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Discussione del disegno di legge: S. 1411 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario (Approvato dal Senato) (A.C. 2534-A) (ore 11,36).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2534-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia e L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni V (Bilancio) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.Pag. 2
Il relatore per la V Commissione (Bilancio), deputato Piro, ha facoltà di svolgere la relazione.
FRANCESCO PIRO, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signore e signori deputati, il decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 dispone il concorso dello Stato al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per il periodo 2001-2005, nei confronti delle regioni che sottoscrivono con quest'ultimo l'accordo per i piani di rientro ed accedono al fondo transitorio, previsto dalla legge finanziaria del 2007, ed adottano specifiche misure fiscali per la copertura dei disavanzi o destinano al settore sanitario quote di entrate derivanti da misure fiscali già adottate o quote di tributi erariali attribuite alle regioni.
La disposizione prevede, inoltre, l'applicazione automatica dell'innalzamento dell'addizionale IRPEF e delle maggiorazioni dell'aliquota IRAP. A tal fine è autorizzata, a titolo di regolazione debitoria, la spesa di 3 miliardi di euro per il 2007, che verrà ripartita tra le regioni interessate sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, della capacità fiscale regionale e della partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario.
Nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto, il Senato ha introdotto due nuove previsioni. Con la prima è stato disposto il divieto per i creditori, nei dodici mesi successivi all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di intraprendere o proseguire azioni esecutive relativamente ai debiti sanitari nelle regioni interessate. Con la seconda previsione è stata disposta la riduzione da 10 a 3,5 euro, limitatamente al 2007, della quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ed ambulatoriale, introdotta dall'articolo 1 comma 796 lettera p) della legge finanziaria per il 2007.
L'importo atteso dalla misura, quantificato dalla legge finanziaria in 811 milioni di euro nel 2007, risulta rideterminato in 461 milioni di euro; corrispondentemente, il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cui concorre lo Stato, è incrementato, sempre per il 2007, di un importo pari alle minori entrate, ossia 350 milioni di euro.
Per quanto concerne i profili di copertura, il comma 2, introdotto al Senato, autorizza la spesa di 350 milioni di euro al cui onere si provvede mediante la riduzione di diversi fondi, quali il fondo per i Paesi in via di sviluppo, il fondo per la famiglia, il fondo per le autosufficienze.
Questa modalità di copertura, che avrebbe comportato di incidere, anche in percentuale notevole, su fondi creati o implementati con la legge finanziaria per il 2007, ha suscitato perplessità e critiche equamente distribuite nell'opposizione e nella maggioranza. Non è sembrato accettabile, soprattutto, che fossero intaccate risorse destinate a politiche sociali rilevanti e di qualità.
I relatori del provvedimento, rendendosi interpreti delle esigenze di modifica dello stesso, hanno presentato, nel corso dell'esame nelle Commissioni, un emendamento, poi approvato, con il quale si dispone l'eliminazione della quota fissa sulle ricette relative a prestazioni sanitarie per l'anno 2007 e si provvede alla copertura della spesa necessaria, pari a 511 milioni di euro per il 2007, nel seguente modo: 100 milioni mediante riduzione del fondo per i debiti pregressi; 411 milioni mediante l'utilizzo del fondo di rotazione per le politiche comunitarie.
Su tale emendamento, il Governo si è espresso favorevolmente garantendo, altresì, che al reintegro dei fondi si provvederà con idoneo provvedimento subito dopo l'assestamento del bilancio.
Ricordo che sulla proposta allora formulata dal Governo, relativa all'utilizzo del fondo di rotazione ai fini di copertura della riduzione del ticket, il Senato aveva espresso parere contrario manifestando alcuni profili problematici che riguardavano essenzialmente il rischio che tale copertura potesse determinare una dequalificazione della spesa. A fronte di oneri di natura corrente, infatti, si stabiliva l'utilizzo delle risorse del fondo rotativo, che Pag. 3ha natura di conto capitale. Veniva rilevato, inoltre, il rischio che l'utilizzo di quota-parte delle risorse del fondo, nella misura indicata, potesse pregiudicare l'attuazione di interventi già finanziati.
Il rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, in risposta a tale ultima obiezione, ha precisato che il notevole ritardo registrato nell'anno in corso nell'approvazione dei programmi comunitari, per i quali è previsto l'utilizzo delle risorse del fondo, consente il parziale utilizzo di quota-parte del fondo stesso, in vista peraltro, come già detto, della reintegrazione dello stesso dopo l'assestamento.
Quanto al rischio paventato di una dequalificazione della spesa, si precisa che le modalità indicate dall'emendamento per l'utilizzo parziale delle risorse del fondo, cioè il versamento di tali risorse nello stato di previsione delle entrate per la successiva riassegnazione al fondo sanitario nazionale, sembrano idonee ad evitare tale eventualità. Peraltro, in numerose occasioni, anche recenti, il legislatore ha disposto l'utilizzo delle risorse del fondo di rotazione per la copertura di oneri di parte corrente. In tali casi, la previsione dell'utilizzo del fondo discendeva peraltro da una modifica inserita dal Senato.
Anche dopo l'introduzione per legge nel 2001 dell'obbligo per le regioni di provvedere alla copertura dei disavanzi nella sanità interamente con risorse proprie, non sono stati pochi gli interventi dello Stato assunti in deroga a tale principio, volti ad erogare contributi per il ripiano dei deficit di gestione. Con il primo provvedimento, la legge 30 dicembre 2004, n. 311, sono stati stanziati 2 miliardi per il triennio 2001-2003; con il secondo provvedimento, la legge 23 dicembre 2005, n. 266, sono stati stanziati altri 2 miliardi per il triennio 2002-2004. Tali risorse sono state distribuite pressoché a tutte le regioni.
Con la recente legge finanziaria è stata prevista, inoltre, all'interno del più generale patto per la salute, l'istituzione di un fondo transitorio di mille milioni nel 2007, 850 milioni nel 2008 e 700 milioni nel 2009, destinato alle regioni con disavanzi elevati, subordinatamente alla sottoscrizione di un apposito accordo che preveda un piano di rientro dei disavanzi.
Perché negli ultimi anni si sono formati disavanzi nella gestione della sanità tali da richiedere l'intervento dello Stato? Perché, nonostante questi interventi, per alcune regioni almeno si continuano a registrare disavanzi impressionanti? Alla prima domanda si può rispondere, credo, facendo riferimento al sottofinanziamento del Servizio sanitario operato in tutto il quinquennio di riferimento. Di ciò ha preso atto l'attuale Governo che, con la stipula del patto per la salute del settembre 2006, ha posto le condizioni per una più efficiente gestione della sanità ed un più efficace meccanismo di contenimento della spesa.
Le risorse sono state aumentate, ma è aumentato anche il livello della responsabilità regionale, così come si è avviata una più puntuale lotta agli sprechi ed alla inappropriatezza di taluni interventi. Per rispondere alla seconda domanda, occorre precisare innanzitutto che alla data del 20 aprile 2007 risultano firmati i piani di rientro delle regioni Lazio, Campania, Abruzzo, Molise e Liguria. Quest'ultima, tuttavia, ha provveduto autonomamente al ripiano del disavanzo 2005. Risulta, infine, in fase di elaborazione, ma non ancora completato, il piano di rientro della regione siciliana.
Il livello dei disavanzi cumulati in queste regioni è davvero consistente. Il debito emerso per la regione Lazio è di circa 9,9 miliardi di euro, per la regione Campania di 6,9 miliardi.
Il debito atteso dell'Abruzzo è 1,4 miliardi, del Molise 355 milioni, della Sicilia 1,9 miliardi. Le ulteriori verifiche in corso, peraltro, faranno lievitare il debito effettivo verso cifre ancora più elevate. Esistono, quindi, ragioni strutturali profonde, che attengono ai modelli gestionali, alle scelte di politica sanitaria, alla struttura di comando, all'uso distorto di ingenti risorse, che generano disavanzi dissennati e allarmanti.Pag. 4
Non è un caso che le regioni con maggiori deficit sono anche quelle in cui è più alta la spesa farmaceutica, più squilibrata la spesa a favore delle strutture private e per le convenzioni esterne; quelle nelle quali si registrano, inoltre, i più elevati indici di inappropriatezza, nonché, in alcuni casi, persistenti fenomeni di «turismo» sanitario verso altre regioni più attrezzate ed efficienti. È comprensibile, dunque, che di fronte a tale situazione ci si interroghi se sia giusto porre a carico dello Stato, quindi dell'intera comunità nazionale, l'onere, sia pure parziale, del ripiano finanziario dei deficit regionali e, soprattutto, se il provvedimento in esame sarà l'ultimo della serie.
L'attuale intervento muove dalla consapevolezza che la situazione è talmente grave da incidere profondamente non solo sulla credibilità delle istituzioni regionali ma sull'intera pubblica amministrazione. Quest'ultima non riesce sia a dare risposte efficaci al bisogno di salute dei cittadini residenti, ledendo un diritto costituzionalmente garantito, sia a rispettare il diritto dei fornitori e dei prestatori d'opera a vedersi riconosciuto quanto dovuto in un tempo ragionevolmente breve e contrattualmente garantito.
Ciò che è veramente in discussione, quindi, è lo Stato di diritto. Da qui, la necessità e l'indifferibilità del provvedimento in esame, che è strutturato in modo da garantire, almeno in partenza, la soluzione del problema. Esso propone interventi decisamente volti a cambiare anche le modalità di gestione ed utilizzo delle risorse destinate alla sanità nelle regioni interessate, attraverso rigide misure di correzione e di controllo che ne limiteranno fortemente le autonome determinazioni.
Alle regioni inadempienti viene chiesta, o meglio, viene imposta una totale assunzione di responsabilità, in particolare con l'adozione dei piani di rientro. Questi ultimi, oltre a prevedere le misure necessarie per i ripiani, ad indicare i mezzi di copertura, la loro articolazione nel tempo fino e non oltre il 2010, prevedono obbligatoriamente: l'istituto dell'affiancamento, ovvero la nomina da parte del Governo di un nucleo tecnico incaricato di esaminare e valutare i provvedimenti in materia sanitaria che dovranno assumere le regioni; l'istituto della sottoposizione al Governo, ai fini di un preventivo esame e della preventiva approvazione, di tutti i provvedimenti significativi nel settore sanitario quali i piani di organizzazione, distribuzione dei posti letto, creazione di strutture, personale e relativo trattamento, tariffe, accreditamenti, tetti di spesa e tutto ciò che attiene alla materia farmaceutica. I piani di rientro, inoltre, potranno essere valutati anche dalle Commissioni parlamentari competenti.
L'obiettivo evidente è di obbligare le regioni ad adottare comportamenti e modalità gestionali orientati all'efficienza dei sistemi sanitari regionali, all'eliminazione degli sprechi - a volte davvero intollerabili - alla revisione di scelte che non hanno comportato migliori servizi ai cittadini ma hanno generato fenomeni, anche vistosi, di distrazione di risorse pubbliche. Ad alcune regioni, in particolare Campania e Lazio, è stata imposta la nomina da parte del Governo di un advisor contabile per la determinazione dei debiti pregressi e di un secondo advisor con compiti di consulenza finanziaria. Inoltre, è stato sancito il divieto di utilizzo di risorse correnti di bilancio per la copertura di debiti pregressi.
La massa delle risorse finanziarie che viene mobilitata allo scopo di riaffermare il primato della legalità e della responsabilità politico-amministrativa è davvero imponente. Ai 3 miliardi stanziati con il provvedimento in esame si devono aggiungere 2,5 miliardi, in tre anni, del fondo transitorio previsto dalla finanziaria per il 2007; le quote dei contributi ordinari e straordinari stanziati dallo Stato per gli anni pregressi e non erogati a causa dei disavanzi e che ora, a seguito dell'approvazione della messa in attuazione dei piani di rientro, saranno corrisposti entro quest'anno; ulteriori fondi ricavabili dalle operazioni di finanziamento assistite dallo Stato. In alcuni casi - faccio riferimento alle regioni Lazio e Campania - pressoché Pag. 5l'intera somma necessaria per azzerare lo stock di debito accumulato sarà disponibile entro il 2008. Anche alla luce di ciò, deve quindi essere interpretata la disposizione relativa alla sospensione per dodici mesi delle procedure esecutive.
Nel corso del dibattito nelle Commissioni sono stati mossi rilievi critici a tale previsione, che appare suscettibile di originare, sia in linea di diritto sia in linea sostanziale, una possibile lesione delle legittime pretese dei creditori delle strutture sanitarie, oltre che generare un eventuale contrasto con la direttiva comunitaria 2000/35/CE in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Il Governo ha chiarito che la sospensione delle procedure, che si inserisce nel contesto di una procedura straordinaria per la quale si ritiene non trovi applicazione la suddetta direttiva comunitaria, è volta a consentire il progressivo integrale ammortamento dei debiti cumulati. Questa procedura, che è sotto il diretto e continuo controllo del Governo, sarà tanto più efficace quanto più sarà consentita una gestione ordinata delle risorse preordinate al pagamento dei debiti, evitando che esse subiscano l'aggressione, sia pure legittima ed indiscutibilmente fondata, dei creditori, in special modo dei soggetti più forti e più attrezzati che si troverebbero in posizione di vantaggio rispetto a quelli più deboli e meno organizzati.
In conclusione, non può sfuggire alla nostra attenzione l'effetto che si produrrà con il provvedimento in esame, ovvero la soddisfazione integrale di quanto, a ragione, richiesto dai creditori, in un tempo presumibilmente più breve e certo di quanto non consentirebbe qualunque procedura esecutiva, specie se ancora da avviare.
