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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria (A.C. 1750) (ore 10,06).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
Ricordo che nella seduta del 10 ottobre 2006 sono state respinte le questioni pregiudiziali Maroni e Cota n. 1 ed Elio Vito ed altri n. 2.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1750)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la VI Commissione, onorevole Fincato, ha facoltà di svolgere la relazione.
LAURA FINCATO, Relatore per la VI Commissione. Cominciamo dalla notizia di oggi per introdurre questo disegno di legge di conversione del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, ossia dalla scarsa fiducia nella capacità del nostro paese di affrontare il problema del debito pubblico, che è diffusa, pericolosa e dannosa.
Prima di passare nel dettaglio all'esame del decreto-legge, ritengo sia opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale sulla manovra di bilancio per comprendere appieno lo spirito entro cui il nostro Governo ha inteso muoversi con questo primo atto fondamentale della legislatura.
Certo che il nostro paese è afflitto da seri problemi economici: il difetto di crescita di produttività, dovuto alla larga inefficienza nel settore pubblico; il declino della competitività; lo squilibrio dei conti pubblici; le sperequazioni distributive, con coesione sociale a forte rischio.
Il centrosinistra vuole affrontare questi problemi, dando il segno di un orientamento politico riformista, diverso da quello seguito dalla precedente maggioranza, che ha portato al declassamento del paese attraverso la sua inazione. Noi vogliamo agire attraverso il risanamento finanziario e la redistribuzione.
Sappiamo che il nostro paese deve tornare a crescere: se non si cresce occorre indebitarsi e, quindi, i conti peggiorano. Se non si produce ricchezza, non si distribuisce alcunché. Ma per crescere, occorre innanzitutto mettere a posto i conti pubblici.
Questo è il messaggio che cogliamo nel fatto, grave, che due agenzie di rating su tre hanno declassato il nostro paese.
Ed ecco i punti salienti della manovra con cui si reagisce a tale situazione: riportiamo definitivamente i conti pubblici dalla zona rossa alla zona di sicurezza, condizione necessaria per far ripartire la crescita dell'Italia; la spesa pubblica viene qualificata, attraverso i tagli necessari per renderla più efficiente e produttiva, e viene indirizzata verso sentieri di sviluppo e di equità; recuperiamo il terreno in termini di equità (l'Italia è il paese delle grandi e drammatiche differenze: il ceto medio guadagnerà e le famiglie avranno più reddito disponibile a fine mese); si redistribuisce il carico fiscale; si mettono in campo azioni concrete di contrasto ai fenomeni di evasione e di elusione fiscale.
Il paese ha bisogno di inversioni di rotta vere e proprie, che noi realizzeremo con la manovra di bilancio. Il rapporto tra deficit e PIL raggiungerà il 2,8 nel 2007. Il rapporto tra debito e PIL tornerà a diminuire nel 2007, dopo essere aumentato sia nel 2005 sia nel 2006. L'avanzo primario salirà al 2 per cento nel 2007 (da meno 0,3 di quest'anno, più 0,6 senza contare gli effetti della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee sulla detraibilità dell'IVA).
Il quadro economico generale del 2006 non è certo incoraggiante e la notizia di oggi non ci rende per niente contenti. Tuttavia, ne attribuiamo la responsabilità politica a chi ci ha preceduti. La spesa pubblica ha raggiunto i 734 miliardi di euro, risalendo sopra il PIL dopo molti anni. La pressione fiscale e contributiva è cresciuta, anche se è meno della metà della spesa, raggiungendo 608 miliardi, pari al 41,4 per cento del PIL.
Il gettito erariale è stato rivisto al rialzo rispetto al DPEF, come ha avuto modo di affermare il viceministro Visco, per riflettere il positivo andamento dei primi otto mesi dell'anno (periodo gennaio-agostoPag. 32006 rispetto allo stesso periodo del 2005): gettito IRPEF, più 6,4; IRES, più 20,2; IVA, più 9,3. Le stime di preconsuntivo si attestano sui 5,9 miliardi rispetto al DPEF (al netto degli effetti della sentenza in materia di IVA), ossia al 7,4 rispetto al 2005.
Nel 2006, il disavanzo dovrebbe salire, complice la sentenza della Corte di giustizia sulla detraibilità dell'IVA, a 71 miliardi, pari a 4,8. A ridurlo al 3,8, livello da cui muove ancora verso il basso, è stato il cosiddetto decreto Bersani, che produrrà, a regime, un miglioramento dell'ordine di mezzo punto di PIL, ai fini della correzione del saldo. Il cosiddetto decreto Visco lo ha ridotto di un altro 0,3. Sul residuo deficit del 3,8 opera l'effetto netto del disegno di legge finanziaria, che dovrà piegarlo, come ricordato, al 2,8.
Nonostante il miglioramento delle entrate, sostenute per il 2006 da misure una tantum (come la rivalutazione dei beni di impresa), permangono immutati alcuni fattori di rischio dei conti pubblici, quali gli sprechi, i contratti pubblici, il costo della politica, la previdenza, la sanità e la spesa locale. Il Governo si è concentrato sulla qualità dell'aggiustamento, sulla composizione tra maggiori entrate e minori spese. Sono stati avviati meccanismi virtuosi, che porteranno risparmi ed entrate crescenti nei prossimi anni. Da questo punto di vista, la finanziaria dimostrerà che agire sulla qualità è più difficile che agire sulla quantità del deficit. Freniamo e ristrutturiamo la spesa: solo così, dopo, ci sarà spazio per ridurre la pressione fiscale e per far risalire e partire la crescita. La spesa, quella improduttiva, che alimenta se stessa, è spostata verso impieghi produttivi, verso programmi sociali e settori sensibili quali l'ambiente, la cultura e le infrastrutture.
A fronte di una spesa primaria che non accenna a diminuire sensibilmente, come si è rilevato nel DPEF, l'intero miglioramento del deficit sarà imputato alle entrate, grazie all'incisività delle norme rivolte all'evasione fiscale ed all'elusione, che vanno interpretate come recuperi di efficienza della pubblica amministrazione.
L'evasione fiscale e contributiva, alimentata dalla politica dei condoni, ha assunto contorni preoccupanti. L'impegno del centrosinistra è nel senso che, nella misura e secondo i ritmi compatibili con l'aggiustamento della finanza pubblica, i risultati della lotta all'evasione andranno a restituire ai cittadini ed alle imprese il frutto del loro sacrificio. Non sarà varato alcun condono, mentre saranno potenziate le attività di accertamento e di controllo, nella consapevolezza che l'obiettivo è di raggiungere effetti permanenti: gli adempimenti spontanei dei contribuenti.
Siamo tutti consapevoli che per abbattere l'evasione e contrastare l'elusione fiscale non è sufficiente soltanto affidarsi alla via fiscale: occorre abbassare le aliquote e varare riforme strutturali che consentano alle imprese di competere nella legalità. Per fare questo, occorre, innanzitutto, recuperare il senso della legalità e di un Governo che non incoraggi l'evasione. Pagare tutti per pagare meno non è soltanto uno slogan, ma l'obiettivo reale che l'Unione si è dato e che raggiungerà nel corso di questa legislatura.
La manovra, complessa ma responsabile, viene affrontata anche attraverso il disegno di legge che abbiamo affrontato in Commissione e che costituisce l'inizio di un cammino - duro, anche per noi parlamentari - da affrontare.
Voglio e devo sottolineare, nell'ora cui affrontiamo questo primo provvedimento, che in Commissione tutti - lo sottolineo - i colleghi, ma soprattutto quelli dell'opposizione, hanno dato prova di grande responsabilità con un atteggiamento serio e costruttivo. Vi è stata una ovvia e dimostrata diversità ma, sui punti fondamentali, oltre al rispetto e al reciproco riconoscimento, vi sono state forme di collaborazione di cui la maggioranza ha davvero bisogno in momenti come questo. Vi sono state critiche ma anche suggerimenti, approfondimenti ed attenzione.
Ritengo, signor Presidente, gentili colleghi, che proprio nel rispetto di quel lavoro che è stato svolto in Commissione, che ha permesso a tutti i colleghi di valutare un testo complesso e difficile, noiPag. 4possiamo, questa mattina, non solo dare atto del lavoro compiuto ma presentare all'Assemblea un provvedimento che è profondamente cambiato per il lavoro serio compiuto in Commissione da tutti, prima di tutto rispettando (anche questo non è un dato di novità bensì di serietà) i parametri dell'ammissibilità di molti emendamenti presentati.
Devo dare atto di un lavoro molto serio, non certamente fazioso o ideologico, che è stato compiuto in questo senso. Voglio ringraziare il presidente della Commissione bilancio in modo particolare perché ha fatto rispettare a tutti, ai colleghi della maggioranza così come a quelli dell'opposizione, questo criterio di serietà.
Il testo è profondamente mutato e i colleghi che vi hanno lavorato sanno che tali mutamenti sono stati positivi. Ci è stato dato atto di questo. Sono stati gli stessi colleghi che, a fronte di cambiamenti profondi in punti specifici del testo, hanno riconosciuto (se pure, ovviamente, non approvandone il contenuto, come credo che verrà ribadito nel corso delle loro relazioni di oggi), che un cambiamento c'è stato - in progress - valutando ciò positivamente.
Il testo è cambiato in punti qualificanti, peraltro quegli stessi punti - qui va dato atto di un mantenimento di coerenza da parte della maggioranza - che erano contenuti nel programma dell'Unione.
Mi riferisco, naturalmente, al caso - noto - delle successioni e delle donazioni. L'articolo 6 è stato profondamente cambiato nel corso del dibattito ed ha restituito non solo coerenza al programma dell'Unione ma anche giustizia alle aspettative dei nostri cittadini. Non solo, ma all'interno di quell'articolo è stato anche posto il tema di una recuperata efficienza e sicurezza in termini di trasporto pubblico.
L'articolo 12 - naturalmente, l'articolato è a disposizione dei colleghi - interviene profondamente sul regime delle concessioni. Il testo è stato oggetto di modificazioni tale da sopprimere alcuni articoli. Ritengo che in questo modo si sia restituita coerenza ad un decreto che vedeva una prima parte più propriamente fiscale - mi riferisco agli articoli dall'1 al 7 - mentre, più ampiamente, si attestava su punti diversi (dall'1 al 47) così come avveniva originariamente.
Il testo scritto è a disposizione di tutti i colleghi, di coloro che interverranno oggi come nei prossimi giorni, al fine di valutare più compiutamente i cambiamenti intervenuti (ciò vale, naturalmente, più per i colleghi dell'Assemblea che per quelli della Commissione, i quali hanno contribuito fortemente a questo lavoro migliorativo).
PRESIDENTE. L'onorevole Di Gioia, relatore per la V Commissione, ha facoltà di svolgere la relazione.
LELLO DI GIOIA, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, così come ha già ricordato la collega Fincato depositerò la parte di elencazione degli articoli previsti all'interno del decreto-legge che questa mattina stiamo discutendo.
Anche io, come la collega Fincato, vorrei ringraziare il presidente della Commissione bilancio, che ha avuto la capacità e la pazienza, anche in un momento di grande difficoltà, di portare avanti, con fermezza e disponibilità, l'esame di questo provvedimento. Nello stesso tempo, ringrazio vivamente i commissari dell'opposizione sia della Commissione bilancio sia della Commissione finanze, con il suo presidente. Essi hanno avuto grande senso di responsabilità e delle istituzioni nello svolgere il loro lavoro di opposizione, non condividendo molti aspetti del provvedimento; e proprio la loro responsabilità e il loro senso delle istituzioni hanno permesso di pervenire, questa mattina, alla definizione del testo in esame.
Di certo, oggi, nel corso del dibattito, molti rappresentanti dell'opposizione non si soffermeranno sul contenuto del provvedimento, ma affronteranno questioni di cui, questa mattina, abbiamo avuto notizia dai giornali e dalle televisioni, come quella relativa al declassamento del nostro paese da parte di alcune società di rating. Non voglio assolutamente sollevare polemiche,Pag. 5per carità. Ognuno di noi ha le proprie opinioni: l'opposizione di certo addebiterà questo declassamento al Governo in carica, come noi, d'altronde, potremmo e, sotto certi aspetti, dovremmo, addebitarlo, invece, alla politica economica e finanziaria del precedente Governo. Non mi soffermerò su questo punto, ma tenterò di fare un ragionamento tranquillo che consenta di mettere a nudo i problemi economici del nostro paese.
Abbiamo affrontato la manovra e il decreto, come ho già detto, con grande senso di responsabilità. La collega Frigato ha sottolineato i punti importanti e le modifiche di rilievo scaturite dalla discussione, seria e responsabile, svolta nelle Commissioni riunite, accennando anche alla revisione delle successioni e delle donazioni, e, con grande dovizia di particolari, ai problemi affrontati nell'articolo 12, davvero importanti per la nostra economia. Vi ricordo che abbiamo avuto notevoli difficoltà, negli anni passati, ad intervenire sulle grandi scelte di politica infrastrutturale e dei trasporti, politiche che incidono sulla crescita della competitività e dello sviluppo del nostro paese.
Certamente, quanto accaduto in questi giorni ci deve far riflettere, anche se tutte le società di rating tengono a sottolineare con grande dovizia di particolari che il nostro rapporto deficit-PIL non scenderà al di sotto del 3 per cento, ma sicuramente non salirà al di sopra di tale quota.
Ciò significa, in buona sostanza, che abbiamo sviluppato un'iniziativa economica e finanziaria all'interno del documento finanziario che presenteremo nei prossimi giorni: in Commissione bilancio è già definito un calendario relativo al dibattito e alle audizioni che si svolgeranno da cui si evince la grande disponibilità a discutere gli stessi articoli.
Quindi, se è vero che il nostro rapporto deficit-PIL si manterrà al 3 per cento, credo che avremo rispettato anche gli impegni che qualcun altro ha assunto e che vogliamo portare avanti con grande responsabilità, dignità e con grande considerazione degli accordi stipulati all'interno dell'Unione europea.
È certo che questo paese ha bisogno di riforme profonde e strutturali, che incidano sulla pubblica amministrazione: mi riferisco alla riforma delle pensioni, del sistema delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni.
Cari colleghi dell'opposizione, mi auguro che, comunque, si apra un dibattito giustamente non polemico, volto a sviluppare iniziative finalizzate a determinare maggiori possibilità di crescita e di competitività per il nostro paese. Avete sempre definito «liberali» la vostra linea politica, le vostre scelte politiche, in buona sostanza, la vostra posizione all'interno della Casa delle libertà ed il vostro Governo; un Governo che doveva affrontare i nodi e le difficoltà della politica economica e fiscale del nostro paese. Probabilmente, con le difficoltà che si sono determinate negli anni passati, mi pare che tali problemi non siano stati affrontati con grande determinazione da parte di una coalizione definitasi liberale e riformista.
Come ho detto, non sono stati affrontati i problemi delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni in settori importanti della nostra economia, in settori che possono determinare una condizione diversa per migliorare l'economia del paese e la finanza pubblica. Noi vogliamo affrontarli con grande responsabilità, con grande serietà e serenità. Non per niente, il programma che abbiamo presentato ai cittadini italiani, agli elettori, si incentra su alcuni punti: equità, rientro del debito ed una condizione di competitività e di produttività del nostro paese. Andremo avanti su questa strada: abbiamo iniziato con il cosiddetto decreto Bersani, contestato da parte dell'opposizione. Ma il dato certo è che questo provvedimento ha dato inizio ad un processo vero, trasformando un paese di privilegi da corporazione in un paese che dovrà affrontare le sfide che nei prossimi anni avremo di fronte; un Governo che si impegnerà e che ha già iniziato quel processo di innovazione che dovrà portare alla ripresa economica ed alla riduzione del debito pubblico. CredoPag. 6che questi aspetti siano importanti, ed evidenzino le scelte che il Governo intende realizzare.
Cari colleghi dell'opposizione, non potete continuare a dirci che la riforma dell'IRPEF è stata condizionata da scelte radicali della sinistra. Non è così, in quanto la riforma dell'IRPEF deriva da una necessità. Negli anni passati sono stati tolti i soldi a coloro che avevano difficoltà economiche, si è fatto in modo che la povertà aumentasse e che il ceto medio perdesse la sua configurazione, avviandosi lentamente verso una situazione di povertà relativa. Pertanto, abbiamo dovuto riformare il sistema dell'IRPEF.
Occorre inoltre ricordare che non è stato restituito ai cittadini italiani il fiscal drag, misura che era stata approvata in quest'aula per poi essere bloccata al Senato per oggettive difficoltà politiche dell'opposizione. Vi era dunque la necessità di una ridistribuzione del reddito, che abbiamo realizzato non perché vi fosse stata una politica di imposizione da parte della sinistra radicale, ma in quanto sussistono esigenze oggettive delle persone che soffrono.
In ordine alla problematica dei consumi, partiamo dall'idea che sia necessario abbattere la pressione fiscale che grava sui lavoratori e sui ceti medi, che ormai si stanno avvicinando ad una situazione di povertà relativa. Infatti, è proprio in quelle parti della nostra società che vi è la possibilità di aumentare i consumi, com'è avvenuto nell'ultimo periodo, caratterizzato anche da una ripresa delle esportazioni a livello internazionale. Una ripresa che sarà garantita dalla previsione, nella legge finanziaria, dell'abbattimento del costo del lavoro attraverso il cuneo fiscale.
Si tratta di un cuneo fiscale, che interviene sulle aziende e sulla gente che lavora.
Questi sono dunque alcuni aspetti economici e finanziari, dei quali discuteremo con dovizia di particolari all'interno della manovra finanziaria, che affronteremo nel prossimo futuro. Ancora una volta voglio ringraziare sia il presidente della nostra Commissione, sia i colleghi dell'opposizione per la loro serietà ed il loro senso di responsabilità, che sicuramente dimostreranno nella discussione sul disegno di legge finanziaria. Abbiamo infatti bisogno di affrontare con determinazione e con il senso delle istituzioni, che avete dimostrato nella discussione di questo decreto, i problemi del paese. Credo si possano affrontare insieme questi problemi, pur restando nei reciproci ruoli politici di opposizione e maggioranza. Penso che possiamo farcela. Il nostro paese affronterà le prossime sfide e alla fine raggiungeremo quegli obiettivi che ci siamo prefissati.
Per le altre parti descrittive del provvedimento in discussione rimando al testo della relazione, che come già anticipato dalla collega Fincato, lasceremo agli atti (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).
PRESIDENTE. La Presidenza autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale della relazione dei deputati Di Gioia e Fincato.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
NICOLA SARTOR, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zorzato.
