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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1750)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi in sede di discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Turci. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TURCI. Signor Presidente, che dire specificatamente di questo provvedimento di cui oggi abbiamo avviato in Assemblea la discussione sulle linee generali?
In sede di Commissioni riunite V e VI abbiamo svolto un lavoro che valuto sicuramente in termini positivi. Alcune delle modifiche introdotte sono state già ricordate dai relatori. Tra queste, ricordo l'imposta sulle successioni, che è stata riportata a quel profilo delineato nel programma presentato dal centrosinistra nella recente campagna elettorale, correggendone, rispetto alla previsione iniziale, l'impostazione. Si trattava, infatti, di un'impostazione errata e, in qualche modo, irritante e un po' furbesca. Era errata perché, da un lato, autorevoli esponenti del Governo sostenevano che si era cassata l'imposta di successione, mentre, dall'altro, essa veniva riproposta in forme improprie e meno chiare e, come tale, meno comprensibili per l'opinione pubblica. Tale imposta, così come riproposta,Pag. 40riguarderà solo i grandi patrimoni e, in questo senso, la difendo. Non riesco ad accettare una pregiudiziale in sé contro l'imposta di successione. Ricordo che questa è un'imposta che viene dalla storia liberale e che tra i paesi meno sviluppati quelli che non prevedono un'imposta di successione si contano sulle dita di una mano.
Non comprendo, quindi, perché il centrodestra continui ideologicamente ad essere contro il principio stesso dell'esistenza dell'imposta di successione. Sicuramente, il modo in cui essa era prevista nel decreto-legge non era corretto e ciò fa parte di una serie di errori di comunicazione, anche molto pesanti, su cui tornerò alla fine del mio intervento, che peraltro riguardavano anche un'altra misura che abbiamo corretto in questo provvedimento. Faccio riferimento allo scontrino fiscale. Non c'è dubbio che tale misura nella sua prima impostazione sembrava avere un carattere prettamente terroristico; non capisco a chi, ad iniziare dal viceministro Visco, possa giovare un'impostazione tale da poter essere interpretata in termini di terrorismo fiscale. Come detto, tale impostazione è stata corretta ed è stato quindi svolto anche in questo caso un lavoro positivo.
Abbiamo l'esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per le auto euro 4 e euro 5. Le risorse derivanti dalla mancata esenzione le abbiamo destinate ai trasporti pubblici.
Abbiamo, inoltre, soppresso l'articolo 32 del provvedimento, che avrebbe messo in crisi tutti i blog e buona parte del sistema di informazione via Internet. Non si comprende come si sia potuto concepire una disposizione secondo la quale, a fronte di qualunque articolo circolato via Internet o via radio, chi avesse citato quell'articolo avrebbe dovuto cercare il giornale, l'editore o magari l'autore per pagargli le spese relative all'utilizzo.
Una delle parti più significative di questo provvedimento è l'articolo 12, relativo alle autostrade. Il problema, deve essere chiaro, non è rappresentato dalla fusione Autostrade-Abertis. A questo proposito, ricordo che, commentando il progetto di fusione, un ex autorevole manager di Autostrade Spa ha sostenuto che in questo modo le autostrade sarebbero state «munte» dagli spagnoli. Il verbo non mi pare particolarmente elegante, ma credo sia significativo. Il problema è di evitare che si compia un'azione di «mungitura» delle autostrade, di qualunque infrastruttura pubblica, sia essa realizzata da un imprenditore italiano o spagnolo o di altro paese.
Il problema, in sostanza, è come ridurre quella che sicuramente si è realizzata in questi anni, vale a dire una rendita da monopolio relativa alla gestione delle autostrade, derivante non da una cattiva condotta del concessionario, ma da un'insufficiente ed erronea impostazione della concessione stipulata, a suo tempo, dal Governo che decise la privatizzazione delle autostrade; una concessione che non aveva calibrato bene i parametri, né aveva definito un sistema di verifica e di controllo adeguato, una concessione sulla quale nel 2004 è intervenuto anche un vulnus istituzionale.
Almeno i colleghi del centrodestra, che oggi rinfacciano al Governo di ricorrere al decreto-legge, quindi ad un atto legislativo, per modificare le concessioni in essere, dovrebbero ricordare che nel 2004, con un emendamento al decreto-legge cosiddetto «mille proroghe» (vi lascio immaginare cosa siano le leggi «mille proroghe»), inserirono una modifica alla concessione in essere. Ma in quel caso la modifica era a favore del concessionario, mentre questa volta, per legge, si interviene con una modifica che sicuramente non andrebbe a favore del concessionario.
Dunque, se parliamo di un vulnus istituzionale, ricordiamoci che è stato operato già nel 2004 dal Governo, perché il CIPE non se la sentiva di approvare l'atto aggiuntivo, così com'era stato proposto. Si bypassò il CIPE, si bypassò l'organo tecnico interno al CIPE e si presentò rapidamente un emendamento in Parlamento.
Ora, quello che emerge non è un capriccio del ministro Di Pietro. Si tratta di modificare - possibilmente nelle forme giuste e corrette - una concessione che èPag. 41stata mal strutturata, sicuramente troppo generosa, affidata, per di più, ad un organo di controllo totalmente inaffidabile, ovvero l'ANAS. L'ANAS è inaffidabile come organo di controllo e questo nodo Di Pietro non lo risolve neanche nel disegno di legge finanziaria, perché l'ANAS è insieme organo di gestione ed organo di vigilanza.
A nostro avviso, quindi, bisogna istituire un'authority sui trasporti e sulle infrastrutture che svolga bene, come fanno altre authority, il proprio mestiere nei confronti di determinate aree che necessitano di vigilanza, nell'interesse pubblico e nell'interesse degli utenti.
L'ANAS, invece, ha svolto male questa funzione. Inoltre, in questi anni la sua gestione è stata molto opaca; non era certo il miglior contraltare dei gestori delle società autostradali.
Ora, oltre a creare un'authority, bisogna modificare la concessione e rendere più trasparente il sistema della concorrenza, dato il peso enorme che i lavori autostradali hanno nel bilancio complessivo dei lavori pubblici che si svolgono annualmente in questo paese.
Bisogna cambiare il meccanismo degli utili straordinari legati alla non contemporaneità tra investimenti ed aumenti tariffari legati al finanziamento degli investimenti, fenomeno che si è determinato pesantemente in questi anni. Bisogna rivedere il rapporto tra tariffe e previsioni di traffico, perché tutte le previsioni che sono alla base delle concessioni sono più basse della concreta crescita dei flussi di traffico che si sono realizzati in questi anni.
A tutti coloro che fanno un'opposizione di principio a questo provvedimento vorrei dire che, quando abbiamo convertito il decreto-legge del luglio scorso sulle liberalizzazioni, avete accusato noi del centrosinistra di prendercela con i piccoli e di aver paura di affrontare la questione della liberalizzazione e della tutela dei consumatori con i grossi. Bene, a questo punto, vorrei che i nostri critici del centrodestra fossero coerenti. In questo momento, vogliamo cambiare le condizioni per cui si determina una rendita da monopolio da parte dei grandi operatori, non da parte dei tassisti né da parte dei farmacisti. Ma la battaglia ha lo stesso significato.
Com'è possibile che chi ci ha rivolto un rimprovero di questo genere qualche mese fa, oggi si dimentichi di quel rimprovero e ci accusi improvvisamente di sovvertire l'ordinamento costituzionale e quant'altro? È legittima invece la domanda: si poteva seguire un'altra strada, invece di una modifica per via legislativa, che non è l'ideale, anche se ho ricordato il precedente del 2004? Dico che forse si poteva seguire un'altra strada, sicuramente - voglio essere molto chiaro - con uno stile un po' meno ruspante di quello del ministro Di Pietro, che si comporta, anche da ministro, come un procuratore d'assalto. Con un rapporto più flessibile, e tuttavia fermo, nei confronti dei concessionari, si sarebbe potuto arrivare ad una trattativa stringente, che riducesse l'eccessivo senso di sicurezza dei concessionari, abituati in questi anni a trattare con una controparte inesistente quale l'ANAS, e che riportasse a regole più accettabili il funzionamento di tali concessioni, non solo con Autostrade per l'Italia, ma con l'insieme delle concessionarie autostradali.
Tale tema ci riconduce, appunto, alla questione della authority. Negli ultimi anni si è accentuato tutto il malfunzionamento dei grandi servizi del paese; si pensi agli aeroporti o alle ferrovie. Siamo tutti utenti dei treni. Non vi è ormai giorno in cui io, arrivando o partendo da Roma non mi senta dire, ad un certo punto del viaggio, «ci scusiamo per il ritardo». Chi richiama all'ordine le ferrovie per questi continui ritardi? Non credo che la soluzione sia chiedere il bonus se il ritardo superi un certo limite, o altro. Pensiamo al funzionamento dei porti o dell'Alitalia. In sostanza, pongo al Governo una domanda precisa: come intende affrontare questo insieme di comparti? Credo che, oltre all'esigenza di finanziamenti che, in parte, il disegno di legge finanziaria cerca di affrontare, con il provvedimento che esamineremo la prossima settimana, vi siaPag. 42comunque un problema anche di regole e di un soggetto che le faccia rispettare.
Questo provvedimento si inserisce nella complessiva manovra di finanza pubblica, che ha preso le mosse dal DPEF, ha visto una parziale attuazione nel decreto-legge di luglio, poi con questo provvedimento e successivamente con la legge finanziaria e con i provvedimenti collegati, dovrebbe trovare compiuta attuazione. Di tale manovra finanziaria vogliamo ricordare il dato sicuramente positivo. Con questa manovra finanziaria si portano al sicuro i conti pubblici e ciò va ricordato soprattutto ai nostri oppositori del centrodestra, perché stiamo scontando un'eredità pesante. Non voglio dire che il rating che ci è stato attribuito ieri da due agenzie internazionali sia tutto correlato all'eredità del centrodestra, perché poi non è nemmeno vero, basta leggere i commenti - accettabili o no - che tali agenzie fanno. Si tratta purtuttavia di un'eredità pesante e bisogna dare atto che la manovra, sotto la guida di Padoa Schioppa, su questo punto - scusate la ripetizione di parole - pone un punto fermo.
Detto ciò, non posso nascondervi che noi della Rosa nel Pugno siamo abbastanza insoddisfatti dell'insieme di questa manovra, anche se naturalmente non faremo venir meno la nostra fiducia al Governo, né il nostro voto finale favorevole, ma presenteremo, soprattutto al disegno di legge finanziaria, una serie di emendamenti per cercare almeno di raddrizzarne o correggerne alcune parti, come abbiamo fatto insieme, come maggioranza, su questo provvedimento.
Ho parlato di errori di comunicazione gravi a proposito delle tasse di successione, ma è l'insieme della manovra che sembra sia stata pensata, in termini di comunicazione, dall'opposizione e non dalla maggioranza. Si è cominciato, e ciò non è colpa del Governo, con quel manifesto vagamente sovietista di Rifondazione Comunista che voleva far piangere i poveri, roba che sta a metà tra il pauperismo di certi romanzi dell'Ottocento e il revival di ideologia paleo-comunista!
PRESIDENTE. La citazione non era precisa: voleva far piangere i ricchi, non i poveri!
LANFRANCO TURCI. Cosa ho detto? Voleva far piangere i ricchi...
PRESIDENTE. No, onorevole Turci, lei ha detto che voleva far piangere i poveri.
LANFRANCO TURCI. Ah, no, è chiaro...
PRESIDENTE. Questa è la testimonianza che il presidente la sta ascoltando.
LANFRANCO TURCI. La ringrazio molto, signor Presidente, anche perché era chiaro il senso, ma avevo detto l'opposto di ciò che intendevo.
Oltre quel manifesto - dicevo - vi è stata e vi è questa confusa manovra sull'IRPEF, con tutto un dibattito che si è innescato su dove sia la soglia dei ceti medi o su chi siano i ricchi nel paese. Ho letto alcuni giornali del centrosinistra che hanno fatto la statistica media dei contribuenti ed hanno fissato l'«asticella» a metà: dove vi è il 50 per cento lì vi è il ceto medio, oltre vi sono i ricchi. Si tratta di esercitazioni fuori dalla politica, senza senso della stessa politica e senza senso di come è fatta la società italiana di oggi: è la fatidica soglia dei 70 mila? Quella, più bassa, dei 40 mila?
Credo che questo dibattito abbia nuociuto fortemente e dobbiamo metterlo nel conto per capire i dati pubblicati ieri sui giornali circa la perdita di consenso del Governo e della maggioranza; così come dobbiamo mettere nel conto la confusione determinatasi nell'opinione pubblica circa l'effetto concreto della revisione degli scaglioni e delle aliquote. Tutti si sentono colpiti, anche coloro che hanno qualcosa da guadagnare, forse per difficoltà di informazione o per la confusione o per il fatto che non tutte le interpretazioni sono coerenti. L'effetto complessivo, in termini di comunicazione, è che abbiamo spaventato o messo in preoccupazione la grande maggioranza degli italiani.Pag. 43
Formulo allora una domanda: siamo sicuri che fosse necessario inserire la manovra dell'IRPEF nella finanziaria? Non è solo una questione di comunicazione. Manovre come questa si fanno anticipandole con un dibattito pubblico, con la pubblicazione di un libro bianco che precedentemente avvii una discussione ampia, consenta di confrontare le ipotesi e di far percepire, con nettezza, ai cittadini i termini della questione che si sta discutendo e che non si risolvono con un tavolo composto da qualificati tecnici della politica fiscale e con operazioni di stampo illuministico. Invece, questa è stata l'operazione.
Noi stessi componenti della maggioranza ci siamo trovati a dover reinterpretare le tabelle e gli scaglioni e noi, che siamo deputati, abbiamo impiegato molto tempo e non sono ancora sicuro di aver capito bene. Se leggo le lettere che mi arrivano quotidianamente via e-mail con la casistica di contribuenti che guadagnano 30 o 40 mila euro e mi raccontano le loro vicende, dubito che noi stessi abbiamo compreso bene gli effetti di un'operazione, che non si può realizzare dalla sera alla mattina.
Forse la manovra IRPEF non era così necessaria. Mi si risponde che vi era la questione del cuneo fiscale. Sottosegretario Sartor, il cuneo fiscale, per come ne abbiamo parlato in campagna elettorale, non si era detto che si realizzava parte via IRPEF e parte via IRAP. Si era parlato di cuneo fiscale, di riduzione dei contributi sulla busta paga dei lavoratori e sulla parte a carico degli imprenditori. Può darsi che tecnicamente sia più efficace la soluzione IRPEF più IRAP, ma qual è l'effetto politico? Siamo parte di un organo politico e parliamo all'opinione pubblica ed agli elettori e, in ultima istanza, le vere agenzie di rating che ci danno il voto non sono tanto Moody's o Fitch, ma gli elettori.
Infine, per esaurire la questione del piano comunicativo, aggiungo la «storia» dei SUV. Non ho nulla a difesa dei SUV, ma se si mette questa proposta in fila con le altre si vede che si è sempre dentro un certo tipo di lettura, una lettura pauperistica, quasi da invidia sociale. Questo messaggio non parla neanche alla metà dei nostri elettori, per non considerare quelli del centrodestra! Stiamo comunicando con una minoranza dell'elettorato italiano. Ci rendiamo conto di ciò? Vi è qualcuno al Governo che tira le fila del ragionamento e cerca di vedere come correggere l'operazione?
In questo contesto si colloca la giusta battaglia contro l'evasione fiscale. Dopo cinque anni in cui condoni e le altre manovre inventate da Tremonti con la sua eccezionale fantasia ed intelligenza hanno «scassato» il sistema fiscale ed ogni rapporto di credibilità tra l'amministrazione finanziaria ed i contribuenti, bisognava sicuramente mettervi mano, anche perché lì vi sono le risorse da trovare per aggiustare i conti pubblici, e non fra coloro che già denunciano 70 mila euro al fisco sull'IRPEF perché non possono fare altrimenti. Con l'IRPEF stiamo toccando un ceto medio composto da lavoratori dipendenti e dirigenti medio-alti e non stiamo toccando il gioielliere o altre figure di operatori, come dimostrano quelle «simpatiche» statistiche su quanto versano alcune categorie di cittadini italiani.
La lotta all'evasione è giusta, ma - bisogna fare attenzione - non la si fa con i proclami e neanche esaltando la domenica, su tutti i giornali, i 55 strumenti che abbiamo elaborato per snidare gli evasori. La lotta all'evasione è meglio realizzarla con meno proclami e, soprattutto, evitando di diffondere un senso di allarme terroristico tra la gente. Può darsi che questi 55 strumenti siano tutti giustificati, ma i commenti che ascolto, anche dalle associazioni delle piccole imprese, dagli artigiani ai commercianti anche della mia terra, della mia provincia, della mia regione, mi dicono che forse vi è un surplus di strumentazione informatica e di altro genere. Stiamo attenti a non far spendere ai contribuenti in informatica ed in carta più di quanto non ci debbano dare concretamente in denaro.
Ma al di là di ciò, anche in questo caso vi è qualcosa che «stona» dal punto diPag. 44vista della comunicazione. La lotta all'evasione è uno strumento giusto e sacrosanto, ma non può diventare l'obiettivo centrale di questa legge finanziaria. La visione essenziale di quest'ultima non è così chiara. In altri momenti abbiamo avuto l'entrata nell'euro, in altri l'obiettivo del Governo Amato di salvare l'Italia dalla bancarotta, ma non possiamo dire adesso che la missione principale di questa legge finanziaria sia la lotta all'evasione fiscale. Tuttavia, ribadisco che essa va fatta, tanto per non lasciare alcun equivoco a questo proposito.
Infine, non v'è dubbio che pesa sul giudizio non entusiasmante delle agenzie di rating anche la scelta di aver rinviato ad un secondo tempo alcune misure strutturali. La decisione di aprire il tavolo delle pensioni e della riforma della pubblica amministrazione a gennaio - speriamo che non slitti - secondo me è stata un errore politico. Si è pensato in questo modo di ridurre l'area di possibile dissenso verso la legge finanziaria, ma stiamo attenti che non basta avere il consenso - pur importante - dei sindacati per avere quello della maggioranza del paese. Purtroppo, se da un lato è certo che alcune di queste misure bisogna discuterle con i sindacati, dall'altro toccherà al Governo e al Parlamento deciderle.
Davvero nemmeno una finestra poteva essere chiusa quest'anno con riferimento alle pensioni di anzianità? Inoltre, sulla riforma della pubblica amministrazione erano state scritte cose importanti nel DPEF. Il ministro Nicolais ha reso dichiarazioni molto impegnative in varie occasioni, ma io ho trovato in questo decreto-legge un articolo 43 molto generico, dove si dispone che il ministro presenterà un piano per l'efficienza dei servizi e il controllo di qualità degli stessi, che di per sé è poco; spero pertanto che si stia preparando qualcosa di molto più pregnante.
Tuttavia - domando - quando cominceremo ad applicare criteri di vera meritocrazia nella gestione della cosa pubblica e soprattutto nella pubblica amministrazione? Ho l'impressione che il messaggio che si diffonda tra sanatorie, infornate di precari e tutto il resto sia di tipo lassista. Ci illudiamo in tal modo di avere il consenso, quando nemmeno i beneficiari di questo lassismo ci applaudono, mentre invece i piccoli imprenditori cui chiediamo di cominciare a rispettare gli studi di settore ci tacciano di voler ingrassare gli insegnanti. Poveri insegnanti, non ingrassa proprio nessuno con i loro stipendi! Io vorrei applicare piuttosto il «metodo Ichino», il quale afferma che coloro che non sono capaci o che non hanno voglia di lavorare devono andare fuori. Invece, c'è ben poco Ichino in questi provvedimenti, anzi questo è un nome quasi impronunciabile nella cultura media di questo centrosinistra e temo anche nell'impostazione di questo Governo.
Complessivamente - e termino - occorre vedere se, mentre cominceremo l'esame della legge finanziaria, saremo in grado in qualche modo di apportare correzioni di rotta e di tiro. Nell'insieme, il messaggio che oggi esce dalla legge finanziaria è insoddisfacente: troppo spazio alle manovre fiscali, troppa continuità lassista nella pubblica amministrazione, troppe deleghe ai sindacati.
Attenzione, se non riusciremo a correggere in qualche modo la rotta sia nella legge finanziaria sia in quello che dovremo fare subito dopo, all'inizio del prossimo anno, correremo dei rischi veramente seri. E badate che questi sono rischi veri, non quelli del giudizio delle agenzie di rating da cui abbiamo ricevuto il voto di ieri (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.
LAURA RAVETTO. Signor Presidente e colleghi, prima di entrare nel merito della discussione di questo decreto, desidero replicare a quel collega dell'Udeur, ora non più presente, che ha affermato che l'abbassamento del rating per l'Italia è di fatto basato su un giudizio del precedente Governo, il Governo Berlusconi. È chiaro che questa è una mistificazione, un'irrealtàPag. 45sia per motivi di natura tecnica sia per motivi di logica.
