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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ROBERTA PINOTTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2193-A
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Il provvedimento che portiamo oggi all'esame dell'Aula è stato oggetto di discussione nelle sedi parlamentari dove, in seduta congiunta, le Commissioni esteri e difesa lo hanno esaminato, emendato ed approvato, ma è stato anche oggetto di discussione pubblica tra le forze politiche e sugli organi di informazione.Pag. 75
Esso definisce i tempi, le modalità e le risorse con cui il nostro paese è presente in molte aree di crisi ed è impegnato, in vario modo, con gli strumenti della cooperazione civile, con forme di assistenza diretta e indiretta, con la presenza di contingenti militari e di polizia, con l'iniziativa diplomatica nelle sedi internazionali. L'obiettivo di questo impegno decisamente considerevole sia dal punto di vista delle risorse umane che di quelle finanziarie è quello di contribuire a risolvere le tante crisi in atto e quello ancor più ambizioso di contribuire a spegnere ad uno ad uno i troppi focolai di guerra che negli ultimi anni sono andati moltiplicandosi.
Con questa ispirazione ideale il nostro Governo si è fatto carico dei doveri di continuità coerenti con gli interessi strategici generali, i principi costituzionali e il rispetto della storia del nostro paese, ma ha anche saputo cambiare strada quando gli stessi venivano messi in discussione.
Assolutamente lontani da qualunque tentazione di protagonismo ma profondamente convinti che in un mondo sempre più interdipendente e globalizzato fosse necessario recuperare autorevolezza alle posizioni multilaterali nelle istituzioni sopranazionali, in sostanza, ci si è mossi lungo tre direttrici: Il rilancio dell'unità europea, la necessità di una svolta in Medio Oriente e nella lotta al terrorismo, un allargamento degli orizzonti e delle relazioni internazionali del nostro paese.
Già il 19 luglio 2006 l'Assemblea della Camera si è occupata delle missioni italiane all'estero non solo in occasione dell'esame del disegno di legge che ne autorizzava il rifinanziamento per il secondo semestre dell'anno appena trascorso, ma anche nell'ambito della discussione delle mozioni annesse.
L'atto di indirizzo allora approvato dalla Camera dei deputati definisce il quadro politico entro il quale si muovono le nostre missioni all'estero, sia quelle umanitarie che quelle militari e delle forze di polizia.
In quella mozione si sottolineava la necessità che l'Italia si facesse promotrice di un'ampia fase di approfondimento nelle sedi internazionali di tutti gli strumenti con cui le Nazioni Unite e la NATO operano in Afghanistan. Vi si indicava l'impegno fondamentale a concludere la partecipazione dell'Italia alla missione Enduring freedom, e anzi, a promuoverne il superamento. Inoltre, si impegnava il Governo ad accedere ad una separazione tra la cooperazione e gli interventi militari, e soprattutto il dibattito aveva evidenziato l'esigenza che il Governo stesso implementasse il proprio impegno nella prevenzione dei conflitti e nella gestione dei processi di pace nell'ambito delle iniziative delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia fa parte, con particolare riferimento alla situazione israelo-libanese, allora appena deflagrata.
In questo senso, alla luce del ruolo che di lì a poco avrebbe assunto l'Italia nel Consiglio di sicurezza dell'ONU (1o gennaio 2007), la mozione conteneva l'impegno del Governo italiano a porre in quell'autorevole consesso la questione della formazione di una forza militare permanente sotto il comando del Segretario generale dell'ONU.
Proprio in Libano, crisi nella quale l'Italia ha assunto un ruolo fondamentale per proiettare l'iniziativa europea e dare protagonismo all'ONU, si sta sperimentando una delle più importanti missioni guidate dalle Nazioni Unite dopo anni in cui si era verificata una concreta difficoltà a gestire missioni militari con tale guida.
Per quanto riguarda il disegno di legge approvato nel luglio scorso, esso prevedeva, coerentemente con il programma di Governo - che tutte le forze di maggioranza hanno voluto e condiviso - il rientro del contingente militare dall'Iraq.
Tale rientro è puntualmente avvenuto con modalità di attuazione concordate con le autorità irachene e le forze alleate, in modo da assicurare al popolo iracheno la necessaria assistenza sul fronte della ricostruzione civile ed economica e di aiuto alla formazione.