Cominciamo dunque questa lunga e interessante «maratona». Confido moltissimo nel buon cuore di tutti i colleghi iscritti a parlare. Nessuno ridurrà le loro prerogative, né la durata dei loro interventi; tuttavia, se tutti ci aiutiamo, forse riusciremo a rendere più proficui i nostri lavori.
Prego, onorevole Zorzato, ha facoltà di parlare.
MARINO ZORZATO. La ringrazio, Presidente, e ringrazio anche i colleghi che con me questa mattina interverranno nellaPag. 7discussione sul provvedimento. Intanto aprirò, e poi chiuderò, con una riflessione su un argomento che mi preme: il ruolo del Parlamento. Come hanno sostenuto i relatori, il Parlamento ha dimostrato in Commissione, pure in ruoli diversi di maggioranza e opposizione, che ha il diritto- dovere di lavorare. Dunque io apro, e poi chiuderò, il mio intervento chiedendo alla Presidenza della Camera che questo tipo di ruolo venga garantito e che la posizione della questione di fiducia di cui in questi giorni parlano i giornali sia evitata, per il rispetto del nostro ruolo, così come ha affermato anche il Presidente Napolitano.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria, la Visco-Bersani, il decreto-legge che oggi esaminiamo e la finanziaria, che ormai è oggetto di discussione sia nei luoghi deputati, sia fuori da questi, sono di fatto un tutt'uno, per cui è difficile parlare dell'uno senza intrecciarlo con gli altri. Quando in quest'aula abbiamo esaminato il Documento di programmazione economico-finanziaria, nel confronto tra maggioranza e opposizione sono emerse con forza due visioni di politica economica e sociale, che peraltro erano già emerse con forza, mostrando la loro diversità, nella scorsa campagna elettorale.
Soprattutto però, sia all'interno delle aule parlamentari, deputate a questo confronto, sia in quelle che ormai sono diventate le aule vere del confronto politico - i giornali e i salotti televisivi -, nel dibattito che fino ad oggi abbiamo avuto sono emerse fortissime, direi violente, le contraddizioni che la maggioranza ha al suo interno. È forse per questo che, nel depositare il Documento di programmazione economico-finanziaria, il ministro ha dovuto di fatto essere generico e indeterminato. D'altra parte, quando la tua maggioranza non riesce a trovare una sintesi, quando la tua maggioranza litiga, non hai alternative. Voglio però partire da alcune considerazioni svolte dal ministro Padoa Schioppa nel corso delle audizioni parlamentari. Devo dire che almeno alcune di tali considerazioni hanno mostrato la sua onestà intellettuale. Egli ha dichiarato in Commissione che l'ultima legge finanziaria del ministro Tremonti era buona ed è un buon punto di partenza per lavorare in questi cinque anni. Mi domando come ciò si concili con le critiche, che già ieri sera e poi questa mattina, la maggioranza esprime, in difesa di se stessa, affermando che il declassamento è colpa del Governo Berlusconi. Non riesco a comprendere come si concili la valutazione compiuta dal ministro in Commissione con queste nuove considerazioni.
Il ministro, sempre nelle sue dichiarazioni in Commissione e negli atti formali depositati, ha riconosciuto finalmente, dopo anni di mistificazioni, che nei nostri cinque anni di Governo abbiamo aumentato la spesa sociale dal 22 al 23,7 per cento e che la spesa sanitaria è passata dal 5,8 al 6,7 per cento del PIL. Devo sottolineare un suo passaggio che ha messo in difficoltà alcuni colleghi della maggioranza, quando egli ha detto che il modello da seguire per la sanità è quello delle regioni del nord, citando Veneto, Lombardia e anche Emilia-Romagna. Questo, per chi oggi sta governando molte regioni, ha rappresentato uno stimolo al nostro modo di governare. Egli ha riconosciuto che la spesa per l'istruzione e l'università è nella media europea e che il problema è che la nostra scuola non funziona perché spende molto e produce studenti di bassa qualità. Rispetto a queste valutazioni, non ho ancora capito quale sia la ratio alla base del blocco della riforma Moratti; teniamo il modello che abbiamo ora pur ammettendo che non funziona. Il ministro ha detto che il rapporto addetti-cittadini nel comparto della sicurezza è il più alto d'Europa, che gli investimenti al sud in questi anni sono costantemente aumentati, che gli investimenti nella ricerca sono in media con quelli europei.
Nelle proposte recate dai quattro provvedimenti economici del centrosinistra, di cui abbiamo iniziato la discussione, abbiamo aumenti di tasse, aumento di burocrazia, e vediamo che si torna ad aumentare la centralizzazione dello Stato. Quando penso che la parola federalismo ci ha riempito la bocca nel dibattito su qualePag. 8fosse il modello migliore e considerato che gli atti che esaminiamo portano al centro le decisioni, allora non comprendo l'incoerenza!
La prima cosa che fa il centrosinistra è bloccare le riforme che noi abbiamo varato, la riforma Moratti e quella del lavoro in particolare. Si torna a parlare del sud come di un'area assistita e non come di una risorsa per il sistema paese. Gli italiani, tutti, sono diventati incalliti evasori. La lotta di classe, cancellata dalla storia, viene reintrodotta per legge. Se è così, c'è qualcosa non va! I vostri primi atti sono in totale dispregio delle promesse elettorali, almeno di quelle esternate, salvo indurci il dubbio che invece stiate pagando pegno a coloro che hanno finanziato le primarie. Mi riferisco alla grande finanza, alle cooperative, ai banchieri, agli imprenditori assistiti, non a quelli normali. Nella traccia del vostro DNA politico si legge evidente la vostra componente massimalista, in particolare per la voglia che si vede nei vostri provvedimenti di colpire le classi medie.
Di fatto sbagliate, perché l'aumento di due punti della pressione fiscale, che nel vostro intento doveva colpire i professionisti, gli artigiani e i commercianti, nella realtà colpisce il 90 per cento degli italiani. Avete fatto anche male i conti! La vostra voglia era quella di colpevolizzare queste categorie quasi per dar conto al luogo comune che costoro sono politicamente più vicini a noi. Ma cosa hanno fatto? Devono dichiarare pubblicamente che non ci votano?
Chi ha letto la sequenza dei vostri provvedimenti economici - il decreto Visco-Bersani, il decreto fiscale oggi in discussione, la legge finanziaria - percepisce quello che io chiamo odio di classe, che sembra una vendetta sociale. Questi sono i provvedimenti della concertazione al contrario, parola che piace a voi.
Prima si decreta, poi si comunica a mezzo stampa il provvedimento agli interessati; sottolineo che si comunica a mezzo stampa perché arriva prima l'agenzia. Successivamente, si fanno i tavoli riservati con Montezemolo, Epifani, Bonanni ed Angeletti per concordare con loro le false polemiche e far finta di non essere del tutto d'accordo. Queste false polemiche finiscono sui giornali, si rivedono sempre gli stessi quattro - gli altri non esistono - e finite per uscire a braccetto, quasi che nulla sia successo, come ieri sera.
Tornando alla manovra economica ed al decreto che stiamo esaminando, i numeri dell'intervento finanziario «ballano»: non siamo a Ballarò ma ci sembra di essere in sala da ballo. I numeri ballano in modo caotico, controverso, e questo ha un impatto nefasto sulla psicologia degli italiani e, quello che è peggio, sui mercati e quindi sul tessuto socio-economico e produttivo del paese. Rileggere quanto accaduto ieri e minimizzare come ha fatto Prodi, è al limite dell'irresponsabilità politica. Ma avete visto il balletto delle cifre, le incertezze del Governo, le liti dei ministri, i distinguo della maggioranza, il disordine che regna sovrano? Tutto questo ha certamente influito sullo stato d'animo degli italiani, come risulta evidente dai sondaggi accettati anche da voi, che ormai mostrano una totale sfiducia in questi governanti ed una voglia vera di cambiare.
Gli italiani hanno capito che questa manovra economica - immotivata nella dimensione, confusa nella proposta, imperniata sugli aumenti - toglie all'Italia produttiva l'ossigeno necessario allo sviluppo. Essa non interviene con i tagli necessari sugli sprechi in uno Stato che resta burocratico, faraonico e centralista. Essa applica un aumento di pressione fiscale e disperde in mille rivoli che nessuno controlla le risorse che ricava da questa massiccia tassazione.
Non c'è rilancio, non c'è crescita, non ci sono tagli, ma solo centralizzazione. Il federalismo da voi immaginato è solo aumento di tasse locali: salvo Veltroni, tutti gli altri piangono. I soldi sottratti senza motivazione a tutti i cittadini - a tutti i cittadini - vengono dispersi in mille canali e mille rivoli solo per assecondare i singoli ministri, secondo il rituale della peggiore prima Repubblica. Stiamo tornando indietro; l'orologio ha invertito laPag. 9direzione del tempo e delle lancette. I timidi segnali di ripresa del sistema Italia, che tutti hanno visto, vengono repressi sul nascere.
Il decreto-legge al nostro esame, così come il noto Visco-Bersani, è imperniato su una sola cosa: tasse, tasse, tasse! A voi piacciono le tasche dei cittadini. Vi ricordate le promesse elettorali? Il motivo ricorrente era che non sarebbero state aumentate le tasse; era anche il vostro motivo, non solo il nostro. Ecco la vostra risposta: aumentate le imposte ipotecarie; aumentate le imposte di registro; aumentate gli estimi catastali e quindi le tasse sulla casa, dirette ed indirette. Ovviamente aumenterà l'ICI; ovviamente aumenterà la tassa sui rifiuti. Reintroducete la tassa di successione; reintroducete la tassa di donazione; obbligate tutti a stipulare l'assicurazione sugli immobili contro le calamità naturali, quasi fosse colpa dei cittadini. Aumentano l'IRES e l'IRPEF per tutti; aumentano le tasse per le piccole imprese e per l'agricoltura. Mi fermo, perché altrimenti la lista dovrebbe continuare per oltre 40 o 50 punti. Inoltre, tralascio gli interventi che sia nel decreto sia nella legge finanziaria sono stati inseriti - non si sono mai visti così tanti articoli - e che nulla hanno a che fare con la materia, ma che rispondono alle pressioni dei ministri per la loro lista della spesa. Rispondono a quella che voi chiamate «concertazione» e che si fa nei salotti della vostra politica.
Aprendo una parentesi, affronto un capitolo che poi qualche collega tratterà, ovvero quello della gestione delle concessioni autostradali, dove avreste dovuto sciogliere il nodo Benetton-Albertis.
E sbugiardando in diretta Di Pietro, avete, in qualche modo, risposto alle sollecitazioni di Zapatero, quando Prodi ha abbassato la testa, ma non è questo il tema. Il tema è che in quell'articolo avete reintrodotto un centralismo sovietico nella gestione del sistema delle autostrade, riportando in capo all'ANAS tutti i poteri. L'ANAS è un carrozzone e voi lo state riattivando! Gli ridate benzina! Quale federalismo! Quale potere alle regioni! Quale potere agli enti locali!
Riportate in capo all'ANAS tutti i poteri e ciò - scusate se è poco grave! - a discapito dell'interesse dei cittadini che hanno in mente solo due cose: la sicurezza nelle strade e tariffe più basse! E voi prevedete nuovamente i carrozzoni!
Cari colleghi (mi rivolgo, soprattutto, ai colleghi di maggioranza), vi invito ad una riflessione: guardatevi attorno! Sono scesi in piazza migliaia di professionisti che mai avevano manifestato in questo modo! Nel corso delle audizioni tutti gli auditi hanno pesantemente contestato i vostri provvedimenti di bilancio. Le categorie sono in agitazione! Gli enti locali, i sindaci, i presidenti di provincia, salvo due o tre che in qualche modo sono organici al vostro Governo, minacciano di portare le chiavi dei municipi in Parlamento!
Il Governatore della Banca d'Italia vi ha detto che nulla di strutturale è contenuto in questo disegno di legge finanziaria! I cittadini non sono più con voi! Vi prego, e mi rivolgo soprattutto alla maggioranza: sotterrate l'ascia di guerra! Visto che vi definite pacifisti, cercate la pace sociale! Riscrivete la finanziaria! Fatela per i cittadini, non per i ministri, e dite ad Epifani che non spetta a lui dettarla, perché non è suo compito! Difenda il ruolo che ricopre, ma non si intrometta in materie che non gli competono! Non può dettare la finanziaria (è una sua dichiarazione).
Come affermato anche dalla collega relatrice, si è sconcertati dalla lettura quotidiana dei giornali e di quelli di oggi in particolare. Vi ricordo i titoli di alcuni giornali che certamente non sono dalla parte nostra. La Stampa di oggi: «Bocciata l'Italia, troppi sprechi»; la Repubblica: «Conti: l'Italia declassata»; Corriere della sera: «L'Italia declassata per i conti pubblici». Allora, forse, è opportuno un momento di riflessione.
Ci vuole un'assunzione di responsabilità! Non raccontate finte storie, dicendo che è colpa degli altri! I conti pubblici vengono bocciati. Questi conti pubblici,Pag. 10questa finanziaria, questo decreto, questi provvedimenti portano al declassamento! Guardatevi in casa!
L'opposizione in Commissione ha mostrato senso dello Stato e ciò ci è stato riconosciuto. Continueremo a farlo, ma abbiate rispetto del lavoro parlamentare! Solo i vili scappano dal confronto e se anche in questo difficile momento per il sistema Italia vi rifugerete ponendo la questione di fiducia, allora abbiate l'onestà di ammettere che non siete in grado di governare e traetene le conseguenze!
Governare è un dovere per la maggioranza, governare contro la maggioranza degli italiani è un atto contro la democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iacomino. Ne ha facoltà.
SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, signori colleghi, signore colleghe, signori rappresentanti del Governo, il decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria costituisce il primo atto della complessa manovra di riequilibrio dei conti pubblici e di sviluppo dell'economia che trova la sua più alta espressione nella legge finanziaria per il 2007.
L'incisiva manovra messa in piedi dal Governo in materia di accertamento, riscossione e contrasto all'evasione ed elusione fiscale ha suscitato, sin dai primi provvedimenti del luglio scorso, notevoli mugugni e proteste da parte delle categorie interessate, cui ben si adatterebbe il vecchio motto di Luigi Einaudi, secondo cui chi, in realtà, non paga imposta, grida sopra ogni altro, perché egli è convinto di pagare più di ogni altro!
La manovra riguarda disposizioni in materia di accertamento, riscossione, contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, in materia di base imponibile, agricoltura e catasto, in materia di trasferimenti di beni e di diritti; misure a favore dello sviluppo, dell'efficienza energetica e della sostenibilità ambientale; disposizioni in materia di infrastrutture, di beni culturali e tutela dell'ambiente, in materia di lavoro, in materia di editoria e comunicazioni, in materia di università, oltre che misure destinate alla razionalizzazione e alla funzionalità del settore pubblico.
Gli effetti finanziari del provvedimento in esame si potrebbero riassumere, in termini di cassa e di competenza, in maggiori entrate pari a 4.010 milioni euro per il 2007, 3.680 milioni di euro per il 2008, 3.947 milioni di euro per il 2009, con effetti sui saldi per 3.970 milioni di euro per il 2007, 3.625 milioni per il 2008 e 3.844 milioni di euro per il 2009. L'impatto di questo provvedimento, in termini di maggiori entrate, è imputabile per 972 milioni di euro alle disposizioni in materia di accertamento e contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, per 1.200 milioni di euro alle misure in materia di riscossione, per 1.523 milioni di euro al recupero della base imponibile, per 89 milioni di euro alle disposizioni in materia di agricoltura (aggiornamento del catasto terreni) e per 241 milioni di euro alle disposizioni in materia di successioni e donazioni.
L'elevata evasione fiscale che caratterizza il nostro paese rende difficile a livello macro-economico il conseguimento del pareggio di bilancio pubblico, con notevole impatto anche sull'accumulazione di debito pubblico. In uno studio effettuato circa dieci anni fa - Evasione e debito, di Alberto Alesina e Mauro Marè in Andrea Monorchio, La Finanza Pubblica Italiana dopo la svolta del 1992 - è stato calcolato che se l'evasione fiscale in Italia fosse stata pari, ad esempio, al livello statunitense il debito pubblico del nostro paese sarebbe stato molto più basso e l'aggiustamento fiscale, necessario per riequilibrare la finanza pubblica, sarebbe stato di conseguenza meno difficile.
Secondo gli ultimi dati disponibili, nel nostro paese in media ogni anno si evade per circa il 15 per cento del PIL. A questo riguardo, solo per citare alcune cifre, secondo l'ISTAT il valore aggiunto sommerso prodotto dai fenomeni evasivi in senso stretto rappresenterebbe il 7,1 per cento del PIL, cui si aggiungerebbe l'8,2 per cento derivante dal lavoro irregolare. UnPag. 11valore che apparirebbe sottostimato rispetto ai dati diffusi a maggio del 2004 dalle agenzie delle entrate, che indicavano complessivamente in 200 miliardi di euro il giro di affari sottratto al fisco, vale a dire 46 euro occultati ogni 100 dichiarati.
L'evasione fiscale sarebbe concentrata nei settori dei servizi alle imprese e alle famiglie e nel commercio; sussistono poi una serie di fattori legati sia alla evoluzione del sistema economico, come ad esempio la crescita di peso di settori dove il sommerso e l'evasione sono più elevati (servizi ed edilizia), sia ad altri fenomeni posti in rilievo dalle indagini svolte dalla Guardia di finanza come, ad esempio, l'aumento dell'uso del contante soprattutto da parte di lavoratori autonomi e la diminuzione del rilascio di ricevute e scontrini. Tutto ciò concorre a far ritenere che le evasioni fiscali siano non solo molto elevate ma anche aumentate negli ultimi anni. L'ultimo rapporto della Guardia di finanza del marzo del 2006 confermerebbe la gravità del fenomeno. Le ultime stime evidenziano che l'ammontare di imposte evase ed erose è sicuramente maggiore del disavanzo totale del settore statale. Chiaramente è impossibile pensare di poter recuperare tutta l'evasione.
Un'indicazione dell'importanza del livello di evasione in Italia può venire dal confronto operato dallo studio prima citato con i livelli di evasione registrati negli altri paesi occidentali. Se dal 1970 in poi gli italiani avessero evaso le imposte tanto quanto i cittadini americani, il debito pubblico in Italia negli anni Novanta sarebbe stato di poco superiore all'80 per cento del PIL invece che quasi del 120 per cento. Se avessero evaso quanto gli inglesi, il debito pubblico sarebbe stato nello stesso periodo appena superiore al 60 per cento del PIL, cioè circa come il limite previsto dal Trattato di Maastricht.
