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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,05).
(Eventuali iniziative disciplinari nei confronti del dottor Giancarlo Caselli - n. 2-00385)
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00385 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
MATTEO BRIGANDÌ. Grazie, signor Presidente.
Signor ministro, riassumo in due parole il fatto da cui scaturisce l'interpellanza, dandola per letta. È stato stampato e ristampato un libro: «Giancarlo Caselli un magistrato fuori legge». In questo libro si sostiene una tesi che è falsa: viene sostenuto, addirittura in seconda pagina di copertina, che il Parlamento ha votato una legge per impedire a Caselli di concorrere alla procura nazionale antimafia, e ciò sarebbe stato fatto per ritorsione, per avere egli fatto il proprio dovere, e cioè incriminato Andreotti che, a parere dell'ex procuratore di Palermo, è da considerarsi irrevocabilmente colpevole.
L'interpellanza ha citato fonti autentiche, verificate dall'Ufficio di presidenza, che ne dimostrano la falsità, nel senso che la legge non ha avuto valenza, valenza di escludere, per la valutazione di Caselli. Tale valutazione, infatti, non è intervenuta Pag. 52solo perché bloccata dai colleghi del procuratore per non fare apparire una sconfitta annunciata.
Si è temporeggiato per poi addossare la colpa al Governo e al Parlamento allora nemico. In ogni caso, la Suprema Corte non ha ritenuto Andreotti colpevole.
La magistratura, sotto il regime fascista, fu in sostanza l'unico «pezzo» di Stato che non si piegò alla dittatura; tant'è che il duce, per avere pronunce favorevoli, istituì dei tribunali speciali compiacenti, e i padri costituenti per prima cosa abolirono tali tribunali. Ciò derivava dal fatto che i magistrati all'epoca erano realmente indipendenti, cioè non erano alla mercè della politica esterna, cioè partitica, meglio del Governo di quel regime, ma non erano neanche sottoposti al ricatto di una politica interna, cioè di quella politica che la magistratura fa interna corporis, con tanto di parlamentino, che spartisce le poltrone dirigenziali fra le correnti secondo un loro manuale Cencelli.
Signor ministro, mi indichi una carica interna alla magistratura significativa: una presidenza di Cassazione, o di Corte d'appello, o di tribunale in città significative, attribuita a magistrati che non siano iscritti alla ANM, o ad una delle sue correnti, da tutti chiamate «partitini». Se non è in grado di citarmi un nome su novemila magistrati, non essendo pensabile che solo i bravi si iscrivano alle correnti della magistratura, ne deriverà che, chi vuole fare carriera, deve sottostare alla logica della politica interna alla magistratura. Politica che diviene «esterna» quando, alla corrente, la mente associa un partito politico. Ciò alla faccia dell'articolo 101 della Costituzione (indipendenza della magistratura).
La magistratura quindi, caduto il fascismo, ereditò il prestigio al punto che, nei processi penali, garantì l'imputato dalle prevaricazioni della polizia, fino a divenire, via via, essa stessa il capo della medesima polizia, nel senso che la polizia giudiziaria è alle dirette dipendenze del giudice, al punto di incidere sulle promozioni degli ufficiali addetti.
In sostanza, il costituente del 1948 riconobbe alla magistratura tutta una serie di giuste guarentigie, che le garantivano la libertà di movimento, con il limite degli articoli della Costituzione 101, secondo comma (i giudici sono soggetti soltanto alla legge) e 112 (il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale).
Con questo sistema si è affermato, in sintesi, il primato della legge. La stessa Costituzione parla di «ordinamento giurisdizionale», quasi come a sottolineare che la magistratura è un ordine e non un potere. Infatti, per un verso, il concetto di potere verrebbe a confliggere con la mancata elezione del magistrato da parte del popolo; per altro verso, l'obbligatorietà della giurisdizione sia penale, con l'obbligo di esercizio dell'azione, sia civile, con l'obbligo di rendere giustizia, confliggono con il concetto tradizionale di potere, almeno con quello che Costantino Mortati ci ha insegnato.
