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Si riprende la discussione.
(Ripresa esame articolo unico - A.C. 2201-A)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi sul complesso delle proposte emendative.Pag. 28
Avverto che la deputata Merloni ha ritirato tutti gli emendamenti a sua prima firma ad eccezione dell'emendamento 5.234.
Avverto altresì che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere
(Vedi l'allegato A - A.C. 2201 sezione 2).
A tal proposito faccio presente che esso - con riferimento al testo del provvedimento elaborato dalla Commissione - è favorevole, ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del regolamento, a condizione che, al fine di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, sia approvato l'emendamento Lionello Cosentino 8.300.
Il deputato Leone ha svolto questa mattina un intervento in ordine alle dichiarazioni di inammissibilità delle proposte emendative Della Vedova 1.03 e 1.011, volte ad abolire la tassa di concessione governativa sull'utilizzo dei terminali di comunicazione mobile.
Ricordo in primo luogo che tali inammissibilità sono state dichiarate nel corso dell'esame in sede referente e che secondo la prassi tale valutazione è stata confermata dal Presidente della Camera.
Nel merito ricordo che l'articolo 1 del provvedimento incide sui costi fissi e sui contributi per la ricarica di carte prepagate della telefonia, televisive e per le comunicazioni elettroniche, applicati dagli operatori, nonché sugli obblighi di trasparenza delle tariffe e sulla disciplina dei contratti. Le proposte emendative, invece, riguardano una tassa di concessione governativa sull'utilizzo di terminali di comunicazione mobile. Si tratta, dunque, di una materia evidentemente non contemplata nel decreto e non strettamente attinente alle materie contenute nello stesso.
La Presidenza prende atto anche del rilievo politico delle questioni sollevate, ma non può discostarsi dalla prassi interpretativa delle citate norme regolamentari, ciò anche a garanzia del corretto utilizzo degli strumenti normativi.
Sono state altresì sollevate obiezioni da parte del deputato Villetti circa l'inammissibilità dell'emendamento 13.253, da lui presentato, sostitutivo dei commi da 1 a 1-quinquies dell'articolo 13, che incide sugli istituti tecnici e professionali e sui licei economici e tecnologici e che prevede il differimento dell'entrata in vigore della riforma Moratti con riferimento al secondo ciclo.
L'emendamento Villetti mira a eliminare tale disposto e ad inserire nel testo il differimento dell'avvio della riforma del secondo ciclo, introducendo pertanto una disposizione che non si colloca in un rapporto di stretta connessione con il contenuto del provvedimento né di accessorietà rispetto alla normativa recata dal testo. Esso, nei termini in cui è formulato, appare pertanto inammissibile, in quanto non strettamente attinente ad alcuna previsione contenuta nell'articolo ed, anzi, estraneo alle stesse.
Ha chiesto di parlare il deputato Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, nel corso dell'intervento dirò due parole anche sulla questione che lei cortesemente ha ripreso. Prima vorrei però svolgere alcune considerazioni più generali e, senza prenderla troppo alla larga, vorrei iniziare da I promessi sposi di quel grande liberale cattolico che fu il Manzoni. In particolare mi riferisco al capitolo XII, quello dell'assalto ai forni, che tutti ben ricorderanno. Il personaggio chiave di quel capitolo è Antonio Ferrer, gran cancelliere di Milano durante la carestia del 1628. «Un uomo di carattere» scriveva il Manzoni, come sicuramente uomo di carattere viene considerato - e certamente lo è - il ministro Bersani. A proposito di Ferrer il Manzoni scrive: «Costui vide, e chi non l'avrebbe veduto?, che l'essere il pane a un prezzo giusto è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla», a produrre cioè l'abbassamento del prezzo del pane. «Fece» - continua il Manzoni - «come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo». Proprio da questa decisione di Ferrer si arrivò alla rivolta descritta con l'assalto al «forno delle grucce», assalto Pag. 29che scaturì dalla decisione successiva della giunta che reggeva il comune di Milano e cioè quella, rivelatasi immediatamente necessaria, di rialzare il prezzo del pane alle condizioni che il mercato prevedeva, anche se non era nei desiderata. «La rivolta si scatenò» dice il Manzoni «perché la moltitudine, vedendo finalmente tradotto in legge il suo desiderio, non accettò che fosse per celia».
Il calmiere del pane di Ferrer, visto che di questo stavamo parlando, e l'abolizione dei costi delle ricariche telefoniche di Bersani hanno in comune la logica di fondo, ossia un intervento governativo autoritario, teso a correggere per legge la struttura dei prezzi di un settore. Fuor di metafora, siamo di fronte in questo decreto ad un'interpretazione equivoca delle logiche di mercato e del ruolo dello Stato. Nel mercato la competizione tra interessi contrapposti è la dinamica che produce un equilibrio ottimale e nella quale si afferma il principio della sovranità del consumatore. Ad abbassare i prezzi e a tenerli bassi in un dato settore ci pensano, da un lato, la concorrenza tra le imprese rivali e, dall'altro, la promozione della tutela dei propri interessi da parte dei consumatori, che esercitano la propria libertà di scelta. Molto poco desiderabile è quell'intervento dello Stato che mira a sostituirsi ai consumatori nella difesa dei propri interessi e che stabilisce per legge un risultato, sia esso l'abolizione dei costi di ricarica o l'abolizione della penale per l'estinzione anticipata dei mutui, che modifica la struttura stessa dei prezzi e delle clausole contrattuali ed impone determinati obblighi ai produttori o agli erogatori di servizi.
Pensare di liberalizzare l'economia con le imposizioni e con il dirigismo è una contraddizione in termini, colleghi, che tutta la grancassa mediatica a favore del provvedimento della «lenzuolata» di Bersani non può eliminare. È il frutto di una visione dell'economia ancora interventista, secondo la quale lo Stato può e deve operare con decreto-legge per creare scientificamente ed artificiosamente alcune condizioni desiderate. Come interpretare altrimenti le dichiarazioni rese pubbliche qualche giorno fa dal ministro Bersani quando ha dichiarato: «Se non si muove il mercato, interverremo per legge». Da qui a Chavez, signor Presidente, che minaccia la nazionalizzazione delle macellerie che non si adeguano ai prezzi imposti dal Governo, il passo evidentemente non è così lungo.
Si è detto che il centrosinistra fa quello che il centrodestra non ha fatto, cioè liberalizza. Che il centro destra dovesse fare di più in termini di liberalizzazioni è un fatto. Che il centrodestra abbia fatto molto in settori chiave - penso a quello del mercato del lavoro e a quello del credito - è però un altro fatto, colleghi. Ma quello che in questa sede voglio contestare (ed è anche la ragione per cui ho presentato le proposte emendative sulle quali tornerò) è che siamo di fronte a liberalizzazioni.
Fatto salvo l'articolo 10, che effettivamente opera un intervento di liberalizzazione, eliminando talune barriere all'ingresso in mercati molto specifici (acconciature, autoscuole, società di pulizia; si tratta di liberalizzazione in quanto sono rimosse le barriere all'ingresso nel mercato per le nuove imprese), o il pur contraddittorio articolo 9, relativo alla comunicazione unica per la nascita dell'impresa (sul tema sono intervenuti altri colleghi, tra i quali l'onorevole Fugatti, per spiegare che il problema sta nel modo in cui un'azienda «vive», non nel tempo che impiega per aprire), siamo di fronte ad interventi che con le liberalizzazioni nulla hanno a che fare. Possono essere giusti o sbagliati - secondo me, sono sbagliati nel metodo e nel merito -, ma gli interventi previsti dal provvedimento in esame certamente non possono essere catalogati sotto la voce «liberalizzazioni», se non compiendo un'operazione del tutto strumentale.
Quando pensiamo alle liberalizzazioni, pensiamo alla rimozione dei vincoli alla libera iniziativa economica, pensiamo all'apertura dei mercati e, per tale via, all'aumento della concorrenza. Quando penso alle liberalizzazioni, penso alla deregulation di Reagan e della Tatcher, non Pag. 30a qualcosa che, nei fatti, assomiglia alle politiche di controllo dei prezzi messe in atto da Chavez in Venezuela. Se poi qualcuno pensa (sicuramente lo pensa Chavez) di riuscire oggi, con l'interventismo, con il dirigismo, con il controllo statale dell'economia, a raggiungere risultati che nel corso del Novecento nessuno ha saputo raggiungere utilizzando i predetti strumenti, staremo a vedere quello che succederà, fermo restando che l'intervento diretto sui prezzi nulla ha a che fare con le liberalizzazioni.
Liberalizzare sarebbe stato - che so? - abolire il valore legale del titolo di studio ed aprire l'università alla competizione, scegliere il buono scuola come strumento per consentire a tutte le famiglie, non soltanto a quelle ricche, di mandare i figli a frequentare le scuole migliori, pubbliche o private, in competizione tra loro (quelle pubbliche con quelle private, quelle private con le altre private), oppure intervenire per liberalizzare la contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro intervenendo sul contratto collettivo nazionale, o ancora restituire le imposte, in tal modo riconsegnando spazio alla libertà di iniziativa economica, alle imprese ed ai consumatori.
È stato detto da più parti che la sinistra sostituisce la dicotomia tra capitale e lavoro con quella tra produttori e consumatori, prefigurando, come aveva fatto decenni fa con la categoria ideale dei lavoratori proletari, una sorta di Stato dei consumatori. Corollario di tale logica è l'impostazione punitiva nei confronti di alcuni settori economici: banche, compagnie aeree, gestori telefonici. La logica sottesa al decreto-legge in esame è la seguente: se l'interesse pubblico è l'interesse dei consumatori - direttamente -, è ragionevole, nell'impostazione di Bersani, punire chi nel mercato si contrappone ai consumatori, ovverosia le diverse categorie produttive interessate dai provvedimenti del Governo. Anche a tale proposito si potrebbe richiamare il ragionamento del gran cancelliere Antonio Ferrer, il quale sostanzialmente considera: poiché i fornai hanno guadagnato molto, e molto guadagneranno in futuro, se oggi li bastoniamo un po', funziona lo stesso!
Se queste sono le liberalizzazioni, se questa è l'accezione che la sinistra dà alle liberalizzazioni, più che liberalizzata l'economia italiana va liberata. Non si tratta soltanto di un gioco semantico: la contrapposizione esprime la differenza tra chi sembrerebbe adottare una politica da Stato dei consumatori, figlia diretta della lotta di classe, e chi propone, invece, la riduzione del peso regolatore, soprattutto del peso fiscale dello Stato, ed affida alla concorrenza e alla libertà economica il compito di produrre i migliori effetti per la collettività (che il decreto-legge in esame pensa di poter perseguire direttamente, per decisione del Governo, in questo caso attraverso un provvedimento d'urgenza).
Se poi il Governo pensa di intervenire direttamente a favore dei consumatori, è bene che usi la sua leva, quella che pertiene allo Stato ed al Governo, vale a dire la leva fiscale.
La questione dei telefonini è emblematica e mi spiace che la Presidenza della Camera abbia voluto ribadire, anche in questa occasione, il giudizio di inammissibilità con riferimento ad un emendamento che toccava esattamente e squisitamente la questione di cui parla il decreto.
Veda, signor Presidente, l'articolo 1 si intitola «Ricarica nei servizi di telefonia mobile, trasparenza e libertà di recesso dai contratti con operatori telefonici, televisivi e di servizi internet». Quindi, la questione della ricarica è riferita ai servizi di telefonia mobile. Signor Presidente Bertinotti, se questo è il titolo dell'articolo 1, a cui lei ha voluto dare una interpretazione burocraticamente intellettuale, mi vuole spiegare perché è stato accolto l'emendamento che si occupa dei costi di ricarica per le tessere prepagate per la televisione digitale? Anche questo emendamento, che si occupa di un altro settore, doveva essere dichiarato inammissibile; invece, temo che la scelta sia stata squisitamente politica.Pag. 31
Signor Presidente, se si legge la relazione congiunta dell'antitrust e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si può notare che scindere la questione del costo di ricarica dei telefonini da quella della tassa di concessione governativa è un'operazione burocratica, perché si tratta di questioni intimamente legate non dal punto di vista burocratico, ma dal punto di vista della logica economica e degli effetti congiunti delle due normative.
Come si fa a dire che vi è estraneità di materia di fronte ad un volume ponderoso nel quale le Autorità ci spiegano che le due questioni sono in realtà una questione sola? Da dove deriva l'inammissibilità? Questo vorrei capire, signor Presidente e la sua risposta burocratica non è soddisfacente! Ritengo si stia commettendo un grave errore, per di più su un tema affrontato con decretazione d'urgenza.
Se poi vogliamo dire le cose come stanno - siamo uomini di mondo - la questione è che la maggioranza, per bocca del relatore, che vuole occuparsi di tale questione perché ha capito che si tratta di questioni indissolubilmente legate, intende rifiutare al Parlamento la possibilità di esprimersi direttamente nella sede e nel momento appropriati su questo tema.
La questione dei costi di ricarica è assolutamente analoga a quella del pane di Ferrer, perché lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze, in una nota alla Commissione bilancio, ha spiegato che la mancata previsione di una copertura per quella norma deriva dal fatto che ci si attende una rimodulazione delle tariffe, vale a dire un aumento delle tariffe. Questo è l'effetto evidente di una scelta ottusa, perché il decreto non chiede - come avrebbero potuto fare le autorità indipendenti - una rimodulazione, una proporzionalità o una diminuzione dei costi di ricarica, ma la loro cancellazione.
Il Governo pensa che stampare le schede prepagate, distribuirle in tutti gli esercizi commerciali, edicole e tabaccai, pagare l'aggio agli esercizi che le distribuiscono non presenti un costo. Ma almeno i costi vivi di questo servizio li vogliamo riconoscere oppure no?
Questa è la via - come nel caso del pane durante la carestia a Milano - attraverso la quale i costi tariffari necessariamente aumenteranno, salvo che si voglia imporre per legge un tetto anche al fatturato delle imprese che si occupano di telecomunicazione e telefonia mobile, peraltro operando in uno dei mercati universalmente riconosciuti come quelli più concorrenziali esistenti in Italia. Infatti, il mercato dei telefonini - e ne sono la prova le riduzioni delle tariffe - è uno dei mercati più concorrenziali del nostro paese.
Anche altri interventi risentono di questa matrice dirigista, come quello relativo alla penale sull'estinzione dei mutui, ma non ho tempo per approfondirli.
Vorrei comunque svolgere un'ultima considerazione, concernente le Autorità di garanzia. Si è deciso, aprendo l'economia italiana e liberandola dal giogo...
PRESIDENTE. La prego, deve concludere!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo, signor Presidente. Si è stabilito, come dicevo, che fossero le Autorità indipendenti, con i loro strumenti e le loro modalità d'azione, a sovrintendere alla concorrenzialità e ad evitare che si verificassero abusi nel mercato.
Voi della maggioranza, in questo modo (vale a dire, attraverso il decreto-legge in esame), trasformate dette Autorità, da una parte, in «uffici studi» che producono il materiale da trasfondere in decreti-legge e, dall'altra, in meri «produttori».
PRESIDENTE. La prego...!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Con questo provvedimento - e concludo, signor Presidente -, state infliggendo un vulnus gravissimo all'organizzazione liberale dell'economia del paese (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bellotti. Ne ha facoltà.
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LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo oggi a discutere il secondo atto di quella che, per certi versi, potremmo intitolare «la parodia delle liberalizzazioni»!
Vorrei sottolineare che non affermo ciò per un mero contrasto di natura ideologica. Come hanno precedentemente ribadito alcuni colleghi appartenenti al mio gruppo parlamentare, infatti, Alleanza Nazionale non è contraria, in via pregiudiziale, alle liberalizzazioni quando queste sono reali e concrete, ed arrecano un beneficio effettivo ai nostri cittadini. Non lo dico neppure per un senso di opposizione al Governo in carica, dato che non è sicuramente necessario intervenire in questa sede per rendere evidente l'esperienza fallimentare dell'Esecutivo di Romano Prodi.
Infatti, ciò che traspare, in modo molto chiaro, dalla lettura del decreto-legge firmato dal Presidente del Consiglio e da ben undici dei suoi ministri (e che, quindi, dovrebbe rappresentare una sorta di summa teologica, oppure un momento di riscatto del Governo) è che si è inteso intervenire - ma forse è meglio utilizzare il verbo «colpire» -, in modo sproporzionato, in settori che non determinavano certo il discrimine tra un'economia di mercato ed un'economia bollata dalla sinistra come «corporativistica» o «chiusa».
Non intendo ripercorrere considerazioni già svolte in questa Assemblea, in maniera efficace, sulla volontà di colpire alcune categorie, classificate come «di destra», con un atteggiamento punitivo, né mi spenderò per segnalare il progetto di smantellamento delle riforme varate dal centrodestra che il decreto-legge in esame, insieme ad altri provvedimenti, contiene.
A tal proposito, gli interventi dei colleghi appartenenti al gruppo di Alleanza Nazionale sono stati eloquenti sul tema. Da parte mia, vorrei soltanto formulare alcune riflessioni sul merito del provvedimento e su alcuni aspetti, peraltro già trattati, che ritengo di rilevante interesse.Partiamo dall'articolo 1 del decreto-legge in esame, concernente l'abolizione dei famigerati costi di ricarica per la telefonia mobile. Credo che possiamo dirci tutti d'accordo sul fatto che tale misura fosse necessaria. Ciò, tuttavia, non ci esime dal dover riconoscere il soggetto cui deve essere attribuito il merito di questa operazione.
La denuncia di questa grave difformità, che si è successivamente rivelata essere un'irregolarità, del mercato italiano rispetto a ciò che avviene nel resto del continente non è certo merito dell'illuminato ministro Bersani. Il Governo, infatti, si è trovato a dover accogliere una richiesta partita dalla società civile e, più specificatamente, dall'iniziativa di un giovane cittadino, Andrea D'Ambra, presidente di «Generazione attiva». Ciò perché, lanciando l'idea di una petizione, che ha raccolto più di 800 mila firme, è stato questo ragazzo a simboleggiare il «piccolo Davide» che si schierava contro il «Golia» delle compagnie telefoniche, e non il Governo. Quindi, l'Esecutivo non si approfitti ora dell'opera e del coraggio altrui!
Vorrei segnalare che ho seguito sin dall'inizio questa battaglia ed ho raccolto tutti i comunicati stampa che D'Ambra ha inviato via e-mail. Non si può certo affermare che gli ostacoli, da parte dell'attuale maggioranza, gli siano mancati! Vi è un'altra ragione, tuttavia, per cui il Governo non può cingersi il capo di tale successo. Esso, infatti, ha gestito questa operazione con un pressappochismo unico, sperando che si tratti di colpa e non di dolo.
Tale operazione, che doveva essere condotta dalla competente Autorità garante, è stata «requisita» dall'Esecutivo, probabilmente con l'obiettivo di farsi pubblicità. Cercando di risolvere la questione con un affrettato articolo contenuto in un decreto-legge, il Governo ha dapprima consentito ad alcune compagnie telefoniche di avanzare la tesi che il provvedimento fosse valido soltanto per le nuove utenze; infine, lo stesso Esecutivo non ha pensato di prevedere rimedio alla possibilità che la diminuzione degli introiti, determinata dall'abolizione del balzello, si traducesse Pag. 33automaticamente in un aggravio dei costi per gli utenti, attraverso un rincaro delle tariffe.
Per non parlare, poi, del pericolo che i gestori potessero rivalersi sui tabaccai, pericolo segnalato sia dai tabaccai sia dagli stessi gestori. Insomma, l'ennesima prova di incapacità - come se ve ne fosse bisogno! - di un Esecutivo capace, anche quando fa demagogia, di compiere grossolani errori che ricadono sulle spalle dei cittadini.
Se pensiamo poi alla possibilità di abolire lo scatto alla risposta su cui si è fatto un immediato dietrofront per la mancanza della necessità e dell'urgenza, si cade addirittura nel ridicolo. Quale misura contenuta nel provvedimento in esame ha i requisiti di necessità e di urgenza? Era necessario ed urgente tenere aperti i barbieri di lunedì? Era di vitale importanza estendere la qualifica di guida turistica a chiunque creda di poter spiegare l'arte perché possiede una laurea in lettere?
Un'altra misura che fa comprendere la portata «rivoluzionaria» del decreto Bersani è la previsione contenuta nell'articolo 4 del provvedimento; dal 1o febbraio è, infatti, obbligatorio porre la data di scadenza dei prodotti alimentari in un punto evidente delle confezioni. Intendiamoci, non è qualcosa di negativo; anzi, l'etichettatura, la certificazione, quanto riguarda la sicurezza e la qualità dei nostri prodotti, hanno corrisposto ad un'azione portata avanti dal precedente esecutivo, dal Governo Berlusconi, con l'allora ministro Alemanno. Solo ritenevo che la firma del ministro De Castro sul provvedimento fosse dovuta a chissà quali importanti interventi per favorire il settore agricolo anziché per disciplinare soltanto la forma con cui segnalare la scadenza di un prodotto, norma peraltro resa obbligatoria, in Italia ed in Europa, già in precedenza.
Dovremmo, quindi, concludere che in agricoltura tutto va bene e che nel settore della concorrenza e del 'primario' tutto procede splendidamente. Non sarebbe, forse, stato bene compiere un minimo di riflessione, per esempio sul settore della distribuzione? Oramai, l'80 per cento della distribuzione nel nostro paese è in mano straniera; per il resto, esercita questa attività soltanto il sistema cooperativistico, il che sicuramente non è un bene per il nostro paese. Potrei, infatti, ricordare che la grande distribuzione non è soltanto la cinghia di trasmissione tra produttore e consumatore, ma determina anche i prezzi sia per l'uno sia per l'altro; determina, quindi, il cosiddetto paniere della famiglia.
Potrei anche rammentare che, mentre l'Italia propaganda i suoi marchi in Cina ed in India esponendo la faccia del Presidente del Consiglio, la Francia dissemina di Carrefour tutto il continente asiatico.
Ma, ormai, parlare contro il sistema cooperativistico è considerato dalla sinistra un tabù; a loro è concesso tutto, persino la vendita delle aspirine, ma sicuramente non è concesso di poter pensare ad una rivisitazione importante del settore che produrrebbe benefici sociali assolutamente significativi e, vorrei aggiungere, irrinunciabili.
