Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Seguito della discussione del disegno di legge: S. 379 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri. Delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri (Approvato dal Senato) (A.C. 1287) (ore 9,14).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri. Delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione sulle linee generali.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1287)
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali.
Constato l'assenza della deputata Mazzoni, iscritta a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Fabbri. Ne ha facoltà.
LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mentre stiamo discutendo il decreto-legge che dispone una nuova suddivisione dei ministeri e le diverse funzioni attribuite ad essi, è singolare che dobbiamo ricordare che fu proprio ad opera di un Governo di centrosinistra, nel corso della XIII legislatura, che venne realizzato per l'appunto con la legge Bassanini e successivo decreto delegato n. 300 del 1999, l'accorpamento dei ministeri per ridurre le spese e per razionalizzare l'azione amministrativa. Va ricordato anche che questo provvedimento rinviava la riduzione dei ministeri con portafoglio da 18 a 12 a partire dalla XIV legislatura; oggi li riportiamo da 12 a 18.Pag. 2
Con questo provvedimento, il Governo si pone oggi in completa antitesi con le esigenze di una corretta ed efficiente azione amministrativa, che dovrebbe essere rivolta alla razionalizzazione e alla semplificazione della macchina amministrativa. È evidente, infatti, che l'aumento dei ministeri risponde soltanto a logiche di spartizione partitica del potere. In sostanza, le ragioni del cosiddetto «spacchettamento» dei ministeri sono da ricercare nella volontà di dare incarichi di governo al più alto numero di esponenti di tanti partiti e partitini del centrosinistra, al fine di accontentare la variegata e disomogenea maggioranza che sostiene il Governo Prodi: è sufficiente guardare le prime pagine dei giornali di oggi per vedere in politica estera quanto essa sia disomogenea. Avete superato il record dei centouno componenti il Governo; e devo dire che questa controriforma comporterà un notevole aggravio di costi, una proliferazione di ministri e viceministri, con le relative strutture: è un atto contraddittorio nei confronti della politica di rigore economico che il Governo di centrosinistra ha annunciato al paese.
È emblematico, oltre che paradossale, che questo sia il primo atto dell'attuale Governo. In particolare, lo sdoppiamento dei ministeri produrrà difficoltà funzionali per gli apparati ministeriali, senza contare i maggiori costi che peseranno sui conti pubblici. Osserviamo che c'è una grande concentrazione di funzioni alla Presidenza del Consiglio dei ministri che, accanto alle competenze che già possiede, avrà competenze in materia di sport, di vigilanza sull'albo dei segretari comunali e provinciali, nonché funzioni di indirizzo e di coordinamento in materia di politiche giovanili e di politiche per la famiglia.
Va rilevato anche che il decreto-legge contiene una delega legislativa per il riordino delle funzioni e dell'organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, ponendosi ancora una volta in contrasto con la legge n. 400 del 1998, che espressamente vieta che i decreti-legge e le leggi di conversione contengano deleghe legislative. Ma tant'è: l'articolo 77 della Costituzione ormai non è più osservato. Nel disegno di legge di conversione c'è un'ampia e generica delega per il riordino dell'organizzazione e delle funzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri, con un termine di attuazione di ben 24 mesi. Ora, ditemi voi dove sono le questioni di urgenza! Il decreto-legge è considerato uno strumento normativo che consente un iter veloce e una scadenza certa. Io ricordo, nel 2001, le grandi critiche polemiche che il centrosinistra sollevò, quando il Presidente Ciampi firmò il decreto che manteneva il Ministero della salute distinto da quello del lavoro e delle politiche sociali e distingueva la materia delle comunicazioni dalle attività produttive, poichè non veniva data attuazione a quanto previsto dalla legge Bassanini. Con questo decreto-legge si è fatto di peggio: sono stati creati nuovi ministeri, mentre altri, di conseguenza, vedono il proprio ambito di competenza completamente stravolto.