Infatti, motivi di natura tecnica ci fanno osservare che agenzie come Standard & Poor's non si muovono con i tempi della burocrazia e quindi non danno un giudizio a sei mesi dagli eventi, bensì valutano ed analizzano il mercato giorno per giorno. Dunque, è chiaro che la decisione è stata presa proprio sulla base dell'andamento di questi cinque mesi del Governo Prodi. In ogni caso, ciò è stato anche espressamente affermato da queste agenzie, che hanno totalmente bocciato la manovra di questo Governo per il 2007; vado a leggere quanto dichiarato sulla stampa oggi. Standard & Poor's, nel bocciare la manovra finanziaria, si è espressa in questi termini: sono state tradite le attese suscitate dal Documento di programmazione economico-finanziaria; è dubbio il gettito derivante dalla lotta all'evasione; la misura relativa al TFR è, di fatto, un indebitamento mascherato; risulta insufficiente il freno alle spese. Non capisco, quindi, come in questa sede possano essere pronunciate certe affermazioni!
Tornando al decreto-legge in esame, invece, sappiamo, come hanno già rilevato altri colleghi, che si tratta di una «manovra nella manovra». Si tratta, infatti, di un decreto che, secondo la relazione tecnica predisposta dalla Ragioneria generale dello Stato, dovrebbe garantire alle casse dello Stato, in termini di saldo netto da finanziare, maggiori entrate per 6,7 miliardi di euro nel 2007 e per 6,8 miliardi sia nel 2008, sia nel 2009. Inoltre, considerando gli effetti sull'indebitamento netto, le maggiori entrate ammonterebbero a 4 miliardi di euro.
Tali maggiori entrate, secondo il testo del decreto-legge in esame, dovrebbero derivare da questa «corposa» attività di contrasto all'evasione fiscale. Ebbene, sappiamo che la lotta all'evasione può essere efficacemente condotta non introducendo sistemi di controllo a dir poco iniqui (come previsto dal provvedimento), bensì ripristinando un rapporto di fiducia con il contribuente, abbassando successivamente la pressione fiscale ed ampliando, al contempo, lo spettro delle detrazioni, in modo da far eventualmente emergere redditi che sfuggono al fisco.
Analizzando il testo in esame, credo che un aumento del gettito tributario potrà derivare non da tale attività, ma, in realtà, dalla tassazione diffusa ed iniqua di cui hanno già parlato i colleghi precedentemente intervenuti, la quale è facilmente rinvenibile nelle disposizioni recate dal presente decreto-legge.
Non intendo soffermarmi sul merito del provvedimento, poiché non rappresenta null'altro che una maggiore imposizione fiscale. Noi contestiamo tale impostazione, ed a tal fine ricordo che abbiamo presentato alcuni emendamenti soppressivi. Intendo evidenziare, invece, quello che ritengo essere l'aspetto maggiormente critico del decreto stesso, vale a dire la mancanza assoluta di chiarezza in termini sia tecnici, sia politici.
Ho ascoltato la relatrice, onorevole Fincato, osservare che, di fatto, con questo provvedimento si riafferma il senso della legalità. Onestamente, credo invece che il decreto-legge in esame rappresenti un caso di schizofrenia legislativa, nonché di incertezza dei termini e degli effetti, e posso indicare alcuni esempi.
Il primo è di natura prettamente tecnica. Come ho già fatto notare al ministro competente, in sede di audizione in Commissione, ho rilevato, dall'analisi dei prospetti, alcune discrasie; probabilmente, si tratta di una mia interpretazione, ed è questo il motivo per cui ho chiesto chiarimenti. Esistono nel disegno di legge finanziaria, infatti, indicazioni di voci relative al decreto che, di fatto, risultano essere discrasiche e differenti rispetto agli effetti sui saldi indicati nelle voci dello stesso decreto-legge.
Su tale questione ho chiesto delucidazioni al ministro competente ed egli, presone atto, mi ha detto che mi avrebbe risposto in via separata, per iscritto, dopo aver effettuato ulteriori verifiche. Si parla pur sempre di atti vistati, e quindi ritengo importante ottenere spiegazioni al riguardo. Tale risposta, tuttavia, non mi èPag. 46ancora giunta, ed allora approfitto della presenza del sottosegretario di Stato Sartor, che aveva partecipato alla richiamata audizione, per operare un ulteriore sollecito, poiché mi piacerebbe essere smentita.
Ciò per quanto concerne la mancanza di chiarezza sotto il profilo prettamente tecnico. Per quanto riguarda il merito, soprattutto in ordine a quella che ho definito «schizofrenia legislativa», vorrei evidenziare due norme che mi lasciano piuttosto sconcertata e che lasciano perplessi non solo tutti i miei colleghi, ma direi anche tutti gli italiani. La prima è sicuramente la normativa relativa alle successioni, in ordine alla quale ho già sentito intervenire numerosi deputati.
Ricordo che, nel corso della campagna elettorale, abbiamo ascoltato qualcuno affermare che non se ne sarebbe fatto niente, mentre altri hanno sostenuto che si sarebbe ritornati alla soglia vigente prima dell'abolizione voluta dal ministro Tremonti (si tratta della famosa franchigia di 350 milioni di vecchie lire). Ricordo, inoltre, che qualche esponente dell'attuale maggioranza parlava ripetutamente di applicazione dell'imposta di successione ai patrimoni consistenti in milioni di euro.
In campagna elettorale, quindi, abbiamo ascoltato diverse versioni. Successivamente, tuttavia, abbiamo visto che il viceministro Visco ha proposto, utilizzando un'altra terminologia, non la reintroduzione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni, bensì un nuovo regime di imposte ipotecarie, catastali e di registro per i trasferimenti sia mortis causa, sia per atti tra vivi.
Ne abbiamo discusso in Commissione e abbiamo percepito le tensioni all'interno della maggioranza. Grazie all'azione della Casa delle libertà il Governo ha fatto un passo indietro. L'Esecutivo, quindi, oggi ci propone, per mezzo dei relatori sul disegno di legge di conversione, una nuova imposta sulle successioni e sulle donazioni, con una franchigia di un milione di euro per il coniuge e i parenti in linea retta, ed un'aliquota variabile a seconda del rapporto di parentela.
Prendiamo atto di questo passo indietro. Certo, è qualcosa, ma teniamo a sottolineare la nostra contrarietà a questa imposta che, come già è stato detto, è anacronistica e iniqua, perché incide su redditi già tassati. Non ci riferiamo soltanto agli immobili quali la casa, ma, ad esempio, all'impresa familiare.
Questa imposta toccherà anche il trasferimento del cardine della nostra economia. Non si capisce perché si debba tassare il trasferimento di un'impresa (sulla quale sono già state pagate le tasse) dal padre al figlio. Si parla tanto di sostegno ai giovani e ai giovani imprenditori, ma essi, dopo aver concorso alla creazione del patrimonio familiare, si vedono costretti, nell'atto del trasferimento, a pagare delle tasse su quanto da loro costruito. Ciò è abbastanza curioso, visto che, in linea di principio, proclamiamo di voler sostenere il sistema paese, mentre lo attacchiamo al suo cuore: la gioventù e l'imprenditoria.
Indipendentemente da questo, è comunque un disconoscimento di quanto dichiarato da molti esponenti della maggioranza in campagna elettorale, quindi, a nostro avviso, delle promesse elettorali.
Un altro esempio della particolare - oserei dire - presa di posizione del Governo è quello dell'articolo 3, il quale al comma 7 differisce l'applicazione del nuovo regime di determinazione della base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, la cosiddetta no tax area, per i soggetti non residenti. Sappiamo che il comma 22 dell'articolo 36 del cosiddetto decreto Visco-Bersani della scorsa estate, nel modificare il testo unico delle imposte sui redditi, ha stabilito che, per i non residenti, il reddito complessivo del soggetto sul quale si applica l'imposta è costituito soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, mentre nella versione precedentemente vigente venivano considerati anche gli oneri deducibili, le deduzioni per oneri di famiglia e le deduzioni per assicurare la progressività dell'imposizione. Oggi, invece, i nostri emigrati di fatto sono beffati perché sono costretti a non portare più nulla in deduzione. Tuttavia il Governo si è dimostratoPag. 47attento e ha pensato che, forse, doveva rendersi conto, preso atto anche del diffuso malessere che ha generato, che i nostri emigrati votano anche stando all'estero. Quindi, si è corsi ai ripari e si è prevista, al comma 3 dell'articolo 7 di questo decreto-legge, l'applicazione per l'anno 2006 della normativa vigente alla data del 3 luglio 2006.
Per il 2007, cosa intende fare Visco? Saremo deliziati in finanziaria da un ulteriore emendamento di proroga? Sicuramente noi deputati dell'opposizione in qualche modo cercheremo di mettere fine a questo indegno trattamento al quale sono sottoposti i nostri emigrati.
Abbiamo visto parecchi esempi - ce ne sono altri - di passi avanti e di passi indietro, in questi giorni, dovuti anche all'ala fiscalmente più estremista della maggioranza, che esercita una pressione su Prodi, che, di fatto, non riesce a recuperare consenso, ma sempre nella direzione della tassazione iniqua e della «tosatura» dei cittadini.
Questo decreto mi sembra più un groviglio di norme fatte per sparare nel mucchio, una Babele normativa. Davvero non riesco a ravvisare il recupero del senso di legalità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Ravetto, anche perché ella ha ritenuto di rinunciare ad una parte del tempo che aveva a disposizione, immagino anche per dare un buon esempio agli altri colleghi.
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Speriamo che sia virtuoso!
PRESIDENTE. Assolutamente virtuoso, perché è riuscita ad esprimere concetti importanti in tempi concisi.
Tutti i colleghi che ancora devono intervenire si rendono conto che sarebbe bene terminare la seduta entro questa notte. Tale auspicio è condiviso dai relatori. Ricordo, comunque, a tutti i colleghi che è possibile consegnare alla Presidenza il testo scritto del proprio intervento, che verrà pubblicato in calce al resoconto della seduta.
È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, limiterò il mio intervento all'esame e all'analisi di proposte sul decreto fiscale, anche perché, se dovessimo addentrarci in discorsi più ampi, quali gli aspetti della legge finanziaria, la raccomandazione del Presidente cadrebbe nel vuoto, dovendo parlare per molte ore. Non posso però esimermi dall'affrontare le inevitabili interconnessioni tra la legge finanziaria e il decreto-legge al nostro esame.
Di certo, il declassamento ha turbato l'atmosfera dei nostri lavori, impensierisce la minoranza e fa insorgere alcuni dubbi anche nella maggioranza. Voglio però con chiarezza far presente che finora non condivido quanto ho sentito sul declassamento che ha un'origine ben precisa: il grande debito pubblico accumulato dal precedente Governo, dalla precedente gestione politica. Le agenzie hanno però bocciato i rimedi che abbiamo adottato e dicono che non siamo stati capaci di organizzare la finanziaria per il raggiungimento degli obiettivi di risanamento, equità e sviluppo, ma le cause vanno ricercate nella scorsa legislatura.
Ritengo, quindi, che non sia un utile esercizio fare una difesa ad oltranza, quasi partigiana di quello che il Governo ha proposto, ma che sia necessario aiutare questo Governo e questa maggioranza a produrre una legge finanziaria migliore.
Quando si insediò il Governo Prodi, nel mio modestissimo intervento dissi al Governo che la manovra non poteva essere inferiore al 4 per cento e non di certo perché così affermano i manuali di economia politica (quelli lasciamoli perdere, anche se forse ogni tanto andrebbero riletti). Feci presente che il cuneo fiscale serviva ad abbassare la temperatura, ma che, per debellare del tutto la patologia, occorreva una manovra forte e rigorosa. Le società di rating, purtroppo, non hanno apprezzato la nostra finanziaria. Ora, bisogna vedere chi ha ragione: le società di rating, il Governo o la maggioranza. Ritengo,Pag. 48come il buonsenso ci ha insegnato, signor Presidente, che la verità sia nel mezzo. Dobbiamo fare uno sforzo per recuperare molti aspetti della legge finanziaria.
Questo decreto-legge, che ci apprestiamo a convertire in legge, recupera con operazioni algebriche, tra più e meno, 6 miliardi di euro l'anno (6.555 milioni nel 2007, poco più nel 2008, la stessa cifra nel 2009). Ma - attenzione! - non è stato detto (forse, mi è sfuggito) che, grazie a queste misure, vi sarà un progressivo indebitamento dello Stato. Infatti, le accise e le imposte, tra investimenti e nuovo sistema impositivo, devono essere colmate. Allora, vi sarà un indebitamento progressivo per 2.165 milioni di euro nel 2007, per 3.617 milioni di euro nel 2008 e per circa 3.800 milioni di euro nel 2009.
Ciò significa che, nell'approvare questa manovra, che corrobora la legge finanziaria, noi accresciamo il debito pubblico per congiungere il momento del fabbisogno di cassa con quello dell'incasso di queste cifre, tra dare e avere.
Allora, a tal proposito, direi che, per lanciare un segnale, dovremmo recuperare queste risorse. È vero quanto si diceva poc'anzi, da parte di deputati sia della maggioranza che dell'opposizione: il clima nel paese non è sereno.
Leggevo che i senatori francesi, per capire lo stato del paese, si recano nelle fabbriche francesi. Noi deputati italiani, per capire l'Italia, dobbiamo stare in mezzo alla gente ed andare nelle fabbriche italiane. Io ci sono stato: sono, tra virgolette, reduce da una grande assemblea di un sindacato autonomo e sono riuscito a strappare un applauso, dicendo: un deputato della maggioranza viene qui, nella fossa dei leoni come Daniele. E mi hanno applaudito solo per questo. L'atmosfera - credetemi - è molto pesante. Si trattava di un sindacato sicuramente non di sinistra, ma comunque molto rappresentativo del ceto medio e del pensiero di centro.
Dobbiamo tener conto di ciò e qualcuno lo ha detto prima di me. A mio avviso, dobbiamo individuare degli aggiustamenti, in connessione con il disegno di legge finanziaria, anche con il decreto-legge in discussione.
Questo decreto-legge ci porta verso un ulteriore indebitamento. Secondo me, la scelta da fare era diversa: utilizzare non tanto l'insieme dei valori, ma quella parte di valori immediatamente monetizzabili.
Se facciamo la differenza tra il potenziale gettito - quello previsto nel decreto-legge di 6.555 milioni di euro nel 2007 - e la necessità di indebitamento (quindi ciò che manca, pari a oltre 6 mila euro), otteniamo effettivamente un ammontare di 3.165 milioni di euro. In altri termini, questa azione ci costringe ad acquisire risorse attraverso un ulteriore indebitamento con i mezzi che lo Stato di solito usa, come l'emissione di titoli del debito pubblico.
Personalmente, avrei fatto un'altra cosa, e le società di rating lo avrebbero apprezzato. Avrei considerato - ecco le connessioni con la finanziaria - solo il netto, cioè solo quello che riusciamo a portare dentro. È chiaro che, così facendo, avremmo ridotto la capacità. A questo punto non è giusto, ed lo dico anche agli onorevoli colleghi, che si espone la patologia, ma non si dà la cura. Io invece voglio dare la cura; cerco di non invadere il terreno della finanziaria, ma qualche volta è necessario per logicità e completezza del discorso. Ma dove sta scritto, signor sottosegretario Sartor, che io che guadagno - non mi vergogno di dirlo - 150 mila euro, debbo pagare la stessa aliquota che paga il mio collega, onorevole Berlusconi, che guadagna decine di milioni di euro? Non capisco dove sta la progressività prevista dal dettato costituzionale!
Secondo me, se quella valutazione che si è fatta, che prevede come aliquota massima da pagare quella del 43 per cento, è per fare qualcosa di sinistra - perché ci chiedono qualche cosa di sinistra a noi che bene o male la rappresentiamo! -, allora le aliquote devono essere diverse. Dovevamo recuperare nelle fasce alte, per dare veramente qualcosa alle fasce basse, non i 30-40 euro all'anno, che diventano una presa in giro per i lavoratori! Ma cosaPag. 49volete che significhino 30-40 euro per un lavoratore che ha un reddito lordo di 15 mila euro e che non sa come sbarcare il lunario? Avremmo dovuto potare in alto, dove vi sono redditi veramente grandi, sproporzionati, per redistribuire in basso. La nostra redistribuzione, cioè l'equità della manovra, non è percepita.
A molti interlocutori, che attaccano questa maggioranza e il nostro Governo, ho detto: vedremo alla fine. A quel punto dovrete valutarci per quello che faremo, non adesso, perché adesso stiamo lavorando. All'interno della maggioranza c'è una cultura del confronto, della dialettica, della discussione, della maturazione. Non abbiamo un capo che ordina e i sudditi ubbidiscono! Noi abbiamo una cultura della partecipazione e della democrazia ed aiuteremo il Governo a non fare grandi errori.
Per questo la cura, che mi permetto di suggerire al Governo, è di non fare l'errore di cadere nello slogan berlusconiano di «non mettere la mano nella tasca degli italiani», perché noi non dobbiamo mettere le mani nella tasca degli italiani poveri, dei lavoratori che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese! Mettiamole invece nelle tasche dove troviamo milioni di euro, nelle tasche di coloro che si sono arricchiti con i condoni, di coloro che non hanno mai pagato le tasse! Si dovrebbero vergognare questi signori, perché non hanno un filo di solidarietà verso gli altri, quelli che soffrono, quelli che chiedono di poter vivere! Mettiamole in quelle tasche le mani e facciamo qualcosa di sinistra! Non vergogniamoci delle nostre idee e non facciamoci condizionare da una pseudocultura berlusconiana, che non ha una prospettiva, perché non ha contenuti di solidarietà, di serietà, di civiltà!
Allora modifichiamole queste aliquote! Portiamole al 48 per cento per quelli che come me guadagnano 150 mila euro e portiamole al 50 per cento per quelli che guadagnano milioni di euro. Solo così faremo veramente una perequazione sociale per i lavoratori, per la gente, che ci chiede servizi e solidarietà. Battiamo le destre con la nostra capacità di fare una politica seria, per la gente e con la gente! Allora sì che riconquisteremo, caro collega Turci, le persone che oggi ci stanno abbandonando.
È vero, abbiamo un difetto di comunicazione, ma è anche vero che almeno una parte della gente non crede più nel nostro progetto di società più giusta.
Il decreto-legge in esame prevede una serie di addizioni e sottrazioni. Ad esempio, prevede facilitazioni per il riporto delle perdite e stabilisce una correzione retroattiva della trasparenza fiscale per i contributi in franchigia.
Con riferimento alle imprese cooperative, occorre evidenziare che non si vuole capire - e questo è un difetto anche della maggioranza - che l'economia cooperativa, nel 2005, ha salvato il paese dalla recessione, accrescendo l'occupazione (lo dicono i dati ufficiali). In sostanza, nel presente decreto le imprese cooperative agroalimentari sono tassate attraverso la prevista imposta comunale. Signor sottosegretario, ciò è profondamente ingiusto, in quanto non si è compreso veramente quale sia il ruolo dell'impresa cooperativa agricola e agroalimentare. Ad esempio - mi scusi il Presidente Castagnetti se faccio un esempio elementare -, se l'agricoltore si fa il vino da solo (produce l'uva, la trasforma, la mette in bottiglia e la vende), sul suo opificio non paga l'ICI, trattandosi di una struttura agricola. Se invece questo imprenditore agricolo per produrre vino si associa ad altre dieci persone, dandosi una struttura più funzionale e razionale, dovrà pagare l'ICI.
In questo modo, si rinnega il dettato dell'articolo 45 della Costituzione, che costituisce la base della nostra democrazia e della nostra cultura politica. Infatti, tale articolo stabilisce che la cooperazione deve essere incoraggiata, valorizzata e tutelata. Occorre decidere se si vuole rispettare la nostra Carta costituzionale nonché l'ordine del giorno approvato da questo Parlamento e accettato dal Governo, volto a valorizzare la funzione cooperativa, o se la Costituzione è un pezzetto di carta da stracciare o da considerare solo quando ci fa comodo.Pag. 50
Non utilizzerò tutto il tempo a mia disposizione, raccogliendo l'invito rivolto in tal senso dal Presidente Castagnetti, tuttavia - mi rivolgo al sottosegretario Sartor -, il Governo deve fornire garanzie al movimento cooperativo, sia per una questione di giustizia sia per una maggiore funzionalità. Vorrei ricordare che l'economia agricola, nel 2005, ha perso 5 punti di PIL e, nel primo semestre del 2006, sta seguendo la scia dell'anno precedente.
L'unica parte in progresso - una parte rilevante, perché la cooperazione rappresenta il 60 per cento del settore vitivinicolo, il 30 per cento del settore ortofrutticolo o gran parte del settore lattiero-caseario - è rappresentata proprio dalla cooperazione, che riesce a recuperare una parte della perdita del PIL agricolo. Noi non poniamo una questione corporativa, sosteniamo che va premiata la funzionalità e la capacità di dare risposte in termini di sviluppo e di coesione sociale. Le cooperative non delocalizzano, non tollerano il lavoro nero. Parlo di quelle vere, che fanno parte delle centrali cooperative e sono controllate, e non di quelle create da qualche industriale di turno, le cooperative spurie che noi vogliamo chiudere.