Vorrei anche segnalare brevemente il caso dei benzinai; nel momento in cui Ungheria e Slovenia - non Stati Uniti e Giappone, ma Ungheria e Slovenia! - si lanciano nel business dei biocarburanti, l'Italia vede come prioritario l'obiettivo di elevare il numero (che non mi risulta particolarmente carente) dei benzinai. Entro il 2008 sarà attivo, in Ungheria, un impianto in grado di produrre 50 mila tonnellate di biodiesel, carburante di origine vegetale, estratto dalla colza e successivamente lavorato per essere compatibile con i motori moderni. In Slovenia, invece, sarà attivo entro il 2008 un impianto da 60 mila tonnellate di biodiesel. Oltre ai benefici economici della vendita dei biocarburanti - dal momento che, nei prossimi anni, la domanda crescerà -, Ungheria e Slovenia avranno anche il vantaggio di ridurre (anche se di poco) la propria dipendenza dal petrolio importato. Avranno, poi, il vantaggio di apportare miglioramenti all'ambiente ed al territorio; innovazioni che saranno di tutto vantaggio anche per il mondo dell'agricoltura.Pag. 34
Invece, in Italia, la priorità - che comunque è stata annunciata, ma mai applicata - è porre sulle autostrade cartelli per indicare i prezzi della benzina nei vari distributori. È questa, forse, la vostra concezione della liberalizzazione?
Altri aspetti «comici» del provvedimento in esame sono stati messi in luce dai miei colleghi e non mi sembra il caso di insistere, anche se non posso esimermi dal formulare aspre critiche sulla «controriforma» della scuola e sul pericolo insito nel provvedimento di veder rimessi in discussione i progetti della cosiddetta legge obiettivo, ostacolando la realizzazione delle opere viarie e ferroviarie nel Nord Italia.
Tuttavia, ritengo che quanto detto basti per «bollare» come negativo il provvedimento in esame che, anziché compiere reali liberalizzazioni su alcuni settori come gas, trasporti, banche, assicurazioni ed il neostatalismo comunale («foreste vergini» della sinistra), si accanisce contro il ceto medio. Non si tratta di un provvedimento sulle liberalizzazioni, ma di una parodia, un travestimento e, come fate in tutte le vostre azioni di governo, predicate una cosa e ne fate un'altra (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, interverrò su un aspetto che riguarda un emendamento da me presentato che è stato dichiarato inammissibile. Vorrei che fossero chiari i termini della questione. Tutti noi sappiamo che la discussione sulle inammissibilità richiama una giurisprudenza complessa nella storia del Parlamento. Sappiamo anche (dobbiamo dirlo apertamente) che, talvolta, le declaratorie di inammissibilità sono state un vero e proprio strumento di azione politica. Lo sappiamo; è scritto nella storia della Camera e, spesso, le opposizioni hanno sollevato il problema. Io non l'ho mai fatto, anche perché ho un profondo rispetto per l'istituzione.
Oggi, però, voglio che la Camera comprenda il risvolto politico dell'inammissibilità dichiarata sull'emendamento da me presentato.
Stiamo esaminando un decreto-legge sulle liberalizzazioni - che, in larghissima parte, condivido -, in cui è «piovuta dal cielo» una piccola riforma della scuola. È la prima volta a memoria della Repubblica che si introduce, in un decreto-legge con queste caratteristiche, una piccola riforma della scuola. Non so quali siano le autorità che dovrebbero intervenire, diciamo così, per «regolare il traffico» ma, sicuramente, questo intervento del Governo, nell'attuale contesto, non è ammissibile; del resto è noto che il Governo nella storia della nostra Repubblica ha compiuto interventi, all'interno dei decreti-legge, spesso opinabili e discutibili.
Per quale motivo il ministro Fioroni ha compiuto questa piccola riforma della scuola, che in particolare riguarda gli istituti tecnici e professionali, e quali sono state le motivazioni per cui ha ritenuto che fosse indispensabile inserirla in un provvedimento d'urgenza?
L'argomentazione è semplice. Si sarebbe creata una situazione in cui coloro che intendevano iscriversi agli istituti tecnici professionali non avrebbero conosciuto il destino di questa istituzione, in una situazione in cui «incombeva» l'applicazione della legge Moratti ma, al tempo stesso, il Governo manifestava la necessità di cambiarla.
Quindi, il ministro ha agito in questo modo. Come avrebbe dovuto agire, a mio giudizio, un ministro del centrosinistra il quale, più degli altri, dovrebbe mantenere un rigore istituzionale? Egli avrebbe dovuto evitare di privare la Camera della possibilità di discutere di una riforma così importante, come quella della scuola, e avrebbe dovuto «congelare» la cosiddetta riforma Moratti per un anno, offrendo al Parlamento la possibilità di discutere ampiamente di questa materia.
Allora, che cos'è accaduto? Ho presentato un emendamento recante una disposizione che, a mio giudizio, avrebbe dovuto essere inserita dal ministro della pubblica istruzione in questo decreto-legge o in un decreto-legge ad hoc - la seconda soluzione Pag. 35sarebbe stata migliore dal punto di vista delle procedure parlamentari e istituzionali - per «congelare» la cosiddetta riforma Moratti e dare al Parlamento la possibilità di discutere. La mia proposta emendativa non sopprime puramente e semplicemente l'intervento del ministro Fioroni perché, se avessi fatto questo, avrei espresso un voto a favore della cosiddetta riforma Moratti, contro la quale mi sono battuto. In altri termini, avrei puramente e semplicemente ripristinato il testo di quella riforma. Invece, ho presentato un emendamento che, oltre a sopprimere il testo redatto dal ministro Fioroni a causa delle sue chiare caratteristiche di inammissibilità all'interno di un decreto-legge in materia di liberalizzazioni (l'ho detto ai deputati del centrodestra quando hanno effettuato interventi analoghi e lo ripeto oggi nello stesso modo, anche se sono nella maggioranza, perché le regole valgono comunque), contemporaneamente sospende la riforma Moratti.
Perché ho proposto di «congelare» l'intera riforma e non soltanto la parte relativa agli istituti tecnico-professionali? Perché l'ordinamento scolastico non è fatto di pezzi e non si può procedere soltanto alla riforma di questi istituti, posto che sostanzialmente essa è rivolta a cittadini i quali debbono poter scegliere non solo in quel segmento e debbono poter disporre di una chiara offerta formativa, nel suo complesso. Non possiamo trattare dal punto di vista legislativo l'istruzione tecnico-professionale come la trattava il conte Casati, quando fu approvata la sua famosa legge. All'epoca, infatti, c'era una scuola per i ricchi e per i benestanti - la legge Casati ha costituito l'unico disegno, anche di grande valore storico, che riguardasse l'università - ed una scuola per i poveri. Che cosa si è fatto? Mi è stato chiesto di interessarmi soltanto della scuola dei poveri, perché i poveri e i disagiati frequentano gli istituti tecnico-professionali e mi è stato detto che non posso «congelare» tutta la riforma, perché a quegli studenti, tanto, gli altri settori dell'istruzione non interessano e non possono interessare.
Questa è una scelta di classe! Questa è una scelta del Presidente della Camera e degli uffici che io considero non soltanto sbagliata, - ma anche politica e, a mio giudizio, deve essere severamente criticata. Permettere al ministro Fioroni di inserire, all'interno di un decreto-legge sulle liberalizzazioni, una piccola riforma sull'istruzione è stato già un errore, ma non consentire a un deputato della Repubblica di presentare, attraverso un emendamento, quello che avrebbe dovuto essere la corretta disposizione del ministro, signor Presidente della Camera, è un sopruso, un vero e proprio sopruso! Si impedisce ad un deputato della Repubblica di fare quello che un ministro correttamente avrebbe dovuto fare! Si verifica, così, un paradosso perché si consente al ministro della pubblica istruzione una scorrettezza, mentre si considera inammissibile un atteggiamento corretto assunto da un deputato della Repubblica.
Provengo dalla storia socialista e i socialisti hanno attraversato tanti momenti difficili. Ad un certo punto, vi era una sfiducia nello Stato e nelle leggi. Ricordo quando i primi operai e i primi contadini dicevano che le leggi erano fatte per i padroni: no, io non credo che le leggi siano fatte per i padroni, ma sono fatte per i cittadini. Però, sono convinto che sta a noi e a quest'Assemblea parlamentare dare nobiltà all'azione legislativa e, poiché ho sempre creduto nell'azione nobile del legiferare, di fronte agli errori che vengono compiuti - ho sempre avuto una grande stima nei confronti del Presidente della Camera, che confermo in questa sede - è sempre meglio ripensarci e rifletterci, perché tutti quanti sappiamo che dobbiamo agire secondo le nostre convinzioni.
Noi non lavoriamo soltanto per la nostra parte, per la maggioranza o per l'opposizione. Quando lavoriamo per la scuola, lo facciamo a favore delle nuove generazioni. Di fronte a questo problema, secondo me, tutti devono essere assolutamente attenti e responsabili.
Mi appello, quindi, al Presidente della Camera: Presidente, questa non è una buona decisione, non per il deputato Villetti, Pag. 36ma per l'Assemblea parlamentare, alla quale deve essere assicurato il diritto di discutere della riforma della scuola, mentre invece, magari con un voto di fiducia che potrebbe anche prospettarsi, il Parlamento potrebbe non avere neanche la possibilità di entrare nel merito.
Ho criticato tante volte l'ex sottosegretario all'istruzione Aprea su questo terreno, quando venivano fatte delle forzature. All'onorevole Aprea dicevo che se fossi diventato componente della maggioranza mi sarei comportato allo stesso modo. Ecco, mi ascolti, onorevole Aprea: io mi comporto nello stesso modo. Penso che la riforma della scuola debba essere fatta da tutto il Parlamento e con un largo consenso, non come è stata fatta la riforma Moratti, perché una riforma della scuola non deve durare cinque anni, ma almeno venti. Però, a questo scopo, signor Presidente, ad ogni deputato deve essere garantito il diritto di legiferare e penso che in questo caso mi sia stato negato (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno e di deputati dei gruppi Forza Italia e Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. La contestazione che ora il deputato Villetti ha svolto mi pare meritevole di una replica.
A mia volta, confermo al deputato Villetti la reciprocità della stima cui egli ha avuto la bontà di fare riferimento. Vorrei dirle, tuttavia, che la critica rivolta alla Presidenza per l'intervento nell'ambito del contenuto del decreto-legge non è ricevibile. L'ambito del contenuto del decreto-legge, infatti, non è fissato dal Parlamento, ma dal Governo in sede di adozione del provvedimento. Dunque, per questa parte la questione posta non riguarda la Presidenza della Camera, che non può che prendere atto delle scelte del Governo.
Vorrei poi ricordare al deputato Villetti che non è il singolo ministro, ma il Governo nel suo insieme a fissare il contenuto e l'ambito dei provvedimenti, che perciò non sono sindacabili dalla Presidenza.
Per la Presidenza della Camera, ai fini del giudizio di ammissibilità dell'emendamento da lei presentato, non possono rilevare le intenzioni del presentatore, né il merito dell'emendamento, né le finalità che lo stesso si prefigge nel caso di specie, come ha detto il deputato Villetti, che sono antitetiche rispetto a quelle del Governo.
La Presidenza rispetta le opinioni nel merito del collega Villetti, ma chiede anche che le valutazioni della Presidenza in tema di ammissibilità delle proposte emendative siano rispettate, come la Presidenza rispetta le norme e le pratiche fin qui seguite.
Ha chiesto di parlare il deputato Fedele. Ne ha facoltà.
LUIGI FEDELE. Signor Presidente, intervengo sul complesso degli emendamenti in merito al decreto-legge n. 7 del 31 gennaio 2007 e sull'onda delle liberalizzazioni avviate nell'estate del 2006. Tale decreto reca talune misure ritenute, da un lato, a favore dei consumatori e, dall'altro, di riduzione e semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese, considerati urgenti dal Governo in quanto porrebbero termine a situazioni di grave anomalia rispetto ai principi comunitari e costituzionali più volte segnalati dall'Unione europea e dell'Autorità per la concorrenza. Il provvedimento in esame è stato giustamente denominato - alcuni colleghi lo hanno anche ricordato - la seconda «lenzuolata» di liberalizzazioni ed è l'attuale cavallo di battaglia dello «zoppicante» Governo Prodi per cercare in qualche modo di recuperare un po' della popolarità perduta presso i tanti elettori che l'avevano votato.
In effetti, sono solo provvedimenti di facciata che non toccano le vere liberalizzazioni e, tra l'altro, incidono poco sull'economia del nostro paese. Unico obiettivo sembra essere quello di ridare credibilità ad un Governo che l'ha perduta quasi del tutto. Rispetto poi alle continue contraddizioni alle quali assistiamo quotidianamente, pensiamo che occorra ben altro per ridare lustro ad un Governo che non ne ha. Quei provvedimenti contengono Pag. 37una disciplina che incide poco sull'economia del nostro paese e che cerca di ridare al Governo in carica quella visibilità che in altri casi sembra avere perso.
Inoltre, alcune disposizioni presentano degli effetti finali destinati a prodursi in un momento differito rispetto all'entrata in vigore del decreto-legge, suscitando perplessità in ordine alla rispondenza del requisito dell'immediata applicabilità delle misure disposte dai decreti-legge, come in effetti dovrebbe essere. Oltretutto, alcune disposizioni non sembrano riconducibili, se non indirettamente, alle finalità del decreto; penso, per esempio, all'articolo 13, che riguarda l'istruzione tecnico-professionale e l'autonomia scolastica (diceva bene l'onorevole Villetti prima di me) e all'articolo 14, che esclude dai contributi per la rottamazione degli autoveicoli coloro che acquistano un altro veicolo. Entrambe queste norme non hanno un contenuto corrispondente al titolo, come richiesto dall'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988.
Analizzando più attentamente il provvedimento e soffermandoci all'articolo 1, traspare, non tanto velatamente, anche una volontà punitiva nei confronti di un'azienda nazionale primaria. Il provvedimento infatti, nato allo scopo di sopprimere i costi di ricarica delle sole carte telefoniche prepagate, è stato modificato in Commissione, estendendo tale divieto anche alle carte utilizzate per le trasmissioni televisive criptate in ambito digitale terrestre. È importante sottolineare che le richieste dei consumatori non riguardavano questo aspetto - proprio sulle spinte dei consumatori il Governo ha voluto emanare la norma che riguarda le carte prepagate, ma non certamente quelle afferenti ai diritti televisivi - e che l'equiparazione è impropria in quanto gli operatori telefonici non si trovano di fronte ai continui tentativi di indebito utilizzo dei codici della card televisiva e alle spese necessarie per mantenere adeguati livelli di sicurezza nei confronti degli accessi indebiti.
Inoltre, anche la Commissione europea ha manifestato i propri dubbi sul metodo utilizzato per l'abolizione dei costi di ricarica, avvenuta tramite un decreto e non tramite un provvedimento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, violandone così l'indipendenza e l'efficacia. Del resto, anche il commissario dell'Unione europea per le telecomunicazioni, in una lettera inviata nel febbraio scorso al Ministero dello sviluppo economico, aveva spiegato che le autorità italiane non potranno proibire agli operatori di compensare le entrate venute meno con il decreto alzando il costo del traffico telefonico. Questo problema era stato già sollevato con un mio emendamento, presentato proprio per sottolineare quanto potesse essere utile eliminare il costo delle ricariche, ma vigilando affinché non si verificasse un incremento delle tariffe, come in questi giorni da più parti è stato sostenuto. Non vorremmo che questa norma si rivelasse una beffa nei confronti dei consumatori. Dunque, tale norma non appare affatto idonea ad incidere sugli ambiti riservati alla libera determinazione delle imprese e, quindi, del mercato.
Anche l'articolo 3 parla di trasparenza delle tariffe aeree, su cui noi siamo perfettamente d'accordo, ma avremmo voluto anche che trattasse la riduzione delle tariffe aeree, in modo particolare verso alcune aree del paese - come il sud, come la mia regione, cioè la Calabria -, dove il monopolio di Alitalia impedisce a molti di utilizzare anche questo mezzo.
Il provvedimento poi contiene all'articolo 9 una nuova disciplina relativa agli adempimenti amministrativi, cui è tenuta un'impresa per l'iscrizione nel registro delle imprese: diventa sufficiente una comunicazione unica all'ufficio del registro delle imprese presso la camera di commercio, che rilascia una ricevuta quale titolo idoneo per l'immediato avvio dell'attività imprenditoriale. Alcuni colleghi di Forza Italia hanno presentato un emendamento per sostituire tale articolo con un altro, che prevede un procedimento ancora più rapido. La novità introdotta dal suddetto emendamento è che per la dichiarazione di inizio di un'attività imprenditoriale, artigianale o commerciale è sufficiente Pag. 38che l'interessato ne dia semplicemente comunicazione alla pubblica amministrazione interessata, non dovendo attendere alcun termine per iniziare tale attività. Questo emendamento è stato però assurdamente, secondo noi, dichiarato inammissibile. E sui criteri di inammissibilità molti colleghi hanno parlato prima di me ed hanno sostenuto quello che anche noi stiamo sostenendo in questo momento, cioè che alcune proposte emendative, anche importanti, non hanno trovato il giusto riconoscimento.
Inoltre, con il comma 9 del suddetto articolo, con l'intento di favorire gli utenti, si finisce in realtà per danneggiare non solo loro, ma in particolare le aziende di autolinee private, che per effetto del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285 sono già in fase di liberalizzazione ed hanno programmato la loro organizzazione e i loro investimenti utilizzando una fase di transizione, come appunto prevedeva il decreto legislativo n. 285. Si interviene adesso, in corso d'opera, creando danni e sicuramente contenziosi di non poco conto, perché a nostro avviso anche questa norma potrebbe essere considerata incostituzionale.
Per quanto riguarda poi l'articolo 10 del decreto-legge, diretto a liberalizzare alcune attività economiche, esso finisce con il danneggiare diverse categorie di lavoratori. Si pensi soltanto al secondo comma di tale articolo, che prevede la semplificazione del procedimento per iniziare l'attività di parrucchiere od estetista - al di là del fatto che potranno essere aperti anche di lunedì, cosa che credo non sia di grandissima importanza -, essendo sufficiente la denuncia di inizio attività, ma non prevede i criteri di distanza minima e l'obbligo di chiusura settimanale. Ciò comporta delle difficoltà per gli esercizi esistenti, dal momento che la mancata previsione di un limite territoriale, se promuove una maggiore concorrenza - e questo potrebbe essere un aspetto positivo -, al tempo stesso comporta altri effetti sicuramente negativi.
Per quanto riguarda poi la categoria delle autoscuole, il comma 5 dell'articolo 10 del decreto introduce misure di semplificazione e di liberalizzazione in materia di gestione di questi esercizi. In particolare, si prevede che l'avvio dell'attività economica connessa a tale gestione, attualmente soggetta al regime dell'autorizzazione da parte dell'ente provinciale, sia condizionata alla sola dichiarazione di inizio attività, da presentarsi all'amministrazione competente. A tal fine, è prevista anche l'eliminazione dei limiti attualmente previsti dall'articolo 123 del codice della strada per l'apertura di autoscuole, connessi all'entità della popolazione, all'estensione del territorio e così via. Inoltre, non viene più menzionata l'autorizzazione da parte Ministero dei trasporti, ma si parla di soggezione dell'attività delle autoscuole alla sola vigilanza amministrativa. La falsa giustificazione di una tale liberalizzazione, che comporta un pesante danno per le categorie dei gestori delle autoscuole già esistenti, viene individuata dal Governo nella necessità di armonizzare la normativa in tale settore con i principi comunitari di libero mercato. Io credo invece che le autoscuole abbiano un ruolo importante e che vadano tutelate e seguite in un certo modo, proprio nel momento in cui si parla, come in questo periodo, di sicurezza stradale, visto quello che succede sulle strade.
Sempre seguendo la politica della liberalizzazione, ma con scarsa efficacia, l'articolo 11 prevede misure per accrescere gli scambi sul mercato nazionale del gas naturale. L'articolo dispone che le quote di produzione nazionale di gas, che le imprese produttrici versano allo Stato come controvalore, e una quota fissa di tutte le importazioni future, debbano essere offerte sul mercato regolamentato delle capacità del gas, la cosiddetta borsa del gas. Si tratta di un intervento scarsamente efficace, dal momento che il vero problema è quello di superare la dipendenza del nostro paese dall'Algeria e dalla Russia in particolare, realizzando una maggiore efficacia ed una diversificazione energetica mediante la realizzazione degli indispensabili Pag. 39rigassificatori, superando le resistenze locali e individuando quali siano le zone più adatte per costruirli.
Il decreto-legge determina inoltre un rallentamento nella realizzazione della rete di trasporto ferroviario di alta velocità, perché prevede all'articolo 12 la revoca di alcune concessioni rilasciate dall'Ente Ferrovie dello Stato Spa alla società TAV Spa per la progettazione e la costruzione di linee di alta velocità. Ciò determinerà oneri pesanti per lo Stato, a causa del contenzioso che inevitabilmente si determinerà con le concessionarie. I tempi per l'aggiudicazione di nuovi appalti saranno necessariamente molto lunghi, rallentando la realizzazione di tratte fondamentali quali per esempio la Milano-Genova e la Milano-Verona-Padova.
La verità è che questo Governo non è un grado di realizzare nessuna delle grandi opere che servono ad ammodernare il nostro paese. Anzi, l'unico risultato certo è proprio il blocco delle più importanti opere, come il ponte sullo stretto di Messina, che è stato un danno irreparabile per l'economia di tutto il sud, e non solo della Calabria e della Sicilia.
I continui ricatti dei Verdi e della sinistra radicale non consentono a questo Governo di decidere su niente e sulle grandi opere in modo particolare. Del resto, basta assistere, in questi giorni, a ciò che sta succedendo sui Dico e sulle pensioni.
Infine, gli articoli 13 e 14, come ho già detto in precedenza, non sono corrispondenti al titolo; il primo si occupa di smantellare la riforma Moratti, sicuramente un'ottima riforma, prevedendo disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale e di agevolazioni fiscali per le donazioni a favore di studi scolastici che modificano la precedente riforma; il secondo interviene sulla disciplina dei contributi e degli incentivi per la rottamazione dei veicoli (non so quanto ciò possa entrare in questo decreto-legge).
In conclusione, il provvedimento, contenendo norme che per la maggior parte non presentano i requisiti di necessità ed urgenza previsti dall'articolo 77 della Costituzione per l'emanazione dei decreti-legge, ha, dunque, un carattere di mera propaganda, poiché gli effetti positivi saranno minimi e molto dilazionati nel tempo.
