degli altri paesi, ma vuol ricercare un confronto. Da ciò deriva l'importanza della discussione in sede ONU, e su tale aspetto concordo con il collega D'Elia. È in tale sede, infatti, che si può far maturare un consenso che coinvolga non solo i paesi europei (anzi, alcuni di essi sono piuttosto restii a manifestare tale consenso), ma l'intera comunità mondiale. Ciò al fine di raggiungere non solo la moratoria, ma, attraverso essa, anche l'apprezzamento di uno dei diritti fondamentali, quello alla preservazione della vita umana, che è messo in discussione anche da parte di chi esercita il potere e la violenza legittima - come scriveva Weber -, ossia lo Stato.
Per questi motivi, sono convinto che affermare il diritto universale al rispetto della vita umana sia importante; e farlo in sede ONU significa non voler imporre un punto di vista maturato nell'Occidente - tanto più che nello stesso Occidente, come insegna il caso degli Stati Uniti, la pena di morte è ancora utilizzata (così come lo è anche in Oriente, come insegna il caso della Cina). Si va così al di là degli scontri di civiltà e degli orientamenti religiosi. Del resto, come dicevo, vi è da un lato un Governo di tipo tradizionalista cristiano, quale quello degli Stati Uniti d'America, e dall'altro un Governo che dichiara di ispirarsi ai valori del materialismo, che praticano entrambi la pena di morte. Siamo dunque di fronte alla forte affermazione di un primo diritto universale che attraversa l'insieme dell'umanità; e la sede per ribadire tale affermazione è proprio l'ONU.
La seconda considerazione - e mi avvio a concludere - è la seguente: ho letto con la dovuta attenzione gli atti del Senato e vi ho riscontrato una affermazione che mi ha leggermente inquietato. Voglio comunicare tale affermazione all'Assemblea, perché essa motiva un convincimento laico nella costruzione dell'argomentazione a favore dell'abolizione della pena di morte. Al Senato è stato affermato che dovremmoPag. 30essere a favore dell'abolizione della pena capitale perché lo Stato deve mostrare una propria superiorità morale rispetto a chi si macchia del crimine dell'assassinio di un'altra persona. Devo dire che non sono d'accordo con l'affermazione di questo primato morale dello Stato.
Vorrei motivare il mio disaccordo in proposito ricordando un grande pensatore reazionario, ovvero il padre di tutte le concezioni autoritarie dello Stato: naturalmente sto facendo riferimento al grande Hobbes. Egli nel suo Leviatano costruisce razionalmente il rapporto tra cittadino ed autorità statale (sto ricordando concetti molto semplici) nonché il patto di soggezione del cittadino allo Stato. Tuttavia, Hobbes afferma anche che, nel momento in cui la pretesa punitiva dello Stato si estende fino alla messa in discussione della sicurezza fisica del cittadino, il patto di soggezione - 1'unico ad essere da lui previsto - viene a cadere. Quindi, anche questo teorico reazionario, esaltatore della potenza dello Stato, comprese perfettamente senza ricorrere ad ideali cristiani o morali (per questo avevo menzionato il carattere della laicità) che lo Stato nasce per dare sicurezza ai cittadini e non per metterla in crisi. Non vi è bisogno di ricorrere ad un preteso primato morale dello Stato sul singolo per affermare la necessità laica di cancellare la pena di morte, così come per fortuna hanno fatto per primi gli Stati occidentali nel corso dei secoli.
Ho ricordato tali concetti perché credo che non dobbiamo avere un'idea etica dello Stato, bensì affermare una visione laica e, per quanto mi riguarda, anche la costruzione laica dei valori universali della persona umana. Se non percorriamo la strada (mi si consenta questa via traversa) di costruire con la ragione laica i valori universali della persona, rischiamo di inoltrarci ancora una volta in una discussione nella quale l'Italia è stata già coinvolta, relativa a cosa sia e dove inizi la vita umana. Penso invece che dobbiamo sforzarci di difendere la dignità della persona - e quindi in questo caso di essere contrari alla pena di morte - mantenendo un approccio profondamente laico. Il riferimento ad Hobbes indica una strada che rende possibile raggiungere alti valori morali a livello sociale e civile senza percorrere strade religiose. Non vuole essere un'accusa, ma oggi molto spesso le spinte religiose si traducono in affermazioni fondamentaliste, settarie e di parte, piuttosto che invitare alla tolleranza reciproca.