L'evasione fiscale è un problema atavico nel nostro paese, se Ernesto Rossi già in un articolo dall'eloquente titolo «Gli ultimi filibustieri», apparso su Il Mondo del 28 luglio 1951, poteva osservare che il pagare le imposte è cosa assurda, contraria a tutte le tradizioni del nostro paese. In confronto agli altri Stati europei, lo Stato italiano ha sempre avuto la minore percentuale di entrate per imposte dirette, pagate dai ricchi, e la maggiore percentuale di imposte sui consumi, pagate dai poveri. Secondo quanto ha dichiarato lo stesso Vanoni, il 14 luglio a Torino - continua Rossi - i redditi dei professionisti della categoria C1 della ricchezza mobile corrispondono a un ventesimo e a un trentesimo del reddito reale. I redditi attuali medi nazionali accertati per la categoria C1, ha detto il ministro, sono di lire 70 mila annue. Per il fisco, cioè, il professionista medio può vivere in Italia con la famiglia spendendo meno di 6 mila lire al mese, una parsimonia veramente esemplare anche per un coolie cinese! Le considerazioni di Rossi sembrano dettate dall'attualità che stiamo vivendo e non datate agli anni Cinquanta.
Il problema dell'evasione fiscale è la fortissima priorità che si è dato questo Governo, quale impegno scritto nel programma dell'Unione e sottoscritto dai cittadini con il voto di aprile. La profonda riforma del paese, nella quale è impegnato il Governo dell'Unione, implica una riscrittura del patto di cittadinanza che, nelle democrazie, è centrato sul patto fiscale tra Stato e cittadini. L'evasione fiscale va combattuta sul terreno dei diritti di cittadinanza, dello Stato di diritto, prima ancora che su quello del risanamento della finanza pubblica, ricostruendo alla base il labilissimo senso dello Stato evidenziato dai cittadini contribuenti. Tuttavia, si sbaglierebbe se si considerasse l'evasione fiscale soltanto una manifestazione della fragile etica pubblica che storicamente contraddistingue l'Italia, con l'effetto di nefaste politiche redistributive realizzate dalle forze politiche conservatrici. Certamente, l'evasione fiscale è anche questo, e va combattuta con efficaci mezzi di contrasto e di controllo, provando a convincere la maggioranza dei contribuenti della necessità di farlo, poiché l'evasione crea ingiustizie distributive ed ha effetti distorsivi sull'allocazione delle risorse.
Tutto ciò è necessario, ma non basta, in quanto in Italia l'evasione fiscale è anchePag. 12il frutto del compromesso al ribasso tra lo Stato ed il cittadino contribuente, uno Stato che si accontenta di poco da chi può nascondere in parte o per intero il reddito, perché dà poco: poche tasse in cambio di pochi servizi e poche infrastrutture, mediamente di scarsa qualità. L'evasione e l'elusione fiscale vengono anche praticate quale risposta alle carenze amministrative ed ambientali, come ribellismo nei confronti di uno Stato rapace ed inefficiente. Esse sono, inoltre, frutto di un apparato produttivo pulviscolare, composto da un numero abnorme di micro-imprese rispetto ai paesi più avanzati, con 8 milioni di partite IVA, contro i 3 milioni e mezzo della Francia o il milione e 700 mila della Germania, inadeguate in termini di struttura gestionale e finanziaria, che ricorrono all'evasione ed all'elusione per sostenere la produzione e l'occupazione - spesso precaria - in unità produttive altrimenti incapaci di sopravvivere.
Per ridurre l'evasione e l'elusione fiscale ai livelli fisiologici presenti negli altri paesi europei o negli Stati Uniti, si devono aggredire anche carenze ed inefficienze del settore pubblico e del settore privato mediante politiche per la regolazione concorrenziale dei mercati, per la crescita dimensionale delle imprese, per la ricerca tecnologica e l'innovazione, per l'ammodernamento dei servizi professionali e delle imprese, per la realizzazione di infrastrutture di qualità, per la riforma della pubblica amministrazione, per il contenimento e la riallocazione della spesa pubblica centrale e locale, scommettendo, in estrema sintesi, su un compromesso al rialzo tra Stato e cittadini contribuenti.
Non a caso, già la legge Bersani accompagna, anzi, fa precedere le misure di lotta all'evasione dalle misure di liberalizzazione dei mercati, di svecchiamento delle attività professionali e di razionalizzazione della spesa pubblica. Le misure a favore dell'efficienza energetica, nonché della sostenibilità ambientale, stabiliscono un regime di agevolazioni al fine della diffusione dei mezzi di trasporto ad alta sostenibilità ambientale. Le misure a favore dello sviluppo e gli incentivi alle imprese dispongono la sospensione dell'applicazione degli strumenti della programmazione negoziata della nuova disciplina sui meccanismi di concessione degli incentivi alle imprese, introdotti dal cosiddetto decreto competitività.
Di conseguenza, sono revocate e riesaminate dal Ministero dello sviluppo economico le proposte di contratti di programma già approvate dal CIPE e le relative risorse, unitamente a quelle derivanti dalla ritardata attivazione del fondo rotativo per il sostegno alle imprese, agli investimenti e alla ricerca, sono destinate alla copertura degli oneri derivanti dai contratti di programma rimasti privi di copertura finanziaria a seguito della decurtazione operata dalla legge finanziaria per il 2006.
Le misure in materia di infrastrutture recano un insieme di disposizioni finalizzate ad articolare e meglio definire le funzioni e i poteri dell'ANAS quale soggetto concedente nei rapporti con le società concessionarie autostradali, rientrando anche quelle relative alla costruzione di nuove strade e autostrade, alla vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e al controllo sulla gestione delle autostrade e di approvazione dei progetti dei lavori oggetto di concessione.
Le misure riferite al trasferimento delle risorse finanziarie inerenti impegni assunti da Fintecna Spa nei confronti di Stretto di Messina Spa al Ministero dell'economia e delle finanze si inseriscono nell'ambito delle iniziative legislative volte a consentire la realizzazione di un rilevante insieme di opere infrastrutturali nel Mezzogiorno, in particolare in Sicilia e in Calabria.
Le disposizioni in materia di beni culturali e tutela dell'ambiente riguardano, tra l'altro, l'ordinamento del Ministero per i beni e le attività culturali, con il ripristino della figura del segretario generale e l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, del dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo; l'avviamento delle procedure per l'assunzione di personale nella qualità dirigenziale; l'attribuzione di risorse alla società per lo sviluppoPag. 13dell'arte, della cultura e dello spettacolo; l'applicazione delle norme generali sulle fondazioni lirico-sinfoniche al teatro Petruzzelli di Bari.
Le disposizioni in materia di lavoro sono finalizzate a stabilire e a rafforzare il ruolo della commissione centrale di coordinamento delle attività di vigilanza ispettiva, che diviene sede permanente di elaborazione di obiettivi strategici e priorità dell'attività, nonché di monitoraggio degli interventi attuati. Viene anche modificata la composizione della commissione al fine di valorizzare nella stessa il ruolo dell'Arma dei carabinieri, introducendo analoghe modifiche alla composizione delle commissioni regionali e provinciali.
Nel settore lavoristico sono previste, inoltre, modifiche in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, volte sostanzialmente a semplificare la procedura di rivalutazione delle rendite INAIL erogate a seguito di infortuni.
Le disposizioni concernenti l'editoria e le comunicazioni riguardano il riordino e la semplificazione della disciplina concernente i contributi e le provvidenze per le imprese editrici di quotidiani e periodici, nonché di quelle radiofoniche e televisive. Il riordino della disciplina interessa anche i criteri di calcolo dei contributi spettanti, dei costi ammissibili, dei tempi e delle modalità di istruttoria, concessione ed erogazione, nonché dei controlli da effettuare.
Le imprese interessate dovranno, comunque, prestare particolare attenzione al perseguimento degli obiettivi di maggiore efficienza, occupazione e qualificazione, utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, effettiva diffusione del prodotto editoriale sul territorio, con particolare riguardo all'occupazione, alla tutela del prodotto editoriale primario e ai livelli ottimali dei costi di produzione e di diffusione riferiti al mercato editoriale.
Le disposizioni in materia di università interessano la riorganizzazione degli uffici dirigenziali generali, centrali e periferici del Ministero dell'università e della ricerca, con la soppressione dei dipartimenti e l'istituzione della figura del segretario generale, la razionalizzazione del sistema di valutazione delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici, la disciplina delle scuole di specializzazione per le professioni legali, il riconoscimento di crediti formativi al personale delle amministrazioni pubbliche, ed infine le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici, sottoponendo a valutazione l'attività didattica svolta per via telematica.
Le misure di razionalizzazione e funzionalità del settore pubblico riguardano la spesa energetica degli enti pubblici, autorizzando ad avviare procedure necessarie per individuare le società alle quali consentire, nel pieno rispetto delle regole vigenti in materia di concorrenza, le operazioni di verifica e la realizzazione di interventi volti ad ottenere, in un'ottica di risparmio delle risorse energetiche disponibili, la riduzione di costi collegata all'acquisto di energia termica ed elettrica.
Le disposizioni relative all'organizzazione interna del Consiglio dei ministri, riformando la disciplina degli organismi già esistenti, sono finalizzate al contenimento delle spese nel settore della formazione del personale della pubblica amministrazione. È prevista poi la predisposizione entro la fine del 2006, da parte del Dipartimento della funzione pubblica, di un piano recante le direttive per l'adozione, da parte di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte in processi di ristrutturazione, di sistemi di misurazione della qualità dei servizi, al fine di perseguire una maggiore efficacia ed una tempestiva rispondenza alle aspettative degli utenti.
Dall'esame del decreto emerge la complessità del provvedimento su cui siamo chiamati a pronunciarci. Esso è già stato oggetto, nelle Commissioni riunite bilancio e finanze, di un serrato confronto e di un durissimo lavoro, che ha condotto tutti i componenti alla consapevolezza dellaPag. 14bontà di fondo dell'impianto del testo e a dare il «via libera» per la sua conversione in legge.
Nonostante qualche punto di criticità, ad esempio sull'articolo 12, e qualche maldestra interpretazione sull'inammissibilità di diversi emendamenti proposti, riteniamo positivo il testo del decreto-legge n. 262 in esame, che costituisce il primo tassello della complessa manovra di riequilibrio dei conti pubblici e di sviluppo dell'economia e dell'equità.
Il declassamento dell'Italia, come leggiamo dai giornali questa mattina, a causa dei conti pubblici risulta una vera pressione internazionale per ipotecare i prossimi appuntamenti, a cominciare dal capitolo sulle pensioni. Ciò non ci intimidisce. Sapremo con forza e coesione affrontare gli ostacoli posti al risanamento ed alla giustizia sociale (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Inizierò il mio intervento dalla notizia apparsa sui giornali di oggi in merito al declassamento del debito pubblico italiano. Era previsto, non tanto per l'eredità del Governo precedente, quanto per l'andamento del DPEF e per la sua recente revisione.
Quando, in cinque anni, si prevede che il rapporto tra debito e PIL decresca fino al 96 per cento (poco sotto il 100), quando si prevede che l'avanzo primario salga, alla fine del periodo, intorno al 4,8, senza arrivare al 5 per cento, quando si prevede che la crescita del PIL italiano salga al massimo all'1,7 per cento, quando si assiste ad un ministro delle infrastrutture che, con gli articoli 12 e 142 del disegno di legge finanziaria, mette praticamente in mora tutte le concessionarie autostradali ed impedisce sostanzialmente al capitale privato di investire in un settore infrastrutturale determinante per il nostro paese, quando vediamo che a causa della rivolta di qualche sindaco della Val di Susa si blocca la realizzazione del corridoio n. 5, le società di rating (che si preoccupano di valutare non solo il debito pubblico italiano, ma le possibilità d'investimento degli investitori internazionali nel sistema economico italiano) non possono che trarre queste conseguenze.
Quando si è vista l'operazione realizzata con il cosiddetto decreto Bersani, la famosa retroattività della tassazione delle plusvalenze degli agenti e delle società immobiliari, norma predisposta per errore di calcolo, che fu poi cancellata ma che - come ricorderete - creò comunque uno sconvolgimento nelle quotazioni di borsa, evidentemente questo paese non può godere di credibilità a livello internazionale e pertanto le società di rating si regolano di conseguenza.
D'altra parte, questo decreto-legge - come del resto la legge finanziaria che esamineremo successivamente - è ancora una volta la dimostrazione che, una volta cadute l'ideologia contenuta nei libri di Marx (che francamente stanno bene in biblioteca se sono ben rilegati, dal momento che leggerli oggi forse determina qualche sorriso) e quella dei regimi marxisti-leninisti, oggi vige da noi ancora l'egemonia di Gramsci che prevede la conquista da parte del partito di tutti i gangli del sistema economico per mere esigenze di potere. Infatti, i rappresentanti delle regioni e degli enti locali in mano al centrosinistra si affrettano a considerare come irrinunciabile - per esempio - il controllo pubblico delle ex municipalizzate. Si accetta qualche capitale privato, ma il controllo deve essere mantenuto in mano pubblica. Dunque, vi è una palese tendenza a bloccare le privatizzazioni che ancora si possono fare largamente nel nostro paese specie a livello regionale e locale. Ricordo semplicemente che l'attivo patrimoniale del settore pubblico è superiore al passivo patrimoniale di circa 300-400 miliardi di euro e che, ancora, l'80 per cento degli immobili del settore pubblico è in mano agli enti locali. Basterebbe un'operazione di privatizzazione e di ingegneria finanziaria in questo settore per poter abbattere il debito pubblico sia statale che locale in dimensioni consistentiPag. 15ben oltre il 97 per cento. Non ci dimentichiamo, infatti, che il limite di Maastricht è del 60 per cento del PIL. Signor Presidente, io ho 75 anni e credo che, con questo ritmo, pur non mettendo limiti alla divina provvidenza, è certamente difficile che possa vedere il raggiungimento di quel 60 per cento.
Fatte queste premesse che riguardano in generale la manovra del Governo e che quindi investono anche la legge finanziaria, mi soffermerò sull'articolo 12 di questo decreto che - si direbbe a Roma - sta «come i cavoli a merenda». Infatti, non è una normativa che rientra nell'urgenza che caratterizza i decreti-legge. Al di là di questo, il decreto-legge si sostanzia soprattutto in alcune normative di contrasto all'evasione. Ebbene, su questo abbiamo sentito il ministro Padoa Schioppa ricordare il monito di Mosè «non rubare», ma non dobbiamo dimenticare che l'imposta va pagata in rapporto ai servizi pubblici che devono essere forniti e con essa finanziati.
Allora, quando vi è un'amministrazione pubblica a tutti i livelli - statale, regionale, provinciale e comunale - arrogante e che considera la propria funzione indipendentemente dalla necessità di fornire servizi ai cittadini (ricorderete gli slogan «le Ferrovie ai ferrovieri», «i ministeri ai ministeriali», «l'Alitalia ai dipendenti dell'Alitalia» e così via), senza riguardo alle esigenze degli utenti, e quando vediamo le code negli ospedali per le visite specialistiche o l'arroganza agli sportelli dei dipendenti della pubblica amministrazione, evidentemente dobbiamo fare un'equazione tra questa caratteristica dei servizi pubblici italiani e le imposte da pagare.
Naturalmente, è chiaro che la tendenza che si evidenzia nel decreto-legge in esame (come si vedrà, del resto, quando affronteremo l'iter del disegno di legge finanziaria) è quella di innalzare le aliquote fiscali, al di là della lotta contro l'evasione, poiché bisogna tassare in misura crescente i redditi, indipendentemente dalla qualità dei servizi pubblici offerti.
Si persegue, quindi, il contrasto all'evasione fiscale attraverso, ad esempio, lo sviluppo del sistema informatico. Per carità, ritengo che il settore informatico debba essere implementato, tuttavia dobbiamo essere realisti. Infatti, al di là di alcune strutture organizzate di più o meno rilevante dimensione già esistenti (come quelle, ad esempio, dei professionisti e delle grandi imprese), dobbiamo comprendere che lo sviluppo degli strumenti informatici deve essere realizzato gradualmente, poiché vorrei ricordare che nelle piccole imprese, sotto questo punto di vista, si incontrano molte difficoltà. Ciò perché non si può pensare di intervenire senza tener conto della realtà del paese poiché, per essere accettata, l'introduzione di tali strumenti (che, peraltro, ritengo importanti anche per il controllo dell'intero sistema pubblico) può avvenire solo gradualmente.
Tuttavia, al di là di questo, vorrei osservare che la modifica degli studi di settore - la quale deve essere comunque effettuata, anche se va graduata nel tempo - colpisce anche coloro che già pagano le imposte; pertanto, ritengo che non sia questo in assoluto lo strumento più idoneo e capace di dare risultati significativi e durevoli.
Ricordo che, periodicamente, assistiamo alle dichiarazioni rese dal comandante della Guardia di finanza, il quale afferma che si sono snidati migliaia di evasori per cifre pari a milioni di euro. Poi, naturalmente, sappiamo che si svolge il procedimento di verifica e che le commissioni tributarie spesso modificano e riducono o annullano gli importi accertati; alla fine, dunque, la realtà è molto diversa.
Credo non sia necessario accentuare il contrasto all'evasione fiscale attraverso l'impiego di strumenti informatici che condizionano ulteriormente i contribuenti e determinano un aggravio degli adempimenti e dei costi a carico delle imprese. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la questione del trasferimento del TFR all'INPS sta dimostrando che, in pratica, il 90 per cento delle nostre imprese occupa un numero di dipendenti sicuramente inferiorePag. 16a 25 o 30 unità; quindi, in realtà, ci troviamo di fronte a microimprese, talvolta anche piccolissime.
D'altra parte, ricordo che vi era stato un periodo in cui si esaltava la cosiddetta «economia dei cespugli», affermando che «piccolo è bello». Dal momento che è questa la situazione esistente, dobbiamo tener conto anche di tali realtà; pertanto il contrasto all'evasione fiscale condotto nel modo proposto dal Governo non fa altro che aggravare gli adempimenti per le piccole imprese.
Perché, allora, non ipotizzare di introdurre il contrasto di interessi, consentendo, nel caso dei servizi alla persona e all'impresa, la detrazione integrale delle fatture (come quelle rilasciate, ad esempio, dagli idraulici, dagli elettricisti, dagli avvocati, dai notai, dai medici e via dicendo), come avviene in tutti gli altri paesi, specie in quelli anglosassoni?