Se veramente questo Governo vuole parlare di liberalizzazioni, Forza Italia, sicuramente, è pronta al confronto, ma ad un confronto vero; invece, se dobbiamo fare altre cose, come raggirare i cittadini - quello che, sicuramente, succederà con gran parte delle norme contenute in questo provvedimento -, sicuramente Forza Italia e il centrodestra non ci staranno (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Grimoldi. Ne ha facoltà.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, è singolare che un Governo, che stabilisce il tetto dei movimenti di cassa a 100 euro, obbligando chi deve ricevere una prestazione per una cura a possedere una carta di credito e a sostenere le relative spese, si metta a parlare di liberalizzazioni in uno dei suoi provvedimenti.
È altrettanto singolare che una maggioranza, che elabora provvedimenti nei quali si ripristina la dichiarazione dell'anagrafico dei clienti e dei fornitori per le aziende - cosa che non vige neanche a Cuba -, utilizzi in taluni suoi provvedimenti la parola «liberalizzazioni».
È singolare, altresì, che una maggioranza, che prevede il pagamento dell'IVA sul fatturato e non sull'incassato, come succede nel resto dei paesi europei, preveda il reato penale qualora una piccola impresa emetta una fattura ad un proprio cliente che fallisce o non dispone della liquidità per pagare l'insoluto; dunque, si prevedono provvedimenti di carattere penale nei confronti di chi ha emesso una semplice fattura.
Eppure avete il coraggio di definire i vostri provvedimenti liberalizzazioni. Non credo che le liberalizzazioni abbiano lo scopo di creare una distinzione tra parrucchieri, in modo che si facciano una concorrenza sfrenata, obbligandoli ad Pag. 40aprire anche il lunedì (come se costringere i parrucchieri ad aprire il lunedì ci facesse ricrescere i capelli più rapidamente). Non credo che queste siano le vere liberalizzazioni.
Ciò che fa specie è come possa parlare di liberalizzazioni una maggioranza come questa - che, di fatto, com'è tradizione storica della sinistra (quindi, una maggioranza sicuramente statalista), nei provvedimenti finora adottati, sicuramente, ha aumentato la burocrazia, i balzelli, gli impegni, per i liberi professionisti, per le categorie produttive e per le piccole e medie imprese.
Le vere liberalizzazioni sono altre e non sono quelle che portano a creare uno scontro tra le categorie più umili, produttive, ma sicuramente umili. Chi, all'inizio degli anni novanta, denunciava che la vera sinistra stava con il grande capitale, con grandi imprese e la grande finanza, evidentemente, aveva ragione. Ce ne accorgiamo soltanto adesso, dopo circa quindici anni, che la sinistra sta con il grande capitale - lo vediamo alla prova dei fatti con tutti i provvedimenti che state varando - e crea finte liberalizzazioni tra piccole categorie: estetisti, parrucchieri, piccoli commercianti.
Sicuramente, a livello mediatico, quello che fa più impatto sulla popolazione sono le cosiddette ricariche telefoniche, a proposito delle quali rammento che presso la Commissione competente la Lega ha chiesto alla maggioranza se attraverso l'abolizione delle ricariche telefoniche vi sarebbero stati minori introiti nelle casse dello Stato. La risposta del rappresentante del Governo è stata che non vi sarà alcun minore introito presso le casse dello Stato perché tanto le compagnie telefoniche rimoduleranno le tariffe, aumentandole, e di conseguenza l'introito per lo Stato sarà assolutamente il medesimo.
Come si può dunque dire che queste sono liberalizzazioni? Le vere liberalizzazioni, secondo noi, ad esempio nel caso specifico della telefonia, sarebbero quelle di togliere - come peraltro la Lega ha già fatto presente - la tassa di concessione governativa: questa sì che è un balzello, che crea una problematica a chi usufruisce delle telecomunicazioni! È ovvio che la risposta è che vi sono problemi di bilancio: la tassa di concessione governativa è rappresentata da circa 770 milioni di euro di introiti e la risposta è che si creerebbero problemi di bilancio.
I problemi di bilancio però fa specie constatare che questa maggioranza non li ravvisi quando si tratti di finanziare lo smaltimento dei rifiuti in Campania, regione assolutamente inadempiente con i propri obblighi in materia, e trovi poi 2,3 miliardi di euro per i buchi della sanità per la regione Lazio, imponendo invece ai cittadini lombardi, e padani in generale, il pagamento del ticket quando vanno ad usufruire dei servizi sanitari.
I soldi ci sono quando fa comodo, magari per ripianare il bilancio di regioni amministrate dal centrosinistra o che hanno buchi di bilancio, tuttavia i soldi non ci sono quando invece si potrebbe parlare di vere liberalizzazioni, come lo è ad esempio l'abolizione della tassa di concessione governativa.
E poi, ancora, per quanto riguarda la liberalizzazione relativa ai benzinai, che non devono più rispettare una distanza minima, si tratta di un provvedimento che va inevitabilmente a favorire la grande distribuzione (chi è organizzato, chi ha grandi capitali, chi può vendere i carburanti a prezzi più competitivi non avendo un distributore gestito a conduzione familiare) e costituisce un problema, non soltanto di carattere economico, per chi ha gestito fino ad oggi una piccola attività (nel caso specifico quella della erogazione dei carburanti), ma anche di carattere sociale. Si immagini, nei mesi invernali in montagna, quando le condizioni meteorologiche non permettono lo spostamento in auto, quando vi è qualche metro di neve, cosa significhi penalizzare questi distributori di carburante? Significherà penalizzare a loro volta le popolazioni che risiedono nelle zone di montagna, che saranno inevitabilmente obbligate a spostarsi per rifornirsi di carburante, o, peggio ancora, qualora non potessero spostarsi, rischiare di lasciarle del tutto senza carburante perché il benzinaio locale sarà stato coPag. 41stretto a chiudere a causa della concorrenza sfrenata delle grandi catene di distribuzione (che, magari, favoriscono proprio le cooperative).
E poi ancora, riguardo ad una questione che ha un risvolto ancora più drammatico, voi penalizzate, tra le altre cose, i centri di formazione professionale regionali. Su questa misura vorrei svolgere un paio di considerazioni. La prima è che, quanto meno, si sarebbe potuto avere il buongusto, attraverso la Conferenza Stato-regioni, di sentire che cosa pensassero le regioni dell'argomento, visto che i centri di formazione professionale sono di competenza regionale. La seconda considerazione riguarda il fatto che tutti, anche in quest'aula, si riempiono la bocca di chiacchiere sul federalismo (tutti, da decenni, sono grandi fautori del federalismo, però chissà perché questo non è ancora realtà), eppure quando si tratta di fare anche solo finta di applicarlo con un minimo di buona creanza, chiedendo alle regioni che cosa ne pensino dell'argomento, inspiegabilmente si dimenticano di farlo, all'insegna del più becero centralismo.
Per quanto riguarda le liberalizzazioni riguardanti l'istruzione, mi permetto di sottolineare che una vera liberalizzazione, ad esempio, è l'abolizione del valore legale del titolo di studio, come avviene nei paesi più sviluppati, che creano una concorrenza anche tra singoli atenei, nella preparazione degli studenti, migliorando così il comparto universitario. Peraltro, va dato atto che anche qualche ministro della maggioranza ha esternato sui giornali analoghe osservazioni. Chissà perché questa vera liberalizzazione, di cui si parla da anni e che è condivisa anche da parte della vostra maggioranza, non è però contemplata in questo decreto-legge. Evidentemente, proprio perché si tratta di un decreto-legge che di liberalizzazione ha veramente poco o niente.
Vorrei accennare poi alla questione relativa alle autoscuole. Non ci si può svegliare una mattina e mettere in piedi un'autoscuola! Si tratta di un ambito sicuramente delicato e particolare. In questi giorni, si sente discutere di quelli che possono essere i provvedimenti per garantire maggior sicurezza stradale. Ognuno ha diverse opinioni e differenti sensibilità, ma non credo che liberalizzare il settore delle autoscuole possa andare nella direzione di garantire maggior sicurezza stradale. Non vorremmo, poi, che chi arriva nel nostro paese, magari senza conoscere la nostra lingua, figuriamoci il codice della strada, possa conseguire facili patenti, senza avere un minimo di preparazione e di garanzia, in modo da evitare il ripetersi di fatti di cronaca, accaduti negli scorsi anni, dove persone con patenti facili percorrevano le nostre tangenziali contromano, determinando eventi drammatici.
Avete poi tolto la penale per estinguere i mutui. Peccato che, anche qui, si parli soltanto dei nuovi mutui e non dei mutui in essere! La stragrande maggioranza, circa il 70-80 per cento della popolazione del nostro paese ha contratto dei mutui ed è ovvio che, se si vogliono fare delle liberalizzazioni in tale settore, si devono andare a toccare anche i mutui in essere.
La filosofia che denota questo provvedimento è quella di cercare di colpire i piccoli artigiani, i piccoli commercianti e le piccole attività, magari per farle diventare dipendenti delle grandi catene di distribuzione. Un po' come è avvenuto nel primo decreto-legge Bersani sulle cosiddette (ma non vere) liberalizzazioni, dove chi aveva magari una piccola attività commerciale, come il farmacista in un paese, a causa della sfrenata concorrenza delle grandi catene di distribuzione che possono applicare prezzi molto più bassi ed avere ammortamenti più facili sui costi di gestione, oggi non l'ha più e magari è dipendente o commesso nella grande catena di distribuzione, il più delle volte, (come a voi fa piacere che sia) nelle cooperative rosse.
Crediamo che le liberalizzazioni vere siano altra cosa, ovvero siano innanzitutto la possibilità di modernizzare e cambiare i grandi carrozzoni di Stato, eliminare burocrazia e non creare una concorrenza tra poveri o, comunque, tra piccoli soggetti. Se si deve colpire qualcosa, bisogna colpire il grande capitale, la grande nomenklatura Pag. 42e non le piccole attività commerciali ed artigianali o le piccole imprese che, tengo a ricordarlo, concentrate al Centro-Nord e in Padania, sono la colonna portante del nostro paese e della sua economia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Presidente, colleghi, illustre rappresentante del Governo, è sinceramente misterioso il provvedimento che ci troviamo ad affrontare, così come del resto - e in tanti la pensiamo allo stesso modo - ritengo assolutamente misteriosa la ragione per la quale il Governo Prodi, piuttosto che affrontare i nodi nevralgici del nostro sistema paese, si avventuri in provvedimenti che non si capisce bene quali risultati potranno mai raggiungere per l'Italia e per i cittadini, anche quando pomposamente vengono intitolati alla tutela dei consumatori.
È misterioso perché tutti quanti, al di là delle parti che recitiamo in quest'aula, quando tra noi ci si incontra nelle Commissioni, nel Transatlantico, nei corridoi, manifestiamo tutta intera la nostra perplessità in ordine a gran parte dei provvedimenti, che poi giungono in Assemblea per essere convertiti in legge, come nel caso di questo decreto-legge. Sono perplessità trasversali, che vanno al di là della destra e della sinistra e che si giustificano con l'improbabilità di vedere anche soltanto avvicinati i risultati dichiarati da Bersani e dai suoi sostenitori più accaniti.
Certo, a ben vedere, queste evidenze si manifestano oggi perché qualche decennio è trascorso dagli anni Settanta, dallo scontro civile, dalla cosiddetta lotta di classe, quando questa infervorava gli animi e magari offriva qualche cattivo servigio ai destini del nostro popolo. Sono passati decenni, ma la memoria può farci compagnia nel tentativo di approfondire le ragioni imperscrutabili per le quali un ministro che rappresenta il punto di cerniera con Confindustria, ancorché proveniente dal Partito comunista italiano, possa letteralmente inventare delle norme così sconclusionate e così poco efficaci. All'epoca era evidente - è una parola ricorrente in questo Parlamento e anche io la voglio usare, anzi abusarne - uno scontro apparente tra un certo proletariato, un mondo che stava alla soglia della povertà o confinante con questa soglia, e un mondo ricco, il capitalismo nostrano, rappresentato da tante grandi aziende che sono diventate poi, con l'aiuto dello Stato, dei veri e propri monopoli economici, in Italia e talvolta anche oltre i confini nazionali. Da un lato, si manifestavano gli scontri davanti alle fabbriche, gli scioperi, le stagioni di intolleranza, di odio e, per carità, anche di confronto, con tentativi di giungere a una qualche determinazione migliore rispetto alle conquiste sociali che già si conoscevano; ma insieme a questo scontro vi era una evidente capacità da parte del sistema di rigenerarsi e vi era un punto di contatto tra quei movimenti, quelle proteste organizzate e quella triplice sindacale, che monopolizzava la rappresentazione degli interessi dei lavoratori e i grandi potentati, appunto la parte peggiore, il vertice di Confindustria.
Ho voluto fare questo passaggio veloce, rammentando un pezzo della storia del nostro paese in poche frasi, solo per sforzarmi di comprendere in presa diretta quale possa essere oggi la ragione di questo mutamento di scenario.
Vedo ancora oggi la conferma di questo scenario: da un lato, la sinistra cerca di sollevare - non voglio dire di sobillare - alcuni interessi deboli e diffusi; dall'altro, gioca allo scavalco, rilancia e chiude accordi con i poteri forti. È incredibile a dirsi, ma è una storia che oggi noi guardiamo clamorosamente con distacco dalla prospettiva di Alleanza Nazionale e non solo da quella del centrodestra, vale dire da una prospettiva di una destra sociale e popolare, radicata in modo interclassista in tutte le fasce sociali, quindi, presente anche in quelle aree fin qui testimoniate e raccontate.
È incredibile che oggi la sinistra, in quest'epoca di seconda Repubblica, in cui ha la possibilità di manifestarsi attraverso Pag. 43un Presidente del Consiglio ed alcuni ministri targati e marchiati profondamente a sinistra, non voglia o non sappia - ma penso che sia più un problema volontà che di incapacità - affrontare il nodo del rapporto di questa nostra nazione con i poteri forti. È incredibile che si abbia il coraggio - direi proprio la sfrontatezza - di affrontare per la seconda volta, attraverso un decreto, il meccanismo delle cosiddette liberalizzazioni per partorire il topolino, anche se in modo pomposo e inopportuno denominato «lenzuolata».
È incredibile - lo ripeto: incredibile - che la sinistra, dopo aver navigato lungamente sui marosi della lotta di classe, una volta arrivata al potere e quindi nelle condizioni di gestire e indirizzare i poteri economici lungo la linea di rotta degli interessi della collettività, letteralmente si genufletta, impedisca i processi di vera liberalizzazione e aggredisca delle categorie, che sono da un punto di vista sociale molto vicine a quel proletariato, che forse si ha la presunzione ancora oggi di difendere ed interpretare.
Può mai una liberalizzazione passare per i provvedimenti assurdi, che hanno già colpito i panificatori e hanno tentato di colpire - ed in parte hanno colpito - i tassisti e che oggi colpiscono i parrucchieri piuttosto che i gestori di autoscuole e le guide turistiche? Siete senza vergogna, perché a tutto c'è un limite!
Penso che, quando si vuole attivare un processo riformatore di un certo livello, bisogna cominciare dalla testa e non dalla coda. Si potrebbe forse anche giungere alle categorie or ora menzionate, ma non si può cominciare da queste, perché questo in gergo sanitario potrebbe essere definito come accanimento terapeutico nei confronti di un ceto medio o - se preferite - di un ceto prevalentemente medio-basso, che ha già difficoltà evidenti e che voi state colpendo forse per un'altra ragione, anch'essa di origine culturale. I vostri noti strabismi politici non vi fanno vedere quelle ragioni culturali, che ho già menzionato e che vedono e prevedono, in questa parte di mondo organizzato nella prospettiva del lavoro, un mondo libero ed autonomo, non sindacalizzabile, che non può conoscere - e non conoscerà - logiche di intruppamento e non sarà fedele a nessuno poiché non dipenderà - come non dipende - da particolari clientele. Mi riferisco ad un mondo che combatte, come Davide contro il gigante Golia, contro i poteri forti e contro la logica dei monopoli a cui voi, Presidente del Consiglio - che è assente - Governo e colleghi della maggioranza volete propinare una logica monopolistica in molte circostanze.
Potremmo citare - e lo faremo diffusamente, quando sarà il momento di affrontare i singoli emendamenti - il comma 4 dell'articolo 10, vale a dire la grande trappola che investe - pensate un po', pensate un po'! - le guide turistiche. Un grande monopolio! Il capitalismo, i poteri forti, i potentati economici si manifestano notoriamente attraverso le piccole guide turistiche, diffuse sul territorio, che stanno lì, cercando di mettere insieme il pranzo con la cena, accogliendo turisti provenienti da tutto il mondo, tentando di promuovere il prodotto italiano, l'identità italiana, la memoria italiana. Ebbene, queste guide turistiche vengono inserite nel decreto-legge al nostro esame probabilmente per favorire qualcun altro: Pierreci o piuttosto Zetema, Civita o le centinaia e centinaia di grandi organizzazioni, che detengono l'autentica egemonia del prodotto culturale italiano e cercano di accaparrarsi - come è già accaduto in molti comuni italiani - la gestione di questo enorme patrimonio, che invece dovrebbe essere il più possibile centellinato, distribuito, messo nelle condizioni anche culturali, oltre che economiche, di sopravvivere alle stagioni di riorganizzazione del sistema.
Penso che questo provvedimento, in buona sostanza, sia patetico. Cari colleghi, lo è davvero. Non è la prima volta che lo diciamo. Anche i colleghi della maggioranza, quando sono stati opposizione, lo hanno rimproverato a noi. Noi ci siamo sforzati - in alcune circostanze abbiamo ottenuto qualche risultato: avremmo potuto far meglio, ci mancherebbe altro - di fare comunque grandi riforme, in quanto Pag. 44tali giustamente criticate dall'opposizione, dal mondo del lavoro, dalle categorie produttive, dal sindacato o dai sindacati, persino dal nostro sindacato. Abbiamo affrontato a viso aperto la stagione delle contrapposizioni sociali, quando siamo stati Governo, ma - vivaddio - valeva la pena di confrontarsi su quelle grandi riforme anche scontrandosi perché scuole di pensiero distinte e separate trovavano evidentemente in quelle riforme ragioni di confronto profonde, che forse sono riuscite persino a far crescere il livello del confronto tra maggioranza ed opposizione.
Oggi invece ci troviamo qui per l'ennesima volta - e non è un caso, non è un inciampo - a discutere di provvedimenti minimalistici, che non intaccano di una virgola il sistema. E ci viene il sospetto che siano figli della debolezza di questo Governo. È questo il punto.
Cari colleghi, «fuori registrazione» tutti quanti noi abbiamo potuto ascoltare da molti degli esponenti della sinistra - non solo di quella massimalista, ma anche del centro e del centrosinistra - giudizi critici verso la scelta, all'epoca, del candidato alla Presidenza del Consiglio, Romano Prodi. E discutendo del più e del meno, chi aveva il desiderio di essere sincero con se stesso diceva: «In questa situazione, in questo contesto storico la nostra coalizione può reggersi soltanto se individua comunque un candidato alla Presidenza del Consiglio - in caso di vittoria, un futuro Presidente del Consiglio - debole, debole, un minimo comune denominatore».
Il problema evidentemente è che un Presidente del Consiglio debole, un minimo comune denominatore, non è nelle condizioni di portare il paese al cospetto delle sfide di scenario, delle grandi prospettive che sono di fronte a noi e che l'Italia deve - in quanto dovere storico - affrontare con un capo e una coda, con una coerenza, con un bagaglio culturale di riferimento che possa impedire di fare scivoloni all'indietro, veri e propri capitomboli. Quando un Governo e un Presidente del Consiglio deboli affrontano il grande tema delle liberalizzazioni, non possono che portare all'ordine del giorno delle commissioni competenti - purtroppo soltanto una, perché le commissioni competenti non sono state interpellate - e dell'Assemblea provvedimenti che colpiscono parrucchieri, autoscuole, guide turistiche e panificatori.
PRESIDENTE. Deputato Rampelli, deve concludere.
FABIO RAMPELLI. In conclusione, penso che questo biglietto da visita si commenti da sé.
Vorrei fare un'ultima considerazione...
PRESIDENTE. Deputato Rampelli, deve concludere.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, credo che la campanella segnali un altro minuto a disposizione. Quindi, mi sto avviando a concludere.
PRESIDENTE. In realtà, segnalava la fine del tempo a disposizione.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, allora concludo. Un altro motivo di assoluto contrasto, che per noi rappresenta una vera e propria inaccettabile discriminazione sociale, è l'assoluta volontà da parte del Governo di non considerare alcune categorie, sebbene esse siano capaci di organizzarsi. Lascio la possibilità di sviluppare tale concetto ad altri esponenti di Alleanza Nazionale o dei gruppi della Casa delle libertà, che prenderanno la parola dopo di me. Non è possibile concertare soltanto con chi volete voi. O la concertazione, il confronto ed il dialogo sono princìpi indissolubili, oppure essi diventano una coperta con cui si copre soltanto la parte dove si ha freddo. Ritengo che questo sia iniquo, ingiusto e, in quanto tale, intollerabile (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Tomaselli. Ne ha facoltà.
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SALVATORE TOMASELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nei giorni scorsi nel nostro paese è stato presentato l'Index of Economic Freedom 2007, la classifica annuale delle libertà economiche elaborata dall'Heritage Foundation di Washington e dal Wall Street Journal. Nelle libertà economiche l'Italia è sessantesima; su 157 paesi del mondo presi in esame, il nostro paese si situa tra Perù, Bulgaria e Madagascar, che hanno un punteggio di poco inferiore, e Namibia, Belize, Slovenia e Kuwait, che sono più liberi del nostro paese. Con tutto il rispetto per queste nazioni, credo che questa sia una fotografia della transizione che il nostro paese ancora non ha completato e della necessità di intraprendere con maggiore urgenza e velocità la strada delle riforme.
Il provvedimento in esame, accanto a quello del giugno 2006, denota un'idea coerente e una politica che prende corpo con l'obiettivo di rendere più facile la vita ai cittadini, siano essi consumatori, utenti o imprenditori. Si tratta cioè di eliminare le incrostazioni che per troppo tempo hanno bloccato la crescita del paese, le rendite corporative che sono state e sono tuttora un freno allo sviluppo dell'Italia. Si tratta di rimettere al centro delle politiche pubbliche il cittadino consumatore, ovvero di declinare con parole nuove ed attuali la centralità del cittadino nelle politiche del paese, politiche che l'Italia non ha mai conosciuto.
