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Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali (A.C. 2193-A) (ore 10,15).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
Ricordo che nella seduta di ieri sono stati, da ultimo, esaminati gli ordini del giorno.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CREMA. Presidente, signor viceministro, onorevoli colleghi, i deputati de La Rosa nel Pugno voteranno a favore del disegno di legge che autorizza il proseguimento delle missioni internazionali delle Forze armate e delle forze di polizia nei Balcani, in Afghanistan, in Libano e, tra le altre, in Congo e Darfur.
All'inizio del mio intervento voglio però esprimere il senso della più fraterna solidarietà Pag. 3del gruppo de La Rosa nel Pugno ai familiari e ai colleghi di Daniele Mastrogiacomo, sperando che sia in buona salute e augurandogli che possa far ritorno presto a casa e al suo lavoro di inviato speciale del quotidiano la Repubblica.
Presidente, l'intervento UNIFIL in Libano, come gli interventi ONU in Pakistan, India, Siria, Israele, Sahara occidentale, Etiopia, Egitto, Eritrea, Senegal e Kosovo dimostrano il positivo ruolo dell'Italia. Le missioni internazionali in cui è impegnato il nostro paese sono espressione della politica di pace, che il Governo sta attuando senza sottrarsi alle responsabilità sul piano militare. Il provvedimento in esame rafforza ulteriormente gli elementi caratterizzanti e per certi aspetti innovativi delineatisi nel luglio 2006 in occasione del rifinanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali. Tali elementi caratterizzanti possono essere riassunti nei seguenti: la promozione di un multilateralismo efficace; la difesa della democrazia e del buon governo, nonché il rispetto dei principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, soprattutto in tema di diritti umani; l'affermazione del ruolo dell'Europa come attore globale delle relazioni internazionali; la collaborazione con le popolazioni locali e una crescente attenzione agli aspetti della cooperazione civile.
La visione alla base del disegno di legge è che impegni di carattere militare possono essere presi in considerazione solo quando si svolgano sotto la guida delle Nazioni Unite o comunque si basino su un quadro di legalità internazionale fondato su iniziative di tipo multilaterale.
Il secondo profilo riguarda la finalità dell'impegno dell'Italia, che deve puntare costantemente a sviluppare gli strumenti di dialogo e di cooperazione a disposizione della comunità internazionale in modo da promuovere forme sempre più avanzate di governo globale.
La partecipazione dei militari italiani ad operazioni multinazionali avviene in conformità ai principi costituzionali e ai trattati stipulati dal nostro paese. Essa trae la sua legittimità dal rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, che prescrive il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e consente al nostro paese di assumere la propria responsabilità nelle missioni delle Nazioni Unite.
I militari italiani all'estero operano in base ai principi della Carta delle Nazioni Unite e su autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU. A questo principio si uniforma il nostro paese quale membro dell'Unione europea e della NATO. In tale contesto, l'impegno in Libano rappresenta una scelta significativa e la presenza di un numeroso contingente militare sotto la bandiera delle Nazioni Unite ha conferito all'operazione, che attua la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza, un carattere particolare e rilevante.
Il Governo italiano si è speso per coinvolgere la comunità internazionale nella soluzione della crisi e per un'assunzione di responsabilità europea. Del resto, quella italiana è una politica estera che si sforza di riportare al centro dell'azione multilaterale proprio la dimensione europea e lavora per un Europa in grado di assumersi responsabilità sulla scena del mondo globale. In questo quadro l'azione concreta della missione militare italiana nei vari teatri di crisi, dal Libano all'Afghanistan o al Sudan, ha mirato a rendere possibile interventi umanitari per la ricostruzione civile delle istituzioni e per garantire il rispetto di accordi che ponevano termine ai conflitti.
La situazione afghana rimane sospesa e in bilico fra la progressiva normalizzazione e stabilizzazione ed un catastrofico ritorno al passato, ad una condizione cioè di caos e di guerra civile, dove ogni progresso ottenuto in questi cinque anni sarebbe perduto.
È pertanto doveroso perseguire nell'azione di sostegno alle istituzioni afgane ed alle organizzazioni internazionali, che nei diversi ambiti operano in Afghanistan e per il bene di quella popolazione. Non si tratta di un compito facile da perseguire, né si può considerare il traguardo a portata di mano: proprio per questo è necessaria la permanenza in Afghanistan.Pag. 4
La complessità dei problemi nell'Afghanistan è tale da poter essere affrontata e risolta solo nel lungo periodo e solo per opera degli stessi afghani. Il compito del nostro paese, pertanto, è quello di rendere materialmente possibile l'assunzione da parte del popolo e delle istituzioni afghane di responsabilità via via più vaste.
L'azione deve essere finalizzata all'edificazione di capacità di governo, che rendano l'Afghanistan autosufficiente, almeno per lo svolgimento delle primarie funzioni tipiche di ogni Stato sovrano.
In Afghanistan l'azione italiana e dell'intera comunità internazionale è diretta ad un duplice obiettivo: la sicurezza e lo sviluppo. Gli interventi nel settore civile e di sostegno alle nascenti istituzioni democratiche afghane presuppongono uno sforzo di appoggio alle autorità locali nel pacificare ed estendere la propria presenza in tutto il paese.
L'azione della comunità internazionale è volta, infatti, ad assicurare che siano sempre più gli afghani i protagonisti di processi di sviluppo e di tutte le funzioni di Governo e controllo del territorio.
In questo quadro merita di essere sottolineato che l'Italia si è presa l'incarico, in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU, di svolgere il ruolo di capofila per quanto riguarda questo paese. L'Italia, oltre a fornire, come è noto, un significativo contributo di forze all'operazione NATO, ha rinnovato il suo fermo impegno a percorrere la strada della cooperazione allo sviluppo.
Il provvedimento in discussione prevede, infatti, di destinare a questi interventi ulteriori 30 milioni di euro. Si ricorderà che nel provvedimento dello scorso anno dei 17 milioni stanziati per la cooperazione, 10 erano stati destinati all'Afghanistan. Alla Conferenza dei donatori di Londra, l'Italia ha confermato di voler mantenere l'impegno finanziario degli ultimi anni, cioè 46 milioni di euro l'anno, ma occorrerà ora individuare gli strumenti adeguati per assicurare una maggiore presenza della nostra cooperazione civile in quel paese.
Nessuno può sostenere che in Afghanistan la stabilizzazione possa essere realizzata senza la presenza di una solida forza militare multilaterale, tuttavia non c'è una soluzione militare della crisi afgana. Questa è la ragione per la quale si avverte l'esigenza di ripensare la strategia adottata in due direzioni: accrescere mezzi e risorse per la ricostruzione economica e civile del paese ed intensificare la lotta al narcotraffico.
I contadini dell'Afghanistan potranno essere convinti a non coltivare l'oppio solo se sostenuti finanziariamente ed adeguatamente garantiti. È inoltre opportuno, come prevede l'ordine del giorno approvato ieri dall'Assemblea, valutare seriamente la fattibilità della coltivazione controllata di oppio per uso medicinale e sanitario, attraverso un'ulteriore ricerca che riconfermi alcuni studi già effettuati.
Permane importante l'impegno finanziario per consentire la continuità della presenza militare nei Balcani, dove siamo presenti in Kosovo, in Albania, in Bosnia-Erzegovina. In quest'area, da poco pacificata, la situazione resta comunque difficile e si rende quindi necessario il mantenimento di contingenti multinazionali.
Recentemente è stato presentato dall'inviato dell'ONU per il Kosovo il piano per uno status definitivo della provincia. Le molte riserve con cui il piano è stato accolto dalle parti in causa e dalla Russia aumentano le preoccupazioni. Proprio per questo ci deve essere un maggiore sforzo politico per una soluzione condivisa, nella quale l'Unione europea deve essere in prima fila.
Signor Presidente, onorevoli deputati, l'intervento del collega D'Elia in discussione generale ha delineato con precisione la nostra posizione in merito alle missioni di pace e sulla pesante situazione in Medio Oriente: ne ricaviamo una certezza, cioè che il terrorismo fondamentalista islamico ci impegnerà, così come fu per la Guerra fredda, per un lunghissimo periodo, il che richiederà uno sforzo eccezionale che dobbiamo compiere tutti insieme. Dovremo Pag. 5far ciò senza riprodurre gli schemi ideologici e le divisioni politiche, che ci hanno lacerato nel secolo scorso.
Signor Presidente, nel ribadire il voto favorevole sul presente disegno di legge di conversione, i parlamentari socialisti e radicali de La Rosa nel Pugno rivolgono un affettuoso saluto ed un riconoscente ringraziamento a tutti i nostri soldati, di ogni arma e grado, che con professionalità e dedizione garantiscono in tutte le missioni gli alti ideali di pace e convivenza civile (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, signor viceministro, onorevoli colleghe ed onorevoli colleghi, il provvedimento che ci apprestiamo a votare, relativo alla proroga della partecipazione dell'Italia a diverse missioni umanitarie internazionali, mai come oggi rappresenta un atto dovuto e di grande significato, proprio in quanto il rapimento del giornalista Mastrogiacomo - di cui auspichiamo il ritorno al più presto - dimostra che l'Afghanistan ha bisogno di sicurezza.
È un atto importantissimo, in quanto si tratta di un impegno complesso che i nostri militari - ai quali va il nostro ringraziamento per la riconosciuta professionalità, competenza ed umanità - stanno sostenendo, con costante intensità, da molti anni. Vorrei ricordare che si tratta di un impegno che si colloca a sostegno delle scelte di politica estera del nostro paese a favore della pace, nell'ambito della comunità internazionale e, più in particolare, dei contesti internazionali di cui facciamo parte: mi riferisco alle Nazioni Unite, all'Unione europea e all'Alleanza atlantica.
Gli obiettivi da perseguire, come sappiamo, sono la stabilità, la pace, la prevenzione dei conflitti nel mondo, ma in questo caso aggiungerei anche la lotta alla violenza e la battaglia per la sicurezza.
Il decreto-legge in esame prevede un impegno in contesti internazionali molto diversi tra loro, ma tutti caratterizzati da una situazione di grande instabilità e di conflitto. Si tratta di territori in cui, senza l'intervento internazionale, la situazione rischierebbe di degenerare in un conflitto aperto.
Vorrei ricordare, in premessa, che la partecipazione italiana ad operazioni multinazionali avviene sempre in conformità sia ai principi costituzionali, sia al diritto internazionale. Sono principi in cui la vocazione di pace del nostro popolo viene autorevolmente espressa. L'Italia infatti, come sappiamo, ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e, al tempo stesso, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. Tra tali organizzazioni internazionali vi è, come già accennato, in primis l'ONU.
Dobbiamo sempre ricordare, dunque, che è il multilateralismo l'aspetto saliente delle missioni in oggetto, ma vorrei rilevare che deve trattarsi di un multilateralismo dal volto umanitario a favore degli altri popoli. Con coerenza, quindi, il Governo italiano ha deciso ancora una volta di sostenere concretamente, sul piano sia politico, sia operativo il rafforzamento di una politica multilaterale per il mantenimento della pace. Proprio per tale motivo non si deve mai dimenticare che, purtroppo, il terrorismo internazionale e la questione irachena costituiscono ferite ancora aperte.
I gruppi terroristici, infatti, continuano a rappresentare ovunque una minaccia letale per la stabilità internazionale. È soprattutto l'esperienza irachena a dimostrare che, nell'affrontare simili situazioni, l'unilateralismo non paga e che la strada da continuare a seguire è quella di rafforzare una politica estera basata sul multilateralismo.
Alla luce di tale politica multilaterale, vorrei ricordare che per ciò che concerne il Libano il nostro paese ha svolto un grande ruolo, che potrà continuare a esercitare, ma non solo in quello Stato, attraverso la conversione in legge del decreto in esame. L'Italia, infatti, cui è affidato il Pag. 6comando di tale missione e che sta offrendo un importante contributo in termini diplomatici, finanziari e militari, ha visto che uno degli obiettivi da perseguire è stato, ed è tuttora, quello di sostenere il consolidamento della pace e della democrazia in Libano, in quanto è sotto gli occhi di tutti che molti risultati sono stati già raggiunti.