Segnalo che il viceministro Visco, a cui ho rivolto queste domande nel corso delle audizioni nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio, ha risposto che ciò è complicato e che egli non crede all'efficacia del ricorso a meccanismi del genere. Naturalmente, vi è la preoccupazione che si possa verificare una caduta di gettito tributario, anche se credo che se l'anagrafe tributaria fosse organizzata meglio ciò sarebbe praticabile.
Ricordo che nella XIII legislatura sono stato anche componente della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria e non ritengo che essa sia gestita male; tuttavia, vorrei osservare che, attualmente, è impostata sulla determinazione di ogni imposta (e, quindi, registra i movimenti degli adempimenti relativi ai singoli tributi). Naturalmente, sono registrati anche i contribuenti, e quindi ritengo possibile trasformarla da anagrafe tributaria sulle imposte ad anagrafe dei contribuenti, consentendo di perseguire, per ogni codice fiscale, la strategia del contrasto di interessi.
Pertanto, occorrerebbe prevedere la detraibilità non soltanto di una parte dell'onere dei servizi. Infatti, come è naturale che sia, se è prevista una detrazione d'imposta nella misura del 19 o del 20 per cento, colui che fornisce il servizio può proporre al cliente di concedergli uno sconto del 30 per cento, senza tuttavia emettere la relativa fattura: per il cliente stesso sarebbe dunque conveniente agire in questo modo.
Bisogna avere quindi il coraggio di affrontare questo problema seriamente. Il ministro Visco ha gli strumenti per farlo. Ci deve credere, ma non ci crede, perché la pubblica amministrazione non è attrezzata ad affrontare questo problema - questo è il vero nodo: no ha la voglia di farlo - nonostante gli strumenti che ha a disposizione. Lo dimostra ciò che ho detto prima, ossia che il comandante della Guardia di finanza fa grandi annunci di snidamento degli evasori, ma, all'atto pratico, il meccanismo delle commissioni tributarie evidenzia come tutte queste affermazioni non siano fondate, perché, evidentemente, si tratta di investigazioni che non hanno come conseguenza una effettiva dimostrazione dell'evasione.
Questo è un aspetto sul quale noi della Casa delle libertà e di Alleanza Nazionale insistiamo: affrontiamo questo problema del contrasto di interessi perché, in un sistema economico strutturato in piccole e piccolissime imprese, questa è l'unica soluzione. Cominciamo con i servizi alla persona, poi arriveremo ai servizi alle imprese. Contemporaneamente possiamo individuare alcuni servizi alla persona e alle imprese in cui il contrasto di interessi integrale, come avviene in tutti i paesi, soprattutto nel mondo anglosassone, possa essere messo in integrale detrazione.
Con questo sistema avremo qualche maggiore possibilità di riuscita nei controlli sull'evasione. Infatti, non è possibile pensare di ideologizzare la lotta all'evasione dicendo che alcuni sono cattivi e fanno peccato, perché rubano, mentre quelli che forniscono i servizi sono buoni. Lo statuto del contribuente, infatti, che peraltro è stato digerito male dalla pubblica amministrazione finanziaria quando è stato approvato (è stato accettato obtorto collo), viene derogato sistematicamente,Pag. 17perché dà fastidio e, a quel punto, costituisce la dimostrazione che l'amministrazione non è in grado e non ha la volontà di affrontare un corretto rapporto con il contribuente.
In secondo luogo, vorrei ricordare la questione dell'articolo 7, laddove si parla, ai commi da 1 a 3, della famosa detrazione dell'IVA sulle auto aziendali. C'è stata una sentenza della Corte di giustizia europea che ci ha condannato. Dobbiamo provvedere al rimborso. L'articolo 7, commi da 1 a 3, mette in moto un meccanismo per cui coloro che devono ricevere somme a titolo di rimborso con l'altra mano devono restituire quelle somme, perché viene eliminata la detrazione, in modo tale da poter recuperare quei tre o quattro miliardi di euro che si dovevano cominciare a rimborsare nel 2006, ma che, per il meccanismo dei termini per le domande, slitteranno al 2007.
Vorrei ricordare, peraltro, che il 2006 ci ha regalato un incremento di entrate in termini di cassa, con il quale abbiamo coperto anche le spese per la missione in Libano per quest'anno, oltre che altre operazioni. Quindi, ciò che è stato lasciato dal Governo precedente non è questo sfascio di cui tutti hanno parlato sui giornali e che il Governo attuale ha esaltato.
Questa norma dimostra che, nel momento in cui si vuole avere un rapporto corretto fra amministrazione finanziaria e contribuenti, all'atto pratico si introducono questi sistemi, per cui con una mano si dà e con l'altra si prende.
Naturalmente, vorrei parlare pure dell'articolo 6, a proposito del quale il Vicepresidente del Consiglio, onorevole Rutelli, in una celebre intervista al Corriere della sera di un paio di settimane fa, aveva detto che non sarebbe stata reintrodotta l'imposta di successione. Era prevista, naturalmente, l'estensione delle imposte di registro, catastali e ipotecarie ai trasferimenti mortis causa e alle donazioni. Per fortuna, l'articolo 6 è stato modificato e la sua nuova stesura è meno iniqua della precedente. Tuttavia, l'imposta sulle successioni e donazioni è stata trionfalmente reintrodotta, sia pure nei limiti della legge Amato del 2001 (quindi, con l'esenzione fino a un milione di euro per ogni erede e con altre previsioni che determinano un maggiore onere mano a mano che il grado di parentela si allenta), e l'onorevole Rutelli è stato smentito.
Peraltro, è stata reintrodotta un'imposta alla base della quale vi sono ragioni puramente ideologiche. Infatti, la sinistra radicale è ancora dell'idea che la proprietà sia un furto, che il capitale finanziario sia uno schifo, che i ricchi debbano piangere (abbiamo visto anche un manifesto in tal senso), e via dicendo. Questa ideologia dipende, purtroppo, dalla sottocultura che caratterizza la nostra scuola, abbandonata dai Governi di centrosinistra all'egemonia della sinistra, a partire dalla prima Repubblica, e sempre più declassata. Basta guardare i quiz televisivi: di fronte a semplici domande di cultura generale, anche i laureati sono assolutamente incapaci di rispondere! Questa è la conseguenza della sottocultura che ancora caratterizza il nostro paese.
Tra l'altro, è ormai dimostrato per tabulas che l'imposta costa, in termini di accertamento e di conseguente contenzioso, esattamente quanto produce, se non di più. Quindi, alla fine, saremo costretti a constatare che l'imposta non avrà dato alcun contributo al bilancio dello Stato, ma avrà soltanto fatto arrabbiare la gente. La cosiddetta imposta sul morto non è gradita a nessuno. È naturale, allora, che si verifichino fenomeni di elusione, per mezzo di strumenti più o meno devianti (dalle dichiarazioni ai notai al trasferimento dei beni in paradisi fiscali).
Si consideri, inoltre, che in genere l'imposta colpisce prevalentemente la classe media, perché i patrimoni dei possessori di redditi alti, avendo consistenza soprattutto mobiliare, possono essere largamente trasferiti, come capitali, in paradisi fiscali, in forme più o meno «esterovestite» di capitale e di proprietà azionarie. Sostanzialmente, quindi, l'imposta colpisce coloro i quali hanno i beni al sole, vale a dire la classe media, che possiedePag. 18patrimoni soprattutto immobiliari (anche a fronte di una Borsa che, signor Presidente, ci regala scandali come quelli di Parmalat, Cirio e via dicendo). Questa è la realtà.
C'è, poi, il famigerato articolo 12, sul quale le Commissioni riunite V e VI si sono lungamente intrattenute, procedendo ad audizioni plurime di questo ex magistrato che risponde al nome di Antonio Di Pietro, attualmente ministro delle infrastrutture (lo spacchettamento - infrastrutture, da una parte e trasporti, dall'altra - è stato un'altra bella invenzione di questo Governo).
Naturalmente, in quanto ex magistrato, Di Pietro vuole esercitare tutto il suo potere nel mettere in discussione, mediante una convenzione unica, tutte le concessioni autostradali del paese, prendendo spunto dalla fusione tra Abertis e Autostrade. Peraltro, poiché l'Unione europea ci costringerà ad accettare la predetta fusione, si tratta semplicemente, ancora una volta, di un modo per riaffermare il potere dello Stato su un settore, quello delle concessioni autostradali, che è caratterizzato da contratti. Le concessioni, una volta assegnate, hanno una durata (nella precedente legislatura, sono stato presidente della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici e, quindi, ho affrontato tali problematiche), che, naturalmente, corrisponde all'arco temporale nel quale il concessionario procederà agli ammortamenti degli investimenti finanziari e materiali che sarà tenuto ad effettuare, sulla tratta autostradale, a termini di concessione.
Naturalmente, questi sono contratti che non si possono mettere in discussione automaticamente. Ciò determinerà - così come ho già detto in occasione del mio intervento davanti al ministro Di Pietro - un contenzioso pauroso: farà guadagnare largamente gli avvocati amministrativisti perché, evidentemente, non basta che scadano gli atti aggiuntivi!
Le concessioni hanno una durata pluriennale - molto spesso pluridecennale - quindi è chiaro che tutti coloro - i concessionari - che si troveranno di fronte a questa convenzione unica (che fra l'altro non ha alcuna giustificazione sul piano realistico) difenderanno i loro interessi ricorrendo al TAR, alla magistratura ordinaria, alla Corte costituzionale, alla Corte europea, e chi più ne ha più ne metta!
C'è poi un altro fatto, per fortuna eliminato dall'ultima stesura del testo dell'articolo 12, cioè il problema del vincolo del 5 per cento dei voti per i costruttori. Era quello un vincolo limitato soltanto alla vendita (sono stato vicepresidente dell'IRI dal 1980 al 1991 e quindi conosco bene la materia, anche se le autostrade sono state vendute dopo che ero decaduto dalla carica). In particolare, si trattava di un rapporto fra l'IRI e colui che acquistava secondo cui si stabiliva che nel mezzo della gara non vi fosse anche qualche costruttore, naturalmente per una questione di equilibrio interno del mercato delle costruzioni italiane. Tuttavia, non si trattava certamente di un vincolo particolare, tale da dovere essere addirittura abrogato per legge. Accade qualcosa di analogo quando si compra un cespite mobiliare, come del resto un'azienda. Si ha un vincolo, anche di carattere occupazionale o di investimenti per un certo periodo di tempo, ma non accade mai che una volta effettuato l'acquisto diventi impossibile modificare il cespite o l'azienda acquistati. Quindi, questo vincolo del 5 per cento - che, fra l'altro, non aveva alcuna giustificazione su una società quotata in borsa - è stato giustamente cassato ma, soprattutto, ciò è avvenuto perché vi era il fucile puntato della commissaria europea Kroes, la quale aveva minacciato una procedura di infrazione (che, peraltro, non è ancora detto non venga decisa a livello di Commissione europea).
Al di là di tutto questo, il fatto della convenzione unica non ha assolutamente senso. Sappiamo che la nostra struttura autostradale ha un'estensione di circa sei/sette mila chilometri. Di questi, il 50 per cento e più sono in mano alla società Autostrade mentre, per la parte restante, sono divisi fra varie concessionarie, alcune delle quali, tra l'altro, sono controllate daPag. 19enti pubblici (il comune di Milano, la provincia di Milano hanno quote di società come la Serravalle, altri enti locali le hanno nella Serenissima e via dicendo). Insomma, vi sono una serie di concessionarie che sono anche in mano ad enti pubblici, naturalmente con caratteristiche diverse: anzitutto, di lunghezza, ma anche di volumi di traffico e quindi con i relativi problemi di usura del manto stradale e delle strutture, ciò comportando diversi costi per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Vi sono poi caratteristiche diverse anche dal punto di vista orografico, perché non possiamo mettere sullo stesso piano la concessionaria del traforo del Monte Bianco o quella del Frejus con quella dell'autostrada Padova-Venezia che, praticamente, è tutta in pianura tranne che per il tratto in cui attraversa il Po e qualche altro fiume. Non si possono mettere sullo stesso piano concessioni di diverse entità, con durata diversa, con caratteristiche orografiche diverse, con volumi di traffico diversi. Anche da questo punto di vista non ha alcun senso quanto abbiamo registrato.
C'è poi un punto essenziale. Se lo Stato avesse i soldi per realizzare tutto il programma autostradale previsto con la legge obiettivo - si pensi al doppio passante di Mestre, alla Asti-Cuneo, alla pedemontana lombarda, al problema della Brebemi, al completamento della Reggio Calabria - o per realizzare la TAV, come ho sempre auspicato, fino a Reggio Calabria e non fermandosi a Napoli (vi ricordo inoltre che avete bloccato i soldi per la realizzazione del ponte sullo stretto, con l'articolo 14 del decreto-legge, facendo una ripartizione degli investimenti per la Sicilia e la Calabria: vedremo, poi, se verranno realizzati), potrebbe dire: signori concessionari, prendo tutto io, lo affido all'ANAS per la gestione, compiendo così una bella rinazionalizzazione di tutto il sistema autostradale italiano (compresi i costi per liquidare i vecchi concessionari). Lo Stato, però, i soldi non ce li ha; il rating, che adesso viene modificato, determinerà un aumento delle spese per il servizio interessi (non so, sottosegretario Sartor, se lo avete previsto; forse sì, perché sapevate, già in partenza, che il rating sarebbe stato modificato e proprio questa è una delle ragioni che determinano l'aumento dell'onere della manovra finanziaria che stiamo discutendo). Ribadisco quindi: se lo Stato avesse avuto tutti questi soldi, avrebbe potuto rinazionalizzare. Ma i soldi non ci sono, e quindi lo Stato avrebbe bisogno dei capitali privati che però Di Pietro farà fuggire! Non ha i soldi per gli investimenti infrastrutturali tant'è vero che ha dovuto inventarsi quello che si inventò Mussolini con la guerra di Etiopia, ovvero il trasferimento del TFR all'INPS. Nel corso di un'audizione, ho citato al ministro Padoa Schioppa il libro di Felice Guarneri, Battaglie economiche tra le due grandi guerre, primo volume, in cui si dice che le rendite capitalizzate dell'INA, l'Istituto nazionale delle assicurazioni, inventato da Giolitti, il grande Giovanni Giolitti...
LINO DUILIO, Presidente della V Commissione. È di destra, questa misura!
PIETRO ARMANI. Era una misura imbecille, perché, dopo, quelle rendite non sono più state restituite ai lavoratori, tanto è vero che, dopo le successive guerre, quella di Spagna e la seconda guerra mondiale, si è dovuti passare alla ripartizione.
PRESIDENTE. Onorevole Armani, ha esaurito il tempo a sua disposizione. La invito a concludere.
PIETRO ARMANI. Concludo, signor Presidente. Adesso che il numero di giovani che entrano nel mercato del lavoro è di gran lunga minore al numero dei vecchi che ne escono, dobbiamo tornare alla capitalizzazione e, proprio per questo, abbiamo inventato il terzo pilastro, quello della previdenza integrativa. Voglio concludere dicendo, quindi, che siamo contrarissimi a questo decreto-legge e vi aspetteremo sulla riva del fiume, dove prima o poi passeranno i cadaveri diPag. 20questi interventi finanziari (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. L'immagine è un po' pesante, onorevole Armani, ma speriamo che non passi nessun cadavere...
È iscritto a parlare l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO TOLOTTI. Spero che l'onorevole Armani non sia già appostato...!
Il decreto-legge che arriva in aula approda dopo un lavoro lungo e difficoltoso nelle Commissioni di merito riunite, un lavoro non infruttuoso, che ha portato all'approvazione di un testo profondamente modificato, in alcuni punti, rispetto alla stesura iniziale. Credo che se ne possa ricavare qualche spunto di riflessione e, magari, anche di autocritica sul modo in cui si è proceduto e, più in particolare, sul ruolo del Parlamento; un ruolo spesso messo in crisi, e, direi quasi, stressato, dalle urgenze dell'esecutivo, urgenze oggettive, ma che, di fatto, in alcuni passaggi, hanno reso davvero difficile il lavoro delle Commissioni, con il rischio di vedere il Parlamento ridotto a semplice organo di ratifica di decisioni prese altrove.
Questo, peraltro - lo dico con riferimento ad interventi già svolti questa mattina, in particolare quello del collega Zorzato - è stato il segno distintivo di cinque anni di Governo di centrodestra, caratterizzato da un diluvio di leggi delega e da ripetuti passaggi blindati della legge finanziaria, nonostante che i numeri, di entrambe le Assemblee del Parlamento, rendessero possibile un iter normale dal punto di vista istituzionale.
Questa mattina ho sentito il collega Zorzato sostenere che, se si decidesse di porre la questione di fiducia sul provvedimento in discussione, il Parlamento ne risulterebbe offeso. A tal proposito, vorrei ricordare che gli ultimi disegni di legge finanziaria, in presenza di rapporti di forza ben diversi rispetto a quelli attuali di entrambe le Assemblee del Parlamento, sono stati approvati sempre ricorrendo alla questione di fiducia. Comunque, ritengo vada accolto l'invito del Presidente del Repubblica a valorizzare il confronto fra maggioranza e opposizione. Per questo motivo, personalmente, auspico che la discussione del disegno di legge finanziaria alla Camera, che seguirà l'approvazione di questo provvedimento, sia sottratta alla blindatura della fiducia.
La relatrice Fincato ha fatto bene a richiamare le grandi cifre a cui si riferisce questo provvedimento, che è parte integrante, con il disegno di legge finanziaria, della manovra di risanamento e di sviluppo. Una manovra che - a prescindere dalla polemica sull'abbassamento del rating da parte di alcune agenzie (ne parleremo certamente a iosa nei giorni che seguiranno) - sconta un'eredità pesante, l'eredità Tremonti, che non può essere semplicemente rimossa o messa nel dimenticatoio. La riassumerei così: fuori linea, in maniera molto pesante, rispetto ai parametri europei. Mi riferisco a conti fuori linea rispetto ai parametri europei che hanno rappresentato, a prescindere da questi ultimi, una zavorra per il paese; un avanzo primario vicino allo zero, cosa particolarmente grave nel momento in cui si assiste ad una ripresa del costo del denaro (e con lo stock di debito pubblico che si registra è uno scenario particolarmente difficile e pesante per noi); un debito pubblico che, nel quinquennio 2001-2006, ha ripreso a salire, invertendo la tendenza alla diminuzione che si era affermata con i Governi del centrosinistra.