I provvedimenti in esame hanno contribuito alla crescita ed al rilancio dell'economia del nostro paese, che in queste settimane già si possono misurare, ad abbassare i costi per le famiglie e per le imprese, ad accentuare i criteri ed i requisiti di concorrenza e trasparenza del nostro sistema produttivo ed industriale. Credo che il nostro paese sia colpevolmente in ritardo, visto che le numerose segnalazioni delle authority degli anni passati, alla base del provvedimento che oggi discutiamo, sono state vieppiù inviate, ma spesso sono rimaste lettera morta. I provvedimenti e gli interventi delle Autorità hanno riguardato la telefonia mobile, il trasporto aereo, le assicurazioni, la distribuzione dei carburanti, gli agenti di commercio, le autoscuole, gli appalti della TAV ed esse sono alla base anche del presente provvedimento.
Ecco perché mi paiono davvero risibili le polemiche che in questi giorni, anche in quest'aula e fuori di qui, sono suonate stonate nel sostenere che questo Governo ed il centrosinistra sono forti con i deboli e deboli con i forti. Mi sembra davvero risibile non ammettere che, quando si colpiscono nelle loro rendite e nelle distorsioni non certo i parrucchieri, le autoscuole o le guide turistiche, bensì le banche, le assicurazione, le grandi corporazioni professionali, un sistema così complesso come quello dei gestori di telefonia mobile, si colpiscono davvero incrostazioni ed anche poteri forti del nostro Paese.
Proprio in materia di telefonia mobile è stata dettata la disposizione che, forse, più ha fatto discutere in queste settimane: quella che riguarda il divieto della previsione di termini temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato. Non c'è soltanto questo. Il provvedimento introduce maggiore trasparenza nelle voci di costo e garanzie per i cittadini consumatori sul piano contrattuale. Tale disciplina fa seguito ad un'apposita indagine effettuata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alle proteste di centinaia di migliaia di utenti, i quali hanno manifestato la loro contrarietà al balzello in parola (essi si sono costituiti in movimento organizzato), e ad un intervento esplicito in tal senso della Commissione europea, la quale ha sanzionato la specificità del nostro paese.
Nei documenti redatti dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni all'esito della suddetta indagine si legge che tale costo favoriva la collusione tra imprese: poiché una parte del prezzo era fissata indipendentemente dai piani tariffari, si riducevano le garanzie di trasparenza e di concorrenza per gli utenti consumatori. Intervenendo su questo aspetto e sulla parte contrattuale, il provvedimento in esame amplia le garanzie a favore dei consumatori. Si tratta di un provvedimento iniziale in tale direzione, ma altri Pag. 46dovranno venire in seguito. Vanno in questo senso le indicazioni che il relatore, onorevole Lulli, ha già proposto all'attenzione dell'Assemblea con riferimento agli appuntamenti che, nei prossimi mesi, potranno vedere impegnati Parlamento e Governo intorno al tema dell'abolizione dello scatto alla risposta e della tassa di concessione governativa.
Al di là delle singole disposizioni in materia di costi, prezzi e servizi forniti, sono da porre in risalto gli aspetti più generali che caratterizzano il provvedimento in esame. Mi riferisco ai temi della trasparenza, dei diritti dei consumatori, della concorrenza tra imprese, che in Commissione abbiamo inteso allargare estendendo l'eliminazione dei costi di ricarica ai servizi Internet ed alla TV digitale terrestre.
Vorrei rivolgermi ai colleghi del centrodestra in maniera molto serena e senza spirito polemico, per dire loro che le precedenti polemiche appaiono risibili. Davvero non capisco come si possa criticare il provvedimento e chiederne ampliamenti e, nel contempo, chiedere, mediante emendamenti che sono stati presentati e respinti in Commissione, di dilazionare nel tempo l'abolizione dei costi di ricarica o di rinunciare all'estensione della previsione ai servizi Internet ed alla TV digitale terrestre!
Quindi, il provvedimento in esame va nella direzione di allargare la tutela della concorrenza e le garanzie per i consumatori. Seguiranno altri provvedimenti in materia di assicurazioni, di borsa del gas, di trasparenza dei prezzi del sistema bancario (ricordo che, nel nostro paese, il costo medio di un conto corrente è di 182 euro, a fronte di 35 euro in Olanda, di 65 euro in Belgio ed in Gran Bretagna e di meno di 100 euro in Germania).
Ricordo, altresì, che il decreto-legge in esame contiene anche un provvedimento relativo all'apertura delle imprese e che, secondo un'indagine della Banca mondiale, in Italia occorrono più di 60 giorni per aprire un'azienda, mentre in Francia ne bastano 50 ed in Germania 45.
Capite bene, quindi, colleghi, che non si tratta di misure singole od estemporanee, ma di un intervento mediante il quale questo Governo e la maggioranza di centrosinistra intendono rispondere ad aspettative importanti. Non ci sfugge la parzialità dei provvedimenti, al di là dei termini politici utilizzati, in quest'aula e fuori da essa, per misurarne la ricaduta sul paese. Molto vi è ancora da fare, ma bisogna dare atto al Governo Prodi di avere presentato al Parlamento, in pochi mesi, numerosi ed importanti disegni di legge concernenti il tema delle liberalizzazioni. In altre parole, le proposte del Governo non riguardano soltanto le ricariche, le banche e le assicurazioni, ma molto altro. Intanto, da qui parte l'iniziativa del Governo e della maggioranza di centrosinistra, dopo anni di totale assenza di interventi in materia del Governo di centrodestra.
A tale proposito, desidero ricordare ciò che è già presente in Parlamento come iniziativa del Governo. Mi riferisco ai disegni di legge che riguardano l'energia, la riforma della gestione del gas, il riordino dei servizi pubblici, l'azione risarcitoria collettiva (class action), la riforma delle professioni, la riforma delle autorità di vigilanza e di garanzia. Si tratta di provvedimenti importanti, il cui esame forse, dal punto di vista delle aspettative del paese, ancora si sta ritardando, spesso più a causa di rallentamenti nell'attività del Parlamento o dei ritmi dell'iter parlamentare che per ragioni politiche di natura diversa.
Non a caso è stata proposta - e, forse, troppo repentinamente messa da parte - una sessione parlamentare dedicata al tema delle liberalizzazioni e delle riforme del paese. Ma questa è la sfida e su questa sfida il gruppo parlamentare dell'Ulivo è impegnato a sostenere le scelte del Governo per trasformare il paese, rilanciarne la crescita, allargare le opportunità per i nostri giovani, accentuare la trasparenza e la concorrenza nel nostro sistema di imprese; si tratta di obiettivi centrali per rilanciare la crescita dell'Italia e lo sviluppo delle giovani generazioni (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Verro. Ne ha facoltà.
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Signor Presidente, provvederò ad articolare il mio intervento con due premesse di carattere generale, per passare poi all'illustrazione delle motivazioni che hanno ispirato i miei emendamenti sull'articolo 12.
La Commissione bilancio si è limitata a prendere in considerazione soltanto gli effetti diretti delle norme che hanno implicazione sui saldi della finanza pubblica. Stranamente, invece, non ha preso in considerazione gli effetti indiretti, consistenti nelle variazioni di gettito tributario conseguenti a possibili - a mio modo di vedere, sicure - modifiche dei livelli di redditività dei settori interessati.
Ancora, va osservato che il provvedimento, negli articoli 6, 9 e 11, contiene disposizioni i cui effetti finali sono destinati a prodursi in un momento differito rispetto all'entrata in vigore del decreto-legge. Questo suscita forti perplessità, soprattutto in ordine alla rispondenza al requisito dell'immediata applicabilità delle misure disposte nei decreti-legge; elemento che, com'è noto, è previsto dalla legge n. 400 del 1988.
A mio modo di vedere, l'articolo 12 parte da presupposti completamente errati, addirittura da pregiudizi. Si tratta di un articolo che costituisce un mostro, sia politico, sia giuridico.
Il ministro Bersani ha revocato tutti gli affidamenti per la realizzazione dell'alta velocità, figlia, a suo dire, di un marchingegno inventato nel 1991 dal Governo Andreotti, che avrebbe fatto lievitare i costi. Bisognerebbe ricordare al ministro Bersani, innanzitutto, che l'alta velocità fu decisa quando Amato era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Quanto ai costi, il ministro Bersani dovrebbe chiedere informazioni al Presidente Prodi che, in qualità di Presidente dell'IRI all'epoca dei fatti, nei primi quattro anni di quei contratti guidava ben due consorzi su sei. Quindi, probabilmente, è abbastanza informato sulla lievitazione dei costi!
Sempre con riferimento ai costi, il ministro Bersani dovrebbe chiedere informazioni alla TAV Spa., che nel 1998 divenne pubblica e quindi sotto la piena responsabilità di vigilanza da parte delle Ferrovie e del Ministero dei trasporti, all'epoca retti prima da Burlando e poi dallo stesso Bersani. A distanza di quattordici anni, una cosa comunque è chiara: l'alta velocità in Italia è un miraggio e ciò, purtroppo, comporterà sempre maggiore emarginazione per il nostro paese.
Dicevo che l'articolo 12 è anche un mostro giuridico; infatti, per quanto riguarda la revoca di queste concessioni, vorrei osservare che quelli revocati sono atti amministrativi e che l'istituto della revoca - che, di solito, è pronunciata dal medesimo organo che ha emesso l'atto revocato - si applica ogni qual volta la pubblica amministrazione riscontri un mutamento della situazione di fatto ovvero valuti l'esistenza di sopravvenuti motivi di pubblico interesse che ostino al permanere dell'atto.
Appare quindi quanto meno singolare una revoca disposta dal legislatore e non dall'autorità amministrativa e suscita perplessità che sia il legislatore e non l'autorità amministrativa a valutare il mutamento del pubblico interesse che giustificherebbe tale revoca.
Presidente, qui si tratta di sensibilità giuridica e politica, al fine di evitare conflitti di attribuzione e sconfinamenti del potere legislativo in quello esecutivo. Presidente, lei me lo può insegnare, la commistione dei poteri era una caratteristica dei regimi autoritari e la loro rigorosa divisione è prerogativa degli ordinamenti democratici.
Quanto agli effetti della revoca, vorrei far osservare che, per il principio di certezza e di affidabilità degli atti giuridici (principio che caratterizza anch'esso la civiltà giuridica del nostro paese), la revoca di un provvedimento amministrativo determina, automaticamente, l'inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti, ma restano salvi quelli già prodotti. Se tale revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente Pag. 48interessati, allora l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo: ciò recita la legge 7 agosto 1990, n. 241.
Ne consegue che la revoca, provvedimento di eccezionale gravità, comporta il ristoro patrimoniale dei soggetti incisi, sia pure sotto forma di indennizzo, il quale rappresenta un ristoro parziale rispetto al risarcimento, che ha una natura ripristinatoria totale.
Così era sino a ieri, e ciò in linea con la civiltà del nostro ordinamento e con i principi costituzionali. Da oggi, tuttavia, non è più così, poiché il comma 4 dell'articolo 12 del decreto-legge in esame limita drasticamente l'entità dell'indennizzo dovuto, fino quasi ad azzerarla. Ciò perché viene aggiunto, all'articolo 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, un comma che recita sostanzialmente così: «Ove la revoca di un atto amministrativo (...) incida sui rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato (...) è parametrato al solo danno emergente (...)».
La prima osservazione, Presidente, è relativa all'esclusione dall'indennizzo del lucro cessante, vale a dire del guadagno prevedibile con il completamento del rapporto. Si tenga conto che nei lavori pubblici, e sin da epoca non sospetta, si è sempre stimato un guadagno del 10 per cento (ciò è previsto dalla legge), percentuale che viene attribuita in occasione del recesso anticipato, da parte della committente, per compensare gli investimenti effettuati dal contraente che, da un momento all'altro, si vede revocata la commessa.
Bisogna tener conto, inoltre, che il ristoro del danno emergente consiste nella pura e semplice rifusione delle spese effettuate, le quali, quindi, non producono alcun reddito o utile; anzi, se si considera l'inflazione, la mera rifusione delle spese concretizza una perdita per l'appaltatore, senza tener conto dei contratti che non ha sottoscritto, perché già impegnato in quello successivamente revocato.
L'ingiustizia di una simile decurtazione risulta evidente se si considera che, trattandosi di revoca, l'appaltatore non ha alcuna colpa. Si tratta, in questo caso, di un esproprio dissimulato di diritti patrimoniali, il quale viene programmato in termini generali per valere, probabilmente, per tutte le fattispecie.
Tuttavia, la seconda osservazione che, a mio modo di vedere, è ancora più grave è relativa alla ipotizzata decurtazione del già magro indennizzo, tenendo conto dell'eventuale conoscenza - o addirittura conoscibilità -, da parte del soggetto contraente, della contrarietà dell'atto oggetto di revoca all'interesse pubblico. È un mostro giuridico, è un paradosso!
Va detto, innanzitutto, che la revoca comporta una nuova valutazione della conformità dell'atto all'interesse pubblico; il che presuppone che, in origine, tale conformità sussistesse, e non si vede come il privato potesse prevedere che sarebbe potuta venir meno.
In secondo luogo, l'apprezzamento all'interesse pubblico da parte del privato è una contraddizione in termini, poiché tale interesse può esser valutato solo dalla pubblica amministrazione e da nessun altro. In terzo luogo, non viene indicato il soggetto che dovrebbe accertare la conoscenza, da parte del privato, della difformità dell'atto, a meno che non si voglia dire: non poteva non sapere!
In quarto luogo, non viene specificato cosa, invece, dovrebbe fare il privato allorché ritenga che un atto non corrisponda all'interesse pubblico: forse dovrebbe disertare le aste, denunciare gli amministratori o rifiutarsi di sottoscrivere il contratto?
Tutto ciò è particolarmente criticabile, perché modifica la legge n. 241 del 1990, precedentemente citata, la quale, nel panorama della legislazione italiana, è frutto di un raro momento di sensibilità per i diritti generali dei cittadini nei loro rapporti con la pubblica amministrazione.
Vorrei concludere, signor Presidente, rilevando come il decreto-legge in esame debba essere veramente considerato poca cosa. Si tratta, per l'appunto, di una «lenzuolata» tesa a coprire il vero volto - sicuramente non liberale, ma dirigista - della politica di questo paese, il cui culmine è stato raggiunto con la grave invasione Pag. 49della sfera privata dei cittadini prevista dalla legge finanziaria per il 2007 e dai provvedimenti ad essa collegati.
L'obiettivo delle vere liberalizzazioni è, o dovrebbe essere, aumentare la competitività, e quindi il PIL, nonché diminuire prezzi e tariffe a favore dei cittadini-consumatori.
Non mi pare che il precedente decreto abbia prodotto simili effetti e dubito che questo provvedimento sortirà effetti migliori.
Emerge, infine, una linea punitiva, ideologicamente ben delineata, nei confronti di alcune categorie che hanno la sola colpa di non essere considerate amiche di questo Governo, al contrario di quanto avviene nei confronti di altre categorie considerate vicine a questa maggioranza le quali godono, e godranno - sono certo in modo 'assolutamente casuale' - di enormi vantaggi.
Certamente, come osservava giustamente il collega Della Vedova, Bersani non è né Reagan né la Thatcher; tuttavia, Bersani, come tutti noi, sa esattamente quali sono i settori sui quali intervenire per produrre gli effetti benefici cui mi riferivo dianzi. Ma Bersani sa che non si può intervenire al riguardo, perché lo statalismo di Prodi, il suo solido legame con i poteri forti non lo consentono.
Vorrei concludere osservando soltanto che, mentre il Governo varava le sue «annacquate» liberalizzazioni, contestualmente, a Milano, nasceva un mega-fondo di investimento per le infrastrutture - costituito dalla Cassa depositi e prestiti, le due maggiori banche italiane e le maggiori fondazioni, tanto amiche di Prodi -; è nata una nuova IRI, semipubblica, che forse consentirà così a Prodi di pagare, finalmente, il suo debito con il popolo delle primarie (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Filipponio Tatarella. Ne ha facoltà.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Presidente, avverto un qualche imbarazzo - anzi, molto più che un imbarazzo - nel constatare che il presente provvedimento, che dovrebbe avere ad oggetto alcune liberalizzazioni, autofalsifichi, nel suo contenuto, il suo stesso oggetto. In altri termini, di liberalizzazioni non vi è neanche l'ombra!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 17,03).
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Se «liberalizzazione» vuol dire rendere conforme ai principi del liberismo economico, e se «liberismo» indica un sistema economico imperniato sulla libertà del mercato interno e degli scambi internazionali, allora nessuna norma contenuta nel presente provvedimento ricalca questi pur elementari concetti.
Francamente, almeno personalmente, tutto ciò non mi meraviglia; la meraviglia, confesso, è stata in me suscitata solo all'inizio, quando ho appreso che il Governo avrebbe provveduto ad operare talune liberalizzazioni. Ho allora pensato: bene, anche la sinistra si rende conto che è opportuno, se non addirittura necessario, seguire questa via.
Ma la meraviglia è durata l'espace d'un matin; è bastato leggere il testo del decreto-legge per comprendere immediatamente che né lo spirito né la lettera del provvedimento attuavano liberalizzazione alcuna. Certo, forse sono stata un po' ingenua ad averci creduto, almeno all'inizio; forse, ho dimenticato che nessuno può improvvisarsi ciò che non è, e la sinistra non può improvvisarsi seguace del liberalismo, non ancora, non ora, certamente non con questa maggioranza.
Si è osservato che il provvedimento in esame non attua liberalizzazioni, bensì solo regolamentazioni; pone, quindi, regole. Osservo, anzi esclamo: magari! In realtà, questo provvedimento non pone regole: non regola - che è operazione alta - ma pone leggi, che è invece operazione più bassa quando non sia profondamente regolativa, ma si limiti ad essere solo imperativa, come accade in questo caso.Pag. 50
Per mostrare la fondatezza delle mie osservazioni vorrei fare alcuni esempi. Il primo, lo traggo da una mia personale esperienza; di ciò, anzi, mi scuso, ma credo che nulla sia più indicativo di quanto costituisca l'esperienza stessa. Ebbene, abito a Trastevere e recandomi dall'aeroporto a casa ho sempre pagato, in media, 34 euro la corsa di taxi; dopo la cosiddetta liberalizzazione dei tassisti, ne pago 40.
Ho chiesto spiegazioni e mi è stato risposto che vi è una delibera del comune di Roma, successiva al decreto-legge Bersani, in cui si stabilisce che, dall'aeroporto ad una certa zona di Roma, il centro, il prezzo della corsa è sempre di 40 euro, tanto per me che vado a Trastevere, tanto per una signora che vada a via Veneto. Insomma, sono stata penalizzata, ma non a favore di chi abita in una qualche periferia di Roma, bensì a favore di chi abita in una zona centrale, per così dire, ancora più in di quella in cui abito io.
Ho pensato che anche se il provvedimento non era effetto di una qualche liberalizzazione, sarebbe stato effetto di una giustizia non commutativa, ma forse distributiva. Francamente, non ho trovato neanche ciò, se non, come al solito, una giustizia distributiva a danno di chi ha meno.
Porto un altro esempio di pretesa liberalizzazione. Ritengo che si possa, anzi si debba liberalizzare anche, e forse innanzitutto, la cultura. Ebbene, il provvedimento in esame come liberalizza la cultura? Elidendo la connotazione di «liceale» dagli istituti tecnici e professionali, connotazione e denominazione introdotta dalla riforma Moratti. A parte il continuo abuso di mezzi legislativi inadeguati per introdurre riforme operato dall'attuale Governo, ciò che mi scandalizza maggiormente è l'appiattimento verso il basso che la modifica produce. Come noto, la tecnica è un modo di vivere il mondo, dunque carica di contenuti culturali e non può essere declassata a mero tecnicismo. Così, i nostri studenti saranno privi di quelle categorie intellettuali necessarie per interpretare e inserirsi autorevolmente nel mondo che viviamo e, in particolare, nel mondo del lavoro. È un altro esempio lampante del senso di liberalizzazione eseguito dal Governo.
Porto un terzo e ultimo esempio. Con l'articolo 12 si annullano tutti gli affidamenti dei lavori delle imprese. In tal modo si apriranno contenziosi infiniti che, non solo ritarderanno i grandi lavori in corso, ma costeranno centinaia di milioni di euro allo Stato in risarcimento. Vorrei capire cosa rimane del significato proprio di liberalizzazioni in questo caso specifico. Vorrei capire, più in generale, come consumatori, lavoratori, artigiani, piccole imprese, studenti vengano tutelati con questi provvedimenti che non hanno né capo né coda, che non attuano liberalizzazioni, ma più maldestramente attuano disordinati e disomogenei interventi di cui non si sentiva assolutamente il bisogno e, dunque, sono, per questa stessa ragione, inutili e dannosi.
Infine, vorrei capire (in questo caso, la mia curiosità è ancora più grande) come un Governo possa incorrere in errori teorici e pratici così grossolani.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pini. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. Signor Presidente, attendo con ansia la presenza del ministro Bersani in Assemblea, perché vorrei personalmente fargli le mie congratulazioni per l'esercizio di ipocrisia (solo così si può chiamare) dell'emanazione del decreto-legge in esame. Parlo di esercizio di ipocrisia, perché prende in giro i cittadini su una serie di misure.
In primis, quella più decantata e populista, quella che ha fatto maggiore presa, perlomeno all'inizio, quando è stata pubblicizzata, è stata l'abolizione dei costi delle ricariche telefoniche. In precedenza, il collega e amico Paolo Grimoldi ha giustamente citato un episodio avvenuto in Commissione, quando è stato chiesto specificamente al rappresentante del Governo se gli eventuali minori introiti per l'Erario derivanti da questa misura fossero stati in qualche modo quantificati. Candidamente, Pag. 51egli ha risposto che non ci sarebbe stata alcuna riduzione e che gli introiti, sostanzialmente, sarebbero rimasti identici perché, secondo la sua tesi, che corrisponde al nostro pensiero e alla nostra preoccupazione, le compagnie telefoniche avrebbero adeguato le tariffe. Vado oltre le considerazioni svolte dal collega Grimoldi, che mi ha preceduto: secondo me, in questo caso, dietro all'operazione populista finalizzata a gettare fumo negli occhi ai cittadini parlando di liberalizzazioni, quando, in realtà, si tratta di provvedimenti ad hoc per «grattare» ulteriori soldi dalle loro tasche, c'è stata una sorta di accordo, probabilmente, tra le compagnie telefoniche e il Governo. Sappiamo benissimo, infatti, che i costi di ricarica erano certi mentre i costi derivanti degli aumenti, che saranno sicuramente applicati a breve o che, addirittura, in base a quanto mi dicono, sarebbero stati già applicati, per alcuni piani tariffari, non sono quantificabili perché dipendono dal consumo. Non solo il Governo, dunque, sa benissimo di non perdere alcunché quanto alle entrate per l'Erario ma spera, evidentemente, con una finta liberalizzazione di poter introitare ancora di più, a danno dei cittadini. In altri termini, spera di introitare maggiori tasse derivanti dal traffico telefonico, in virtù di un aumento delle tariffe. Questo è il primo esercizio di ipocrisia del Governo.