Signor Presidente, in conclusione ritengo che la sollecitazione posta in essere dall'onorevole D'Elia in relazione alla moratoria sia particolarmente importante, così come considero importante e significativo l'appello a lei rivolto dallo stesso collega, a cui mi associo. Non intendo sindacare le argomentazioni addotte dal senatore Vernetti e dunque lungi da me l'intenzione di considerarlo la pietra dello scandalo. Tuttavia, dico solo che il Governo nella sua collegialità è stato impegnato ad attuare una risoluzione del Parlamento. Trattandosi di un atto di indirizzo, al Governo non è data facoltà di scegliere, perché non si tratta di un'opzione. Al contrario, il Governo ha l'obbligo di dare attuazione all'atto di indirizzo approvato dal Parlamento con cui si chiede di presentare una proposta di risoluzione in sede ONU. Non si tratta di una dichiarazione di principio unilaterale, bensì di uno strumento che impegni le Nazioni Unite a dare attuazione alla moratoria. Si tratta di un punto particolarmente importante che tuttavia non cancella l'atto interno, ovvero il provvedimento di legge in oggetto su cui stiamo discutendo. Al contrario, questi due momenti possono rafforzarsi reciprocamente.
Vorrei ringraziare il relatore Boato e l'onorevole D'Elia (quindi la cultura radicale) che in questi anni si sono impegnati con convinzione in questa battaglia nel corso delle ultime legislature, insieme ad altre parti politiche e culturali come la nostra. Pertanto, nel ribadire i ringraziamenti al relatore e la solerzia con cui il Senato ha approvato il provvedimento in oggetto, esprimo l'augurio che esso sia approvato dalla Camera a maggioranza di oltre i due terzi dei suoi componenti, in maniera che il Senato faccia altrettanto,Pag. 31concretizzando finalmente il disegno portato avanti da molti anni che si propone di cancellare l'inciso dell'articolo 27 della nostra Carta costituzionale.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente, do per scontato che ci sarà il voto dei due terzi della Camera dei deputati sul provvedimento al nostro esame, coerentemente con le dichiarazioni già espresse sulla materia negli anni precedenti e, soprattutto, nel corso del suo primo passaggio alla Camera.
Intendo, quindi, approfondire quale sia il significato politico che vogliamo dare alla proposta di legge costituzionale al nostro esame. Il collega Russo ha esortato a non aprire una polemica con il Governo in relazione alla risoluzione dell'ONU, perché essa potrebbe togliere valore a quanto stiamo facendo nell'ambito del diritto interno. Ritengo che, quando si modifica la Costituzione, non si può soltanto effettuare un'operazione di restyling o di lifting, semplicemente eliminando alcune sue disposizioni, ma occorre fare qualcosa di più. Dando per scontato che alcuni principi sono profondamente insiti nella nostra cultura, avrebbe un significato estremamente riduttivo limitarsi ad eliminare un residuato storico, un errore del passato, e adeguare la Carta costituzionale ai valori odierni.
Se il Parlamento, con estremo impegno e velocità - cosa che, purtroppo, non accade spesso - dimostra una volontà politica reale, anche nei tempi, di effettuare alcune scelte, è chiaro che esse, oltre che guardare al passato, hanno un risvolto deciso verso il futuro. Questo è un impegno politico, che non può non intrecciarsi al problema, già ampiamente discusso in aula, relativo alle modalità con le quali il nostro paese si muoverà nell'ambito dell'ONU, relativamente alla pena di morte.