Il collega Zorzato ha parlato di odio di classe e di vendetta sociale. Con tutta la buona volontà, cercando di accantonare la mia appartenenza ad una parte politica, come tutti noi che sediamo in quest'aula, sia pure in rappresentanza dell'intero popolo italiano, non riesco a vedere odio di classe o vendetta sociale in una manovra di ridisegno delle aliquote fiscali e delle detrazioni che semplicemente avvia una redistribuzione di risorse di segno inverso rispetto a quella perseguita nel quinquennio precedente.
Ricordo che, con il secondo modulo della cosiddetta riforma fiscale Tremonti, furono restituiti 6 miliardi di euro aiPag. 21redditi superiori ai 70 mila euro, e cioè a una quota assolutamente minoritaria della platea dei contribuenti. È vendetta sociale questa? Credo sia semplicemente un impegno di equità e di riequilibrio a favore dei ceti medio-bassi, coerente non solo con il nostro programma elettorale, ma anche con l'esigenza di rilanciare i consumi, che notoriamente possono ripartire se si sostiene il reddito della grande maggioranza della popolazione.
Piuttosto, a questo riguardo, nel prosieguo dell'iter parlamentare e del confronto con le parti sociali e le autonomie locali, credo sia utile continuare a perseguire tale impegno e prevedere aggiustamenti del meccanismo aliquote-detrazioni per scongiurare effetti distorsivi indesiderati. Ciò anche per evitare che un'applicazione del patto di stabilità penalizzante per le autonomie locali - al riguardo, devo dire che il centrodestra insegna, per quel che ha fatto in questi anni - determini un aumento del prelievo fiscale locale o un aumento delle tariffe dei servizi, o peggio ancora un taglio dei servizi a livello locale. Per questo, considero molto positivo il fatto che la Commissione Finanze abbia inserito nel parere favorevole sul disegno di legge finanziaria, che ha licenziato nella seduta di ieri, osservazioni circa l'opportunità di inserire una clausola di salvaguardia per i redditi sotto i 45 mila euro (che nel caso dovessero risultare penalizzati dal meccanismo previsto dovrebbero poter optare per la situazione vigente) e di prevedere anche un meccanismo che assicuri la progressività della tassazione per i redditi a ridosso dei 30 mila euro, evitando il determinarsi di scalini nell'imposizione.
Avremo però modo di approfondire queste ed altre tematiche - cuneo fiscale, provvedimenti per la competitività e lo sviluppo, TFR - nel corso della discussione in sede propria sulla finanziaria. Stando al decreto oggi al nostro esame, sul quale esprimiamo un giudizio positivo, vorrei soffermarmi in particolare su tre punti. Innanzitutto, sull'articolo 1, che contiene le norme relative al contrasto, all'evasione e all'elusione. Considero positiva la conclusione che si è trovata sul tema delle sanzioni da irrogare per l'infrazione di mancata emissione dello scontrino fiscale. Questo è stato uno dei punti sul quale si è sviluppato un dibattito acceso ed anche un confronto; non sono mancate polemiche e sono intervenute le categorie. Se la norma originariamente proposta poteva apparire eccessiva - alcuni l'hanno letta addirittura come punitiva -, la soluzione trovata appare a mio avviso equilibrata, in quanto contempera esigenze di rigore e di ragionevolezza.
Ricordo che la soluzione trovata prevede che la sanzione scatti nel caso di tre infrazioni commesse nell'arco massimo di cinque anni. Se l'importo complessivo della somma non certificata dallo scontrino fiscale è inferiore ai 50 mila euro, scatta la sospensione immediata e la chiusura dell'attività per tre giorni. Se invece l'importo è superiore - ma lì entriamo in un campo che oggettivamente è difficile ascrivere alla dimenticanza, alla svista o all'errore materiale -, allora scattano sanzioni più pesanti, con la sospensione per un periodo da un mese a sei mesi.
Varrebbe sempre la pena di ricordare, peraltro, che quando si parla di contrasto dell'evasione non si tratta di punire ideologicamente il ceto medio, come qualcuno qui ha evocato, bensì di assicurare un impegno serio per garantire condizioni corrette di concorrenza tra operatori economici, commerciali e professionali. Da questo punto di vista, va riconosciuto che tutte le associazioni di categorie professionali pongono il tema della lotta all'evasione come garanzia per un operare corretto sul mercato come una priorità. Tuttavia, sento qualcuno sostenere - lo ha fatto stamattina anche il collega Armani, che è molto preparato e la cui competenza non è certamente da mettere in discussione - che, per esempio, per quanto riguarda il contrasto all'evasione fiscale, la revisione degli studi di settore, incidendo anche su quelli che già pagano, non è lo strumento adatto e che ci vuole ben altro. Ecco, mi pare che non solo in tema di infrastrutture ci sia il pericolo che scatti la ben nota sindrome del Nimby, per cui laPag. 22lotta all'evasione fiscale bisogna farla, ma deve passare sempre da qualche altra parte e non deve mai intervenire sulle attività che si svolgono.
Quanto al meccanismo del contrasto di interessi, che è stato richiamato come una leva importante per pervenire ad una fiscalità più efficace ed efficiente, e che rappresenta a mio avviso un terreno che andrebbe utilmente esplorato, vorrei chiedere al collega Armani perché la domanda, oltre al ministro Visco - attuale viceministro dell'economia e delle finanze -, non sia stata posta anche ai suoi predecessori.
Ad esempio, al ministro Tremonti, che ha presentato una proposta organica di riforma dell'imposizione fiscale senza che vi fosse traccia del meccanismo del contrasto di interessi.
Un secondo punto riguarda l'introduzione dell'imposta di successione sulle eredità e le donazioni. La soluzione trovata appare convincente, anche perché è chiara dal punto di vista nominale. Ritengo sia giusto che chi ha responsabilità di Governo chiami le cose con il loro nome e, sinceramente, non avevo particolarmente apprezzato il giro di parole con il quale si affrontava tale questione.
Ma, al di là di ciò, la soluzione mi pare convincente nei contenuti. Infatti, la franchigia di un milione di euro - riferito al valore catastale - per erede, per quanto riguarda la successione diretta - riguardante cioè il coniuge e i parenti linea retta -, esclude la stragrande maggioranza delle eredità e certamente esenta dall'imposizione le donazioni di tutte le famiglie normali, ivi compreso il ceto medio, che in questa sede è stato evocato anche un po' a sproposito, a meno che non si ritenga che il ceto medio sia costituito da quella percentuale assolutamente minoritaria della popolazione con redditi che la collocano nel decile più alto della platea dei contribuenti. Per definizione, il ceto medio rappresenta un'area di cittadini e contribuenti che costituisce la maggioranza del paese. Allora, se è così, la soluzione trovata mette al riparo dal pericolo che la successione o la donazione dei risparmi di una vita sia sottoposta ad imposizioni non equilibrate.
Se mi è consentita un'osservazione critica, forse una soluzione come quella adottata si sarebbe potuta delineare con maggiore tempestività, evitando di procurare un allarme sociale che è stato certamente gonfiato da strumentalizzazioni polemiche, che ha scontato errori di comunicazione, ma che ha di certo costituito un problema nel rapporto di fiducia tra il Governo e l'opinione pubblica.
Infine, per quanto riguarda l'articolo 12, ritengo che nel lavoro di Commissione si sia sperimentato un esempio positivo di confronto in sede parlamentare tra la maggioranza e l'opposizione, e tra Governo e Parlamento. Devo dare atto di un atteggiamento estremamente aperto e costruttivo - ovviamente, ferme restando le scelte di contenuto - del ministro Di Pietro nel rapporto con la Commissione.
Se l'originaria formulazione di tale articolo poteva apparire non priva di rigidità, la versione approvata è decisamente migliorativa, intanto - e non solo - perché si è chiarito che non coinvolge convenzioni in essere, costruite su delicati equilibri di project financing. Io provengo dal collegio di Lombardia 2, nel quale una delle opere prioritarie per quell'area è certamente costituita dall'autostrada Brescia-Bergamo-Milano, che sarà realizzata sulla base di una convenzione che mette in gioco capitali privati. Dunque, è importante che il ministro abbia chiarito che la normativa introdotta dall'articolo 12 riguarderà solo le nuove concessioni.
Fatto questo chiarimento, ritengo che l'esigenza che ispira l'articolo 12 sia largamente condivisibile, in quanto risponde a criteri di chiarezza, di trasparenza e di rigore, perseguendo l'eliminazione di conflitti di interessi che in questi anni si sono evidenziati con grande nettezza, soprattutto in ordine ai rapporti tra società madri e società controllate, nell'ambito delle attività di progettazione e di realizzazione di grandi infrastrutture, quali sono le autostrade.Pag. 23
Credo, quindi, che anche qui non vi sia né rigore ideologico né atteggiamento punitivo, ma esigenza di chiarezza e trasparenza, prerequisiti affinché si possa perseguire con successo un piano di rilancio delle opere pubbliche necessarie per il nostro paese.
Per queste e per altre ragioni, il decreto-legge rappresenta un primo essenziale passo dentro una manovra che si propone di perseguire equità, risanamento e sviluppo. Per tale motivo, ribadisco il nostro parere favorevole e l'intenzione di difendere ed approvare in maniera convinta un provvedimento che anche il confronto parlamentare con le opposizioni in Commissione ha contribuito a migliorare (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Salutiamo, insieme agli altri ospiti in tribuna, gli amministratori del comune di Summonte.
È iscritto a parlare l'onorevole Garavaglia. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Colleghi, chiaramente l'intervento sul decreto-legge non può prescindere oggi dalle valutazioni negative riguardanti il rating del debito pubblico italiano. Il fatto che vi sia stato il declassamento dei conti pubblici porta l'Italia al livello della Grecia, cosa sicuramente non bella e positiva, soprattutto per chi come noi viene dal nord dell'Italia e conosce l'importanza della Padania all'interno dell'Europa. Competiamo con la Baviera ed essere equiparati alla Grecia rappresenta per noi un fatto negativo che ci preoccupa molto.
Al di là di ciò, l'altro effetto sicuro e scontato è un incremento dei tassi di interesse. Ad onor del vero, un incremento dei tassi era già in essere, anche se piccolo. Chi mastica un po' di economia conosce benissimo quali siano gli effetti di un incremento dei tassi di interesse. Tale incremento comporta per il settore produttivo una riduzione degli investimenti a causa del maggior costo per l'accesso al credito, e per il settore della spesa pubblica comporta invece l'incremento del costo del debito, con l'automatico effetto di un incremento della tassazione. L'effetto congiunto sul settore privato dell'incremento dei tassi di interesse e della tassazione è quello del contenimento dei consumi e la conseguente riduzione del PIL e della ricchezza del sistema paese. Questi sono gli effetti scontati e automatici.
La politica economica di un paese dovrebbe fare in modo di evitare gli effetti automatici dovuti ai movimenti macroeconomici. Purtroppo, vediamo che non si è fatto nulla e si è andati invece nel verso opposto. I vari provvedimenti adottati dal Governo, prima con la Visco-Bersani, poi con il decreto-legge n. 262 del 2006 e, infine con la legge finanziaria, non contengono nulla per favorire gli investimenti del settore produttivo o per limitare l'incremento della tassazione. Cosa si è fatto per favorire gli investimenti del settore produttivo? Si propone di «scippare» il TFR. Siamo veramente alla follia più pura. Chi non sa che le nostre imprese sono quasi tutte medio-piccole? Il 90 per cento delle imprese italiane ha meno di dieci dipendenti. Togliere il TFR ad un impresa con meno di dieci dipendenti non significa semplicemente togliergli la liquidità.
Il problema non è di disponibilità o di liquidità da parte del settore bancario; anzi, purtroppo le banche in un momento di crisi - e sostanzialmente ci troviamo in una fase di crescita bassa - hanno disponibilità liquida. Il problema è trovare chi utilizza questi quattrini. Quindi, il problema per il settore produttivo, in particolare per le tantissime microimprese ed anche per quelle medie, è la garanzia nell'accesso al credito. Chi non sa che un piccolo imprenditore, se non possiede un capannone da ipotecare, non ottiene i soldi dalle banche? Si tratta di cosa risaputa. Se ad una piccola impresa sottraiamo il TFR, togliamo il fiato ed essa non può più continuare a lavorare. È questo il vero problema. Ovviamente, la situazione non è ancora definita e probabilmente si apporteranno modifiche. Da un lato, questo è positivo, ma comunque il problema resta quello del segnale che si dà al mercato perché non si possono semprePag. 24spaventare gli imprenditori in quanto possono fuggire. Dalle nostre parti si dice che quando la mucca è nelle verze, è tardi. Pertanto, bisogna procedere prima che sia troppo tardi.
Io stesso ho chiesto al presidente dell'Associazione bancaria italiana se la sua associazione avesse in animo di fare qualcosa di concreto per favorire l'accesso al credito alle piccole e medie imprese, proprio per le garanzie che non ci sono. La risposta è stata un secco «no»; quindi, un provvedimento del genere è demenziale e folle e faremo di tutto per contrastarlo. In proposito, speriamo che la maggioranza, non tutta priva di buonsenso, capisca che si tratta di un provvedimento sbagliato e che quindi occorre modificarlo.
In merito ad una politica che dovrebbe favorire gli investimenti delle piccole e medie imprese, si è parlato diffusamente del cuneo fiscale, bandiera sventolata da un certo tipo di propaganda e favorita da alcuni giornali interessati. Ebbene, il cuneo fiscale è sostanzialmente una «bufala» perché favorisce soltanto poche imprese. Il 25 per cento dei soldi che rientrano alle imprese con il provvedimento sul cuneo fiscale favorisce soltanto settecento aziende. È sotto agli occhi di tutti che si tratta di una conseguenza scorretta e sbagliata. L'effetto congiunto del cuneo fiscale e dell'incremento dei contributi (speriamo sempre nel buonsenso e quindi nella possibilità di modificare in meglio le cose), per le imprese con meno di dieci dipendenti, allo stato attuale fa sì che il costo del lavoro incrementi dell'1 per cento o, più precisamente, dello 0,9 per cento; per le imprese con meno di cinquanta dipendenti incrementa dello 0,2 per cento. Quindi, è soltanto sopra i cinquanta dipendenti che l'effetto sul costo del lavoro comincia ad essere positivo. Siamo di fronte a chiacchiere e a politiche che hanno un effetto contrario a quello che sarebbe dovuto essere, ovvero quello di favorire gli investimenti nel settore produttivo.
Vorrei ora passare all'aspetto fiscale. All'inizio si diceva che si sarebbe dovuto fare in modo da contenere l'incremento della pressione fiscale che altrimenti sarebbe automatico, vista la situazione dei conti pubblici italiani ed il contesto internazionale. Vi è stata quindi la proposta di una grande manovra di redistribuzione dell'IRPEF. Intanto, su questo punto c'è il caos totale, visto che ancora nessuno ha ben capito gli effetti di questa manovra sulle singole posizioni contributive. In proposito, io stesso ho rivolto una precisa domanda al viceministro Visco. Infatti, le tabelle di simulazione si basano su una famiglia tipo composta da un padre di famiglia che lavora con moglie e figli a carico. Ebbene, pare che vi siano benefici per famiglie di questo tipo con redditi sotto i quarantamila euro, almeno secondo le tabelle circolate. Tuttavia, questa famiglia tipo non è quella che esiste nella realtà; infatti, l'ISTAT considera famiglia tipo quella con 1 bambino (sarebbe 1,2, ma preferisco togliere la cifra dopo la virgola, perché non si possono immaginare frazioni di bambini) e padre e madre che lavorano. Quanto meno al nord si riscontra questa situazione: se il padre o la madre non lavorano, non si paga l'affitto o, se si tratta di una casa di proprietà, non si pagano le spese della casa. Quindi, la famiglia tipo, carissimi amici del Governo, è composta da genitori che lavorano entrambi.
È su questo tipo di famiglia che bisogna fare la simulazione. Le altre sono situazioni particolari, per le quali occorre prevedere degli aiuti diversi. Una misura intelligente sarebbe applicare nuovamente o quanto meno riportare in auge il quoziente familiare. Ciò darebbe una mano alle famiglie, ma, comunque, la famiglia tipo - lo ribadisco - è costituita da padre e madre che lavorano entrambi.
Al ministro Visco è stato chiesto cosa accadrà alle famiglie tipo, vale a dire a quelle nelle quali entrambi i genitori, con a carico uno, due o tre figli, lavorano. La risposta è che occorre sviluppare ulteriori simulazioni ed apportare alcune modifiche.
Non potete pensare che il paese possa andare avanti in una situazione di caos totale, senza alcuna certezza su una manovraPag. 25così importante! L'unica cosa certa è che questa grande rimodulazione dell'IRPEF farà recuperare 400 milioni di euro (sono delle tasse in più)! L'altra certezza è che, in generale, la pressione fiscale, senza entrare nel campo spinoso della fiscalità locale, incrementerà, superando il 42 per cento. Anche in questo caso, però, vi è un aspetto drammatico, poiché non si considera l'economia sommersa, come risulta dai dati governativi.
Se si considera anche quest'altro aspetto, al 42 per cento dobbiamo aggiungere altri 7 punti percentuali! Se si considera anche l'incremento obbligatorio della tassazione locale, si supera il 50 per cento!
È un problema che si avverte soprattutto al nord, dove le tasse generalmente si pagano (non che in altre regioni non si paghino). Per chi paga e dimostra di avere un comportamento corretto nei confronti dello Stato, è giusto superare il 50 per cento della pressione fiscale? Secondo noi, no: è stata superata la soglia limite della decenza, nonché della sopravvivenza di un sistema produttivo!
Il problema reale del sommerso è un dato certo: si evince dalle situazioni di fatturato non dichiarato ed al riguardo sono stati già elaborati gli studi di settore.
Il problema reale è quello del lavoro nero. I dati li avete anche voi: sapete benissimo che, in alcune regioni del meridione, per cento euro di fatturato dichiarato, ve ne sono cento di sommerso. Sono situazioni insostenibili! Non si tratta di fatturato non dichiarato, ma di lavoro nero. Ricordiamo che chi lavora in nero ruba tre volte; non ruba solo per le tasse che non paga, ma per i contributi che non paga e, quindi, riceverà una pensione, senza aver versato un quattrino. Inoltre, pratica una concorrenza sleale nei confronti di chi fa le cose fatte bene, pagando fino all'ultimo centesimo (non può, pertanto, rimanere sul mercato a differenza di chi bara!).