Questa è anche una spia preoccupante del modo di concepire i rapporti tra politica e istituzioni o, meglio, tra il fare politica e il governare. Governare vuol dire anche assicurare continuità, coerenza ad una serie di funzioni che lo Stato svolge insieme ad altri soggetti, per affrontare e risolvere i problemi della collettività. Questo montare e smontare, con un tratto di penna, strutture organizzative ormai rodate ed il cui percorso operativo si snoda in sinergia con altri soggetti significa rendere complicata l'attività del Governo.
Desidero fare qualche riflessione sulla frammentazione che ha colpito il Ministero del lavoro: in questo caso si assiste ad una clamorosa smentita della legge Bassanini. Essa era stata approvata, come dicevo prima, da questo stesso Governo e aveva previsto la nascita di un maxiministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. L'accorpamento di queste competenze in un unico dicastero trovava allora la sua ragione nel fatto che i problemi che vengono affrontati hanno bisogno di una soluzione integrata, se è vero che le politiche del lavoro non possono ignorare i problemi della famiglia, che previdenza e assistenza devono distinguersiPag. 3ma anche parlarsi tra di loro e che, in un paese che invecchia, soprattutto l'assistenza sanitaria e quella sociale devono andare di pari passo. L'impostazione di questo decreto-legge risulta in palese contraddizione con la tendenza, affermata nella XIII legislatura - quella in cui avete governato voi - e rinforzatasi nell'ultima, a considerare le politiche sociali strettamente integrate alle politiche del lavoro. Tutto questo produrrà enormi inefficienze e conflitti di competenze tra i vari dicasteri. Peraltro, già nel corso dell'esame al Senato, il Governo è dovuto intervenire con sostanziali modifiche al testo del decreto-legge per precisare i rispettivi ambiti di competenza e disinnescare, in questo modo, i potenziali conflitti che potrebbero sorgere tra i vari dicasteri, quello del lavoro e quello della solidarietà sociale.
Sul piano delle criticità, scindere le politiche sociali dalle politiche attive del lavoro vuol dire avere la volontà di annullare le politiche attive del lavoro; vuol dire andare verso la cultura dell'assistenzialismo e contro non solo le riforme fatte dal Governo Berlusconi nell'ultima legislatura, ma anche contro le riforme che avete fatto voi a partire dal «pacchetto» Treu. Se pensiamo al sud, esso ha bisogno di politiche sociali che servono come volano per quelle del lavoro. Questa separazione non è compatibile neanche con le sfide che ci pone il mercato globale. Noi abbiamo una forza lavoro che è la meno istruita d'Europa, come ho detto anche al ministro Damiano intervenuto in Commissione lavoro. A parte che, in Europa, mediamente il 20 per cento della forza lavoro è laureato e il nostro paese registra soltanto il 10 per cento, noi abbiamo più della metà delle persone che svolgono un'attività di tipo operativo che non hanno la licenza media e quelli che la posseggono, ce l'hanno con gli istituti benemeriti previsti dalle normative vigenti in materia, ma che non portano cultura a nessuno. Voi dovete cimentarvi sugli ammortizzatori sociali e fare in modo di trovare i soldi per realizzarli. Infatti, il mercato è flessibile di per sé e non perché l'abbiamo voluto noi con la riforma Biagi. La riforma degli ammortizzatori deve prevedere che, per chi perde il lavoro, vi sia un'indennità automatica ma subordinata all'effettiva partecipazione ai piani individuali di inserimento lavorativo. Occorre fare formazione vera, non come accade oggi, che la formazione serve soltanto a chi la fa, cioè ai formatori. Oggi, assistiamo ad uno spettacolo indecoroso per un paese civile. Dovete tenere presente che le politiche del lavoro e il welfare sono due facce della stessa medaglia: penso ad un paese assimilabile al nostro, come l'Inghilterra, che spende la nostra stessa percentuale di PIL per il welfare ma, a differenza di noi, impegna tanti soldi per le politiche attive del lavoro e meno per le pensioni. Noi facciamo l'esatto contrario: spendiamo un sacco di soldi per le pensioni, per mantenere in pensione persone giovani che potrebbero dare ancora il loro contributo lavorativo. Oggi nel sud accade che con questi sussidi miserabili che il Patto per l'Italia aveva previsto di migliorare, e con un po' di nero, i giovani non sono più incentivati a cercare un lavoro: altro che inclusione sociale!