La scelta non attiene alla presentazione o meno della risoluzione o all'eventuale impegno dell'Italia in sede ONU; il problema attiene al metodo. Cosa facciamo? L'Italia va a fare una battaglia per la moratoria della pena di morte che assuma un significato simbolico e politico anche nel nostro paese, oppure attendiamo che si raggiunga un accordo in tal senso in sede europea? Questo è l'interrogativo che si è posto il Parlamento, dialogando con il Governo, al fine di trovare una soluzione. La scelta del Parlamento è stata la prima. Al di là di quanto si decide in sede europea, questa è una battaglia che riteniamo possa assumere un carattere simbolico nel nostro paese. Non siamo quindi disponibili a rimanere in uno stadio intermedio, ma, al contrario, riteniamo che la presentazione della risoluzione da parte dell'Italia costringa anche l'Europa ad un atteggiamento meno dilatorio.
Questo è l'impegno che ha assunto il Governo nei confronti del Parlamento. Ricordo le parole del sottosegretario Vernetti, in questa sede, che concordava con il Parlamento. Si aspettavano, anche per un corretto rapporto dialettico tra Parlamento e Governo, dei passi successivi.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 11,32)
JOLE SANTELLI. È particolarmente significativa la contingenza temporale, in cui cade questa discussione. Stranamente, mentre il Segretario generale dell'ONU affermava su tutti i telegiornali, in Italia, che avrebbe appoggiato la posizione del nostro paese nell'ambito delle Nazioni Unite, il Vice Presidente del Consiglio e ministro degli esteri, dagli stessi teleschermi, affermava che questa era la nostra battaglia, precisando tuttavia che non saremmo andati all'ONU se prima non avessimo raggiunto un'intesa con i partner europei.
Allora, scusatemi: siamo da capo a dodici. La scelta è reale. Mi auguro che la votazione che effettueremo nei prossimi giorni raggiunga la soglia di consenso già ottenuta nelle precedenti, offrendo un'ulteriore indicazione chiara. Questo Parlamento dice al Governo: ora e subito, ora e senza attese! Cosa succederà dopo? Lo vedremo.Pag. 32
Una battaglia - se ci si crede - la si combatte per combatterla e non soltanto se si sa che si vincerà in tempi brevi e senza impegno. Ritengo che, al di là delle difficoltà di cui tutti ci rendiamo conto, per cui un Governo europeo si trova di fronte ad altri partner in Europa, questo Parlamento debba chiedere all'Esecutivo un impegno diverso che quest'ultimo deve rispettare.
Il Governo deve fare ciò nel rispetto del dialogo tra Parlamento e Governo, ma, soprattutto, perché su alcuni temi (abbiamo sentito in quest'aula affermare che storicamente l'Italia ha una tradizione da vantare in questo senso e non a caso è stato richiamato anche Beccaria), si può fare qualche passo in avanti rispetto ad altri: questi non sono argomenti dove bisogna prima concertare tutto e poi assumere una posizione comune in quanto Europa.
Vi sono temi per i quali ritengo faccia onore al Governo italiano assumere una posizione precisa da portare nelle sedi internazionali, sperando di vincere al più presto una battaglia come questa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, saluto con soddisfazione questa fase dei lavori che ci consente di approvare una proposta di legge costituzionale di grandissimo valore, che segna, forse, nella nostra civiltà giuridica, un distacco, nell'auspicio di tutti, definitivo dato dalla sanzione solenne e formale di un istituto giuridico antico - che ripudiamo - incompatibile con la concezione dei diritti umani che caratterizza ormai gran parte della civiltà occidentale e mondiale. È il ripudio di un istituto inumano, degradante e barbaro che era, in larga misura, già maturato nella cultura dei padri costituenti agli esordi di questa nostra Repubblica.
Infatti, la nostra Costituzione già vietava la pena di morte e, fin dall'immediato dopoguerra, in virtù di questo nuovo orientamento, nessuna esecuzione è stata mai più praticata nel nostro Paese, essendo scomparsa dal nostro codice penale.
Forse, in Italia, il ripudio aveva radici anche più antiche. Se non ricordo male, storicamente, la pena di morte era già stata abrogata - almeno per quanto riguardava i periodi di pace - prima dell'avvento del regime fascista ed era stata successivamente ripristinata. Poi ci fu questo taglio netto, chiaro ed il relativo distacco in sede di redazione e approvazione della Costituzione repubblicana e democratica.