La materia in ogni caso è complessa e per questo dichiariamo la nostra disponibilità a valutare eventuali proposte idonee a migliorarne il testo.
Il provvedimento in esame segna, insieme al patto per la salute, una svolta importante nella gestione della sanità nel nostro Paese. Esso, in particolare, chiude una pagina buia e pone le premesse per aprirne una positiva.
Per tali ragioni, ne raccomandiamo l'approvazione (Applausi).
PRESIDENTE. Il relatore per la XII Commissione, deputata Zanotti, ha facoltà di svolgere la relazione.
KATIA ZANOTTI, Relatore per la XII Commissione. Signor Presidente, nel mio intervento mi soffermerò in particolare sul profilo sanitario del provvedimento in esame.
Come indicato dal rapporto Auditel civico 2005 presentato dal Tribunale per i diritti del malato, il sistema dei rapporti tra i cittadini e il servizio sanitario in alcune realtà è fuori controllo e genera grandi sprechi. È quindi prioritario fronteggiare tale problema allo stesso livello del classico controllo della spesa, tenendo conto che nel sistema esistono le energie per farlo. Un primo ambito di azione possibile è dato dalla nuova realtà delle cure primarie disegnata dal patto per la salute e dai diversi piani regionali. Si tratta di tutte le prestazioni erogate dal servizio sanitario attraverso canali diversi da quello ospedaliero, come ad esempio le attività di prevenzione e la cura e tutela dei soggetti fragili, il sostegno ai malati cronici, per un ammontare, secondo le stime, compreso tra il 50 e il 70 per cento del valore del servizio sanitario.
Secondo un rapporto del Tribunale per i diritti del malato, occorre muoversi verso una vera personalizzazione delle cure, che non si traduca semplicemente, come avviene oggi, in un susseguirsi di liste di attesa e di prenotazioni e che permetta ai cittadini di essere protagonisti consapevoli dei propri percorsi.
Ho voluto iniziare il mio intervento con questo riferimento in quanto il patto per la salute, sottoscritto tra Governo e regioni il 5 ottobre del 2006, si occupa di tale tematica, affondando il bisturi nella criticità del sistema sanitario. Esso, inoltre, ha il valore rilevante di ridefinire modi e forme, perché sia finalmente orientato Pag. 6verso i bisogni e le esigenze dei cittadini e, nel contempo, sappia considerare la produzione del benessere e della salute come principale baricentro delle politiche di questo Paese.
A bisogni di salute sempre più crescenti devono infatti corrispondere investimenti adeguati sull'insieme di quelle strategie che vanno dalla prevenzione della malattia alla responsabilizzazione dei cittadini e al controllo complessivo dei diversi determinanti della salute (gli stili di vita, l'ambiente, il lavoro, le condizioni sociali ed economiche).
A tale riguardo, non vi è dubbio che l'adeguatezza degli investimenti sia una garanzia per una maggiore adeguatezza dei livelli essenziali di assistenza, affinché siano soddisfacenti, omogenei su tutto il Paese e coerenti con le diverse condizioni del Paese.
L'obiettivo del patto è di programmare una riconversione graduale degli indirizzi di spesa all'interno del sistema sanitario e dare luogo, nel contempo, a politiche sempre più integrate di qualità, unitarie in tutto il sistema, più umanizzate, in grado quindi, da un lato, di rigenerare un rapporto di fiducia tra cittadini e sistema sanitario e, dall'altro, di valorizzare l'autonomia e la responsabilità di chi opera nella sanità, nella condivisione di un progetto comune. Ciò significa avere come inderogabile punto di riferimento il cittadino, la sua dignità, la sua concreta condizione di vita: il cittadino come portatore di diritti, quindi, ma anche di competenze che vanno riconosciute e sostenute da una politica di promozione della partecipazione.
È indiscutibile che, nella sanità, la battaglia per il risparmio e per tenere i conti pubblici in ordine si vince soltanto se il criterio guida di ogni protagonista - dai medici agli amministratori, ai direttori, ai cittadini stessi - è quello della responsabilità: nella prescrizione - la battaglia per la riduzione delle liste di attesa è molto legata a ciò -, nella valorizzazione dell'autonomia della professione, nell'appropriatezza della lotta agli sprechi.
Non vi è dubbio, tuttavia, che esiste una responsabilità primaria dell'istituzione, perché regioni e Governo nazionale sono un unitario soggetto istituzionale e il patto per la salute rappresenta in modo chiarissimo la volontà, la determinazione di definire regole e risorse certe per il sistema sanitario pubblico, universalistico e solidale, e per portare il sistema stesso verso una stagione di certezza e stabilità di governo, ormai avvertita come priorità assoluta da tutte le regioni italiane, senza distinzione di colore politico o di collocazione territoriale.
Non sono scadenze ordinative quelle prescritte nel patto, ma i conti delle regioni passano per forza dalle previsioni contenute nel patto per la salute, nella necessità, assolutamente condivisibile, di una nuova forma di governo condiviso - ne parlava l'onorevole Piro - che riconosca alle regioni autonomia, ma anche un profilo di responsabilità ben più consistente e stringente. Il fondo sanitario esce finalmente, con ciò, dalla logica dell'eterna emergenza.
La spesa sanitaria rappresenta, come sappiamo, circa il 70 per cento dei bilanci regionali. La Corte dei conti ha denunciato la costante sottovalutazione dei costi della sanità negli ultimi sei anni e l'insufficienza delle misure correttive proposte (ricordo la relazione quadrimestrale del 2006). Alcune misure di risparmio di spesa previste dal Governo sono state definite dalla stessa Corte addirittura irrealistiche; ad esempio, nel 2005 la metà dei risparmi attesi dalla manovra di finanza pubblica per la sanità doveva essere realizzata con interventi sulla spesa farmaceutica, nonostante che, denuncia la stessa Corte dei conti, i risultati del 2004 non deponessero a favore del raggiungimento dell'obiettivo: si trattava, nel 2004, di 12 miliardi di euro di costi per la farmaceutica.
Un ragionamento analogo non vi è dubbio che si potrebbe fare per la spesa per il personale.
Vi è da dire che il governo della spesa sanitaria è reso difficile, tra l'altro, dall'ineguale distribuzione della spesa tra le diverse aree del Paese. Se le regioni del Pag. 7nord hanno una spesa in proporzione al PIL del territorio molto più bassa rispetto al Mezzogiorno, hanno però una spesa sanitaria pro capite storicamente molto superiore rispetto a quelle meridionali.
Considerando ancora che l'assistenza ospedaliera diretta e convenzionata ha un peso preponderante sul complesso della spesa sanitaria, il 54,47 per cento nel 2004, è su tale aggregato che si concentrano, decisamente, le maggiori possibilità di razionalizzazione e risparmio. Dentro questa evidente discontinuità, contenuta nel patto per la salute, rispetto alla precedente azione di governo del centro-destra in cui non c'era una valutazione condivisa del fabbisogno, ma una politica di vincoli e nessun monitoraggio della spesa, le regioni potranno ora contare su una rigorosa programmazione triennale delle risorse. Fu l'accordo dell'8 agosto del 2001, sottoscritto fra Stato e regioni, che sancì per la prima volta un livello di finanziamento pubblico non più limitato ad una annualità, ma esteso al successivo quadriennio. Il sistema è rimasto, tuttavia, nel corso degli anni fortemente sottofinanziato e il debito contratto dalle regioni ha continuato a crescere e le distanze tra le regioni virtuose e quelle in difficoltà sono aumentate.
La legge finanziaria del 2007 ha registrato un incremento delle risorse pari a 3,3 miliardi di euro rispetto a quanto finanziato dalle precedenti leggi finanziarie e prevede l'istituzione di un fondo transitorio destinato alle regioni nelle quali si sia registrato un elevato disavanzo (ma di questo ha già parlato in modo articolato l'onorevole Piro). Il provvedimento in esame è, quindi, dettato dall'esigenza di ripianare i disavanzi nel settore sanitario del periodo 2001-2005, esplicitamente in deroga alla disciplina generale secondo cui gli oneri di ripiano dei disavanzi in oggetto sono a carico delle regioni.
Nel dettaglio del provvedimento - ancora faccio riferimento all'intervento dell'onorevole Piro - mi soffermo sulla proposta contenuta nel decreto-legge in esame così come licenziato dal Senato in ordine alla riduzione da 10 euro a 3,5 euro del ticket previsto nella finanziaria 2007 sulle visite specialistiche.
Le Commissioni riunite bilancio e affari sociali, dopo una discussione intensa, avevano già trovato, maggioranza e opposizione d'accordo, un'amplissima condivisione nell'esprimere una netta contrarietà sulla copertura di spesa prevista ad integrazione delle minori entrate determinate dalla riduzione del ticket a 3,5 euro, perché andava a incidere su capitoli importantissimi della spesa per le famiglie, per le non autosufficienze, per la cooperazione allo sviluppo, per la cultura, per la ricerca nel settore sanitario e per le politiche giovanili. In Commissione abbiamo detto che non era condivisibile questa proposta.
Le Commissioni riunite hanno pienamente concordato quindi, con l'emendamento presentato dai relatori, che prevede non solo una diversa copertura di spesa, ma propone altresì l'abolizione in toto del ticket sulle visite ambulatoriali specialistiche. Il reperimento delle risorse a copertura delle mancate entrate fa riferimento ai fondi di rotazione per le politiche comunitarie e al fondo per i debiti pregressi dello Stato per 511 milioni, di cui ha già parlato nelle modalità di copertura l'onorevole Piro.
Il Governo si è rimesso alle decisioni del Parlamento e, se l'Assemblea confermerà questa proposta, l'abolizione del ticket sarà resa immediata con la pubblicazione della legge di conversione del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23. Infatti, com'è noto, i tempi per concludere l'esame del decreto-legge scadono il 19 maggio, quindi, è questione davvero di giorni.
Voglio fare una rapida considerazione sulla compartecipazione alla spesa sanitaria da parte degli utenti. Il ticket previsto per il ricorso al pronto soccorso, e solo in caso di codice bianco, va indubbiamente nella direzione di scoraggiare un uso inappropriato del pronto soccorso, responsabilizzando quindi gli utenti per una fruizione delle prestazioni in effettiva situazione di necessità ed è, quindi, condizione Pag. 8di un miglioramento dell'appropriatezza delle prestazioni stesse e di garanzia del mantenimento della loro universalità. Le cittadine e i cittadini hanno capito bene, io credo, il senso del ticket sul pronto soccorso e non ci sono stati particolari ed esplicitati disagi al riguardo. Non è così per il ticket sulle prestazioni specialistiche introdotto dalla finanziaria, quello cosiddetto dei «famosi» dieci euro, il quale ha determinato una situazione di profondo malcontento, di disagio e di protesta, soprattutto tra gli anziani, i pensionati, e naturalmente tra le famiglie in situazione di maggiore fragilità.
Voglio peraltro dire che per alcune prestazioni la misura introdotta ha persino reso più conveniente (mi riferisco ai meno complessi esami clinici di laboratorio) il ricorso alle strutture private. Nell'opinione pubblica il ticket ha rischiato e rischia di apparire una vera e propria tassa sulla malattia, che alimenta ancora di più la sfiducia dei cittadini verso il sistema sanitario nazionale, ed è sulla base anche di tali valutazioni e considerazioni che in Commissione siamo addivenuti alla proposta di cancellazione per quanto riguarda il ticket per tutto l'anno 2007.
Insomma questa misura andrà totalmente riconsiderata nella prossima legge finanziaria - si è parlato anche di tale aspetto in Commissione - ma nel frattempo si è condivisa l'idea di prevedere l'abolizione del ticket sulla specialistica per tutto il 2007.
Voglio sottolineare, dal punto di vista politico, l'importante condivisione che si è espressa tra maggioranza e opposizione: si tratta di una larga identità di vedute che, ci auguriamo, possa portare, in aula, ad una valutazione favorevole da parte delle forze politiche di opposizione su tutto il provvedimento.
Si consideri infatti - non riprendo quanto affermato dall'onorevole Piro - che anche su alcuni punti di criticità, ad esempio il blocco delle azioni esecutive relative ai debiti sanitari (e ricordo che anche un ulteriore punto ha presentato particolari criticità), c'è una certa disponibilità a ragionare sulle proposte emendative, in rapporto dialettico con il Governo (Applausi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cancrini. Ne ha facoltà.
LUIGI CANCRINI. Signor Presidente, concordo senz'altro con quanto detto dai due relatori, ovverosia che il provvedimento in esame è di grande importanza e significato, e lo è da almeno due punti di vista: il primo riguarda la possibilità di avviare, questa volta sì, un processo di risanamento largamente concordato anche con le regioni che maggiormente hanno accumulato debiti nel corso degli ultimi anni; il secondo riguarda la gradualità del provvedimento e la decisione di intervenire con una presenza, «in cabina di regia», accanto all'amministrazione regionale che dovrà disporre delle somme in questione. Mi sembra che tali aspetti delineino l'apertura di uno spazio importante per il futuro.
Mi pare anche che la decisione adottata dal Senato in prima lettura, secondo la quale si prevede la diminuzione del ticket per le visite specialistiche, e, successivamente, la proposta avanzata dalle Commissioni riunite in questo ramo del Parlamento, di superare completamente o sospendere l'applicazione di tale ticket, rappresentino - l'onorevole Zanotti lo ha segnalato con forza e con chiarezza - un grande merito di questo provvedimento.