Sottosegretario, io credo che questo decreto-legge debba essere rivisto inserendo economie di spesa e debba contenere alcune delle indicazioni provenienti da questa Assemblea. Tuttavia, dobbiamo lavorare insieme. La maggioranza deve lavorare con il Governo, rispettando le indicazioni provenienti dalle minoranze. Dobbiamo configurare una legge che sia quanto più funzionale possibile rispetto all'insieme della manovra finanziaria. È con questa raccomandazione che l'Italia dei Valori sarà sempre e comunque a fianco del Governo e della maggioranza (ma vuole farlo in modo costruttivo, seppure critico, intelligente, seppure funzionale). Il fatto che molte volte il mio gruppo parlamentare si sia distinto non ha danneggiato la maggioranza, anzi io credo che abbia fatto crescere la cultura di Governo. Se fossimo stati ascoltati sull'indulto, se alcune nostre indicazioni fossero state recepite, sicuramente oggi non staremmo a recriminare o a difenderci dagli attacchi, forse anche giusti, provenienti da tante parti del nostro sistema sociale e politico.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Pedrizzi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Giudice, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Filippi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FILIPPI. Signor Presidente, anch'io chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Filippi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Verro. Ne ha facoltà.
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Vorrei rilevare brevemente come questo decreto-legge faccia parte di una manovra, come è stato già detto, basata per due terzi sulle entrate. Il risultato sarà inevitabilmente quello di deprimere l'economia. Al sottosegretario vorrei ricordare che con questa manovra la maggioranza tradisce gli impegni assunti nella campagna elettorale, quando si era impegnata a non aumentare le tasse. Sottosegretario, la vostra scommessa non era quella di non aumentare le tasse ed allargare la platea dei contribuenti? In realtà, vi siete appiattiti sulle posizioni più obsolete dei sindacati, come quella della CGIL, che di fatto finisce per proteggere i simpatizzantiPag. 51e gli iscritti, anziché i poveri. Anche per queste regioni il gruppo di Forza Italia voterà contro questo decreto.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Verro, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Leddi Maiola. Ne ha facoltà. Immagino che sarà fortemente condizionata dal clima creatosi in quest'aula...
MARIA LEDDI MAIOLA. Relativamente, signor Presidente.
PRESIDENTE. Quando si dice: le signore di carattere...! Complimenti, comunque.
MARIA LEDDI MAIOLA. Diciamo che mi adeguo al 50 per cento, nel senso che cercherò di contenere il mio intervento nei limiti minimi necessari. Del resto, provengo da una terra dove un suo motto recita che noi, quando abbiamo finito di dire, taciamo. Quindi, ho una certa, pesante idiosincrasia nei confronti di interventi troppo lunghi e verbosi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento approda in aula dopo una settimana molto intensa nelle Commissioni riunite, riferendomi soltanto agli ultimi giorni. È stata una settimana anche molto istruttiva perché tra tutti i componenti delle Commissioni, soprattutto quelli che hanno l'abitudine di essere sempre presenti e lavorare sui provvedimenti, vi è stato un confronto che ha condotto a notevoli risultati. In questo caso, non credo affatto che il Parlamento abbia derogato alle sue prerogative. Il Parlamento ha esaminato la proposta del Governo, ha ascoltato, si è confrontato ed ha restituito a quest'Assemblea un provvedimento che reca modifiche sostanziali. Questo va detto relativamente alle osservazioni dei colleghi sul fatto di sentirsi depauperati delle proprie prerogative. Si tratta di un caso lampante in cui, facendo adeguatamente la propria parte, il Parlamento restituisce al paese una normativa che terrà conto di tutte le sollecitazioni che sono arrivate e che restituiranno un provvedimento migliorato rispetto a quello varato dal Governo. Vi è bisogno di questo. Si è parlato oggi delle agenzie di rating e dei giudizi che campeggiano su tutte le prime pagine dei giornali. Credo che in proposito faremmo un cattivo servizio a noi stessi se ci rifiutassimo di guardarli. Si tratta infatti di giudizi pesanti e non dobbiamo nasconderci dietro ad un dito. Infatti, se come maggioranza riteniamo di lavarcene le mani affermando che tutto questo è frutto di errori fatti nei cinque anni precedenti dal vecchio Governo, liquidando così il problema, non analizziamo adeguatamente la situazione. D'altra parte, non vale neppure il giudizio dell'opposizione, secondo cui si tratta di un parere fornito da agenzie che analizzano la contingenza e che si tratta della situazione creata dal nuovo esecutivo. Credo invece che si tratti di un adeguato combinato disposto; i cinque anni precedenti hanno oggettivamente portato a numeri ineludibili. Infatti, non stiamo inventando noi che lo sviluppo del paese è assolutamente rallentato ed assai vicino allo zero, che l'avanzo primario è sostanzialmente inaridito e che quindi i conti devono essere riportati in fretta e duramente fuori dalla zona rossa. Non credo che tali circostanze possano essere addebitate a questo Governo.
Forse deve farci riflettere il fatto che quanto posto in essere da questo Governo, in questo momento, come manovra generale per riportare i conti fuori dalla zona rossa, probabilmente è percepito con perplessità. Giustamente, si è affermato che la manovra è articolata e che l'atto oggi in discussione non è risolutivo dei problemi del paese, ma nessun atto in sé può esserlo. Tuttavia, si tratta di una manovra dei cui fondamentali siamo convinti. Sicuramente, c'è bisogno di tenere conto delle cose che, nel dibattito odierno, un po' solitario, che avvia l'esame in aula del provvedimento, sono emerse da parte dellaPag. 52stessa maggioranza, ossia maggiore attenzione ai contenuti del complesso della manovra e maggiore attenzione nel comunicare quanto si sta facendo, perché le cose devono essere, ma anche apparire. Infatti, anche questo fa parte della capacità di incidere.
Vorrei concludere, dicendo che il Parlamento ha fatto la sua parte e credo che tutti, maggioranza e opposizione, possiamo dichiararci soddisfatti. Soprattutto, credo si possa dire che abbiamo raccolto ed esaminato una proposta, restituendola migliorata e più adeguata.
Vorrei aggiungere una considerazione in cui credo profondamente: non credo che questo provvedimento ed il complesso della manovra siano una Babele, come affermava la collega Ravetto. Vi è un disegno da rafforzare, i cui fondamentali, comunque, che sono chiarissimi, condivido assolutamente.
Questa manovra, nel suo complesso, con i provvedimenti che mi auguro entro novembre verranno esaminati, si propone di superare due scogli fondamentali della fase in cui stiamo vivendo: l'iniquità e il declino. Tutti siamo d'accordo in merito a ciò.
Il declino si riscontra nei fatti. Nonostante si avverta una certa ripresa, il nostro paese continua a tenersi a rispettosa distanza da una ripresa che comincia a coinvolgere gli altri paesi a forte industrializzazione. Ciò è assolutamente negativo, perché, se non si riesce a produrre nuovamente ricchezza, non vi sarà niente da ridistribuire per risanare anche le iniquità. Credo, quindi, che una manovra, che voglio immaginare non sia intrisa di sadismo fiscale, ma di rigore fiscale, purtroppo si renda indispensabile ed è corretto vada affrontata nei numeri con cui viene proposta.
D'altra parte - e mi rivolgo al rappresentante del Governo -, abbiamo detto che viaggiamo su una autostrada a tre corsie e le corsie di Padoa Schioppa, a nome del Governo, sono rappresentate certamente dal risanamento e dall'equità.
In particolare, credo che l'equità abbia un'accezione molto più ampia della redistribuzione di risorse. L'equità è anche garantire a tutti parità di condizioni e ciò significa garantire a tutti un paese che funziona: non soltanto risorse diversamente distribuite, ma anche un paese in cui i servizi funzionano, la pubblica amministrazione è all'altezza della situazione e le nostre imprese sono messe nella condizione di essere competitive rispetto a quelle che hanno alle spalle i servizi di un paese che funziona. Anche questo aspetto è equità!
In questo senso, credo sia opportuno spronare noi, per primi, come parlamentari, ma anche il Governo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e La Rosa nel Pugno)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, non posso adeguarmi al clima che si è creato, perché non ho uno scritto organico da consegnare agli atti. Non fosse per i tempi, è un clima da Parlamento europeo, considerate le poche persone presenti. Comunque, non userò tutto il tempo a disposizione.
Prendo lo spunto dalla questione del declassamento del rating. Il sottosegretario sa bene che il problema, in un paese come l'Italia, posto che le agenzie di rating non sono l'oracolo della verità, è serio, ma non solo per il debito pubblico; il declassamento, anche se ovviamente ha come punto di riferimento il debito pubblico, grava su tutti i prestatori privati e sulle aziende che devono emettere i bond, lanciandosi sul mercato internazionale per cercare capitali.
Si tratta, quindi, di un segnale molto pesante, che incide, quali siano le ragioni che hanno spinto le società di rating nella loro decisione, sulla vita economica del paese.
Credo che l'errore capitale che il disegno di legge finanziaria e il decreto-legge ad esso collegato compiono - e francamente mi stupisco che sia stato commesso o, meglio, non mi stupisco che sia stato commesso da questo Governo e da questaPag. 53maggioranza - è quello di cedere nel 2006 ad una manovra finanziaria che ha un'impronta e un'impostazione ideologica vetero-socialista da anni Settanta. Questa non è demagogia o propaganda, ma tale considerazione deriva semplicemente da un'analisi del linguaggio utilizzato. Credo che nella storia della politica europea negli ultimi dieci, quindici o forse anche venti anni, a partire dai paesi scandinavi fino ad arrivare ai governi socialisti francesi - non sto parlando, per capirci, di Tony Blair -, nessuno abbia più giustificato l'idea di intervenire sulla tassazione delle persone fisiche in termini di redistribuzione. Questa idea del fisco alla Robin Hood, che deve prendere ai ricchi per distribuirlo ai poveri, è il segno di una manovra ispirata da un'ideologia peraltro vecchia. Negli altri paesi, pensiamo ad esempio alla Gran Bretagna, se Tony Blair chiede un aumento delle entrate, come è già accaduto con Gordon Brown, non lo chiede in nome della redistribuzione e dell'equità da perseguire attraverso la leva del fisco, ma fa un ragionamento diverso, e cioè chiede soldi nel momento in cui deve realizzare investimenti nei settori della sanità e della scuola; in tal modo, la redistribuzione diventa parità di accesso ai servizi di qualità che possono consentire anche l'utilizzo del cosiddetto ascensore sociale. In Italia, non esiste invece alcun piano di investimenti. Noi potremmo aprire una discussione su quanto intervenire nella scuola con finanziamenti pubblici (io dico molto poco) e quanto con la concorrenza (direi moltissimo). In Italia, però, non siamo giunti, ahimè, a questo tipo di dibattito, ma siamo stati riportati indietro di venti o trent'anni e discutiamo se bisogna tassare e punire la ricchezza come colpa dimenticandosi che, fino a prova contraria, in una società libera la ricchezza è segno di merito.
Ritorno sulla questione del rating e su quella del mercato dei capitali. A tale riguardo, desidero soffermarmi su una cosa che nel decreto-legge non c'è, e ciò è già di per sé una cosa gravissima, e lo faccio (facendo forse un processo alle intenzioni, nel qual caso il sottosegretario Sartor mi scuserà) a partire da un'indiscrezione riportata per due giorni dal massimo quotidiano italiano di questioni economico-finanziarie, Il Sole 24 Ore, che ieri riportava, ed oggi ha ribadito, che vi sarebbe l'intenzione del Governo di inserire nel maxiemendamento finale che modificherà questo decreto-legge (che tutti aspettiamo e su cui immagino, nonostante le cose che si dicono, verrà posta la questione di fiducia) quel «pezzo» della delega fiscale che riguarda la tassazione del risparmio. Tutto ciò, lo ripeto, è riportato da Il Sole 24 Ore di ieri e ripetuto nuovamente oggi. A tale riguardo, ho da porre in evidenza una prima questione di metodo, sperando magari di essere smentito. Se questo accadesse (non conosco precedenti in quanto non ho esperienza parlamentare, sto semplicemente al punto e a quello che si prospetta oggi), credo che sarebbe - e lo dico anche al presidente Castagnetti affinché se ne faccia portavoce nei confronti del Presidente Bertinotti - di una gravità inaudita, tenuto conto che si tratta di una delega importante ed invasiva della vita degli italiani dato che con essa si prevede di aumentare la tassazione sul risparmio del 60 per cento passando, dal 12,5 per cento al 20 per cento.
Già il testo è assolutamente insoddisfacente: una delega generica, a mio avviso impropria; inoltre, verrebbe preso ed inserito in un maxiemendamento al provvedimento in esame sul quale il Governo chiederebbe la fiducia sicché, con riferimento ad una scelta così importante quale la tassazione sul risparmio, in sede di Commissioni e di Assemblea non solo non vi sarebbe possibilità di attività emendativa, ma neppure traccia alcuna di discussione. A mio avviso, se davvero ciò dovesse succedere - spero di no, ma la fonte, ahimè, è autorevole e abitualmente ben informata -, si esproprierebbe il Parlamento anche sul versante di una funzione per la quale i Parlamenti sono nati nelle monarchie che si costituzionalizzavano. Mi riferisco al ruolo storico dei Parlamenti di approvare l'effettiva entrata in vigore delle nuove imposte adottate dal sovrano. Ciò sarebbe inammissibile; questo ParlamentoPag. 54non può e non deve accettare - mi rivolgo anche ai colleghi della maggioranza - che il Governo, dopo avere presentato (peraltro, solo sul proprio sito Internet) la delega che reca tale riforma, mercoledì notte o quando sarà, inserisca nel maxiemendamento anche tale misura. Spero di essere smentito ma ribadisco che, se invece tale ipotesi dovesse verificarsi, se questa dovesse essere l'intenzione del Governo, l'opposizione non potrà accettare come dato di fatto una simile scelta.
Tra l'altro, poi, anche un'altra norma deve essere considerata; essa prevede una riduzione di imposta, stabilendo un'aliquota fissa del 20 per cento sugli introiti provenienti dagli affitti. Si tratta di una proposta a suo tempo avanzata da Rutelli in campagna elettorale; la misura, che sottoscrivo, reca una norma a mio avviso 'intelligentissima': rinunciando al presupposto tutto ideologico della progressività della tassazione sul reddito, si introduce un elemento di razionalità che potrebbe servire a fare emergere una parte importante dell'economia sommersa degli affitti. Tuttavia, il viceministro Visco ha dichiarato di voler accantonare questa riforma - non è un caso: si trattava, per una volta, di ridurre una tassa - fino al momento in cui sarà emersa una parte del sommerso collegato agli affitti. Se una differenza sussiste tra molti di quelli tra noi che più di me valgono e Visco è proprio la prospettiva: il viceministro vuole cercare e stangare gli evasori con questa previsione 'folle' per cui l'onere della prova diviene a carico del cittadino contribuente, sicché si deve dimostrare di non essere evasore anziché il contrario. E, poi, Visco dichiara che si applicherà il 20 per cento. Ecco, una volta tanto che si seguiva un'idea intelligente, applicando il 20 per cento e riducendo l'evasione, poi la si accantona.
Concludo sulle rendite finanziarie; uso tale termine del tutto improprio, demagogico e propagandistico che la maggioranza ha usato già in campagna elettorale. Infatti, non si tratta veramente di tassare le rendite finanziarie; sappiamo benissimo che chi ha tanti soldi non se li farà sottrarre da questo aumento del 60 per cento dell'aliquota sulla rendita dei risparmi da un giorno all'altro, sulla base della tesi secondo la quale bisogna armonizzare le aliquote con il livello medio europeo. Non ho né tempo né voglia di spiegare tale aspetto, perché ritengo che anche ciò sia una stupidaggine. Si interviene sostenendo che dobbiamo riequilibrare la tassazione sulle rendite restituendo poco o nulla (ovvero la diminuzione doverosa e sacrosanta del prelievo su quanto rendono i conti correnti, conti che, salvo quelli postali ed il conto arancio, rendono quasi zero dal punto di vista finanziario con un beneficio pressoché nullo). Ma io ritengo, sottosegretario Sartor, che tale misura sia viziata, anche politicamente, da un errore di fondo, dall'idea che il risparmio, l'oggetto della vostra tassazione, i fondi privati di investimento, le obbligazioni, i capital gain sulle obbligazioni, siano in Italia appannaggio dei ricchi, di coloro che, con un infelice slogan di Rifondazione comunista, dovrebbero piangere. Ma se andate a vedere i dati della Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie italiane per il 2004, innanzitutto constatate che il 36,7 per cento delle attività finanziarie complessivamente detenute dalle famiglie italiane è nelle mani di famiglie dove il capo famiglia è un lavoratore dipendente.
Se andate a vedere a fondo questi dati - e lo dico perché credo che state facendo un autogol clamoroso dal punto di vista politico, di cui naturalmente sono soltanto felice, anche se, purtroppo, le conseguenze le pagheranno i cittadini, i risparmiatori, e non i ricchi possessori dei capitali -, potete verificare che le famiglie degli operai, che sono il 21,6 per cento del totale delle famiglie, posseggono quasi il 9 per cento della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane e che le famiglie degli impiegati posseggono il 20 per cento.
Quindi, questa stangata sul risparmio non andrà a pesare sui grandi capitalisti, furbetti o meno, Consorte, Ricucci e via dicendo, che tanto già fanno i quattrini nelle società lussemburghesi - perché non sono così fessi -, ma colpirà pesantemente le famiglie italiane, le famiglie degli operai,Pag. 55dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Ho avuto modo di pubblicare, anche sui quotidiani italiani, uno studio che abbiamo svolto, raccogliendo alcuni dati ed elaborando una simulazione molto semplice.
Peraltro, dalla delega che vi apprestate a inserire in questo decreto fiscale, non si trae assolutamente alcuna indicazione di ciò che volete fare, se vi siano scaglioni esenti - come volete fare -, se vi sia la nominatività del portafoglio titoli; non c'è nulla, potreste fare quello che volete: c'è scritto semplicemente che il massimo dell'aliquota sarà del 20 per cento.
La gravità delle norme che introducete rappresenta un boomerang, l'ennesimo, scagliato con questa finanziaria dal centrosinistra, che tornerà sulla testa di Prodi, di Visco e di quant'altri, non appena gli italiani sapranno quello che vi apprestate a fare, a partire dalla settimana prossima con l'introduzione della delega nel decreto fiscale e la stangata non sulle rendite finanziarie, ma sul risparmio.
Basterà fare quattro conti, anche usando la cosiddetta «media di Trilussa», cioè spalmando su tutte le famiglie di operai e su tutte le famiglie di impiegati pro quota il complesso delle loro attività finanziarie, e si vedrà che i benefici minimi, che comunque ci sono, della rimodulazione dell'IRPEF verranno, nella media, dimezzati o azzerati; addirittura, per un impiegato single, con un reddito di 28 mila euro, che abbia una media di risparmio della categoria, il beneficio IRPEF verrà azzerato dalla stangata sul risparmio. Certo, si può modulare, ma nessuno di noi, qui in Parlamento, saprà mai come deciderete di farlo. Questo è il punto di partenza.
Concludo, signor Presidente. Ho parlato di una normativa che nel decreto-legge non c'è, ma spero che la Presidenza della Camera, avvisata per tempo, vorrà intervenire, nel momento in cui il Governo decidesse di compiere questo ulteriore esproprio del Parlamento, introducendo nel maxiemendamento un provvedimento fiscale di tassazione così ficcante e così gravoso nei confronti delle centinaia di migliaia di famiglie e di risparmiatori italiani, magari di notte, per chiedere la fiducia ventiquattro ore dopo, senza che il Parlamento abbia nemmeno la possibilità di discutere della tassazione dei risparmi.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Fugatti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole D'Ippolito.
IDA D'IPPOLITO VITALE. Signor Presidente, non me ne vorrà, spero, se svolgerò il mio intervento, comunque non troppo oneroso...
PRESIDENTE. Si immagini, è suo diritto. Avremo il piacere di ascoltarla.
IDA D'IPPOLITO VITALE... non tanto per avere il piacere di essere chiamata da lei una donna di carattere, anche se, come donna del sud penso di esserlo, ma soprattutto per quella responsabilità che mi appartiene come rappresentante dell'opposizione e di quella parte del paese che si è opposta a questa maggioranza.
Le mie saranno considerazioni prevalentemente politiche su un provvedimento che, in realtà, ha visto indebolirsi, giorno dopo giorno, le possibilità di un ampio dibattito e di un adeguato approfondimento su questioni di merito, dirimenti e strategiche, nella prospettiva di attuazione dei principi di equità e di sviluppo, che il Governo e la maggioranza hanno indicato quali valori fondanti della manovra economico-finanziaria per il periodo 2007-2011 e dei provvedimenti ad essa collegati.
Proprio il decreto-legge n. 262, la cui conversione, oggi, richiama l'attenzione del Parlamento, è stato presentato come un tassello fondamentale di quella manovra, caratterizzato com'è da numerose disposizioni fiscali ad essa connesse, accanto però - è opportuno sottolinearlo - a numerose altre, assai eterogenee, spesso in sostanziale contraddizione proprio con gli obiettivi di equità e di sviluppo, indicati nel DPEF.Pag. 56
Non mi soffermerò sulla compatibilità costituzionale dello strumento utilizzato, pur non nascondendo una - credo - legittima perplessità sulla sussistenza dei requisiti necessari a giustificarne l'adozione né sulle colpevoli distrazioni di una stesura formale del testo, assai lontana dal rigore e dalla chiarezza di formulazione che una buona legislazione richiede, anzi impone, a tutela di un principio essenziale alla democrazia: la certezza del diritto.