La politica di governo, negli anni Sessanta, non rivolse particolare attenzione ai problemi della magistratura, in quanto, all'epoca, questa ben si teneva distante dalla politica, in particolare da quella di governo; ovviamente, venivano presi in considerazione gli atti di rilevanza penale. In sostanza, all'epoca nessun magistrato si sarebbe sognato di urlare contro il Governo: «Resistere, resistere, resistere»!
Il PCI ebbe l'indiscutibile intelligenza di capire che la magistratura avrebbe potuto essere, come infatti divenne, un'arma per conquistare il potere. Signor sottosegretario, se io adesso parlassi del capo del partito dei giudici che siede in quest'aula (persona degnissima e che io personalmente stimo), è probabile che tutti pensino alla stessa persona. Se così è, significa che io ho ragione e che, ormai, la magistratura, almeno in una parte (che penso e spero sia minoritaria), è uscita dalle proprie attribuzioni per fare politica «partitica».
Ciò alla faccia del divieto di iscrizione ai partiti politici che la Costituzione pone nei confronti del singolo magistrato. È evidente che il divieto non è il mero dato Pag. 53dell'acquisizione della tessera politica, ma deve essere inteso come divieto di militanza politica!
L'assetto costituzionale della magistratura come ordine fa conseguire il primato della legge, e quindi la pronunzia, emessa in nome del popolo italiano, dipenderà solo dalla legge e non potranno esservi, come in America, sentenze dettate dall'assillo del consenso: quindi, pronunce di maggioranza contro la minoranza.
Ma quando la magistratura, o almeno una parte di essa, si assetta a potere, diverrà sensibile al consenso e, quindi, si è avuta una miriade di sentenze politicizzate con il fatto che, essendo comunque la magistratura indipendente, si è giunti ad emettere sentenze di minoranza contro la maggioranza!
Si tratta di una aberrazione alla quale dobbiamo porre rimedio. Bisogna che, una volta per tutte, si decida se la magistratura si debba configurare, nell'ambito costituzionale, come potere o come organo. Se la natura giuridica è quella del potere, allora dovremo pensare all'elezione dei magistrati, perché il potere deriva dal popolo. In un sistema democratico, se la magistratura è un ordine, bisognerà che ci si attrezzi acchè le si amputi la mano ogni volta che l'ordine la allunghi sul potere!
In soldoni, il magistrato sia indipendente dal potere politico esterno e dal potere partitico interno all'ordinamento giudiziario onda possa pronunziare, nei confronti di tutti, con scienza e coscienza, ed il politico possa esprimere il mandato elettorale che ha ricevuto, senza temere la ritorsione da parte dei giudici che non sono e non appaiono schierati, politicamente, in modo diverso.
Veniamo al caso di specie. Non sono sufficienti 15 minuti per dare soltanto l'elenco delle fonti dalle quali si possa dedurre quanto appena sopra detto. Basti citare le parole di Giovanni Falcone, che nel 1998 ha detto: «Mi ha votato contro la sinistra» per la bocciatura alla carica di consigliere istruttore del tribunale di Palermo, ove furono determinanti i voti di due consiglieri di Magistratura democratica, tra cui Paciotti, poi presidente dell'ANM ed ora, credo, parlamentare europeo.
Si legge in un testo specialistico, la cui prefazione è di Alfredo Biondi: «Patrono è considerato dalla sinistra ufficiale come avversario: ebbe il torto di denunziare, in una seduta del CSM, i rapporti tra il procuratore capo di Palermo Caselli e il PCI» (articolo de l'Opinione dell'8 giugno 1994). Si cita ancora l'intervento di Patrono del 3 giugno 1992 al plenum del CSM, durante il quale disse: «Se Falcone era il migliore di tutti, perché alla carica di super procuratore gli è stato preferito un altro? Perché Falcone era ritenuto, come si dice più o meno esplicitamente negli atti della commissione "direttivi" del Consiglio, "prossimo" e "contiguo" ai centri potere».