In secondo luogo, è prevista in questo decreto-legge l'abolizione dei contratti monomandatari tra compagnie assicurative ed agenti di vendita. In tal caso, in scala ridotta e in ambito diverso, siamo di fronte ad una misura simile ad alcune finte liberalizzazioni avvenute in settori libero professionali come quello degli avvocati. In qualche modo, si cerca di livellare verso il basso il profilo professionale degli agenti delle assicurazioni. Se non c'è più il vincolo di mandato con una assicurazione, la stessa compagnia investirà molto meno sull'agente, la cui formazione sarà sicuramente inferiore. Perciò, questi darà agli utenti informazioni sicuramente meno precise e meno puntuali, non solo per quanto riguarda il cosiddetto ramo danni o della RC automobilistica ma anche, probabilmente, per quanto riguarda il cosiddetto ramo vita, e cercherà di vendere polizze rischiose, creando rischi, probabilmente, simili a quelli che hanno caratterizzato i bond argentini o quant'altro. Questa è la nostra preoccupazione. Nel momento in cui non c'è più un collegamento diretto tra chi che vende un prodotto e chi lo propone e nel momento in cui non c'è più un investimento nella qualità, è inutile parlare di liberalizzazione ma è meglio parlare di una deregolamentazione che, come nel caso dei liberi professionisti, può andare a favore di certi sistemi cooperativi di cui, magari, accenneremo in seguito.
Bisogna considerare, poi, il tema della trasferibilità senza oneri dei mutui immobiliari. Benissimo, ottimo! Sicuramente anche noi, sostenendo il precedente Governo, avremmo potuto pensare a questo provvedimento: purtroppo, non ci abbiamo pensato. Ma anche in questo caso c'è un trucco. La misura, populista, è stata sbandierata e tanta gente che, magari, non è contenta della banca che ha erogato il mutuo, perché modifica a sua insaputa i tassi di interesse, e si è rivolta al proprio istituto chiedendo di cambiare. Siccome sappiamo bene, per esperienza, che quando la sinistra effettua operazioni di populismo dietro c'è sempre la fregatura, abbiamo svolto una piccola indagine che mi del permetto di illustrare, per chiarire come mai noi siamo scettici nei confronti di questo decreto-legge, che voi chiamate di liberalizzazioni, ma al quale ritengo debba essere dato un altro nome.
Abbiamo fatto fare una verifica con una serie di banche da alcuni nostri sostenitori, militanti e simpatizzanti, dopo l'emanazione del decreto-legge, chiedendo la trasferibilità del mutuo senza oneri. Sono stati interpellati 32 sportelli di 15 istituti di credito diversi. Presidente, gradirei la sua attenzione, perché si tratta di una questione importante: 13 istituti, ossia l'87 per cento degli istituti di credito interpellati per la trasferibilità dei mutui, in questo momento, si sono rifiutati di trasferire i mutui ad altre banche.Pag. 52
Se vuole conoscere le motivazioni, Presidente, le leggo perché mi sono fatto un piccolo appunto. La prima: siamo in attesa di circolare. Ora, io sono nuovo in quest'aula, ma penso di saper masticare un minimo la legge. Nel momento in cui un decreto-legge viene emanato ed entra in vigore, non c'è bisogno di circolari applicative, soprattutto rispetto agli istituti di credito, affinché sia chiaro che deve essere applicata quella norma.
La seconda motivazione: siamo in attesa di un sistema computerizzato che permetta di comunicare direttamente con il catasto. Questa motivazione si commenta da sola.
La terza motivazione è ancora più grave: questa disposizione entrerà in vigore ad aprile 2007. Tale motivazione rivela anche una grande ignoranza sotto il profilo giuridico da parte degli operatori, se non vogliamo chiamarla malafede.
Dov'è la «fregatura» in questa norma, ossia l'articolo 8 del decreto-legge? Voi avete stabilito una norma che deve essere rispettata, ma non avete previsto nessun tipo di sanzione. Quindi, le banche, se non ci sarà un impegno ulteriore da parte del Governo ad imporre il rispetto di tali norme, se ne fregheranno altamente, come è sempre successo quando vendevano i bond argentini, i bond della Cirio e le azioni della Parmalat: ne abbiamo una lista infinita.
Sarebbe carino avere una risposta da parte del ministro Bersani su questa discrepanza tra quanto viene pomposamente annunciato in televisione e quanto viene verificato quotidianamente dai cittadini, che di questa legge dovrebbero fruire in termini di liberalizzazione.
Quanto alle imprese, abbiamo plaudito il fatto che vi sia una possibilità molto più rapida e snella di aprire le imprese. Noi rappresentiamo il Nord, la Padania, ossia il motore economico di questo paese e sappiamo bene qual è il peso della burocrazia e quali sono le difficoltà nel far nascere e crescere le imprese.
Tuttavia, anche in questo caso è stato fatto un ulteriore esercizio di ipocrisia e di populismo, perché l'apertura di nuove imprese, fatta in maniera così deregolamentata e senza fissare dei paletti minimi (che non vuol dire allungare i tempi, ma avere garanzie minime sulle persone che avviano queste imprese) apre la strada ulteriormente alla presenza nel nostro tessuto economico, commerciale e produttivo delle cosiddette società «cartiere», ossia quelle società costituite soltanto da pezzi di carta, che, in realtà, non esistono e svolgono concorrenza sleale, perché non pagano le tasse, spariscono, non versano l'IVA e spesso e volentieri sono collegate con tante società che fanno importazioni di materie concorrenziali con le nostre produzioni.
Quindi, non solo vi è un danno per l'Erario, ma anche la beffa per chi lavora onestamente, paga le tasse e cerca di mandare avanti questo paese, cioè per i cittadini del Nord e della Padania.
Come dicevo prima, non dovreste chiamare questo provvedimento «liberalizzazione», bensì «cooperalizzazione». Infatti, l'obiettivo finale di questa serie di provvedimenti presentati dal ministro Bersani è chiarissimo: favorire in tutto e per tutto il sistema cooperativo. Modificare i diritti delle società cooperative sarebbe la vera liberalizzazione in questo paese. Lo posso dire con cognizione di causa, visto che mi onoro di rappresentare un territorio, la Romagna, che purtroppo ha una cappa di piombo nella propria economia, cioè il sistema cooperativo. Tale sistema, per esempio, nella grande distribuzione occupa il 67 per cento dell'intera distribuzione dei prodotti alimentari e non, è in grado di captare oltre il 35 per cento dell'intero ammontare dei bandi di gara pubblici nelle costruzioni di infrastrutture, di servizi sociali, di case popolari e di qualsiasi cosa debba essere realizzata, ma rappresenta sul territorio numericamente meno del 5 per cento delle società. Quindi, c'è una discrepanza molto forte, ma anche molto chiara e si spiega solo ed esclusivamente in una maniera: voi dovete favorire questo sistema perché è il vostro supporto non solo politico, ma anche economico, è la vostra primaria fonte di sostentamento. Non sarà sfuggito a nessuno, Pag. 53perché i bilanci sono pubblici, che il presidente della regione Emilia Romagna, Vasco Errani, debba la sua campagna elettorale per il 77 per cento a finanziamenti fatti dal sistema cooperativo, dalla Legacoop.
Quindi, per quanto riguarda l'esercizio di ipocrisia, il populismo e le false liberalizzazioni che state facendo, è bene che la gente sappia cosa c'è dietro: c'è il mantenimento della stampella economica del vostro potere.
Concludo il mio intervento leggendovi poche parole, per dimostrare che quello che sto dicendo non è semplice propaganda, ma un dato di fatto. Qualcuno ha detto: «In Emilia e in Romagna non vi è ente in cui le realtà sociali extrapartitiche concorrano effettivamente alla selezione della classe dirigente delle istituzioni. Non vi è ente in cui i posti nei consigli di amministrazione non siano lottizzati e quasi sempre occupati da persone il cui profilo professionale è stato tracciato dall'esperienza negli apparati di partito o di sindacato». Questo l'ha detto non un esponente del centrodestra e dell'opposizione, ma l'onorevole Castagnetti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Frassinetti. Ne ha facoltà.
PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'introdurre alcune riflessioni su questo decreto-legge, debbo rilevare - come, peraltro, ho già fatto nella discussione che ha preceduto il decreto-legge Bersani di luglio - delle contestazioni dal punto di vista sia formale e procedurale, che politico e sostanziale. Mi riferisco a forma e sostanza, trattandosi di un provvedimento che vede nella disomogeneità uno degli elementi che lo contraddistinguono e vede ancora una volta appaiate insieme diverse tematiche, diversi argomenti e diverse categorie di persone interessate dal provvedimento. Penso che questo sia sicuramente un elemento di grande criticità.
In questo contesto, non posso che soffermarmi su uno dei più palesi e macroscopici elementi di disomogeneità di questo provvedimento, cioè la presenza dell'articolo 13, che riguarda la riforma della scuola, le modifiche alla riforma Moratti e al sistema dell'istruzione. In quest'aula qualcuno ha già posto giustamente il problema - l'onorevole Villetti con un accorato intervento - e si è chiesto come mai all'interno di un provvedimento sulle liberalizzazioni fosse previsto lo smantellamento della riforma Moratti: me lo chiedo anch'io. Anch'io mi chiedo ancora una volta, sempre parlando di forma e di sostanza, come mai la Commissione cultura, preposta a dover trattare questo argomento, sia stata defraudata di questa materia. Si tratta di un grave elemento. Abbiamo fatto notare al presidente della Commissione cultura - che peraltro, in alcuni casi concordava con noi - questo strano iter, questa volontà di defraudare tale Commissione.
Una materia così delicata ed importante viene dunque trattata in maniera separata e viene smantellato, come è stato fatto del resto anche in finanziaria, un pezzo della riforma Moratti, che riguarda elementi fondamentali del nostro sistema educativo. Si cerca di minare il sistema liceale con l'eliminazione del liceo tecnologico, e si cerca di cancellare (o, quantomeno, state tentando di cancellarlo) quel sistema duale, attraverso il quale volevamo dare pari dignità alla formazione e all'istruzione.
È indubbio che il liceo tecnologico fosse un ampliamento dell'offerta formativa, questo non soltanto a detta delle famiglie e degli studenti, ma anche delle autonomie scolastiche, che lo richiedevano. Le richieste di apertura di indirizzi di liceo tecnologico erano sicuramente, e lo sono ancora adesso, tra le più richieste nelle scuole. Era una scuola che coniugava la tecnicità dei laboratori con la cultura generale e quindi costituiva un momento di innovazione. Il sistema di formazione professionale da voi delineato va sicuramente in contrasto non solo con la riforma del Titolo V, non solo cioè con il fatto che era di competenza regionale, ma anche, come dicevo prima, con tutto l'impianto della Pag. 54nostra formazione professionale, che poi vuol dire integrazione nel mondo del lavoro, oltre che modernizzazione ed innovazione per i nostri studenti.
È sicuramente una grande contraddizione in termini vedere delle liberalizzazioni che bloccano il sistema della formazione professionale. E questo è, perché espropriando le regioni si espropria anche quella competenza che con tanta fatica si era costruita (al punto che, in questo momento, le regioni, anche quelle di centrosinistra, si ribellano e contestano questo decreto-legge). E lo si è visto in Commissione cultura, nel corso delle audizioni: un elemento importante, che ci ha fatto capire come, ancora una volta, non ci sia stata concertazione nel mettere a punto questo provvedimento. Del resto, ci eravamo già abituati. Il «lenzuolo» di Bersani ha coperto l'articolo 13: non lo abbiamo più visto. Ha coperto in parte lo smantellamento della riforma Moratti, come già in luglio aveva coperto la destrutturazione della professione di avvocato. Ed andava cercata anche lì, nelle pieghe di un provvedimento che parlava un po' di tutto (dai taxisti ai farmacisti), senza concertazione - lo ripeto - e senza studi ed approfondimenti, su temi che andavano a toccare milioni di persone e milioni di lavoratori.
Ecco, ancora una volta, qual è il nostro bilancio e quali sono la nostra analisi e il nostro punto di vista su questo provvedimento. Ritengo che senza concertazione preventiva, senza dialogo, non si possa andare molto lontano. Ritengo che vi sia ancora una volta un elemento punitivo, che emerge da tutta questa manovra e dall'intero provvedimento. Vi è un elemento punitivo contro categorie che dovrebbero essere, in teoria, vicine al centrodestra e che il Governo cerca di punire in nome di una figura creata quasi in maniera artificiale: la figura del consumatore (in realtà - questo lo si vede, come già hanno detto i colleghi della Casa delle libertà che mi hanno preceduto - il vero beneficiario di questo decreto-legge non è il consumatore, e lo si può vedere nei contesti nei quali opera il provvedimento). Ed allora, ministro Bersani, questo decreto-legge forse serve solo a difendere le grandi concentrazioni economiche, come Confindustria e Confcooperative, che sono le grandi lobby, da tutelare? Questa domanda sorge spontanea. Basta vedere le manifestazioni di protesta, che anche questa mattina, come nei mesi scorsi, si sono susseguite in continuazione nella nostra nazione per far sentire la voce dei professionisti.
È quindi un decreto-legge nel quale si rileva una contraddizione politica di fondo, quasi strutturale direi: spacciare per liberalizzazioni quelle che sono solo delle deregolamentazioni! La differenza è di sostanza questa volta, e non di forma: cancellare le norme proposte e autoregolare l'attività delle categorie dei professionisti. Le liberalizzazioni, quelle vere, servono ad altro: cancellano i monopoli economici, sia pubblici sia privati. Ma, mentre nelle liberalizzazioni si smontano i monopoli a favore della società civile, nelle deregolamentazioni - e questo è il vostro caso - si smontano le strutture della società civile per alimentare nuovi monopoli. Pensate un po', sembra un gioco di parole, ma non è così. In questo assioma sta tutta la vostra contraddizione e sta la cruda verità che sottende a tutto il provvedimento.
Lo stesso discorso, peraltro, vale per il commercio, dove prevale la grande distribuzione organizzata; ma non cambia - lo abbiamo già detto a luglio, parlando dei farmacisti e ora parlando dei benzinai, dei parrucchieri e di altre categorie - la regola di fondo: la grande distribuzione organizzata mette in crisi i piccoli esercizi ed impone ai consumatori le sue regole sui prezzi a danno della qualità dei servizi. Anche la qualità, sicuramente, esce sconfitta. È un altro elemento molto negativo di questo provvedimento.
Ritengo che il provvedimento in oggetto leda la libertà di potersi manifestare nella società civile, la libertà di lavoro, la libertà di capire che, nell'autonomia della propria professione, del proprio lavoro, della piccola e media impresa, c'è il futuro e lo sviluppo della nostra nazione.Pag. 55
Contrastare questo provvedimento, quindi, non è soltanto una logica, legittima opera che noi, deputati della Casa delle libertà, dobbiamo fare, ma è qualcosa di più: è quasi un monito. È la visione del mondo che ce lo impone, per andare contro le grandi lobby, per andare contro quella sintesi che vede comunismo e grande industria contro l'individuo e la persona (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Germontani. Ne ha facoltà.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, con il decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, il Governo utilizza nuovamente lo strumento della decretazione d'urgenza, andando, di fatto, contro l'articolo 77 della Costituzione, che prevede la possibilità di adottare decreti-legge solo il caso di straordinaria necessità ed urgenza.
Mi domando quale sia la reale necessità ed urgenza di questo provvedimento: quella di una semplice propaganda? O vi è piuttosto il tentativo di perfezionare il meccanismo già in atto di protezione degli oligopoli esistenti, senza aiutare o favorire i consumatori?
Ancora una volta, il Governo Prodi presenta in Parlamento un decreto-legge che si ripropone, nelle intenzioni, i più ambiziosi ideali di una democrazia efficiente con obiettivi di ordine economico e sociale. Ma, ancora una volta, come avvenne nel luglio scorso con il decreto-legge n. 223, convertito nella legge n. 248, il campo d'azione legislativo è così modesto e ridotto che veramente sorge il sospetto che si tratti proprio dei soliti obiettivi propagandistici.
Per fare le vere liberalizzazioni bisogna intervenire sui mercati, specie nei settori dell'energia, dei trasporti e in quello delle società pubbliche locali. Insomma, ci sarebbe voluto coraggio, quello che, di fatto, manca a questo Governo.
Nella relazione illustrativa che accompagna questo provvedimento si sostiene che le misure di luglio hanno rappresentato una rilevante discontinuità politico-culturale molto apprezzata dalla maggioranza degli italiani, andando ad incidere su settori strategici.
Mi scuserete, Presidente, rappresentanti del Governo, ma ritengo che si tratti veramente di un'affermazione quanto meno assurda se non spudorata, che assolutamente ignora tutte le manifestazioni che sono avvenute da parte dei tassisti, dei professionisti, dei commercialisti e dei notai in luglio, fino alla grande manifestazione del 2 dicembre che a portato due milioni di italiani in piazza San Giovanni, a Roma. Con tale affermazione si ignora tutto ciò.
Di più, si ignora anche l'elaborazione dei dati Istat da parte dell'ISAI, i quali hanno dimostrato che, dopo i primi provvedimenti adottati sulle professioni, il costo dei servizi professionali è aumentato. In realtà, il decreto-legge in esame elude i veri problemi del sistema economico italiano. Infatti, già dall'esame dell'articolo 1 è del tutto evidente che il provvedimento è dettato da fini propagandistici più che da una reale attenzione nei confronti dei consumatori.
Il ministro Bersani si è arrogato il merito dell'abolizione dei costi fissi sulla ricarica dei cellulari, quando, in realtà, la strada è stata aperta da un cittadino, Andrea D'Ambra, il quale, raccogliendo oltre centomila firme, ha sollecitato l'Unione europea a promuovere un'indagine.
Tra l'altro, la competenza a vigilare spetta all'Authority per le garanzie nelle comunicazioni e non al Governo e l'abolizione dei costi fissi non porterà alcun beneficio ai consumatori. Anzi, senza un meccanismo di salvaguardia, la misura varata rischia di lasciare ai gestori campo aperto, per compensare la stangata attraverso l'aumento del costo delle tariffazioni al minuto.
È una certezza che ci è data dal sottosegretario Lettieri, che, durante una audizione svolta presso la Commissione bilancio, sulla questione del rischio di minori entrate tributarie dovute al minore fatturato delle compagnie telefoniche ha dovuto ammettere che nulla cambierà poiché le compagnie telefoniche rivedranno i loro piani tariffari.Pag. 56
Vorrei soffermarmi anche sull'articolo 3, riguardo alla trasparenza delle tariffe aeree. In esso è contenuto il divieto di proporre messaggi e offerte da parte delle compagnie aeree in cui non sia indicato in maniera trasparente e completa il prezzo finale del servizio che il consumatore dovrà pagare: una misura in apparenza positiva per i consumatori e per la concorrenza. I consumatori potranno infatti scegliere in modo più consapevole i servizi da acquistare, e le compagnie potranno farsi una concorrenza maggiore in quanto la trasparenza del prezzo incide proprio sulla componente più importante del confronto competitivo.
Va osservato, però, che una tutela per i consumatori e per le imprese, danneggiati da messaggi poco trasparenti o omissivi, in ordine al valore effettivo del prezzo già esiste ed è contenuta nella normativa in materia di pubblicità ingannevole, alla quale il decreto-legge 31 gennaio 2007 rinvia, laddove individua le sanzioni da comminare a messaggi di questo tipo, per cui il provvedimento in esame non introduce una forma di tutela nuova, ma rafforza semmai gli strumenti della normativa in materia di pubblicità ingannevole.
Questo è un punto focale che il ministro Bersani ha trascurato. Sarebbe stato opportuno piuttosto puntualizzare con maggiore chiarezza in primo luogo, la normativa che riguarda la trasparenza delle tariffe aeree, specie in considerazione del diffondersi delle cosiddette tariffe low cost, senza mai dimenticare le condizioni della sicurezza dei voli; in secondo luogo, la pubblicità ingannevole eventualmente esercitata dalle compagnie aeree e anche dalle agenzie di viaggio; da ultimo, più in generale, il rispetto dei criteri di concorrenza e di libero mercato che non debbono mai mettere a rischio l'incolumità dei passeggeri.
Inoltre, occorre una maggiore sensibilità del Governo non solo sul complessivo problema del trasporto aereo, ma anche sulle problematiche che riguardano - come è già stato rilevato da chi mi ha preceduto - il comparto del turismo, in relazione al mercato italiano ed europeo e, in definitiva, al resto del mondo. Il decreto-legge in esame infatti discrimina le diverse attività professionali esercitate nel paese, in quanto prevede che solo alcune, non tutte, possano essere ben avviate previa mera dichiarazione di inizio attività. Si tratta di attività che appaiono selezionate sulla base di criteri imperscrutabili, e quindi arbitrari, mentre per le altre attività soggette a regime di autorizzazione permane una disciplina di minor favore, il che contrasta con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela dell'iniziativa economica privata, di cui all'articolo 41 della Costituzione, che sostiene che l'iniziativa economica privata è libera, nonché all'articolo 42, c per il quale la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge.
Al riguardo, il quarto comma dell'articolo 10 del decreto-legge in esame prevede che le attività di guida e di accompagnatore turistico non possano essere subordinate all'obbligo di autorizzazioni preventive, al rispetto di parametri numerici e a requisiti di residenza. Possono inoltre esercitare la professione i laureati con indirizzo in storia dell'arte o con titolo equipollente, senza dover sostenere alcun esame abilitativo. Ciò declassifica e deregolamenta la professione di guida turistica, professione soggetta ad una direttiva europea e coperta fin dal 1994 da un sistema di riconoscimento dei titoli.
L'articolo in questione è stato fortemente criticato dai rappresentanti delle categorie che sono state audite in Commissione, i quali hanno evidenziato che le problematiche del settore possono dividersi in due grandi capitoli: il riconoscimento reale della professionalità, che presuppone la risoluzione dei problemi che abbiamo indicato ed una adeguata remunerazione professionale, ed, inoltre, l'inquadramento ai fini previdenziali e assistenziali.
La maggiore professionalità dei giovani si forma attraverso il livello degli studi richiesti per l'accesso agli esami di abilitazione alla professione.