Per quanto riguarda gli altri ministeri, mi soffermo sul Ministero per la solidarietà, che ha la vigilanza sui flussi migratori che saranno svincolati dal fabbisogno di manodopera straniera.
Avete sbagliato; in questo sbagliate. È importante tenere in considerazione quanti lavoratori stranieri servono a noi. Tra l'altro, quanto a preparazione, devo dire che gli operai dei paesi dell'est saranno i concorrenti della nostra forza lavoro e, comunque, costoro hanno frequentato di più le scuole. A tal riguardo era d'accordo anche l'ex segretario della CISL Pezzotta. Inquadrare l'immigrazione in una prospettiva soltanto sociale ed assistenziale fa parte della vostra cultura. Penso al Ministero per le politiche per la famiglia, un Ministero senza portafoglio: che cosa potrà mai fare per un problema così importante come quello della famiglia? L'impressione è che sia stato istituito per buttare fumo negli occhi, per dare l'impressione, appunto, che anche voi vi interessate al problema. Ebbene, questoPag. 4Ministero senza portafoglio, previsto dall'articolo 1, comma 19, del decreto-legge in esame, si dice che dovrebbe regolare, incentivare e assistere la paternità e la maternità e consentire di conciliare i tempi di lavoro con i tempi per la famiglia. Questa non è politica del lavoro? Come può fare questo, un ministero che si interessa di assistenza? Non stiamo parlando, forse, di part time o, magari, delle tipologie contrattuali delle quali voi siete acerrimi nemici, perché siete spinti dalla furia iconoclasta della CGIL che vuole abolire integralmente la legge Biagi (non il ministro il quale, in sede di Commissione, ha fatto la parte del moderato)?
Allora, signor Presidente, l'impostazione di fondo del decreto-legge n. 181 del 2006 è da respingere totalmente. Si tratta di un provvedimento disorganico che provocherà un danno funzionale ed economico, con l'aumento dei costi della politica, all'amministrazione dello Stato. Questo decreto-legge costituisce un grave arretramento sia sul piano politico sia sul piano culturale [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
TEODORO BUONTEMPO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, la Camera non può essere utilizzata come luogo di «intervallo» da parte del Governo! Noi abbiamo la nostra autonomia e una nostra autodeterminazione. Già da ieri sera, intorno alle 21,30, quando è ripresa la seduta, è sembrato che il Governo - se sarò smentito ne sarò felice - intendesse porre la questione di fiducia sul provvedimento in esame. Allora, mi chiedo per quale motivo la Camera debba spendere denaro per tenere una seduta notturna, come è accaduto ieri notte, e perché questa mattina si debba svolgere un dibattito inutile, tra sordi. Ove il Governo abbia deciso di porre la questione di fiducia, per rispetto del Parlamento lo faccia! Se non c'è questa eventualità, ne siamo felici. Il Governo potrebbe fare un accenno riguardo a questa ipotesi...
Non si tratta di una fiducia sugli eventi, signor Presidente. In qualunque momento del dibattito, il Governo, se ritiene che si siano create le opportune circostanze, può chiedere il voto di fiducia. In questo caso, invece, pare si tratti di un evento certo e, cioè, sembra che il Governo abbia già deciso di chiedere un voto di fiducia. Allora, per rispetto a questa Assemblea e alle funzioni che lei svolge in questo momento, signor Presidente, credo sia opportuno chiedere al Governo se intenda o meno porre la questione di fiducia, evitando di proseguire stancamente il dibattito, perché ne va dell'immagine della Camera. Quando si svolge il question time nell'aula vuota, quando si svolgono dibattiti stanchi che non portano ad alcunché, con riprese audio e video e persone che vi assistono, la Camera non ne esce assolutamente bene. Perciò, abbiamo il dovere - anche ieri sera ho svolto un intervento in questo senso - di difendere e rivendicare la separazione di poteri tra Camere e Governo. Non è possibile che da ieri sera, quando si è deciso - per quanto mi è dato sapere, ma potrei essere smentito - di porre la questione di fiducia, noi fungiamo da «intervallo» perché, magari, al Governo serve, per così dire, una motivazione, serve evidenziare che c'è un opposizione che fa ostruzionismo.