È un provvedimento su cui noi Comunisti Italiani esprimiamo un giudizio sostanzialmente positivo. Vorrei, però, esporre alcune considerazioni sul testo attuale, confidando anche nel fatto che il relatore Piro ha accennato all'idea di un ulteriore confronto che possa eventualmente migliorarlo.Pag. 9
Due sono i punti su cui ritengo si debba riflettere con molta attenzione. Il primo è quello che riguarda l'origine del disavanzo, che l'onorevole Piro ha definito «dissennato». Ci troviamo di fronte ad una situazione in cui la cronaca giudiziaria, quasi ogni giorno, ci rivela una serie di elementi che non hanno a che fare soltanto con l'insufficienza del fondo o con problemi di gestione improvvisa o di cattiva gestione: ritengo che tali elementi riguardino disavanzi dissennati, anche frutto di comportamenti oggi all'esame della magistratura.
Inoltre, mi sembra che il testo attuale non abbia sufficientemente valutato il fatto che la ricognizione completa dei debiti sia affidata ad un advisor contabile e ad un programmatore finanziario: tali aspetti non vengono presi in esame.
Vorrei proporvi un esempio relativo alla mia regione, il Lazio. Non voglio citare, in questa sede, casi ampiamente riportati dai giornali e sui quali sono in corso indagini la giustizia farà il suo corso. Vi espongo un fatto riconducibile alla gestione degli anni precedenti che riguarda un settore di cui, in questi anni, mi sono particolarmente occupato dal punto di vista professionale. Si tratta del settore che, nel campo delle tossicodipendenze, va sotto il nome di «doppie diagnosi». È una curiosa dizione, che riguarda pazienti con problemi di tossicodipendenza, i quali presentino anche sintomi di tipo psichiatrico.
In quasi tutta Italia - mi riferisco alle regioni Emilia-Romagna, Puglia e Marche, regioni molto diverse tra loro - il problema delle doppie diagnosi è stato affrontato con convenzioni, stipulate soprattutto con comunità terapeutiche, che, con un modesto aggravio di spesa e seguendo una disposizione ministeriale del 1999, permettevano adeguamenti diretti per i tossicodipendenti con problemi psichiatrici ospiti delle comunità. L'ordine di spesa era di 50 o 60 euro al giorno.
La regione Lazio, invece, ha preso una decisione sconcertante, attraverso un'intesa con l'AIOP, l'Associazione italiana dell'ospedalità privata. Per effetto di tale intesa, nella regione Lazio le persone oggetto di una doppia diagnosi venivano ricoverate in case di cura, pagando una retta di 250 euro al giorno per le prime quattro settimane e di 200 euro al giorno nelle settimane successive. Esaminando i registri, si poteva rilevare come dopo quattro settimane vi fosse un'interruzione di una settimana; poi si cominciava di nuovo, pagando per altre quattro settimane il massimo della retta.
Per decisione degli stessi amministratori, l'AIOP non è creditrice della regione Lazio - e passo con ciò a trattare il problema dei crediti, una delle questioni di cui dobbiamo discutere -, perché tale associazione veniva pagata direttamente dalla regione, non attraverso le ASL, bensì in seguito ad un accordo che la regione Lazio aveva stipulato con tutti i creditori più importanti.
Non c'è alcuna «sollevazione» sul blocco dei crediti, né da parte di Farmindustria, né da parte di Assoprofarm, né da parte dell'AIOP, né, infine, da parte della spedalità religiosa, perché tali crediti sono sempre stati pagati direttamente ed immediatamente. Le comunità terapeutiche che hanno continuato a ricoverare pazienti in doppia diagnosi a 60 euro di retta al giorno non sono state ancora pagate e sono fra i creditori le cui rivendicazioni oggi si pretenderebbe di bloccare, mentre è stata pagata l'AIOP, che - mi permetto di dirlo con molta serenità - ha «lucrato» sulle doppie diagnosi, unicamente, lo ripeto, nel territorio della regione Lazio, perché solo nel Lazio si è ritenuto che fosse necessario il ricovero psichiatrico per i pazienti ricordati.
Vorrei proporre una riflessione particolarmente attenta su questi punti. Ci troviamo di fronte ad un sistema sanitario governato secondo modalità che nascono da una serie di modificazioni legislative sviluppatesi nel corso degli anni. Ho seguito la vicenda della sanità da consigliere regionale, ai tempi in cui la riforma sanitaria fu approvata. A quel tempo erano responsabili i comitati di gestione ed i comuni; poi, per passaggi successivi, siamo arrivati alla situazione attuale, che, secondo me, va osservata con particolare Pag. 10cura nel momento in cui si ripianano i deficit. La situazione attuale è la seguente: il manager della ASL che decide chi pagare e chi non pagare, quando e come farlo, il manager che nella regione Lazio ha potuto agire per anni senza aver visto approvato un bilancio preventivo - quindi, spendendo in assoluta libertà - è di nomina politica ed è controllato dallo stesso politico che lo nomina. Credo che sia una situazione rispetto alla quale le «voragini» debitorie che si sono determinate ci chiedano di intervenire. È giusto intervenire con provvedimenti d'urgenza come quello in esame, è importante farlo, ma non credo che possiamo continuare ad accettare l'idea secondo la quale, nella gestione di quella che è stata definita la più costosa e la più importante delle industrie di Stato del Paese ci sia una situazione di «controllori-controllanti», di assoluta libertà nel «muoversi».
Ciò riguarda, evidentemente, un sistema che, a mio avviso, dobbiamo riformare. Riproporrò tale idea ai colleghi delle Commissioni di merito, ma credo sia importante proporla al Parlamento nella sua interezza. Non credo sia un caso che in questo settore si siano accumulate «voragini» debitorie, se si è accettata per anni una situazione in cui il potere politico nomina e controlla da solo il comportamento di coloro che ha nominato.
Vi ripeto il dato impressionante: per anni, molte ASL del Lazio hanno agito senza che fosse approvato il bilancio preventivo. Chiedo, e riproporrò tale richiesta insieme ad altri colleghi - credo con la presentazione di un apposito ordine del giorno -, che accanto alla ricognizione del debito ci sia una ricognizione attenta, che definirei ispettiva, delle modalità con cui il debito stesso si è determinato. Non possiamo immaginare che solo la magistratura svolga una funzione di controllo su ciò che è accaduto. La magistratura svolge tale funzione, e la svolge bene, ma credo che sia necessario un controllo amministrativo forte.
L'istituzione dell'advisor per la ricognizione del debito dovrebbe comportare, a mio avviso, in modo un po' più forte e chiaro, anche un incarico preciso per comprendere il modo in cui il debito stesso si è formato. Proprio perché tutti siamo concordi nell'affermare che questa dovrà essere l'«ultima volta» e, come il collega Ventura ha già rilevato nel corso dell'esame del provvedimento nelle Commissioni riunite, dobbiamo essere capaci di immaginare un meccanismo che preveda un certa tipologia di sanzioni per gli amministratori che, da domani, non rispetteranno i patti stabiliti o che, in altro modo, violeranno le norme di buona amministrazione, creando «voragini» debitorie. È evidente che, se non ci preoccupiamo di evitare che ciò si ripeta, con un simile provvedimento di «sanatoria», disporremmo anche un'assoluzione complessiva per quanto è già avvenuto e non ritengo corretto che il Parlamento operi in tale modo, in questa fase.
È poi importante riflettere sulla questione della sospensione delle pretese dei creditori, cui il relatore per la V Commissione, onorevole Piro, si è riferito, utilizzando l'espressione «aggressione dei creditori», che non mi trova concorde. Vorrei fare un esempio al riguardo, relativo ad una situazione a me familiare: mi sembra difficile affermare che una comunità terapeutica che, sulla base di una disposizione della ASL, ha tenuto in ricovero un ragazzo per cento giorni, offrendogli da mangiare e da dormire, ed ha pagato gli operatori che si sono occupati di lui con rette molto basse (circa 50 euro al giorno), trascorsi tre anni, «aggredisca» la regione, se le chiede conto del mancato pagamento.
Quando il relatore per la V Commissione, onorevole Piro, ha giustamente operato una distinzione tra creditori forti e deboli, ha ritenuto altrettanto giustamente che il creditore forte abbia molti mezzi per farsi pagare e che ci riesca prima. Il problema, però, consiste nel fatto che, ad esempio nella regione Lazio, i creditori forti sono stati già pagati, mentre i piccoli fornitori e la gran parte del privato sociale sono rimasti non soddisfatti. Dobbiamo riflettere molto bene, anche dal punto di vista formale, su tale punto.Pag. 11
In questi mesi, fin dall'insediamento del Governo e dal varo del «patto per la salute», abbiamo riservato una grande attenzione all'idea per cui quanto accade nella sanità debba essere prima ampiamente concordato con le regioni. Il blocco del credito non è stato concordato con le regioni e, infatti, non è contenuto nel testo del decreto-legge originario, frutto dell'incontro tra il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze e le regioni. Esso è stato introdotto nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, senza aver consultato le regioni, per quanto ho avuto modo di sapere dagli assessori, anche perché non ci sarebbe stato il tempo necessario. È chiaro che la possibilità di introdurre tale clausola fa piacere alle regioni in quanto, in qualche modo, semplifica loro la vita.
Mi chiedo, però, se semplificare la vita alle regioni nei confronti dei loro creditori sia effettivamente giusto. Vorrei che riflettessimo su tale aspetto, sia nelle Commissioni sia in Assemblea, con molta attenzione, trattandosi di una questione di giustizia sostanziale. I creditori forti non hanno problemi, in quanto sono riusciti a farsi pagare prima; al contrario, coloro che vengono messi in crisi sono numerosi soggetti privati che operano nel sociale e piccoli fornitori, che non hanno la capacità di negoziare con le regioni modalità più rapide di pagamento dei loro crediti. È un punto su cui vale la pena discutere ancora nelle Commissioni di merito, anche tenendo conto che il tempo a nostra disposizione è molto limitato e che occorre garantire la conversione in legge del decreto-legge in esame. Sarebbe pertanto utile ascoltare sul punto anche le regioni. Tuttavia, disponendo comunque di dati sufficienti al riguardo, il gruppo dei Comunisti Italiani presenterà in Assemblea un emendamento che, al momento, è all'esame delle Commissioni riunite.
Vorrei concludere con una riflessione: le ricordate «voragini» non si sono determinate per caso. Alla loro origine vi sono comportamenti illeciti o leggerezze amministrative che vanno ricostruiti, investigati con cura, sia a livello amministrativo, sia a livello ispettivo. Non si tratta solo di procedere ad una ricognizione del credito, ma ad una ricostruzione delle modalità con le quali il problema si è verificato; ad esempio, ritengo che non sia possibile che le ASL agiscano fuori dal bilancio approvato e senza alcun provvedimento amministrativo nei vari livelli.
Una seconda questione, in termini politici più generali, attiene alla gestione attuale. Credo sia necessario cambiare il modo in cui i manager sono scelti, direttamente e senza contraddittorio, dalle giunte regionali, che hanno, poi, la responsabilità di controllare il loro operato. È un elemento che occorre cambiare.
Mi auguro che, a partire dall'approvazione di questo provvedimento giusto ed utile, si proceda anche ad una rivalutazione di un meccanismo rispetto al quale dobbiamo progettare cambiamenti importanti (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Iacomino. Ne ha facoltà.
SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, il decreto-legge, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, deve partire dal principio fondamentale sul quale poggia il nostro servizio sanitario nazionale: il diritto alla salute sancito dalla Costituzione.
Le scelte del Governo in materia, se da un lato tentano di garantire l'unitarietà del sistema sanitario, contemplando efficienza ed equità nell'ambito di un'azione che garantisca in tutte le regioni livelli essenziali di assistenza, dall'altro non rimuovono realmente le cause di situazioni debitorie che si intendono superare attraverso l'affiancamento, il commissariamento o il partenariato con le regioni più virtuose ovvero mediante l'aumento delle tasse con la massimizzazione di IRPEF e IRAP, l'introduzione di ticket sulle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e l'abbattimento di costi per beni e servizi.Pag. 12
Una politica sanitaria efficace, che tuteli la salute come diritto fondato sull'accesso paritario ai servizi sanitari per tutti e su criteri di solidarietà fiscale, non può non tener conto delle cause, anche storiche, che hanno determinato un forte squilibrio nell'erogazione dei servizi nelle diverse aree del paese; si tratta di una solidarietà fiscale eticamente necessaria per le forti sperequazioni tra le regioni in rapporto alla base reddituale. Analogamente, l'insufficienza del fondo sanitario nazionale rispetto al PIL, oltre al riparto del fondo sanitario nazionale fra le regioni, avvenuto in questo decennio secondo il criterio della maggiore popolazione anziana, ha, di fatto, introdotto elementi fortemente sperequativi tra le regioni, sia in termini di risorse, sia in termini di quantità e qualità nell'erogazione dei servizi.
Anche in questo caso, si ripropone la concezione aziendalistica della sanità - e quindi della salute - che impone la necessità del solo rigore finanziario per tenere in ordine i bilanci delle ASL; di conseguenza, non ci si indigna del taglio nell'erogazione dei servizi sanitari, del blocco del turn over del personale, del mantenimento del precariato, dei contratti a tempo determinato, di come si scelgono i direttori generali, i direttori sanitari ed amministrativi, i primari. Non ci si indigna, dunque, della cattiva gestione della politica sanitaria e delle implicazioni affaristiche che discendono.
In verità, il Governo intende soltanto attuare il piano di rientro attraverso l'affiancamento dei ministeri finanziari, senza domandarsi se ciò possa comportare la riduzione dei servizi sanitari: ciò, peraltro, mentre continua lo sperpero negli assessorati alla sanità, a partire dalle consulenze di staff che, in diversi casi, risultano frutto di clientele e di appartenenze politiche (così avviene in Campania dove non si tiene conto di alcun requisito relativo a professionalità specifiche).