Secondo i dati del Censis, la categoria che evade di più in percentuale è quella degli insegnanti. Non voglio sparare contro la categoria, ci mancherebbe altro, ma il fatto che gli insegnanti non rilascino la ricevuta, quando svolgono le ripetizioni, è una cosa assolutamente scorretta, evadendo per oltre il 52 per cento! L'idraulico (è spesso ritenuta la categoria tipo di evasore) si attesta al 34 per cento. Peccato che, nei confronti dell'idraulico, vi sono gli studi di settore; quindi, comunque, si riesce a fargli pagare il giusto, mentre per l'insegnante, che evade oltre il 52 per cento, è tutto grasso che cola, perché sul lavoro dipendente non vi sono gli studi di settore! Il nero del lavoratore dipendente è grasso che cola (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Nella politica del Governo non è previsto nulla contro questo tipo di evasione che è molto grave! Vorrei lanciare una provocazione: poiché è stata lanciata la provocazione dello scontrino (per la serie: se non emetti lo scontrino, ti faccio chiudere), poi giustamente rientrata, perché era una cosa fuori dalla grazia di Dio, mi piacerebbe vedere cosa succederebbe se in Italia si varasse una «normettina» del tipo: tu insegnante, se fai tre ore di ripetizione, senza poi emettere la ricevuta, stai a casa, senza ricevere lo stipendio per sei mesi!
Succederebbe la rivoluzione. Che in questo campo ci sia molto da fare è oltremodo evidente ed importante, ma ciò nonostante, non registriamo in questo provvedimento alcuna novità.
Passo ora alla questione della burocrazia. I settori produttivi, le piccole e medie imprese e gli artigiani non è che non vogliono pagare le tasse o sono preoccupati dall'entità delle tasse che pagano; la loro preoccupazione deriva, invece, dalla burocrazia che sta dietro a questo sistema impositivo. In Italia, pagare le tasse è complicato! Con il provvedimento in esame, anziché procedere nella direzione della semplificazione, è stata introdotta ulteriore burocrazia, ulteriori adempimenti; si va, quindi, verso un regime di polizia tributaria che incute paura nel contribuente in quanto passa il messaggio secondo il quale il contribuente, soprattutto il lavoratore autonomo e il commerciante, è un evasore potenziale (aggiungo ilPag. 26termine potenziale per essere moderato). Non è questo il modo di agire! Noi riteniamo, invece, che si debba far riacquistare fiducia nei confronti dello Stato e verso la Guardia di finanza la quale, come ha detto il viceministro Visco, deve mostrare la faccia truce, ma anche infondere un minimo di fiducia nei confronti delle istituzioni, altrimenti si rompe il «patto» e, una volta persa la fiducia verso lo Stato, è difficilissimo recuperarla.
Passo ad esaminare ora gli aspetti macroeconomici insiti nel provvedimento facendo riferimento, in particolare, alla questione della spesa pubblica. Le motivazioni addotte dalle agenzie di rating internazionali per giustificare il declassamento del debito pubblico italiano sono molto semplici: con questa manovra economica, il Governo non sta facendo nulla per ridurre strutturalmente la spesa pubblica. Anzi, che cosa fa? La cosa più semplice: alza le tasse. È del tutto evidente che ciò non rappresenta un intervento strutturale, come ha ribadito giustamente il governatore Draghi che, come sappiamo, non è l'ultimo arrivato. Pertanto, niente di nuovo sotto il sole. E di ciò si ha conferma se si esaminano il provvedimento in discussione e il disegno di legge finanziaria. Difatti, che senso ha incrementare di 3 miliardi di euro i contratti del pubblico impiego quando tali contratti sono stati aumentati, in termini reddituali, del 4,3 per cento negli ultimi cinque anni a fronte di una media registrata nel settore privato del 2 per cento? Ci chiediamo che senso abbia, tenendo conto anche che all'interno del settore del pubblico impiego vi sono meccanismi autoreferenziali, non vi è cioè un controllo esterno, non c'è un imprenditore che giudica, tali per cui determinati incrementi, le cosiddette progressioni, orizzontali o verticali, sono sostanzialmente automatiche. Inoltre, in tale settore vi è il privilegio della inamovibilità: a memoria d'uomo non è mai stato licenziato alcun lavoratore pubblico. Pertanto, vorrete almeno far passare il concetto che chi rischia di meno, guadagni anche un po' meno: il lavoratore privato è sottoposto al rischio di licenziamento, il lavoratore pubblico, invece, no. Da fare, quindi, ci sarebbe tantissimo, però si va sempre nella direzione opposta, a colpire cioè chi già paga le tasse e, come tale, contribuisce alla ricchezza del paese. A tale proposito, faccio presente che le tasse che generano ricchezza sono quelle pagate dal settore privato, mentre quelle pagate dal settore pubblico, quale ad esempio quelle di noi parlamentari, sono, come è del tutto evidente, delle partite di giro perché ciò che da una parte si paga viene dato, dall'altra, dallo Stato. Pertanto, il sistema paese sta in piedi grazie alle tasse pagate dal settore privato (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). È tale settore, quindi, che va tutelato, altrimenti la barca va a fondo!
Passo ad esaminare un'altra questione, per così dire, che si riferisce allo statalismo che riscontro nel provvedimento in esame. Faccio riferimento, in particolare, all'articolo 12 secondo il quale si prevede di rivedere tutte le concessioni statali. In questo caso, al di là dei dubbi di copertura finanziaria emersi durante l'esame in Commissione, così facendo si giungerà inevitabilmente, come ha fatto rilevare poc'anzi l'onorevole Armani, al sorgere di contenziosi in termini di indennizzi e quant'altro. Al di là del fatto che questi non sono coperti, e che, quindi, comporteranno maggiori risorse pubbliche, esiste un problema di fondo: insinuare, in questo particolare momento storico, un dubbio così forte nei confronti dell'intero sistema delle concessioni, produrrà l'unico risultato di bloccare i lavori, anche quelli già autorizzati! Ricordiamo che circa due miliardi di euro di lavori non effettuati in questi anni dai concessionari, spesso, sono il risultato non della volontà dei concessionari, ma dei blocchi delle autorizzazioni, per i veti, incrociati o meno, degli enti locali. Tante volte, i privati hanno le mani legate (pensiamo alla variante di valico)!
Dunque, non è così corretto sparare nel mucchio! Così è stato fatto fino ad oggi: si è sparato nel mucchio, bloccando il sistema delle concessioni. Il risultato è che, soprattutto al nord, le opere già finanziatePag. 27dai concessionari resteranno bloccate per gli inevitabili contenziosi che si apriranno. Questo, naturalmente, non è giusto, ma è nell'ottica del centrosinistra statalista, che vede lo Stato come l'unica soluzione ai problemi, quando probabilmente è il problema!
Quando insistiamo sul federalismo fiscale, lo facciamo semplicemente perché è l'unico modo per risolvere il problema di questo Stato. La nostra spesa pubblica, proporzionalmente, è una delle più ingenti del mondo. Il problema si risolve semplicemente responsabilizzando il livello più basso, compatibile con l'attività che si andrà a svolgere.
Ma il federalismo fiscale si fa (utilizzo una battuta che, dalle nostre parti, è comune) con il titolo V: chi ha in mano i soldi, ha vinto! Infatti, quando l'ente locale trattiene i quattrini, può essere responsabile, ma quando l'ente locale trasferisce i quattrini a Roma, si sarà sempre ricattati e ricattabili, perché non sono più soldi nostri, ma sono risorse che tornano se e forse, a condizioni che non sono più giustificate.
Con questo meccanismo non c'è la responsabilità diretta. La responsabilità diretta si ha quando i quattrini si gestiscono autonomamente. Poi, chiaramente, non si vogliono gestire tutte le risorse! Si discute sulla percentuale che deve rimanere al livello più basso. Tuttavia, finché non si ribalta la questione, cari miei, non si risolverà mai il problema della spesa pubblica!
Mi avvio alla conclusione, svolgendo alcune considerazioni di carattere squisitamente politico.
Chi non si ricorda Prodi, con la sua bella faccia simpatica, che disse «1 a 0», dopo le elezioni politiche, «2 a 0», dopo le amministrative (ha avuto la decenza di non dire «3 a 0» dopo il referendum, perché già erano iniziati problemi per la maggioranza; quindi, quello ce lo ha risparmiato)? Adesso, la questione si ribalta. Il Governo Prodi ci ha dato un bel «1 a 0» con l'indulto, «2 a 0» con il decreto Visco Bersani, «3 a 0» con il decreto-legge n. 262, oggetto della nostra discussione, e «4 a 0» con la legge finanziaria per il 2007.
Attenzione, perché chi perde è il paese! Non c'è una categoria (una!) che sia contenta. Non ce n'è una, tranne la CGIL, ma quello è scontato. In realtà, chi ha perso davvero è Prodi. Prodi sostanzialmente già è stato scaricato; è andato a Verona ed ha ricevuto la «saccata» di fischi e sarà sempre peggio. Padoa Schioppa, su Liberazione, è stato scaricato, quindi, la sinistra estrema sta già buttando la croce addosso ai tecnici: la colpa è dei tecnici! Questo è il teatrino della politica.
D'altronde, lo abbiamo già constatato nel lavoro in Commissione (ma devo dare atto dell'onestà intellettuale di molti dei commissari presenti), è stato fatto poco o niente. Si è lavorato davvero poco e solo nell'ultimo giorno, perché, fino a quel momento, il lavoro è stato fatto altrove, nelle segreterie di partito. Infatti, ciascuno ragiona in termini del nuovo Governo, arroccandosi sulle proprie posizioni, facendo in modo che i propri provvedimenti vadano avanti. Non c'è più una linea comune, ognuno pensa già con quale forza potrà entrare nel nuovo Governo.
Bene, la Lega Nord a questo gioco non ci sta! Noi facciamo un appello alla responsabilità delle forze di maggioranza, perché facciano in fretta a spedire Prodi al suo posto, ossia a casa. Se si deve fare un altro Governo, lo si faccia in fretta per il bene del paese. Noi ci auguriamo che si vada alle elezioni e che si faccia un Governo nuovo, con una maggioranza nuova.
In ogni caso, la Lega Nord non farà sconti in finanziaria, per l'interesse del nord, che è poi l'interesse del paese. Infatti, se va bene il nord e il sistema produttivo, va bene tutto il paese. Per cui, e concludo, la battaglia sarà ancora più dura sulla finanziaria. Ci aspettiamo, però, che anche da parte della maggioranza ci sia una assunzione di responsabilità sul fatto che a farne le spese è il paese intero. Dunque, ci aspettiamo che molti provvedimenti siano ridimensionati, in un'otticaPag. 28di puro buonsenso (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elpidio. Ne ha facoltà.
DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con questo provvedimento iniziamo oggi ad affrontare la manovra di bilancio per il 2007. Il decreto-legge che affianca il disegno di legge finanziaria costituisce parte rilevante della manovra di finanza pubblica per il 2007 e contiene significative correzioni di aggiustamento strutturale del deficit tendenziale. È stata fatta, dunque, un'operazione di trasparenza e di correttezza, volta a tenere sotto controllo i flussi di finanza pubblica rispetto alle direttrici fissate dal precedente Governo, che non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati circa la manutenzione della base imponibile ed il controllo della spesa corrente. Il Governo, perciò, sta cercando in tutti i modi di invertire tali andamenti negativi, tentando di risolvere i problemi aperti da una finanziaria elettorale come quella varata lo scorso anno dal Governo di centrodestra.
Signor Presidente, questa manovra di finanza pubblica ha l'obiettivo difficile di porre in sicurezza i dati 2006 e correggere in senso strutturale il deficit tendenziale. Come è ovvio, per la logica della politica e del gioco delle parti, questa manovra ha suscitato vivaci polemiche e, comunque, un importante dibattito, in alcuni casi frutto di sincera convinzione e di forte volontà di miglioramento, in altri casi strumentale e sterile, in parte fazioso. Non vi è dubbio che il segno più negativo dell'economia italiana è quello della perdita di competitività nei confronti degli altri paesi, europei e non europei. Prima di tutto, vi è da sottolineare che il testo giunto all'esame dell'Assemblea è un documento che ha avuto vari cambiamenti rispetto a quello licenziato dal Consiglio dei ministri, lo scorso 29 settembre. Ciò è avvenuto grazie al grande lavoro svolto dalle Commissioni bilancio e finanze (e do merito a tutti i colleghi, compresi i relatori, per la grande mole di lavoro svolto in entrambe le Commissioni).
Il testo al nostro esame rappresenta un complesso di misure che si sviluppa organicamente su più orizzonti temporali, con una manifesta volontà di avviare davvero l'opera di profonda riforma che ci siamo prefissati, attraverso una serie di interventi formulati nella logica del rigore e della giustizia sociale, della trasparenza, della semplificazione e dell'efficienza amministrativa. Tra le molte osservazioni critiche avanzate, voglio recuperare l'interrogativo posto dall'opposizione sul fatto che questa manovra aumenterà le tasse. A ciò rispondiamo che questa finanziaria garantirà 4 miliardi di euro con le misure per il recupero di imposte evase o eluse da emersione.
Ma, a questo punto, si pone un interrogativo, e mi libero della parte più formale del mio intervento, per affrontare alcuni aspetti che riguardano l'informazione. Infatti, sotto questo aspetto, che mi sembra pure importante, della manovra si è parlato e ne conosciamo tutti i contenuti, ma debbo rimarcare l'attenzione sul fatto che l'informazione non ci aiuta a spiegare le valide ragioni che ci hanno condotto a queste scelte ed a queste decisioni. Non c'è nulla da fare, tutti sembrano aver dimenticato come aveva ridotto il paese il precedente Governo: crescita «zero», finanza creativa, senza interventi strutturali, aumento del deficit pubblico di altri 90 miliardi di euro negli ultimi cinque anni; tutto dimenticato!
Dunque, anche se l'impianto della manovra varata dal Governo è apprezzato dall'Unione europea perché risana i conti, cresce nel paese il malcontento verso il Governo di centrosinistra. In verità, il Governo non ha saputo comunicare la missione che affida a questa sua prima finanziaria.
Tocca perciò alla maggioranza in Parlamento fare questo lavoro, che - ritengo - fornirà un diverso e buon risultato finale.
Negli ultimi cinque anni, Berlusconi ha sempre posto la questione di fiducia sullaPag. 29legge di bilancio, lui che disponeva di una maggioranza più ampia di quella attuale, che gli avrebbe consentito di compiere le riforme promesse ed attese. Per assecondare il «vuoto» creativo di Tremonti preferì sempre chiudere ogni possibilità di miglioramento parlamentare a colpi di maxiemendamento.
Con questa manovra non vogliamo far piangere nessuno, ma ridare più fiducia e speranza nel futuro a tutti. Non vogliamo che nessuno pianga, ma neanche che alcuno rida, fregandosi le mani perché, magari, ha approfittato di qualche altra categoria meno organizzata e più indifesa.
I giudizi delle agenzie di rating sui conti pubblici italiani sono la conseguenza dell'eredità lasciata dal precedente Governo, ma - a fianco di questi apprezzamenti - dobbiamo anche notare che l'agenzia Fitch giudica positivamente la manovra.
Siamo stati accusati di aver reintrodotto la tassa sulla successione. In effetti, noi che siamo per la legalità e per l'emersione del sommerso, abbiamo ridato titolo ad una tassa che esisteva, mai soppressa, cioè la tassa di successione alla finanza creativa di Tremonti. Non lo abbiamo potuto fare usando la formula dell'accettazione con beneficio di inventario, perché l'inventario di una finanza creativa consegue al fatto che l'inventario sia anch'esso creativo.
Il Governo Berlusconi ha impiegato cinque anni per ridurre l'Italia nello stato attuale. Non vogliamo essere più bravi, ma intendiamo migliorare i conti, frenare ed arrestare l'emorragia ed abbiamo bisogno di cinque anni per fare bene, perché a recuperare gli errori s'impiega più tempo che a commetterli. Abbiamo intenzione di proseguire in tale operazione, anche se c'è chi ha impazienza, chi chiede le chiavi del «palazzo» o (visto che si è parlato del convegno di Verona) le chiavi del paradiso, mi riferisco a palazzo Chigi. Certo, chi è abituato ad avere tante chiavi di palazzo, non si abitua al purgatorio al quale è stato condannato dagli elettori.
Il Papa ci ha sollecitato a comportamenti esemplari, che debbono essere testimoniati quotidianamente, anche con la nostra vita, e quella privata non è da meno. La coerenza, l'impegno deve essere qualcosa che non manifestiamo soltanto quando vi sono scadenze, eventi ed applausi facili da andare a prendere, anche perché sollecitati e stimolati, ma anche quando vi sono, come è successo al nostro Presidente del Consiglio, contestazioni frutto di un'organizzazione che tende a dipingere di nero tutto ciò che, ultimamente, il Governo compie. La verità non è questa; la verità è che, anche a Verona, è stato ribadito che la Chiesa non ha alcuna voglia di scendere in politica, mentre alcuni politici non resistono alla voglia di pontificare.
Nella manovra finanziaria noi sosteniamo, in base ai principi ai quali io, da cattolico, mi richiamo, con una testimonianza che ne è l'esempio, che «chi più ha, più deve dare». Non vorremmo che le opere, anche quelle pie, si realizzassero con le idee dei ricchi e con i soldi dei poveri. Quindi, riteniamo che tutti possano concorrere ad effettuare scelte importanti per ridare fiducia, crescita e sviluppo al paese, scelte, però, che devono essere sostenute maggiormente da chi ha maggiori disponibilità. Questo per noi significa riequilibrio.
Nel dettaglio della manovra, tutti abbiamo potuto apprezzare le scelte compiute.
Per quanto riguarda le successioni, ritengo che il milione di euro di franchigia rapportato ai valori catastali - che, come ben sappiamo, sul valore di mercato ha un'incidenza diversa e di molto superiore per erede -, metta al riparo ed in assoluta tranquillità la maggioranza delle famiglie italiane. Se poi una residua parte di queste ultime ha - per loro fortuna e senza voler dare alcun giudizio - grandi patrimoni, allora non mi sembra una rapina che sulla parte eccedente il milione di euro di un grande patrimonio possa essere applicata un'aliquota del 4 per cento.
In relazione al bollo auto e moto ed ai SUV, abbiamo affrontato il problema non nella logica di reperire fondi - che pure erano necessari per tappare un buco minimo di 15 miliardi di euro causato dallePag. 30fallimentari manovre finanziarie dei precedenti governi di centrodestra -, ma in quella di armonizzare questa materia per dare maggiori incentivi al trasporto locale pubblico. Si tratta di una direzione che abbiamo imboccato in quanto siamo convinti che, quando parliamo di ecologia, di inquinamento e di altri temi importanti, siano le operazioni concrete a dover fornire adeguate risposte.