Non so che cosa il Governo stia aspettando ma, comunque, può smentire questa ipotesi. Altrimenti, signor Presidente, consiglierei di sospendere i lavori in attesa di una consultazione, se ci deve essere, tra Presidenza e rappresentanti del Governo, per capire come si intenda andare avanti con i lavori della Camera. Noi non possiamo stare qui a fare da «intervallo». Lei ci deve garantire, ci deve comunicare, all'inizio della seduta, qual è la programmazione dei lavori della nostra giornata. Anche perché ci sono colleghi che si trovano a Roma per svolgere la funzione parlamentare e che non possono essere trattenuti per i corridoi, come se questa sede fosse una anticamera, una sala d'attesaPag. 5per i comodi del Governo. Noi siamo il Parlamento! La invito, signor Presidente, a chiedere al Governo se questa consistente voce circa la volontà di porre la questione di fiducia risponda o meno al vero (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, raccolgo il significato politico del suo intervento. Lei si rende conto che, così come giustamente c'è l'autonomia della Camera nel disciplinare i propri lavori, c'è anche l'autonomia del Governo nell'assumere e comunicare le proprie decisioni. Normalmente, la richiesta di porre la questione di fiducia, come lei sa, è formulata da parte del Governo al termine della discussione sulle linee generali, in sede di replica. Io sono chiamato a garantire a tutti i colleghi la possibilità di partecipare alla discussione sulle linee generali. Si sono iscritti a parlare 178 colleghi e, quindi, dobbiamo proseguire.
GIACOMO STUCCHI. Fino all'ultimo!
PRESIDENTE. È del tutto evidente che, al momento, noi dobbiamo continuare la discussione sulle linee generali. La ringrazio, comunque, per il suo intervento.
È iscritto a parlare l'onorevole Brigandì.
GIACOMO STUCCHI. Presidente, è impegnato in una riunione della Giunta delle elezioni.
PRESIDENTE. Allora, il suo intervento sarà posticipato.
Constato l'assenza dell'onorevole Bosi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Lazzari. Ne ha facoltà.
LUIGI LAZZARI. Signor Presidente, con il mio intervento cercherò di spiegare perché noi consideriamo questo decreto-legge sbagliato sul piano politico e, soprattutto, dannoso per l'organizzazione e l'efficienza dell'azione di Governo. Credo sia difficile convincere il paese che aver portato gli incarichi di Governo a 102 unità, operando una sorta di moltiplicazione delle competenze e delle poltrone, sia stato un atto utile per dare efficienza ed efficacia al Governo. Penso, invece, che l'opinione pubblica abbia percepito la reale portata di questo provvedimento, il suo contenuto demagogico e la sua carica di disprezzo per le norme e i modelli organizzativi che, pure, erano stati sanciti da decisioni legislative assunte dalla stessa maggioranza che oggi li calpesta.
Non solo. Questa decisione è diventata, per gli italiani, l'immagine simbolo di una maggioranza risicata la quale, pur di occupare tutti gli spazi e le funzioni istituzionali, non indietreggia di fronte ad una operazione di grande spartizione di poltrone, in virtù della quale a nessun lamento si è negato, in regalo, una parte del grande «spezzatino» a cui è stato sottoposto il sistema organizzativo dello Stato. Anche il ricorso all'utilizzo del decreto-legge come primo atto del Governo Prodi rende esplicito questo desiderio diffuso e l'ansia di partecipare all'occupazione del potere.
Né sorprende che regista di tutto ciò sia stato il Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi. Il cinismo applicato per dirimere i desideri e la fame dei gruppi e dei singoli da parte del Capo del Governo ha arricchito il livello di conoscenza del personaggio Prodi, tanto bravo a moraleggiare sui comportamenti degli altri e spesso pronto a tracciare percorsi etici anche per i cittadini italiani, ma freddamente incurante di far valere per le proprie azioni gli stessi consigli e le stesse raccomandazioni elargite con estrema disinvoltura agli altri.