Sento il dovere di riconoscere ancora una volta alle Forze Armate italiane la professionalità con cui è stato organizzato Pag. 76e portato a termine il rientro. I militari italiani hanno curato la fase di rientro con particolare attenzione agli aspetti di collaborazione civile, curando il passaggio delle responsabilità delle attività agli iracheni. È questo un approccio, definito dai militari di altri eserciti «The Italian Way», nel condurre questo tipo di operazioni molto apprezzato in ambito internazionale.
Ci sono stati però anche commentatori che hanno voluto vedere in questo modo di fare delle nostre Forze Armate un limite, e i più critici di loro sono arrivati a identificarlo come una modalità voluta per mettersi al riparo da una scarsa capacità operativa o da una presunta inadeguatezza a sostenere situazioni «ad alta intensità conflittuale». Queste perplessità hanno avuto un'eco anche nella discussione parlamentare in sede di Commissione. Alcuni parlamentari si sono chiesti se i nostri contingenti presenti in Afganistan, Libano e Kosovo sono sufficientemente equipaggiati per poter far fronte, senza correre rischi inutili, a quelli che potrebbero essere i pericoli derivanti da una possibile recrudescenza della situazione in questi tre teatri? Il Capo di Stato maggiore della Difesa, nella sua autorità, ha chiarito che «riteniamo di essere equipaggiati al meglio di quelli che sono i nostri mezzi, le nostre possibilità e le nostre dotazioni: non abbiamo nulla da invidiare ad altri.»
Per quanto riguarda invece le critiche e i commenti sul nostro comportamento a Dikar, comparsi in alcune pubblicazioni straniere, anche queste ricordate nel dibattito in Commissione, ritengo che possono essere smentiti dalla concretezza dei risultati ottenuti. In Iraq il nostro contingente è riuscito a mantenere un perfetto equilibrio tra la missione operativa assegnata e il naturale e progressivo disimpegno. Tutti i contatti diretti avuti con le autorità locali, le organizzazioni non governative, la popolazione civile sono stati gestiti in modo da non compromettere i risultati della fase di disimpegno e di trasferimento delle responsabilità. Nella provincia di Dikar, che ricadeva sotto la nostra responsabilità, la situazione è migliorata molto più rapidamente che altrove. Certo, anche per tutta una serie di fattori interni alla vita nazionale irachena, ma noi abbiamo contribuito a stabilizzarla.
Come ulteriore forma di supporto alla ripresa di migliori condizioni di vita, l'Italia ha lasciato in dotazione alle corrispettive strutture irachene circa 800 prefabbricati completi di ogni servizio e impianti di illuminazione e potabilizzazione. Dal mese di giugno a dicembre 2006 vi è stato il graduale rientro dei 3500 uomini e dei circa 1650 mezzi del contingente italiano trasportati da 42 velivoli tra militari e civili e da 8 vettori navali.
Un'operazione complessa che ha garantito il trasferimento in Italia di migliaia di uomini, di mezzi blindati, di supporti logistici e di attrezzature che erano state schierate in quel territorio nel corso dei 1.273 giorni in cui è durata la missione Antica Babilonia. Ritengo che, soprattutto in questa sede che è il luogo in cui si decidono gli impegni delle missioni internazionali, non si possano dimenticare coloro, militari e civili, che non sono tornati a casa.
A nome di tutti i componenti delle Commissioni esteri e difesa, rinnovo i sentimenti di riconoscenza nei loro confronti e di vicinanza e solidarietà delle istituzioni parlamentari alle loro famiglie.
Grande attenzione è stata giustamente data, nel dibattito politico, alla situazione afgana. Nella discussione parlamentare dello scorso luglio si invocava una riflessione più approfondita, a cinque anni dall'intervento militare autorizzato dall'ONU, in quel teatro, ma non si mettevano in discussione il mantenimento degli impegni assunti dall'Italia con l'ONU e con la NATO, nella consapevolezza che in Afghanistan sono presenti i principali paesi europei e che nessuna decisione è opportuno assumere fuori dalle sedi multilaterali.