Leoluca Orlando, in un'intervista su l'Unità del 25 maggio 1992, afferma: «Falcone non sarebbe stato ucciso se il PSI avesse vinto la corsa al Quirinale». Un modo come un altro per dire che i destini di Falcone erano legati in maniera oscura a quelli dei socialisti.
Venendo a noi, basta entrare in Internet e digitare «Caselli e l'Unità»: si avrà l'elenco di tutti gli interventi che Caselli ha tenuto nelle feste de l'Unità; addirittura, ci sono le foto ove egli «saluta i compagni» e ove siede sotto i manifesti recanti la scritta «iscriviti ai Democratici di sinistra».
Che dire ancora della presenza del suo nome nei manifesti del partito dei DS in tutta la sua evoluzione storica, anche qualche giorno prima della campagna elettorale? Basta leggere la relazione di apertura dell'anno giudiziario del 2003 per vedere che, prima di ogni altra cosa, la procura generale è preoccupata per la situazione della FIAT. Che ci azzecca la procura generale con la situazione economica della FIAT? È la preoccupazione del buon andamento di un proprio possedimento politico? O, meglio, di un padrone politico, se si pensa che il Presidente del Consiglio D'Alema, come primo atto di Governo, andò a baciare la pantofola dello stesso padrone?Pag. 54
Con il suo libro egli attacca il Parlamento accusandolo di aver approvato una legge contro di lui e, a ragione di ciò, cita l'intervista di due senatori. Caselli è uomo di legge e rappresenta un'istituzione dello Stato. Certamente, non può essergli sfuggito che una cosa è il Senato e cosa diversa sono i senatori. Camera e Senato come unico compito istituzionale hanno quello di approvare le leggi.
A uno studente di giurisprudenza, come primissimo insegnamento, gli si dice che la legge è generale e astratta. Affermare, quindi, che il Parlamento in assetto istituzionale - e non quei due senatori - ha posto in essere una legge contra personam e, quindi, non generale e astratta, significa vilipenderlo. Ciò è tanto più grave in quanto il conflitto politico posto in essere viene proprio dal capo di una delle più importanti procure generali.
Anche se ciò fosse stato vero, ossia se tutti i parlamentari in odio a Caselli avessero votato una norma contro di lui, non si sarebbe potuto affermare che il Parlamento ha votato, ma si sarebbe dovuto dire che «in Parlamento è stata votata». È evidente che l'affermazione è stata dettata dal fatto che in Parlamento, allora, vi era una maggioranza diversa da quella cui il Caselli aderisce.
Nel merito abbiamo dimostrato che è falsa l'affermazione che egli non abbia potuto concorrere per il posto di procuratore antimafia a causa di quella legge. Egli, saputo che il CSM gli avrebbe preferito altro migliore candidato, non adempì all'invito di presentare la documentazione e, per usare le parole dette in seno al CSM, ritenne «che fosse politicamente più conveniente non far apparire la sconfitta».
Ancora, per avvalorare questa falsità Caselli sostiene che addirittura il Parlamento si sia mosso per vendicarsi del processo Andreotti. Anche questa scusa è stata nei fatti smentita.
Nelle aule di giustizia circola una storiella su un imputato per ingiurie che aveva detto «stupido» a un'altra persona. Si dice che il giudice abbia chiesto all'imputato: «Lei ha dato dello stupido alla persona offesa. È vero?» E l'imputato abbia risposto: «Sì, è vero e me ne dispiace». E, quindi, non si capisce se la risposta fosse: «È vero che è stupido e mi dispiace che lo sia» oppure «È vero che l'ho detto e mi dispiace di averlo detto».
Qui siamo di fronte alla stessa situazione. Nel leggere il libro parrebbe che il senatore Andreotti sia sfuggito alla condanna per il rotto della cuffia, avendo la Cassazione accertato il fatto di reato e avendolo dichiarato prescritto. Ma ciò è falso, pacificamente falso. Oltre a richiamare le osservazioni che lei, signor ministro, ha letto nella mia interpellanza urgente, faccio notare che il comune di Palermo, proprio nell'ipotesi in cui la Cassazione avesse dichiarato prescritto il reato, ha chiesto «il rigetto del ricorso (del senatore Andreotti) con condanna del medesimo (...) in subordine per l'applicazione della prescrizione con rinvio del processo al giudice civile».