Era rimasto questo retaggio, riguardante le leggi militari per i periodi di guerra, che era stato già eliminato da una legge ordinaria del 1994; restava da abrogare questa sanzione di carattere ormai meramente formale, prevista in Costituzione, ovvero questa possibilità accordata alle leggi di guerra di applicare la pena di morte. Si tratta di un passaggio formale di grande importanza, perché, cancellando anche questa teorica possibilità prevista in Costituzione, noi poniamo gli stessi principi fondamentali del nostro ordinamento in una posizione di contrasto formale rispetto a questo istituto. Soltanto una nuova legge costituzionale - e ci auguriamo che questo non avvenga nel nostro Paese - potrebbe ora reinserire tale previsione.
Questo rende più lontano e remoto dal nostro ordinamento questa possibilità e segna la contrarietà, ad oggi, dei principi fondamentali del nostro ordinamento rispetto a questo istituto.
Se questo è l'epilogo, l'approdo naturale di un processo di ripudio che, nei fatti, nella cultura, nelle tradizioni, nella coscienza del nostro Paese si è ormai consolidato, il medesimo atteggiamento nei confronti di questa barbara pratica, volta sanzionare reati gravi (o anche meno gravi, in alcuni paesi), non può dirsi invece assolutamente scontato nello scenario mondiale. La pena di morte è ancora molto diffusa nel mondo e grandi paesi ancora la praticano, alcuni di dimensioni molto rilevanti. Pensiamo alla Repubblica popolare cinese, pensiamo a diversi paesi asiatici e africani, pensiamo agli Stati UnitiPag. 33d'America, una grande potenza democratica, forse storicamente la prima grande democrazia nel mondo, che ancora, almeno nell'ambito di alcuni degli Stati federati, non riesce a trovare forme diverse per sanzionare le più gravi violazioni dei propri ordinamenti penali.
Sappiamo anche che, se gli stessi consolidamenti culturali, le stesse tendenze di ripudio di certi istituti, di certi retaggi del passato, non vengono fortemente formalizzati negli ordinamenti positivi, essi non daranno mai luogo a comportamenti irreversibili. Le culture, gli atteggiamenti della coscienza civile, gli umori dell'opinione pubblica si modificano nel corso del tempo, si modificano sulla base dell'evoluzione storica.
Nonostante fossero trascorsi oltre trenta anni dall'adozione della nostra Costituzione - che con l'articolo 27 prendeva nettamente le distanze dalla pena di morte, facendo salvi solo i casi previsti dalle leggi militari di guerra -, negli anni Settanta proprio in questa sede è stata evocata da alcune parti politiche, in occasione del rapimento di Moro, la reintroduzione della pena di morte; si trattava di un momento in cui erano minate le fondamenta e le basi dello Stato e in cui si temevano gravi conseguenze per la tenuta democratica. Ancora oggi, di fronte ai più barbari delitti, che ciclicamente le cronache ci propinano, si manifestano umori, istinti e tendenze che lasciano nuovamente affiorare questa possibilità.
Con gli attentati dell'11 settembre, nel mondo intero, sotto la minaccia terroristica di una possibile eversione mondiale, si sono visti riaffiorare istinti diretti a riconsiderare forme di civiltà giuridica, di garanzia dei diritti umani e di tutela che ritenevamo scontato fossero ormai assorbite dall'Occidente in modo irreversibile. La pena di morte è stata praticata in anni non lontani nella nostra Europa occidentale, così evoluta e all'avanguardia nella tutela dei diritti umani. Oggi ci sembra impossibile che solo 25-30 anni fa la pena di morte in Francia, Spagna e in Gran Bretagna rappresentasse ancora un'eventualità possibile e un fenomeno ricorrente. Le evoluzioni storiche, del costume, della mentalità e le concezioni hanno sempre una loro relatività e devono essere sempre accompagnate da forti prese di posizione del legislatore per assumere un carattere vincolante e per consolidare, in modo auspicabilmente irreversibile, certi principi e certe conquiste di civiltà.
Ritengo che l'approvazione definitiva di questa proposta di legge costituzionale, che cancella l'ultimo retaggio, l'ultima traccia, l'ultima possibilità, anche teorica, di applicare nel nostro Paese tale istituto, possa costituire il congedo finale dalla pena di morte nei nostri ordinamenti e rappresentare un monito nei confronti degli altri soggetti statuali che non hanno ancora maturato questo distacco definitivo.