È verosimile, invece, pensare di ripristinare un'amministrazione pubblica onesta ed efficiente che non possa e non debba affrontare tali tematiche in termini di emergenza, così come impone, invece, questo decreto. Facciamo in modo che non si ripetano, come è avvenuto per la questione dei rifiuti in Campania, quattordici anni di emergenze; non vorrei che questa misura fosse il preludio di un'altra stagione di emergenza. Dunque, non si deve intervenire con tagli alla spesa ma con una riorganizzazione ed una razionalizzazione della stessa.
Si può raggiungere tale risultato anzitutto con il ricambio, inderogabile, degli uomini che hanno finora gestito la sanità e con l'introduzione di meccanismi sanzionatori, veri ed inappellabili, nei confronti di amministratori inadempienti ed incapaci.
Il caso Campania è emblematico, a partire dall'ASL Napoli 1 (che maggiormente incrementa il deficit campano); è stato gestito ininterrottamente, dal 1996 al 2005, dallo stesso amministratore il quale, dal 2005 ancora oggi, governa il mondo sanitario regionale. Ma di cosa discutiamo!
Il Governo intende portare avanti una sfida impegnativa insieme a tutto il Parlamento: mettere sotto controllo la spesa sanitaria in quelle regioni che nel corso degli anni hanno accumulato debiti pesanti, che devono essere estinti entro il 2010, così come previsto anche dalla legge finanziaria. Bisogna aumentare l'efficienza della spesa sanitaria, riallineando l'erogazione dei servizi di queste regioni e razionalizzando la spesa, senza tagli indiscriminati, ma favorendo il ricambio di una classe dirigente dimostratasi per tanti anni incapace e responsabile di questo sfascio. Con questi presupposti è possibile promuovere l'unitarietà del sistema, anche attraverso un federalismo solidale; l'affiancamento o il commissariamento possono garantire il rientro dalla situazione debitoria ma non possono farlo vessando i cittadini e le aziende produttrici di servizi attraverso i ticket sulla ricetta specialistica o sul pronto soccorso, sui quali siamo decisamente contrari, così come lo siamo stati già in sede di approvazione della legge finanziaria.Pag. 13
Inoltre, non si può e non si deve pesare sull'erogazione e sulla qualità dei servizi né sul turn over del personale (il blocco di quest'ultimo è già stato attuato dalla regione Campania con la delibera del 30 aprile 2007).
Il Parlamento eserciti un vero controllo sull'attivazione dei piani di rientro e sugli effetti che questo potrebbe produrre in termini di diritto alla salute, di erogazione e di qualità dei servizi, di giustizia sociale. Si colpiscano i responsabili. Il Governo si faccia promotore di iniziative che rimuovano i soggetti che continuano a determinare sprechi, sfascio, malaffare ed inefficienza: tutto a danno dei cittadini!
Il gruppo di Rifondazione Comunista, nel corso dell'esame nelle Commissioni riunite, ha presentato un emendamento - teso anzitutto all'abolizione del ticket - che si è incontrato con quello presentato dai relatori, che ringrazio; la proposta è stata così approvata dalle Commissioni riunite che hanno introdotto la modifica al testo.
Ritengo d'altronde doveroso - lo osservava poco fa il collega Cancrini, ma anche il relatore Piro sollevava perplessità al riguardo - un ripensamento in ordine alla questione dell'impignorabilità delle somme da parte dei creditori. Non mi dilungo sulle valutazioni che faceva il collega Cancrini; credo però che occorra esaminare e valutare meccanismi che obblighino le regioni a stipulare convenzioni con i maggiori istituti bancari - ma ciò dovrebbe costituire appunto un obbligo - per l'accesso facilitato per coloro che vantino crediti verso le ASL, al fine di scongiurare il pericolo che aziende e società di produzione di servizi per il settore sanitario possano far ricadere le difficoltà finanziarie così prodotte sui lavoratori che operano in questo campo.
Il testo in esame, così modificato, e da inviare al Senato per l'ulteriore lettura, introduce elementi di giustizia e di tutela dei cittadini in condizioni di maggiore debolezza (lavoratrici, lavoratori e pensionati in primo luogo e soprattutto quanti siano sottoposti al prelievo fiscale alla fonte). Nel corso della discussione del disegno di legge finanziaria avevamo già segnalato come il ticket di 10 euro sulla ricetta specialistica fosse non solo iniquo ma destinato a squilibrare il rapporto pubblico-privato nella sanità, comportando costi per i cittadini e perdite per la sanità pubblica. Se il testo proposto, con gli emendamenti correttivi, avrà il voto favorevole di questo Parlamento, avremo reso un servizio al paese ed ai cittadini. Con questo provvedimento una parte delle iniquità verrebbe infatti corretta.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gardini. Ne ha facoltà.
ELISABETTA GARDINI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi e colleghe, il presente decreto-legge, modificato nel corso dell'esame al Senato, rientra nella lunga serie di interventi legislativi adottati nel corso degli ultimi anni per far fronte al grave e ricorrente problema dello «sforamento» da parte delle regioni dei limiti di spesa per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
All'articolo 1 infatti si dispone il concorso dello Stato, con uno stanziamento di 3 miliardi di euro per il 2007, al ripiano dei disavanzi regionali nel settore sanitario per il periodo 2001-2005, derogando alla normativa vigente secondo la quale gli oneri di ripiano dei disavanzi in oggetto sono a carico delle regioni. All'articolo in esame inoltre sono state aggiunte, nel corso dell'iter presso l'altro ramo del Parlamento, disposizioni concernenti le azioni esecutive intraprese nei confronti di soggetti pubblici per il pagamento dei debiti accumulati nel settore sanitario, le quali prevedono che non si possano iniziare o proseguire azioni esecutive relative ai predetti debiti nei dodici mesi successivi all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Il provvedimento recava altresì, all'articolo 1-bis, introdotto al Senato, la previsione relativa alla riduzione da 10 a 3,5 euro della quota fissa sulle ricette per prestazioni di specialistica ambulatoriale, a partire dall'entrata in vigore della legge di conversione e sino alla fine dell'anno. Nel corso dell'esame congiunto da parte Pag. 14delle Commissioni bilancio ed affari sociali della Camera, un emendamento dei relatori ha eliminato del tutto tale ticket.
Il gruppo di Forza Italia è nettamente contrario al decreto-legge in esame, e lo è per ragioni tanto di sostanza quanto di metodo e, avendo ascoltato gli interventi dei colleghi della maggioranza, mi sembra che molte delle nostre perplessità continuino ad essere condivise dalle varie forze sia di maggioranza sia di opposizione.
Per quel che riguarda il profilo di metodo, ci troviamo di fronte, ancora una volta, ad un uso distorto da parte di questo Governo dello strumento normativo della decretazione d'urgenza: trattandosi infatti del ripiano di disavanzi relativi al periodo 2001-2005, si può escludere che ricorrano i requisiti di straordinaria necessità ed urgenza che l'articolo 77 della Costituzione individua come presupposti affinché il Governo possa adottare decreti-legge.
Per quanto riguarda il merito del provvedimento, dobbiamo innanzitutto ricordare - anche all'onorevole Cancrini - come il Governo Berlusconi avesse lavorato per tutta la durata della passata legislatura per contenere l'espansione della spesa sanitaria regionale. A tal fine, in particolare, erano stati conclusi con le regioni una serie di accordi, attraverso i quali si passava da un sistema di soft-budget ad uno di hard-budget, ovvero da un sistema di semplice monitoraggio e di garbato controllo della spesa regionale ad un sistema di obiettivi, con la previsione di un meccanismo sanzionatorio in caso di mancato raggiungimento del risultato e di un meccanismo premiale in caso di raggiungimento dello stesso. Con il decreto-legge in esame, invece, si dà un'indicazione di segno completamente opposto: da un lato si penalizzano le regioni virtuose e i cittadini in esse residenti, i quali si sono trovati a dover pagare più tasse e contemporaneamente a poter usufruire di minori risorse statali per il servizio sanitario nazionale; dall'altro, si incentivano le regioni meno virtuose, le quali possono contare, come in questo caso, sul ripiano a posteriori degli sfondamenti di spesa prodotti.
Ribadisco dunque che il decreto-legge in esame lede i principi costituzionali dell'uguaglianza dei cittadini e della responsabilità finanziaria degli enti. Proprio per tali ragioni, lo scorso 2 maggio l'onorevole Leone aveva presentato una questione pregiudiziale che è stata però respinta. Devo comunque ricordare, essendo parlamentare proveniente dal Veneto, che la mia regione, assieme alla regione Lombardia, ha deciso di presentare ricorso alla Corte costituzionale contro questo decreto «salva-debiti della sanità», con deliberazione delle due giunte su proposta dei presidenti Galan e Formigoni.
Il presidente Galan, in particolare, aveva denunciato da subito la mancanza di trasparenza nel comportamento del Governo, che, presentando il decreto-legge, disattendeva gli impegni presi in sede di Conferenza Stato-regioni. Cito il presidente Galan: «Il Governo ci ha detto che aveva a disposizione solo 97 miliardi per la sanità, a fronte di un fabbisogno di 100. Ne sarebbero mancati dunque tre, che sono invece saltati fuori nelle pieghe della finanziaria e clandestinamente accantonati a favore delle regioni non virtuose ed indebitate: in primo luogo il Lazio, che ne riceverà 2,3, in aggiunta al piano speciale di salvataggio con cui il Governo tapperà l'enorme buco di quasi dieci miliardi accumulato da tale regione, accollandosi debito ed interessi sul debito».
Secondo il ricorso delle due regioni, il decreto-legge in esame presenta numerosi e gravi profili di illegittimità costituzionale, in particolare rispetto agli articoli 3, 32, 97, 117 e 119.
Per cominciare, si evidenzia la violazione del principio di uguaglianza. Predisponendo infatti un meccanismo di subentro statale finalizzato al ripiano dei disavanzi sanitari delle regioni (con il conseguente stanziamento di ingenti risorse statali), il decreto-legge penalizza irragionevolmente le amministrazioni regionali che, in virtù di un'oculata gestione mirata al controllo della spesa sanitaria, hanno Pag. 15fortemente contenuto (ovvero azzerato) il dissesto. Viene così ad essere violato il principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione. Inoltre, tale decreto-legge ha efficacia retroattiva ed introduce, sostanzialmente, una vera e propria sanatoria a favore di regioni la cui gestione sanitaria non è stata improntata a criteri virtuosi. Anche questa previsione costituisce un'ulteriore violazione dell'articolo 3 della Costituzione.
La copertura ex post dei disavanzi si pone in contrasto anche con l'articolo 119 della Costituzione, improntato al principio della piena responsabilità finanziaria che ciascun ente deve assumere in relazione alle funzioni di cui è titolare. Egualmente, si configura una violazione dell'articolo 117 della Costituzione, in quanto viene a configurarsi una pesante interferenza dello Stato nella materia della tutela della salute, che invece appartiene alla competenza delle regioni.
Viene inoltre eluso il principio del buon andamento, cui deve sempre essere improntata l'attività delle pubbliche amministrazioni, così come sancito dall'articolo 97 della Costituzione.
Infine, la sostanziale legittimazione di comportamenti non virtuosi di talune amministrazioni regionali pregiudica il diritto fondamentale alla salute previsto dall'articolo 32 della Costituzione.
Secondo le regioni Veneto e Lombardia il messaggio che con questo decreto-legge il Governo sta inviando alle regioni e agli enti locali è disastroso. È come se dicesse: fate quello che volete, tanto poi c'è lo «Stato mamma» che ripiana i debiti che avete contratto venendo meno al dettato costituzionale.
Le regioni ricorrenti hanno anche tenuto a precisare che in questo ricorso, ovviamente, non c'è nulla contro le altre regioni, ma che esso è rivolto esclusivamente contro il Governo, per un atto scorretto e per il trattamento discriminatorio nei confronti dei cittadini di alcune regioni rispetto ad altri.
Abbiamo bisogno di politiche serie e non demagogiche e l'iter del decreto-legge, per come l'abbiamo vissuto all'interno del Parlamento e per come i cittadini lo hanno potuto seguire sui giornali e sui mezzi di informazione, dimostra lo stato un po' confusionale di questa maggioranza. Con il provvedimento in esame, tra l'altro, il Governo contraddice anche gli obiettivi di finanza pubblica, definiti a livello europeo. Ad inizio legislatura, infatti, il controllo della spesa sanitaria figurava tra gli interventi da realizzare nell'ambito delle riforme strutturali, mentre ora è evidente come il Governo abbia rinunciato a qualunque tipo di controllo, e non solo sulla spesa sanitaria.
Un altro tema che risulta problematico è la sospensione delle attività esecutive nei confronti dei creditori del Servizio sanitario nazionale. Tale disposizione, infatti, oltre ad essere in contrasto con la direttiva 2000/35 della Comunità europea, concernente la lotta contro i ritardi nel pagamento delle obbligazioni di natura commerciale, rischia di comportare conseguenze gravissime per molte aziende operanti nel settore e conferma, ove ce ne fosse bisogno, l'incertezza del Governo sulla reale entità delle risorse necessarie al ripiano dei disavanzi in oggetto.
Bisogna anche tener conto del fatto che l'attivazione di procedure di infrazione nei confronti dello Stato italiano potrebbe determinare riflessi finanziari non previsti in termini di sanzioni, spese legali ed interessi, per cui sarà opportuno un chiarimento da parte del Governo a questo proposito.
Infine, vogliamo anche sottolineare le profonde perplessità suscitate dalle modalità individuate per la copertura degli oneri derivanti dalla cancellazione della quota fissa sulla ricetta relativa alle prestazioni di specialistica ambulatoriale. La copertura, già bocciata dalla sottocommissione per i pareri della V Commissione bilancio del Senato, relativa all'abbattimento del ticket da 10 a 3,5 euro - l'abbiamo sentito riconfermato oggi -, è stata reintrodotta, peggiorata sensibilmente dal punto di vista finanziario. In pratica, la copertura dell'onere relativo Pag. 16alla cancellazione del ticket viene per la massima parte imputata al Fondo di rotazione per le politiche comunitarie.