Tutto ciò dimostra che è necessario continuare a lavorare per realizzare gli obiettivi di pacificazione e stabilizzazione nelle diverse regioni del mondo, in cui la pace è a rischio e nelle quali vi è la presenza dei nostri militari. In tale quadro è del tutto evidente che l'azione concreta della missione militare italiana nelle varie aree di crisi - che vanno dal Libano all'Afghanistan, dal Sudan al Darfur e alle altre regioni - deve essere confermata e valorizzata, al fine di rendere possibile la realizzazione di sempre più validi interventi umanitari per la ricostruzione civile ed istituzionale in questi paesi.
Proprio per questo devono anche essere sempre messe in campo, in parallelo, iniziative che devono far parte di una strategia più ampia di natura politica, umanitaria, diplomatica, economica e culturale e direi anche di intelligence, le cui risorse debbono essere - ce lo auguriamo - rafforzate.
Anche per ciò che concerne l'Iraq, pur dopo il passaggio delle responsabilità di sicurezza alle forze locali, grande significato assume il fatto che l'impegno dell'Italia continua ancora ad essere fondamentale, anche se sul versante civile.
Tenuto conto di ciò e tenuto conto degli ultimi fatti avvenuti in Afghanistan, vorrei soffermarmi sulla questione della missione italiana in Afghanistan.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 10,30)
SANDRA CIOFFI. In tal senso occorre svolgere una serie di riflessioni. Il nostro impegno è sempre più necessario, perché la sconfitta del regime talebano, come sappiamo, ha aperto in quel paese una fase tormentata e difficile. Non possiamo però dimenticare che sono stati ottenuti molti risultati: l'avvio di un processo politico di normalizzazione, l'inizio della ricostruzione di uno Stato di diritto e del ruolo della magistratura; mi riferisco anche alla ricostruzione delle componenti militari e di polizia dello Stato afghano.
Si sono verificati anche - sebbene ancora in misura non sufficiente - un iniziale incremento del reddito nazionale pro capite, un miglioramento dei servizi sanitari e di assistenza ed un avvio del ripristino del sistema scolastico. Abbiamo visto il ritorno di molti rifugiati ed è iniziato - oggi è l'8 marzo e lo vorrei ricordare - un serio percorso per il rispetto dei diritti umani delle donne.
Non possono essere certamente sottovalutati i rischi e le difficoltà ancora presenti, come la rinata capacità militare dei talebani, l'elevato livello di corruzione e il traffico di oppio che lo alimenta. In Afghanistan, quindi, la stabilizzazione non può ancora prescindere dalla presenza di una solida forza militare necessariamente multilaterale, che sia in grado di evitare scontri tribali e soprattutto un ritorno dei talebani con le loro atrocità e collusioni con Al Qaeda. Presupposto essenziale è, però, quello di continuare a lavorare, affinché sempre più gli afghani possano essere i veri protagonisti dei processi di sviluppo e delle funzioni di governo e di controllo del proprio territorio, fino al raggiungimento di una sostanziale autosufficienza.
Tenuto conto, quindi, dell'impegno che ha dimostrato e sta dimostrando il Governo italiano in tali ambiti e tenuto conto anche degli ultimi accadimenti, è quanto mai urgente rafforzare l'azione politica ed umanitaria, promuovendo anche un percorso volto ad organizzare un ulteriore seminario per una riflessione su tutte le problematiche relative ai processi di pacificazione nei territori, in cui l'Italia è impegnata.
Ci sembra, però, un grande segnale non solo la previsione dell'organizzazione di una Conferenza per le pari opportunità a difesa dei diritti umani delle donne e dei Pag. 7bambini in tutti i territori in cui si svolgono le missioni in cui il nostro paese è impegnato, ma anche la previsione di una Conferenza sulla giustizia.
La Conferenza per le pari opportunità a difesa dei diritti umani delle donne e dei bambini è stata fortemente proposta da noi, in quanto è sotto gli occhi di tutti che le donne e i bambini sono le prime vittime dei teatri di guerra. Riteniamo, quindi, necessario svolgere una riflessione al riguardo e verificare quali interventi specifici realizzare in questi paesi per aiutare i più deboli.
In conclusione, quindi, tutte le missioni internazionali nelle quali è impegnata l'Italia - e non solo quelle delle quali ho parlato - sono parte della politica estera di pace, che dimostra, però, anche di sapersi assumere le proprie responsabilità sul piano militare, quando occorre combattere contro la violenza e il terrore.
Proprio per queste ragioni, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, è necessario dare un forte segnale con il nostro voto. Non si può assolutamente indebolire il ruolo di pace che l'Italia si è conquistata nello scacchiere internazionale. Per questo motivo oggi bisogna mettere da parte steccati ideologici, che sono lontani da una valutazione obiettiva della realtà.
Alla luce di quanto espresso, preannuncio, quindi, il voto favorevole del gruppo dei Popolari Udeur (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, caro signor viceministro Ugo Intini, colleghi, desidero innanzitutto esprimere a nome del mio gruppo solidarietà e sostegno a tutti i nostri militari e civili impegnati nelle missioni di pace, di sicurezza e di cooperazione nel mondo. La situazione in Afghanistan si presenta per noi in questo momento particolarmente delicata a causa del rapimento di un nostro connazionale, il giornalista de la Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, e dell'escalation della guerra, che ci pongono dinnanzi una chiara e non ambigua assunzione di responsabilità.
Sul primo argomento mi sento in dovere di lanciare un appello a tutti i parlamentari e ai rappresentanti delle forze politiche affinché assumano un atteggiamento di alta responsabilità nazionale. Lo ha detto chiaramente il ministro degli esteri, Massimo D'Alema. Il nostro connazionale non è stato rapito da un gruppo di sbandati, ma dalla struttura politico-militare dei talebani. Quindi, si tratta di un preciso segnale di intimidazione lanciato al Parlamento della Repubblica ed alle istituzioni del nostro Paese e le parole che noi pronunciamo ed i concetti che noi esprimiamo devono partire da questo presupposto, ovvero che essi non sono lanciati nel vuoto, ma vengono recepiti e raccolti in questo momento da coloro che hanno in mano il nostro connazionale.
Purtroppo ho sentito in questi giorni molte note stonate, come un'intervista rilasciata dal segretario di Rifondazione Comunista, Giordano, che ho sempre apprezzato per la sua coerenza, intitolata: «Se ci fosse un morto, dovremo pensare di andarcene». Inoltre ho ascoltato una dichiarazione del capogruppo dei Verdi, onorevole Bonelli: «Se arriveranno le prime bare, nessuno riuscirà a reggere». Infine, ho letto una dichiarazione della senatrice Palermi, del Partito dei Comunisti italiani, che testualmente afferma: «I nostri militari devono andarsene in fretta».
Non credo che adesso sia questo il segnale che dobbiamo lanciare a coloro che hanno nelle loro mani un nostro connazionale per motivi politici; in questo momento si sta discutendo in questo ramo del Parlamento sul rifinanziamento delle missioni, tra cui quella in Afghanistan, e quindi con questo rapimento gli autori intendono produrre atteggiamenti politici da parte dell'Italia.
Non so a chi si ispiri quest'area della sinistra italiana. Zapatero recentemente ha inviato altri quattrocento uomini in Afghanistan e per molti si tratta di un punto di riferimento sul piano delle battaglie di Pag. 8laicità e di libertà. Evidentemente, non lo è più quando si parla di politica estera. Certo, non si ispirano al socialista e laburista Blair, che in questo momento, insieme agli Stati Uniti d'America, ai canadesi ed agli olandesi è impegnato nell'operazione Achille, ovvero in un'operazione militare per scovare e distruggere le basi terroristiche talebane in Afghanistan.
Qual è il modello di politica estera cui si ispirano costoro, cui si ispira la cosiddetta «sinistra radicale», che radicale non è (i radicali sono altra cosa) e che dovremo cominciare a chiamare con il loro nome, ovvero sinistra comunista? Si tratta infatti di due partiti comunisti, PDCI e Rifondazione Comunista (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani) che legittimamente hanno un nome, una storia ed un'ispirazione ideale che va rispettata (e che io rispetto), ma dalla quale mi distinguono molte cose.
Tuttavia, si dice che non esistono problemi perché in fondo alla Camera con il premio di maggioranza anche pochi dissidenti non fanno notizia e perché al Senato vi saranno solo due o tre defezioni. Sì, ma siete voi che avete deciso di governare il Paese con un solo voto di maggioranza e con duecentomila voti in meno al Senato. Se vi vengono a mancare due o tre voti, ciò significa che questa maggioranza, su un argomento così fondamentale per l'Italia come la politica estera, non esiste! Di questo dovete prendere atto, soprattutto dopo le dichiarazioni ufficiali del Presidente della Repubblica, che vi ha chiesto se siete in grado di esprimere da soli, autonomamente, una politica estera all'altezza del paese, se avete i numeri per poterlo fare.
Vengo al secondo argomento: l'offensiva di talebani. Vedete, colleghi, noi siamo in Afghanistan con una missione di pace, cioè non offensiva, non di conquista militare e civile. Tuttavia penso non sia assolutamente ipotizzabile, di fronte ad un'offensiva del terrorismo talebano contro il legittimo Governo di Karzai, che i nostri militari se ne stiano a guardare, delegando ad altri le azioni «sporche» o che addirittura levino le tende e se ne tornino in patria, dimostrando a tutto il mondo come siamo fatti noi. Questo atteggiamento mi ricorda qualche slogan del passato. Ricordo che nel '68 uno degli slogan preferiti dai manifestanti - io sono, o meglio ero un giovane (adesso lo sono meno!) che in fondo ha attraversato quel periodo, insomma ero un giovane che ha fatto il '68, come tanti - era: polizia disarmata! Cioè la polizia doveva essere disarmata, ma i manifestanti potevano tirare sassi, bottiglie e a volte anche pallottole contro la polizia! Ecco, noi siamo per un principio di pacifismo e per una violenza praticabile a senso unico!
Mi sembra che il terrorismo talebano sia un terrorismo reale, che esprime una violenza oggettiva e noi siamo andati lì per combatterlo. Quindi il nostro nemico in Afghanistan, vorrei ricordarlo a tutti, non sono gli Stati Uniti d'America o gli inglesi, ma sono i terroristi talebani. Penso che non possiamo essere né vili né ipocriti a fronte di una eventuale nuova offensiva di costoro nei confronti di un Governo democratico, legittimo, che la comunità internazionale ha contribuito, attraverso l'offensiva messa in atto, ad insediare in quel paese.
Si è voluto in qualche modo edulcorare questo decreto con tre condizioni, che sarebbero la dimostrazione di una discontinuità della politica estera italiana rispetto al passato Governo Berlusconi. Le tre condizioni, sulle quali la sinistra comunista ha dichiarato vittoria, una vittoria che non è stata però recepita da alcuni dissidenti, che ritengono, a mio giudizio correttamente, che non esista una exit strategy a fronte della escalation della guerra in Afghanistan, sarebbero la promozione di una conferenza di pace, una più marcata lotta alla droga e ai mercanti della droga e l'aumento dei fondi per la cooperazione civile.
Si tratta indubbiamente di tre argomenti che possono unire tutto il Parlamento, non soltanto una parte di esso, tuttavia, sono pronunciamenti, espressioni di volontà. La Conferenza di pace non basta che sia l'Italia a proporla, perché si possa realizzare concretamente. La lotta Pag. 9alla droga bisogna vedere come la si intende. Non ho niente, in termini di principio, contro la mozione presentata dalla maggioranza. Registro soltanto il fatto che il ministro degli esteri D'Alema sostiene che il Presidente Karzai si è esposto per combattere a monte la produzione di oppio in quel paese, e quindi la sua commercializzazione potrebbe essere controproducente.
Inoltre, per quanto riguarda la cooperazione civile, non possiamo, come immaginano gli amici della sinistra comunista, pensare ad una distinzione netta tra cooperazione civile e intervento militare: una cooperazione civile che a questo punto non si sa da chi dovrebbe essere protetta, se non dai nostri militari. A chi dovrebbe far capo, se non ai nostri presidi? Insomma questa idea che in un teatro di guerra noi possiamo andare con i medici, con gli infermieri, con i volontari, e lasciarli senza una reale protezione militare, mi pare davvero anche pericolosa.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Del Bue.
MAURO DEL BUE. Queste sono le motivazioni che stanno alla base del nostro voto favorevole sul disegno di legge di conversione di questo decreto-legge. Lo esprimeremo con convinzione e senza alcuna riserva politica (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista e di deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.