Dopo l'abbattimento del regime talebano sono stati conseguiti sicuramente alcuni risultati: una serie di passaggi istituzionali (autorità provvisoria afghana, dicembre Pag. 772001, e nomina a Presidente di Karzai da parte della Loya Jirgah, giugno 2002) hanno consentito di arrivare alla Costituzione del 5 gennaio 2004 e alle elezioni presidenziali nell'ottobre 2004; infine le elezioni generali del 18 settembre 2005, che hanno portato in Parlamento il 27 per cento di donne e confermato Karzai presidente.
Detto questo non ci nascondiamo che la situazione in quel paese non è evoluta con la nettezza e la rapidità sperate ed anzi rimane di estrema gravità.
Grave per la rinata capacità militare dei talebani, per le condizioni materiali di vita ancora disastrose della popolazione, per la mancata individuazione di una efficace strategia di contrasto e di riconversione delle coltivazioni illegali di oppio, che anzi sono aumentate, e alimentano una condizione di ricattabilità dei contadini afgani da parte dei mercanti di droga e dei cosiddetti «signori della guerra» che utilizzano i rilevanti proventi del traffico illegale per i propri fini.
La serie inquietante di eventi cruenti e drammatici registrati negli ultimi cinque giorni ci dice quanto siano precarie le condizioni di sicurezza in Afghanistan e come la situazione venga via via logorandosi. Una sequenza iniziata con l'attentato suicida compiuto durante la visita del Vicepresidente americano Dick Cheney nella base di Bagram. L'attentato è stato rivendicato dai talebani, ha lasciato sul terreno 20 morti e altrettanti feriti e ha dimostrato ancora una volta quanto siano pericolose le capacità militari di questi gruppi. Bagram dista appena 60 chilometri da Kabul, la visita del Vicepresidente americano era stata organizzata con tutte le attenzioni possibili alla sicurezza e il programma stesso delle attività era stato modificato per ragioni meterologiche. Nonostante ciò siamo stati ancora una volta costretti a contare morti e feriti.
Il giorno dopo c'è stato un altro attentato nella regione di Farah e subito dopo un' altro in quella di Kandahar. Sabato scorso un ordigno piazzato su una bicicletta è stato fatto esplodere ad Herat sulla strada che conduce dall'Aeroporto alla sede del contingente italiano; bilancio: tre morti e 15 feriti. Ultima in ordine di tempo la strage più grave con un attentato suicida ad un convoglio militare americano cui è seguito - secondo la versione USA - uno scontro a fuoco che ha coinvolto i civili presenti. Fonti afgane parlano invece di una reazione a fuoco da parte dei militari americani su civili disarmati. Unica cosa certa è che sono rimasti sul terreno 16 morti e 30 feriti; ferma la condanna di questa strage da parte del Presidente Karzai.
È di questa mattina, infine, la notizia di un raid aereo della NATO, a nord di Kabul, lanciato dopo un attacco notturno contro una base ISAF nella provincia di Kapisa da parte dei talebani, in cui sarebbero rimasti uccisi 9 civili tra cui tre ragazzi e cinque donne. La drammatica sequenza di questeiultimi giorni conferma il rischio di una «irachizzazione» del conflitto afgano. Il moltiplicarsi degli attentati suicidi, una modalità estranea alla guerriglia afghana fino a poco più di un anno fa, ne sono i segnali più evidenti. Fino al 2005 si erano registrati 21 attacchi, nel 2006 sono saliti a 139, non pochi dei quali condotti da kamikaze.