Ciò significa, oltre che una dequalificazione della spesa, anche il rischio che l'utilizzo di quota parte delle risorse del fondo nella misura indicata possa pregiudicare l'attuazione degli interventi già finanziati. In effetti, proprio con queste motivazioni al Senato era stata bocciata tale copertura, e per questa ragione, sempre al Senato, essa era stata sostituita con quel «saccheggio» di fondi sociali - il fondo per la famiglia, per i giovani e per i non autosufficienti - che ha ricordato anche l'onorevole Katia Zanotti.
Su tale problematica in Commissione si era raggiunto un accordo pieno fra tutti i colleghi, sia di maggioranza sia di opposizione. Fra l'altro, proprio in quei giorni, la nostra Commissione era contemporaneamente impegnata in un altro importante lavoro: l'indagine conoscitiva sulla famiglia, con la quale si pone in rilievo la grande sensibilità che viene riposta su tutte le problematiche che riguardano la famiglia.
Il nostro atteggiamento era pertanto un po' schizofrenico: da un lato dovevamo occuparci, giustamente, di quella che, secondo noi, deve costituire una priorità delle politiche familiari e delle necessità delle famiglie - tutti dicevamo che occorreva implementare, e di molto, il fondo per le politiche familiari, perché così com'era rappresentava soltanto un fondo nominale -, e, dall'altro, dovevamo discutere del «taglio» del fondo stesso.
Sicuramente la famiglia è tra le priorità avvertite dagli italiani, ma anche il fondo per i non autosufficienti, che allo stesso modo al Senato era stato decurtato, rientra tra le priorità assolute avvertite dai cittadini italiani. Cito, a tale riguardo, il risultato del Monitor Biomedico 2006 sugli italiani e la salute condotto dal Censis e dal Forum per la ricerca biomedica, presentato di recente a Roma, dal quale risulta che la preoccupazione più forte degli italiani è proprio il rischio di non autosufficienza, associato a patologie croniche destinate ad aumentare, in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione italiana.
Gli italiani, mentre hanno un rapporto di fiducia con il medico curante, giudicano negativamente la dimensione istituzionale del servizio. Senza citare tutte le cifre, ricordo solo che l'81 per cento degli italiani chiede l'istituzione di un fondo per finanziare i servizi ai non autosufficienti.
È evidente che, di fronte a questa situazione, eravamo complessivamente tutti d'accordo nel fermare questo sistema di copertura finanziaria. A questo punto, però, attendiamo quello che ci dirà il Governo. Noi ribadiamo la nostra contrarietà assoluta a «toccare» anche uno soltanto dei fondi indicati come copertura al Senato.
Queste indicazioni, però, sono gravemente contraddittorie e arrivano ai cittadini creando maggiore disagio e la percezione di una maggiore instabilità e fragilità. Noi sappiamo bene, quando si va a toccare qualche cosa che ha a che fare con il Servizio sanitario nazionale, quanto i cittadini siano sensibili e, soprattutto, quanto le categorie più esposte, ad esempio, gli anziani, si sentano ancora più precarie, meno tutelate e meno salvaguardate nelle loro esigenze e necessità prioritarie.
Il provvedimento al nostro esame giunge dopo una serie di annunci e di «indietro tutta» susseguitisi nel corso dei mesi. A questo proposito ricordo, a titolo di esempio, che i ticket sanitari sono stati introdotti da voi e che già per ben due volte ne è stata pubblicizzata, con grande enfasi dai mezzi di comunicazione, la riduzione e l'abolizione.
Non voglio ripercorrere tutta la storia, sulla quale ho raccolto una piccola rassegna stampa. Già all'epoca dell'introduzione dei ticket sanitari con la legge finanziaria, abbiamo potuto leggere nei titoli dei giornali che il Ministro della salute, Livia Turco, ne esaltava l'introduzione: «Esordio confuso, ma pagare non è più un tabù». In seguito abbiamo osservato la grande confusione creatasi e le difficoltà: il ticket debutta con un «pagherò»; poi, Pag. 17«visite e analisi: caos per i nuovi ticket»; «rivolta del nord contro i ticket». In un secondo momento è stato approvato il cosiddetto decreto «mille proroghe» e abbiamo assistito alla prima inversione di marcia, che ha reso possibile la cancellazione volontaria da parte delle regioni del ticket aggiuntivo a invarianza di gettito, che significava che il balzello avrebbe dovuto essere sostituito da altre misure da concordare con il Governo. Anche quest'ultima misura non ha ottenuto il plauso delle regioni; ricordo, ad esempio, che la mia regione aveva presentato ricorso contro il decreto «mille proroghe».
Ora sarebbe giunta la soluzione, dopo quella prima indicazione del Governo bocciata però dalla Commissione bilancio del Senato dove si è svolta, per quanto abbiamo visto, una seduta abbastanza animata: due sospensioni in aula al fine di cercare un'intesa, con un intervento appassionato e vibrante del Ministro della salute, Turco, che si è schierata, tra l'altro, contro la completa abolizione del ticket, introdotta da due emendamenti presentati uno da Forza Italia e l'altro dall'Ulivo.
Per tutto quanto detto, aspettiamo di conoscere la posizione del Governo. Non possiamo accettare - lo ripeto e lo ribadisco - che vengano tagliati i fondi per il sociale. Non possiamo neanche accettare la giustificazione che era stata sostenuta, ovvero che si trattasse solo di una copertura tecnica, l'unica che può essere adottata in questo momento.
In conclusione, ribadiamo la nostra contrarietà a questo decreto-legge ed aspettiamo delle risposte chiare dal Governo. Credo che sia giusto che i cittadini sappiano come vengono utilizzati i loro denari. Ricordo che in Veneto il sistema sanitario regionale, tra le tante difficoltà, si pone comunque tra le eccellenze del Paese, sia in campo scientifico, sia nell'assistenza ai propri cittadini, ai quali non chiediamo lacrime e sangue, come certi signori in altre regioni. Mi riferisco, ad esempio, a Bassolino e alla Campania, dove con il buco della sanità e la voragine dei rifiuti, si spende ancora quasi un milione di euro per i corsi per le «veline». Penso anche al Governo, che sostiene di eliminare i ticket - in realtà, altro non è che una sospensione per l'anno 2007 -, mentre, per esempio, non si parla più di pensioni, non si parla più di scaloni.
A questo punto, sovviene un dubbio: si parla di ticket, ci si trova in questa situazione così confusa, lo ripeto, forse perché, come abbiamo visto in altre puntate di questo stesso film, sono alle porte le elezioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vannucci. Ne ha facoltà.
MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il gruppo dell'Ulivo condivide la conversione in legge di questo decreto-legge, di cui ha condiviso sia i caratteri di straordinarietà e di urgenza, deliberati da questa Camera, sia il merito, perché esso è coerente con quanto definito nel DPEF a luglio e con la conseguente legge finanziaria.
Non è una scoperta di oggi che alcune regioni soffrono e soffrivano di forti disavanzi accumulati in anni pregressi per il Servizio sanitario. Interveniamo, infatti, su disavanzi non coperti per il periodo 2001-2005; semmai c'è un ritardo colpevole, per non aver affrontato negli anni precedenti e alla radice questa problematica.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria, da noi condiviso, vi erano indicate le linee che il Governo e questa maggioranza intendevano seguire. Già a giugno, il Governo aveva avviato l'elaborazione di un nuovo patto per il sistema sanitario. Testualmente, il DPEF recitava: «Rientro entro il 2009: per le regioni che presentano forti disavanzi viene stanziato, per gli esercizi dal 2007 al 2009, un fondo straordinario di dimensione decrescente nel tempo, che, insieme con misure rafforzate di affiancamento, accompagna la manovra delle entrate proprie regionali con un finanziamento strettamente condizionato, che sostenga un percorso di rientro in grado di portare entro il 2009, grazie soprattutto alla più efficiente gestione, all'azzeramento di tali Pag. 18disavanzi». Si tratta di un atto che il Parlamento ha discusso e deliberato.
Successivamente, il comma 796 della legge finanziaria per il 2007 ha istituito il fondo novellando gli impegni alla sottoscrizione di uno specifico accordo con le regioni (un accordo vero) per un piano di rientro.
Bisogna riconoscere che il Governo si è mosso bene: ha eseguito la verifica dei disavanzi pregressi dalla quale sono emerse le regioni inadempienti, l'entità del disavanzo, le motivazioni delle inadempienze. È bene ricordarlo, sono risultate inadempienti, in diverse misure e per svariate ragioni, nove regioni: il Piemonte, la Liguria, il Lazio, l'Abruzzo, il Molise, la Campania, la Basilicata, la Sicilia e il Veneto.
Il Presidente del Consiglio ha provveduto a diffidare le regioni inadempienti invitandole ad adottare le necessarie misure di copertura. Deve essere ricordato che lo stato di inadempienza determina l'incremento automatico delle aliquote fiscali.
A seguito dell'iniziativa del Governo, la Basilicata, il Piemonte, il Veneto e, successivamente, la Liguria, con diversa procedura, hanno provveduto ad adottare le misure di copertura necessarie. Oggi pertanto le regioni inadempienti (con diverse proporzioni e diversa entità), per le quali scattano gli automatismi fiscali, risultano essere l'Abruzzo, la Campania, il Lazio, il Molise e la Sicilia, cioè cinque regioni su venti. Il Lazio e la Campania presentano i livelli di debito più alti: 9 miliardi 900 milioni per il Lazio, 6 miliardi 900 milioni per la Campania, ben oltre i livelli attesi, tanto che il Governo (che ha dimostrato in questa circostanza decisione) ha opportunamente preteso per le due regioni l'obbligo del supporto di un advisor (revisore contabile), indicato dal Ministero dell'economia e delle finanze.
Certo, colleghi, non è piacevole adottare tali provvedimenti (mi riferisco all'intervento finanziario sui debiti), ma un Governo responsabile ha il dovere di farlo. Del resto, già le leggi finanziarie per il 2005 e per il 2006 del precedente Governo contenevano entrambe eguali misure di ripiano di debiti pregressi del sistema sanitario.
Non è possibile operare una distinzione politica di responsabilità, un «rimpallo», visto che ci troviamo di fronte a gestioni di regioni amministrate da Governi sia di centrodestra, sia di centrosinistra. Non serve «rimpallarci» le responsabilità, ma vedere le cause strutturali che hanno determinato tali situazioni e come rimuoverle.
Vi è da dire che, a differenza del passato, il Governo ha agito con determinazione ed ha posto per la prima volta le condizioni per una soluzione stabile del problema e per un'assunzione piena di responsabilità da parte delle regioni.
Bisogna inoltre aggiungere che la nuova linea che l'esecutivo intendeva attuare è stata definita con il DPEF di luglio, approvato mentre il Governo stava discutendo con le regioni il nuovo patto della salute, fissando un primo punto cardine (di una semplicità assoluta, se volete, ma una novità rivoluzionaria per il sistema), quello della certezza delle risorse.
Il DPEF fa riferimento alla certezza delle risorse: «Il Governo si impegna a definire le risorse destinate al servizio sanitario su un arco pluriennale» - inizialmente per il triennio 2007-2009 - «in modo da rendere possibile alle regioni una programmazione di medio periodo delle azioni necessarie a correggere le inappropriatezze e a riassorbire le inefficienze che minano il controllo della spesa e l'efficacia dei servizi ai cittadini».
Non era mai avvenuto e questo creava (è vero) un disimpegno, un'attesa di risorse (alla fine qualcuno pagherà). Nel DPEF è scritto: «Autonomia e inderogabile responsabilità delle regioni. Le regioni opereranno in un regime di piena autonomia e di inderogabile responsabilità di bilancio: se una regione ottiene economie maggiori di quelle programmate potrà utilizzare, a sua discrezione, le risorse così liberate a condizione che i livelli essenziali di assistenza (LEA) siano comunque garantiti; se non ottiene i guadagni di efficienza programmati, invece, dovrà finanziare Pag. 19le spese eccedenti con risorse proprie, anche mediante la conferma degli strumenti di automatismo fiscale». Questo è scritto in atti del Parlamento, e conseguentemente vi è «l'operazione verità» da fare sul disavanzo attraverso il ripiano di cui oggi discutiamo.
Se considerato nella combinazione degli atti finora adottati dal Governo e nell'ambito della politica del ministero concordata con le regioni, il provvedimento in esame crea, finalmente, le condizioni per una maggiore equità del sistema, per un'effettiva garanzia dei diritti e per un ruolo guida del Governo. Il decreto-legge fa emergere, inoltre, con chiarezza, l'entità del disavanzo di alcune regioni e le ragioni di lungo periodo che lo hanno determinato.
Abbiamo parlato finora di regioni inadempienti, cinque su venti. Però, nel momento in cui si converte in legge un decreto-legge di questa portata, il Parlamento deve riconoscere il merito alle altre quindici regioni che hanno saputo affrontare da sole il problema, riformando il loro sistema regionale tramite iniziative, a volte anche impopolari, ma dimostrando coraggio e senso di responsabilità.