PIETRO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Movimento per l'Autonomia deplora le dispute e le divisioni sulla politica estera e sul rispetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia che, fino ad ora, hanno caratterizzato il dibattito sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, che si è svolto fino oggi in Assemblea ma, ancora di più, sulle pagine dei giornali. Le deploriamo perché siamo convinti - come più volte ho avuto modo di esprimere in questa sede - che sul capitolo della politica estera un paese democratico ha il dovere di mostrarsi unito, che le beghe ideologiche e di partito debbano restare fuori e che debba prevalere il buonsenso.
Un pensiero ed una visione più globali e più lungimiranti, che tengano conto della nostra recente storia, e il ruolo internazionale di prestigio che l'Italia ha conquistato, grazie alla sua affidabilità, nel consolidamento della pace e della democrazia non possono essere cancellati da un Governo fragile, litigioso, incoerente e profondamente diviso, ostaggio di una sinistra che non ha e non avrà mai una cultura di Governo e che ha scambiato palazzo Chigi per un centro sociale.
Se un Governo ha la maggioranza, essa deve manifestarsi, in primo luogo, nella politica estera. Ma come si può dialogare con chi definisce l'impegno degli Stati Uniti pari all'operato dei nazisti? Sono affermazioni, insieme, assurde e strumentali che danno voce ad una minoranza estremista che, pure, esiste nel nostro paese ma che solo in questa composita maggioranza parlamentare ha trovato asilo.
La sinistra radicale continua a dare una lettura ideologica dei fatti, frutto di una cultura obsoleta che si appiattisce su analisi antiamericane ed antiatlantiche ormai bocciate dalla storia. Purtroppo, mentre in questa sede si discute sulle sfumature dei termini utilizzati, si disquisisce di continuità e discontinuità, se la missione sia di pace o di guerra, in Afghanistan si sparano pallottole vere, muoiono soldati e civili e si rapiscono giornalisti.
Il problema concreto che si pone a noi, al di là di tutti i distinguo, di tutte le elucubrazioni mentali, è quello di mettere i militari impegnati nella ricostruzione di un paese che si è appena affacciato alla democrazia in condizione di difendersi adeguatamente. È inutile nascondersi dietro un dito: non abbiamo la palla di vetro per stabilire quanto questa guerra durerà. Dobbiamo fornire ai nostri militari i mezzi per poter affrontare e fronteggiare gli Pag. 10attacchi a cui, probabilmente, saranno soggetti. Non farlo li renderebbe protagonisti di una farsa che rischia concretamente di trasformarsi in tragedia.
I nostri militari in Afghanistan hanno svolto sino ad ora, e continueranno a svolgere, una azione volta alla creazione e alla stabilizzazione della democrazia. Il Governo Karzai, eletto, per la prima volta, democraticamente, continua a invocare il mantenimento del contingente italiano fra quelli dei 37 paesi attualmente impegnati nella missione di ISAF. La pace e la democrazia in Afghanistan, come in altri paesi del mondo, sono beni devono essere conquistati. La pace, purtroppo, per questa sinistra, è diventata soltanto una bandiera colorata da portare a spasso per i cortei.
La pace impone un prezzo che deve essere pagato e che potrebbe comportare, purtroppo, anche la perdita di vite umane. Non saranno le bandiere dei pacifisti a fare da scudo ai nostri ragazzi, né i cortei o le manifestazioni di piazza ma una dotazione adeguata, frutto di una politica chiara, coerente e decisa.
Noi del Movimento per l'Autonomia sosterremo, con il nostro voto, il mantenimento delle missioni umanitarie all'estero, convinti che questa sia l'unica strada praticabile per il raggiungimento della pace, insieme a un impegno politico e diplomatico in grado di assicurare sviluppo economico e sociale, equità e occupazione. Queste missioni impongono, in sede parlamentare, un'ampia convergenza, scevra da posizioni demagogiche e puramente strumentali. Missioni così impegnative non possono e non devono essere influenzate dall'onda emotiva di singoli episodi, per quanto possano essere dolorosi.
Ricordiamo quanto sia stato fatto in questi anni in Afghanistan: se quel paese oggi ha un Parlamento democraticamente eletto dal popolo e riconosce alle donne, almeno sulla carta, diritti costituzionali è anche grazie al nostro contributo. Ciò dimostra che la strada fin qui percorsa è quella giusta.
Purtroppo, i fatti di questi ultimi giorni ci dimostrano che il controllo del territorio da parte delle forze democratiche e del Governo Karzai non è ancora realizzato e quanto pericolosa e determinata sia la presenza dei talebani.
La proposta di una Conferenza di pace, che il decreto-legge oggi al voto finanzia, serve forse ai bizantinismi della nostra politica interna, ma non rappresenta una strada immediatamente praticabile per una effettiva soluzione di pace.
Il decreto-legge che siamo chiamati a votare non si riferisce solo alla presenza dell'Italia in Afghanistan, ma ad interventi umanitari e di cooperazione allo sviluppo che, come noto, hanno l'intento di dare sostegno alle popolazioni dell'Afghanistan, del Libano del sud e dell'Iraq, pur se con modalità diverse, per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei loro popoli.
Il nostro voto favorevole è nel segno della continuità con quanto fatto dall'Italia fino ad oggi ed è dettato da un forte senso di responsabilità nei confronti del nostro paese, del suo ruolo in ambito internazionale e della sua credibilità. Il Governo sappia, quindi, che il nostro voto non intende sostenere in alcun modo questa fragilissima maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, in questo Parlamento vi sarà ovviamente una larghissima maggioranza a favore di questo disegno di legge di conversione del decreto-legge per il finanziamento delle missioni in Afghanistan e in altri paesi.
Naturalmente, proprio perché c'è questa maggioranza, il dibattito sulle dichiarazioni di voto finale si può prestare a qualche considerazione più ampia sui problemi politici di fronte ai quali l'Italia si trova nel fare la sua parte nell'azione Pag. 11internazionale di contenimento e lotta al terrorismo.
Nel 2001, dopo l'attentato alle Torri gemelle, nel mondo occidentale si è aperta una discussione molto approfondita ed io ho pieno rispetto, come quando decidemmo per la guerra in Iraq, per le posizioni che sono profondamente radicate sia nella cultura della sinistra italiana (non solo della sinistra cosiddetta «radicale», ma anche del grande partito democratico della sinistra), sia in vasti ambienti del mondo cattolico. La preoccupazione di trasformare il mondo occidentale in un esercito che combatte, tra l'altro, un nemico elusivo, come il terrorista, dando il segno di perdere i valori di una civiltà di tolleranza, di rispetto e di costruzione della pace, sui quali l'Europa si è costruita nel dopoguerra, certamente attraversa la sinistra italiana, ma posso assicurare che non è estranea alle riflessioni che noi stessi compiamo su questi problemi.
Tuttavia, chi ha responsabilità di Governo - non chi ha semplicemente responsabilità parlamentari e politiche - ha l'obbligo e il dovere di compiere certe scelte, onorevoli colleghi della sinistra che oggi fate parte di una maggioranza di Governo.
I Governi di paesi democratici, quali gli Stati Uniti d'America, l'Inghilterra laburista, l'Olanda e una serie di paesi che si collocano nell'ambito degli schieramenti di centro, centrosinistra e centrodestra, nel corso di questi anni hanno convenuto sul fatto che non fosse possibile non fronteggiare in maniera netta e forte la minaccia del terrorismo e, per quanto elusiva essa fosse, che bisognasse recarsi nei paesi nei quali il terrorismo poteva trovare una sua alimentazione. Mi riferisco all'Iraq e, certamente, all'Afghanistan, ma esiste anche il problema dell'armamento nucleare di un grande paese come l'Iran, che sarà il prossimo ad essere posto sul terreno delle decisioni difficili che dobbiamo prendere. C'è stato un orientamento dell'ONU, della Nato, dell'Europa che ci porta in quella direzione.
Allora, onorevoli colleghi, il Parlamento italiano deve partire da questo problema. Il punto che è emerso con chiarezza nel corso di questi mesi - ma a noi sembrava chiaro dalla lettura del programma dell'Unione - è che quest'ultima non ha trovato e non trova una sintesi efficace di queste posizioni. Quando alcuni colleghi, che oggi fanno parte della maggioranza di Governo, dicono che il rapimento del giornalista Mastrogiacomo, a cui va la nostra solidarietà, pone il problema della presenza italiana in Afghanistan, si capisce che, sotto la superficie di un apparente consenso, cova un dissenso molto profondo. Mastrogiacomo poteva essere rapito sul fronte del Darfur o delle infinite guerre che ci sono nel mondo, in cui giornalisti coraggiosi testimoniano il loro mestiere e il loro dovere andando in quelle zone. L'onorevole Giordano si sarebbe alzato a dire, se Mastrogiacomo fosse stato rapito nel Darfur, che ci saremmo ritirati da quel territorio?
No, il problema è che l'Afghanistan è una questione aperta per la sinistra italiana - lo dico con rispetto, non certo con il desiderio di alimentare una polemica -, perché voi ritenete che la strategia del confronto con il terrorismo con le armi è destinata a fallire e ad aggravare le condizioni del mondo e che, quindi, servono strumenti completamente diversi: questo è il punto politico di tale situazione. Naturalmente, mi rivolgo al Governo... Mi rivolgerei al Governo se ascoltasse o se sentisse o se avesse interesse ad ascoltare il Parlamento, Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Intini, è richiesta la sua attenzione.
GIORGIO LA MALFA. Non so se il Governo sia in grado di capire, ma sarebbe certamente in grado di ascoltare se usasse la cortesia verso il Parlamento.
LUCA VOLONTÈ. Bravo, Giorgio!
GIORGIO LA MALFA. Allora, il problema che si pone, onorevoli colleghi, è il seguente: c'è una politica estera dell'attuale Governo? Una politica estera in grado di affrontare le difficoltà, magari Pag. 12crescenti, che possono venire da un inasprimento della situazione in Iraq oppure ogni questione riapre una ferita ed una divisione? La ragione per cui non c'è, onorevoli colleghi, l'abbiamo vista in Senato, perché in quella sede il ministro degli esteri ha tentato l'estrema sintesi - cioè, ha fissato una posizione che rappresentava un punto diverso ed ha rotto la continuità rispetto alla politica estera -, a tal punto che noi tutti non abbiamo potuto votare a favore di quella dichiarazione. Avevamo votato a favore delle posizioni del ministro Parisi, mentre non abbiamo votato a favore delle dichiarazioni del ministro D'Alema perché egli si è spinto molto avanti nel descrivere la politica estera del Governo italiano, che certamente rappresentava una discontinuità rispetto al passato. Quindi, il test del Senato sulla politica estera è stato quello: se su quella politica estera il Governo Prodi non ha la maggioranza, evidentemente vuol dire che non esiste una sintesi possibile.
Allora, voi chiedete - ce lo chiedete in coro, ce lo chiede il ministro Amato e in tanti altri - di votare a favore, poi deciderete se il voto a favore determinante sia tale da comportare un chiarimento o meno. Come hanno detto con molta serietà il presidente Dini l'altro giorno e stamattina l'onorevole Ranieri, presidente della Commissione affari esteri della Camera, il problema esiste. Il problema dell'autosufficienza di una maggioranza esiste perché alla spalle dei nostri soldati e dei nostri diplomatici, che ci rappresentano nelle sedi internazionali, deve esserci un Governo che ha una politica e non due. Lo dico con rispetto verso i colleghi di Rifondazione, dei Verdi e dei Comunisti italiani perché so che tali questioni attraversano profondamente la coscienza di un paese come il nostro. Tuttavia, un Governo i problemi di coscienza deve saperli porre alle sue spalle e deve prendere delle decisioni.
Su questo noi dubitiamo dell'Esecutivo e ne abbiamo avuto la prova al Senato. Infatti, sulla politica - che non ha il nostro consenso - esposta dall'onorevole D'Alema il Governo non ha la maggioranza del Senato e, quindi, non è in condizioni di governare. Allora, mi rivolgo ai colleghi che con noi fanno parte dell'opposizione. È saggio - colleghi di Alleanza Nazionale, dell'UDC e di Forza Italia -, in una situazione internazionale che si può aggravare, coprire al Senato le divergenze esistenti, che verranno alla luce nel prossimo futuro e che renderanno sempre più debole la politica del Governo?