È evidente, quindi, che se la Suprema Corte avesse ritenuto accertato, sebbene prescritto, il reato, avrebbe dovuto, come richiesto, lasciare lo spazio per il risarcimento del danno civile: la qual cosa, basta leggere il dispositivo, non è intervenuta. Né risulta che il comune, sebbene economicamente interessato, abbia dato seguito a tale azione.
Se lo stesso Caselli avesse creduto in quanto dice, avrebbe avuto il dovere di incriminare il responsabile del comune di Palermo per omissione d'atti d'ufficio. Infatti, il comune ha il dovere e non il potere di chiedere il risarcimento dei danni; così come la procura ha il dovere e non il potere di incriminare chi non chiede il risarcimento dei danni per un ente pubblico, ove ve ne siano i presupposti.
Delle due l'una: o Caselli mente oppure ha contravvenuto ai propri doveri d'ufficio. Fin qui si rientra nella logica delle cose. Ma addirittura scrivere un libro venduto in tutte le edicole e addirittura ristampato, che è servito unicamente a infangare le istituzioni principali del nostro sistema ree di aver vinto le elezioni è contrario all'etica, alla politica, ai doveri Pag. 55del proprio ufficio e alla legge penale, oltre che alle norme di deontologia che il magistrato deve osservare.
Infine, ricordo che la magistratura ha degli stipendi altissimi perché viene riconosciuto il massimo di straordinario effettuabile. Per cui il compito del giudice è solo quello - e ci dica lei, signor sottosegretario, se non è vero - di produrre sentenze, ordinanze e decreti e non certo quello di partecipare al dibattito politico e di andare a dibattiti e a conferenze, anche se tenute nell'ambito di festival dell'Unità. Se poi si usano l'auto e la scorta pagate dalla collettività, si arriverà all'apoteosi della scorrettezza.
Potrei citare fiumi di giurisprudenza, ma mi limito ad un caso, perseguito dei giudici e terminato con la condanna ad un politico, che, non deviando dal proprio percorso, diede un passaggio alla propria moglie. Se è giusto, come è giusto, che il politico sia condannato, considerando tale comportamento di penale rilevanza, come dovrà essere considerato quello del procuratore generale di Torino?
Signor sottosegretario, ci dica se un giudice può fare politica, se ciò sia un suo compito istituzionale, se può usare a tal fine l'auto di scorta e se può vilipendere il Parlamento o uno dei suoi componenti, anche usando falsità. Ah, dimenticavo! Su una cosa sono d'accordo con Caselli, ovvero sulla sua definizione: è un magistrato fuorilegge.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Scotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, gli interpellanti mi scuseranno se sarò più stringato rispetto all'ampia elaborazione che ha toccato varie parti dell'ordinamento giudiziario. Pertanto, mi atterrò soltanto alle considerazioni e alle richieste fatte dagli interpellanti stessi.
Con l'interpellanza si censurano alcune considerazioni fatte dal dottor Giancarlo Caselli, nel libro Un magistrato fuorilegge e precisamente le seguenti: l'affermazione secondo cui il Parlamento della precedente legislatura avrebbe votato una legge contra personam per impedire a lui di concorrere al posto di procuratore nazionale antimafia; l'affermazione secondo cui il dibattito politico e i mezzi di informazione avrebbero cancellato la verità sul processo nei confronti del senatore Andreotti, giacché la sentenza della Corte di appello di Palermo aveva ritenuto, in via definitiva, concretamente ravvisabile il diritto di associazione a delinquere, benché prescritto.
Sulla base di tali fatti, ed argomentando ampiamente sulla non veridicità delle affermazioni contenute nel volume, gli interpellanti si attendono la valutazione del ministro della giustizia e chiedono se esso intenda promuovere azione disciplinare nei confronti del dottor Giancarlo Caselli, procuratore generale presso la Corte di appello di Torino.