La proposta di legge al nostro esame - mi rivolgo all'onorevole D'Elia e agli altri colleghi che hanno in questi mesi e in questi anni spinto fortemente nelle sedi internazionali una proposta di moratoria mondiale delle esecuzioni capitali - rappresenta un momento di coerenza e di stimolo rispetto a questa battaglia. L'Italia vuole essere protagonista, soggetto trainante di questo processo che deve portare alla cancellazione di questo istituto sul piano mondiale. Lo abbiamo fatto quando sono state istituite certe corti penali internazionali sui crimini di guerra - come quella sulla ex Iugoslavia e il Ruanda - ed anche successivamente, in sede di Trattato di Roma, con l'istituzione della Corte penale internazionale. Si tratta di nuove forme giurisdizionali internazionali che tendono a scoraggiare la commissione di crimini di guerra e contro l'umanità. La pena di morte non può essere prevista, inflitta ed applicata neanche per i crimini più gravi, quali quelli di genocidio.
Su questa scia continueremo a muoverci affinché in sede mondiale si proceda all'abrogazione - con una moratoria prima e quindi con un'abrogazione definitiva - da parte dei singoli Stati, auspicabilmente di tutti gli Stati, della pena di morte.
Si tratta di una battaglia che, però, deve in qualche modo smuovere le coscienzePag. 34dei singoli Governi, di ciascun Parlamento e delle pubbliche opinioni; alcuni di questi sono già approdati a tali concezioni, mentre altri sono molto più indietro.
Mi riferisco, insomma, ad un processo di maturazione della coscienza mondiale, che abbia successivamente riflessi sugli ordinamenti, rispetto al quale l'Italia vuole essere in prima linea. Il nostro Paese deve agire con l'Europa o anche senza tutta l'Europa, come è stato da noi ribadito, nella competente Commissione della Camera, quando è stato posto il problema della difficoltà di giungere ad un consenso unanime dei paesi aderenti all'Unione europea in ordine alla proposta di una risoluzione, da adottare in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite, per una moratoria delle esecuzioni capitali nel mondo.
Dobbiamo condurre tale battaglia con l'Europa, con gli alleati e con i paesi che abbiano ordinamenti maggiormente affini al nostro, ma dovremmo predisporci a farlo anche senza di loro, poiché si tratta di una battaglia di principio sull'inviolabilità della vita umana, contro la barbarie e contro quelle pene inumane e degradanti già ripudiate, sessant'anni fa, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Vorrei sottolineare, quindi, che quello odierno costituisce un passaggio che dimostra, anche dinanzi agli occhi dei nostri alleati, dei nostri partner internazionali e delle grandi organizzazioni che rappresentano la comunità internazionale, la coerenza e la fermezza dell'Italia, sotto il profilo giuridico, in ordine a questo punto (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 193-523-1175-1231-B)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Boato.
MARCO BOATO, Relatore. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo e colleghi, di fronte ad una condivisione unanime del provvedimento in esame, forse una replica non sarebbe neppure necessaria; tuttavia, sia pure molto brevemente, desidero onorare questo dibattito, nonché tutti i colleghi che, intervenendo, hanno affrontato questioni di grandissima rilevanza.
Quindi, desidero ringraziare in primo luogo i colleghi Khaled Fouad Allam, Sergio D'Elia, Giacomo Stucchi, Franco Russo, Jole Santelli ed Alessandro Forlani per i loro interventi. Ringrazio anche il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, il quale ha presieduto per larga parte questo dibattito.
Saluto altresì lei, Presidente Giorgia Meloni, che sta presiedendo la fase conclusiva dell'esame del provvedimento, nonché il sottosegretario di Stato, Stefano Boco, il quale, pur non essendo istituzionalmente deputato a tale materia, ha comunque rappresentato il Governo nel corso dell'intero dibattito. L'Esecutivo è tuttavia rappresentato nella sua collegialità, e mi fa piacere, comunque, che sia egli a farlo in questa occasione.