Credo che, dato questo voto politico alla Camera, noi al Senato dobbiamo rivendicare il diritto di lasciare sola questa maggioranza di fronte alle sue contraddizioni e, se non ci sono, tanto meglio! Ma, se quelle contraddizioni esistono, l'Italia avrebbe bisogno di un altro Governo e sarebbe giusto che dalla politica estera nascesse la possibilità di un diverso Esecutivo che esprimesse una politica estera di cui chi rappresenta il paese all'estero possa sentirsi pienamente titolare.
Queste sono le considerazioni - signor Presidente, onorevoli colleghi - che accompagnano il nostro voto favorevole sul decreto oggi all'esame della Camera.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, il nostro dibattito su questo decreto-legge si è svolto in un momento di grande tensione, mentre la situazione in Afghanistan si fa sempre più cupa.
È di tre giorni fa l'ennesima strage, con cinque donne, tre bambini, un vecchio, falciati da una bomba americana intorno al tavolo per la cena, in un villaggio del distretto di Mijarab; strage che porta a più di mille il numero di civili vittime di quelli che vengono definiti effetti collaterali del conflitto, secondo la pudica ed ipocrita definizione della gergo burocratico militare.
È dell'altro ieri la sparizione del giornalista Daniele Mastrogiacomo e cogliamo l'occasione per rinnovare ai suoi familiari Pag. 13e colleghi la solidarietà di noi tutti, nella speranza che gli sforzi del nostro Governo portino ad un esito positivo della vicenda.
Questi ultimi drammatici episodi si saldano ad una lunghissima catena di eventi negativi, che fanno parlare ormai apertamente di «irachizzazione» del conflitto e costituiscono una riprova - semmai ve ne fosse bisogno - dell'urgenza di imboccare la strada che, il più rapidamente possibile, potrà e dovrà portarci ad una soluzione politica del dramma afghano. Infatti - come abbiamo fin troppo facilmente previsto noi Verdi, noi pacifisti, fin dall'inizio dell'intervento in Afghanistan - la soluzione militare è fallita! È servita semmai - paradosso beffardo - a fomentare il terrorismo e a rafforzare il disagio e l'ostilità che le popolazioni locali, inizialmente favorevoli, nutrono sempre più nei confronti dello spiegamento delle forze occidentali nel loro paese.
Dobbiamo dunque uscire al più presto dalle strettoie dell'intervento esclusivamente militare. E che la bilancia penda ancora troppo dalla parte delle operazioni belliche, lo dimostrano le cifre indecorose degli stanziamenti: con 82 miliardi di dollari spesi in Afghanistan dal 2001 per fare la cosiddetta guerra al terrorismo e soltanto 7 destinati alla ricostruzione.
Occorre fornire da subito una risposta politica ai complessi problemi di quell'area, riformulando le nostre priorità, per dare sempre maggiore spazio agli interventi di carattere civile e umanitario, alle strategie per rimettere in sesto l'architettura istituzionale, sociale ed economica del paese.
Procede in questa direzione, lo diciamo con sollievo, il decreto-legge che stiamo per approvare. In primo luogo, perché riconferma ancora una volta, con volontà nitida, l'approccio multilaterale come bussola, come asse portante della nostra politica estera in Afghanistan e dovunque si svolgano le altre missioni internazionali a cui partecipiamo.
Ma ci sono altri segnali incoraggianti che apprezziamo: pensiamo al segnale, non solo simbolico, dato dalla scomparsa di ogni riferimento al codice militare di guerra, sostituito per tutti i militari italiani all'estero da quello di pace. E non vogliamo trascurare altri positivi elementi di inversione di rotta, quali la prospettiva della Conferenza di pace, la decisione di avviare un'indagine conoscitiva per il monitoraggio della missione, il deciso impegno italiano a proseguire nel lavoro politico e diplomatico non solo per affrontare il dramma afghano, ma altresì per stabilizzare i paesi limitrofi.
Abbiamo anche apprezzato la reazione forte del ministro D'Alema di fronte alla strage di pochi giorni fa, che ci aveva veramente angosciato, anche perché altre simili - purtroppo - accadranno, e sosteniamo con forza l'appoggio che D'Alema ha dato al governo afghano, chiedendo l'apertura di un'inchiesta veramente indipendente su tali devastanti eventi. Proprio per arginare questa costante violazione dei diritti umani - ricordo che la protezione di tali diritti dovrebbe essere uno degli obiettivi cardine della missione ISAF - noi Verdi abbiamo presentato un ordine del giorno, avente come prima firmataria la collega Tana De Zulueta, accettato ieri dal Governo, per garantire la continuazione dell'attività dell'Afghanistan Independent Human Rights Commission e per istituire un difensore civico al quale possa rivolgersi chiunque abbia subito danni o violazioni dei diritti umani da parte della coalizione.
Tutto ciò, tuttavia, non basta, signor Presidente. Non basta ancora. Il deterioramento della situazione afghana corre veloce, troppo veloce e richiede che si faccia di più, molto di più. Consideriamo, ad esempio, il tanto discusso e tanto vituperato dall'opposizione ordine del giorno Sereni n. 9/2193/4, che ieri è stato accettato dal Governo ed impegna lo stesso Governo a «sostenere nelle sedi internazionali (...) ogni iniziativa tesa ad individuare un efficace strategia di contrasto alla coltivazione e al commercio illegali di oppio, anche attraverso eventuali programmi di riconversione delle colture illecite di oppio in Afghanistan in colture legali, ai fini dell'utilizzazione dell'oppio medesimo per le terapie del dolore». Non Pag. 14è affatto un idea bislacca, come ha sostenuto ieri l'onorevole Casini; non è una proposta inefficace, come ha affermato l'onorevole Giovanardi; né, tantomeno, una sorta di «santificazione della droga», come l'ha bollata l'onorevole Gasparri. Se osservata senza il paraocchi dell'ideologia e di moralismi ipocriti, potrebbe, invece, rivelarsi un utile strumento per allentare il cappio del narcotraffico, stretto intorno al collo delle comunità afghane.
Ricordiamo che nel 2006 il raccolto di oppio ha registrato un'ennesima impennata record: 165 mila ettari coltivati a papavero, una produzione che costituisce il 92 per cento del mercato mondiale. Ora, non un incallito antiproibizionista, non un no-global, ma Bill Emmott, che mi risulta essere l'ex direttore di The Economist, quindi tra i più autorevoli conoscitori al mondo del mercato e dei suoi meccanismi, scrive testualmente sul Corriere della Sera di ieri: «Si direbbe un'idea pazza solo se si è convinti che l'oppio è l'essenza del male e che pertanto acquistare i raccolti non farà che incoraggiare i contadini afghani a coltivare un prodotto riprovevole. Se l'operazione fosse gestita nel migliore dei modi» - continua Emmott - «un simile progetto potrebbe riscattare gli agricoltori, sottraendoli alle grinfie di criminali, »signori della guerra« e talebani. Il vero problema non ha nulla a che vedere con l'oppio e l'eroina, quanto piuttosto con i costi di realizzazione: vi faccio presente che sarebbero solo un ventesimo di quanto la sola America spende in un anno per la guerra in Iraq. Questa idea può funzionare» - continua sempre Emmott - «solo se i paesi occidentali, tra cui l'Italia, si impegnano a finanziare il progetto generosamente, anno dopo anno». Progetto arduo - chi se lo nasconde? -, che richiede tempi lunghi - chi lo nega? -, ma vale la pena di tentare, perché, questo è il punto cruciale, bisogna mettere in campo una gamma di soluzioni che vadano oltre il conflitto militare, riformulando appunto le nostre priorità, per accompagnare e garantire il difficile percorso di ricostruzione e di pace. Queste sono le linee guida per ridisegnare la missione afghana e dare un senso alla nostra presenza in tale area.
Signor Presidente, il nostro «sì», il nostro difficile «sì» alla missione in Afghanistan si fa ovviamente meno problematico per le altre missioni internazionali che questo provvedimento include: dalla nostra presenza in Libano, in cui l'Italia ha svolto un ruolo guida per la costituzione di una forza di interposizione sotto la bandiera dell'ONU, per porre fine al conflitto scoppiato tra Israele e Libano, al nostro rinnovato impegno in Kosovo. Tutte situazioni delicatissime, che richiedono un monitoraggio costante, ed è un peccato che in Parlamento non vi sia il tempo per svolgere un dibattito più approfondito su ognuna di tali questioni, messe in ombra dalla più lacerante questione afghana.
Con queste motivazioni e con le prospettive che abbiamo illustrato, annunciamo, signor Presidente, il voto favorevole dei Verdi alla conversione in legge di questo decreto-legge (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cannavò. Ne ha facoltà.
SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, non voterò questo provvedimento, così come ho già fatto a luglio, quando si procedette ad analogo rifinanziamento ed a proroga, perché sostanzialmente ritengo che non sia cambiato nulla rispetto a quella fase, e nulla rispetto a quando avevo già espresso un voto contrario.
In realtà, devo dire che, forse, alcune cose sono cambiate, ma in peggio. Al di là della situazione sul terreno, su cui tornerò tra poco, occorre dire che il provvedimento all'esame contiene un aumento delle risorse per le missioni militari, in particolare per quella in Afghanistan, che incrementa sia il numero dei militari sia quello delle risorse e dei mezzi tecnici, compresi elicotteri ed aerei. Nel frattempo, si è proceduto ad un intervento in Libano che, secondo me, si inscrive in una logica Pag. 15ancora sbagliata della politica estera italiana (che, infatti, non condivido). In particolare non condivido quell'aumento delle spese militari contenute nella legge finanziaria, che fa ben comprendere l'unità d'intenti della politica del Governo e il motivo per cui si registra un dissenso su un terreno così cruciale.
È evidente a tutti che il problema principale è riferibile a ciò che è avvenuto sul terreno, cioè al peggioramento della situazione in Afghanistan. Non mi riferisco ovviamente al caso tragico di queste ore del giornalista Mastrogiacomo, anzi su questo mi preme dire (oltre ad esprimere la massima solidarietà e l'augurio per la sua rapida liberazione) che in riferimento a questo episodio registro l'unico elemento di contatto con il ministro degli esteri quando invita a non strumentalizzare questa vicenda: sono d'accordo con lui, non bisogna strumentalizzare la vicenda da nessun punto di vista né parte, e quindi non vi farò alcuna menzione per motivare il mio dissenso alla missione, che viene prima e prosegue al di là dell'esito, che io spero favorevole, di questa vicenda.
È molto più importante invece, in queste ore e in queste settimane, concentrarsi sul lancio dell'operazione Achille da parte della NATO, e quindi su una recrudescenza del conflitto militare lì, nel territorio afgano, che non può non coinvolgere le truppe italiane e la politica estera italiana. Tra l'altro, il lancio dell'operazione Achille arriva dopo il reiterato annuncio di una escalation militare e di una offensiva in primavera che viene ormai data per certa da tutti gli analisti, e, soprattutto, arriva dopo una serie di attacchi effettuati da parte delle truppe anglo-americane che inquadrano la situazione in un contesto di guerra dalla quale l'Italia non può sfuggire. Credo che questo sia il cuore del problema e costituisca la base del nostro dissenso e del mio in particolare: la strategia militare che sottende l'intervento in Afghanistan e, quindi, il ruolo della NATO.
Veda, signor Presidente, nel 2001 il movimento per la pace coniò lo slogan, tanto amato e vituperato allo stesso tempo, del «senza se e senza ma». Quello slogan nacque, non a caso, proprio in occasione della guerra in Afghanistan, lanciata illegalmente dagli Stati Uniti, e si riferiva al fatto che nessuna guerra è sostenibile sia che venga sancita dall'ONU sia che venga sancita dalla NATO, dunque coperta da istituzioni internazionali. Il punto è esattamente questo. Quello che voglio rimarcare in quest'aula - quando ci viene detto «guardate che questa guerra non è unilaterale ma multilaterale, guardate che vi è la copertura dell'ONU (che tra l'altro è arrivata soltanto in un secondo momento), guardate che c'è la NATO, cioè istituzioni internazionali di cui facciamo parte» - è il fatto che proprio qui si pone il nostro dissenso, perché quelle istituzioni, in particolare la NATO, nel momento in cui lavorano in Afghanistan, così come stanno facendo, non fanno altro che seguire la scia di quella contrapposizione globale tra Occidente e mondo arabo musulmano che la strategia militare degli Stati Uniti ha imposto dal 2001 in poi, dopo la tragedia dell'11 settembre, costruendo uno schema internazionale da guerra di civiltà, nella quale ovviamente le destre si ritrovano pienamente e a loro agio, ma nella quale naturalmente le sinistre non possono stare a proprio agio.