Quanto alla sicurezza stradale - altro tema che ci sta a cuore - abbiamo introdotto la norma che prevede un'infrazione con conseguente confisca del mezzo nel caso in cui un motorino sia senza protezione ovvero in caso di guidatore senza casco allacciato.
In merito alle autostrade, sono state confermate le modifiche apportate dal ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro, tra cui la soppressione del tetto del 5 per cento posto ai costruttori che partecipano alle società concessionarie. Non ho preoccupazioni nel ribadire, in qualità di capogruppo dei Popolari-Udeur in Commissione bilancio, quale sia stata la mia posizione: eravamo e siamo per una più attenta riflessione e per un'analisi più profonda di questa materia che merita di essere ancora meglio sviscerata, e non è detto che questo non possa accadere in futuro.
Sul fronte delle infrastrutture, ci sembra importante che a regioni come la Calabria e la Sicilia siano state restituite disponibilità per la realizzazione di opere che forse sono più importanti di altre. Infatti, quando ci siamo posti il problema - ed io non sono un tifoso della questione «ponte sì, ponte no» - è stato evidenziato, anche in questa aula, che velocizzare i tempi di attraversamento del ponte sarebbe importante, ma poi perdersi nella circolazione ordinaria e disastrata in Sicilia o in Calabria rappresenta un problema altrettanto importante da risolvere.
Nel campo dell'editoria, sono stati soppresse alcune norme, come quella che rivedeva le provvidenze o quella relativa ai messaggi istituzionali di utilità sociale, nonché la disposizione sul diritto d'autore per la riproduzione di articoli, di riviste e giornali. Anche con riferimento a questo tema importante, ho già detto all'inizio del mio intervento che sulla comunicazione e sull'informazione dobbiamo essere più attenti; torneremo su queste questioni con altre scelte, decisioni ed interventi, anche legislativi, che possano dare spazio e vigore al settore.
In campo fiscale, in relazione agli scontrini, si prevede che siano necessarie tre infrazioni nell'arco di cinque anni per far scattare la chiusura degli esercizi commerciali, la quale potrà essere anche non immediata. Questi sono passaggi - lo ricordo - molto importanti perché di ogni nostro provvedimento, anche discusso e controverso, si è preferito dare una lettura liquidatoria, negativa e fallimentare. Non ci sentiamo di stare a questo gioco perché, se è stato accertato che 16 milioni di italiani ci guadagnano mentre 5 milioni - come affermo io - non ci perdono (ma i loro redditi saranno riequilibrati), significa che siamo sulla strada giusta.
In quest'aula è stato già ricordato, anche prima del mio intervento, quanto bisogno vi fosse di varare interventi strutturali per contenere l'andamento del deficit e della spesa pubblica. Mi sembra che non possiamo accettare lezioni da chi è stato campione assoluto, negli ultimi anni, del dilatamento e della crescita sia della spesa, sia del deficit pubblico, raggiungendo record difficilmente eguagliabili. Noi non vogliamo cimentarci in tale impresa!
Dirò di più, perché dobbiamo essere seri ed equilibrati nel compiere le nostre analisi, e dobbiamo anche rilevare - perché lo ha ricordato il ministro competente - che il 50 per cento della spesa viene deciso in sede decentrata e periferica, vale a dire nelle regioni, nelle province e nei comuni.
È vero che, molto probabilmente, i trasferimenti agli enti locali saranno inferiori rispetto al passato; tuttavia, vorrei evidenziare che vi è una logica alla base di tale scelta. Infatti, se gli importi dei trasferimenti agli enti decentrati rimanessero sempre costanti, si dichiarerebbe che non vi è la possibilità di intervenire per ridurrePag. 31gli sprechi. Vorrei osservare, allora, che tutti invocano il famoso risanamento, purché venga realizzato a spese degli altri ed a carico del vicino, senza essere toccati personalmente!
So che lo Stato, per poter chiedere al cittadino di rispettare le proprie indicazioni, deve dare il buon esempio. L'esempio è quello di lanciare per primi un segnale forte e tempestivo nel contenimento della spesa; tuttavia, come ho precedentemente affermato, se la migliore testimonianza è l'esempio, tale esempio deve essere successivamente seguito in ogni parte del paese. Ciò perché ritengo assurdo pensare che in tanti comuni, in numerose regioni e in tante province non vi siano settori sui quali si possa intervenire, e forse non vi siano consulenze delle quali si possa fare a meno, recuperando professionalità interne. Riesce difficile immaginare, infatti, che non vi siano spese che, magari in un momento difficile, possano essere accantonate o rinviate.
Vorrei dire, allora, che la nostra mentalità deve cambiare e deve essere superato il concetto per cui il bene comune, che tutti sosteniamo di avere a cuore, ci riguarda a condizione che non comporti costi personali. Il conseguimento del bene comune, invece, ci deve riguardare, in quanto tutti quanti dobbiamo contribuire a garantire ed a soddisfare l'interesse pubblico.
In tal senso, noi, che siamo impegnati in questa sede per risolvere questo grave problema, dobbiamo essere ottimisti. Ricordo che il collega intervenuto prima di me, appartenente al gruppo Lega Nord, ha affermato che non si vede «niente sotto il sole». Per fare una battuta, allora, vorrei rispondere che, per una persona che viene dalla Padania, vedere il sole è già un successo, ma vedere qualcosa sotto il sole è un obiettivo ancora più difficile da realizzare! Noi, che invece al sud abbiamo il privilegio di vederlo, vogliamo essere ottimisti e lanciare un segnale di speranza. Vogliamo dire che il sole c'è e che sotto il sole possono esservi tante opere; tali opere, tuttavia, possono essere realizzate solo dalle persone che si preoccupano del bene comune non solo con le parole e con i discorsi.
Sono alla prima legislatura da deputato e riconosco con assoluta tranquillità che forse non sarò bravo a pronunciare i discorsi; tuttavia, spero di dare l'esempio attraverso il mio impegno quotidiano. Quest'ultimo, infatti, sarà rivolto al bene dei cittadini che amministriamo, soprattutto - e si tratta di un tema che mi sta particolarmente a cuore - di quelle persone che incontrano maggiori difficoltà, che hanno bisogno di sostegno e che devono essere aiutate (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berruti. Ne ha facoltà.
MASSIMO MARIA BERRUTI. Signor Presidente, prima che il collega D'Elpidio esca dall'aula, vorrei ricordargli che la campagna elettorale è finita da un po' di tempo e che se è vero che cinque anni di Governo Berlusconi hanno condotto l'Italia al disastro, come egli asserisce, mi pare che la gente, dopo tre o quattro mesi dell'Esecutivo Prodi, abbia dichiarato che la situazione è peggiorata. Comunque, lasciamo da parte la polemica e torniamo ad affrontare il decreto-legge in esame.
Una valutazione del decreto-legge richiederebbe un'analisi completa di tutto il «pacchetto» di norme che dà corpo alla manovra finanziaria per il 2007, costituita dal provvedimento in esame, dal disegno di legge finanziaria vero e proprio, dal disegno di legge delega per il riordino del sistema tributario (presentato dal Governo e in attesa di assegnazione) e, ovviamente, dal cosiddetto decreto-legge Visco-Bersani, già convertito.
Va posta, a mio parere, una questione di metodo, che discende dagli ultimi dati diffusi dall'ISTAT. L'Istituto ci dice che, nel primo semestre di quest'anno, il deficit pubblico è sceso al 2,9 per cento del prodotto interno lordo. Anche gli altri indicatori dell'andamento dei conti pubblici registrano un notevole miglioramento. Ciò smentisce le catastrofiche previsioniPag. 32che erano state diffuse per giustificare la straordinaria pesantezza della manovra.
In questa sede, però, non voglio soffermarmi sull'ampiezza dei sacrifici che vengono chiesti ai cittadini, perché, in massima parte, le relative misure sono previste dal disegno di legge finanziaria. Tuttavia, non posso fare a meno di rilevare che non sussistevano i motivi di necessità e di urgenza indispensabili per procedere a ripetuti interventi per decreto-legge, che hanno sottratto al vaglio del Parlamento la visione panoramica del significato della manovra.
Per giunta, i tempi imposti dal decreto-legge privano questo Parlamento della possibilità di calibrare cognita causa i sacrifici imposti dagli interventi di spesa programmati. Non si può accettare a priori l'affermazione di alcuni qualificati esponenti del Governo, secondo i quali il disegno di legge finanziaria può essere corretto, «fermi restando i saldi contabili» (cito tra virgolette). Non dovrebbe trattarsi di verità immutabili, considerato che, in sede di presentazione alla Commissione europea, è stato precisato che il saldo della manovra va letto con il peggioramento di un ulteriore miliardo di euro (ma poi è stato annunciato, come abbiamo visto, un miglioramento dei trasferimenti a favore di comuni e province). L'articolazione dei mutamenti, fino a questo momento, non è nota.
Ciò detto, per manifestare il senso di imbarazzo, per l'evidente svilimento della funzione parlamentare (almeno, io mi sento fortemente imbarazzato a causa dello svilimento della mia funzione di parlamentare da qualche decina di anni), e rinviando alla sede propria l'illustrazione delle conseguenze dell'inasprimento della pressione fiscale in termini di aliquote, rilevo che il decreto-legge in esame incide profondamente su un aspetto che è stato troppo spesso trascurato, ma che concorre, in modo non trasparente, a determinare la pressione medesima: va esaminato prioritariamente, a mio avviso, il tema dei costi di adempimento.
Già nel cosiddetto decreto Visco-Bersani sono state introdotte misure di non poco conto: è stato reintrodotto l'obbligo di presentazione dell'elenco dei clienti e fornitori (che, è bene ricordarlo, era stato soppresso con il consenso dell'amministrazione finanziaria, in quanto ritenuto del tutto inutile); è stata attuata l'anagrafe dei conti bancari; sono stati inaspriti gli obblighi contabili a carico dei professionisti; sono stati introdotti nuovi adempimenti relativi alla compravendita di immobili; sono stati assegnati nuovi poteri all'Agenzia delle entrate ed agli agenti della riscossione; sono state richieste specifiche segnalazioni a carico delle società di assicurazione e dei calciatori professionisti; sono state anticipate le date per la presentazione delle dichiarazioni periodiche condizionate ad accertamenti ed attribuzioni dei numeri di partita IVA; infine, sono stati telematizzati obbligatoriamente i pagamenti delle imposte.
Tutto ciò è stato fatto in nome della lotta all'evasione, che non può non trovare consenso, a condizione che si sappia, però, come si intenda condurla, affinché il fine non giustifichi altri e non sempre chiari intendimenti. Questo ci sembra di capire.
Il problema, oggi - lo dico astenendomi da qualsiasi retropensiero - va comunque affrontato in termini di efficienza, efficacia, economicità, tenendo ben presenti, da un lato, il principio costituzionale del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione e, dall'altro, gli oneri che si scaricano sui contribuenti.
Nel decreto in esame «spiccano» nuove procedure: la trasmissione telematica di dati relativi a prodotti soggetti ad accise; ulteriori acquisizioni dei contratti di prestazioni professionali degli atleti professionisti e dei pagamenti effettuati dalle assicurazioni a titolo di risarcimento dei danni; accollo integrale a carico dei contribuenti degli oneri di riscossione; estensione dei poteri tipici della polizia tributaria agli agenti della riscossione; obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni e delle società a prevalente partecipazione pubblica di non effettuare pagamenti nei confronti dei soggetti che abbiano carichiPag. 33tributari. Inoltre, vengono introdotti ulteriori oneri. A titolo di esempio, richiamo l'acquisizione di altri dati e documenti e l'attribuzione delle funzioni di sostituto d'imposta al condomino o al capo condomino o a chi rappresenta i condomini. Tutto ciò va ad aggiungersi ad altri adempimenti preesistenti.
Il panorama che ricaviamo da questa brevissima ricostruzione è che tutti i cittadini in età produttiva debbano ormai dedicare una buona parte della propria vita, del proprio tempo - una parte non indifferente - a soddisfare le esigenze informative dell'amministrazione finanziaria, in funzione della lotta all'evasione fiscale.
Sono lontano dal voler affermare che al conseguimento di questo obiettivo non debbano concorrere tutti; però, bisogna chiedersi se i sacrifici così previsti non vadano a gravare sulle risorse destinate alla produzione, se siano razionali e, quindi, giustificati. La massa di dati che si intende far affluire all'amministrazione finanziaria è così imponente che per la loro utilizzazione si presuppone l'esistenza di una macchina efficientissima, cosa che, dai dati, dalle informazioni e da quello che vediamo, non esiste, considerato peraltro che, all'articolo 1, ai commi 14 e seguenti, si prevede l'impiego di risorse anche per consulenze dirette alla riorganizzazione della pubblica amministrazione.
Tra l'altro, nel disegno di legge sul riordino del sistema, si richiede la delega per il riordino dell'amministrazione. Sarebbe dunque logico che l'acquisizione e la destinazione delle risorse fossero rinviate alla legge delega.
A questo punto, non posso fare a meno di rilevare che il provvedimento d'urgenza in esame, complessivamente, almeno per quanto mi riguarda, è assolutamente oscuro. Le perplessità aumentano man mano che si leggono gli articoli, ove si comunica, ad esempio, che mutano profondamente i presupposti dell'utilizzo, ad esempio, degli studi di settore e quindi non si comprende più su quali strumenti si dovrebbe fare affidamento per la lotta all'evasione considerato che taluni di questi strumenti sono contraddittori - o addirittura superflui - e talvolta ripetitivi.
Insomma, l'impressione che si ricava è sempre più netta e fa sorgere la necessità che il Governo chiarisca in Parlamento quali siano le linee di azione che intende perseguire, atteso che il funzionamento dell'amministrazione finanziaria, proprio per gli interessi generali sottostanti, non può essere considerato una sorta di interna corporis dell'Esecutivo.
Passando ora gli altri aspetti attinenti in senso più stretto alle norme tributarie, manifestiamo netta contrarietà per le ripetute acquisizioni di dati a carico di una categoria di contribuenti, quale è quella dei calciatori professionisti. È probabile - anzi, è certo - che si tratti di un settore da tenere sotto attenta sorveglianza, stando alle cronache giudiziarie degli ultimi tempi. Potrebbe però non essere l'unico; eppure, nei confronti di altri settori, non vengono proposte normative analoghe. L'amministrazione ha già in mano gli strumenti e le norme per perseguire singoli contribuenti o gruppi di contribuenti. Un'intrusione sistematica nella sfera della libertà di negoziazione appare come una pericolosa evoluzione del sistema, al pari di quella, che è già stata indicata, del blocco dei pagamenti da parte delle società a prevalente capitale pubblico nei confronti dei contribuenti morosi.
Perplessità suscita anche l'inasprimento delle sanzioni accessorie a fronte di una sola violazione delle norme sul rilascio dello scontrino fiscale. Lasciamo stare le quantità e le diminuzioni che ci sono state nel frattempo, ma qui si parla di una sola violazione della norma del rilascio dello scontrino fiscale. Riscontriamo, ancora, forti perplessità sull'inclusione del sistema dei versamenti unitari dei contributi sindacali.
A proposito di finanza locale, poi, permettetemi una breve parentesi. Appaiono sorprendenti le lagnanze di comuni sull'esiguità delle risorse loro assegnate. Tralasciando le considerazioni sull'inasprimento delle addizionali, rilevo che all'articolo 5, si consente di rivedere la classificazione catastale degli immobili destinatiPag. 34all'erogazione dei servizi pubblici. La norma, formulata in termini estremamente criptici, in sostanza, porterà nel campo dell'applicazione dell'ICI immobili che oggi vi sono assolutamente esclusi. Altro che scendere in piazza! In parole povere, saranno soggette al tributo la massima parte di aree edificate nei porti, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie. Alla faccia delle lamentele dei sindaci dell'Unione e non! Questo è stato un «regalone» fatto ai sindaci, i quali, per la prima volta, potranno applicare l'ICI su immobili che, in precedenza, non erano neanche considerati dall'amministrazione finanziaria.
Allora, se pure in linea teorica si potrebbe convenire sull'opportunità della norma, non possiamo, però, fare a meno di invocare una disposizione di coordinamento che ponga un tetto alla pressione fiscale degli enti locali. Basterebbe che si fissasse un tetto in modo tale che si sappia perfettamente dove e fino a che punto gli enti locali possono applicare tale norma.
Il decreto contiene, inoltre, una serie di disposizioni che non possono suscitare consensi. Cercherò di limitare il mio intervento, in modo da consentire la sospensione antimeridiana dei lavori per il pranzo, ma non posso non accennare alla questione relativa a Poste Spa ed a Ferrovie dello Stato Spa. Negli articoli 10 e 11, sono contenute disposizioni per gli immobili non più strumentali alla gestione di Poste Spa e Ferrovie dello Stato Spa. Si tratta di un problema annoso, alla cui soluzione sono state fatte risalire spesso improbabili capacità di reperire risorse per alleggerire gli oneri a carico dei bilanci pubblici. In realtà, le due norme affrontano alcuni problemi giuridici e, sicuramente, ostacolano l'alienazione, ma ignorano aspetti di carattere gestionale che sono fondamentali. Poste e Ferrovie svolgono, oltre alle attività assolutamente insite nel loro oggetto sociale, altri tipi di attività, rispetto alle quali, quella immobiliare, tesa alla valorizzazione dei cespiti in funzione della loro immissione sul mercato, è assolutamente estranea alla missione principale sia delle Poste sia delle Ferrovie. Peraltro, nella scorsa legislatura, ricorderete che, per altre situazioni, sono state individuate diverse soluzioni, che hanno dato risultati assolutamente insperati.
Nel clima di innovazione che ispira questa maggioranza non si richiede neppure di ripercorrere strade già sperimentate, peraltro, da coloro che oggi sono all'opposizione, quindi dai vostri avversari politici. Ma si prenda almeno coscienza del fatto che il raggiungimento dell'obiettivo passa attraverso l'individuazione di un soggetto che dedichi tutte le sue capacità a queste azioni ed operi con la dovuta professionalità.
Non comprendiamo la ragione per la quale viene prestata attenzione al patrimonio immobiliare di queste due società e non anche a quello dell'ANAS Spa, rispetto alla quale in passato sono state adottate norme analoghe a quelle attuali riguardanti le Ferrovie, senza che tale società sia riuscita a vendere un solo immobile!