Provengo da una regione, le Marche, che ha approvato un piano sanitario fortemente innovativo ed ha saputo compiere scelte importanti, tagliando il superfluo e l'improduttivo e concentrandosi sulla qualità, sull'efficacia, sull'appropriatezza delle prestazioni e dei ricoveri. Ciò ha comportato sacrifici in altri settori di spesa che, alla fine, i cittadini hanno compreso come necessari. Ed infatti quel che oggi le cinque regioni ci hanno costretto ad introdurre per legge, vale a dire l'automatismo sulla tassazione, è stato disposto autonomamente dalla regione Marche, che ne ha indicato mete ed obiettivi. La presenza di regioni virtuose (oltre alle Marche, anche la Lombardia, la Toscana, l'Emilia-Romagna, l'Umbria e le altre dieci) porta a sostenere che è possibile riformare il sistema di quelle in disavanzo, uniformando le loro azioni alle migliori pratiche intraprese dalle regioni che registrano un bilancio in attivo. Non possiamo indulgere, dunque, in un atteggiamento passivo e permissivo.
Onorevoli colleghi, il nostro Paese spende in politiche sanitarie tra il 6 e il 7 per cento della ricchezza che ogni anno produce: grosso modo siamo nella media europea, al di sotto di Danimarca, Svezia e Regno Unito, ma al di sopra di altri. Il confronto, ovviamente, va fatto con i paesi che, come l'Italia, adottano un sistema assistenziale pubblico, caratterizzato dalla fornitura universale delle prestazioni a carico dello Stato, dal finanziamento attraverso la tassazione generale, dalla gestione o, se preferite, dal controllo pubblico dei fattori di produzione. Ritengo che, nel suo complesso, il sistema sanitario italiano si collochi in una posizione di tutto rispetto nelle graduatorie internazionali sulla tutela della salute e la qualità delle prestazioni.
Tuttavia, la qualità è spesso distribuita male, a «macchia di leopardo», ed i cittadini sono costretti a trasferte e a lunghe attese. Per migliorare il sistema è necessario «aggredire» gli elementi di criticità: prestazione e ricoveri inappropriati per carenza di servizi domiciliari, scarsa integrazione tra servizi sociali e sanitari, approccio burocratico della medicina di base che determina una spesa farmaceutica fuori norma e spesso fuori controllo, e potrei continuare nell'elenco.
In questa sede, però, mi preme sottolineare la possibilità reale di miglioramento del sistema proprio prendendo a modello le esperienze positive che ho citato. Sarà così possibile non solo mantenere, ma anche rafforzare i livelli di assistenza e, nello stesso tempo, tenere la dinamica della spesa all'interno degli obiettivi fissati. Nessuno di noi, credo, ritiene che l'ammontare delle risorse impiegate per spese sanitarie, ossia il 6 o il 7 per cento in rapporto al PIL, debba o possa essere ridotto, poiché la dinamica della spesa sanitaria è determinata da due fattori di fondo in costante crescita che determinano costi più elevati: l'invecchiamento Pag. 20della popolazione, con il conseguente innalzamento delle attese di vita, e il progresso della medicina.
Se, quindi, non si agisce sulle ottimizzazioni possibili, si farà entrare in crisi il sistema, in quanto è ovvio, ed è giusto, che vorremmo vivere sempre più a lungo e sempre meglio, godendo dei progressi della scienza, e ciò costerà di più. Ma riformare è possibile: credo che siamo sulla strada giusta e il provvedimento in esame va in questa direzione. Il Comitato ristretto della Commissione si è concentrato con maggiore attenzione su due aspetti del decreto-legge e, precisamente, sulle modifiche apportate al Senato e sulle quali si sono intrattenuti anche i colleghi che mi hanno preceduto. Il primo aspetto riguarda la riduzione della quota fissa sulla ricetta, il cosiddetto ticket - il Senato ha ridotto la compartecipazione da 10 euro a 3,5 euro -, che proporremo di eliminare completamente; il secondo concerne il blocco, per dodici mesi, delle azioni esecutive da parte dei creditori verso le aziende sanitarie e le cinque regioni interessate al decreto (mi riferisco al comma 3 dell'articolo 1).
Il primo tema - onorevole Gardini - è stato già brillantemente risolto nel momento in cui il decreto-legge viene esaminato da questa Assemblea. Il Governo ha già risposto e le Commissioni hanno già predisposto una proposta per l'Assemblea. Di ciò do merito, per quanto riguarda la quota, ossia i ticket - ed abbiamo già approvato, in proposito, nelle Commissioni riunite, un emendamento proposto dai relatori -, ai relatori Katia Zanotti e Franco Piro, al presidente della V Commissione, Lino Duilio, ed anche, ovviamente, al Governo ed alle due Commissioni, che hanno perseguito con determinazione l'obiettivo di modificare il testo approvato dal Senato.
Va, ovviamente, a merito del Senato aver introdotto nel provvedimento il tema della quota fissa per ricetta, che tanto sconcerto aveva creato nel Paese, il cosiddetto ticket. Noi dell'Ulivo non abbiamo un atteggiamento pregiudiziale, ideologico, in ordine alla possibilità di chiedere una compartecipazione alla spesa sanitaria dei cittadini. Anche tale aspetto è stato materia di discussione e di determinazione nel DPEF, che contiene esplicitamente una previsione in merito. Ad esempio, abbiamo condiviso l'introduzione della quota a carico dei cittadini, per quanto riguarda i «codici bianchi» - quindi, non le urgenze del pronto soccorso -, ed il Paese l'ha compresa, proprio perché agiva su una domanda impropria, ossia quella del pronto soccorso non necessario e tale da determinare non solo maggiori entrate - a mio avviso marginali - ma un miglior funzionamento del servizio. Diverso è il ticket sulle ricette e sulla diagnostica, ovvero senza difese, senza alternative e senza «rete».
È una materia, quella della compartecipazione, da affidare comunque - secondo il mio parere - alle regioni stesse, considerata la differenza che vi è fra regione e regione sul piano dei conti. Si tratta di un'eventualità che le regioni potrebbero attivare, a seconda della propria situazione finanziaria. È, semmai, lo Stato che deve prevedere ipotesi di compartecipazione che agiscano verso le prestazioni improprie, e non già verso le prestazioni essenziali. Questo aspetto potrebbe essere un criterio guida tale da accomunare tutti noi, e comprendiamo anche i motivi per i quali se ne è determinata l'introduzione nella legge finanziaria, signor sottosegretario. Ma oggi, anche alla luce di una nuova situazione dei conti pubblici e delle entrate determinate dalle scelte che abbiamo compiuto, è stato possibile rivedere la determinazione e decidere la completa abolizione della quota sulla ricetta per l'anno 2007, che sarà prevista nel prossimo disegno di legge finanziaria per gli anni successivi (posso affermarlo con certezza).
Si tratta di un importante risultato, del quale noi dell'Ulivo siamo stati fautori e sostenitori; mi riferisco all'eliminazione totale della quota di compartecipazione, per la quale si è provveduto ad innalzare la copertura - onorevole Gardini, ciò è già stato fatto nel momento in cui il provvedimento è giunto all'esame Pag. 21dell'Assemblea - attraverso la riduzione di spesa in settori molto difficili e sensibili - come ha ricordato la relatrice per la XII Commissione, onorevole Zanotti - che sarebbero, fra l'altro, entrati in forte contraddizione con i propositi programmatici della maggioranza.
Se si sostiene, infatti, che una delle possibili soluzioni, importante anche come fattore di risparmio, sia una sempre maggiore integrazione tra assistenza sociale e sanitaria, al fine di agire sull'appropriatezza delle prestazioni, come si può pensare di ridurre la spesa del fondo per la famiglia, per la non autosufficienza, per la ricerca finalizzata alla salute?
Abbiamo preso atto delle assicurazioni del Governo circa la provvisorietà di tale copertura, che poteva essere riconsiderata in fase di assestamento, ma proprio per questo motivo abbiamo ritenuto possibile adottare una copertura che non fosse in netta contraddizione, mantenendo, comunque, signor sottosegretario, l'impegno di una più approfondita verifica in sede di assestamento, come prevedeva la prima ipotesi formulata dal Governo. I colleghi senatori, escludendo la possibilità di utilizzare il fondo di rotazione per le politiche comunitarie - che noi abbiamo reintrodotto -, si sono probabilmente basati sulla sua iscrizione nel capitolo delle spese in conto capitale. Da una più approfondita analisi, si è potuto appurare, però, che tale fondo è stato più volte utilizzato per la copertura di oneri di parte corrente: il rischio di una «dequalificazione» della spesa per le modalità indicate sembra, quindi, non prefigurarsi - di ciò, anzi, sono certo -, soprattutto sulla base dell'impegno del Governo di rivedere gli interventi in fase di assestamento. A tal proposito, sarebbe opportuna, da parte del Governo, un'approfondita analisi sul gettito delle quote in questi mesi: non è stato possibile disporne, anche se l'abbiamo richiesta più volte, ma essa avrebbe, forse, comportato la necessità di un minore impegno finanziario.
Siamo favorevoli, quindi, alla totale abolizione del ticket ed alla copertura degli oneri indicati. Nel dibattito in Assemblea dovremmo approfondire, invece, gli aspetti relativi al blocco delle azioni dei creditori, sui quali si sono soffermati i colleghi, in particolare l'onorevole Cancrini ed anche il relatore per la V Commissione, onorevole Piro, che ringrazio per l'intervento iniziale.
Noi comprendiamo la ratio della norma, la necessità di mettere un punto fermo, la possibilità di fare chiarezza fino in fondo, il carattere emergenziale, soprattutto nel Lazio ed in Campania, ma capiamo anche la preoccupazione di chi ha sollevato profili di incostituzionalità e di impatto sul sistema delle imprese, soprattutto di quelle in cui si registra un alto tasso di costi per la manodopera. Il nostro impegno sarà teso, pertanto, a ricercare e perseguire tutti i possibili margini di miglioramento, affinché la ricaduta sui creditori, che sono i fornitori del sistema sanitario, sia quanto più possibile attenuata e, soprattutto, non danneggi le parti deboli, a partire dai lavoratori dipendenti.
Signor Presidente, noi difenderemo strenuamente il nostro sistema sanitario pubblico e universalistico e perseguiremo, con tutte le energie possibili, la promozione della salute. Rafforzeremo costantemente le politiche sociali ed i servizi a favore dei cittadini, proprio per rendere più solida e competitiva la nostra economia, affinché essa possa fondarsi su una vera coesione sociale e su un sistema avanzato, che garantisca pari opportunità. È questa la vera anima del centrosinistra e la nostra visione della società e del mondo.
Molti economisti sostengono che, nella competizione globale, la «vecchia» Europa, con il suo modello di welfare - che rappresenta la vera conquista dei riformisti e delle famiglie progressiste, della socialdemocrazia -, non potrà reggere di fronte ai sistemi dell'Oriente e del resto del mondo, che non garantiscono pari diritti e tutele alle persone e crescono a tassi più alti dei nostri. Noi non crediamo, però, che la crescita possa avvenire a danno dei diritti delle persone: in Europa vi sono importanti democrazie che crescono molto più della nostra e che da Pag. 22tempo hanno affrontato i nodi dell'innovazione, garantendo maggiori tutele. Siamo convinti che si possa crescere, come stiamo dimostrando con l'azione del Governo, incrementando i diritti e puntando sull'innovazione, sulla ricerca, sulla conoscenza, su una competizione «alta», che metta al centro i giovani, i talenti e, appunto, la conoscenza.
In questa direzione vanno le azioni della maggioranza e del Governo. I dati lo confermano. L'ultimo segnale è la riclassificazione di Moody's e proprio oggi, ne sono certo, arriveranno buone notizie dalla Commissione europea per il superamento delle procedure di infrazione per deficit eccessivo. In questo lungo percorso, signor sottosegretario, sosterremo le determinazioni del Governo, purché siano coerenti con l'indirizzo esposto. La conversione del decreto-legge in esame va in questa direzione e il gruppo de L'Ulivo lo sosterrà con convinzione (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Poretti. Ne ha facoltà.
DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando il Parlamento legifera in materia di sanità è sempre molto attento a non invadere ciò che in base alla Costituzione rientra nella competenza regionale; in particolar modo stiamo davvero molto attenti, in Commissione Affari sociali, nell'esame dei provvedimenti di competenza.
Quando, però, le regioni hanno utilizzato male le rispettive risorse finanziarie e hanno creato una situazione di disavanzi sanitari, delle vere e proprie «voragini», come quelli che stiamo esaminando in queste ore, è davvero benvenuto l'intervento dello Stato e questo è lo spirito che regge il decreto-legge oggi in esame. Regioni virtuose si trovano a coprire - ricordo le cifre perché sono davvero spaventose - con 3 miliardi di euro i debiti contratti da quelle meno virtuose. Si tratta, peraltro, come si ricordava prima, di una goccia nel mare, perché questo rappresentano 3 miliardi di euro, quando solo il Lazio ha un debito emerso pari a 9,9 miliardi, mentre quello della Campania è pari a 6,9 miliardi.
Sotto un altro profilo, il decreto-legge dovrebbe, fra l'altro, costituire un intervento straordinario per riparare ai disavanzi di bilancio e mantenere in piedi il servizio del sistema sanitario nazionale. La straordinarietà, però, nel nostro caso sembra trasformarsi in ordinarietà: 2 miliardi di euro furono stanziati, per lo stesso motivo, dalla legge n. 311 del 2004, relativamente ai debiti contratti negli anni 2001, 2002 e 2003, e altri 2 miliardi furono stanziati dalla legge n. 266 del 2005 sempre per gli anni 2002 e 2003, con l'aggiunta del 2004. L'intervento dello Stato è diventato a tal punto ordinario che nella legge finanziaria 2007 è stata prevista persino l'istituzione di un fondo transitorio per le regioni in difficoltà. Per accedervi, tuttavia, le regioni devono dimostrare le buone intenzioni di ripianare i debiti, senza compromettere la qualità del servizio sanitario.