La contrapposizione che viene scatenata in Afghanistan è tale che non può non essere percepita da milioni, e anzi da centinaia di milioni, di persone, come una contrapposizione tra mondo occidentale e i nuovi barbari. E da questo punto di vista noi costruiamo una frattura che rischia di essere continuamente insanabile. Non a caso, la faglia che c'è tra il mondo occidentale e quello arabo musulmano è puntellata oggi da interventi militari che vedono sempre più frequentemente l'intervento italiano. E credo che sia proprio da questa struttura e da questa logica complessiva che dobbiamo uscire. Tra l'altro, è una struttura e una logica complessiva che è certificata anche dalla particolare catena di comando delle operazioni militari in Afghanistan, che vede in una posizione Pag. 16di primato assoluto gli Stati Uniti, e in una posizione subordinata tutti gli altri alleati.
Vede, signor Presidente, vi è un paradosso che vorrei portare all'evidenza anche di quest'aula. Nel corso di tutta la guerra fredda il movimento comunista ha sempre sostenuto l'illegittimità del Patto atlantico e quindi ha contrastato la NATO.
Paradossalmente, però, la NATO aveva un senso, aveva un logica quando vi era una contrapposizione planetaria dei due blocchi. Onestamente, oggi, una logica ed un senso la NATO non li ha più, se non come strumento di politiche che appaiono neocoloniali agli occhi di gran parte della popolazione di questo pianeta, di politiche di guerra, aggressive ed offensive. Credo che questo sia il punto nodale di una questione che non può essere risolta, evidentemente, di volta in volta, soltanto con la discussione puntuale delle missioni, ma che dovrebbe vedere una discussione più approfondita sul senso delle alleanze militari che l'Italia continua a mantenere e, soprattutto, il senso che la NATO si vuole dare.
Oggi, comunque, l'Italia nell'ISAF, nel progetto offensivo contro l'Afghanistan, significa l'Italia in guerra. Da questo punto di vista, non credo sia possibile un'ipotetica terza posizione che veda, da una parte, un conflitto militare con le forze anglo-americane nel sud dell'Afghanistan, dall'altra, l'ipotesi del ritiro e, in mezzo, il contingente italiano, che se ne sta tranquillamente ad Herat o a Kabul, in una posizione di supporto umanitario alla popolazione afgana. Non credo che ciò sia possibile. Oggi, il problema si pone, in maniera ancora più netta, nei seguenti termini: o si partecipa alla guerra o ci si ritira. Mutuando le parole di Emergency, l'unica soluzione possibile al problema è quella di far tacere le armi, di ritirare le truppe e di mettere mano davvero ad una soluzione politica, perché soltanto dopo un gesto di distensione unilaterale è possibile costruire una soluzione politica al problema afgano.
Del resto, stiamo assistendo, proprio in questi giorni, in queste ore, a quella che molti osservatori stanno definendo «irachizzazione» del conflitto, che non si sostanzia ancora in una guerra civile, ma in attacchi continui, stress militare costante e scollamento - questo è un altro elemento che contraddice lo spirito umanitario dell'intervento - tra l'intervento occidentale ed i bisogni, il sentire della popolazione. Come rilevava egregiamente il generale Fraticelli due giorni fa, come si può pensare di costruire un intervento che la popolazione vede, ogni giorno di più, come avverso, ostile, aggressivo? Peraltro, è questo l'elemento che alimenta il terrorismo, che determina ulteriore scollamento, che espone al rischio i militari e che costruisce una cornice, della quale ho già detto all'inizio del mio intervento, di scontro di civiltà.
Un'ultima considerazione mi preme proporre. Probabilmente, il provvedimento in esame sarà approvato, oggi, dal 95 o addirittura dal 99 per cento del Parlamento. Saranno poche le voci di dissenso, alcune strumentali, come abbiamo visto nel dibattito di ieri, altre più coerenti, storicamente coerenti. Io credo che questo elemento debba far riflettere non soltanto la maggioranza, ma tutto il Parlamento. Com'è possibile che sul terreno della guerra, sul terreno delle politiche militari, questo Parlamento continui ad essere non rappresentativo degli umori della società italiana, della condizione reale della società italiana? Non voglio citare i sondaggi, perché sono altalenanti, ma sappiamo tutti molto bene che non arriva al 99 per cento la percentuale della popolazione italiana che vuole sostenere questa missione militare; eppure, questo sarà l'orientamento del Parlamento. Credo che proprio qui vi sia un punto di crisi: un punto di crisi della politica ed anche della rappresentanza.
Per quanto mi riguarda, non ho né la pretesa né la presunzione di poter rappresentare tutti quelli che sono contro la guerra. Dirò di più: credo che in quest'aula siano tantissimi quelli che sono contro la guerra; credo che anche tra coloro i quali voteranno a favore del decreto-legge vi sia un sano sentimento Pag. 17pacifista, che rispetto e che continuerò a rispettare. Quindi, non è la questione della guerra fratricida a sinistra...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
SALVATORE CANNAVÒ. ... che mi muove o che muove quelli che oggi sono in dissenso. Rimane un punto politico che viene consegnato alla discussione della politica italiana e di questo Parlamento: nel paese, c'è una forte ed importante avversione alle politiche militari, alle missioni militari, ma il Parlamento vota pressoché all'unanimità. Credo che lo scandalo non stia nel voto in dissenso, e neanche nella maggioranza variabile (che è un altro «teatrino» della politica inventato recentemente): il problema vero della democrazia di questo paese sta nella mancanza di ascolto tra paese legale e paese reale! Grazie, signor Presidente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galante. Ne ha facoltà.
SEVERINO GALANTE. Signor Presidente, i Comunisti italiani votano a favore del provvedimento: lo facciamo con convinzione per l'impianto del decreto che riguarda missioni autenticamente e indiscutibilmente umanitarie e di pace (dal Darfur al Libano, per esemplificare), ma lo facciamo con spirito di responsabilità per altri aspetti e situazioni più discutibili e discussi, sui quali abbiamo cercato, nella discussione generale ed ora, di portare contributi critici ma comunque costruttivi nella delicatissima materia della politica di difesa e della politica estera dell'Italia.
Non ci sottraiamo alle decisioni difficili, e voglio rassicurare il collega La Malfa. Lo facciamo - e con questo rispondo anche al collega Del Bue - con una chiara ispirazione, che è quella di una cultura di sinistra, filtrata attraverso la Costituzione. Quest'ultima è ancora vigente in questo paese e conta il numero dei voti per l'approvazione di un provvedimento. Ricordo per l'appunto al collega Del Bue che il mio ed il suo voto possono normalmente sommarsi, pur se espressione di diverse motivazioni. Infatti, c'è una maggioranza ed un'opposizione che compongono insieme - collega La Malfa - il Parlamento. È il Parlamento come tale che approva o boccia i provvedimenti.
Dunque, votiamo questo provvedimento con convinzione, per un verso, e con spirito di responsabilità, per l'altro. Entrambi questi sentimenti politici sono percorsi da una grande, razionale preoccupazione, la stessa che qualche giorno fa manifestava il ministro degli esteri D'Alema, in rapporto alle recenti stragi in Afghanistan. Anche quella è la nostra preoccupazione: di quelle stragi sono artefici gli Stati Uniti d'America e l'etichetta apposta a quelle stragi è quella della NATO.
Ciò significa che anche noi italiani siamo direttamente coinvolti in quanto indirettamente corresponsabili. Se a ciò si aggiunge il fatto che anche l'est dell'Afghanistan, e più specificamente la regione di Herat sotto il comando italiano, sta diventando teatro di crescenti attività militari da parte degli afgani, la preoccupazione tende a diventare sempre più grande: un autentico allarme. Questo allarme è accresciuto dalle voci - se così vogliamo chiamarle - non smentite dalle autorità militari né da quelle politiche italiane, circa il coinvolgimento di nostri soldati in operazioni di combattimento cosiddette nascoste.
Noi condividiamo il proposito dichiarato dal Governo italiano di operare fattivamente per una soluzione politica della crisi afgana. Condividiamo quanto affermato dal Presidente Prodi su questo argomento e la richiesta e la volontà di lavorare a favore di una conferenza internazionale di pace che costituisce un obiettivo estremamente rilevante. In questa prospettiva strategica può apparire plausibile - e lo ripeto: plausibile - l'argomentazione che sostiene le opportunità tattiche di mantenere la presenza italiana in Afghanistan. Tuttavia, avverto che se la dimensione tattica si connota sempre di più sul piano operativo e su quello del combattimento, con una strategia dichiarata Pag. 18dal Governo ed una tattica praticata sul terreno, allora si rende palese una contraddizione insostenibile, oltre che - alla lunga - intollerabile, che fa della tattica la vera strategia. Credo che il Governo italiano debba esserne avvertito e auspico che agisca coerentemente ed efficacemente per rimediare a questa contraddizione.
Siamo giunti ad un punto di svolta dove non è più possibile temporeggiare in alcun modo. Ci sono due opzioni alternative. La prima è quella di partecipare consapevolmente, pagandone i relativi costi materiali e umani, alle molteplici guerre che si combattono sul suolo afgano. Seguire questa opzione, che viene chiesta con maggiore o minore consapevolezza da tanti solerti esponenti dell'opposizione, comporta - deve essere chiaro - la militarizzazione completa sia della nostra presenza in Afghanistan sia dell'Afghanistan stesso. Questo processo è nei disegni degli Stati Uniti. Esso ha già compiuto un rilevante passo avanti con l'assorbimento della missione Enduring freedom da parte dell'ISAF, che così ha cambiato sostanzialmente natura, assumendo i compiti diretti di lotta all'insorgenza e di contrapposizione all'imperialismo autocratico, lì incarnato dai talebani.
Un ulteriore passo avanti nella militarizzazione della crisi è in corso in queste ore e in questi minuti, con lo scatenamento dell'operazione Achille. Siamo ben felici - lo sottolineo - che il diffondersi dell'imperialismo teocratico venga contrastato. Siamo infatti coerentemente contro ogni forma di integralismo religioso, ovunque la sua aggressività si manifesti, soprattutto quando esso utilizzi la forza militare, o anche la forza politica, per imporsi. Né sottovalutiamo i risultati di civiltà raggiunti con l'occupazione: le scuole, l'eliminazione del burka (qualche collega ha sottolineato questi punti in precedenti interventi). Peraltro, vale la pena, con un po' di polemica, ricordare che questi risultati non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli raggiunti dall'Afghanistan ai tempi dei governi Amin, Karmal e Najibullah: forse varrebbe la pena di ricordare questo aspetto e di riflettervi adeguatamente.
Siamo in una situazione in cui l'Afghanistan è in subbuglio per una rivolta che nasce dall'incomprensione completa, da parte degli occupanti, della natura e della cultura di quelle popolazioni. Siamo di fronte alla necessità - questo è il nostro parere - di rivedere radicalmente l'impostazione di quella missione, in modo da garantire che essa possa raggiungere qualche efficacia.
La prospettiva della revisione non deve spaventare. Essa sarebbe prova di serietà e di professionalità, anziché di timore e di preoccupazione. Nel caso dell'Afghanistan la revisione del nostro impegno deve essere in grado di esplorare tutte le possibilità concrete, per dare un contributo serio al popolo afgano, in modo che esso possa rientrare nel quadro pieno di legittimità giuridica internazionale.
In particolare, bisogna verificare che le Nazioni Unite esercitino realmente la sua leadership nelle operazioni di sicurezza e di ricostruzione. Bisogna che si riaffermi nella pratica e non soltanto nella teoria che l'Afghanistan è sovrano e che il compito di gestire la sicurezza è soltanto suo. Ciò significa far confluire tutte le energie militari e civili in una missione di assistenza al governo afgano, rispettandone la sovranità, le regole e le priorità, vigilando che siano compatibili con gli scopi della missione.
La stessa opera di repressione e di prevenzione della minaccia interna, che è necessaria, deve essere lasciata il più presto possibile gli afgani, esercitando invece l'autorità internazionale per controllare il rispetto della legalità ed impedire interferenze ed ingerenze esterne.