Non posso, però, sottacere la sofferenza di un iter parlamentare lento e faticoso nelle Commissioni bilancio e finanze, ostacolato e compresso da una maggioranza impossibilitata al confronto, prigioniera di contraddizioni interne, altalenante tra accelerazioni e marce indietro, su emendamenti, ora dichiarati ammissibili, poi - magari - congelati, come sulle coperture di emendamenti strategici. Sono divisioni profonde su questioni di merito.
Ho sentito, in Assemblea, da un autorevole rappresentante della maggioranza, affermare che non giova una difesa tout court della manovra, a sottolineare, dunque, le differenti sensibilità che la caratterizzano, la ricerca spasmodica di punti di mediazione e di sintesi, difficili da trovare, segni evidenti del prevalere di un'impostazione, non pienamente condivisa e fortemente contrastata da più settori della stessa maggioranza, differenti per formazione e cultura politica.
Del resto, la ribellione del popolo di sinistra, a partire dai sindaci, la voce preoccupata del mondo produttivo, le civili manifestazioni dei commercianti, a Treviso, e dei professionisti, a Roma, rappresentano testimonianze oggettive di coscienze allarmate, al di là di posizioni o simpatie o partiti o aree di riferimento.
Il calo dei consensi nel paese a danno dell'attuale Governo rappresenta con evidenza la protesta corale per un'azione orientata, nelle petizioni di principio, a realizzare equità sociale e sviluppo che, tuttavia, si articola, in concreto, attraverso meccanismi punitivi, norme e procedure rigide, frutto di un'impostazione - a mio avviso - ideologica e settoriale e - direi - ottocentesca, perciò anacronisticamente classista, prigioniera di un'assurda e fuorviante semplificazione antropologica, che tende a distinguere tra buoni e cattivi, tra poveri e ricchi, che pensa a realizzare una corretta distribuzione compiacendo, legittimando e, magari, favorendo, almeno nelle intenzioni, quella classe sociale che sosterrebbe il Governo Prodi.
Eppure, la generalizzata stretta fiscale introdotta dal decreto-legge al nostro esame, com'è stato in vario modo e in diverse sedi dimostrato, provoca svantaggi proprio a chi, per esempio, guadagnando solo 20 mila euro l'anno, grazie all'aumento dei contributi sociali, avrà una busta paga più leggera di 162 euro: poca cosa, ma non per tutti.
A conferma che in una società complessa come la nostra, la strada imboccata per far quadrare i conti sociali con quelli di ragioneria, forse, non è quella giusta. Infatti, far perdere 10 miliardi di euro alla parte considerata più produttiva del paese pregiudica anzitutto l'effettività, nel contesto europeo ed internazionale, della competitività e dello sviluppo del nostro sistema paese, oltre a produrre un danno elettorale del quale non siamo certo noi a doverci preoccupare.
Le maggiori entrate che si attendono dal decreto in esame risultano poi collegate ad un complesso di fattori non facilmente predeterminabili. Le norme dirette a potenziare l'efficacia e la tempestività dei meccanismi di controllo e contrasto all'evasione, in realtà risultano funzionalmente collegate ad altre disposizioni richiamate, come il decreto-legge n. 223 del 2006, normativa previgente al decreto in esame i cui effetti non quantificati al tempo di approvazione non dovrebbero influenzare il gettito calcolato. Un esempio, questo, per sottolineare che gli obiettivi del decreto, per le modalità e il dilazionamento dei tempi di attuazione, chiamano in campo una complessità di fattori, dalla capacità ed efficienza delle amministrazioni competenti all'adeguamento spontaneo dei contribuenti. Ciò rende sostanzialmente precaria la formulazione delle stime, proprio con riferimentoPag. 57alla consistenza delle maggiori entrate e alla loro distribuzione temporale nell'arco dell'esercizio futuro.
Finanza creativa, realistico ottimismo o convinzione di non poter sbagliare? Certo è che rispetto alle affermazioni programmatiche di tavoli di confronto permanenti per le decisioni concordate e condivise, il paese registra un diffuso allarme sociale: da quello sindacale sui tagli delle scuole, a quello di Confindustria e delle imprese sul trattamento di fine rapporto. Così, vi è l'incertezza di una manovra non ancora definita pienamente nei suoi contenuti, come dimostra il disorientamento di una maggioranza costretta di volta in volta a prendere atto in Commissione delle mutate decisioni del suo Governo.
Da ultimo, vi è l'annunciato accordo del Governo con i sindacati e con Confindustria sul trattamento di fine rapporto, che fissa a quota 50 addetti la soglia di attenzione ed esclude dal provvedimento le piccole e medie imprese, realizzando una «rispalmatura» sulle rimanenti. È un punto di convergenza della maggioranza che non incide sui 6 miliardi previsti dalla legge finanziaria introitati attraverso il trattamento di fine rapporto. In ogni caso, ciò non ci impedisce di affermare che qualunque destinazione di quel trattamento deve essere decisa dal lavoratore. Pertanto, ci riserviamo di affrontare comunque la questione nel momento in cui ce lo consentiranno i tempi dell'esame della legge finanziaria.
Il ricorso al voto di fiducia è già nell'aria da tempo. A mio sommesso avviso, si pone all'attenzione del Parlamento - e prima ancora del paese - lo stato di difficoltà della maggioranza e del Governo nonché le divisioni profonde in seno ad essi, al di là della manifestata volontà di tenere la gestione a tutti i costi.
Si ricorrerà - e voglio tranquillizzare in proposito il collega Tolotti che mi ha preceduto - ad una procedura parlamentare legittima. Tuttavia, in questo ramo del Parlamento, sul piano politico essa equivarrà ad una sconfitta, ad un'ammissione d'impotenza e alla presa d'atto che senza il voto di fiducia questa maggioranza rischia di naufragare. Essa è inoltre la quota parlamentare necessaria per il Presidente Prodi, unica via di uscita dalle contraddizioni prevedibili - anzi, a mio giudizio, scontate -, solo che si consideri l'humus politico e culturale eterogeneo e complesso, non sempre conciliabile e molto spesso incompatibile, su cui si fonda questa alleanza programmatico-elettorale. Con esso, prima o poi, la maggioranza dovrà fare i conti, costretta a dividersi senza possibilità di ulteriori mediazioni laddove il confronto comporterà scelte fondanti di civiltà e di identità e, insomma, di categorie di valori irrinunciabili.
Nel gioco delle parti è scontata, altresì, la critica serrata dell'opposizione, in coerenza con il ruolo istituzionale che le è proprio, oltre che nel rispetto di esso. Vorrei evidenziare, tuttavia, che è estranea alla mia formazione, nonché allo stile di Forza Italia, la logica della denigrazione, ancor meno quella della demonizzazione cui, purtroppo, qualche volta induge parte della maggioranza.
Un esempio per tutti è rappresentato dalla drammatizzazione mediatica sullo stato dei conti pubblici, attuata dalla sinistra subito dopo lo svolgimento delle elezioni ma smentita, di fatto, dal miglioramento strutturale delle entrate che è emerso e che è stato riconosciuto, il quale è verosimilmente riconducibile proprio all'attività svolta dal Governo Berlusconi. Ci fa sicuramente riflettere, inoltre, la notizia sull'abbassamento del rating relativo al nostro debito pubblico, oggi alla nostra attenzione.
Non sosterrò che è tutto sbagliato, poiché ritengo obiettivi condivisibili la lotta all'evasione fiscale, una maggiore equità sociale, la progressività della tassazione costituzionalmente sancita, la crescita economica del paese, il recupero di risorse finalizzate a sostenere le famiglie con figli che dispongono di redditi medi e bassi, nonché l'esplicita attenzione verso il Mezzogiorno.
Diverse, tuttavia, sono la nostra filosofia e le strategie di approccio ai problemi. Il Governo propone di contrastare prima l'evasione fiscale per abbassare, successivamente,Pag. 58la pressione fiscale. Si tratta di un obiettivo ambizioso, ma di lungo termine e sicuramente difficile da realizzare. Significativo è, a mio avviso, il caso dell'IVA, che in Italia registra un'aliquota base tra le più alte in Europa, ma produce anche un gettito effettivo assai minore. Vi è da domandarsi se il problema non riguardi proprio l'aliquota di base.
Troppe tasse deprimono l'economia ed i consumi, e non siamo soltanto noi a sostenerlo. Versare il giusto induce tutti, o comunque i più, a pagare le imposte, avviando un processo pedagogico che incentivi la contribuzione volontaria, ferme restando, naturalmente, la necessità e l'urgenza di dotarsi di strumenti penetranti e strutturali di contrasto ad un fenomeno, quale l'evasione fiscale, che assume proporzioni assai rilevanti.
Se risulta inevitabile, tuttavia, che la lotta all'evasione debba essere affrontata con fermezza, è altrettanto vero che essa non legittima mai il ricorso a strumenti inquisitori ed invasivi che lacerano il patto di solidarietà e di reciproco affidamento tra Stato e cittadini. Ciò rappresenta la prima causa, a mio avviso, della crisi delle istituzioni e della perdita di credibilità della politica che ancora avvelenano il paese e che impediscono, altresì, che si instauri un confronto dialettico costruttivo tra i vari soggetti in campo.
Il principio dell'autonomia privata quale fondamento dell'organizzazione e dei rapporti tra cittadini, delle imprese e del lavoro - sempre nel rispetto delle norme vigenti, così come dei codici etici non scritti e tuttavia vincolanti - non può essere costretto in rigidi schemi preconfezionati che, più che impedire l'illecito, finiscono per vincolare la libertà di iniziativa, cardine della nostra società costituzionalmente fondata sul lavoro.
Ritengo apprezzabili, anche in linea di principio, le misure varate dal Governo per favorire l'assunzione di lavoratrici nel Mezzogiorno, che presenta tassi di occupazione tra i più bassi d'Europa.
Occorre rivolgere l'attenzione, tuttavia, alla necessità di adottare provvedimenti strutturali e politiche sociali che favoriscano la duratura e piena integrazione della donna nel mondo del lavoro e, soprattutto, l'abbandono di una logica emergenziale che, in ogni caso, rischia di creare nuove aree di privilegio e di potenziale discriminazione ai danni dell'altro, per di più in zone di crisi che presentano un basso tasso di occupazione complessiva.
Così, la diminuzione del costo del lavoro nelle aree meridionali rappresenta uno strumento insufficiente, viziato da un pregiudizio assistenzialista, che il Sud ha invece necessità di superare definitivamente: più opportunità, più legalità, più risorse per la legalità, più investimenti, più servizi, non storno di spese, già previste, su capitoli che rappresenterebbero comunque una priorità del Governo, che è chiamato a continuare o ad avviare l'ammodernamento delle reti infrastrutturali, dalla viabilità agli aeroporti, ai porti e alle ferrovie, i cui investimenti, invece, risultano ancora assai incerti, per non parlare dei numerosi cantieri bloccati e di significative infrastrutture sospese, benché essenziali alla tenuta del paese nella sfida multiculturale e del mercato globale.
Concludendo, voglio esprimere, facendo tesoro dell'esperienza maturata nel rapporto continuo con il mio territorio, la Calabria, e delle preoccupazioni per il futuro raccolte tra la gente, il rammarico sincero e convinto per la scarsa volontà del Governo, più che della sua maggioranza, di cogliere, pur nel rispetto dei diversi ruoli, le opportunità di un dialogo, oggi più che mai necessario al paese, possibile però, a mio avviso, solo attraverso la capacità di un gesto di umiltà e di vera responsabilità, che consenta ai Governi che di volta in volta si succedono il reciproco riconoscimento e la salvaguardia dei buoni risultati raggiunti, con ciò superando una sordità, una logica di scontro, scontata in campagna elettorale, ma sicuramente dannosa nell'ordinario, a fronte di scelte impegnative e direttamente incisive sulla vita e sul futuro del nostro popolo.
PRESIDENTE. Saluto gli studenti del I circolo didattico Alfredo Aspri di Fondi, inPag. 59provincia di Latina, che stanno assistendo, con molta attenzione e pazienza, ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sarò brevissimo. I quattro quinti dell'intervento del collega Della Vedova vertevano su un presupposto, che, finché rimane sui giornali, nulla quaestio. Però, nel momento in cui tale presupposto viene riferito in quest'aula e viene lasciato agli atti, non soltanto a quelli di quest'aula, credo che - ed è l'invito che, attraverso lei, mi permetto di rivolgere al sottosegretario -, nelle forme, nei tempi e nei modi che il sottosegretario ritiene, a quel quesito vada data una risposta, magari nella replica.
Si tratta solo di una sollecitazione, perché questi provvedimenti spesso si caricano di fantasmi riferiti a fatti che non esistono da nessuna parte. Siccome uno di questi è arrivato dentro l'aula, credo sarebbe molto utile - nel momento in cui il sottosegretario riterrà di prendere la parola - che almeno su questo fatto si dica una parola chiara.
PRESIDENTE. Il sottosegretario ha ascoltato l'intervento e valuterà anche il senso della sua sollecitazione.
Prendo atto che l'onorevole Crosetto, iscritto a parlare, vi ha rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Ceroni. Ne ha facoltà.
REMIGIO CERONI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, sono chiamato a parlare quasi alla fine degli interventi...
PRESIDENTE. No, no...
REMIGIO CERONI. Se seguissi il filone dei miei colleghi, certamente finirei con il ripetere la gran parte delle cose che sono già state dette. Pertanto, darò al mio intervento un altro profilo. Vorrei parlare di due questioni che hanno fatto da padrone nei giornali di ieri e di oggi.
Il confronto delle elezioni politiche della primavera scorsa è finito sostanzialmente in parità tra i due schieramenti.
Si è trattato di un esito molto discutibile per il modo in cui è maturato e per il sospetto di brogli elettorali che al momento non sono stati affatto dissipati. In Messico, ad esempio, dove si sono svolte le elezioni, i voti sono stati ricontati nel giro di pochi giorni e il partito che è al Governo ha la certezza che la vittoria sia stata limpida e trasparente.
Si è trattato di un risultato conseguito anche per gli errori - dobbiamo ammetterlo - con cui il centrodestra ha affrontato la campagna elettorale. Se è vero però che una vittoria elettorale si può ottenere con il consenso sulle promesse, per governare occorre il consenso sulle scelte, cosa ben diversa e molto più difficile da realizzare.
Questo Governo, a distanza di pochi mesi dalle elezioni, vive una situazione di grande difficoltà, perché il consenso sul proprio operato va ogni giorno diminuendo. Tale condizione, che noi di Forza Italia avevamo avvertito da tempo girando per i paesi, è ormai diventata talmente evidente che anche i giornali che sono a fianco della coalizione di Governo non hanno potuto più tenerla nascosta. Ieri la Repubblica, che aveva commissionato a tale scopo un sondaggio alla IPR marketing ha titolato che il Governo in crisi di consensi ha perso 18 punti in tre mesi. Ciò non ci meraviglia affatto, perché pensiamo che governare l'Italia - oggi tutti i governi di ogni paese sono in difficoltà - sia particolarmente difficile e che lo sia ancora di più se al Governo vi è una maggioranza troppo eterogenea e troppo divisa, che in pochi mesi ha collezionato una serie di errori politici, dando l'impressione di non essere all'altezza di governare il paese.
Prodi, pur di vincere le elezioni, ha messo in piedi un cartello elettorale con l'unico obiettivo di sconfiggere Berlusconi, dimenticandosi poi di dover governare ilPag. 60paese. È chiaro che un'aggregazione di partiti con un consenso ridotto nel paese, molto eterogenea, poco coesa, divisa su ogni questione, senza idee, cade in difficoltà non appena si presenti la necessità di affrontare qualsiasi problema, poiché diverse e inconciliabili sono le soluzioni ai problemi proposte dai vari partiti che compongono il raggruppamento elettorale.
Va ricordato inoltre che sul nostro paese pesa un debito pubblico di oltre 1,5 milioni di miliardi di vecchie lire: nella graduatoria mondiale siamo il terzo paese tra quelli più indebitati del mondo, con un costo per il debito pubblico che supera i 65 miliardi di euro e che, in prospettiva, tende a crescere per effetto del rialzo dei tassi di interesse. Vorrei ricordare, tra l'altro, che tali debiti sono stati accumulati nella prima Repubblica, i cui protagonisti in gran parte siedono tra i banchi della maggioranza. Ciò rappresenta indubbiamente una condizione di difficoltà di cui non si può non tenere conto.
Detto questo, nulla toglie al fatto che questo Governo stia governando male, molto male, e che lo stia facendo contro il paese, visto che le proteste esplodono in ogni angolo. Il paese precipita soprattutto nella credibilità internazionale, perdendola.
Facendo una riflessione anche sommaria, non è difficile scoprire quali siano le cause di questa caduta di consensi. Basta ripercorrere i vari passaggi di questa fase politica. Pur avendo la maggioranza vinto le elezioni con una manciata di voti, essa ha immediatamente occupato tutte le cariche politiche e questo i cittadini, che non sono stupidi, lo comprendono attraverso la lettura dei giornali o dalla televisione.
Subito dopo, il primo pensiero del Governo è stato di aumentare il numero delle cariche: siamo passati a 103 tra ministri e sottosegretari e ciò per la necessità di far fronte agli appetiti dei vari esponenti del raggruppamento elettorale, trovandoci di fronte ad un Governo che nella storia della Repubblica ha il costo più elevato.
Successivamente, il Governo ha approvato il decreto Bersani, provvedimento che giustamente ai più è apparso improntato ad un eccessivo livore ideologico, e animato soprattutto dalla voglia di farla pagare cara a tutte quelle categorie che sono state avare di voti verso il centrosinistra nella consultazione elettorale di aprile.
Almeno, questo è stato percepito, perché, altrimenti, il cittadino avrebbe un giudizio diverso su questa operazione. A ciò aggiungiamo che, in campagna elettorale, Prodi si era impegnato ad affrontare le problematiche - anche Rutelli ne aveva fatto il suo slogan principale - delle famiglie che non riescono a far quadrare i bilanci a fine mese. I mesi però passano e, tra poco, le famiglie non arriveranno più neanche a metà mese, perché aumentano i ticket e le accise sul gasolio e perchè bisogna aprire per forza un conto corrente per certificare i propri movimenti di denaro. Le poche risorse disponibili sono state messe a disposizione di grandi industriali, come la FIAT o la Merloni. Non c'è dubbio che vengono prima le famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese rispetto a quelle che devono cambiare frigorifero. Queste sono cose che non sfuggono a nessuno. Certo, bisogna gratificare le grandi imprese che hanno messo a disposizione i mezzi di informazione, importanti per vincere le elezioni, ma le famiglie vengono prima di tutti.
Aggiungerei poi un'altra questione importante: la vicenda dell'invio del contingente di pace in Libano con oltre 2.500 uomini e 1.200 miliardi di vecchie lire di spesa, soldi che avrebbero potuto certo essere utilizzati a favore delle famiglie che ne hanno bisogno. Questa scelta ha fatto vergognare migliaia di militanti che avevano riempito le finestre e i balconi delle loro case di bandiere della pace, i quali, improvvisamente, umiliati e mortificati, hanno dovuto rimetterla nel cassetto. Anche i vostri militanti hanno una testa e un cervello e non possono essere presi in giro, come voi avete fatto.
Infine, sono incominciati a venir fuori vari provvedimenti, serviti, come avviene con le pillole, uno per volta, per aumentare le entrate dello Stato. Questo è un altro grande vostro errore. Tutti sono inPag. 61grado di comprendere, perché lo viviamo quotidianamente, che, quando ci sono dei conti in difficoltà, per far quadrare il bilancio si può intervenire in due modi: tagliando la spesa o aumentando le entrate. Berlusconi, con il precedente Governo, ha scelto la strada di contenere la spesa e non quella di mettere le mani nelle tasche degli italiani. Questo è dimostrato dalla pressione fiscale che, in questi anni, è diminuita realmente. Anche voi lo dite nelle vostre relazioni. Avete, invece, scelto una strada diversa, cioè quella di aumentare le tasse. In questo senso, penso che pagherete cara la vostra incoerenza. Avete preso in giro milioni di italiani e avete dimostrato che Berlusconi aveva perfettamente ragione. Se si vanno a prendere i giornali di quel periodo ne vediamo delle belle. Il Messaggero del 29 marzo scorso, Prodi: «Le tasse non le alzo, io le abbasso». La Repubblica del 1o aprile, D'Alema: «Vogliamo ridurre le tasse ma guai a criminalizzarle». La Stampa del 30 marzo, Fassino: «Le tasse non saranno aumentate, l'abbiamo detto in tutti i modi. È falso chi dice il contrario». Prodi, nel suo discorso al Senato nel maggio scorso: «Mi impegno a mantenere invariata la pressione fiscale». La Repubblica del 26 marzo, Bersani: «Non abbiamo alcuna intenzione di toccare le aliquote dei titoli già in possesso dei risparmiatori, né, sia chiaro, pensiamo di inasprire il trattamento fiscale. Non cercheremo i soldi dei risparmiatori. È dai grandi guadagni di borsa che dovranno arrivare le risorse». Ancora Prodi, nel confronto del 6 aprile: «Abbiamo messo nel programma l'imposizione sulle rendite finanziarie ma non su BOT E CCT». L'elenco sarebbe ancora lungo. Cito ancora Letta, ne Il Riformista del 31 marzo: «Il ripristino della tassa di successione riguarda pochi soggetti, 2-3 mila persone in tutto il paese. Non voglio fare cifre, ma è sicuro che sia gli immobili che le imprese resteranno fuori. Quindi, potrei dire: niente tassa di successione su casa e bottega».