Sarebbe, invece, il caso di pensare seriamente all'istituzione di facoltà del Pag. 57turismo, che preparino seriamente i giovani e, nello sesso tempo, li importino agli stessi standard europei di paesi come Francia, Grecia e Spagna per l'accesso a questa professione. Il capitolo del turismo è una voce basilare dell'economia italiana e il nostro paese è una delle più importanti mete di turismo al mondo, ma non è nei primi posti nella classifica dell'accoglienza dei paesi ad alta vocazione turistica. Il turismo e tutti i comparti economici e culturali ad esso legati sono tra le poche voci economiche che non possono essere esportate dal nostro paese.
Tuttavia, un grave pericolo di destabilizzazione economica incombe su un settore che non ha una forte identità normativa, fiscale, deontologica, perché, dal dopoguerra ad oggi, il settore non è mai stato considerato come voce economica autonoma e basilare dell'economia italiana. Si aggiunga il fatto che lo stesso concetto di vacanza ultimamente è cambiato . Non ci sono più periodi prefissati di riposo annuale. Le scelte delle mete sono ben ponderate in ogni grado culturale. La gente, ormai, viaggia per riscoprire e conoscere luoghi e culture ed è sempre più esigente nei servizi che, giustamente, richiede. La sinergia che si crea, quindi, tra un buon accompagnatore, che spiega in generale la cultura del paese, e i colleghi guide che, nel dettaglio, illustrano la storia e il patrimonio di un dato territorio, è già la premessa per una pubblicità a cascata, gratuita, che verrà fatta dai turisti stessi al ritorno nei luoghi di origine. Quindi, il viaggio diventa un grande veicolo pubblicitario per il paese visitato.
L'impegno a salvaguardare e mantenere queste professioni non è dunque una difesa di privilegi, ma un messaggio che dobbiamo lanciare. La nazione è conosciuta ed apprezzata anche attraverso l'opera di personale, però, qualificato legalmente e culturalmente per ricoprire determinate mansioni. Un paese, come l'Italia, che dispone del più ricco patrimonio artistico e culturale al mondo, non si può permettere di ignorare questa grande risorsa. Purtroppo, non emerge questa sensibilità e questa volontà dal decreto-legge che oggi esaminiamo. Non c'è la consapevolezza del Governo su questo problema, così come su molti altri legati allo sviluppo.
Ancora, il comma 9 dell'articolo 10, in ordine all'anticipazione del corso di liberalizzazione dei servizi automobilistici interregionali, costituisce una scelta molto discutibile, in quanto è volto ad abrogare la norma transitoria, introdotta in materia dall'articolo 9, comma 4, del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285. In forza di questa disposizione, infatti, si prevedeva che, fino al 31 dicembre 2010, l'autorizzazione di nuovi servizi di linea fosse subordinata alla condizione che le relazioni di traffico proposte interessassero località distanti più di 30 chilometri da quelle servite nell'ambito dei servizi di linea esistenti. La ratio sottesa a questa previsione tendeva a salvaguardare, pur nel quadro della transizione dal regime concessorio a quello autorizzatorio dei servizi automobilistici regionali, le imprese concessionarie che avevano già effettuato notevoli investimenti nel settore prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina. Ai sensi del comma 9 dell'articolo 10 del decreto-legge in esame, questa garanzia verrebbe meno tout court, laddove, invece, sarebbe stato meglio procedere in modo meno drastico circa il termine del 2010.
Infine, l'articolo 12 del decreto-legge in esame, in ordine alla revoca delle concessioni per la tratta di alta velocità, rischia di ricadere nuovamente in un errore già commesso con la legge finanziaria per il 2001. Anche in quell'occasione, infatti, si disposero nuovi affidamenti, tramite gara, con riferimento alle tratte di alta velocità i cui lavori non erano stati ancora avviati. Non ne scaturirono, tuttavia, effetti positivi, atteso che non vi fu alcuna accelerazione delle procedure di progettazione e realizzazione.
Fu invece nella scorsa legislatura che, a partire dal decreto legislativo n. 166 del 2002, si pose rimedio all'errore, disponendo la continuazione dei rapporti già instaurati da TAV Spa con i general contractors, Pag. 58ma non ci si limitò a questo, perché si dispose anche uno strumento, la legge obiettivo, in grado di creare un quadro programmatico coerente per dotare l'Italia di infrastrutture adeguate. Il procedere nuovamente alla revoca di concessioni ai danni dei general contractors riporta il paese indietro e sarà foriero, non soltanto di enormi contenziosi giudiziari che, se daranno ragione alle imprese, comporteranno un esborso da parte dello Stato di centinaia di milioni di euro, ma anche di un aumento del divario infrastrutturale che già separa l'Italia da paesi come la Francia e la Spagna. Il rischio è che si tratti di fatto del tentativo di porre fine alla programmazione e alla realizzazione delle grande opere in Italia. Ciò sarebbe grave sia perché espressione di una concezione politica ed economica miope rispetto alle esigenze del paese, sia perché renderebbe vane le ingenti risorse finanziarie che sono state già destinate agli interventi dell'alta velocità.
Per queste ragioni, il decreto-legge elude i veri problemi del sistema economico italiano e si concentra invece su aspetti in molti casi secondari, attraverso misure di carattere sostanzialmente punitivo, volte a realizzare obiettivi propagandistici più che a dare all'Italia una chiara linea di politica economica. L'unica strada per crescere è quella del mercato, che vuol dire concorrenza e competizione, ma anche vantaggi e maggior benessere per tutti cittadini, che si ottengono con liberalizzazioni vere, con la riduzione del carico fiscale, con l'ammodernamento del mercato del lavoro e con la stabilità di bilancio. Tutto quello che non vediamo in questo provvedimento, non abbiamo visto nella legge finanziaria, che sta per bloccare la crescita economica iniziata con il Governo di centrodestra (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Holzmann. Ne ha facoltà.
GIORGIO HOLZMANN. Signor ministro, nell'intervenire sul decreto-legge n. 7 del 2007, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, vorrei innanzitutto rilevare come tra queste misure non vi sia sostanzialmente nulla che riguarda i monopoli pubblici.
Qualche giorno fa, parlando proprio con lei, accennavo anche ad una situazione anomala che si verrà a creare nella mia provincia, la provincia autonoma di Bolzano, dove, quando andranno in gara le concessioni per grandi derivazioni idroelettriche, che adesso sono di competenza della provincia, vi sarà una provincia che bandirà la gara per l'affidamento delle concessioni. La stessa provincia parteciperà alla gara con una società per azioni la cui maggioranza è detenuta proprio dalla provincia autonoma di Bolzano per aggiudicarsi la concessione di queste centrali idroelettriche, che ammontano ad alcune decine. Sostanzialmente, sarebbe come se un arbitro di calcio arbitrasse una partita essendo proprietario di una delle due squadre che stanno giocando. Sarebbe questa una cosa assolutamente intollerabile sul piano sportivo. Allo stesso modo io ritengo che il modo con cui verranno aggiudicate queste concessioni sia assolutamente intollerabile sul piano economico, soprattutto nell'ottica della privatizzazione di certi settori. Se si è data una scadenza alle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, come effettivamente è avvenuto in Italia al contrario di altri paesi comunitari come la Francia, appare a nostro avviso incoerente che queste concessioni diventino appannaggio di società per azioni che agiscono come società di capitali ma che in realtà sono di proprietà di enti pubblici.
Questa è una prima anomalia. Rispetto a ciò, andare poi ad incidere su piccoli settori della vita economica di questo paese, tralasciando invece i grandi monopoli e le grandi società che gestiscono servizi pubblici ci sembra quantomeno singolare. Per quanto riguarda un aspetto di queste misure, quello delle tariffe telefoniche, si sono già pronunciati molti colleghi che mi hanno preceduto e sicuramente lo faranno anche altri che mi Pag. 59seguiranno. Non possiamo non notare l'anomalia, l'aspetto soltanto propagandistico di questa misura, poiché è evidente che i soldi che le compagnie telefoniche perderanno dovendo rinunciare alla quota fissa per le ricariche telefoniche verranno caricati sulle tariffe telefoniche. Il consumatore, quindi, non ha alcun vantaggio da questa operazione. Questo lo ha ammesso lo stesso Governo in occasione della discussione in Commissione. Pertanto, la norma appare di propaganda ed irrilevante sul piano economico per i consumatori e non sposta i termini della questione. È chiaro pertanto che ci sarà a breve un aggiornamento delle tariffe da parte dei gestori che, in questo modo, recupereranno quanto perso con i costi fissi della ricarica.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare è quello legato alle assicurazioni. Rispetto a ciò che c'è oggi, la normativa non cambierà di molto. Esisteva un'esclusiva «zoppa» - così come veniva chiamata dagli operatori del settore -, che legava cioè gli agenti monomandatari alle rispettive compagnie di assicurazioni, mentre invece le imprese avevano assoluta libertà di conferire mandati ad altri agenti, di ridurre i territori e le provvigioni. Quindi, c'era un'esclusiva soltanto unilaterale. Vi sono sul mercato figure come i broker assicurativi e come gli agenti plurimandatari che operano senza vincoli di esclusiva nei confronti delle compagnie che rappresentano. Ora, il mercato già offriva questo e quindi ciascun cittadino poteva rivolgersi invece che ad un'agente in esclusiva, ad un agente plurimandatario oppure ad un broker.
Di qui a dire che l'agente plurimandatario possa garantire un servizio migliore ai propri clienti ce ne corre moltissimo. Innanzitutto, gli agenti solitamente tendono a proporre prodotti dove hanno una maggiore remunerazione. Ricordo che circa venti anni fa - io ho infatti la fortuna di provenire dal settore assicurativo - venne messo a punto un prodotto previdenziale a risparmio, una polizza a vita a premio unico. Era il non plus ultra dal punto di vista della tecnica assicurativa: il cliente poteva decidere ogni anno, di volta in volta, quale premio versare all'assicuratore oppure poteva stabilire di non versare (c'era anche questa libertà). Non vi era nemmeno una scadenza contrattuale; quindi, il cliente poteva scegliere quando trasformare quei capitali in rendita oppure quando farseli restituire dall'assicurazione. Vi era la massima libertà per il cliente che poteva scegliere la durata, l'entità dei versamenti e il premio da versare all'assicuratore. Eppure, quelle polizze non venivano vendute perché il margine per gli agenti era il più basso rispetto a quello di altri prodotti similari. Quindi, al di là dei prodotti e dei mandati di una o più compagnie, ciò che conta è la remunerazione da parte di chi vende quel prodotto.
Ritengo che dare la flessibilità agli agenti di diventare tutti plurimandatari non risolva assolutamente questo problema. Oltre tutto, vi è un altro aspetto che non è stato considerato: molto spesso gli agenti monomandatari sono legati alla propria impresa da altri vincoli. Infatti, sovente i locali dell'agenzia dove si esercita l'attività sono di proprietà della compagnia oppure sono in affitto diretto da parte della compagnia che sicuramente non accetterà di pagare un affitto oppure di mettere a disposizione un immobile se l'agente farà affari per conto di altre società di assicurazione. Evidentemente, ci sono aspetti che non sono stati adeguatamente verificati.
Ci sarebbero invece alcuni punti dove si potrebbe intervenire, per esempio sulle aliquote fiscali, sulle polizze assicurative, sugli accessori che vengono caricati nell'emissione dei contratti da parte delle compagnie assicurative, pari anche al 20 per cento. Si poteva effettivamente fare qualcosa di più e di meglio, oppure si potevano stabilire durate contrattuali inferiori; anche questo poteva essere un aiuto al consumatore per renderlo più indipendente rispetto al contratto pluriennale con il proprio assicuratore, soprattutto dotandolo di un maggiore potere Pag. 60contrattuale. Infatti, il cliente insoddisfatto generalmente cambia l'impresa assicuratrice. Questo non è stato fatto.
Per quanto riguarda altri tipi di liberalizzazione, mi permetto di avanzare qualche perplessità.
Nella mia provincia, la provincia di Bolzano, si è attuata la liberalizzazione nella concessione di licenze per pubblici esercizi, proprio in attuazione di un decreto dello stesso ministro Bersani risalente a due governi precedenti. Ebbene, abbiamo assistito ad una proliferazione di bar e di ristoranti che, come rapidamente hanno aperto, altrettanto rapidamente hanno chiuso, con i debiti. In questo settore c'è stata una deregulation completa che ha portato all'indebitamento di centinaia di persone, che hanno tentato l'avventura nel settore della ristorazione e dei pubblici esercizi senza però riuscire a stare sul mercato. Per il consumatore cosa è cambiato? Assolutamente nulla, perché non è che sia calato il prezzo delle consumazioni al bar. Il prezzo è rimasto tale e quale, come i costi dei ristoranti sono rimasti pressoché identici, anzi sono aumentati con l'aumentare del costo della vita. Quindi, il consumatore non ha avuto alcun beneficio da questo tipo di liberalizzazione. Semmai, si è avuto come contraccolpo un indebitamento di tutti coloro che si sono avvicinati a questo settore, sperando di poterne trarre un guadagno sufficiente per vivere.
Ebbene, a nostro avviso queste liberalizzazioni non sono utili al consumatore. Non crediamo che la liberalizzazione del mercato senza regole sia utile per alcuno, né per gli operatori né per i consumatori. È bene che si dia anche una certa tutela ai consumatori. La tutela deriva dalla professionalità, dal fatto che un operatore possa trarre un giusto guadagno dalla propria attività. Quando la concorrenza diventa troppa - e ci si aggrappa ad una certa attività perché diventa l'unica possibile per un nucleo familiare che però non ce la fa -, evidentemente si creano anche i presupposti per cui il servizio alla fine non viene reso nel modo dovuto. E così avviene quando si rinuncia ad una giusta qualificazione professionale per gli operatori di certi settori. Pensiamo alle guide turistiche, che stamattina erano qui, davanti al Parlamento, a manifestare il loro disappunto, la loro contrarietà nei confronti di questo provvedimento del Governo, come i titolari delle scuole guida, che erano qui davanti anch'essi stamattina a manifestare. Allo stesso modo sono venuti i tassisti: in questo caso, per fortuna, il Governo ha fatto marcia indietro rispetto ad una liberalizzazione che voleva fare e per fortuna non ha fatto e che certamente non avrebbe portato ad un abbassamento tariffe. Infatti, se l'ammontare totale delle corse effettuate in anno in una città come Roma viene diviso fra 5.500 tassisti o fra 10 o 15 mila, evidentemente non si può pensare che, dividendo la torta tra il triplo degli operatori, le tariffe diminuiscano. Semmai, tenderanno ad aumentare, perché tutti hanno la pretesa di vivere del loro lavoro.
Quindi, crediamo che le liberalizzazioni siano una buona cosa, ma non vadano viste soltanto nell'ottica di un mercato senza regole. Servono paletti: certamente devono essere posti, pensati e, naturalmente - prima di tutto -, compresi, prima di avventurarsi in maniera un po' brutale in un settore così delicato che tocca tantissimi operatori.
Concludo questo mio intervento con un ultimo riferimento alla questione delle grandi opere e, soprattutto, ai lavori connessi alla realizzazione della linea per l'alta velocità. Sappiamo che questo è un problema politico tutto interno alla coalizione di Governo. Sappiamo che ci sono posizioni estremamente dure e radicali da parte di alcune componenti non trascurabili di questo Governo, soprattutto da parte dell'estrema sinistra e dei Verdi. Mi pare che disdettare i contratti attualmente in essere con imprese che comunque danno lavoro a centinaia di persone significhi arrivare ad un contenzioso i cui costi saranno enormi per lo Stato e verranno caricati probabilmente sulle spalle del prossimo Governo, non di questo, visti i tempi della giustizia. Certamente, non ci pare utile che una coalizione di Governo Pag. 61seria, per risolvere un problema al proprio interno, un problema di carattere politico, finisca con il prendere provvedimenti i cui costi si scaricheranno, necessariamente, sui cittadini, anche se poi sarà un Governo a dover far quadrare i conti.
Quindi, su questo aspetto manteniamo e manifestiamo tutte le nostre perplessità e la nostra contrarietà. Di conseguenza, questo sarà il nostro atteggiamento anche sul complesso del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bernardo. Ne ha facoltà.
MAURIZIO BERNARDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il pacchetto delle liberalizzazioni previsto dal decreto-legge Bersani - che peraltro vedo presente in aula - contiene elementi a mio avviso di grave rischio per il sistema Italia perché, in barba alla definizione di liberalizzazioni, le misure in esso presenti sono strumenti al servizio della logica e della politica dirigistica e statalista. Del resto, in un momento in cui il Paese è alle prese con una formidabile sfida internazionale di modernizzazione, che ha come fine lo sviluppo, questo decreto-legge pone nuove turbative al già ammalato sistema interno, da sempre alla prese con la paralizzante invadenza della burocrazia di stampo massimalista. Stiamo del resto assistendo all'ennesima punizione della sinistra nei confronti di categorie che non possono essere considerate vicine al centrosinistra. Al di là degli interessi del Paese, si continua nell'azione vendicativa di una maggioranza che non ha perdonato a Berlusconi di averla cacciata in un angolo buio per così tanto tempo, ma che ora è innervosita dalla consapevolezza di non possedere una vera maggioranza e di vivere la quotidiana ansia della crisi di Governo.
Questo decreto-legge ha un'altra grave pecca, poiché elude completamente i reali problemi del sistema produttivo ed economico italiano e con essi la mancata partecipazione di metà del Paese al processo di creazione del reddito, per non parlare dei monopoli e degli oligopoli, in cui la sinistra è campione, dal momento che alza la bandiera rossa su quelli principali, sia commerciali che finanziari.
Passando al decreto-legge del 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori e la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, esso contiene alcune disposizioni che rientrano nella cosiddetta seconda «lenzuolata» di liberalizzazioni, sull'onda di quella già avviata nell'estate 2006, considerate urgenti in quanto porrebbero termine ad una situazione di gravi anomalie rispetto ai principi comunitari e costituzionali più volte segnalate dall'Unione europea e dell'Autorità per la concorrenza. Tuttavia, si tratta di una operazione essenzialmente mediatica, che ha dato vita ad un provvedimento demagogico e con limitati effetti economici, se non addirittura controproducente per alcune categorie profondamente danneggiate.
È l'attuale cavallo di battaglia di questo zoppicante Governo Prodi per cercare di recuperare un po' di quella popolarità perduta negli elettori e ridare ossigeno all'ansimante Governo in carica, considerato pericoloso da noi dell'opposizione ed imbarazzante dagli elettori che hanno votato per la sinistra. Alcune disposizioni presentano effetti destinati a prodursi in un momento differito rispetto all'entrata in vigore del decreto-legge, violando il requisito dell'immediata applicabilità delle misure disposte dai decreti-legge. La prospettiva è preoccupante perché non si può prevedere in quale contesto evoluto incideranno tali misure. Oltretutto, alcune disposizioni non sembrano riconducibili, se non indirettamente, alle finalità del decreto-legge e dunque non sono neanche corrispondenti al titolo, come ad esempio l'articolo 13, che riguarda l'istruzione tecnico-professionale e l'autonomia scolastica, e l'articolo 14, che esclude dai contributi per la rottamazione degli autoveicoli coloro che ne acquistano un altro.
La politica economica del Governo Prodi ha appesantito enormemente ed inutilmente la pressione fiscale per alimentare Pag. 62la spesa pubblica facile, e quindi gli sprechi, come del resto dimostrano le richieste della maggioranza e dei sindacati per utilizzare quel surplus del gettito fiscale, oltretutto - come voi sapete - determinatosi nel 2006 grazie alla politica economica del precedente Governo Berlusconi. Esso ha anche provveduto ad appesantire, anziché alleggerire, il peso dello Stato. Sono state avanzate richieste di maggiori spese dai suddetti soggetti, pari al doppio delle maggiori entrate realizzate, come è stato evidenziato anche da Il Sole 24 Ore in un recente articolo pubblicato l'8 marzo.
Questo indirizzo politico scaturisce dalle costrizioni ideologiche massimaliste della sinistra neocomunista, che la componente riformista non ha ancora - ahinoi - smaltito. Tale indirizzo impone il principio della politica che potremmo definire di Robin Hood - di medievale memoria -, ossia togliere ai ricchi per dare ai poveri, logica seguita dal socialismo reale che, alla fine, ha ridotto tutti in povertà. La realtà della globalizzazione avrebbe dovuto insegnare, anche alla sinistra retrograda italiana, che la società progredisce attraverso lo sviluppo e che la politica deve assecondare quest'ultimo, per intervenire successivamente, nella fase della distribuzione equa delle risorse prodotte: è ciò che sta facendo il Governo, mettendo le mani in tasca agli italiani, mascherando il prelievo indebito, addirittura attraverso le cosiddette privatizzazioni! Se si abbandona, dunque, il principio dello sviluppo, il paese entra in una spirale di crisi irreversibile, è ciò rischia ora di accadere. Sarebbe, allora, necessario un approccio liberale al sistema economico, per elevare i livelli di competitività e di modernità del nostro paese, cosa che non è assolutamente in grado di fare il provvedimento oggi al nostro esame: è la cosiddetta politica di aumento delle tasse del «programma Prodi».
Procedendo ad un'analisi più attenta del provvedimento stesso, l'articolo che più di tutti appare come una vendetta politica è l'articolo 1: la disposizione nata per sopprimere i costi di ricarica delle sole carte telefoniche prepagate è stata modificata in Commissione, estendendo tale divieto anche agli operatori di reti televisive e di comunicazioni elettroniche. La Commissione europea ha sollevato obiezioni sul metodo utilizzato per l'abolizione dei costi di ricarica, avvenuto tramite un decreto-legge e non tramite un provvedimento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, violando così l'indipendenza ed anche l'efficacia di quest'ultima. Non dimentichiamo che il Commissario europeo alla Società dell'informazione e mezzi di comunicazione, Viviane Reding, in una lettera inviata nel febbraio scorso al ministro dello sviluppo economico, aveva spiegato che le autorità italiane non avrebbero potuto proibire agli operatori di compensare le entrate venute meno per effetto dell'applicazione del decreto-legge aumentando il costo del traffico telefonico. Al citato articolo 1 del decreto-legge in esame abbiamo presentato diversi emendamenti, con cui mettiamo in evidenza, tra l'altro, che all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni già spettano alcuni compiti previsti dall'attuazione dell'articolo 1, sui costi delle ricariche. Un altro emendamento è stato presentato allo scopo di impedire agli operatori di incrementare i piani tariffari per sopperire ai mancati introiti dovuti all'eliminazione dei costi di ricarica. È stato presentato, poi, un ulteriore emendamento che mira ad eliminare lo scatto alla risposta, in modo tale che se «cade la linea», come spesso avviene, chi effettua la chiamata non si trovi ad affrontare il costo di una telefonata interrotta.