L'emergenza di oggi rischia di mettere in ombra anche ciò che è stato fatto finora sul fronte umanitario e della cooperazione, dove numerosi sono stati gli interventi finanziari realizzati nel 2006. In particolare, ricordo l'erogazione di un contributo all'Afghanistan pari a 7 milioni di euro, al fine di fornire sostegno finanziario ai costi di gestione dell'Amministrazione statale afgana e ai progetti di investimento, quali sviluppo rurale, riabilitazione e sviluppo di infrastrutture di base. Ricordo anche l'erogazione di un altro contributo, pari a 1 milione di euro, con l'obiettivo di mobilitare risorse addizionali per l'implementazione della strategia nazionale afgana di lotta alla droga, al fine di combattere la coltivazione, la produzione ed il traffico di droga e gli altri contributi agli organismi internazionali nei settori dei minori, della giustizia e del sostegno delle donne.Pag. 78
Per quanto riguarda lo stanziamento previsto dal presente decreto, sottolineo che esso sarà destinato, tra l'altro, al rafforzamento istituzionale ed al sostegno all'Amministrazione afgana attraverso nuovi contributi a favore dei principali Trust Fund di ricostruzione attivati dalle agenzie delle Nazioni Unite, nonché al settore della giustizia, nel quale l'Italia ha un ruolo preminente, che viene riconfermato da una previsione normativa contenuta in questo decreto (articolo 1, comma 6) per l'organizzazione della Conferenza di Roma sulla giustizia in Afghanistan.
Inoltre, proseguiranno le attività di cooperazione civile nella zona di Herat, dove si è deciso di operare una netta distinzione tra la componente della cooperazione civile e quella militare, individuando una sede logistica diversa, destinata unicamente alla gestione dei programmi di cooperazione, per la quale si è comunque previsto l'allestimento di tutte le misure di sicurezza attiva e passiva per assicurare la protezione del personale civile.
Nella discussione del provvedimento a Commissioni riunite, sono state approvati emendamenti significativi. Uno riguarda l'incremento di risorse per le attività di cooperazione civile per 10 milioni di euro e l'altro stanzia risorse per la promozione e l'organizzazione di una Conferenza internazionale di pace per l'Afghanistan proposta dal Governo italiano. Come si vede si lavora per dare uno sbocco politico alla crisi afgana. Per riuscirci dobbiamo operare dentro le istituzioni multinazionali.
Anche da questo punto di vista, la fine prematura dell'operazione ISAF non sarebbe senza conseguenze. Infatti essa non significherebbe la fine della violenza che tutti auspicano e non creerebbe una situazione migliore, ma aprirebbe problemi e scontri tra prepotenze tribali rappresentate da signori della guerra, pronti ad agire per conquistarsi maggiori spazi di potere e di malaffare, e potrebbe costituire l'occasione per un ritorno, altrettanto feroce e oscuro, dei talebani con le loro ossessioni, pubbliche atrocità e collusioni con le centrali terroristiche di Al Qaeda. Se è vero che la chiusura anticipata di ISAF non appare opportuna, una riqualificazione della missione che sia più attenta alla ricostruzione della società civile, a mio avviso, risulta invece ineludibile. Il decreto-legge in esame si muove in questa direzione, in continuità con il precedente provvedimento di proroga, ed anzi accentua l'impegno umanitario dell'Italia. La direzione di marcia è quindi quella giusta e deve avere come orizzonte la realizzazione di una conferenza internazionale per la stabilizzazione e il rilancio sociale, politico ed economico dell'Afghanistan.
La situazione in Afghanistan necessità di sostegno politico a un progetto sul quale registrare un forte e convinto consenso internazionale. Non solo le popolazioni afgane, che rappresentano la priorità non trarrebbero immediato giovamento da un disimpegno italiano, ma verrebbe sminuito anche il ruolo dello Stato italiano, quale convinto promotore della necessità di una conferenza internazionale sull'Afghanistan. I militari italiani presenti in Afghanistan sono 1938 (di cui 1200 a Kabul e 800 ad Herat), e fanno parte di un contingente di 32.800 uomini provenienti da 37 paesi: alcuni facenti parte della NATO, che dal 2003 guida la missione, e altri che non ne fanno parte. Gli Stati Uniti hanno chiesto ai paesi europei un maggior impegno operativo in termini di uomini e mezzi. Al momento solo Inghilterra e Australia hanno deciso di inviare altre truppe. Il nostro contingente rimane invariato, per rafforzarne la sicurezza viene integrato con un velivolo da trasporto e due da ricognizione senza pilota.
Quindi, a distanza di sette mesi dalla discussione sul rifinanziamento delle missioni all'estero per il secondo semestre 2006, sono stati raggiunti risultati tangibili.
È stato completato il rientro dall'Iraq, a dicembre 2006 e sempre in conformità con gli impegni contenuti nella mozione di luglio, è terminata la partecipazione dell'Italia alla missione Enduring Freedom.