Ciò mi indurrebbe a svolgere alcune considerazioni ed il ministro Di Pietro dovrebbe riflettere su questo aspetto. Lo stato degli immobili di proprietà dell'ANAS è sotto gli occhi di tutti. Il passaggio di una parte della rete stradale alle regioni non ha assolutamente migliorato la situazione. Cito questo esempio (ma se ne potrebbero portare tanti altri) per richiamare l'attenzione sull'incongruità delle norme di cui oggi chiedete l'approvazione. Il richiamo ad uno dei tanti problemi dell'ANAS consente di aprire altre finestre; una finestra si apre anche sulla norma che riguarda il settore autostradale.
I fenomeni cui la stampa ha dato spazio e risalto traggono origine da un processo di privatizzazione deciso da un Governo di centrosinistra che all'epoca aveva promesso di adottare, contemporaneamente, anche norme dirette alla liberalizzazione del mercato. Il primo provvedimento ha preso corpo; il secondo è rimasto nel limbo dei desideri, così che il monopolio pubblico è stato trasferito nelle mani dei privati.Pag. 35
All'epoca - lo ricorderete tutti - si occupò di tale questione (in verità, con riferimento a tutti i settori interessati al regime delle concessioni) l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che pubblicò uno studio molto interessante ed istruttivo, probabilmente, ancora oggi, di grande attualità. Vi chiedo, sommessamente, di dare uno sguardo a questo studio.
L'analisi delle vicende passate fa sì che oggi non si possa fare a meno di esprimere grande preoccupazione per la previsione che, in caso di estinzione delle concessioni, debba subentrare l'ANAS. Non si dice cosa l'ANAS dovrà fare, una volta subentrata. Si può supporre che debba gestire il tratto autostradale, non più in mano ai privati...
LANFRANCO TURCI. È stata tolta, questa parte!
MASSIMO MARIA BERRUTI. Sì, sto parlando di una prima fase. Successivamente, evidentemente perché vi è stata attenzione ad un nostro richiamo anche in Commissione, questa norma è stata soppressa. Vi preghiamo di fare altrettanto: ve lo abbiamo chiesto per l'articolo 12, e vi chiediamo di esaminare questo articolo con la stessa attenzione.
Purtroppo, non riusciamo nel nostro intento, perché - come tutti i Governi - anche questo è fatto di uomini e, all'interno dell'Esecutivo, per scelte assolutamente politiche, che nascono da ragioni assolutamente elettorali, bisogna accettare le imposizioni di alcune componenti di partiti che appartengono alla maggioranza, che fanno parte del Governo e che impongono posizioni assolutamente inaccettabili.
Orbene, non si comprende se, sul processo di privatizzazione, sia in atto un ripensamento ulteriore, un regresso più o meno soft, o se la gestione ANAS sia del tutto transitoria in attesa di ulteriori eventi. Vi sarebbe la necessità di fornire indicazioni chiare al Parlamento su cosa si intende fare.
Mi avvio alla conclusione. Nella relazione di accompagnamento al provvedimento si legge che la procedimentalizzazione delle variazioni tariffarie colma un vuoto legislativo. Questa affermazione stupisce, perché farebbe ritenere che la generosità oggi denunciata sia frutto di improvvide iniziative.
Sarebbe bene che questo aspetto fosse opportunamente approfondito e che, se responsabilità vi sono, esse siano ascritte con precisione.
A parte questa considerazione, che mi sembra ovvia, non possiamo dire che la cosiddetta procedimentalizzazione sia in grado di chiarire quali siano i criteri che verranno adottati in futuro. Soprattutto, non vi è alcun cenno alle conseguenze che si verificheranno sull'intero settore autostradale, accentuando così le preoccupazioni per una retromarcia sulle privatizzazioni, come panacea per la mancanza di norme sulle liberalizzazioni.
La norma riserva ulteriori sorprese. Il riferimento è al peso limitato al 5 per cento dei diritti di voto dei soci tra i quali si annoveri la presenza di costruttori. Al di là della compatibilità di una simile previsione con la normativa comunitaria, sarebbe interessante conoscere chi siano i soggetti che dovrebbero esercitare i diritti congelati e come tutto ciò si concili con il nostro diritto societario.
LANFRANCO TURCI. È stato tolto!
MASSIMO MARIA BERRUTI. Sì, ma lo avete scritto! Su questo argomento permettetemi dunque di fare un po' di polemica, perché abbiamo dovuto sudare per farvelo togliere!
LANFRANCO TURCI. Meno male che lo abbiamo tolto...!
MASSIMO MARIA BERRUTI. Certo, meno male che lo avete tolto! Però ce ne sono tante altre di cose da togliere!
Queste sono le ragioni per le quali su questa norma abbiamo fatto questo tipo di intervento. Avevamo infatti l'impressione che vi fosse anche un conflitto con il codice civile.Pag. 36
Ragioni di tempo non mi permettono di approfondire numerose altre disposizioni contenute in questo provvedimento, che, al pari di quelle analizzate, potrebbero anche trovare in qualche parte alcune condivisioni. Tuttavia, la condivisione è resa impossibile dalla lacunosità e dal tono generale inquisitorio e punitivo del decreto nel suo complesso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gianfranco Conte. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO CONTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad un intreccio tra il cosiddetto collegato fiscale e la finanziaria, dal quale emerge un disallineamento normativo abbastanza evidente. In particolare, diverse norme presenti in questo decreto fiscale contraddicono l'impostazione seguita invece nella finanziaria; ma di quest'ultima parleremo più avanti.
In questa fase del dibattito a me interessa affrontare la questione fiscale nel suo complesso, perché voi state procedendo verso una china veramente insopportabile. Infatti, avete affrontato l'azione di prevenzione - avete fatto un gran battage pubblicitario sull'evasione e sull'elusione - e, più in generale, la questione fiscale in un modo occhiuto, che probabilmente non vi darà i risultati che vi aspettate.
Tutte le procedure previste in questo collegato e nella finanziaria partono dal presupposto che occorre aumentare i controlli per avere un risultato nella lotta all'evasione. Tuttavia, non tenete in nessun conto il fatto che tutte le procedure telematiche e tutte le innovazioni, sotto il profilo dell'analisi sintetica dei dati che provengono dal contribuente verso l'Agenzia delle entrate, in tutti questi anni hanno avuto un discreto successo, innanzitutto, poiché vi è stata la piena collaborazione degli operatori tributari, i quali hanno adeguatamente supportato l'azione che il Governo dovrebbe svolgere nei confronti dei contributi.
Tuttavia, sovraccaricando il sistema di analisi, controlli, intrecci e quant'altro, vi ritroverete nell'impossibilità materiale di gestire tutta questa massa di dati che porteranno esclusivamente a concentrare l'azione su casi sporadici, su piccole parti dell'intero comparto.
D'altra parte, ci sembra ovvio rilevare che il vostro obiettivo è quello di fare terrorismo psicologico. Voi pensate - e ciò si evince dalle norme che affastellate nei vari provvedimenti - che, attuando un po' di terrorismo, si costringa il contribuente infedele ad aderire alle vostre richieste.
Questa operazione è resa tanto più evidente dal fatto che, in questo provvedimento, prevedete addirittura il riordino complessivo della macchina del Ministero delle finanze. Dove volete arrivare? Pensate veramente che, mettendo insieme l'Agenzia delle entrate, l'Agenzia delle dogane, il comparto delle accise e dei tabacchi all'interno della Agenzia delle entrate, potrete veramente migliorare la macchina? Intanto, questo percorso, che intendete realizzare in maniera accelerata - magari l'anno prossimo -, richiederà del tempo per mettere insieme un'organizzazione capace di attuare veramente una lotta all'evasione. Potreste ristrutturare, mettere mano a qualche dirigenza, a qualche comparto, ma per realizzare un'operazione del genere ci vogliono anni e voi il tempo non lo avete, perché nel frattempo le agenzie internazionali vi danno qualche suggerimento, degradando il livello del nostro debito.
L'operazione del riordino, che state difendendo e che dovrebbe portare, tra l'altro, anche alla riunificazione dell'Agenzia del demanio con il territorio - cosa che noi avevamo già sostenuto nella prima fase, attraverso il nostro collega Frattini (io stesso sono intervenuto in Commissione finanze) -, potrebbe produrre risultati, ma occorrerebbe rivedere l'impianto complessivo delle agenzie, soprattutto in considerazione del fatto che, da una parte, abbiamo un'agenzia mentre, dall'altra, abbiamo un altro tipo di organizzazione rappresentata dal demanio.
D'altronde, sapete bene che tutto ciò che si muove intorno alla revisione degli estimi catastali e alla valorizzazione deiPag. 37beni dello Stato, è difficile da gestire; ne abbiamo visto le implicazioni, soprattutto nella scorsa legislatura, quando abbiamo tentato di realizzare le cartolarizzazioni.
Un altro punto importante, che mette in luce ancora di più il vostro approccio al problema fiscale, è rappresentato dall'articolo 2, nel quale viene trattato l'argomento della riscossione.
Il progetto di riscossione, che abbiamo portato avanti nella scorsa legislatura e che ha fatto confluire in un'unica società di proprietà dello Stato le molte concessionarie sparse su tutto il territorio nazionale, è stato avviato il 1o ottobre e richiede un'integrazione di sistemi informatici e, soprattutto, una valorizzazione delle professionalità esistenti nel comparto della riscossione.
In tutto ciò vi è un problema: all'interno delle società concessionarie della riscossione, vi erano persone capaci ed esperte del settore, ma vi erano anche moltissimi soggetti che erano stati scaricati dalle banche in questo settore, che era alimentato dallo Stato e che praticamente non portava nulla nelle casse del medesimo Stato.
Siamo arrivati al paradosso che, a fronte di tutta la massa degli accertamenti, non si riusciva mai ad incassare più del 2-3 per cento, mentre i costi dello Stato erano vicini al 2 per cento. Il che significava che tutto l'accertato, tutto il riscosso, escludeva qualsiasi incasso.
Quando voi intendete aumentare la capacità degli agenti di riscossione e, addirittura, prevedete la possibilità per questi agenti di operare ispezioni nelle case della gente, dimenticate che gli agenti di riscossione sono ex bancari, gente assunta con un contratto privato e non dipendenti pubblici, non hanno superato un concorso per entrare nella pubblica amministrazione e non possono fare verifiche in casa della gente. Si tratta di una scelta assolutamente devastante.
Sottosegretario Sartor, voi non vi rendete conto - mi spiace che il Garante per la privacy intervenga sempre ex post in questi casi - che in zone del nostro paese purtroppo soggette a problemi derivanti dalla malavita organizzata c'è gente che lavora onestamente e trasferisce i propri guadagni in altre zone d'Italia perché non vuole far sapere che cosa ha in banca, in quanto rischierebbe per sé e per la propria famiglia. Quando voi pensate di svolgere questi controlli «occhiuti» per vedere che cosa abbia depositato un cittadino nella propria banca e come guadagni i soldi che alimentano il proprio conto corrente, dimenticate che i sistemi informatici del nostro paese sono alla mercé di tutti, in quanto chiunque può entrare in un sistema centralizzato! Oggi siamo arrivati al paradosso che, siccome a Milano esiste una società che centralizza tutti i movimenti delle carte di credito di tutta Italia, se qualcuno entra in quel sistema - ed è possibile farlo - riesce a sapere tutto di una persona: che cosa fa, come vive, dove e che cosa acquista. Voi continuate a parlare di integrazione del sistema dell'anagrafe tributaria, di verifiche incrociate tra diversi sistemi. Posso anche convenire che ciò possa servire ad una analisi dei flussi finanziari dei diversi contribuenti; tuttavia, si alimenta un mercato parallelo di informazioni, come abbiamo visto nello scandalo Telecom, che possono essere utilizzate per altre finalità. State attenti, perché anche nel vostro sistema dell'anagrafe tributaria vi sono varchi in cui chiunque si può «infilare»!
Avete previsto l'aggiornamento catastale degli immobili rurali. Su tale misura avete inscenato un mercatino con gli enti locali; dopo aver previsto che tutti gli introiti provenienti dagli aggiornamenti dei catasti venissero presi in carico dallo Stato, anche attraverso una riduzione dei trasferimenti erariali a favore dei comuni, improvvisamente avete fatto marcia indietro, stabilendo che il maggior introito sarebbe stato trasferito ai comuni. Voi sapevate di aver sottostimato all'interno del documento l'effetto dei saldi e l'operazione! Pertanto agli enti locali non avete dato niente, perché avevate già previsto questo tipo di uscita! Prendete in giro anche i vostri, e questo è veramente singolare!Pag. 38
Nel provvedimento sono inserite altre misure che noi non possiamo accettare. L'inversione di rotta rispetto all'imposta di successione corrisponde all'approccio del viceministro Visco all'argomento fiscale. Voi potreste dire che in campagna elettorale avevate annunciato che tale misura avrebbe riguardato esclusivamente i grandi patrimoni.
Tuttavia, questa operazione sostanzialmente non rende nulla.
In Commissione avete fortunatamente raccolto una nostra proposta emendamentiva che in qualche modo «aggiusta il tiro» perché ripartisce il patrimonio fra i vari eredi in maniera da considerarlo pro capite. Il presidente Duilio afferma che già era così, ma è meglio specificare, considerando che non si può mai sapere. Detto questo, avevate coperto questo differenziale con le agevolazioni concesse per la rottamazione delle auto. Una volta tolta questa copertura, è evidente, se si fanno bene i conti e considerando che la seconda parte dell'emendamento in sostanza non fa che aumentare talune spese senza coprire alcunché, che avevate considerato il fatto che l'imposta di successione non avrebbe reso assolutamente nulla. Lo sapete: i proprietari dei grandi patrimoni hanno mille modi per evitare di pagare l'imposta di successione. Vi accanite nei confronti di persone che hanno lavorato una vita per guadagnare qualcosa, per togliere loro e ai loro figli «quattro ciappette» (come si direbbe da noi). Cosa è, questo, se non un accanimento forte ed ideologizzato nei confronti del contribuente?
Come vedremo negli sviluppi della legge finanziaria, avete aumentato l'intera partita delle tassazioni catastali ed ipotecarie. Ma per fare cosa? Continuate a parlare di curva IRPEF come se questa fosse una variante indipendente rispetto al complesso delle norme contenute nella legge finanziaria e nel provvedimento collegato. Invece, si annullerà l'effetto di vantaggio che avreste voluto realizzare per i piccoli contribuenti. Infatti, questi ultimi saranno tartassati con vari balzelli, aumentati ad ogni livello, che annulleranno completamente l'effetto migliorativo previsto per i redditi medio-bassi. D'altra parte, con la vostra visione del bilancio pubblico, concedere agli enti locali la possibilità di incrementare la tassazione a livello locale per tenere in equilibrio i bilanci non farà che scaricarsi su tutti i contribuenti, soprattutto su quelli delle fasce medio-basse.
Di tali questioni si parlerà più approfonditamente durante il dibattito sulla legge finanziaria. Vorrei quindi «scivolare» sugli altri articoli per concedere ai colleghi che hanno chiesto di intervenire la possibilità di farlo. Tuttavia, mi preme intervenire su un aspetto affrontato durante il dibattito su questo provvedimento, ovvero quello relativo alla dirigenza pubblica. Signor sottosegretario, chiamate le cose con il loro nome! All'articolo 41 è stata prevista una norma che vi dà la possibilità di spazzare via in maniera veloce, rapida ed indolore l'intera dirigenza ricompresa nei commi 5-bis e 6. Si tratta di un meccanismo previsto da Bassanini e di cui lo stesso autore pare oggi si penta amaramente. Avete dato l'opportunità ai ministri di rinnovare o meno entro 60 giorni - e con questo sistema naturalmente già ai primi di dicembre vi si potrà mettere mano - tutta la dirigenza pubblica, riferibile ai commi 5-bis e 6, ovvero i vertici delle agenzie.
In particolare, credo vi stia a cuore sistemare la questione dell'Agenzia fiscale con la sostituzione dell'attuale direttore con uno più vicino alla vostra parte politica (è un revival di qualche anno fa!). Nel frattempo, avete inserito nel disegno di legge finanziaria una norma che prevedeva la riduzione del 10 per cento dei dirigenti generali e del 5 per cento di quelli di seconda fascia. Abbiamo presentato un emendamento che cerca di attualizzare la norma già prevista nel disegno di legge finanziaria, ma vorrei che voi prendeste in seria considerazione la riforma dell'intera macchina dello Stato.
Sottosegretario Sartor, il declassamento del nostro paese parte da un presupposto: avevate preannunziato che avreste lavorato sul piano della riduzione della spesa. In realtà, non lo avete fatto: dovevatePag. 39prevedere un intervento correttivo, per il quale sarebbero sicuramente bastati 14 miliardi di euro. Vi siete, invece, incartati con una finanziaria di cui non vi era probabilmente bisogno, mettendo insieme, se non ricordo male, 24 diversi fondi, distribuiti qua e là tra i vari ministeri, che fanno lievitare il livello della manovra di quasi 13 miliardi di euro.
Voi lo chiamate sviluppo, ma è evidente che non lo è! Avete ripartito risorse per dare una dimensione a ministeri che vi siete dovuti inventare nello spacchettamento avvenuto questa estate.
Credo sia per queste ragioni che le agenzie di rating internazionale hanno bocciato la vostra finanziaria: avevate promesso di intervenire in settori importanti, quali la sanità, le pensioni, il pubblico impiego, gli enti locali. Non lo avete fatto! Non siete stati sufficientemente coerenti con l'impianto!
Ci avete proposto un DPEF che sembrava una cosa innovativa, assolutamente rivoluzionaria e, adesso, state pensando addirittura di dare l'opportunità ai ministri di spostare, all'interno dei capitoli di bilancio, le risorse autorizzate da leggi previgenti.
Voi presenterete alla Camera un emendamento di questo tipo che vi attribuisce la possibilità di cancellare le decisioni del Parlamento. Se voi ritenete che il Parlamento sia un impiccio, ditecelo con chiarezza! Staremo a casa! Se ritenete che siamo qui solo per dare fastidio all'azione del Governo e se pensate che, in un colpo di spugna, per cercare di aggiustare i vostri conti interni, vi sia la necessità di attribuirvi l'opportunità di cancellare il lavoro che si è sviluppato negli anni in questo Parlamento, abbiate perlomeno la correttezza di dircelo! Ne prenderemo atto e diremo al paese che cosa sta accadendo!
PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14,30.
La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 14,30.