Solo alla fine dei conti, questo Governo si è rivelato il Governo delle tasse. Questa affermazione non può di certo essere smentita, esaminando i provvedimenti che il Governo ha adottato in questi sei mesi di attività. Ho stampato da Internet alcuni dati. Ebbene, gli unici provvedimenti approvati dalla Camera, prima, e dal Senato, poi, sono i seguenti: il decreto-legge n. 206 del 2006, adottato nel mese di giugno e convertito nella legge n. 234 nel luglio 2006; il decreto-legge n. 223 del 2006, convertito in legge ad agosto con la legge n. 248 del 2006. Ora, in è discussione il decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, dopodiché si approverà il disegno di legge finanziaria. Mi sembra che il Governo, ad oggi, non abbia approvato alcun provvedimento a favore del cittadino.
Penso, invece, che sarebbe stato più serio, più corretto e più razionale da parte del Governo presentare un disegno di legge contenente tutte le misure necessarie per rimettere in equilibrio i conti pubblici; un disegno di legge che si sarebbe dovuto esaminare approfonditamente nelle Commissioni, per poi trarne le conseguenze.
Evidentemente, avete incontrato delle difficoltà e non avete le idee chiare. È difficile fare la sintesi delle scelte da operare e, pertanto, lavorate a «spizzico».
Ma ciò non ci meraviglia affatto: era ampiamente nelle previsioni. Ciò che ci sorprende è il comportamento del ministro dell'economia e delle finanze Padoa Schioppa.
Veniamo ad altre considerazioni, per poi riallacciarci al disegno di legge finanziaria. Intanto, vi è un balletto di cifre, sottolineato anche dai relatori intervenuti in precedenza: non si riesce a capire quali siano i dati reali.
Dando per buoni quelli più ricorrenti nei documenti, la manovra finanziaria complessiva è di 34,8 miliardi di euro o - meglio - di 40,1 miliardi di euro, tenuto conto delle risorse necessarie per far fronte agli effetti della decisione della Corte di giustizia europea circa la detraibilità dell'IVA sulle auto aziendali.
Non va però dimenticato che, con il decreto-legge n. 206 del 7 giugno 2006, convertito nella legge n. 234 del 17 luglio 2006, gli italiani hanno subito una «manovrina»Pag. 62che non era tanto da far ridere, poiché aveva una portata pari a 9,5 miliardi di euro.
Ritengo sia ragionevole pensare che le norme contenute in questo provvedimento e quelle contenute nel disegno di legge finanziaria produrranno entrate superiori alle previsioni. Non sfugge a nessuno che le previsioni sono formulate al ribasso. In altri termini, non si può allarmare l'opinione pubblica, che è già allarmata: è meglio dire che quelle misure producono un impatto minore. In realtà, quando apriremo il cassetto, le casse saranno piene.
In ultima analisi, dall'insediamento del Governo, avete propinato provvedimenti finanziari per 50 miliardi di euro, ovvero 100 mila miliardi di vecchie lire. Siamo di fronte ad una serie di provvedimenti che, complessivamente, hanno una portata senza confronti nella storia del paese. Forse, solo la legge finanziaria del Governo Amato del 1992 era stata altrettanto dirompente. Per effetto di questi provvedimenti la pressione fiscale subirà un aumento di circa due punti, sfiorando il 43 per cento, percentuale che ci riporta al massimo livello raggiunto nel 1997, anche allora ad opera del Governo Prodi.
Allora, ci chiediamo: è veramente necessario servire agli italiani una manovra così pesante, sia pure diluita in tanti provvedimenti? Dobbiamo riflettere, perché siamo di fronte a provvedimenti che possono essere devastanti per il paese, il quale, invece, pian piano si sta riprendendo, anche a seguito delle riforme operate dal Governo Berlusconi nella precedente legislatura. Con questa manovra si rischia di bloccare lo sviluppo. Non era, forse, più opportuno operare con maggiore cautela, visto che, per rientrare nei parametri europei, sarebbe stata sufficiente una manovra di 10-15 miliardi di euro?
Vi sono, poi, altre osservazioni da svolgere. La manovra da 40,1 miliardi di euro prevede minori spese per meno di 12 miliardi di euro, a fronte di quasi 28 miliardi di maggiori entrate.
Seguite i consigli, non dico dell'opposizione, perché si sa che questa fa la sua parte, ma di chi forse sta più dalla vostra parte, per esempio la Corte dei conti, la quale dice: un'azione correttiva orientata sul prelievo fiscale è destinata ad incidere in senso maggiormente depressivo sulla crescita economica. Inoltre, si registrerebbe una crescita della spesa, che va ben oltre il PIL.
Vale a dire che la scelta di aumentare le tasse e di diminuire poco la spesa porta altri effetti devastanti. Vorrei chiedere al Governo, ma qui c'è solo il sottosegretario - sarebbe stata utile la presenza del ministro o del Presidente del Consiglio, i quali hanno maggiormente la responsabilità di queste scelte -, che fine abbiano fatto le buone intenzioni contenute nel DPEF, approvato solo pochi mesi fa. In quel documento, il ministro sosteneva che, per procedere al risanamento strutturale dei conti, era ipotizzabile intervenire su quattro grandi comparti: sistema pensionistico, servizi sanitari, amministrazione pubblica e finanza degli enti decentrati.
Ebbene, nei provvedimenti che sono ora all'esame del Parlamento non c'è traccia di interventi correttivi della spesa in questi settori. Anzi, i provvedimenti proposti sono in controtendenza rispetto alle necessità, facendo capire che questo Governo non è in grado di affrontare e dare soluzione efficace ad alcun problema del nostro paese. Ci saremmo aspettati interventi sul pubblico impiego e sulla spesa pensionistica, che da sola rappresenta il 55 per cento della spesa pubblica. Ma, evidentemente, la CGIL ha posto il veto ed ogni modifica è stata preclusa.
Vedete, una cosa è il Governo, una cosa è il sindacato. Tocca al Governo farsi carico dei problemi di un paese, al sindacato competono altri compiti. Esso deve svolgere un'altra funzione: spiegatelo ad Epifani!
Infine, è davvero curioso che gli unici risparmi previsti dalla manovra non li faccia lo Stato, bensì vengano posti a carico degli enti territoriali, cioè chi deve risparmiare è la regione, la provincia, il comune, che poi a sua volta, a causa dei minori trasferimenti da parte dello Stato, dovrà rifarsi sui cittadini, facendo aumentarePag. 63ancor più la pressione fiscale. Non deve quindi destare alcuna meraviglia il declassamento dell'Italia da parte delle agenzie internazionali di rating, notizia riportata oggi da tutti i mezzi di stampa.
Ribadisco tutte le riserve e le critiche sul decreto-legge n. 262. Non entro nei particolari ma sottolineo, per quanto concerne il metodo, l'assoluta carenza di presupposti e motivazioni per il ricorso allo strumento del decreto-legge. Nel decreto ci sono disposizioni che avrebbero dovuto essere oggetto di provvedimenti a parte. Nel merito, si poteva e si doveva evitare questa ulteriore imposizione di oltre 4 miliardi di euro, provvedendo ad operare tagli in quei settori della pubblica amministrazione che presentano al proprio interno squilibri, inefficienze, duplicazioni ed arretratezze. Sono quattro parole che ho trovato nel comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 6 del 7 luglio 2006.
Vorrei anche rivolgere una critica rispetto al modo di operare, perché penso che un decreto-legge così importante necessiti di tempi più ragionevoli per essere valutato e discusso. Oggi noi stiamo intervenendo in Assemblea, ma sono passate solo poche ore da quando il testo si è reso disponibile in archivio.
Constato inoltre che le intenzioni del ministro Padoa Schioppa contenute nel DPEF restano nel novero delle buone intenzioni. La necessità di riqualificazione della spesa pubblica, per poter destinare più risorse ad infrastrutture, ricerca, politiche di solidarietà sociale e per valorizzare la cultura, resta solo una buona intenzione. Ci stupisce veramente che il ministro, che è persona di grandi qualità e di valore, che solo pochi mesi fa aveva la ricetta giusta, abbia rinunciato a conseguire gli obiettivi che aveva in mente.
Caro ministro, la invito ad un sussulto di dignità, altrimenti il suo prestigio, acquisito con la sua lunga storia personale, sparirà precipitosamente - come peraltro testimoniano i sondaggi - e si troverà ben presto nella sgradevole situazione di subire gli insulti degli alleati oltre che dei suoi avversari politici. Rina Gagliardi, su Liberazione, qualche giorno fa, ha scritto che Padoa Schioppa è un tecnico, un non eletto, un fine acrobata di conti, abituato più a frequentare le banche che le aggregazioni di cittadini e di partito. Tra l'altro, le critiche giungono dalle agenzie di rating, che attribuiscono al ministro la responsabilità dello sfascio dei conti pubblici italiani. Insomma, ministro, le critiche arrivano da tutte le parti, perché la finanziaria ha deluso i ceti deboli e quelli più forti e le speranze di risanamento dei conti pubblici affidate al DPEF sono state completamente tradite.
Caro ministro, riconsegni le chiavi del suo Ministero, non immoli il suo prestigio, guadagnato con tanto sudore, per una scomoda poltrona! Lo stesso invito vorrei rivolgerlo al Presidente del Consiglio, Prodi, ma so bene che quest'ultimo non pensa nemmeno lontanamente di compiere un gesto del genere. È una vita che è attaccato alle poltrone, figuriamoci se può rinunciare a quella più prestigiosa!
Tuttavia, cari colleghi, non vi preoccupate, perché siamo convinti che, se non ci sarà un'inversione di tendenza, saranno gli italiani a cacciare sia il ministro Padoa Schioppa sia il Presidente Prodi.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Germontani. Ne ha facoltà.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, scorrendo in questi giorni le notizie di stampa che commentano il decreto-legge in esame e la finanziaria 2007, mi ha colpito quanto contenuto in un articolo de Il Sole 24 Ore, firmato da Luca Paolazzi, nel quale si osserva, tra l'altro: «All'etica di Immanuel Kant, preferiscono la morale del Gattopardo».
Ritengo che Paolazzi abbia individuato con grande lucidità intellettuale le difficoltà in cui versano il Governo Prodi e tre dei suoi ministri: Padoa Schioppa, Bersani e Visco. È un trittico contraddittorio, come contraddittoria è la pretesa di coniugare lo sviluppo, il risanamento e l'equità che si intende attuare con questa finanziaria.
Le promesse elettorali vengono tradite in alcuni aspetti specifici, ma soprattuttoPag. 64nel messaggio più alto congegnato da Romano Prodi e consegnato agli italiani nei dibattiti televisivi. Prodi diceva: «Vogliamo unire, non dividere». In realtà, la finanziaria è sbilanciata non solo sul piano economico, ma anche su quello sociale. Ma la pretesa politica del Governo è quella di attuare una manovra creativa, senza contare che, con una pressione fiscale come quella attuale, la nostra economia non avrà alcuna possibilità di crescita. In tal modo, si sta attentando anche alla fiducia che le persone hanno nella società di cui fanno parte.
Siamo di fronte, infatti, ad una manovra impostata prevalentemente sull'aumento delle entrate; aumento che il Governo si ripromette di garantire creando disparità giuridiche tra le varie categorie produttive e seminando zizzania nel tessuto sociale italiano.
Il nostro paese, al contrario, ha bisogno di concordia e saggezza da parte di chi lo governa e, soprattutto, di trasparenza e coerenza. Il Governo, purtroppo, si è già contraddetto da quando ha presentato il disegno di legge finanziaria.
Qualche esempio. Il ministro dell'economia Padoa Schioppa si è contraddetto. Infatti, quando il 1o ottobre egli ha presentato la nota di aggiornamento del DPEF, che abbiamo esaminato in Commissione e poi in Assemblea, ha tracciato il quadro macroeconomico dell'economia italiana dicendo testualmente: l'economia italiana, dopo il positivo risultato del primo trimestre, ha consolidato la ripresa nel secondo; nel primo semestre lo sviluppo è stato trainato principalmente dalla domanda interna e dal recupero del settore estero.
Tre mesi prima, lo stesso ministro Padoa Schioppa, nella lettera introduttiva al DPEF del 7 luglio scorso, tracciava un quadro a fosche tinte rilevando: «(...) La combinazione di deficit elevato, esaurimento dell'avanzo primario e risalita del debito, configura una condizione insostenibile dei conti pubblici, rendendoli più vulnerabili all'aumento in corso dei tassi di interesse, alle pressioni del mercato finanziario internazionale e al giudizio - ascoltate - delle agenzie di rating». Si appellava, allora, il ministro, alle agenzie di rating, quelle stesse agenzie, come Standard & Poor's, che ieri hanno declassato l'Italia, definendo deludente ed inadeguata la manovra finanziaria 2007. Ma oggi il giudizio di Standard & Poor's non piace più al ministro Padoa Schioppa, che poco diplomaticamente lo bolla come un giudizio politico sull'Esecutivo e sulla maggioranza che non ha nulla a che vedere con le questioni economiche e dei conti pubblici. Ci domandiamo quando il ministro Padoa Schioppa accetti e valuti equilibratamente il giudizio delle agenzie di rating.
Si è contraddetto lo stesso ministro Bersani, che non smette di parlare di aggiustamenti e di modifiche per fronteggiare le proteste delle categorie che reagiscono all'iniquità della pressione fiscale. Il Governo farebbe bene a riscrivere la finanziaria e non lo diciamo soltanto noi dai banchi di Alleanza Nazionale e dell'opposizione: lo dice il presidente della Commissione attività produttive della Camera, fino a prova contraria membro della maggioranza, Daniele Capezzone, il quale di recente ha dovuto ammettere che il viceministro Visco riesce a passare dalla parte del torto anche quando persegue il legittimo obiettivo di lottare contro l'evasione fiscale. La pretesa del viceministro di svolgere il ruolo di paladino contro l'evasione fiscale è ormai clamorosamente emersa nelle reazioni dell'opinione pubblica e degli organi di stampa, nelle proteste delle categorie produttive e nelle piazze d'Italia che si sollevano contro il Governo Prodi.
La maggioranza ed il Governo sono in evidente contraddizione con se stessi. Recentemente il presidente dei senatori di Alleanza Nazionale, Altero Matteoli, presentando al Senato alcuni emendamenti su università e scuola, ha espresso una constatazione basata sulla sua lunga esperienza parlamentare che mi piace oggi ricordare. Egli ha detto: nella mia carriera ho visto 25 o 26 finanziarie e non mi è mai capitato ciò che vedo attualmente; quasi ogni giorno i numeri cambiano. Sappiamo tutti, infatti, che un giorno il Governo dicePag. 65che la manovra è di 33 miliardi, il giorno successivo di 40, per scendere a 25 e poi risalire ancora. Come se non bastasse, il Governo continua ad emendare il suo testo al quale, evidentemente, non crede più.
Nelle Commissioni riunite in questi ultimi giorni abbiamo assistito al balletto degli emendamenti del Governo e dei relatori, che hanno bloccato per giorni i lavori delle Commissioni stesse. Ciononostante, noi dell'opposizione abbiamo fatto la nostra parte con subemendamenti importanti, tali da essere accettati dalla maggioranza e dal Governo. Mi riferisco, ad esempio, all'emendamento di cui sono firmataria che tende ad elevare il valore del patrimonio esente dall'imposta di successione - voglio ricordare che questo Governo ha reintrodotto l'odiosa tassa sulle successioni e sulle donazioni, che il precedente Governo aveva abolito già a partire dal 2001 - facendolo passare da un milione di euro netti complessivi ad un milione di euro netti per ciascun beneficiario. Così facendo, si è ritenuto socialmente più giusto conteggiare nella percentuale di imposta una base più rispettosa della volontà del de cuius.
Dunque, la manovra è inadeguata ed ha prodotto l'isolamento politico del Presidente del Consiglio Prodi. Nel giro di due o tre settimane, il dissenso in termini politici, economici ed anche sindacali è ormai diventato un coro a più voci. È stato ricordato dalla Corte dei conti, dalla Banca d'Italia, dalla Confindustria, dalla Confesercenti, dai sindacati e chi più ne ha più ne metta.
Siamo di fronte ad una manovra che, come emerge sempre più chiaramente, è impostata prevalentemente sull'aumento delle entrate, ovvero sulla tassazione, e non sullo sviluppo, l'unico vero motore di rilancio dell'economia. D'altra parte, l'analisi critica del Governatore è l'ultima autorevole testimonianza, dopo quelle di CISL, UIL e Confindustria, dell'inadeguatezza dell'intera manovra e dell'isolamento del Governo che, a questo punto, dovrebbe responsabilmente aprirsi in Parlamento a modifiche sostanziali. Invece, probabilmente porrà la questione di fiducia, la settima in quattro mesi di governo del centrosinistra.
Infine, vi è qualcosa di culturalmente pericoloso nella manovra finanziaria, che va contro la società civile e la creatività, in altri termini contro lo sviluppo. Su questo vale la pena di ricordare l'esempio degli Stati Uniti, dove lo sviluppo è sempre dovuto alla nascita di nuove imprese. In proposito basta leggere i nomi delle industrie pubblicate su riviste come Fortune. Ebbene, confrontateli con quelli di dieci o quindici anni fra. È un rinnovarsi continuo della società, un dinamismo che suona condanna verso la staticità fiscale a cui ci inchioda la finanziaria 2007. Le nuove imprese, essendo all'inizio del loro business, hanno sempre dimensioni ridotte, cioè sono di piccola e media dimensione. Per crescere e svilupparsi, assorbono nuova manodopera e rappresentano il più efficace antidoto alla disoccupazione. Invece, le grandi imprese, quando hanno già raggiunto il successo economico ed assumono dimensioni gigantesche, sono sì strutture portanti dell'economia, ma creano altri problemi, dovuti inevitabilmente alla loro dimensione e ai loro apparati amministrativi. Sottolineo questo concetto perché è di tutta evidenza che lo sviluppo è sempre assicurato da chi è piccolo e vuole diventare grande. Chi lo è già, infatti, deve fronteggiare i problemi dovuti alle sue gigantesche dimensioni economiche, già consolidate, e finisce per avere problemi di riduzione di manodopera.
Puntare sullo sviluppo, quindi, vuol dire puntare sulle piccole e medie imprese, sul lavoro autonomo, sulla creatività e sull'imprenditorialità. Peraltro, il valore delle capacità imprenditoriali e delle idee è stato ricordato dal Governatore della Banca d'Italia Draghi, quando pochi giorni fa a Londra ha presentato i saggi di economia di Luigi Einaudi. «Soltanto la concorrenza tra persone, idee ed operatori» - diceva Einaudi - «genera il progresso, mentre è da evitare la regolamentazione eccessiva e le trincee che ostacolano il mercato».Pag. 66
Signor Presidente, vorrei concludere riaffermando il nostro giudizio fortemente negativo sul decreto in esame che, per la natura persecutoria ed ideologica cui è improntato, costituirà un serio ostacolo - questo sì - allo sviluppo economico della nazione.
PRESIDENTE. Salutiamo i membri dell'associazione culturale «Il Pennino» di Roma, che stanno seguendo i nostri lavori dalle tribune.
Constato l'assenza dell'onorevole Pili, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.
MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, l'esame del decreto-legge non può non tener conto di provvedimenti come il decreto Bersani ed il disegno di legge finanziaria che dovrà essere sottoposto all'esame di questo ramo del Parlamento. In particolare, il decreto-legge ed il disegno di legge finanziaria costituiscono l'ossatura non solo economica, ma anche politica delle scelte che questo Governo ha fatto ed intende adottare per la gestione del nostro paese.
È fin troppo facile e diventa quasi imbarazzante osservare come il decreto-legge ed il disegno di legge finanziaria smentiscano totalmente il precedente atto di questo Governo, vale a dire il documento di programmazione economico-finanziario, che del decreto-legge e del disegno di legge finanziaria dovrebbe costituire l'antecedente logico ed il presupposto giuridico indispensabile.
È ancora più imbarazzante osservare come l'azione di questo Governo si commenti da sé, quando anche i componenti dell'opposizione tacessero, perché tutte le promesse elettorali fatte ieri da Prodi sono diventate oggi le tasse di questo Governo!
Proviamo ad esaminare solo alcuni di questi punti, perché la trattazione completa imporrebbe a ciascuno di noi di parlare forse per 48 ore di seguito. Dobbiamo partire, come ordine metodologico, dallo strumento che è stato scelto. Al riguardo, siamo stati bravi anche noi e vi abbiamo indicato la strada. Si emana il decreto con cui si «portano a casa» i provvedimenti, per poi passare al disegno di legge finanziaria sul quale interviene il Parlamento, tanto voi raffinati, che avete la «pancia» del paese, con il decreto portate a casa quello che volete...!