Alla fine di tutto ciò chi paga è il cittadino, il contribuente, ed anche le aziende, con l'innalzamento ai livelli massimi dell'addizionale regionale dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
Credo davvero che non sia un bel segnale per un Governo e un Parlamento che, pur timidamente, stanno agendo in favore dei consumatori contribuenti, con i vari decreti del ministro Pierluigi Bersani, e in favore delle aziende con la semplificazione delle procedure per l'avvio delle stesse, come la recente proposta di legge a primo firmatario Daniele Capezzone, approvata dalla Camera, la famosa «sette giorni per un'impresa». Si pensi poi anche alle grandi aperture dei mercati extraitaliani, grazie all'attività del Governo e, in particolar modo, di quella del Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee, Emma Bonino. È davvero un brutto segnale!
Il federalismo è auspicabile a tutti i livelli nel nostro ordinamento e su ciò il Governo e il Parlamento stanno lavorando; Pag. 23ma se il federalismo in materia sanitaria, che in questo momento rappresenta quello al livello più avanzato, ha comunque bisogno dello «Stato-babbo» e dello «Stato-mamma» per continuare ad essere tale, siamo davvero messi male e ciò costituisce un campanello d'allarme che qualcosa di importante non funziona.
Ciò accade, tra l'altro, proprio in questi giorni, in cui i casi di malasanità conquistano, purtroppo, le prime pagine dei nostri giornali e telegiornali e il messaggio civico e politico del provvedimento è quantomeno diseducativo, in quanto sembra dire che le regioni possono mal gestire le finanze, possono indebitarsi senza prevedere modalità di ripianamento, tanto in deroga a tutte le leggi arriverà una misura straordinaria che rimetterà a posto le loro casse e non vi sarà alcun licenziamento, alcun colpevole per il danno alle casse e per la malasanità. Tutto fa capo al sistema e non si considera alcuna responsabilità individuale, né alcuno che sia chiamato a pagare. Anche se nella legge sono presenti dei paletti - ed è per questo che non sto dicendo di votare contro -, il segnale è comunque di contrarre debiti, tanto in qualche modo si interverrà. Allo stato dei fatti e delle norme però non si potrebbe agire in maniera diversa.
È chiaro che occorre comunque una profonda riforma che ridefinisca totalmente l'organizzazione sanitaria nazionale e regionale, in modo tale che il federalismo possa portare positività politica ed economica ad un centro agile e snello con pochi soldi a disposizione, in quanto le proprie funzioni dovrebbero essere essenzialmente di indirizzo, come ci chiedono le regioni quando adottiamo leggi in materia di sanità.
Allo stato dei fatti e delle norme però - ripeto - non si potrebbe agire in modo diverso in quanto lo Stato e le regioni non hanno manifestato, finora, un approccio in tal senso. Per evitare che a pagarne le spese sia poi l'anello debole della catena, ovvero il paziente malato, è necessario che il decreto-legge del Governo vada in porto. Ovviamente, sarà anche impegno dei rappresentanti de La Rosa nel Pugno creare condizioni politiche e normative che evitino di ritornare sull'argomento con tali modalità e in questi termini. Noi del gruppo de La Rosa nel Pugno ci riferiamo al testo originario del decreto-legge adottato dal Governo, e non a quello che è stato successivamente modificato dal Senato, di cui stiamo discutendo.
I punti nodali sono due: il primo è quello della disposizione aggiunta al comma 3 dell'articolo 1, che ritengo palesemente incostituzionale. È stato introdotto, infatti, un divieto per i creditori - ricordiamolo per l'ennesima volta -, di dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, di intraprendere o proseguire azioni esecutive relativamente ai debiti sanitari nelle regioni interessate: eventuali pignoramenti eseguiti non vincolano gli enti debitori e i tesorieri; i relativi debiti insoluti producono esclusivamente gli interessi legali; il principio espresso nell'articolo 2 della Costituzione, che riconosce il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, verrebbe negato, o meglio «congelato», quantomeno per dodici mesi.
Inoltre, nella nota tecnica, il dossier consegnato, si paventa il rischio che un tale provvedimento possa determinare effetti negativi a carico della finanza pubblica, sia per il prodursi di interessi, sia per la possibilità che si determini un contenzioso in relazione a tali debiti.
È necessario ricordare la possibilità di ulteriori sanzioni che lo Stato italiano potrebbe trovarsi a pagare per l'attivazione delle procedure di infrazione relative alla direttiva europea sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
La direttiva europea 2000/35/CE, recepita con il decreto legislativo n. 231 del 2002, stabilisce che, nei casi di contenzioso tra imprese e pubblica amministrazione, il livello degli interessi di mora debba essere maggiorato di almeno 7 punti percentuali, con decorrenza immediata ed automatica rispetto al tasso d'interesse legale. È una norma creata per garantire il creditore nei confronti della pubblica amministrazione che, sia esso piccolo o grande fornitore, si Pag. 24rivela sempre l'anello più debole. Tale aggiunta è stata apportata al Senato, con il parere contrario della competente Commissione e il rimettersi all'Assemblea da parte del Governo; non capisco, quindi, come possa essere ancora sostenuta alla Camera, anche se si stanno determinando delle «spaccature» sul testo. Abbiamo potuto sentire il collega di Rifondazione Comunista, gruppo che l'aveva proposta nell'altro ramo parlamentare.
Si è perfino parlato - lo ha sostenuto il rappresentante del Governo in Commissione finanze - dell'utilità di un congelamento per un periodo di 18-24 mesi. Di conseguenza, non è chiaro come si sia arrivati alla formulazione di quell'emendamento, del perché sia stato ammesso e come tuttora «resti in piedi», nonostante le voci che si sono levate contro.
Da una parte, le regioni fanno debiti, dall'altra, lo Stato li ripiana. Questa «pillola» per ora riusciamo a mandarla giù, però, ci pare eccessivo congelare i debiti contratti dalle regioni con i privati i quali, immaginiamo, non potranno certo approvare altrettante leggi ad hoc per congelare gli stipendi dei propri dipendenti o per pagare i rispettivi fornitori o le tasse.
L'intervento del Senato, inoltre, è stato dilaniante, tant'è che ha modificato perfino il titolo del decreto-legge. Il Governo lo aveva varato come «disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario». Il Senato, anche con l'assenso del Governo, ha aggiunto, di seguito, le seguenti parole: «nonché per la riduzione della quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale».
Non è mia intenzione entrare tanto nel merito della questione, cioè se era giusto o meno introdurre i ticket, quanto nel metodo con il quale si modifica la legge finanziaria appena approvata. Era stato introdotto l'articolo 1-bis con il quale si prevedeva per il 2007 la riduzione del ticket sulle ricette da 10 a 3,5 euro. Ora, con l'emendamento della Commissione, addirittura, si prevede l'abolizione completa dello stesso. Solo cinque mesi fa, la legge finanziaria aveva modificato i ticket e, proprio per tale motivo, si prevedeva che sarebbero dovuti entrare nelle casse dello Stato 811 milioni di euro nell'anno 2007. Di fatto, però, in base al testo del provvedimento oggi all'esame della Camera entreranno solo 461 milioni di euro.
Vi è poi la questione relativa alla copertura di 350 milioni di euro; nel testo in discussione, al di là dell'emendamento dei relatori approvato dalla Commissione, si prevedeva di acquisire i soldi necessari attingendo dai fondi davvero più diversi. È inquietante pensare di prelevare 50 milioni dal fondo per i Paesi in via di sviluppo o, addirittura, dal fondo unico per lo spettacolo: fondi che nulla hanno a che vedere con il provvedimento al nostro esame, che ha ad oggetto la sanità. Senza considerare, tra l'altro, che i soldi venivano anche prelevati dai fondi destinati alla ricerca per la salute, dal fondo per la famiglia, dal fondo per i non autosufficienti e da quello per le politiche giovanili. In quest'ultimo caso, va rilevato senza entrare nel merito della questione, forse, in teoria, una qualche attinenza si poteva trovare. È stata la relazione tecnica degli uffici della Camera a segnalare alcuni evidenti problemi, tant'è che si chiedeva di verificare come l'utilizzo di quei fondi non pregiudicasse la realizzazione di interventi già previsti.
La clausola di copertura, inoltre, non appare, sotto il profilo formale, correttamente formulata. In questo caso si potrebbe trovare una soluzione reperendo la copertura finanziaria a questo emendamento, smentendo però, di fatto, la legge finanziaria appena approvata. Che l'operazione fosse stata fatta un po' male e raffazzonata, è un altro discorso, ma almeno sulla riduzione di questo danno si può in qualche modo operare.
La problematica attiene al modo con cui si interviene in un decreto-legge, che non parlava di ticket, e, dopo cinque mesi, si ritorna indietro. A tale proposito, ricordo un caso avvenuto circa un anno fa, nella scorsa legislatura, con maggioranza e opposizione diverse e su un argomento diverso.Pag. 25
All'epoca del Governo Berlusconi si modificò la legge Fini-Giovanardi sulla droga, utilizzando un decreto in materia di Olimpiadi che non c'entrava assolutamente nulla, ma, nonostante ciò, si procedette. Nel provvedimento in esame - è vero - si parla di sanità, ma per ripianarne i debiti; invece, ora si apre un'ulteriore voragine per le casse dello Stato.
All'epoca del decreto sulle Olimpiadi fu interessante osservare come furono in molti ad evidenziare che in quel modo si uccideva il dibattito, si sminuiva il confronto e l'autorevolezza dell'istituzione legislativa, veniva meno quella chiarezza, semplicità e comprensibilità che dovrebbero essere alla base di un sistema legislativo, contribuendo così a peggiorare l'immagine dell'istituzione nei confronti dei cittadini. Ciò detto, mi domando, se l'aggiunta sui ticket, anche perché avviene a così poca distanza dall'approvazione della legge finanziaria, avvenga per certi versi nello stesso modo della riforma sulla droga, approvata nella scorsa legislatura, e soprattutto se possa avere il medesimo impatto nei confronti del Paese.
Buona parte di coloro che evidenziavano questo pessimo metodo del Governo Berlusconi sono oggi fra chi perora la causa dei costi troppo alti dei ticket sanitari e, quindi, utilizzano lo stesso metodo. Credo che in uno Stato di diritto il fine - sebbene buono, quello cioè di abrogare i ticket - non possa comunque giustificare i mezzi, anche perché il fine di modificare la legge sulla droga poteva essere buono anche per il Governo Berlusconi. Se ciò dovesse avvenire, il diritto e lo Stato non sarebbero più tali.
In conclusione, se il provvedimento in esame non ritornerà, quanto meno riguardo all'articolo 1, alla formulazione originaria, così come approvato dal Consiglio dei ministri, il gruppo de La Rosa nel Pugno non potrà votarlo. Sottolineiamo comunque che la straordinarietà dell'intervento è decisamente al limite.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ulivi. Ne ha facoltà.
ROBERTO ULIVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, entro subito nel merito della questione dichiarando fin d'ora che mi trovo in grande disaccordo con alcuni intenti del disegno di legge di ripiano della spesa sanitaria. In pratica, intervenendo lo Stato sui gravi disavanzi di alcune regioni, si evince come il ripiano venga in realtà effettuato da tutti gli italiani, all'uopo tassati anche se l'eliminazione del ticket potrebbe gettare fumo negli occhi poco esperti di qualcuno.
Non sembra alquanto strano che queste regioni possano essere giunte ad avere un tale enorme debito, senza che alcun meccanismo di controllo sia stato esercitato dall'esterno? Non dovrebbero, forse, i gestori (presidenti e direttori generali), rispondere - anche in corso d'opera, in proprio ed in solido - se un controllore esterno, ad esempio la Corte dei conti, vigilando si accorgesse che si accumulano pendenze e debiti?
In realtà, già da tempo vige una legge, la n. 405 del 2001, che prevede misure nei confronti delle regioni in caso di sfondamento; tale legge, infatti, effettua alcuni interventi affinché le regioni stabiliscano l'obbligo, per tutte le strutture del servizio sanitario nazionale, di mantenere l'equilibrio economico (articolo 3) e induce le stesse ad attivarsi per ripianare eventuali disavanzi tramite misure di compartecipazione alla spesa sanitaria o, alternativamente, variazioni delle aliquote dell'addizionale regionale all'IRPEF, dell'IRAP o altre forme di tassazione, unitamente, sembrerebbe ovvio, ad altre misure - cito testualmente - idonee a contenere la spesa.
Tutto ciò è stato fatto? Se mi si rispondesse di sì, significherebbe che in alcune regioni la spesa sanitaria è tale da non poter essere in alcun modo frenata! Lo si dovrebbe facilmente evincere dagli appositi siti Internet che le regioni avrebbero dovuto attivare, sempre ai sensi della legge n. 405, entro il dicembre 2001, per rendere pubblici i dati dei famosi osservatori regionali dei prezzi in materia sanitaria.Pag. 26
Esiste tutto ciò? E se sì, perché nessuno è intervenuto, una volta conosciuti i dati di bilancio?
In realtà, anche l'ultima legge finanziaria si occupava dei ripiani delle regioni ed in quella sede si è anche introdotto il ticket; quest'ultimo viene ora abolito (intervento sicuramente giusto), ma perché solo fino al 31 dicembre 2007? Non solo, certamente, per motivi economici: deve sussistere anche una ragione di principio. Proprio la proposta emendativa presentata dai relatori e approvata all'unanimità dalle Commissioni riunite bilancio e affari sociali dimostra che (permettetemi questa breve divagazione) le accuse che la maggioranza rivolgeva contro l'opposizione - che si opponeva strenuamente all'istituzione di questo ticket durante la discussione sulla legge finanziaria - di fare ostruzionismo o di cercare di ottenere qualche consenso in più erano false. Infatti, certamente, l'opposizione si era così condotta per ragioni di giustizia sociale e per venire incontro alle esigenze dei cittadini meno facoltosi e più in difficoltà.