Per quanto riguarda, poi, l'eliminazione del costo delle ricariche, il nostro gruppo parlamentare ha presentato un emendamento per estendere tale abolizione anche alle cosiddette carte di credito prepagate. Per quanto concerne i contratti di mutuo, il provvedimento in esame prevede, agli articoli 6 e 7, una disciplina che avvantaggia i contraenti deboli, disciplina che noi abbiamo cercato di rendere ancora più efficace. All'articolo 6, relativo alla cancellazione delle ipoteche a garanzia dei mutui, abbiamo, infatti, proposto un emendamento per rendere il testo dell'articolo Pag. 63stesso più corretto e per inserirlo nel provvedimento di riferimento, ossia la legge bancaria e creditizia. All'articolo 7, relativo all'abolizione della penale in caso di estinzione anticipata dei mutui abbiamo proposto alcuni emendamenti finalizzati a favorire non soltanto chi stipula un mutuo all'entrata in vigore del provvedimento, ma anche chi ha contratto un mutuo anteriormente. Si è proposto di limitare la penale per coloro che estinguono un mutuo contratto prima dell'entrata in vigore del presente decreto-legge, fino ad massimo pari all'ammontare di una rata mensile dello stesso mutuo. Un altro emendamento da noi proposto prevede, per i contratti stipulati precedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, la riduzione al 50 per cento della prestazione prevista in caso di estinzione anticipata. Con un altro emendamento si estende il divieto di penali per l'anticipata estinzione a tutti i mutui immobiliari, e non solo a quelli per l'abitazione.
Per quanto concerne l'articolo 9 del decreto-legge, che contiene una nuova disciplina sugli adempimenti amministrativi, a cui è tenuta l'impresa per l'iscrizione al registro, tali adempimenti sono stati sostituiti da una comunicazione unica all'ufficio del registro delle imprese delle camere di commercio, che rilascia una ricevuta, quale titolo idoneo per l'immediato avvio dell'attività imprenditoriale.
Il gruppo parlamentare a cui appartengo ha presentato un emendamento che prevede un procedimento ancora più rapido. La novità introdotta da questo emendamento consiste nel fatto che, per la dichiarazione di inizio di un'attività imprenditoriale, artigianale o commerciale, è sufficiente che l'interessato ne dia semplicemente comunicazione alla pubblica amministrazione interessata, non dovendo attendere alcun termine per iniziare l'attività.
Tale emendamento è stato assurdamente dichiarato inammissibile in Commissione, perché recante una disciplina complessiva della dichiarazione di inizio attività e dei termini per la conclusione dei procedimenti autorizzatori, mentre l'articolo 9 del decreto-legge disciplina soltanto gli adempimenti relativi alla costituzione e alla nascita dell'impresa.
Va osservato che diverse disposizioni in materia di semplificazione degli adempimenti burocratici delle imprese sono contenute nel disegno di legge n. 2272, recante misure per il cittadino consumatore e per agevolare le attività produttive e commerciali, nonché interventi in settori di rilevanza nazionale.
Il fine dell'emendamento era quello di semplificare il procedimento amministrativo per far fronte all'inefficienza e alla lentezza dell'amministrazione pubblica e all'incapacità di procedere nei termini a fronte di richieste di parte, anche se legittime, come impone la legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.
L'emendamento presentato era ed è strettamente attinente al contenuto dell'articolo 9 del decreto-legge in esame e cercava di accelerare i tempi e le procedure per iniziare nuove attività economiche e per contrastare la grave perdita di potenzialità di sviluppo della nostra economia, dovuta ai pesanti ritardi e ai costi aggiuntivi causati dalla lentezza burocratica.
La liberalizzazione di alcune attività economiche, contenuta nell'articolo 10 del decreto-legge, ha danneggiato diverse categorie di imprenditori e di lavoratori. Si pensi al comma 2 dell'articolo, che affronta certamente la semplificazione del procedimento per iniziare le attività di parrucchiere e di estetista, essendo sufficiente la denuncia di inizio attività, ma che fa scomparire i criteri territoriali di distanza minima nonché l'obbligo di chiusura settimanale. Ciò dovrebbe far riflettere. In tal modo si sono messi in difficoltà molti esercizi commerciali visto che, soprattutto a causa dell'eliminazione del limite territoriale, si finisce per alimentare una concorrenza selvaggia. Per la categoria delle autoscuole, poi, il comma 5 introduce misure di semplificazione e di liberalizzazione per la gestione di questi esercizi. In particolare, si prevede che l'avvio dell'attività economica connessa alla gestione, ora sottoposta al regime Pag. 64dell'autorizzazione dell'ente provinciale, sia condizionata alla sola dichiarazione di inizio attività da presentarsi all'amministrazione competente. Inoltre, per realizzare tale scopo, è prevista l'eliminazione dei limiti attualmente previsti dall'articolo 123 del codice della strada. Non vi è più traccia - come invece era previsto in precedenza - dell'autorizzazione del Ministero dei trasporti, sostituita dal controllo dell'attività dell'autoscuola attraverso la sola vigilanza amministrativa. Ciò comporterà un pesante danno per le categorie dei gestori di autoscuole già esistenti, con la criticabile giustificazione che è stato necessario provvedere ad una totale liberalizzazione per armonizzare la normativa vigente in tale settore con i principi comunitari legati al libero mercato.
Con riferimento all'articolo 11, che prevede misure per conseguire una maggiore liquidità dell'offerta del gas nel mercato interno, va detto che si tratta di un articolo totalmente mistificatorio della liberalizzazione, la cui efficacia è quanto meno limitata. L'articolo dispone che le quote di produzione nazionale di gas, che le imprese produttrici versano allo Stato come controvalore - mi riferisco alle royalty - e una quota fissa di tutte le importazioni future debbano essere offerte sul mercato regolamentato delle capacità e del gas - mi riferisco alla cosiddetta borsa del gas -, ma si tratta di un intervento poco significativo, visto che il vero problema da superare è la dipendenza dell'Italia da altri paesi.
Avviandomi alla conclusione, vorrei evidenziare che il Governo ha voluto applicare alla conduzione della nostra economia quel dirigismo centralista di marxista memoria, il quale fa spesso venire in mente qualcosa che non ci è proprio e non ci è vicino dal punto di vista culturale.
Le proposte emendative che abbiamo presentato, dunque, perseguono il solo scopo di eliminare quelle norme che risultano essere decisamente dannose, al fine di limitare il danno che verrà arrecato al paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Saluto gli insegnanti e gli studenti della scuola media Innocenzo IX di Baceno, in provincia di Verbania, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare il deputato Fluvi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto di intervenire perché sono francamente esterrefatto. È da questa mattina, infatti, che l'Assemblea assiste con stupore ad un dibattito che sa di kafkiano. Lasciatemi onestamente dire che siamo in difficoltà nel comprendere la ragione di questi continui interventi sul complesso degli emendamenti.
Noi stiamo discutendo, onorevoli colleghi, di un decreto-legge che va nella direzione della tutela dei consumatori e della promozione della concorrenza. Si tratta, in altri termini, di un provvedimento che introduce maggiori elementi di concorrenzialità nel nostro sistema economico, nonché maggiori liberalizzazioni in alcuni settori dello stesso. È un provvedimento legislativo, quindi, che, in teoria, dovrebbe raccogliere anche i desiderata di codesta parte politica, o comunque di una parte dell'opposizione. A questo punto, tuttavia, uso volutamente il condizionale, perché comincio a dubitare delle reali intenzioni dell'opposizione, vale a dire la cosiddetta Casa delle libertà.
A parole, infatti, vi proclamate liberali ed esaltate il mercato e la concorrenza; nei fatti, però, vi mettete di traverso all'approvazione di misure che mettono in discussione i monopoli ed ostacolate l'adozione di interventi che elidono le rendite di posizione e che cercano di favorire, al contrario, sia la concorrenza sia la tutela dei consumatori.
Rammento che avete avuto lo stesso atteggiamento ostruzionistico che ora state tenendo in quest'aula l'estate scorsa, di fronte al cosiddetto primo decreto Bersani. A pensarci bene, tuttavia, il vostro comportamento non rappresenta una novità in Assemblea, perché è lo stesso che avete dimostrato durante la scorsa legislatura. Pag. 65Ci troviamo, quindi, di fronte alla continuità più assoluta!
Infatti, non ricordo - e non lo ricordano neppure i colleghi che hanno trascorso su questi banchi gli anni della passata legislatura - un solo provvedimento volto a liberalizzare l'economia, nonché a favorire il mercato e la concorrenza. Ciò la dice lunga su una coalizione che, a parole - ma solo a parole, purtroppo! -, si definisce «liberale».
Ho ascoltato tutti gli interventi dei diversi colleghi che si sono succeduti da questa mattina. Vorrei rilevare che, in numerosi di essi, si coglie dell'ironia a buon mercato, come a dire: sono tutte qui le vostre liberalizzazioni? A mio avviso, è chiara la volontà, espressa attraverso questi vostri interventi, di sminuire la portata di un provvedimento che, invece, personalmente ritengo molto importante.
Evidentemente non la pensa così, ad esempio, il mercato assicurativo, se è vero come è vero che il presidente del maggior gruppo italiano, vale a dire le Generali, ha avvertito il bisogno di intervenire per ben due volte nel dibattito, criticando fortemente gli interventi del Governo in tale settore.
Non la pensa così, evidentemente, anche il sistema bancario, se è vero che, ancora oggi, gli operatori di tale comparto hanno sentito la necessità di intervenire per «calmierare» le disposizioni recate da questo e da altri provvedimenti normativi.
Devo anche, per onestà, porre, e pormi, la seguente domanda: ma, con questo decreto-legge, pensiamo veramente di risolvere tutti i problemi dell'economia italiana? Certamente no! Ma se voi aveste cominciato ad operare in questa direzione già a partire dal 2001 - da quando, cioè, vinceste le elezioni con una sorta di manifesto liberale -, oggi saremmo sicuramente un passo avanti e l'economia non avrebbe registrato, in questi cinque anni, un elettrocardiogramma piatto.
Stiamo discutendo il cosiddetto secondo decreto Bersani; ebbene, il relatore - del quale ho riletto la relazione svolta in Assemblea durante la discussione sulle linee generali - ha affermato che forse è presto per tracciare un bilancio del primo decreto Bersani, ovvero di quel provvedimento convertito in legge nella scorsa estate. Ciò, forse, è vero; è altresì, vero, però, costituendo un fatto, che, ad esempio, il costo dei farmaci da banco è diminuito, in questi mesi, di circa il 25 per cento. È un dato di fatto; ma è ancora un fatto che i costi di chiusura dei conti correnti siano diventati elementi di marketing pubblicitario per le più grandi banche del nostro paese. È un fatto l'entrata in vigore, da poche settimane, del cosiddetto indennizzo diretto ed è, infine, un fatto l'avvio del plurimandato nel sistema distributivo delle RC auto.
È ancora poco? Forse sì! Ma abbiamo cominciato ed il sistema economico di questo paese ha compreso che l'Italia può voltare pagina. Ha compreso che può farlo solo con noi, con i decreti Bersani - quello in discussione oggi e quello convertito in legge l'estate scorsa -; con il disegno di legge che reca norme per l'ulteriore liberalizzazione dei settori dell'energia elettrica e del gas naturale; con il disegno di legge per il riordino dei servizi pubblici locali; con la cosiddetta class action; con la riforma delle autorità di vigilanza.
Quanto, invece, l'Italia non può fare, onorevoli colleghi, è restare inerte; al riguardo, con il vostro atteggiamento ostruzionistico, state perdendo, a mio avviso, una grande occasione - una grande occasione non per voi, ma per il paese! -, quella di partecipare alla scrittura di una pagina nuova.
Abbiate, allora, almeno il coraggio e l'onestà delle vostre posizioni: perché non dite chiaramente che siete contro l'eliminazione dei costi di ricarica nei servizi di telefonia mobile e contro la trasparenza delle tariffe aeree, che non volete semplificare la cancellazione dell'ipoteca sui mutui immobiliari, che non volete eliminare le penali per chi intende estinguere anticipatamente il mutuo, che siete contro l'allargamento del plurimandato all'intero settore danni del comparto assicurativo, che non volete consentire ai consumatori di uscire dal contratto assicurativo prima di dieci anni?Pag. 66
Vedete, ho ascoltato con attenzione un collega dianzi intervenuto, il quale si è soffermato sul plurimandato assicurativo ed ha fatto una considerazione importante. Lo inviterei, tuttavia, a riflettere ancora. Non so, infatti, caro collega, se domani, con l'introduzione del plurimandato, gli agenti di assicurazione venderanno le polizze che gli procureranno maggiori provvigioni; so, però, una cosa per certa: che dal 1995 ad oggi - da quando, cioè, nel settore RC auto siamo passati delle tariffe amministrate alla cosiddetta liberalizzazione - le tariffe sono più che raddoppiate in Italia.
Siamo l'unico esempio al mondo, credo, che con l'apertura al mercato non abbiamo diminuito le tariffe che, anzi, sono raddoppiate. Non so se il plurimandato sia la soluzione; non mi affeziono alle soluzioni tecniche, non ne faccio una questione ideologica. Però, so che abbiamo il dovere di tentare ogni strada per inserire concorrenza nel settore a tutela del consumatore.
Eppure, sappiamo tutti che, dal 2001 ad oggi, i bilanci dei rami danni del comparto assicurativo sono positivi. Negli ultimi anni, i sinistri sono diminuiti anche grazie all'introduzione del nuovo codice della strada. L'unica cosa che è aumentata sono le tariffe RC auto. Allora, dobbiamo individuare la strada migliore per abbattere il costo delle polizze, che grava sulle tasche di tutti i cittadini, dato l'RC auto è obbligatoria per legge.
Dal gennaio di quest'anno abbiamo introdotto l'indennizzo diretto e la possibilità del plurimandato per gli agenti e, con il provvedimento in esame, estendiamo il plurimandato a tutti i rami danni. Se non funzionerà, cambieremo, perché siamo largamente convinti che occorra scavare in questa direzione, lavorare per introdurre maggiore concorrenza, dato che solo attraverso maggiore concorrenza avremo una migliore offerta assicurativa a costi più contenuti.
Semmai dovremmo lavorare, non con questo decreto-legge ma in provvedimenti successivi, per estendere il plurimandato a tutti i rami vita.
È francamente incomprensibile il vostro atteggiamento: da una parte, minimizzate, dall'altra, cercate di strizzare l'occhio e ritagliare alcuni spazi per parlare ad alcune categorie ben individuate, dimenticando che l'obiettivo non è tranquillizzare qualcuno ma chiamare a raccolta tutte le forze, tutte le energie di cui il paese dispone, per rimettere in moto l'economia italiana.
Andremo, comunque, avanti, convinti come siamo che abbattere i monopoli, le rendite, i privilegi, mettere al centro di ogni politica il consumatore favorisca lo sviluppo e l'efficienza economica (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cirielli. Ne ha facoltà.
EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intendo innanzitutto ribadire un concetto già espresso molto chiaramente da altri colleghi del centrodestra che sono intervenuti sul provvedimento in esame. Riteniamo inammissibile il continuo ricorso alla decretazione d'urgenza da parte del Governo per introdurre provvedimenti che, peraltro, hanno soltanto la caratteristica della gravità, nel senso che inseriscono elementi di turbativa permanente all'interno, più che dell'economia italiana, della società, stravolgendo il tessuto sociale che caratterizza la nostra nazione e che, da sempre, ha costruito la qualità che ha fatto grande il made in Italy nel mondo.
Sottolineo anche il fatto che la Presidenza della Camera si è abituata ad accettare, con disinvoltura, che all'interno di decreti-legge vi siano materie così eterogenee. Vorrei capire cosa abbia a che fare, in un provvedimento sulla liberalizzazione, interventi sulla scuola o sull'alta velocità, tematica questa affrontata nell'articolo 12 del provvedimento in esame.
Tutto questo fa parte di un atteggiamento complessivo rispetto al quale questa opposizione, non essendo minoranza nel paese, è assolutamente vigile e attenta per impedire ogni forma di prepotenza in ambito legislativo da parte di questo Governo Pag. 67che non sarebbe in grado di governare, non avendo i numeri, se non ricorresse al solito trasformismo che, purtroppo, in Italia è divenuto un fatto permanente.
Detto questo, vorrei ricordare al collega dell'Ulivo che si possono ascoltare tanti discorsi ma bisogna anche capirli e bisogna cogliere il senso di quello che si dice. Innanzitutto, questa parte del Parlamento non è fanatica del liberismo dal punto di vista ideologico; i fanatismi ideologici li lasciamo a voi. Semplicemente, noi cerchiamo di portare un po' di benessere alla nostra economia, alla nostra nazione e ai nostri cittadini. Per noi, le liberalizzazioni, il liberismo e il mercato sono sicuramente strumenti di libertà ma sono anche strumenti concreti con i quali l'uomo può esplicare al meglio la propria capacità di intervento nella vita sociale ed economica, per produrre ricchezza. Quindi, non possiamo non essere favorevoli ad una certa quota di liberalizzazioni, se vanno nella direzione concreta di ridurre i prezzi delle merci, aumentare la trasparenza, l'accessibilità e il valore degli stessi beni, di assicurare un potere di acquisto reale ai consumatori. Però, se voi pensate di trasformare costoro in una nuova classe sociale, avendo perso i riferimenti ideologici che vi hanno contraddistinto in questi cinquant'anni, vi sbagliate. Se pensate, in maniera lucida, di proseguire con questo disegno di proletarizzazione della società, impoverendo le categorie e snaturandone la funzione di salvaguardia e di attenzione alla qualità dei prodotti, ci troverete sempre fermi nella denuncia di questa arroganza, che attueremo con tutti i mezzi politici riconosciuti dalla nostra legislazione e anche dai regolamenti parlamentari.
Voi volete cambiare la società, volete sradicarla senza utilizzare gli strumenti della partecipazione e del consenso, senza avere i numeri né al Senato né nel paese. Ebbene, di fronte a questo comportamento pervicace esiste anche la strada della battaglia parlamentare. Pensate di poter disciplinare con un decreto-legge una materia che, certamente, non ha le caratteristiche della necessità e urgenza? Pensate che noi possiamo far passare sotto silenzio questa forma di prepotenza parlamentare, che rappresenta il vostro stile di vita e la vostra cultura intollerante e fermamente e fanaticamente ideologica?
Queste finte liberalizzazioni producono un bel nulla. Siamo ben lieti, da un punto di vista giuridico, che si aboliscano i costi di ricarica per la telefonia mobile. Tuttavia, se si ottiene l'effetto di far aumentare le bollette e di non dare alcun beneficio concreto ai consumatori, allora riteniamo che questo sia semplicemente un atteggiamento dirigista, neocomunista, che non va nella giusta direzione.
Assistiamo anche ad un silenzio che fa rumore sui tanti monopoli di socialismo reale dei vostri tanti comuni, quelli che vi hanno consentito di vincere, anche artando la reale portata del consenso elettorale, utilizzando le società miste e le società municipalizzate. A tale riguardo, con la legge finanziaria per il 2007 consentite uno spreco di denaro e aumentate le tasse già elevate. Ai vostri comuni, ridotti sull'orlo della bancarotta, date la possibilità di introdurre nuove tasse e date loro, con la stessa legge finanziaria, anche i bonus, facendo saltare il patto di stabilità anche per quelli che non sono stati virtuosi.
Ebbene, di fronte a questo comportamento e di fronte anche ad una certa tolleranza da parte della Presidenza della Camera nel far passare «alla chetichella» e senza un adeguato controllo decreti-legge su materie così balzane, riteniamo che il centrodestra debba reagire, ma anche i cittadini e le categorie che individuate come una sorta di nuovi nemici di classe (prima i tassisti, poi i professionisti, i benzinai, gli edicolanti e chissà chi altro), con il solo scopo di far impoverire complessivamente il nostro tessuto sociale e far divenire più povera la nazione; si rinnova in tal modo quel meccanismo di antagonismo e di lotta sociale che ha avvelenato il secolo scorso e che evidentemente, come lezione storica, ancora non vi è bastato.Pag. 68
Riteniamo, da questo punto di vista, che il sistema di distribuzione vada aggredito innanzitutto ai suoi vertici, non certamente nella sua parte terminale. La grande distribuzione, infatti, esercita a certi livelli una lotta non concorrenziale, perché impone i prezzi ai piccoli fornitori, esercitando una posizione dominante rispetto alla quale si dovrebbe intervenire.
Allo stesso modo, voi non intervenite sulla violazione palese del nostro sistema economico e della concorrenza da parte delle cooperative e del sistema economico e di potere che da sempre ha reso forte la parte portante, dal punto di vista del ruolo politico se non numerico, l'ex Partito comunista, oggi i Democratici di sinistra. Quella parte stravolge il sistema economico-sociale, violando le regole della concorrenza, favorita da una normativa imposta con il ricatto e la prepotenza negli anni Sessanta e Settanta dal Partito comunista alla DC. Su quel sistema bisognerebbe intervenire per creare veramente un mercato libero.
Rispetto a tutto ciò, ci aspettiamo ben altro da parte del Governo nel settore delle liberalizzazioni. Senza innamorarci dei concetti, onorevole Fluvi, stiamo assistendo all'incredibile, per cui ex comunisti vogliono dare a noi lezioni di libertà, di mercato e di liberismo. Noi non ci stiamo a questo dibattito sterile. Per noi le liberalizzazioni devono servire semplicemente ad abbassare i prezzi sul mercato, a rendere l'economia più snella e la nostra nazione più ricca, per garantire maggior benessere ai nostri cittadini.
Voglio aggiungere che l'idea pericolosa di contrapporre i consumatori e i commercianti rappresenta quanto di più deleterio questo Governo stia facendo. L'idea di una nuova frattura sociale e di una nuova contrapposizione è grave non soltanto perché non ottiene alcuno dei benefici che si prefigge, se non quello di proletarizzare i commercianti e renderli più poveri insieme all'intero paese, ma anche perché provoca una contrapposizione sociale tra i ceti della nazione, cui difficilmente una nostra probabile vittoria potrà rimediare in tempi brevi. Quello che state facendo segnerà in maniera profonda e negativa la nostra società.
E non ci venite a dire che siete preoccupati dei poveri e del potere di acquisto dei consumatori! Se veramente ciò vi stava a cuore, non avreste aumentato le tasse con l'ultima finanziaria, non avreste messo in condizione i comuni e gli enti locali da voi governati di aumentare nuovamente tutti i balzelli sul territorio.