In termini generali si può dire che il nostro ordinamento riconosce ai magistrati, come a tutti i cittadini, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, anche attraverso pubblicazioni a stampa. La Corte costituzionale sin dal 1981 ha riconosciuto che il magistrato gode degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni cittadino; ha precisato tuttavia che, per conservare la dignità dell'ordine di appartenenza e la credibilità sociale che sono caratteristiche tipiche della figura di magistrato, anche quando egli si esprima al di fuori dell'esercizio della sua funzione, è necessario assicurare all'esercizio di tali diritti un giusto equilibrio, tale cioè da evitare eccessi interpretabili come abuso della libera manifestazione del pensiero.
In linea con l'orientamento della Consulta si è più volte espressa la Corte di cassazione, a sezioni unite, confermando che il diritto di manifestazione del pensiero non può ritenersi consentito ai magistrati sulla sola base dell'articolo 21 della Carta costituzionale, perché esso deve coordinarsi con limiti coerenti al ruolo di magistrato e con gli altri interessi di rango pubblicistico. Analogo è l'orientamento della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, secondo cui «al magistrato, come a tutti i cittadini, Pag. 56deve essere riconosciuto il diritto di manifestare il proprio pensiero, essendo vietato soltanto l'esercizio anomalo di tale diritto nonché l'abuso che si configura quando siano lese situazioni giuridiche non meno rilevanti, come diritti e libertà altrui, o i valori di imparzialità e di indipendenza». Va poi ricordato che l'articolo 6 del codice etico approvato nel maggio 1994 dall'Associazione nazionale magistrati dice esplicitamente: «Fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira a criteri di equilibrio e di misura nel rilasciare dichiarazioni o interventi ai mezzi di comunicazione».
Questa è la premessa generale. Vengo al caso concreto, con riferimento al quale non c'è dubbio che il dottor Caselli abbia, con il volume «Un magistrato fuori legge», esercitato il diritto di libera manifestazione del suo pensiero su fatti in parte estranei all'esercizio concreto della giurisdizione e in parte relativi ad un procedimento ormai concluso; sotto questo profilo, l'accertamento della veridicità dei fatti esposti - che gli interpellanti contestano e su cui chiedono la valutazione del ministro - non è metodologicamente praticabile, essendo l'intero elaborato riferibile alle idee e al pensiero dell'autore, cioè alla sua visione delle vicende narrate e, conseguentemente, alla sua responsabilità.
Non si può non riconoscere tuttavia che il volume contiene considerazioni e giudizi talvolta molto critici, alcuni dei quali, benché formalmente sorretti da argomentazione analitiche, possono apparire, ed appaiono, unilaterali: considerazioni e giudizi che, per quanto riguarda il senatore Andreotti, il ministro Mastella - al riguardo, mi faccio portavoce della sua parola - personalmente non condivide, confermando anche in questa sede gli attestati sempre espressi nei suoi confronti.
Tuttavia, a parte gli aspetti filologici, gli interpellanti chiedono anche una valutazione in termini disciplinari, ai fini dell'eventuale promovimento della relativa azione nella prospettiva dei criteri di equilibrio e di misura.
Ebbene, se questa valutazione può e deve essere fatta nella sede istituzionale e nella prospettiva disciplinare, essa non può più aver luogo quando si è al di fuori del limite cronologico di eventuale esercizio della relativa azione, cioè quando sia scaduto il termine stabilito dall'ordinamento per l'iniziativa. Anzi, c'è da precisare che, nonostante che il libro fosse edito nel 2005, con la conseguente consegna delle copie d'obbligo proprio al Dicastero della giustizia, tuttavia, all'epoca del tempo utile e da parte del precedente ministro, nessuna azione si ritenne di promuovere nel prescritto termine di un anno; né risulta agli atti dell'ufficio che si fossero compiute valutazioni aventi rilevanza sul piano disciplinare.
Oggi il termine è abbondantemente scaduto e per di più, con la modifica del sistema disciplinare, i profili valutativi risultano, per quanto qui interessa, meno rigorosi di quelli delineabili nel periodo in cui l'eventuale azione sarebbe stata regolare e tempestiva.
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare, per un tempo massimo di dieci minuti.