È ovvio che, nei cittadini italiani, si fa strada il confronto stridente tra i primi tre mesi del Governo Berlusconi ed i primi tre mesi del Governo Prodi. È netto il contrasto tra un'azione di governo, che potrà essere stata criticata, ma che non può non essere ricordata per la carica di riformismo e di aggressione ai problemi più urgenti del nostro paese, e l'attendismo, invece, la quasi paralisi di questo Governo,Pag. 6così cinicamente attento agli equilibri politici e così distratto rispetto alle necessità del paese.
In questa circostanza, emerge anche la relatività del concetto di verità che viene coltivata dall'attuale maggioranza. È evidente, infatti, il rovesciamento delle parti rispetto all'osservanza delle norme e all'organizzazione dello Stato. Sarebbe istruttivo per l'opinione pubblica far ascoltare quello che la sinistra diceva cinque anni fa, all'atto della formazione del Governo Berlusconi, in merito all'organizzazione dello stesso Governo. Così pure, la verità sulla vocazione al rispetto dell'Unione europea si dimostra perlomeno molto elastica nell'uso che l'attuale maggioranza ne fa a seconda delle necessità.
L'Accordo di Lisbona aveva sancito la saldatura tra le politiche del lavoro e dello sviluppo e quelle sociali. Lo «spacchettamento» messo in cantiere mi pare che mandi in soffitta le indicazioni dell'Unione europea. La verità che emerge è, invece, molto più semplice ed ovvia; quando si tratta di scegliere tra l'interesse del paese e quello della propria parte politica, non c'è la minima esitazione: la sinistra sceglie sempre la seconda.
Più preoccupante è il quadro delle scelte di assetto del Governo nel settore delle attività di sviluppo. Risulta di cattivo gusto aver dato un nome impegnativo «Ministero dello sviluppo» ad un ministero ormai spogliato di una serie di materie distribuite ad altri ministri, non ad altri ministeri. Penso alla gravità di aver sottratto il settore del turismo, che è sicuramente trainante per l'economia italiana, che contribuisce, in maniera significativa, alla produzione della ricchezza nazionale e che avrebbe avuto bisogno di un raccordo e di una armonizzazione con le altre attività economiche, soprattutto se si tiene conto che il turismo è materia, in gran parte, di competenza regionale e che necessita di rilancio con un'azione di coordinamento delle autonomie regionali. Averlo declassato ad un piccolo fardello da allocare dove meglio capita è un'offesa al lavoro di tanti operatori e di tanti lavoratori.
Ancor più grave è la situazione se si va alla verità vera di questo «spacchettamento», ossia un omaggio alle vocazioni del ministro alle quali cinicamente si piegano le ragioni dell'economia e della crescita. Altrettanto vale per il commercio estero: in questo caso, lo spostamento si è reso necessario come tranquillizzante, una specie di tisana servita per ovviare al mal di pancia della Rosa nel Pugno.
Fanno sorridere le giustificazioni recuperate a fatica per rendere presentabile l'operazione. Speravamo, sinceramente, che il cambio di Governo potesse significare un'occasione per dare slancio al sistema produttivo, nell'interesse esclusivo della crescita e dell'avanzamento della nostra economia. Nessuno pensi che questi siano problemi solo di schermaglia politica. Il mondo produttivo italiano è rimasto deluso da queste scelte; non c'è stata, infatti, una reazione di fiducia da parte degli operatori, quasi fosse subentrata una forma di rassegnazione e di scoramento alle speranze lecite che sempre accompagnano i cambiamenti politici. Voi avete risposto con questo atto di arroganza e di egoismo politico che allontana ancora di più la politica dal paese.
Per queste ragioni, signor Presidente, la nostra avversione al provvedimento in esame è totale e senza sconti (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Dussin e Campa, iscritti a parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.