Lo stesso parere del Comitato per la legislazione della Camera osserva che «dovrebbe valutarsi l'opportunità di procedere ad un coordinamento con quanto disposto dall'articolo 6-quater del decreto-legge n. 300, al fine di chiarire (...) se possa considerarsi superata la disposizione (...) che stabiliva un termine finale di applicazione della lettera p) del comma 796 della legge finanziaria per il 2007 (...)». Le Commissioni di merito non hanno ritenuto di dovere intervenire su questo punto; quindi, comunque aboliamo il ticket, anche se non si sa fino a quando. Ma è ovvio che le relative risorse andranno pur rinvenute da qualche parte, anche per ripianare il mancato introito che si aggiunge ai precedenti disavanzi. Ma il punto di questo decreto che davvero mi preoccupa è il comma 3 dell'articolo 1.
A parte tutte le rimostranze, giunte sia in sede di Commissione, sia direttamente a noi parlamentari, corredate a volte da pareri di illustri giuristi - che ravvisano addirittura una potenziale incostituzionalità, nonché un mancato rispetto delle direttive della Comunità europea (vedi, ad esempio, la direttiva 2000/35/CE) -, vorrei far notare come finora non sia stato preso in considerazione né quanto osservato dall'opposizione, riguardo alla liceità ed all'opportunità di impedire ai creditori di essere risarciti, né quanto, addirittura, espresso da membri della maggioranza. Mi riferisco agli onorevoli Fincato e Leddi Maiola che, in VI Commissione, hanno ritenuto «inaccettabile la sospensione delle procedure esecutive per i debiti vantati nei confronti del servizio sanitario nazionale». Tesi poi tradotta nella prima delle condizioni poste da parte della VI Commissione, che invita le Commissioni di merito «a rivedere la formulazione del terzo, quarto e quinto periodo del comma 3 dell'articolo 1 (...), laddove essi prevedono che, per dodici mesi (...), non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive relative a debiti sanitari (...)». Ribadisco che tale condizione non è stata considerata degna di nota dalle Commissioni di merito.
Infine, nelle Commissioni riunite non è stata presa in considerazione nessuna delle proposte emendative presentate, nemmeno quelle che tentavano di recepire quanto osservato nei pareri delle Commissioni consultive; è stata invece approvata solo una proposta emendativa del relatore che ha introdotto modifiche all'articolo 1-bis per il reperimento dei fondi.
Quindi, concludendo, le mie perplessità sulla liceità e l'equità di questo decreto mi spingono a guardare con grande perplessità ed attenzione al prosieguo dei lavori in Assemblea, ma con la speranza che il Governo e la maggioranza vogliano mostrare maggiore apertura su certi temi.
Alludo ad esempio alle disparità che si creerebbero tra debitori se entrasse in vigore l'articolo 1, comma 3, nell'attuale formulazione e se non si fugassero tutti i dubbi di costituzionalità e di compatibilità con quanto imposto dalla Comunità europea agli Stati membri, Italia compresa, la quale ha già recepito le normative con il decreto legislativo n. 231 del 2002 proprio in tema di contratti tra imprese e pubblica Pag. 27amministrazione con riferimento alla consegna di merci e alla prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
Concludo dichiarandomi d'accordo con due osservazioni precedentemente esposte dall'onorevole Cancrini. Infatti, i creditori maggiori sono stati già soddisfatti tramite accordi particolari, precedentemente stipulati con le regioni, e quindi verrebbero danneggiati esclusivamente i piccoli creditori ed il «privato sociale». Non è dunque accettabile che si introduca la norma secondo la quale a nominare i famosi direttori generali siano coloro che, successivamente, saranno chiamati a controllarne l'operato. Occorre quindi un ente terzo adibito a tale funzione e dunque è indispensabile e urgente che si riveda anche questa disposizione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Di Girolamo. Ne ha facoltà.
LEOPOLDO DI GIROLAMO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi deputati, il provvedimento che approda oggi all'esame dell'Assemblea, dopo un iter molto tormentato al Senato ed una discussione tesa ed impegnata nelle Commissioni riunite V e XII, si inserisce pienamente nella strategia politico-programmatica del Governo di centrosinistra per quanto riguarda il settore della salute. È una strategia che ha l'ambizione di voler coniugare insieme efficienza, equità, sostenibilità e responsabilità. Efficienza, perché questo era il presupposto fondamentale della riforma aziendalistica del sistema sanità, e noi siamo ancora pienamente convinti della bontà di tale impianto. Equità, perché il bene salute non è solo garantito ad ogni cittadino italiano dall'articolo 32 della Carta costituzionale, ma perché esso rientra nei diritti fondamentali della persona ed è elemento basilare del patto di cittadinanza tra Stato e cittadini. Sostenibilità, perché ciò rappresenta la garanzia del futuro del servizio sanitario nazionale e la possibilità di accesso ai servizi sanitari per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro capacità economica. Responsabilità, perché un sistema estremamente complesso ed articolato quale quello sanitario, che interviene sul bene fondamentale della persona, ossia la salute e la vita, non può essere governato se non attraverso un meccanismo di responsabilità plurali, di governance, come si dice oggi, di tutti gli attori che vi partecipano, dai cittadini utenti fino al Presidente del Consiglio. Ma tale sistema, in primo luogo, deve essere governato attraverso una forte cooperazione istituzionale: è solo attraverso tale quarta funzione che possiamo realizzare gli altri tre assi.
Ciò è quanto stiamo cercando di fare, in primo luogo con il «patto per la salute», siglato tra Governo e regioni e poi trasfuso nella legge finanziaria per l'anno 2007 e, in secondo luogo, con il decreto-legge in discussione, che, pur richiedendo grande responsabilità e coraggio alle regioni alle prese con gravi disavanzi pregressi nel settore sanitario, offre loro la possibilità concreta di riportare i conti in ordine e anche di migliorare la qualità del servizio sanitario offerto al cittadino.
La spesa sanitaria, negli ultimi dieci anni, è risultata in costante crescita: una crescita che ha superato di circa otto volte quella relativa all'economia del Paese. Tale fenomeno ha, d'altra parte, una dimensione mondiale, in quanto determinato da fattori strutturali, quali l'invecchiamento della popolazione, l'innovazione tecnologica e la consapevolezza crescente dell'importanza del bene salute da parte dei cittadini.
Nei ventidue paesi OCSE la spesa sanitaria media è del 9,3 per cento, da un massimo del 15 per cento negli Stati Uniti, ad un minimo del 5,6 per cento nella Corea del Sud. L'Italia, con l'8,4 per cento, si colloca al di sotto della media; in quindici anni, dal 1988 al 2003, ha accresciuto la sua spesa in rapporto al PIL dello 0,5 per cento. Si tratta di una spesa finanziata dal sistema pubblico per circa il 75 per cento e che contiene al suo interno ampi margini per migliorarne efficienza ed appropriatezza. Ad esempio, da una ricerca effettuata dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali relativa ai costi delle aziende ospedaliere per gli anni 2001 e Pag. 282002, si rileva che, anche standardizzando i parametri, le differenze di costo tra le varie aziende per il ricovero medio standard superano il 300 per cento.
Noi siamo convinti che si debba mantenere in vita il servizio sanitario nazionale, riportando la spesa sanitaria all'interno della più complessiva dinamica economica del paese, ma, allo stesso tempo, migliorandone efficienza e qualità. Il provvedimento di ripiano si inserisce in questa visione, permeata di un federalismo solidale che, nell'ottica della tutela del diritto alla salute di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro residenza, determina, da parte dello Stato e delle regioni più forti, un aiuto, un accompagnamento per le regioni in difficoltà.
L'aiuto dello Stato nel ripiano dei disavanzi sanitari non è, d'altronde, un elemento di novità. Lo ha già disposto il precedente Governo, con due leggi finanziarie, la finanziaria per l'anno 2005, ossia la legge n. 311 del 2004, e la finanziaria per l'anno 2006, ossia la legge n. 266 del 2005, per un importo complessivo pari a 4 miliardi di euro. Quindi, francamente non si capisce, se non nell'ottica della strumentalità politica, l'opposizione di principio a questo provvedimento da parte alcune forze politiche e di alcune regioni. Anche la strumentazione normativa utilizzata è, in buona parte, quella che il Governo Berlusconi ha messo in campo con le due finanziarie richiamate. Certo, noi, con la legge finanziaria per l'anno 2007 e con le intese stipulate, ci abbiamo messo qualcosa in più. In primo luogo, siamo riusciti a fare chiarezza sull'entità del debito - su cui, in questi anni, sono circolate cifre molto variabili - e sulle cause che lo hanno prodotto, in modo da poter predisporre le soluzioni più idonee; si è costruito un sistema di verifica e controllo molto stringente, anche attraverso l'affiancamento del Ministero della salute a quello dell'economia e delle finanze; infine, nell'ottica di quel federalismo solidale di cui ho parlato, si sono attivati partenariati con le regioni più avanzate, per attuare metodologie di lavoro e percorsi operativi dimostratisi più efficienti. Quindi, cari colleghi, non è un ripiano «a piè di lista». Alle regioni interessate si richiedono grande impegno e sacrifici. In primo luogo, si richiede loro una parziale cessione di «sovranità politica», che credo sia un elemento molto gravoso. In secondo luogo, sono necessari importanti impegni finanziari; basta pensare alla regione Lazio, più volte richiamata in quest'aula, che presenta una delle situazioni più difficili ed a cui si richiede non solo l'attivazione delle aliquote massime degli strumenti fiscali, ma l'impegno a farsi carico di circa 6 miliardi di euro di debiti. Vi è, quindi, una forte condivisione di responsabilità.
Il provvedimento in esame è importante anche perché nel corso dell'esame in Senato è stato inserito un emendamento volto a ridurre l'entità del ticket per la diagnostica, istituito con l'ultima legge finanziaria. Noi in quel momento, a causa della difficile situazione dei conti pubblici, non riuscimmo a evitare tale misura. Ora, siamo invece in condizione di correggerla ed abbiamo lavorato concordemente in questo ramo del Parlamento per eliminarla del tutto, anche a seguito della già forte decurtazione disposta dal Senato.
I due relatori, cui va il mio ringraziamento per l'impegnativo lavoro svolto, hanno operato modificando la copertura prevista dal Senato e che costituiva motivo di sofferenza politica, non solo della maggioranza. Ciò è stato fatto con l'assicurazione che non si impegneranno risorse già destinate e che il Governo le ripristinerà con l'assestamento di bilancio del prossimo giugno. È vero che sulla gran parte di tale copertura, che ripristina quella originariamente fissata dal Governo, la Commissione bilancio aveva espresso parere contrario, ma lo stesso aveva fatto su quella sostitutiva che, poi, il Senato ha approvato. Siamo pertanto convinti di aver reso un buon servizio al Paese attraverso il decreto-legge in esame, con l'abolizione del ticket e la riconduzione verso l'equilibrio finanziario delle regioni a più grave sbilanciamento, evitando così il rischio di una «implosione» del sistema. Lo facciamo convinti che la sanità non rappresenti Pag. 29soltanto un sistema a tutela di un diritto fondamentale della persona, ma anche un fattore fondamentale di sviluppo economico del Paese.
È in quest'ottica che, nella legge finanziaria per l'anno 2007, abbiamo aumentato di più di 6,5 miliardi di euro le risorse per i livelli essenziali di assistenza, che abbiamo stanziato 2 miliardi di euro per incrementare l'insufficiente fondo per il 2006, che abbiamo aumentato di 3 miliardi di euro le risorse per l'edilizia sanitaria e gli investimenti tecnologici, che abbiamo stanziato 2,5 miliardi di euro nel triennio con un fondo di riequilibrio per le regioni con maggiori passivi e che, infine, abbiamo riservato 3 miliardi di euro provenienti dai fondi europei alle regioni del Meridione, attraverso il protocollo di intesa siglato dai Ministri dello sviluppo economico e della salute e dai presidenti delle otto regioni meridionali ed insulari. Quest'ultimo stanziamento è stato disposto al fine di migliorare la rete di assistenza sanitaria, di superare il divario nord-sud e di eliminare, o almeno ridurre, la pratica, indegna di un Paese civile come il nostro, dei cosiddetti viaggi della speranza.
Signor Presidente, colleghi deputati, una recente indagine ISTAT, effettuata su 60 mila famiglie, la più vasta condotta in Europa, che ha riguardato giudizi e valutazioni dei nostri concittadini in merito alla propria salute ed ai servizi sanitari, ci testimonia che la gran parte degli italiani promuove il nostro servizio sanitario nazionale. Tuttavia, permangono inadeguatezze in ordine soprattutto alle questioni delle malattie croniche invalidanti, alla non autosufficienza, agli scarsi investimenti sulla prevenzione, alle liste di attesa, alle grandi differenze di qualità dei servizi, soprattutto tra le regioni del centro-nord e quelle del sud. Sono gli stessi problemi per la cui soluzione sta operando il Governo Prodi e quanto è stato fatto nell'ultimo anno, dal consistente aumento delle risorse, al «patto per la salute», dall'istituzione del fondo per la non autosufficienza, alla vaccinazione anti-HPV per le adolescenti, fino ad arrivare all'attuale decreto-legge, lo dimostra pienamente. Siamo consapevoli che è una sfida molto rischiosa e impegnativa, ma siamo altresì consapevoli di avere la volontà politica e le forze per riuscirvi.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 16,30 per lo svolgimento degli ulteriori interventi.
La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 16,30.