Vorrei svolgere molto brevemente due ulteriori considerazioni. Credo che abbia fatto bene il collega Fouad Allam - anche grazie al suo impegno politico e civile, nonché alla sua matrice culturale - a sottolineare, sul piano della «grammatica delle relazioni internazionali» (come egli ha detto), il valore e la virtù quasi «pedagogica» della politica del diritto. Egli, in rapporto a questa importante revisione costituzionale, ha infatti evidenziato il valore dei diritti dell'uomo, nell'ambito di una società plurale, con riferimento a certi Stati.
Il collega Allam ha citato alcuni paesi arabi, ma sappiamo, ovviamente, che il discorso vale da una parte per la Cina e, dall'altra, anche per gli Stati Uniti d'America, poiché si tratta di nazioni che mantengono e praticano ancora, purtroppo, la pena di morte.
Credo abbia fatto bene anche il collega Franco Russo, nell'ambito della pluralitàPag. 35delle culture e delle ispirazioni, perfino religiose - segnalo, infatti, che chi vi parla è un credente, anche se è pienamente «laico» sul terreno politico -, a ricordare, proprio in riferimento all'abolizione definitiva e totale, in qualunque ipotesi (anche astratta), della pena capitale, il valore della laicità rispetto ai diritti umani universali.
Questa è anche l'ispirazione della nostra Carta costituzionale, poiché ci stiamo accingendo a deliberare una modifica al quarto comma dell'articolo 27 della stessa. Infatti, stiamo per abolire definitivamente, dal testo di tale articolo, quell'eccezione al principio generale - vale a dire, che non è ammessa la pena di morte - che contempla la pena capitale nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
Tuttavia, la scelta che il Parlamento della XV legislatura finalmente compie, si inserisce pienamente nel solco dell'articolo 2 della nostra Carta costituzionale, che afferma solennemente: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (...)».
Del resto - non l'ho ricordato nella relazione introduttiva, ma mi fa piacere farlo ora sotto il profilo storico - il primo Stato al mondo che abolì la pena di morte nel proprio ordinamento fu il Granducato di Toscana: siamo in epoca preunitaria, abbiamo ricordato poi il codice Zanardelli, ma il primo Stato al mondo fu il Granducato di Toscana.
Mi colpì da ragazzo una notiziola che lessi sui giornali subito dopo il Concilio ecumenico Vaticano II, forse eravamo nel '66 ma forse mi sbaglio: lo Stato della Città del Vaticano ha abolito la pena di morte. Sia pure come norma tralatizia, come si dice giuridicamente, non più applicata da epoca immemorabile, nello Stato della Città del Vaticano fino a dopo il Concilio Vaticano II esisteva ancora formalmente la pena di morte, che poi venne abolita definitivamente. Ciò in riferimento alle riflessioni svolte dal collega Franco Russo sulla questione della laicità.
Da ultimo, vorrei dire che mentre condivido le preoccupazioni, le esigenze e le istanze che il collega Sergio D'Elia ha qui manifestato perché le ho già espresse sia nella fase della prima lettura durante il dibattito svolto, sia a maggior ragione oggi nella relazione introduttiva, condivido altresì l'appunto che il collega Franco Russo, da una parte, e la collega Iole Santelli, dall'altra, hanno fatto a non sottovalutare l'importanza di questa revisione costituzionale e di questa deliberazione.
Ci sarà pure un motivo se noi arriviamo ad approvarla, credo ormai definitivamente, soltanto nella XV legislatura! Ci sarà pure un motivo se per due legislature un voto unanime, o quasi, della Camera non trovò riscontro adeguato e analogo da parte dell'altro ramo del Parlamento! Ci sarà pure un motivo se, come correttamente e intelligentemente il collega Alessandro Forlani poco fa ha ricordato, meno di trent'anni fa nel Regno Unito la pena di morte veniva ancora eseguita, così come nella Francia pre-Mitterrand essa si eseguiva oltretutto con la ghigliottina e fu Mitterrand stesso insieme al ministro Badinter ad adottare uno dei primi atti della sua Presidenza - siamo quindi negli anni '80, non secoli fa -, abolendo definitivamente la pena di morte anche in Francia! Ci sarà pure un motivo se - e ringrazio il collega Forlani che lo ha ricordato - in occasione del sequestro, prima dell'assassinio, di Aldo Moro nel dibattito politico italiano, non da parte di qualche estremista di destra ma da parte di Ugo La Malfa, che era un leader autorevolissimo del partito repubblicano, si chiese la reintroduzione della pena di morte: allora il baluardo - voglio ricordarlo perché a volte viene misconosciuto - fu il socialdemocratico Giuseppe Saragat, che disse al suo carissimo amico interlocutore Ugo La Malfa: «No! La pena di morte mai!».