Questo decreto-legge è particolarmente significativo perché, se con la posizione della questione di fiducia (spetta a voi scegliere il meccanismo opportuno) saranno approvate queste norme, riuscirete per due anni a non recarvi più nelle aule della Camera e del Senato e potrete continuare a governare, in termini di occupazione del potere che - mi dispiace dirlo - state dimostrando. Ho ben chiara la pesantezza di questa affermazione, ma non me ne viene in mente un'altra, dopo aver assistito ai dibattiti, anche appassionati, all'interno della stessa maggioranza sui provvedimenti economici in discussione.
È altrettanto banale dire che Prodi è tenuto in piedi dalle ali massimaliste della vostra coalizione. Certo, non è piaciuto a talune parti della vostra coalizione quanto è accaduto con le fusioni bancarie! Certo, non è piaciuta la questione relativa al piano Rovati! Certo, non vi aspettavate, voi della maggioranza e sicuramente noi all'opposizione, che questo paese avrebbe posto in essere nel 2006 una manovra classista, scontentando il vostro azionariato! L'interclassismo o l'odio di classe non appartengono più alla cultura di questo paese, se non alla frangia estrema di sinistra; non appartengono né all'elettorato di destra né all'elettorato di sinistra.
Voi ci dite che vi abbiamo lasciato un paese disastrato: siete ridicoli! Il paese è talmente disastrato che, con una somma massima di 15 miliardi di euro, sareste riusciti a rientrare nei parametri di Maastricht; o sbaglio, rappresentanti del Governo? Secondo l'Istat, non l'agenzia di promozione Berlusconi & C., già nel periodo da gennaio a giugno di quest'anno ci attestiamo sotto il 3 per cento.Pag. 67
Ebbene, voi, con 15 miliardi di euro, sareste riusciti a rientrare ampiamente nei parametri ed a fare anche politiche sociali, di sviluppo e di equità per il paese. Siete talmente ridicoli che nel fare una manovra, che sarà superiore ai 40 miliardi di euro - alle somme alle quali siamo giunti bisognerà pure aggiungere qualcosa per la nota sentenza europea in materia di IVA - dite (beffa delle beffe!) che le agenzie internazionali di rating hanno dovuto declassare il giudizio sul debito pubblico italiano. Voi riuscite ad imporre tasse sottraendo l'1,8 per cento di PIL, togliendolo a possibili consumi per far pagare tasse ma lasciando invariata la spesa pubblica, ovvero l'unico elemento sul quale si sarebbe dovuto agire. Credo voi siate riusciti in un compito meraviglioso.
Stupisce anche un'altra cosa. Io provengo da realtà di campagna dove vive gente molto semplice ed umile che mi guarda un po' esterrefatta per quello che accade. Siamo stupiti anche noi che sia arrivata persino a loro la percezione di quanti errori state commettendo, che non volete neanche provare a rimediare, e di quanto questa sensazione sia diffusa. Certo, vi va bene, anche perché non siamo in un momento elettorale. Tuttavia, il ministro dell'economia e delle finanze non può comportarsi come il professore al quale è stato dato l'incarico di tenere un corso universitario, e che si presenta in aula e spiega ai suoi discenti cosa c'è da fare; poi, se i discenti capiscono bene, altrimenti rimangono ignoranti. Il ministro dell'economia e delle finanze, che è uomo che aveva prestigio internazionale, sicuramente non può non vedere che questo è un punto di arretratezza per il paese e che la finanziaria che porterà il suo nome nega la sua esperienza quarantennale di economista stimato ed uomo del settore.
Voi siete riusciti a toccare tutto e il contrario di tutto. Avete reintrodotto l'imposta di successione, agendo sulle imposte catastali e di registro. Colleghi della sinistra, non vi vergognate per il fatto che, in campagna elettorale, Prodi candidamente sostenne che avrebbe diminuito l'ICI, perché avrebbe portato le rendite catastali da figurative ad effettive? Voi, ora, lo avete smentito perché avete capito che quella è la «pancia» di un paese nel quale l'85 per cento degli italiani sono proprietari della casa e, quindi, si troveranno ogni anno a subire salassi ulteriori non per avere il superfluo ma per mantenere lo stato di indipendenza che è dato dal possesso e dalla proprietà della prima casa.
Oggi dite di voler reintrodurre l'imposta di successione solo sui grandi patrimoni, ma voi non sapete quale sia l'Italia che produce. Sembra che siate vissuti tutti quanti sulla Luna. Non avete idea dei capannoni che sono l'oggetto dell'imposta di successione! State procedendo a tassare i mezzi di produzione, quelli nei quali le famiglie hanno investito e che sono il presupposto della non indigenza delle nuove generazioni.
Quanto al problema della casa, portate avanti una politica volta ad affidare il catasto ai comuni, per poi rivedere le rendite catastali.
Bravissimi. Ci spiegate, nell'illustrarci la bontà della vostra reintrodotta tassa di successione - che esenterebbe solo i patrimoni non milionari -, che interverrete sulle rendite catastali. Ma voi siete - e bene lo hanno rilevato le associazioni dei proprietari immobiliari - i precursori della trasformazione della rendita catastale da figurativa a reale; siete coloro che porteranno le famiglie di questo paese a vendersi il portoncino di ingresso per pagare l'ICI annuale: altro che sconti!
L'odio furioso nei confronti della classe media di questo paese vi ha portato all'aberrazione, da un lato, di consentire la deducibilità delle spese sostenute per frequentare le palestre - forse perché queste sono mediamente e massimamente arredate con prodotti (peraltro ottimi, ne possiedo anch'io a casa mia) Technogym -; dall'altro, di far pagare il ticket sul pronto soccorso, compiendo, invero, una speculazione sulla paura della gente. Vedete, tanto più è ingiusta la misura del ticket sul pronto soccorso quanto più sapete bene, voi che siete miei colleghi, che, se capita ad uno di noi di stare male, i mediciPag. 68vengono a casa mentre, se capita ad un disperato di temere per la propria salute, costui, o si reca al pronto soccorso o certo non riceve a domicilio la visita del medico.
Queste sono le ingiustizie sociali che state commettendo, in nome di una massificazione funzionale a cosa: alla redistribuzione della povertà?
E che dire delle sanzioni, oggi parzialmente riviste? Certo, siamo tutti evasori. Specie quanti non compiono il lavoro dell'operaio, siderurgico e metallurgico, impegnato nella fabbrica - ma dov'è, questa realtà industriale, in Italia? -; conseguentemente, se, per caso, un negoziante omette di rilasciare lo scontrino, il locale viene chiuso per un periodo da quindici a sessanta giorni: ma quanti lavorano in quei locali, non sono lavoratori, vero? Sono figli di un Dio minore, che non appartiene alla grande industria di questo paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia); grande industria che voi dovete aiutare - e noi siamo fieri di non averlo fatto, anche se ne siamo stati richiesti durante le elezioni comunali di Torino e le elezioni politiche passate - dando la mobilità lunga alla FIAT. Vergogna! Non si possono effettuare interventi tagliati su specifici soggetti, non si possono adottare misure per Merloni, per la FIAT o per Technogym; gli interventi per un paese si fanno per il paese!
Adesso siete buoni: non chiudete più l'esercizio, salvo che - grazie a Dio, lo avete capito - si verifichino un certo numero di inosservanze. Ma a monte, vedete, rimane questa idea perversa: siamo in un paese - voi pensate - in cui la destra difende gli evasori e voi, figli di un Dio maggiore, porterete la giustizia sociale. Siete dei fessi! Voi avete trovato la situazione dei conti pubblici totalmente diversa rispetto a quella che ci avete lasciato nel 2000, quando il 'vostro' Prodi aveva dichiarato che era sforato il tetto del 3 per cento. Oggi, voi avete trovato una situazione nella quale tutti asseriscono che non serve una manovra da 40 miliardi se non per scelte politiche redistributive. Accollatevele!
Del resto, non avevate bisogno ed avete avuto un extragettito; dunque mi dovete spiegare se il 'vostro' Visco è quello da noi conosciuto nel 2000 o se si tratta di un caso di omonimia. Vedete, il Visco del 2000 non riuscì a compiere la lotta all'evasione: non ci riusciranno Visco e l'atteggiamento di questo Governo del 2006. Non ci riusciranno perché la lotta all'evasione si fa - e mi pare strano che non lo comprendiate, visto che molti di voi hanno formazioni che non sono solo strettamente italiane ma sono anche europee e internazionali - creando un rapporto diverso con il fisco, il che non vuol dire non compiere gli accertamenti che tutti vogliamo.
Significa conoscere qual è il frutto degli accertamenti che vengono fatti e a monte di tutto, mentre si fanno gli accertamenti, bisogna indurre le persone a pagare le tasse. E le tasse si pagano quanto meno inique appaiono e quanto più appare proporzionato il servizio che lo Stato rende al cittadino. Invece voi avete un'altra idea: dacci i tuoi soldi! Dacci i tuoi risparmi, perché noi, cioè lo Stato, sappiamo cosa farne! Ma non avete capito che questo non piace, non solo al popolo italiano, ma a nessun individuo da nessuna parte della terra? Nessuno di noi è disposto a delegare ad un altro, e l'altro è questo settore pubblico italiano, al quale non si mette mai mano, anche perché retaggio di scelte politiche compiute negli anni e di assunzioni facili, che venivano fatte perché vinceva un partito piuttosto che un altro, per cui bisognava riempire non solo lo Stato, ma anche le banche. Quanti salvataggi di banche, che, dopo le elezioni, vedevano arrivare 30 di un partito, 20 di un altro, 15 di un altro ancora! Queste sono le sfide reali del nostro paese! Il resto è rappresentato da bugie pietose, che noi possiamo raccontare e mantenere, ma che sicuramente non convincono in primo luogo le nostre coscienze. E sono certa che molte coscienze sono toccate anche nella maggioranza.
Cosa dire di questo decreto-legge, che porterà nella «pancia» una delega per laPag. 69tassazione dei risparmi? Vi ricordate cosa diceste? Non toccheremo i vostri risparmi!
Per noi, ma anche per la sua formazione, signor rappresentante del Governo, il risparmio non esiste, se non è stato oggetto prima di una produzione tassata. L'atteggiamento che state mettendo in essere mi ha indotto questa estate a chiedere a mio padre il motivo per il quale lui e mia madre ci hanno insegnato che bisogna spendere 95 se si guadagna 100, prevedendo che, nella vita, possa esserci un momento in cui una persona non ce la fa, sta male e ha una difficoltà. Perché non ci avete educato a tendere la mano - ho chiesto a mio padre -? Questo è il comportamento sta dietro ai vostri ragionamenti.
Infatti, se andate ad esaminare quello che state facendo, vi accorgerete che il vostro comportamento è quello dei soggetti che devono mettersi con il cappello in mano a chiedere, della discriminazione vessatoria nei confronti di coloro che dignitosamente hanno cercato di non dover chiedere.
Avete introdotto una misura sul lavoro che è ridicola; siete arretrati culturalmente di almeno dieci anni! Il problema dell'occupazione dieci anni fa, in Italia, forse era solo in termini di costo del lavoro, ma oggi è in termini di flessibilità. Ma quando mai l'imprenditore italiano potrà competere con un imprenditore dell'est sul costo del lavoro! Ma non avete visto che l'elemento discrezionale, che consente invece di riemergere, è rappresentato dalla flessibilità del lavoro? Anziché esaminare quello che noi non avevamo fatto e che ancora manca in questo paese - cioè agire sulla flessibilità per la creazione di quei necessari e doverosi (sui quali noi abbiamo mancato) ammortizzatori sociali -, voi andate a «irrigidimentare»! Va benissimo, l'abbiamo prevista noi la prima riduzione di un punto del cuneo fiscale; voi adesso gliene date due - altro che cinque! -, ma nel frattempo irrigidite.
Provate a chiedere a qualche vostro amico (che, ancora, produce e non tende la mano) se, irrigidendo il rapporto di lavoro, si dia la possibilità di competere con altre realtà o se basti la riduzione del costo del lavoro. Avrete da tutti una risposta secca: no!
E che dire del TFR? Già dal cosiddetto decreto Bersani si vedeva che al di là della «triplice» non sapete andare, per cui tutti gli altri soggetti, numericamente di più, che non stanno sotto quel cappello non interessano. Siete riusciti a compiere un'operazione sul TFR che Tito Boeri, certo non vicino alle mie opinioni politiche, definisce operazione di «finanza creativa». Non amo questo termine, ma siete riusciti a prendere il TFR (che forse non è delle imprese, forse è più dei lavoratori, ma sicuramente non è dello Stato) a creare un debito dello Stato verso i soggetti titolari, cioè i lavoratori. Non lo mettete neanche tra le poste negative e sapete perfettamente (lei, signor rappresentante del Governo, per la sua esperienza professionale, può darmi lezioni) che quel debito che è stato creato costerà molto di più che non finanziarsi, come lo Stato prevede che ci si finanzi: con le emissioni di titoli pubblici. Ci pensavate così burini e cretini da non capire l'operazione? Siamo veramente «trinariciuti»? Il nostro elettorato è solo di «pancia» e solo a voi appartiene la capacità di analisi?
Il dato più sconvolgente del paese è un sindacato che non tutela il lavoro, non tutela chi non ha il lavoro o ha difficoltà di accesso, non tutela le reali categorie prorompenti della società - i giovani e le donne -, ma tutela le situazioni di quieto vivere dei propri iscritti, dai quali ancora percepisce un'elargizione, non so se mensile o annuale (ho la fortuna di non essere mai stata iscritta ad un sindacato, di non averne mai dovuto subire l'iscrizione), e tace. Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se noi ci fossimo appropriati del TFR.
Questo è il discorso a valenza più generale, poi vi è quello relativo alle imprese che, fino ad oggi, lo hanno utilizzato per ottenere liquidità e che, probabilmente, con i nuovi e più stretti parametri necessari per far ricorso al credito,Pag. 70quali derivanti dall'applicazione di Basilea 2, non riusciranno più a finanziarsi.
Cosa avete dato alle imprese rispetto al vostro progetto elettorale? Non i cinque punti secchi del cuneo fiscale, che - ricordo - il Presidente del Consiglio aveva promesso che avrebbe realizzato nei primi cento giorni. Alle imprese avete detto che se volevano la riduzione del cuneo, gli avreste sottratto il TFR. Ma questo non è il gioco delle tre carte. Siamo in un paese che vuole avere la dignità di continuare ad essere un paese.
Signor Presidente, quanto tempo ho ancora a disposizione?
PRESIDENTE. Cinque minuti, onorevole Armosino.
MARIA TERESA ARMOSINO. Grazie, signor Presidente, troverò ancora qualche argomento che mi appassiona a sufficienza.
Che dire, poi, di un problema nel quale non entro mai? Ciascuno di noi porta dentro ciò che è il suo vissuto: io non mi sono mai occupata di autostrade e concessioni perché sono materie proprio diverse da quello che mi appassiona, in quanto vi girano troppi soldi. Io sto dalla parte degli ultimi, pur stando da questa parte politica. Tuttavia, non vi nascondo che ho assistito con un certo imbarazzo, durante l'esame del decreto-legge, a questo «va e vieni» di formulazioni dell'articolo 12 sulle concessionarie. Ma davvero voi, uomini d'intelletto, a prescindere dalle altre considerazioni nelle quali non intendo entrare - e spero di non avere mai ragione di entrarvi in funzione della mia attività politica -, volete che questo Parlamento sia ridotto a modificare con una legge i contratti conclusi nel nostro paese? Sapete che cosa significhi questo sul piano della credibilità dell'Italia e quale presupposto e precedente possa creare nei confronti di chiunque voglia venire in questo paese ad investire? Dimenticavo però che non bisogna astenersi dal chiedere: dovremmo metterci - grazie a Dio non ancora genuflessi - a chiedere che questo Governo agisca per noi e ci costringa a fare studiare i nostri figli per prendere una laurea in farmacia per poi vendere acciughe, come risulta da dichiarazioni di Bersani in quest'aula.
Ebbene, questa è la situazione che abbiamo di fronte oggi con questa manovra finanziaria. Quella che avete fatto è davvero una scelta di campo: a prescindere da chi vincerà o perderà le prossime elezioni, interessa piuttosto il fatto che anche voi siete i genitori di una futura generazione che voi stessi renderete sicuramente più povera e che farete tornare anacronisticamente a quei periodi in cui il figlio dell'operaio faceva l'operaio e il figlio dell'imprenditore l'imprenditore. Voi avete negato e state negando anche la grande rivoluzione repubblicana che è accaduta in questo paese e che ha consentito di fare l'avvocato ed altro a chi, come me, era figlio di contadini (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.
DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli ultimi avvenimenti politici, ed in particolare la presentazione di un disegno di legge finanziaria che certo peggio non poteva essere concepito, hanno allarmato e stanno allarmando sempre più gran parte dell'opinione pubblica, a partire dai vertici dell'economia e dell'industria fino ad arrivare ai semplici cittadini.
La sinistra ha confermato di essere il partito delle tasse, e cercherò di dimostrarlo. Le menzogne raccontate da Prodi in campagna elettorale sono state smascherate: l'opinione pubblica se n'è accorta ed è in fermento. Non solo i cittadini che hanno votato noi, ma anche una parte sempre più ampia del vostro elettorato di centrosinistra si sente tradito dall'operato del Governo e guarda al futuro con preoccupazione. Il Governo Prodi ha mostrato la propria prevedibile fragilità con il continuo ricorso ai voti di fiducia sui temiPag. 71principali dell'agenda politica, e un altro già se ne preannuncia.
L'Italia ha un problema di spesa pubblica eccessiva, lo sapevate ed il vostro Governo ne era ben conscio. Inoltre, lo aveva indicato chiaramente nel documento di programmazione economico-finanziaria, ma il disegno di legge finanziaria varato dal Consiglio dei ministri, facendo un brusco dietro front, aumenta le entrate anziché tagliare adeguatamente le spese. La qualità dell'aggiustamento, cioè il mix tra maggiori entrate e minori spese è colpevolmente sbilanciato a favore delle prime. Questa manovra finanziaria è composta prevalentemente, fino a sfiorare l'80 per cento, da entrate aggiuntive. A proposito, ma a quanto ammonterà alla fine questa manovra? Ogni giorno assistiamo ad un balletto di cifre che sgomenta i cittadini.
Il documento di programmazione economico-finanziaria, il cosiddetto decreto Visco-Bersani, il provvedimento oggi al nostro esame e la manovra finanziaria (che, ormai, è oggetto di discussione sia nei luoghi deputati, sia al di fuori di questi) sono, di fatto, un tutt'uno, per cui è difficile parlare dell'uno senza incrociare l'altro.
Con tali provvedimenti, il Governo ha ideato un perverso sistema di controllo sulla vita di ogni cittadino, che prefigura la creazione di un vero e proprio Stato di polizia, nel quale ciascuno sarebbe sottoposto a controlli spietati e ad una serie infinita di verifiche burocratiche, nonché di assoggettamenti fiscali.
Ricorderete che quando, in questa Assemblea, abbiamo esaminato il Documento di programmazione economico-finanziaria, nel confronto tra voi e noi dell'opposizione si manifestarono con forza due visioni di politica economica e sociale, le quali erano già emerse, peraltro, durante la scorsa campagna elettorale: la vostra e la nostra.
Soprattutto, però, sia all'interno delle aule parlamentari (deputate specificamente allo svolgimento di tale confronto), sia in quelle che, ormai, sono diventate le vere sedi della discussione politica (mi riferisco ai giornali ed ai salotti televisivi), nel dibattito che fino ad oggi vi è stato sono emerse, in maniera fortissima e violenta, le contraddizioni che la maggioranza presenta al proprio interno, e non solo su tale materia.
Ricordo, altresì, che il ministro Padoa Schioppa dichiarò - e, in questo caso, evviva la sincerità -, presso le Commissioni bilancio e finanze, che l'ultima legge finanziaria di Tremonti, in fondo, era buona e costituiva un buon punto di partenza per lavorare nei prossimi cinque anni.
Mi domando, allora, come ciò si concili con le critiche che la maggioranza esprime in difesa di se stessa, affermando proprio in queste ore, ad esempio, che il declassamento così eclatante, da parte delle maggiori agenzie di rating, della situazione economica italiana prodotta dall'attuale manovra finanziaria, in aggiunta alle severe critiche già precedentemente espresse dalla Corte dei conti e dal Governatore della Banca d'Italia, sarebbe colpa di quanto precedentemente compiuto dal Governo Berlusconi. In altri termini, essa sarebbe il frutto dell'eredità da voi ricevuta.
Va ricordato al Governo attualmente in carica, tuttavia, che l'eredità di cui parlano, che hanno ricevuto dall'Esecutivo di centrodestra, ha prodotto un non scarsamente rilevante aumento delle entrate nelle casse dello Stato. Finitela, allora, di addossare ad altri gli effetti negativi che le vostre azioni, i vostri comportamenti e le vostre decisioni hanno causato, stanno causando e causeranno al paese, poiché sono dettati dalla vostra incapacità di garantire un'amministrazione lungimirante!