L'orizzonte dell'Italia, come dimostrano i primi mesi di Governo, è il multilateralismo nell'ambito delle istituzioni sopranazionali. A questo fine assume grande Pag. 79rilevanza il ruolo dell'Unione europea anche nella politica di difesa, in quanto nessun paese europeo è in grado di gestire da solo in maniera credibile le situazioni di crisi all'estero. Se l'Unione europea si muove nel contesto di un'azione comune, invece, il suo contributo può rivelarsi significativo.
Dal 2003 l'Unione ha svolto 4 operazioni militari - 3 concluse e una ancora in corso in Bosnia; una delicata operazione civile e militare in Sudan, una in Darfur - in appoggio alla missione dell'Unione africana - 9 operazioni civili, di cui 4 concluse e 5 in corso. Attualmente, si sta impegnando in 3 nuove ampie operazioni civili in Kosovo, in Afghanistan e nella Repubblica democratica del Congo, a seguito del compimento della fase costituzionale del nuovo Governo.
Significativo è l'impegno finanziario per consentire la continuità della presenza militare nei Balcani dove siamo presenti con 4 missioni: in Kosovo, in Albania, in Bosnia-Erzegovina e con la Joint Enterprise nell'intera area balcanica, da poco pacificata e dove la situazione resti comunque difficile e renda quindi necessario il mantenimento dei contingenti multinazionali.
In questi giorni è stato presentato dall'inviato dell'Onu per il Kosovo, Martti Ahtisaari, il piano per uno status definitivo della provincia. Il fatto che il piano sia stato respinto dalla Serbia e accolto con molte riserve dalla Russia non fa che aumentare la nostra preoccupazione, ma proprio per questo ritengo debbano moltiplicarsi gli sforzi politici per una soluzione condivisa nella quale l'adesione all'Unione europea deve essere per i paesi dei Balcani occidentali l'elemento qualificante.
Ciò corrisponde agli interessi della pace nell'area e a quelli diretti dell'Italia per ragioni geopolitiche ed economiche, ma anche dal punto di vista della lotta alla criminalità. Significativa per l'Europa deve essere ritenuta anche la missione nella regione del Darfur in Sudan. La partecipazione dei militari italiani nella formazione del contingente multinazionale ha consentito lo schieramento, a partire dall'estate del 2004, di un contingente dell'Unione africana, che dispone anche di osservatori, elementi di polizia e personale civile, per fare fronte all'emergenza umanitaria che ha reso necessario l'intervento. L'Unione europea contribuisce alla missione con finanziamenti e personale impiegato nell'ambito degli organi di staff del citato contingente dell'Unione africana. Ricordo che attualmente contingenti di nostro personale militare sono impegnati in altre due missioni molto delicate di cui abbiamo il comando: con il generale Pistolese, comandante dell'operazione Rafa di monitoraggio alla frontiera fra Gaza e l'Egitto, e con il generale Coppola, responsabile della missione di polizia in Bosnia.
L'apertura del valico di Rafa, che assume sicura rilevanza nel più ampio tentativo di pacificazione tra Israele e Palestina, subisce purtroppo le alterne condizioni dei rapporti tra i due governi.
Nel contesto di un rafforzamento del ruolo e del peso politico dell'Unione europea nella gestione delle crisi, l'Italia ha dato un grande contributo, in termini diplomatici, finanziari e militari, alla costituzione della forza di interposizione inviata dall'ONU nello scorso settembre al confine israelo-libanese. In Libano, il contributo italiano di 30 milioni di euro, stanziato nel 2006, ha rappresentato il primo, immediato segnale dell'impegno dell'Italia alla prima fase di riabilitazione e ricostruzione del Libano. L'impegno finanziario dell'Italia si è tradotto in un Programma di cooperazione straordinario i cui fondi sono stati completamente erogati.
In particolare, hanno preso avvio interventi di emergenza anche tramite le organizzazioni non governative italiane presenti in loco, per un valore di 15 milioni di euro. Tali progetti riguardano interventi di carattere socio-economico (scuole, servizi, sanità, ambiente).