Ma, al di là di questa riflessione più generale, che dobbiamo fare su questa e sulle missioni in generale, per l'Afghanistan è importante che si assumano ora impegni chiari, coerenti con la nostra Costituzione, con le nostre capacità materiali e dotati delle risorse necessarie a garantire qualcosa di veramente utile per il futuro del popolo dell'Afghanistan. La nostra scelta va comunque fatta in nome Pag. 19dell'Italia - lo dico ai tanti colleghi che ci hanno chiesto quali dovrebbero essere i nostri motivi ispiratori - dei nostri interessi, della nostra politica per l'Europa e per il mondo, del nostro contributo alle organizzazioni internazionali e del modo nostro di condurre le operazioni di sicurezza.
Sintetizzo questo concetto in una formula finale: se contrastare l'imperialismo teocratico in Afghanistan è nell'interesse indubbio dell'Italia, sottrarsi all'imperialismo classico non lo è da meno (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, credo sia giusto iniziare il mio intervento dalla missione di pace che tra quelle che andiamo oggi a rifinanziare con il provvedimento in esame ha determinato maggiore polemica politica in Parlamento, quella appunto in Afghanistan. Devo dire che da quando i nostri uomini sono presenti in Afghanistan le cose sono sicuramente cambiate. Siamo riusciti ad avviare un processo di democratizzazione che ha dato sicuramente dei risultati. In Afghanistan si sono svolte elezioni democratiche, si è riaperto il Parlamento (con una presenza femminile del 27 per cento all'interno delle istituzioni) e le donne hanno potuto votare. Sono state riaperte le scuole, le donne possono uscire di casa liberamente, sono stati riaperti i cinema ed i luoghi di aggregazione, si può ascoltare musica - cosa che i talebani vietavano - vi sono radio e tv libere.
Ritengo che questi rappresentino risultati concreti conformi alle finalità che ci eravamo preposti insieme a quella principale di combattere il regime talebano: conseguire, attraverso la cooperazione, dei risultati che andassero a ripercuotersi positivamente nei confronti dei cittadini. Molto è stato fatto, ma è evidente che molto si deve ancora fare. La situazione ereditata dal governo talebano è sicuramente drammatica. Ancora oggi il 23 per cento della popolazione vive con un dollaro al giorno. L'aspettativa di vita è di soli 42 anni. La mortalità infantile è pari al 165 per mille. L'80 per cento della popolazione è analfabeta.
È evidente, dunque, che in quest'aula noi oggi dobbiamo decidere cosa fare. Dobbiamo stabilire se vogliamo continuare in questa azione di aiuto e di sostegno alla popolazione afgana o se invece preferiamo scegliere la via del ritiro, arrendendoci. Credo sia corretto affrontare i temi anche ascoltando le persone che hanno seguito e stanno seguendo più attentamente le problematiche afgane. In sede di Commissioni, attraverso vari incontri, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci anche con chi in questo momento sta operando in quei territori per conto del nostro Governo. L'ammiraglio Di Paola dice che non vi può essere sviluppo senza sicurezza e che non vi può essere sicurezza senza sviluppo. Le due cose sono collegate. Quindi, se vogliamo portarla avanti, l'operazione deve essere una combinazione tra un'azione di cooperazione e un'azione di contrasto ai talebani.
L'azione di cooperazione deve essere effettuata portando avanti iniziative che sostengano anche le attività imprenditoriali, che in quel paese ancora non esistono. Le proposte portate avanti dal centrosinistra e accettate dal Governo vorrebbero legalizzare, ad esempio, la coltivazione dell'oppio. Ricordo che nel 2005 in Afghanistan è stato prodotto l'87 per cento dell'oppio mondiale, per un giro di affari complessivo di 40 miliardi di dollari, pari a più del 50 per cento del PIL afgano. Il Governo afgano, però, ha deciso in modo chiaro di combattere questo fenomeno e noi oggi in Parlamento, invece, decidiamo di intervenire a favore della legalizzazione della coltivazione dell'oppio. Tutti i rappresentanti della cooperazione internazionale ci dicono che dove sono stati concessi incentivi alle popolazioni agricole per riconvertire le coltivazioni di oppio in coltivazioni diverse sono stati ottenuti ottimi risultati: sono diminuite in modo drastico le coltivazioni dell'oppio e sono aumentate Pag. 20le coltivazioni legali. Dunque, è questa la strada da seguire per aiutare lo sviluppo economico di quel paese.
Bisogna proseguire certamente il contrasto all'insorgenza talebana, siamo di fronte al periodo più difficile che si sia mai dovuto affrontare da molto tempo a questa parte, e per il futuro si prevedono ancora difficoltà maggiori.
Ci sono degli eserciti organizzati - anche il nostro - che si dovranno confrontare con i guerriglieri talebani, che hanno deciso di attaccare la forza di pace multilaterale in Afghanistan. Questi guerriglieri talebani useranno - mi sembra evidente - più le tecniche dei terroristi che quelle militari, dunque: attentati, agguati, sequestri, stragi, rappresaglie. Saranno, costoro, il peggior nemico da affrontare, il più vigliacco, il più spietato, il più temuto dai soldati.
A fronte di questi rischi, che sono elevatissimi, dovremo adeguare la presenza dei nostri uomini su quel territorio, dando più mezzi, più uomini - se saranno necessari -, le coperture aeree, che adesso mancano, e nuove regole d'ingaggio che permettano ai nostri soldati di affrontare questi pericoli. Nel dibattito svoltosi qui alla Camera, noi - come Lega nord - abbiamo richiesto queste misure ma il Governo, purtroppo, non le ha volute accettare. Abbiamo anche presentato degli ordini del giorno che andavano in questa direzione, ma il Governo li ha bocciati. Il Governo ha anche bocciato alcuni ordini del giorno ed emendamenti da noi presentati che miravano a fissare delle regole, per esempio, nel campo della cooperazione, con riferimento a tutte quelle ONG che, su quei territori, dovrebbero portare aiuto alle popolazioni locali.
Sappiamo che, molto spesso, vi sono ONG che, invece di andare ad aiutare la povera gente, fanno affari. Vi sono multinazionali anche farmaceutiche che creano delle ONG per poi vendere i loro prodotti - magari medicinali scaduti -, sapendo che andranno a finire nelle parti più disgraziate del mondo. Vi sono poi delle ONG che hanno delle vere e proprie etichette politiche: i DS hanno le loro, Rifondazione Comunista è vicina ad altre (ma lo stesso vale per i Comunisti italiani e i Verdi). Noi abbiamo chiesto di dare delle regole, proponendo un emendamento con cui si chiedeva che le ONG destinatarie di fondi ed aiuti dal nostro paese fossero di comprovata fama, al fine di assicurare che l'azione da esse svolta sul territorio vada veramente a risolvere i problemi dei cittadini locali. Questo emendamento è stato bocciato!
È evidente, allora, che il Governo ha intenzione di destinare questi fondi non tanto alle ONG di comprovata fama quanto, piuttosto, agli amici degli amici, a ONG vicine ai loro partiti, magari controllate dai loro stessi uomini: ritengo che questa sia una cosa vergognosa!
Vorrei ancora ribadire come in quest'aula siano stati da noi presentati moltissimi emendamenti e ordini del giorno: la sinistra non ha presentato neanche un emendamento. La sinistra, in passato, nel corso dell'esame dei precedenti provvedimenti che disponevano il rifinanziamento delle missioni - ormai sono già cinque anni che affrontiamo il tema delle missioni in Afghanistan e altrove - ha sempre presentato centinaia di emendamenti: emendamenti che richiedevano il ritiro delle truppe dall'Afghanistan o che, comunque, erano volti a modificare il provvedimento presentato dal Governo. In cinque anni di Governo del centrodestra ciò è sempre accaduto: oggi, in quest'aula, non c'è stato un solo emendamento presentato dal centrosinistra. È evidente, dunque, che in uno scenario di guerra come quello che andremo, purtroppo, ad affrontare nei prossimi giorni in Afghanistan, tutta la sinistra - Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani, i Verdi, la sinistra DS, il «correntone» - ha deciso, senza se e senza ma, di partecipare alla guerra in Afghanistan. Questo è il messaggio che deve uscire da questo Parlamento, soprattutto nei confronti di quegli elettori che hanno creduto alle balle che avete raccontato per anni in campagna elettorale, nelle piazze a favore della pace «senza se Pag. 21e senza ma»: questa è una vergogna (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Alleanza Nazionale)!
Pochi, come il collega Cannavò, hanno il coraggio - ed io li rispetto - di portare avanti in aula quelle tesi e quegli ideali per i quali si sono sempre battuti.
È difficile stare nella maggioranza. Lo sappiamo bene noi della Lega: ci siamo stati cinque anni. Siamo riusciti a stare nella maggioranza governando con l'UDC: non è certo una cosa facile per un leghista (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Ce l'abbiamo fatta, però, perché comunque noi mai abbiamo votato provvedimenti che andavano contro i nostri ideali: non l'avremmo mai fatto! Mai la Lega in aula avrebbe potuto votare contro il federalismo. Anzi, abbiamo fatto una battaglia per arrivare ad una modifica della Costituzione che portasse al federalismo nel nostro paese. Voi, invece, oggi rinnegate i vostri ideali pacifisti e votate a favore della guerra! Questo è il risultato.
È certo, però, che noi siamo convinti che si tratti di una guerra dichiarata non dai paesi presenti in Afghanistan, ma dai guerriglieri talebani, vale a dire da chi vuole portare...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
FEDERICO BRICOLO. ...la dittatura islamica di nuovo al potere in quel paese!
Noi, al contrario, dobbiamo impedirlo, ma, per farlo, dobbiamo garantire la sicurezza dei nostri uomini, offrendo loro i mezzi adeguati. È questo ciò che abbiamo chiesto, poiché non possiamo lasciare i nostri militari in Afghanistan, in Libano e in Kosovo senza fornire loro i mezzi blindati necessari per proteggere la loro vita.
Sto concludendo, Presidente: mi lasci ancora pochi secondi per consentirmi di affrontare un altro problema. Non dobbiamo dimenticarci, infatti, delle ripercussioni che potrebbero esservi nel nostro paese. È chiaro che Al Qaeda ed i terroristi islamici cercheranno di fare di tutto per farci uscire dall'Afghanistan, e potrebbero perseguire tale scopo anche...
PRESIDENTE. La prego di concludere...!
FEDERICO BRICOLO. ...compiendo attentati nel nostro paese!
È chiaro che, già da oggi, il Ministero dell'interno deve fare il possibile per controllare le moschee e le comunità islamiche presenti sul nostro territorio, che nulla hanno fatto fino ad ora...
PRESIDENTE. Grazie...!
FEDERICO BRICOLO. ...per denunciare e combattere gli integralisti islamici, affinché sia garantita...
PRESIDENTE. Capisco che è difficile concludere, ma bisogna farlo: grazie!
FEDERICO BRICOLO. ...la sicurezza anche nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, probabilmente varrebbe la pena di ricordare all'onorevole Bricolo, appena intervenuto, che, se il centrosinistra non ha presentato un numero elevato di proposte emendative, è forse perché lo spirito del decreto-legge in esame è già «più avanti», dal momento che lo stesso articolato è di gran lunga superiore rispetto ad analoghi provvedimenti presentati, in passato, in questa Assemblea.
Ma non è questo il senso del mio intervento, poiché vorrei che il provvedimento che ci accingiamo a votare possa, alla fine, raccogliere il più largo dei consensi. Spero che il decreto-legge in esame possa costituire la manifestazione di una volontà comune, decisa e coesa, che noi parlamentari italiani, sensibili al tema della tutela dei diritti umani, vogliamo manifestare, nonché l'espressione di quella volontà popolare che dobbiamo saper incarnare e patrocinare.Pag. 22
I drammatici episodi di questi giorni, che hanno interessato e vieppiù bagnato di sangue le lande desolate dell'Afghanistan - ma non dobbiamo dimenticarci dell'Iraq -, ci ricordano come sia ancora viva la ferita aperta da un conflitto iniziato, all'indomani dell'11 settembre, sulla fin troppo facile equazione Torri gemelle uguale Bin Laden, mullah Omar, talebani ed Afghanistan; per non parlare dell'Iraq, dove, tra le tante colpe che si possono imputare a Saddam Hussein, senz'altro non vi era quella di nutrire simpatia per Bin Laden ed i taliban.