Ecco, questo avveniva nella nostra Italia e Alessandro Forlani ha ricordato che, anche dopo l'11 settembre del 2001 vi sono state pulsioni internazionali di tipo emergenziale che andavano in una direzione regressiva. A tale proposito, devo però dire che il Parlamento europeo, il Consiglio d'Europa, la Commissione europea, il Consiglio europeo e tutti gli organismi delPag. 36nostro continente, non solo dell'Unione europea ma anche del Consiglio d'Europa, che è assai più largo, si sono sempre opposti a logiche di carattere emergenziale.
Dico con amicizia al collega Sergio D'Elia che nel condividere - ma mi pare che in quest'aula tutti lo abbiano dichiarato, e io l'ho fatto fin dalla relazione introduttiva - l'impegno e il riferimento anche critico rispetto all'azione che il Governo italiano deve compiere, se non altro perché vi è un atto unanime del Parlamento che glielo chiede, per la presentazione all'Assemblea dell'ONU di una risoluzione per la moratoria universale della pena di morte, ritengo sia un grave errore politico, e anche concettuale e culturale, anche rispetto alla storia del nostro paese e a quella europea, sottovalutare la decisione che prenderemo in quest'aula fra qualche giorno, quella di deliberare la definitiva espunsione di qualunque ipotesi, anche soltanto nel quadro delle leggi penali militari di guerra, della pena di morte dalla Costituzione repubblicana.
Rinnovo il ringraziamento a tutti i colleghi che sono intervenuti, al Presidente, alla Presidente di turno in questo momento e al rappresentante del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
STEFANO BOCO, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, ringrazio tutti i colleghi anche per l'importanza delle loro riflessioni, la ricchezza e la varietà delle opinioni espresse. Non mi dilungherò, ma cercherò di essere preciso su due aspetti che sono emersi nella discussione. Lo ha ricordato l'amico e collega Boato: il mio dicastero non ha competenze specifiche in materia, ma la rappresentanza di Governo che ho in questo momento non pone una differenza di dicastero.
Il primo aspetto che considero importante è che questa discussione, che si è snodata per diverse legislature, per la prima volta è stata affrontata in meno di un anno - lo ricordava il collega Franco Russo - con una velocità che ci fa capire che questa volta ce la faremo, ovviamente lo dico senza fare gli scongiuri, non ho questa attitudine.
Credo che un paese si misuri dalla civiltà che le proprie aule parlamentari, su atti come questi, possono e devono rappresentare, e se questa volta - siamo alla terza lettura - imprimessimo un'accelerazione con il voto che fra pochi giorni verrà espresso, dimostreremmo che stiamo compiendo un atto molto più importante di espungere da un articolo una piccola parte, anche se, nella sua sacralità, si tratta di un atto costituzionale; dimostreremmo che la sensibilità e la cultura del Paese sono cresciuti sotto questo punto di vista.
C'è una sacralità in quello che, come atto parlamentare, come legge costituzionale, state facendo, stiamo facendo e stiamo costruendo come parlamentari di questo paese. C'è tristezza nel percepire che la comunicazione a volte è distratta: senza mancare di rispetto ad essa, tante volte concentriamo le nostre comunicazioni e i nostri interessi su cose sicuramente importanti e indispensabili, ma non percepiamo che atti come questi descrivono le fondamenta non di maggioranza e di opposizione, ma di un «fare» politico. Vedo dei ragazzi nelle tribune: sono onorato e fiero di vederli dentro le aule del Parlamento e della Camera dei deputati; sono doppiamente onorato di condividere con loro quest'aula in questo momento su un atto che, ripeto, rappresenta molto più di quanto non sia nello specifico.