Non riesco a comprendere, inoltre, come si concili la valutazione espressa dal ministro in sede di Commissioni con queste nuove considerazioni. Il ministro Padoa Schioppa, infatti, sempre nel corso delle citate audizioni, negli atti formalmente depositati ha finalmente riconosciuto, dopo anni di mistificazioni, che durante i nostri cinque anni di governo abbiamo elevato, ad esempio, la spesaPag. 72sociale dal 22 al 23,7 per cento, nonché la spesa sanitaria dal 5,8 al 6,7 per cento del prodotto interno lordo.
Debbo sottolineare in questa sede, anche in qualità di componente della Commissione affari sociali della Camera, che il ministro Padoa Schioppa ha messo in difficoltà alcuni colleghi della maggioranza quando ha affermato che, in campo sanitario, il modello da seguire è quello delle regioni del nord, citando il Veneto, la Lombardia e l'Emilia-Romagna.
L'aspetto fondante del decreto-legge in esame, signor Presidente ed onorevoli colleghi, come del resto del disegno di legge finanziaria per il 2007, è quello di una ristatalizzazione del nostro paese, attraverso una fortissima imposizione fiscale. Con ciò, di fatto, voi siete in pieno errore, poiché l'aumento di 2 punti percentuali del PIL della pressione fiscale - che nelle vostre intenzioni doveva colpire solamente i professionisti, gli artigiani ed i commercianti - in realtà interessa una larga fascia di cittadini, fino a superare l'80 per cento! Peraltro, avete fatto anche male i conti!
Vorrei osservare che, a causa dell'ossessiva preoccupazione di assicurare ogni più minuziosa forma di controllo, nel segno della più pura oppressione fiscale, si realizza la definitiva rottura del rapporto di fiducia tra fisco e contribuente. Si levano copiose proteste contro le misure adottate per contrastare l'evasione fiscale attraverso, ad esempio, il controllo sui conti di tutti i cittadini italiani, con efficacia retroattiva fino al 1o gennaio 1999.
Il decreto-legge al nostro esame, così come il noto decreto Visco-Bersani, è imperniato su una sola misura: tasse, tasse ed ancora tasse! Con una mano date uno, ma con l'altra prendete quattro! A voi piacciono le tasche dei cittadini, a noi no! Ricordate le promesse elettorali? Il motivo ricorrente era che non sarebbero state inasprite le imposte (era anche il vostro motivo, e non solo il nostro).
Ecco qual è la vostra risposta: aumentate le imposte ipotecarie, quelle di registro, gli estimi catastali (e, conseguentemente, i tributi sulla casa) e le imposte sia dirette, sia indirette. Ovviamente, salirà anche l'ICI ed aumenterà la tassa sui rifiuti. Voi reintroducete la tassa di successione e quella sulle donazioni, obbligando altresì tutti i cittadini a stipulare l'assicurazione sugli immobili contro le calamità naturali, quasi fosse colpa loro nel caso si verificassero tali eventi! Aumenteranno, inoltre, l'IRES e l'IRPEF per tutti, mentre salirà la pressione fiscale sia per le piccole imprese, sia per gli operatori del settore agricolo.
Avete visto, nei giorni scorsi, che sono scesi in piazza migliaia di professionisti, che mai avevano manifestato in questo modo. Nel corso delle audizioni, tutti gli auditi hanno pesantemente contestato i vostri provvedimenti di bilancio. Moltissime categorie sono in agitazione. Gli enti locali, i sindaci e i presidenti di provincia, salvo due o tre, minacciano di portare le chiavi del municipio qui in Parlamento. Il Governatore della Banca d'Italia ha detto che nulla di strutturale è contenuto in questo disegno di legge finanziaria. I cittadini non sono più con voi, neanche la parte che vi ha votato.
Riscrivete, allora, la finanziaria. Abbiate questo coraggio! La lettura quotidiana dei giornali è sconcertante e, forse, dovrebbe spingere a riflettere su ciò che state attuando. Così titolano i giornali di oggi: La Stampa: Bocciata l'Italia, troppi sprechi; la Repubblica: Conti, Italia declassata; il Corriere della Sera: L'Italia declassata per i conti pubblici.
Cosa volete di più? Dovete assumervi la responsabilità. Non raccontate finte storie dicendo che è colpa degli altri. I conti pubblici vengono bocciati diffusamente. Questi conti pubblici, questa finanziaria, questo decreto, tutti questi provvedimenti portano e hanno portato al nostro declassamento.
Voglio soffermarmi su alcuni articoli che non sono stati affrontati adeguatamente.
Rispetto all'articolo 27 di questo decreto-legge abbiamo presentato un emendamento per precisarne la vera intenzione e il contenuto. Si tratta di un emendamento che vuole chiarire con fermezza che, soprattutto nei messaggi istituzionali diffusiPag. 73su richiesta della Presidenza del Consiglio dei ministri sugli organi di informazione che ricevono contributi statali, non deve essere presente alcun elemento che possa in qualsiasi modo evidenziare il pensiero politico e ideologico del proprio schieramento, con la conseguente demonizzazione dell'avversario politico. Questo chiarimento è doveroso, visto che questo Governo, in soli tre mesi, ha dimostrato e continua a dimostrare di voler avere il controllo assoluto su ogni cosa e di essere prigioniero di quella sinistra radicale che è espressione del comunismo per eccellenza. L'intero paese si è accorto che questo Governo sta facendo acqua da tutte le parti e teme per il suo futuro. Quindi, è indubbio che questo Governo utilizzerà questo strumento per diffondere le proprie posizioni, cercando di seppellire il seme liberista e libertario del messaggio di questi cinque anni in cui il centrodestra ha governato.
Con riferimento all'articolo 32, abbiamo proposto un emendamento soppressivo, perché questo articolo costituisce un altro segnale tangibile dell'illiberalismo di cui questo Governo ormai è l'emblema, perché si pongono ostacoli alla libera circolazione delle informazioni e della cultura, colpendo soprattutto i privati cittadini, che sarebbero costretti a pagare per la riproduzione, anche parziale, di un articolo di rivista o di giornale. Voglio ricordare una legge approvata certamente in un periodo non democratico, nel 1941, la legge n. 633, modificata da questo assurdo articolo del decreto-legge fiscale. Quella legge risulta essere di gran lunga più democratica, perché permette al pubblico la libera riproduzione, se non espressamente riservata, di articoli di attualità, di carattere economico, politico o religioso pubblicati nelle riviste o nei giornali, purché si indichi la fonte da cui sono tratti. Noi proponiamo la soppressione di questo articolo, perché l'informazione deve essere alla portata di tutti e non soltanto di coloro che se lo possono permettere dal punto di vista economico. Si tratterebbe di fare un enorme passo indietro, espressione di un regime che noi non tolleriamo e al quale ci opponiamo.
Per quanto concerne l'articolo 41, chiediamo la soppressione del comma 4, che prevede l'abrogazione dell'articolo 1, comma 309, della legge finanziaria per il 2006, con cui si escludevano, per il periodo 2006-2008, gli organi dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali dall'applicazione della disciplina generale sulle norme soggette al vaglio del Governo all'inizio legislatura. Con tale disposizione, si intendeva garantire, con carattere di continuità, la realizzazione del programma di attività connessa allo specifico piano di lavoro finalizzato allo svolgimento dei compiti per la riduzione delle liste di attesa. La norma che si vuole introdurre è un'ulteriore dimostrazione dell'applicazione del cosiddetto spoil system, il più spietato, volto esclusivamente a favorire una ideologia di partito, senza tenere conto della professionalità e della competenza del personale già incaricato di delicati compiti che richiedono continuità, preparazione e valenza scientifica.
Voglio qui ricordare la brutta figura del ministro della salute Turco rispetto all'affare Cognetti.
Il partito che rappresento - in conclusione -, signor Presidente, onorevoli colleghi, è un movimento autenticamente liberale, che opera per una società dinamica, liberata davvero da vincoli e rendite, capace di produrre e distribuire nuova ricchezza. In quanto tale, Forza Italia si oppone con determinazione a questi due provvedimenti e alle forze illiberali dell'Unione che vogliono imbrigliare le attività economiche con norme invasive senza precedenti e predisporre le condizioni per una diffusa tassazione patrimoniale, nascondendo tutto ciò con la promessa di piccole ma fasulle liberalizzazioni di alcuni servizi marginali.
Il vostro obiettivo è quello di portare il paese indietro di anni, riportandolo vicino ad una sovietizzazione, ad esempio, dell'informazione televisiva. Non solo non avete più i numeri per governare, ma non avete più neppure la metà del paese che vi ha votato: tutte le associazioni e le categoriePag. 74professionali, i cittadini, sono ormai contro di voi! Ed allora, fate spazio a chi ha dimostrato attraverso le riforme di volere un'Italia moderna, dinamica e meritocratica, non colpendo i cittadini con tasse insensate e ingiuste, come quelle previste dal decreto-legge in esame e dal disegno di legge finanziaria che noi non approveremo.
PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Lupi, iscritto a parlare, ha rinunziato ad intervenire.
È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ci troviamo in quest'aula, ormai semideserta, ad affrontare l'ultima parte della discussione generale del decreto-legge fiscale connesso alla manovra finanziaria.
Innanzitutto, credo sia opportuno svolgere qualche considerazione di carattere generale sul disegno di legge finanziaria e sul provvedimento in esame ad esso collegato, perché riteniamo si tratti di una operazione eccessiva in termini economici e fortemente invasiva dal punto di vista politico.
Si è detto - a ragione - che tale manovra, da un lato e in piccola parte, va nel senso dell'aggiustamento dei conti di finanza pubblica, ma dall'altro principalmente tenta di ridisegnare, secondo linee politiche e direttrici ben chiare e precise, non certo appannaggio del centro del centrosinistra, ma dettate sostanzialmente dalla sinistra del centrosinistra e dal sindacato, in un'ottica redistributiva relativamente ai redditi degli italiani e alle dinamiche produttive del paese.
Non è un caso che le agenzie Standard & Poor's e Fitch Ratings ci declassino, come ricordava bene il collega Di Virgilio, richiamando le prime pagine dei quotidiani di oggi, anche di quelli che non sono lontanamente sospettabili di essere simpatizzanti dell'opposizione parlamentare. Si tratta di un dato politico ed economico grave con ripercussioni sull'economia, sullo sviluppo del paese, sul mercato internazionale e su quello interno.
È evidente che è una situazione difficile: essere nella categoria «A+», insieme alla Malaysia e al Botswana, non è certo un elemento di prestigio di cui il ministro dell'economia Padoa Schioppa possa vantarsi in Europa o il ministro degli esteri e il Presidente del Consiglio in giro per il mondo.
È un segnale molto forte lanciato dalle agenzie di rating internazionali constatando che non vi è declino (con una brutta retorica che ci ha accompagnato dalla scorsa legislatura), ma una situazione di difficoltà, di immobilismo e addirittura di retromarcia rispetto ad un percorso di sviluppo del paese.
Più dei titoli dei quotidiani è esemplificativa una vignetta di Giannelli - la satira politica con la sua sintesi e immediatezza molte volte rende meglio di tanti interventi o articoli - in cui cui Prodi, seduto su un treno in prima classe, vicino a Chirac, Tony Blair e ad Angela Merkel, ammonito dal controllore ad andare in seconda classe, si rifiuta dicendo che la colpa è di Berlusconi. A quel punto Tony Blair sentenzia: il solito italiano che vuole fare il furbo! Ecco: a noi sembra che in questa occasione il Governo voglia fare il furbo.
Il Governo deve prendersi le sue responsabilità per l'impianto che ha dato alla manovra finanziaria, che non abbiamo avuto ancora il piacere di conoscere nella sua definitiva formulazione.
Anche questo decreto-legge presenta delle incognite, non ultima quella legata alla delega ed alla possibilità che venga inserito nel maxiemendamento del Governo un aumento del 60 per cento dell'aliquota sulla rendita, sul risparmio.
Mi associo alla questione sollevata dal collega Della Vedova e ripresa anche dal collega Giachetti: sarebbe importante riuscire a capire - mi rivolgo al membro del Governo presente, solitario ed isolato, in aula - quale sia la vera intenzione del Governo. Ciò, al di là dell'incubo, del presagio che aleggia sempre su quest'aula e su tutti i dibattiti che hanno caratterizzato i provvedimenti esaminati fino ad oggi: quello della questione di fiducia. Fanno eccezione solamente queiPag. 75provvedimenti largamente condivisi come quello relativo all'abolizione della pena di morte nella Costituzione.
Circa il grave dato relativo al blocco dello sviluppo del sistema paese, tutti quanti ci siamo esercitati nel verificare i possibili meccanismi per il rilancio della competitività dell'impresa, lo snellimento e la maggiore efficienza delle pubbliche amministrazioni; invece, ci troviamo di fronte a manovre che dal punto di vista politico e fiscale bloccano il paese.
È evidente che la costruzione ed il rafforzamento dei meccanismi fiscali e tributari, attraverso cui ci si prepara alla costruzione di una vera e propria inquisizione fiscale verso i cittadini e le imprese, non rappresentano garanzia di sviluppo. Probabilmente, essi non rappresentano nemmeno garanzia di lotta al sommerso, di recupero dell'evasione fiscale; stiamo semplicemente parlando della creazione di un impianto che vede lo Stato esercitare il suo potere sovrano e feudale contro il cittadino, non titolare di diritti, ma suddito.
Potremmo dilungarci anche sulla questione relativa ai controlli più stringenti, per i quali vi dovrebbe essere una collaborazione con gli operatori tributari. Tutto, invece, viene riversato sulle agenzie di riscossione e sui poteri degli agenti di riscossione, che non sono dipendenti pubblici - come ricordato anche dal collega Conte -, ma ex dipendenti di banche. Uno Stato di polizia tributaria non è uno Stato libero: si sta per cadere nell'opprimente solco a cui sottende una logica pregiudiziale che inquadra, già in partenza, il cittadino, l'imprenditore e tutto il ceto produttivo come presunti evasori.
Vi è poi la questione legittima sulla privacy, che va sollevata in ordine non soltanto al decreto-legge fiscale, ma anche ai controlli incrociati inseriti nell'articolato della legge finanziaria. Si sta costruendo un blocco invasivo e di controllo sulle tasche, sui conti, sulle carte di credito dei cittadini, e nuove tasse vengono introdotte. Un nostro studio ci ha fatto sapere che, tra aumenti e nuove introduzioni, si sta andando incontro a, più o meno, settanta nuove tasse. Il decreto-legge, da questo punto di vista, è inquietante: aumento garanzia per depositi fiscali a fini IVA; aumento aggio riscossione a carico del contribuente; ammortamento immobili in leasing; ammortamento spese per oggetti d'arte, antiquariato, collezione; pronti contro termine; incremento imposta sostitutiva per cessione a titolo oneroso d'immobili e terreni; catasto categoria E; catasto terreni; rendite catastali categoria B; imposta di registro successioni e donazioni. Inoltre, imposte ipotecarie e catastali, successioni e donazioni, aumento del prezzo del diesel per autotrazione, tasse ipotecarie, tributi speciali catastali, compenso agli editori per la riproduzione di articoli, riviste e giornali, con l'esclusione dall'obbligo del compenso per le amministrazioni pubbliche (e non si capisce se, su questo punto, vi sarà una retromarcia). Questo è il senso del provvedimento; e ciò ci preoccupa.
I nostri elettori ci hanno conferito un mandato parlamentare e politico (mi riferisco, in particolare, al mio mandato e al mio partito, e agli elettori marchigiani che mi hanno eletto) che ci impone di difendere il cittadino contribuente da tutto questo.
Per quanto riguarda i meccanismi di compensazione, si afferma che il disegno di legge finanziaria è stato scritto «a braccetto» con il sindacato. Ma quando all'articolo 1, comma 15, si prevede che il sistema di versamento unitario di compensazione si applica anche alla riscossione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti alle associazioni sindacali a carattere nazionale, viene da riflettere. Quale attenzione può esservi al ceto produttivo, al popolo delle partite IVA?
Questa manovra - lo ricordava qualche collega intervenuto in precedenza - è segnata da un peccato originale: intanto, quello di essere stata scritta da una maggioranza parlamentare che ha prevalso di un'inezia dal punto di vista elettorale (per 24 mila voti, peraltro contestati). Ed è stata scritta, al di là delle possibili incompatibilità con il documento di programmazione economico-finanziaria, nel solcoPag. 76della logica politica che ha ispirato il cosiddetto decreto Visco-Bersani. È una logica politica che va contro l'altra metà degli italiani che il centrodestra rappresenta. Ma il paradosso è un altro: rappresentando solo metà degli italiani, questo Governo li ha colpiti tutti.
Qualche collega ricordava prima che vi è stata una grande mobilitazione da parte delle categorie, delle associazioni, del ceto produttivo: tutti si sono dimostrati scontenti, anche settori della maggioranza parlamentare e presidenti di Commissione. Oggi, il presidente Folena è intervenuto in materia finanziaria dicendo che non si possono tagliare le spese per la scuola.
Insomma, avete condotto una campagna elettorale sul tema della scuola ed avete attaccato il Governo precedente con argomenti quantomeno improbabili. Infatti, durante il Governo Berlusconi vi è stato un aumento della spesa nel settore della scuola, anche con una notevole assunzione di lavoratori precari. Si conduce una grande battaglia sulla scuola pubblica, affermando che servono più risorse per l'istruzione, per la formazione del capitale umano, per i nostri studenti, per il futuro del paese, e poi si effettuano tagli di spesa sul sistema della scuola, sulla ricerca, sull'istruzione e l'università.
Tuttavia, non si vede il sindacato in piazza, perché con il sindacato avete definito il disegno di legge finanziaria. Non si vedono gli studenti in piazza perché, siccome le associazioni studentesche sono finanziate dai sindacati ed hanno sede nelle sedi di questi ultimi, probabilmente non viene stimolato questo elemento di criticità nei confronti della manovra finanziaria.
Anche dal punto di vista del lavoro, permettetemi una riflessione. Diceva bene la collega Armosino: si sta cercando di compiere un'operazione contraria alla logica e al buon senso, che va nel segno dell'irrigidimento della flessibilità del sistema del lavoro, che è stata garanzia di accesso al mondo del lavoro per una quantità di nuovi soggetti, in particolar modo giovani, nel corso degli ultimi anni. E la paternità di tale flessibilità non è stata certo del Governo Berlusconi. La paternità della flessibilità è stata del Governo Prodi, e mi riferisco al cosiddetto pacchetto Treu, che ha permesso «l'esplosione» dei contratti a tempo determinato, alcuni dei quali senza garanzie; garanzie che, poi, sono state introdotte nel sistema dalla cosiddetta legge Biagi.
È stata quella l'esplosione del lavoro flessibile, che oggi una parte della vostra maggioranza chiama precariato. La grande minaccia quindi diventa l'incubo del precariato, non la possibilità di sottrarre al sommerso e al lavoro nero tutta una fascia di individui e di mercato del lavoro, che invece sarebbero emersi, come, in qualche modo, è avvenuto in questi anni. Aumentando i contributi per i lavoratori parasubordinati, si disincentiva l'impresa alla loro assunzione. Se si considera il percorso di questo tipo di lavoratori e, a maggior ragione, degli apprendisti, in particolare, di quelli dell'artigianato, si scopre che questo genere di meccanismi di flessibilità portano ad un lavoro stabile.
Allora, che convenienza ha il Governo nell'aumentare i contributi per queste fasce; che convenienza ha nel rendere questo lavoro più costoso e meno conveniente per i datori di lavoro e per gli imprenditori? È una manovra di carattere ideologico, pregiudiziale. In questo senso, essa rischia di avere ripercussioni dannose sul settore del lavoro, sulla produttività e sulle nuove generazioni. Infatti, la grande sfida della competitività - ne abbiamo discusso per anni: sono dieci anni che si svolgono convegni in tutta Italia su questo tema - è sul costo del lavoro. La competitività è mettere in discussione e affrontare il problema della migrazione delle nostre imprese o della concorrenza dei nostri prodotti. E non è questa, esponenti del Governo, esponenti della maggioranza, la ricetta per riuscire a risolvere questo problema! In tutto questo, nella costruzione della grande inquisizione fiscale, nella introduzione di nuove gabelle, nell'aumento di alcuni tributi e nell'aumento di tante altre cose, c'è anche lo spoilPag. 77system. Ci sono anche le piccole norme, come dire: i favori agli amici, le rottamazioni.