Le operazioni svolte in questi anni, gli errori commessi ed i successi conseguiti devono farci riflettere e devono guidare il nostro operato, confidando davvero che il tempo possa essere galantuomo. La nostra linea di azione, a mio avviso, deve ripartire da un'analisi retrospettiva su quanto già fatto e quanto ancora c'è da fare.
In questi sei anni di tensioni internazionali, infatti, abbiamo potuto constatare come soprattutto la via dell'unilateralismo, condotta in tale periodo, abbia portato gli Stati Uniti, in primo luogo, a finire in un pantano molto simile a quello del Vietnam. Del resto, la bocciatura di questa linea politica emerge anche dalla stessa opinione pubblica statunitense, come hanno dimostrato le recenti elezioni di mid term.
Vorrei rilevare che l'unilateralismo, ormai, è da molti considerato una politica di intervento scellerata: basti pensare alle parole pronunciate dal Presidente russo Putin, il quale, in occasione della recente Conferenza di Monaco sulla sicurezza, ha duramente criticato l'approccio americano, usando toni che hanno richiamato alla memoria le tensioni della non lontana guerra fredda. Lo spettro della minaccia di una rincorsa agli armamenti, inoltre, torna a prospettarsi in una grande potenza come la Cina, mentre sempre più minacciosa continua ad evolvere la sperimentazione nucleare in Iran.
Alla luce di tale acceso scenario internazionale, nonché delle profonde e vibranti tensioni che scuotono l'opinione pubblica, la linea di politica estera del nostro paese deve restare incardinata in un attivo multilateralismo, caratterizzato da una solida iniziativa europeista e da una più fervida intesa euroatlantica.
La sola azione militare, del resto, disgiunta da un'azione di ricostruzione, che veda coinvolte forze militari e civili, affiancata da peacekeeper, non può essere foriera di stabilità e di pace. Un'attenta analisi delle vicende che hanno contrassegnato questi sei anni di crisi in Afghanistan deve farci riflettere sulla necessità di riconsiderare l'attività militare e, nel caso, operarne una rimodulazione del modus agendi.
Mi spiego: dobbiamo pensare che, nei primi tre anni di guerra in Afghanistan, i civili vedevano la presenza militare della coalizione che aveva scacciato il regime oppressivo dei taliban come una vera e propria manna, un sollievo, considerando con estrema fiducia l'operato dei militari. Ma alla lunga - si sa - la guerra sfianca, logora, distrugge, innescando spirali di odio e rancori senza fine. Per questi motivi, bisogna accelerare i tempi per una ricostruzione delle istituzioni civili dello Stato di diritto e passare il potere e il controllo alle istituzioni civili.
Una riflessione attenta deve coinvolgere tutte le forze schierate in campo, con una attenzione particolare alle attività militari americane all'interno del tanto declamato multilateralismo; un multilateralismo attivo che deve portare a un coinvolgimento quanto più allargato possibile e sfociare in una conferenza di pace con un'agenda precisa e incontri periodici.
La problematica deve essere analizzata e considerata a trecentosessanta gradi. Il sequestro per un presunto interrogatorio del giornalista de la Repubblica Daniele Mastrogiacomo - al quale rinnoviamo la nostra vicinanza e solidarietà: noi tutti auspichiamo torni presto a riabbracciare i propri cari, impegnandoci a fare tutto quanto possibile affinché ciò avvenga - può essere l'occasione per stabilire un contatto con i talebani. Sul punto, invito tutti ad essere più prudenti - mi rivolgo anche al collega Del Bue, del quale ho apprezzato l'intervento, soprattutto nella Pag. 23parte finale in cui ha ricordato la volontà di votare senza condizioni a favore di questo provvedimento - nelle analisi e nei collegamenti con la vicenda politica italiana.
Ho parlato dell'importanza di questo contatto con i taliban. In altre occasioni, infatti, questi ultimi hanno rilasciato i propri ostaggi, dopo essersi accertati che non facessero parte né di forze militari né di agenzie di intelligence a loro ostili. Facendo una breve descrizione delle caratteristiche delle forze talebane, emerge come queste siano nate a partire dalle madrasse e così via: non serve ora ricordarlo. Però, nonostante il riconoscimento del leader incontrastato, il mullah Omar, e del fervido fanatismo religioso che li accomuna, i talebani non sono un'organizzazione omogenea e non sono una struttura gerarchica militare. Ne esistono, per così dire, tipi diversi e anche il loro approccio alla politica è diverso, almeno secondo quanto appreso da esperti militari ed operatori dell'intelligence. Con alcuni di essi l'incontro potrebbe essere tentato; il contatto potrebbe servire non soltanto nel caso specifico del nostro concittadino, ma anche per avviare prove di dialogo. Ciò a cui deve tendere un proficuo dibattito multilaterale deve essere la diminuzione dei nemici, come è stato autorevolmente affermato.
Mi spiego ancora meglio: spesso i talebani si riuniscono a centinaia ed è facile individuarli ed infliggere loro pesanti sconfitte e perdite. Ciò, però, innesca spirali di odio senza fine: ci sarà il figlio che vendicherà il proprio padre, il padre che vendicherà il proprio figlio e così via. Perché, allora, non cercare semplicemente di bloccarli, di privarli dei mezzi di offesa e, magari, cercare di «riconvertirli»? Per giungere alla fine del conflitto bisogna, infatti, eliminare i moventi profondi che spingono alla guerra o, almeno, avvicinarsi alla radice, cercando di estirpare tutto ciò che continua ad alimentare la fiamma della guerra.
Per questo motivo è importante una riflessione attenta: considerare, ad esempio, da chi e dove vengono assoldati i talebani: si pensi al ruolo del vicino Pakistan. Si potrebbe, ad esempio, cercare di vigilare meglio il confine, considerare come si approvvigionano le forze talebane. Si pensi che in Pakistan vi è una vera e propria quotazione dell'oppio e che la gran parte di questo viene custodito nel Waziristan, area tribale dove nessuno ha accesso. Occorre considerare, dunque, qual è la forza interiore che spinge il singolo taliban spesso a lottare. Molte volte, ciò che favorisce l'assoldamento dei nuovi adepti è la miseria intollerabile ed inenarrabile che vi è al confine tra il Pakistan e l'Afghanistan. Si tratta di una miseria che né il presidente pakistano Musharraf né le forze della coalizione contrastano a sufficienza.
Non dobbiamo dimenticare che la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali è figlia di una cultura di politica estera fondata su accordi internazionali ed intese nonché sull'appartenenza dell'Italia ad organismi multilaterali, come l'Unione europea, l'ONU e la NATO, impegnate nella promozione e nella valorizzazione dello Stato di diritto, della sicurezza internazionale e della tutela dei diritti.
La posizione dell'Italia dei Valori, dunque, resta all'interno di questo quadro multilaterale che anima le nostre missioni internazionali. Per questo crediamo che non sia saggio stabilire oggi un limite temporale alla nostra presenza in Afghanistan, ma che sia doveroso incentivare e sollecitare un monitoraggio puntuale e ben cadenzato sull'andamento delle operazioni militari di ricostruzione e sulle risorse finanziarie investite.
PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la prego di concludere.
FABIO EVANGELISTI. Ho concluso, signor Presidente. Vi è bisogno di sapere e di discutere se e cosa, a parte il presidio e la presenza militare, è stato fatto, cosa è in cantiere nonché quali prospettive e quale partecipazione assicurare al popolo afgano. Riprendo le dichiarazioni rilasciate ieri dal generale Fraticelli: «Ma poi gli interventi di ricostruzione hanno tardato, Pag. 24tanta burocrazia e tanti progetti sono solo sulla carta. Vi sono tanti fondi mai spesi. È subentrata una certa delusione tra la gente e fatalmente la sicurezza è tornata a guastarsi ed è tornata l'instabilità».
PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, concluda...
FABIO EVANGELISTI. Taglio e mi accingo a farlo.
PRESIDENTE. Deve proprio concludere.
FABIO EVANGELISTI. Chiedo scusa, signor Presidente. Allora, nel ribadire e sottolineare il voto favorevole che oggi l'Italia dei Valori si accinge ad esprimere, vogliamo dire che non è possibile ignorare la richiesta di aiuto di uomini afflitti da atroci sofferenze e di donne e bambini abbandonati al loro destino di segregazione, senza diritti, senza un volto e senza speranze. Per questo il nostro sarà un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'UDC voterà un «sì» convinto e senza riserve, senza quei tanti «se» e «ma» che ho visto ancora ieri rimbalzare nelle dichiarazioni rilasciate ai telegiornali pubblici ed oggi nel dibattito in quest'aula da parte dei partiti e delle formazioni «rosse» e «rossoverdi» della coalizione di centrosinistra.
Senza voler strumentalizzare, salutiamo con grande favore il fatto che comunque, anche da quella parte, sarà espresso un «sì», seppur con le aggiunte e le specificazioni fatte nel corso del dibattito e nelle discussioni di ieri e dell'altroieri dai partiti di Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani. Noi, anche ieri - e non solo ieri - abbiamo dimostrato con il nostro «no» ad alcuni emendamenti di essere contrari alla precarizzazione delle nostre missioni all'estero, anche in presenza della ragione tattica di creare maggiori difficoltà al Governo. Tuttavia, la stabilità, la sicurezza, la serenità in una situazione di grave e particolare pericolo, come è quella in alcuni teatri di guerra per i nostri militari, sono valori di grande responsabilità e di grande importanza politica, per quanto ci riguarda.
Con coerenza abbiamo dimostrato tale convinzione dalla scorsa legislatura e sempre nella storia politica dei cristiano-democratici. In questo vi è grande continuità in politica estera. L'ha detto a mezze parole il Presidente Prodi, quando qui ed al Senato ha ripercorso l'azione di politica estera del suo Governo. Quindi, non vi è alcun tipo di svolta pacifista nelle missioni. Non ci si può illudere di approvare questo tipo di missioni, immaginando che i nostri soldati nei teatri di guerra mettano i fiori nelle canne dei fucili, mentre le pallottole ronzano loro nelle orecchie. La posta in gioco è troppo alta in queste missioni. Valori come lealtà, onore, serietà e sicurezza sono fondamentali per la nostra forza politica, seppure di opposizione.
Il Governo deve dimostrare però, come è stato detto ieri e nei giorni scorsi anche dal presidente Casini, la propria autosufficienza, alla Camera e soprattutto al Senato, senza nascondersi dietro la teoria del ministro Amato relativa a «maggioranze variabili». Si tratta di un modo per nascondere le differenze e le ambiguità che su alcuni grandi temi, presenti nel «dodecalogo», sono tutte interne all'attuale maggioranza. È vero, servono più uomini e più mezzi.
Ricordiamo a tutti cosa accadde nel vertice di Riga, ricordiamo a tutti cosa c'è oggi sui quotidiani nazionali ed internazionali: la richiesta esplicita del premier Blair, che presenterà nel corso delle riunioni europee di questi giorni. C'è il rischio, ascoltando molti interventi che mi hanno preceduto, di una differenziazione all'interno della NATO e di una nostra marginalizzazione. Quando sento dire che siamo contro tutti gli imperialismi, ma Pag. 25soprattutto contro l'imperialismo americano e la responsabilità che ci assumiamo all'interno della NATO visto che gli Stati Uniti sono una forza imperialista, mi sembra che percorriamo una strada di una certa sinistra degli anni Settanta, di una certa sinistra che in altri paesi si è evoluta - un esempio su tutti è quello del ministro degli esteri tedesco, Fischer - e che in Italia è rimasta invece ancorata ad un'antica idea antiamericanista e anti-NATO.
Vi è il rischio dell'unità della NATO, vi è il rischio di approvare questa missione alla Camera con dei distinguo che stanno non più tra il «Dico» e il «non Dico» ma tra il «ci sto» e «non ci sto», tra opportunismi e ipocrisie. Si discute qui, sui giornali, se mandare un elicottero in più o un elicottero in meno e non si tiene conto invece del pericolo reale, immediato, in alcuni teatri di guerra e immediato in alcune missioni di pace: Libano, da un lato; Afghanistan, dall'altro. Si è tolto con onore, dice l'onorevole Francescato, il codice militare di guerra, per un aspetto nominalistico di pubblicità elettorale. Ma forse non si capisce che il codice militare di guerra italiano è il più garantista nel mondo occidentale ed è il più evoluto tra quelli di tutte le forze occidentali impegnate in politica estera.