MATTEO BRIGANDÌ. Sono parzialmente soddisfatto della risposta del Governo, nel senso che sono soddisfatto per la parte in relazione alla quale il ministero ha detto qualcosa, mentre non sono soddisfatto per la parte sulla quale invece non ha detto nulla. Mi spiego meglio. Siamo perfettamente d'accordo che evidentemente esiste un meccanismo di prescrizione. Il fatto che il sottosegretario abbia dichiarato che l'azione non può essere intrapresa perché prescritta per noi giuristi ha un significato preciso e circostanziato e, per ironia della sorte, è esattamente lo stesso taglio che Giancarlo Caselli dà su Andreotti per dire che era colpevole dei reati che lui aveva ipotizzato.
È evidente però che vi sono alcuni aspetti che sono attuali, in relazione ai quali sarebbe stato opportuno dire qualcosa in più. Ciò, al fine di capire in primo luogo se sia condivisa o meno dal Governo Pag. 57l'affermazione secondo cui sarebbe un compito istituzionale di un magistrato fare politica e partecipare ai dibattiti. Peraltro si tratta di un'affermazione che non si ferma al momento della pubblicazione del libro, ma che è ancora oggi attuale, come ho dimostrato in sede di illustrazione dell'interpellanza. Il ministro dunque condivide, sì o no, tale affermazione? Perché la conseguenza non è cosa da poco!
Se è vero quanto si afferma nel libro cui facciamo riferimento, cioè che i giudici hanno il dovere, quale parte integrante del loro lavoro, di partecipare al dibattito politico, ne prendiamo atto. Anzi, sarà la Camera a prenderne atto e a doverne trarre le conseguenze, sapendo che c'è un interlocutore politico che si chiama magistratura. Se questo non è vero, allora credo si debbano mettere in galera non soltanto gli uomini politici che offrono passaggi sulle proprie auto alle loro mogli. Non è cosa da poco se qualcuno esce di casa e, ritenendo, dal suo punto di vista, di andare a compiere un atto inerente al proprio ufficio, si serve dell'auto e della scorta fornita dallo Stato. In una tesi difensiva potremmo affermare - non so - che manca il dolo; tuttavia, bisogna mettere un punto fermo. In altri termini, bisogna capire se la Costituzione, quando impone ai magistrati il divieto di svolgere attività politica, si limita a imporre il divieto di prendere la tessera di un partito oppure vieta la militanza.
Avrei avuto piacere che ella si pronunciasse anche su questi problemi che ho posto e che erano all'interno della mia interpellanza, nel cui dispositivo, infatti, si precisa: «ove verifichi l'esattezza di quanto affermato in premessa». Ho la certezza che l'onestà intellettuale che riconosco al Governo per la prima parte della risposta ci sarebbe stata anche nella seconda parte, ove la stessa risposta fosse stata completa, e ritengo, quindi, che la posizione espressa probabilmente sarebbe stata interamente condivisibile. Si badi bene: l'intenzione mia e del gruppo del quale mi onoro di far parte non è certamente quella di andare a «cavalcare» la magistratura; tuttavia, noi vogliamo che la magistratura non sia «cavalcata» neanche da altri. In altri termini, noi vogliamo che la magistratura sia indipendente non soltanto dal potere politico e dal Governo - peggio ancora sarebbe se fosse dipendente da una parte del potere politico e non dall'altra - ma anche al suo interno.
Come ho affermato in sede di illustrazione, ormai siamo dinanzi alla lottizzazione dei posti dirigenziali all'interno della magistratura. Certamente, signor sottosegretario, al riguardo lei non poteva rispondermi. Tuttavia, credo che il magistrato, il quale sarà pure libero nei confronti del Governo (la sua cortesia è tale che io non debba polemizzare su siffatte questioni), debba essere tale anche all'interno della magistratura. Il magistrato deve proprio aderire a una delle correnti e pronunciarsi secondo la politica interna delle correnti per riuscire a diventare dirigente oppure è sufficiente che sia bravo nel suo lavoro? Signor sottosegretario, avremmo gradito una risposta anche su tale quesito.