Inoltre sono stati erogati alle agenzie delle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali 10 milioni di euro per realizzare interventi in diversi settori, tra i quali quelli dello sminamento umanitario, Pag. 80della sanità e materno - infantile, dell'agricoltura e dell'assistenza ai rifugiati palestinesi in Libano.
Il programma di sminamento in Libano prosegue e si arricchisce, con il provvedimento che stiamo esaminando, di un ulteriore contributo per consentire la cessione a titolo gratuito alle forze armate libanesi di rilevatori di ordigni esplosivi per un valore di 300.000 euro, così come è stato richiesto dalle autorità libanesi. Importante lavoro sullo sminamento sta compiendo direttamente il nostro contingente militare: 2830 cluster bomb, 120 proiettili di artiglieria, 17 razzi e 6 bombe di aereo. È stato altresì concesso ed erogato un contributo di 5 milioni di euro direttamente al Governo libanese per la ricostruzione della infrastruttura viaria danneggiata dagli eventi bellici. Il nuovo contributo di 30 milioni di euro sarà destinato alla realizzazione di interventi individuati nell'ambito dell'Action Plan presentato il 4 gennaio scorso dal governo libanese.
In particolare, l'intervento italiano è destinato alla realizzazione di iniziative nel settore della formazione professionale, al sostegno alla microimprenditoria locale, alla riabilitazione di infrastrutture nei settori idrico-ambientale ed energetico nonché al rafforzamento istituzionale, nell'ambito degli interventi che in tale campo verranno effettuati dalla Commissione europea.
L'impegno finanziario previsto nel decreto-legge in oggetto dà anche l'esatta misura della dimensione del contingente militare italiano presente in Libano con la missione UNIFIL di cui il generale Graziano ha assunto proprio in questi giorni il comando. Sono schierati in teatro 2.450 militari, uomini e donne, con un assetto operativo organizzato su due reggimenti dotati di supporti tattici, logistici e unità di manovra. L'impegno sul terreno e un intenso lavoro diplomatico dimostrano come l'Italia stia cooperando attivamente alla gestione di un difficile processo di pacificazione tra le parti in conflitto, nonché a tutte le iniziative finalizzate a scongiurare una nuova fase conflittuale, dando così attuazione ad un preciso indirizzo politico formulato dal Parlamento.
L'elenco delle missioni che il decreto proroga, compresa quella in Afghanistan, consente di dare un giudizio complessivo sugli aspetti generali della politica di intervento dell'Italia all'estero.
Fattore comune di tanti contesti così diversi è, a mio avviso, una situazione di grande instabilità. Si tratta spesso di una tregua intervenuta a fatica dopo conflitti cruenti o di equilibri difficili che senza l'intervento internazionale rischierebbero di degenerare in conflitto aperto.
È questa la nostra fatica quotidiana per la costruzione e il mantenimento della pace adottata in sintonia con gli organismi internazionali ed è a questo fine che impegniamo anche un significativo numero di nostri militari. Non è quindi un caso che nel testo del decreto-legge sia prevista, per tutte le missioni militari, l'applicazione del codice penale militare di pace.
Il ricorso allo strumento militare può essere inevitabile di fronte a gravi minacce per la pace e la sicurezza collettiva, e l'Italia non si tira indietro. Esso deve essere però sempre l'estrema ratio e deve essere esercitato nei limiti e sulla base del diritto internazionale, come prevede l'articolo 11 della nostra Costituzione.
Passando ad una illustrazione sintetica delle disposizioni del decreto-legge riferite alle missioni militari e delle forze di polizia, sottolineo il fatto che l'articolato reca il differimento del termine della partecipazione italiana alle predette missioni e le rispettive autorizzazioni di spesa, con la precisazione che per ciascuna di esse il termine temporale del differimento viene stabilito al 31 dicembre 2007. La proroga viene quindi disposta con cadenza annuale (ad eccezione della missione Althea).
Rinvio infine alla relazione governativa per la disamina delle consuete norme in materia di trattamento economico ed assicurativo del personale, di valutazione del servizio prestato e di eventuale richiamo in servizio per esigenze connesse alle missioni Pag. 81medesime, nonché per quanto attiene ai profili contabili correlati all'organizzazione delle missioni.