Insomma, non abbiamo parole per definire lo scontento che abbiamo nei confronti di questo decreto fiscale e dell'impianto generale della finanziaria. Il commissario Almunia ci informa che tiene l'Italia sotto controllo e che guarda con grande attenzione a ciò che sta succedendo. Ecco, non solo il commissario Almunia guarda a ciò che sta succedendo in Italia, ma anche l'opposizione tiene gli occhi aperti, vi osserva con grande attenzione. I cittadini vi osservano con grande attenzione, perché non siamo più negli anni cinquanta o sessanta. Ciò che si dice in queste aule, ciò che succede nelle Commissioni, è pubblico, è chiaro. I cittadini sanno leggere, sanno leggere la finanziaria, sanno fare i loro conti e sanno farsi i conti in tasca. È per questo che noi facciamo qui la nostra battaglia, ma anche fuori dalle aule della Commissioni e del Parlamento, perché siamo convinti che Prodi si sia preso un po' troppo alla lettera affermando che, quando si scrivono i provvedimenti finanziari, quando si scrive una legge finanziaria, non si può accontentare tutti. Questo, chi ha governato per cinque anni lo sa! E noi abbiamo governato per cinque anni, con l'orgoglio di essere riusciti a portare a termine un progetto, che ha dato a questo paese slancio e un po' più di mercato. E non ci siamo trovati mai in situazioni come queste! Anche perché, tutto ciò è accompagnato da un altro curioso elemento: la perdita verticale di consenso del Governo. Se in primavera questa maggioranza parlamentare, che non è maggioranza nel paese, rappresentava la metà del paese, oggi neanche questo si può più dire. Tuttavia, siamo convinti che quello che dice Prodi in parte sia vero. Quando si scrive la finanziaria, non si può accontentare tutti: noi non abbiamo accontentato gli amici o gli amici degli amici. Ma ci rendiamo conto che il Presidente del Consiglio si è preso un po' troppo sul serio, perché non solo ha voluto evitare di accontentare tutti, ma addirittura ha commesso l'eccesso opposto: ha scontentato tutti e non ha accontentato nessuno.
Questo è un prezzo che nella politica si paga e ci auguriamo che questo Governo paghi questo prezzo prima possibile.
PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Leone, iscritto a parlare, ha rinunziato ad intervenire.
Constato altresì l'assenza dell'onorevole Galletti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1750)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la V Commissione, onorevole Di Gioia.
LELLO DI GIOIA, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Sartor, che ha dovuto ascoltare con tanta pazienza i molteplici interventi dell'opposizione. Mi limiterò a svolgere alcune considerazioni, in quanto ritengo sia opportuno chiudere questa discussione perché ne abbiamo già sentite molte!
È come se questo Governo cominciasse dall'anno zero, senza considerare quanto accaduto negli anni precedenti, nei quali è accaduto di tutto e di più. Sono state poste sistematicamente diverse questioni di fiducia e non soltanto sui decreti di accompagnamento, ma anche sulle leggi finanziarie. Eppure, nella precedente legislatura vi era un rapporto tra maggioranza e opposizione forse mai verificatosi nella storia della Repubblica italiana: vi erano 100 parlamentari in più alla Camera e 50 parlamentari in più al Senato. Nonostante ciò, il Governo ha più volte posto la questione di fiducia, in quanto vi erano grosse difficoltà all'interno della stessa maggioranza. Probabilmente, si dimenticano le leggi finanziarie varate dal precedentePag. 78Governo - un Governo liberale, riformista - che prevedevano aumenti per la sanità e per le spese sociali. Allora, dovete spiegarci cosa significa tentare di diminuire il debito pubblico agendo su fattori strutturali della nostra economia e, tra questi, sulla spesa sanitaria.
Nella vostra Casa delle libertà sussistono profonde contraddizioni che, nella scorsa legislatura, hanno portato alla previsione di diversi condoni. Questo vuol dire far riacquistare fiducia ai cittadini italiani nei riguardi del fisco? O forse si vogliono far pagare coloro che fino ad oggi non hanno mai pagato? Nel nostro paese si registrano 200 miliardi di euro di evasione ed elusione, che certamente non si sono potuti accumulare nei quattro mesi di questa legislatura. Evidentemente, durante lo scorso Governo si era formata una buona base. Non dobbiamo dimenticare che si sono fatti rientrare i capitali dall'estero con una percentuale del 2 per cento.
Sono state dimenticate forse, tutte le fantasiose manovre fiscali e finanziarie? Vorrei far riflettere i colleghi parlamentari dell'opposizione. Parlate del ministro Padoa Schioppa, ma non ricordate che avete cambiato Tremonti perché faceva la sua politica economica e finanziaria creativa, che avete poi nominato ministro Siniscalco e riportato in pompa magna lo stesso Tremonti? Tutte queste cose le dimenticate con molta facilità, pensate che siano passati secoli in questo paese? Dalla vostra gestione sono passati semplicemente 4 mesi.
Forse dimenticate che con tutte le grandi manovre per non togliere i soldi dalle tasche dei cittadini - quando in quelle tasche non c'era più niente da togliere - il carico fiscale si è abbassato soltanto dello 0,6 per cento?
Credo che bisognerebbe avere molta più umiltà, perché prima di parlare degli altri bisognerebbe guardare se stessi. Ricordate quanto accaduto con le leggi ad personam? Altro che un Governo liberale che non ha garantito amici e amici degli amici! La legge sulle televisioni chi ha garantito? Le leggi che si sono succedute nella scorsa legislatura, giorno dopo giorno, chi hanno garantito? Siate più seri, non siamo noi del Governo di centrosinistra a doverci vergognare, ma siete voi che vi dovreste vergognare di quello che avete fatto negli anni passati e di quello che state facendo anche adesso! In questa situazione ci avete portato voi e non certamente il Governo di centrosinistra! Ci dimentichiamo con grande facilità che negli ultimi anni è aumentato il debito pubblico, mentre prima tentava di scendere. Ci siamo dimenticati gli impegni assunti da Tremonti con l'Unione europea per ridurre il rapporto deficit/PIL, mentre in realtà aumentava sistematicamente? Ci siamo dimenticati di quanto avete ridotto l'avanzo primario di questo paese, e dell'aumento sistematico della spesa corrente?
Credo che i cittadini italiani sappiano queste cose, perché hanno vissuto sulle proprie spalle i disastri che avete combinato. Certo, voi dite che i provvedimenti del centrosinistra non piacciono a tutti. Al riguardo, vorrei ricordare oggi una bellissima frase di un sindacalista riformista, Giuseppe Di Vittorio: quando i contratti non piacciono ai lavoratori né tanto meno alla parte padronale vuol dire che quei contratti sono buoni. Noi abbiamo sottoscritto un contratto vero, abbiamo promesso agli italiani che questo paese poteva e doveva farcela. Stiamo facendo in modo, pur nella grande difficoltà di varare la nostra politica a causa di quello che avete lasciato, che il Paese si riprenda e aumenti la sua competitività e la sua produttività, che garantisca i più deboli e dia la possibilità ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro. La flessibilità, così come la intendete voi, è precarietà. Nei paesi occidentali sviluppati, la flessibilità in buona sostanza significa fare in modo che il giovane acquisti esperienza nel corso della sua vita lavorativa e abbia la possibilità di migliorare. Ma la vostra flessibilità, negli scorsi anni, ha significato semplicemente far assumere giovani di terzo livello all'interno delle fabbriche. Anche su questo aspetto, vogliamo intervenire e lo abbiamo fatto, creando incentivi per le imprese chePag. 79assumono a tempo indeterminato. Abbiamo dato risposte alle imprese, alle donne del Mezzogiorno ed alle grandi opere infrastrutturali. Quello che invece faceva il vostro ministro Lunardi era semplicemente costruire gallerie, gallerie, gallerie all'interno di questo Paese!
Nel concludere e nel lasciare la parola alla collega Fincato, vorrei sottolineare che abbiamo affrontato con serenità questo difficile percorso reso complicato dalle difficoltà causate dalle vostre politiche fiscali, economiche e finanziarie. Tuttavia, la nostra capacità, il nostro senso dialettico di culture diverse all'interno della stessa coalizione, ci consentiranno di realizzare il nostro programma, le nostre scelte e sicuramente avremo un'Italia migliore, in grado di garantire tutti.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la VI Commissione, onorevole Fincato.
LAURA FINCATO, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, vorrei in breve ricordare che sono ormai passati dieci giorni dal momento in cui sono state presentate le eccezioni di costituzionalità e da quando abbiamo cominciato il lavoro in Commissione, sul testo del decreto-legge. Noi tutti abbiamo avuto modo di confrontarci, ascoltando i reciproci contributi. Anche l'ascolto di quest'Assemblea è stato paziente. Dunque, vi è stato il tempo - per tutti coloro che hanno voluto entrare nel merito ed anche per quelli che ne hanno voluto esulare - di intervenire sul provvedimento, il primo degli atti di una manovra fondamentale per il Governo in quanto è la prima della legislatura.
Credo che debba essere dato atto che, nonostante siano state espresse critiche anche aspre sulla tempistica e sulle modalità di discussione, vi è stato il tempo e il modo di ascoltare. I relatori sono venuti in Assemblea a presentare il testo approvato dalle Commissioni riunite, profondamente diverso e molto più ampio rispetto a quello varato dal Governo. Quindi, tutti quanti abbiamo svolto il nostro compito.
Non sembri una critica spocchiosa, ma mi è sembrato che per molti degli intervenuti non sia ancora finito il tempo della campagna elettorale. Invece, questo genere di provvedimenti dovrebbe richiamare a quell'asciuttezza nell'eloquio propria di quando vengono decise misure importanti per il bene di tutto il Paese, al di fuori di ogni polemica politica o demagogica.
Non dimentico che il Parlamento inglese fu chiamato nel corso della storia ad esprimersi sulla potestà del re di imporre tasse da far pagare ai propri sudditi. Noi siamo in una democrazia ed il Parlamento, oggi e nei prossimi giorni, sarà ancora impegnato su questo testo, parte di un ragionamento e di un'impresa più ampia come quella del risanamento, del rilancio e della crescita del nostro Paese.
Vorrei ringraziare infine tutti i colleghi intervenuti, il sottosegretario oggi presente ed il Presidente.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
NICOLA SARTOR, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, vorrei, in primo luogo, ringraziare le Commissioni per aver contribuito al perfezionamento della manovra con un ampio dibattito.
Gli interventi che si sono susseguiti hanno riguardato vari temi: non solo, strettamente, il decreto in questione, ma, in maniera più ampia, la manovra ed alcuni accadimenti esterni. Anche se sinteticamente, dovrò affrontare i principali punti emersi nel dibattito.
Vorrei iniziare dalla questione delle agenzie di rating. Le agenzie, di fatto, confermano che la situazione dei conti pubblici è grave. È evidente che la gravità degli stessi non nasce in un giorno o in un mese e le statistiche a consuntivo degli ultimi anni possono mostrare con estrema oggettività le origini e le cause della situazione. In tale contesto, è altresì evidente, a giudizio delle agenzie di rating, l'importanza di attuare la manovra correttiva proposta in questi giorni al Parlamento. Le agenzie stesse si dichiarano pronte a cambiare la valutazione se muta lo scenario. Inoltre, vorrei ricordare - èPag. 80un aspetto non marginale - che una di queste - si tratta in particolare di Moody's - ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di declassare il debito pubblico italiano, in quanto ritiene la manovra assolutamente sufficiente. Tuttavia, considerato che le agenzie avrebbero come primario intendimento quello di orientare i mercati, penso che vada fatto cenno a come i mercati hanno reagito a queste notizie.
Di fronte alla prima e, per certi versi, improvvisa notizia, si è osservato, in termini di differenziale dei tassi di interesse, un aumento di due punti base, vale a dire di uno 0,02 per cento, del tasso di interesse che, infine, è rientrato ad un punto base.
Questa è la reazione, che non possiamo certo definire ansiosa, da parte dei mercati; né peraltro si osserva un momento significativo delle contrattazioni sui titoli del debito pubblico. Quindi, credo che questo sia un elemento oggettivo che deve essere tenuto in estrema considerazione.
Il secondo aspetto molto generale che è stato affrontato riguarda la «missione» di questa legge finanziaria. È stato più volte ricordato in termini molto sintetici quali sono i tre obiettivi da raggiungere - risanamento, sviluppo ed equità - ma qualche parola deve essere ulteriormente spesa.
Il primo obiettivo, che è pienamente centrato, laddove la manovra venisse approvata, come si auspica, dal Parlamento, è il risanamento permanente dei conti pubblici ed in merito a ciò viene data piena attestazione anche dalle citate agenzie di rating. Sottolineo il termine «permanente», in quanto la manovra non contiene provvedimenti una tantum che possono solo marginalmente incidere sulla struttura dei conti.
Il secondo punto, che viene ben prima di sviluppo ed equità, è quello relativo al reperimento delle risorse per proseguire le opere pubbliche infrastrutturali in corso e per rispettare gli accordi internazionali. Non si può assolutamente concordare con coloro che sostengono che una manovra di 15 miliardi sarebbe stata sufficiente. Certo, 15 miliardi sono sufficienti per rientrare nell'obiettivo del 3 per cento, ma non lo sono per impedire il blocco totale dei cantieri ed il mancato rispetto degli accordi internazionali che questo paese, questo Parlamento hanno assunto negli anni passati.
Questa è l'azione prioritaria, prima ancora di parlare degli altri obiettivi, vale a dire la promozione della crescita del paese. Dobbiamo ricordare la manovra del cuneo fiscale, certo di non poco conto, gli incentivi alla ricerca e all'innovazione, ulteriori incentivi al Mezzogiorno. Questi sono elementi qualificanti che caratterizzano la «missione» di questa legge finanziaria.
Con riferimento all'equità, risulta importante in primis la lotta all'evasione (è il pilastro su cui si fonda l'equità). Pochi, inoltre, hanno sottolineato - avremo tempo nel momento in cui si discuterà approfonditamente in quest'aula del disegno di legge finanziaria - l'eliminazione di alcune agevolazioni contributive con riferimento alla differenza tra le aliquote di computo dei benefici pensionistici e le aliquote effettive di versamento. Al riguardo la distanza è stata azzerata non soltanto per il lavoro autonomo, ma anche per quello dipendente. Quest'ultimo è un altro elemento che, prima ancora di essere visto nell'ottica di risanamento dei conti pubblici, va considerato come misura a carattere equitativo. Insomma, è stata abolita una differenza che non aveva grande fondamento.
Il secondo elemento è il sostegno alle famiglie numerose.
Infine, vengono in rilievo le azioni a tutela dei precari. Si tratta di un punto estremamente importante. Del resto, il legame tra la manovra ed il mercato del lavoro è stato ricordato in alcuni interventi. L'obiettivo fondamentale dell'Esecutivo è quello di far sì che la flessibilità del mercato del lavoro non sia sinonimo di precarietà. A questo fine, alcune risorse - è vero: sono modeste, perché sono soltanto iniziali, derivanti dall'aumento dei contributi - serviranno a dare completa copertura di assistenza sanitaria alle lavoratrici madri anche per quel che riguarda alcunePag. 81categorie professionali (ad esempio, le lavoratrici con contratti a progetto erano ancora completamente sprovviste di tutela).
Saranno avviati, inoltre, alcuni interventi strutturali. Va ricordato altresì l'avvio del federalismo fiscale, che riguarda gli enti locali. Certo, non si tratta della vera e propria attuazione del Titolo V, ma il rispetto delle autonomie locali è un aspetto estremamente importante: la manovra dà alle autonomie medesime totale libertà di scelta, sia sul fronte delle spese sia su quello delle entrate, e prevede anche un aumento potenziale della loro capacità impositiva.
Credo che gli elementi indicati, ancorché illustrati in maniera sintetica, definiscano in modo estremamente preciso e pregnante la missione del disegno di legge finanziaria.
Desidero fare un'ultima precisazione generale prima di spendere qualche parola sul decreto-legge in esame. Si è parlato, in maniera a nostro giudizio inappropriata, dell'ipotesi di manovra sul trattamento di fine rapporto. Continua ad emergere un fraintendimento: il trattamento di fine rapporto è del lavoratore e del lavoratore rimarrà, in quanto rappresenta il salario differito. Nulla cambia per il lavoratore. Non solo: la norma in questione fa parte di un obiettivo più generale e ben più importante, cioè quello di accelerare il decollo della previdenza integrativa, che è il primario obiettivo che si vuole raggiungere.
Quanto alle questioni finanziarie e contabili, ovviamente, il Governo si riserva di trattare in modo più articolato e preciso alcune questioni che sono state sollevate.
Per quel che riguarda il decreto-legge in esame, fondamentalmente, gli aspetti che sono stati messi in evidenza riguardano la lotta all'evasione e le questioni relative all'articolo 12 (cioè alla materia delle concessioni autostradali).
Con riferimento alla lotta all'evasione, sia chiaro che non vi è alcun intento persecutorio nei confronti di alcuna categoria professionale. La maggioranza dei contribuenti è onesta, tant'è che le stesse statistiche, spesso citate, fanno riferimento a tassi di evasione massimi del 30 per cento. È evidente che il 30 per cento è la minoranza, non la maggioranza. Pertanto, la norma è indirizzata, ovviamente, nei confronti di quei contribuenti che non hanno un rapporto corretto con lo Stato dal punto di vista dell'adempimento degli obblighi fiscali. Insomma, non si tratta certamente di accanimento nei confronti di una singola categoria.
In secondo luogo, poiché alcuni hanno evocato l'opportunità di aumentare le aliquote di progressività dell'IRPEF, va rilevato, anzitutto, che la maniera più efficace di raggiungere l'equità, anche nel prelievo tributario, è quello di ridurre, se non di eliminare, i margini di evasione. Una manovra di aumento delle aliquote sui redditi più alti, anche se sopportabilissima sotto il profilo nominale, aumenterebbe la pressione fiscale su quelle categorie che già ne sopportano, di fatto, una elevata, in quanto dichiarano redditi che sono assoggettati allo scaglione più alto.
Inoltre, non va dimenticato che il nostro paese è pienamente integrato in una comunità europea e che i margini di differenziazione rispetto a ciò che accade nei restanti paesi sono estremamente limitati anche sul fronte della tassazione personale. A tale proposito, va ricordata la storia secolare della Svezia, che aveva aliquote di prelievo marginali che superavano il 70 per cento e che, ora, raggiungono al massimo il 40 per cento. Analogo è stato il percorso, chiaramente di natura politica, seguito da questo paese: quando è stata introdotta, all'inizio degli anni Settanta, l'imposta personale sui redditi, vi erano aliquote marginali che arrivavano al 70 per cento e che, ora, sono state ricondotte, progressivamente, intorno al 40 per cento.
Lo stesso vale per quel che riguarda la tassazione dei proventi derivanti dal possesso di attività finanziarie. Voglio espressamente usare la dizione corretta in quanto quella gergale - tassazione delle rendite - è inappropriata e può evocare, certamente non nell'intenzione del Governo, qualche interpretazione di naturaPag. 82ideologica. Si tratta di proventi derivanti dal possesso di attività finanziarie. Qui, ancor più che per quel che riguarda i redditi personali da lavoro, è evidente che è necessaria la piena integrazione ed armonizzazione con quel che accade nei paesi partner. Ricordo, in particolare, che negli anni in cui non vi sono più flessibilità nei tassi di cambio, l'integrazione è piena. Ebbene, la manovra è prevalentemente orientata ad armonizzare il prelievo in linea con gli altri paesi; non solo, ma anche ad eliminare quelle differenze che inducono esclusivamente operazioni di arbitraggio fiscale.
Spesso si sottolinea l'innalzamento per alcuni di questi redditi dell'aliquota dal 12,5 al 20 per cento, sostenendo che ciò comporterebbe un aumento del 60 per cento; nessuno, però, ha mai ricordato che, contemporaneamente, si riducono le aliquote di prelievo su altre categorie di reddito dal 27 al 20 per cento. In ogni caso, posso smentire categoricamente la notizia, apparsa su alcuni quotidiani ed evocata nel corso della discussione, di una presunta intenzione del Governo di introdurre tale misura in un presunto maxiemendamento. L'intenzione dell'Esecutivo è di non fare alcunché di questo tipo. Pertanto, su tale questione ritengo si possa fare definitivamente chiarezza.
Si afferma che la manovra aumenta la spesa pubblica. Ciò non è assolutamente vero! La manovra, casomai, comprime la spesa sanitaria dopo molti anni di incrementi. In generale, conterrà la spesa corrente primaria, mentre cercherà di incrementare la spesa per investimenti: esattamente l'opposto di quello che si osserva nei fatti negli ultimi cinque anni. Si potrà argomentare che l'aumento è stato dovuto alla recessione che ha colpito questo ed altri paesi; tuttavia, si invita ad esaminare le statistiche che sono state prodotte con metodologia standardizzata dalla Commissione delle comunità europee, dalle quali si evince che, anche tenendo conto degli effetti ciclici, la spesa corrente primaria negli ultimi cinque anni in questo paese è aumentata in maniera considerevole.
Per quel che riguarda, infine, la questione relativa alla regolamentazione delle autostrade, preciso che si tratta di un intervento che si inquadra nell'obiettivo più generale di regolamentazione corretta dei mercati. Si tratta di situazioni cosiddette di monopolio naturale per le quali si è ritenuto opportuno un rafforzamento degli interventi regolativi proprio per evitare che vi possano essere abusi di posizione dominante o altre pratiche che non sono rispettose della logica di mercato. La norma, in generale, va in questa particolare direzione, ed è chiaramente tale da ottenere risultati in termini di efficienza dei mercati senza precludere necessariamente alcune soluzioni in tema di assetti proprietari. Si vuole ottenere l'obiettivo generale, lasciando ovviamente al mercato e alle parti interessate la libertà di scegliere le forme più appropriate.
Ritengo che non vi sia altro da precisare. Ringrazio tutti quanti, in particolare il Presidente Castagnetti per l'attenzione prestata al dibattito.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.