Voglio essere preciso su un altro punto che è stato oggetto della discussione. Condivido moltissimo, e non aggiungo nulla, la relazione dell'onorevole Boato, che come relatore ha toccato tutti i punti. Lo ringrazio per il lavoro svolto, e, se me lo permettete, non solo per quello attuale, ma anche per gli anni che ha dedicato anche a questo tema. Tuttavia, credo che su un punto sollevato dal collega D'Elia ci debba essere chiarezza, senza pensare chePag. 37le due parti di questo lavoro siano poi, per così dire compromesse, o che l'una sottovaluti l'altra.
I Governi, il nostro Governo nel nostro ordinamento repubblicano attua e non interpreta le scelte del Parlamento. Lo dico non per polemica alcuna, ma senza ombra di smentite. Quindi, invito tutti a percepire la centralità di quello che stiamo facendo e a staccarla da una visione che dobbiamo portare avanti perché, per quanto mi riguarda, da parlamentare, da cittadino italiano, da uomo di Governo, questo iter è una straordinaria opportunità, questo iter racconta tante storie, tante battaglie di donne e uomini impegnati nel nostro paese per la crescita civile.
Tuttavia, vi è anche una battaglia diversa dal nostro intervento costituzionale alla quale non possiamo mancare.
Ho rivissuto ora per ora le vicende che il collega D'Elia ha ricordato e ben rappresentato, che hanno visto protagonista lo straordinario ambasciatore Fulci, con il quale bisticciavo moltissimo: era uno straordinario ambasciatore.
Credo che vi siano reali condizioni per una vittoria. Pertanto, dico, senza alcuna vis polemica, che quel passaggio - che non c'entra niente con la straordinaria battaglia che stiamo conducendo - non lo voglio nemmeno considerare come combinato disposto. Non abbiamo bisogno di mettere insieme la pagina così bella che il Parlamento sta costruendo con una pagina diversa, che deve essere altrettanto bella, relativa alla crescita delle istituzioni internazionali.
È una battaglia che dobbiamo condurre nell'interesse della vita e della civiltà giuridica in sede di Nazioni Unite. Vi sono tante storie dietro ciascuno di noi e dietro coloro che hanno portato avanti queste battaglie. È vero che il mondo è fatto di «senza nome», di persone sconosciute che non hanno la possibilità di interfacciarsi con la civiltà di questo nostro paese. Ricordo che ventotto anni fa mi capitò di intercedere per la vita di uno di questi «senza nome» nelle terre d'Africa; in ventotto anni mi è capitato molte volte. Non c'entra niente, ma credo che dobbiamo sentire che quella per la moratoria non è solo una battaglia di principio, bensì un grande passaggio che è atteso e che qualcuno deve porre sulle proprie spalle. Se lo aspettano non solo persone confinate fuori dal diritto, come accade in tanti paesi, ma anche tanti paesi delle Nazioni Unite che hanno bisogno di questo locomotore. Sarebbe stato bellissimo questo locomotore europeo!
Non metto limiti né alla fiducia né alla speranza. Di sicuro, l'Italia è in grado di essere il locomotore di questo passaggio. Tutto ciò rientra in quel fatto che, a nome del Governo, non considero discutibile, perché lo definisce la Costituzione: il Governo attua e non interpreta. Vi è una primizia del Parlamento e sono assunte delle decisioni.
Signor Presidente, concludo e mi scuso con lei: prego tutti noi di non perdere l'occasione di percepire la sacralità dell'atto e del voto (che sarà solo il terzo) che ci accingiamo ad esprimere in questo passaggio legislativo. Vi è ancora una macchia nella nostra Costituzione, vi è ancora un passaggio che dobbiamo concludere, per donarlo ai nostri cittadini e ai figli dell'oggi e del domani.
Credo che questo atto, quando verrà compiuto, sarà inserito nelle pagine più importanti che il Parlamento abbia mai scritto negli ultimi anni. Spero che questo atto giunga il prima possibile (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno, Verdi e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario Boco.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 14,30 con lo svolgimento di interpellanze urgenti.
La seduta, sospesa alle 12,05, è ripresa alle 14,30.