C'è un'offensiva alle porte in Afghanistan, ci sono pericoli di una guerra civile dai contorni abbastanza complessi in Libano, c'è un'azione che, grazie all'Unione europea, abbiamo intrapreso in Darfur e che è giusto ed importante che l'Unione europea la rafforzi ancor di più, se non vogliamo anche lì chiudere gli occhi, come dieci, dodici anni fa, davanti alla ecatombe del Ruanda e del Burundi. C'è la moda di un pacifismo ambulante o piazzista, una caricatura degli uomini e degli operatori della pace, come Giorgio La Pira. Costruire la pace è battersi in difesa dei più deboli, dei diritti umani, per la libertà dei popoli, sporcarsi le mani, non stare a braccia conserte e nemmeno imitare gli sbandieratori di Siena durante le manifestazioni!
Conosciamo un pacifismo di maniera, che teorizza il disimpegno assoluto dell'Italia nello scacchiere internazionale, che avversa le missioni militari di pace, senza le quali si perpetuerebbero stragi e prepotenze inaudite, affidando il destino dei popoli alla prepotenza dei signori della guerra e dei narcotrafficanti. È emersa qui la strategia del papavero, una nuova strategia di unità, che interessa innanzitutto l'unità della vostra coalizione e che, con l'approvazione dell'ordine del giorno di ieri, dà un nuovo scenario alla politica estera italiana, quello dell'acquisto dell'oppio e della cannabis per un'azione di responsabilità nei confronti dei popoli africani, che evidentemente qualcuno di voi ritiene abbiano più bisogno della morfina che dei generi di aiuto alimentare, di liberarsi (come in Somalia) dalle corti islamiche piuttosto che di mettere a frutto i loro beni e i loro prodotti!
Questa è una teoria originale, che si sposa però con un'altra grande teoria, emersa negli ultimi mesi: quella di alcune organizzazioni non governative internazionali ed italiane, che hanno teorizzato che in fondo in Afghanistan le donne stavano molto meglio prima con il burqa, che invece in una democrazia come quella presieduta da Karzai. Si tratta di una teoria francamente sconvolgente, visto che tutti siamo stati sconvolti dalla condizione di violazione perpetua ed assassina dei diritti umani in Afghanistan, oltre che scandalizzati per l'abbattimento dei Buddha di pietra, patrimonio dell'umanità. Oggi, invece, quello si vorrebbe guardare come uno Stato di grande pacificazione, rispetto alla situazione odierna!
Credo che non molti nostri pacifisti troverebbero l'approvazione di grandi uomini di pace come Giorgio La Pira, che non hanno mai parlato di pacifismo ma di operatori della pace, perché la pace si conquista non standosene a casa, in pace, ma operando attivamente, anche rischiando la propria vita. Ecco perché ai nostri militari spetta il titolo di operatori di pace, anche in Afghanistan, riguardo al quale, appunto, si vorrebbe teorizzare un disimpegno, che è stato anticipato in questa sede. Nel corso di alcune dichiarazioni pubbliche, infatti, si è affermato di voler Pag. 26esprimere un voto favorevole sulla conversione in legge di questo decreto-legge con l'impegno che nei prossimi mesi non ci sarà una altro voto sulla missione in Afghanistan perché il ritiro interverrà prima, seguendo quella teoria secondo la quale si ritiene che, in fondo, il regime dei talebani era forse più umano di quanto non sia, oggi, la democrazia di Karzai.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 12).
LUCA VOLONTÈ. È una deriva molto inquietante, molto retrograda anche rispetto alle ragioni del pacifismo e dell'impegno rossoverde nel resto d'Europa. Vi invito, quindi, a guardare con attenzione al modo in cui i vostri colleghi stanno riflettendo su queste decisioni, a quanto hanno contribuito, come in Germania, a cambiare le proprie opinioni rispetto a missioni internazionali multilaterali dell'ONU, dell'Unione europea o della NATO.
Esprimiamo un voto favorevole senza tentennamenti per evitare una precarizzazione anche politica di questa missione, già anticipata attraverso queste dichiarazioni, contro ogni pavidità e contro ogni ignavia di quello che accade nello scacchiere internazionale. La prima vostra strategia appare, oggi, ancora di più, anche dalle dichiarazioni emerse, una strategia dell'oppio, del nascondimento, dell'ambiguità. Ma, al Senato, questa strategia dovrà consentirvi - dovete provarlo dinanzi all'opinione pubblica - di essere autosufficienti. Questo è il punto politico del vostro convincimento, su questo avverrà lo smascheramento tra i «sì» e i «ma» di una missione che, invece, noi condividiamo in pieno e alla quale il gruppo dell'UDC dà totale fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, inizio il mio intervento rivolgendomi al ministro Chiti perché voglio levare in quest'aula una sorta di lamento. È difficile, in Italia e, purtroppo, anche in questo Parlamento, discutere seriamente della politica estera e ancor più della questione spinosa, difficile e complicata delle missioni militari. Viviamo in un paese nel quale si guarda al mondo, troppo spesso, dal buco della serratura della politica interna e viviamo in un Parlamento nel quale, invece di godere del servizio di informazione della stampa, che informa i cittadini delle nostre elaborazioni, delle nostre discussioni e delle nostre decisioni, finiamo per discutere, noi, di ciò che la stampa propina all'opinione pubblica, mentendo e cercando di inquinare il dibattito politico del paese.
Ieri, il segretario del mio partito è stato vittima di una gravissima deformazione giornalistica. Un titolo, sul suo conto, recitava: «Se ci fosse un morto, dovremmo pensare di andarcene»; sottinteso: dall'Afghanistan. Questa frase è falsa e non è mai stata pronunciata. L'intervista verteva su questioni di politica estera ed interna. Poiché la direzione di questo giornale vorrebbe che Rifondazione Comunista dicesse questo, in modo tale che il Governo si trovasse in difficoltà, non si esita a fare una cosa del genere. Infatti, un collega, tratto in inganno, ha evidenziato questa posizione, come se fosse effettivamente la nostra.
Signor ministro, il fatto richiede un intervento, non sul giornale in questione ma, in generale, sul problema della politica, del Parlamento (e, credo, anche dei gruppi d'opposizione, anch'essi vittime, in più di una occasione, di questo trattamento) e del Governo. Non possiamo continuare a discutere in questo modo di cose serie e gravi. Sette mesi fa, abbiamo presentato una risoluzione, approvata da questa Assemblea, sulla questione della politica estera relativamente alle missioni militari, che consideriamo una risoluzione di legislatura. Gli impegni indicati al Governo Pag. 27in quell'atto di indirizzo sono, per noi, di legislatura, sono, per noi, importanti e vincolanti, sono, per noi, decisivi.
È in ragione di quell'accordo che votiamo ad occhi aperti anche cose che avremmo preferito fossero proposte in modo diverso. Lo facciamo ad occhi aperti, riconoscendo le contraddizioni che esistono nell'attuale politica internazionale del nostro paese e nella natura delle missioni che ci apprestiamo a prorogare.
Non è un mistero per nessuno che abbiamo votato per anni contro alcune missioni e che, nell'ambito di questo accordo, abbiamo deciso - lo ripeto: ad occhi aperti - di accettare di vivere questa contraddizione, perché è cambiata la politica estera del Governo e per noi si è aperta una questione.
Vorrei ricordare che negli anni Novanta troppe volte si è detto, anche da parte di tutti i Governi italiani, che l'ONU aveva fallito e non era in grado di sviluppare azioni di pace o missioni militari capaci di impedire le guerre, che ci doveva pensare la NATO oppure che erano necessarie operazioni militari compiute da coalizioni a geometria variabile. È successo così nei Balcani e altrove.
C'è stata, però, una piccola novità: vi è stata una missione comandata dalle Nazioni Unite. So che alcuni colleghi, anche importanti, non sanno quale sia la differenza tra un'autorizzazione fatta ex post e una missione comandata dalle Nazioni Unite. Lo so, mi dispiace per loro, ma io so cosa vuol dire: significa invertire la politica di delegittimazione delle Nazioni Unite e di svuotamento dei suoi poteri, che è stata perseguita dagli anni Novanta.
La missione in Libano non ha fatto solo scoppiare la pace, ma ha aperto una nuova prospettiva: nel mondo, la funzione di polizia internazionale può essere nelle mani esclusive e monopolistiche delle Nazioni Unite (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani) e non ci possono essere paesi che, unilateralmente, anche se in coalizione, si arrogano il diritto di fare il bello e il cattivo tempo e di governare il mondo!
Infatti, nella risoluzione che abbiamo approvato, abbiamo impegnato il Governo a compiere un ulteriore passo, che sappiamo essere difficile, ma che il Governo deve fare e farà: promuovere, in qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza, le iniziative volte a costituire un contingente militare di pronto intervento in capo alle Nazioni Unite. Questo elemento per noi è già sufficiente per accettare di vivere la contraddizione di votare per una missione che abbiamo contrastato e sulla quale non siamo d'accordo.
Abbiamo apprezzato anche la posizione del Governo sul Kosovo. Il Governo italiano è stato uno dei pochi Governi europei a dire esplicitamente che non accetterà decisioni unilaterali, né albanesi-kosovare, né internazionali. Infatti, ieri il viceministro Intini ha accettato anche un ordine del giorno dell'opposizione che andava in tal senso.
Abbiamo approvato la posizione del Governo sulla Somalia, per impedire lo scatenarsi di un conflitto, come, invece, è successo per responsabilità soprattutto degli Stati Uniti, in contrasto con il nostro paese dall'inizio degli anni Novanta.
Abbiamo apprezzato tante posizioni del Governo, tra le quali quella di non accedere alle richieste del Segretario generale della NATO e di sei ambasciatori di aumentare le nostre truppe, di impegnarle nella conquista del territorio in Afghanistan e di fornire sistemi d'armi adatti a questo scopo.
Capiamo che esiste una contraddizione e che abbiamo posizioni diverse all'interno della maggioranza. Pensiamo della NATO cose diverse da altri partiti della coalizione. Capiamo che non possiamo chiedere al nostro Governo di compiere un gesto unilaterale, che, invece, abbiamo ottenuto per l'Iraq. Sappiamo che esistono dei vincoli, ma poniamo comunque dei problemi che vogliamo che siano riconosciuti come tali, come problemi di tutti, anche dell'opposizione, non solo nostri.
In questo decreto-legge che ci apprestiamo a convertire abbiamo introdotto elementi che erano già contenuti nella risoluzione. La conferenza internazionale Pag. 28di pace costituisce un passo significativo in avanti in questa direzione. La conferenza internazionale è la possibile - sottolineo: possibile - soluzione del problema.
La conferenza internazionale è la possibile accensione di un processo che porti alla pace e che metta fine ad una strategia militare che, con ogni evidenza, è fallita e sta fallendo. Lo dico ai colleghi della Lega e a tanti altri che hanno evidenziato questo problema: noi ci sentiamo in pace con la nostra coscienza e coerenti con le nostre convinzioni. Se fosse nelle disponibilità del nostro voto, con un nostro voto contrario sulla missione in Afghanistan, far cessare quella missione ed impedire che si sviluppi ulteriormente la guerra, noi non esiteremmo un solo secondo a farlo, costi quello che costi sul piano della politica interna. Tuttavia, un nostro voto contrario provocherebbe l'effetto opposto ed è per questo che viviamo questa contraddizione, anche faticosamente: la politica è fatta anche di questo.
Noi siamo parte e ci sentiamo parte del movimento pacifista, che è composto da centinaia di milioni di donne e di uomini nel mondo, e non pensiamo di rappresentarlo né con le nostre posizioni né con i nostri atti politici, che giudichiamo in quanto tali per sé stessi. Tuttavia - lo dico alle tante colleghe e ai tanti colleghi - è spiacevole e brutto veder parlare della guerra, dei morti, dei rapimenti, delle stragi di civili, delle bombe ed anche della vita dei nostri soldati - questioni che devono interessare tutti -, ma quando vengono usate retoricamente e demagogicamente per raggiungere miserevoli scopi, trucchi, «sgambetti» di politica interna, non fanno onore a quelli che propongono questa concezione e questa logica (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, L'Ulivo e Comunisti Italiani).