Questa è la liberalizzazione più importante che un Governo serio, una nazione seria, dovrebbe fare: mettere le mani nelle tasche dei cittadini solo in casi - qui sì - di straordinaria necessità ed urgenza; ma voi non avete neanche lontanamente «incamerato» questo concetto, perché ritenete di avere bisogno di un continuo deficit spending per mantenere il carrozzone clientelare della vostra politica inefficiente e assolutamente vuota.
Voglio concludere il mio intervento con un riferimento al vostro slogan «un giorno per un'impresa», perché voi da sempre governate e fate politica con calunnie e maldicenze o con gli slogan: tutto è demandato a decreti attuativi e ci faremo delle risate nel vedere quello che state «arzigogolando». Sta di fatto che, allo stato attuale, non avete fatto ancora nulla, non soltanto per cavalcare l'onda congiunturale positiva per la nostra economia, ma neanche per accompagnarla; anzi, avete spaventato gli investitori, i produttori e persino i consumatori. Tutti spendono di meno e, per colpa del Governo Prodi e del centrosinistra, ormai si è innestata una fase inevitabile di recessione economica, in controtendenza rispetto al resto del mondo e dell'Europa: speriamo solo che ve ne andiate presto a casa (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mancuso. Ne ha facoltà.
GIANNI MANCUSO. Signor Presidente, all'Italia serve un nuovo patto sociale basato su competitività e sviluppo, ma il decreto-legge Bersani non è la risposta giusta. L'Italia produttiva, che non trova Pag. 69ascolto a sinistra e che non ha riferimenti nel Governo, rappresenta un nuovo e diverso blocco sociale, che vede insieme in un'innovativa alleanza chi prima era contrapposto nella visione marxista del conflitto di classe (imprenditori ed operai, manager ed artigiani, agricoltori, professionisti e commercianti). Nel Nord-Est è un'alleanza già ampiamente maggioritaria ed è significativa la difficoltà in cui versa la sinistra che cerca un dialogo in questo territorio senza comprenderne gli interessi e i valori. E nel resto del paese tale difficoltà emerge sempre più anche alla luce delle palesi contraddizioni delle recenti manovre economiche, apparse troppo vecchie e stantie, prive di un progetto, ancor prima che di una missione.
La nostra azione politica in economia tende ad unire l'Italia, che la sinistra vuole dividere e contrapporre, nell'alveo di un progetto di sviluppo naturale che veda insieme il blocco sociale e produttivo - che ha bisogno di più efficienza e meno lacci e lacciuoli, più servizi e meno assistenza - con il blocco morale e valoriale delle famiglie e delle persone che vogliono riaffermare le proprie radici culturali, e quindi la propria identità, sulla base di una prospettiva solidale, che trova nel volontariato uno strumento non a caso particolarmente vitale in alcune aree del paese. In questo contesto, vanno sostenute le proposte di revisione della struttura contrattuale e della retribuzione, sia nel comparto pubblico che in quello privato, per creare uno stretto collegamento tra alcune quote del salario e i risultati raggiunti con una nuova, moderna e più adeguata partecipazione agli utili. Questa non va assolutamente confusa con la cogestione (sul modello tedesco), ormai superata nell'attuale fase socio-economica, ma può essere lo strumento per l'apertura di nuovi spazi di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, nell'ambito del modello di governance duale previsto dalle direttive europee ed oggi recepito da noi grazie alla riforma societaria del Governo Berlusconi.
Questo è il modo per pagare meglio e produrre di più, ma anche per innescare una spirale positiva nella nuova fase del capitalismo italiano, affinché non si riduca a capitalismo familiare, ma, anzi, cresca nella direzione societaria attraverso il passaggio generazionale e l'accresciuta consapevolezza del ruolo del management. Va rilanciato il concetto di impresa come intrapresa comune, dove i datori di lavoro, manager e dipendenti vengono ugualmente responsabilizzati e coinvolti nell'obiettivo di aumentare produttività e competitività, anche per rendere l'impresa più flessibile nei suoi costi interni e nell'adattabilità alle variazioni del mercato. I tempi sono maturi per proporre al movimento sindacale uno scambio tra una maggiore partecipazione ed informazione nelle scelte e nei risultati aziendali, ed una contrattazione a livello di impresa e di territorio più libera dai vincoli del contratto nazionale. Lo Stato può intervenire per incentivare questo esito, riducendo le tasse e i contributi che gravano sulla parte della retribuzione che deriva da contratti aziendali legati alla produttività e sugli straordinari necessari per fronteggiare picchi di produzione. La nuova struttura della contrattazione e della retribuzione dovrebbe essere uno degli elementi costitutivi del nuovo patto per la competitività e lo sviluppo, che sindacati e Confindustria si ripromettono di realizzare e che non può essere ridotto ad un lodo esclusivo che tenga fuori dal tavolo, e quindi dalla porta, gli altri soggetti sociali che, nel frattempo, hanno affermato la loro sempre più ampia rappresentanza (artigiani, commercianti, agricoltori, manager, professionisti, piccoli e medi imprenditori).
La politica industriale deve agire in un contesto in cui si realizzi una vera e sana competizione, in un mercato che ha ancora bisogno di liberalizzazioni, non contro qualcuno ma a favore del sistema complessivo, soprattutto per far crescere la qualità dei servizi, vera lacuna del nostro sistema produttivo.
Quindi innanzitutto servono liberalizzazioni nelle utility, nei servizi, nel sistema bancario e assicurativo, nel campo energetico e in quello dei trasporti. Soprattutto, servono vere liberalizzazioni e veri Pag. 70risparmi in sede locale, laddove invece si è provveduto in senso inverso. Nel 1996, c'erano 30 aziende municipalizzate in forma di Spa; oggi ce ne sono quasi 900 e crescono ogni giorno, praticamente tutte sotto il controllo pubblico. Lo stesso vale per la pubblica amministrazione, ridottasi a livello centrale e cresciuta, anche sotto le mentite spoglie di società di scopo, in sede locale. A queste vanno aggiunte quelle statali, e così il numero si avvicina a 3 mila.
Il complesso giro di affari degli enti e delle imprese pubbliche operanti sotto forma di Spa in settori non certo strategici, quali trasporti, polizie urbane, energia, informatica, consulenza, bonifica ambientale, eccetera, naviga intorno ai 25 miliardi annui di trasferimenti totali dallo Stato e dagli enti locali. A questi si aggiungeranno quelli, cospicui, previsti dalla nuova finanziaria, che potranno arrivare alla bella cifra di 11 miliardi. È un neostatalismo dilagante, cui partecipano tutti gli enti, con lo scopo di affidare a questi organismi incarichi in house, evitando le gare e quindi distorcendo la concorrenza.
Si tratta di attività economiche scandalosamente fuori controllo. Gli enti locali scaricano i costi impropri della politica sulle società municipali, provvedendo poi ad immettere nuovi capitali - cioè denaro dei cittadini -, destinati alla dissipazione. Secondo stime della Confartigianato, la liberalizzazione dei soli servizi locali potrebbe consentire economie valutabili immediatamente in più di 750 milioni annui, favorendo efficienza ed abbassamento dei costi. È necessaria una forte spinta alla liberalizzazione, per favorire la concorrenza e i consumatori, evitando le distorsioni provocate da privatizzazioni guidate a favore di qualche isolato beneficiario privato. L'Italia è piena di queste cattive esperienze, che continuano ad essere perseguite, come potrebbe accadere anche con la nostra compagnia di bandiera.
Il Governo Prodi e il ministro Bersani si sono fatti paladini di una politica liberalizzatrice, alzando una bandiera che non appartiene loro. Non dobbiamo temere di scendere sul piano del confronto e neppure di subire una nuova guerra delle parole, peraltro prive di contenuti. La sinistra ha spacciato le deregolamentazioni per liberalizzazioni, abbassando la soglia dei servizi, peraltro senza intaccare i veri monopoli, ma anzi in alcuni casi liberando il campo da soggetti professionali, per favorire solo il sistema delle grandi cooperative: con quali vantaggi, è ancora tutto da dimostrare.
Alleanza Nazionale intende confrontarsi in Parlamento sulle proposte del Governo, in uno spirito costruttivo, pronto a denunciarne i limiti, ma anche a coglierne le opportunità. Ciò vale anche per la riforma degli ordini professionali, che è opportuna e necessaria. Certamente, è stato un errore non portarla a termine durante il Governo Berlusconi; tuttavia, è necessario preservare quei valori intellettuali e quell'autonomia e responsabilità professionale, che ha portato la stessa Unione europea ad escludere questo settore dalla direttiva Bolkestein. Le professioni, asservite a logiche di concorrenza indiscriminata, finirebbero per essere preda di grandi studi associati, più forti dal punto di vista finanziario, e di nuove forme di monopoli, tutt'altro che utili al cittadino consumatore. Tuttavia, avrebbero un effetto negativo anche sullo sviluppo complessivo della cultura, della tecnica e della ricerca nel nostro paese.
Il processo di riforma e di liberalizzazione va certamente realizzato, ma non può esser fatto come una nuova lotta di classe - consumatori contro commercianti e professionisti - e nemmeno in un'ottica di corto respiro elettorale. Deve essere il frutto di una politica condivisa e di autentiche riforme, che sappiano davvero rendere più competitivo e funzionale il sistema complessivo, aprendo nel contempo le porte ai più giovani e a chi voglia farsi largo nel mondo, con servizi più adeguati alle esigenze di una società dinamica e competitiva. Il disegno di legge Mastella sul riordino degli ordini professionali è seguito dal punto di vista cronologico al decreto Visco-Bersani e alla legge finanziaria e come cittadino parlamentare mi sento in dovere di criticare nel metodo Pag. 71e nella sostanza i passi compiuti dal Governo di sinistra in materia economica e fiscale. Trovo profondamente ingiusto che un intero comparto, che con quasi 2 milioni di rappresentanti costituisce la terza forza produttiva del paese, sia stato sistematicamente escluso dal tavolo della concertazione.
Voglio denunciare l'atteggiamento punitivo verso i professionisti da parte del Governo, molto attento invece alle richieste della triplice sindacale. Sembra quasi che Prodi, Visco e Bersani vogliano usare il fisco e lo strumento normativo come una clava contro i liberi professionisti.
Troppi soggetti sono esclusi dalla concertazione. Tra le categorie produttive - artigiani, commercianti, agricoltori, gran parte dei piccoli e medi imprenditori, certamente professionisti e manager - e tra le forze sociali emerge la consapevolezza che si tratta di un tavolo monco in cui mancano le nuove forme dell'associazionismo, del volontariato e del terzo settore. Manca, soprattutto, il blocco sociale che esprime l'Italia più dinamica. Esso non ha trovato espressione nel Governo, nella sua composizione politica e geografica e non trova ascolto nei tavoli che si moltiplicano ai margini dell'Esecutivo.
La sinistra sembra incapace di capire che, in questi anni, l'Italia è cambiata, che le forme di rappresentanza degli interessi legittimi sono in evoluzione, sono molte e diverse. E che dire ancora dei barbieri, dei panettieri, dei tassisti, dei benzinai, degli operatori delle scuole guida e degli edicolanti? Sono forse loro che attentano alla libera economia?
La sinistra italiana colpisce i padroncini per coprire la sua alleanza con i padroni veri e getta fumo negli occhi dell'opinione pubblica. I veri monopoli locali e non, come la grande distribuzione, in gran parte in mano alle cooperative rosse, e le grandi reti energetiche non vengono neppure sfiorate. La ricaduta delle misure contenute nel «pacchetto Bersani» in termini di competitività di sistema saranno praticamente nulle, perché vanno a colpire solo alcune categorie deboli, lasciando intatti i santuari dell'inefficienza che frenano lo sviluppo del paese; è un paese composto da cittadini e non da consumatori sprovveduti a cui vendere demagogicamente la modernità dell'abolizione della tassa sulle ricariche telefoniche o la possibilità di acquistare carburante nei centri commerciali.
Il cittadino non è solo un utente, un consumatore, come sembra essere il nuovo paradigma di una sinistra che non ha radici, ma è soprattutto portatore di valori. Non vive nel presente, ma è proiezione del passato e coscienza del futuro. Non può limitarsi a consumare secondo la logica del nuovo materialismo relativista, ma sente il bisogno di interagire con le nuove problematiche del suo tempo, coordinate, che lo fanno persona, ieri come oggi e domani. La persona, e non solo il consumatore, quindi, deve essere al centro dell'azione politica; parimenti, la famiglia e non le occasionali convivenze, l'impresa e non solo la finanza.
Come parlamentare piemontese, ricordo, inoltre, che con questo decreto il Governo ha pensato di risolvere le sue contraddizioni interne sulla TAV. I cantieri dell'alta velocità ferroviaria saranno bloccati tra l'esultanza della sinistra radicale. Infatti, con l'articolo 12 si annullano tutti gli affidamenti dei lavori alle imprese. Se, da un lato, era utile intervenire sull'aumento dei costi, in alcuni casi ingiustificato, è un'azione irresponsabile annullare tutti i contratti in essere. Si apriranno contenziosi infiniti che non solo ritarderanno i lavori, ma costeranno centinaia di milioni di euro allo Stato in risarcimenti.
Queste sono alcune delle motivazioni per cui i parlamentari di Alleanza Nazionale si esprimeranno fermamente contro la politica del ministro Bersani e del Governo Prodi in materia di pseudoliberalizzazioni (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, innanzitutto rilevo - già alcuni colleghi l'hanno fatto prima di me - Pag. 72l'anomalia dell'inserimento in questo provvedimento della materia scolastica. Ne abbiamo già parlato in Commissione e per quanto il nostro apporto sia stato, in qualche modo, significativo, di fatto siamo stati penalizzati, perché non abbiamo potuto discutere adeguatamente su un settore importante come questo, investito in particolare dall'articolo 13.
Senza entrare nel merito di altre parti del provvedimento che stiamo esaminando e sul quale si sono soffermati alcuni colleghi, vorrei sviluppare alcune considerazioni che riguardano proprio l'articolo 13, ma soprattutto l'impostazione di fondo che ci trova nettamente dissenzienti. L'impostazione è quella che concerne il ripristino tout court degli istituti tecnici e degli istituti di formazione professionale.
Siamo di fronte ad una vera e propria controriforma. Non che il termine sia disdicevole, in quanto la vera controriforma, a mio modo di vedere, è stata una cosa utilissima per la società, per l'Europa e per il nostro paese. Ma qui siamo di fronte ad una controriforma basata su pregiudizi e su considerazioni che non trovano un riscontro preciso negli orientamenti del paese, nella nuova dimensione culturale che caratterizza le giovani generazioni.
Senza spiegazione, vi è stato il ripristino di una divisione fra licei e istituti tecnici che oltretutto è contraddittoria rispetto alle motivazioni alla base del programma dell'Ulivo e soprattutto dello schieramento di centrosinistra.
Nella passata legislatura abbiamo mirato ad elevare la qualità degli studi, la capacità e la possibilità degli studenti di essere inseriti nel mondo del lavoro, cercando di collegare in una seria programmazione la cultura umanistica e quella scientifica. Il ripristino senza indirizzi precisi della vecchia ripartizione tra formazione liceale e quella tecnico-professionale non solo riproduce una divisione - consentitemi di usare questo termine improprio - «classista» della scuola secondaria superiore, ma ripropone uno schema in realtà ormai superato dall'intera società, senza indicare gli sbocchi e senza affrontare quegli elementi di novità che pure il passato Governo aveva con coraggio elaborato, individuato e proposto all'attenzione dell'opinione pubblica e soprattutto della scuola italiana. Mai come in questo momento essa ha bisogno di riforme serie, di programmi nuovi, di uscire da quel gretto conservatorismo che la caratterizza da sempre, e che è rappresentato dalla corporazione sindacale CGIL soprattutto, CISL e UIL, che mira a conservare una stratificazione di potere del corpo docente o dirigente, penalizzando i naturali destinatari, cioè gli studenti, e anche quella parte di docenti che si rendono conto della obsolescenza, della assurdità dell'attuale sistema scolastico italiano, basato sul monopolio statale della scuola e della pubblica istruzione.
La singolare contraddizione, e non a caso noi l'abbiamo riscontrata ed accentuata, presentando una serie di emendamenti insieme alla collega Aprea (già sottosegretario di Stato alla pubblica istruzione), è che questo provvedimento, e soprattutto l'articolo 13 in materia scolastica, inserito in un disegno molto più ampio volto alle liberalizzazioni, non affronta assolutamente il tema della liberalizzazione. Viviamo in uno strano paese in cui si può parlare di presunte liberalizzazioni nel settore economico e in quello riguardante determinate corporazioni, ma quando si tratta di affrontare il tema della scuola risorgono i vecchi spiriti risorgimentali, laicisti, ghibellini e la liberalizzazione in campo scolastico viene o camuffata sotto mentite spoglie o non posta affatto in essere.
Ritengo che un atto di coraggio e di coerenza con i presupposti sottesi al provvedimento in esame sarebbe stato necessario, e soprattutto all'insegna di una maggiore libertà di scelta dei genitori e delle famiglie nell'individuare il tipo di formazione e di educazione da riservare ai propri figli, cioè la riproposizione, come accade in altri paesi dell'Unione europea, di un modello formativo per la scuola italiana, basato sulla competizione di proposte educative diverse, all'interno di un quadro comune definito dallo Stato, ma Pag. 73lasciate alla scelta degli utenti, degli studenti e delle famiglie. Noi invece ci troviamo prigionieri di un modello giacobino, statalista, che lascia il tempo che trova e che di fatto non produce alcun risultato significativo, stante anche le statistiche europee che non danno un giudizio particolarmente significativo della scuola italiana.
Anche uscendo da questo aspetto, che pure è importante, rilevante, significativo, ed è quello che dà dignità ad un paese, occorre dire che la libertà non deve essere vista soltanto in certi settori, ma è qualcosa di prezioso che accomuna tutti i settori della società civile, mentre pregiudizialmente, in questo caso, viene esclusa da un settore importante come quello della cultura, della scuola e dell'educazione.
La vostra contraddizione, cari colleghi della maggioranza di sinistra-centro, è che nemmeno all'interno del comparto statale e del sistema pubblico di istruzione avete avuto il coraggio di differenziare l'intervento dello Stato, per quanto riguarda la qualità delle prestazioni dei docenti e dei dirigenti scolastici. Non ci sono misuratori efficaci della qualità della prestazione di queste persone, che sono essenziali all'interno di una scuola moderna.
Questo è un sistema omologato al basso con una proletarizzazione del corpo docente spaventosa, perché è funzionale agli obiettivi di rendita di posizione della sinistra e di parte del sindacato, ma, di fatto, sta facendo morire la scuola italiana statale, da voi tanto amata, perché non è in grado di premiare, al suo interno, quegli insegnanti che veramente svolgono l'opera di educatori, proponendosi obiettivi formativi seri e mantenendosi costantemente in contatto con l'evoluzione della società e con le più moderne correnti culturali. Ebbene, questi insegnanti non hanno la possibilità di vedere riconosciuto il loro ruolo, dato che sono omologati a tutti gli altri. Questa è un'altra singolare contraddizione che devo ribadire.
Ritengo, inoltre, che debba essere mossa un'altra obiezione per il fatto che, in questa proposta, manca il coraggio di osare, rendendola realmente innovativa, ad esempio, per quanto riguarda i contributi alle singole scuole. Dobbiamo ammettere che è un passo in avanti la possibilità di detrarre singoli contributi versati alle scuole per iniziative di vario tipo o per l'arricchimento dell'offerta formativa, per opere edilizie e quant'altro. Non si capisce, però, l'esclusione a priori dall'indirizzo della scuola medesima di chi ha versato un determinato contributo, quasi a voler annullare, con questo provvedimento, un effetto positivo quale è la donazione di un contributo. Credo siano emblematici l'esempio degli Stati Uniti d'America o quello britannico: coloro che effettuano donazioni particolarmente significative hanno il diritto di sedere nei consigli di amministrazione delle singole scuole, non in modo determinante, ma è riconosciuto loro il diritto di far sentire la propria voce sulla base di alcune opzioni precise e definite.
L'anomalia di questo provvedimento è, anzitutto, il limite dei settantamila euro annui e, in secondo luogo, il voler restringere e stabilire il limite dei duemila euro finalizzati alla defiscalizzazione, senza andare oltre e senza porsi il problema conseguente alla defiscalizzazione stessa.
Su tale argomento sarebbe stata opportuna una discussione molto più approfondita in Commissione, dal momento che esso riveste importanza, capacità e potenzialità innovativa altamente significative. L'ho detto al ministro anche in altra sede: di fatto si può introdurre, all'interno del meccanismo statale scolastico italiano, un grimaldello che, come minimo, può inserire elementi di pluralismo. Tutto questo, però, si deve verificare previo confronto in Commissione e previa valutazione degli obiettivi. Si ha quasi l'impressione (si pensi all'accenno alle fondazioni, timidamente ritirato dal ministro Fioroni, evidentemente pressato dagli ultimatum della sinistra presente nel Governo) di una presa in giro, essendo queste donazioni circondate da tante e tali cautele che ne annullano l'efficacia.
Ripeto che questo è un provvedimento che, in sé, aveva qualcosa di innovativo, Pag. 74ma doveva essere suffragato da tutta una serie di condizioni che ne garantissero il risultato effettivo.
Tutto ciò non c'è stato perché evidentemente le costanti ambiguità della sinistra-centro, che determina gli assetti di questo Governo, hanno imposto un ultimatum al ministro stesso, definendo una iniziativa che non ha né capo né coda, che parte da alcuni presupposti buoni in sé, ma finisce per aggravare i medesimi, per condizionare il provvedimento e per annullarlo totalmente. Si tratta di un esempio di eterogenesi dei fini: in questo caso, si potrebbe parlare di una voluta eterogenesi dei fini rispetto agli obiettivi iniziali.
Anche in tale contesto, quando si fa riferimento all'esclusione dal divieto per coloro che hanno effettuato una donazione per un valore non superiore a duemila euro in ciascun anno scolastico di partecipare ad un ruolo di coordinamento e di direzione nelle istituzioni scolastiche, mi pare che ciò non sia giustificato, in quanto rientra nella logica che mira a destituire di ogni presupposto significativo un provvedimento come questo che in sé e per sé avrebbe invece degli elementi positivi.
Tornando al discorso iniziale, credo che il ripristino tout court degli istituti tecnici e professionali senza porsi il problema di qual è oggi la cultura tecnica e professionale presente nella scuola italiana, senza porsi il problema di un'analisi comparata del sistema tecnico-professionale presente in altri paesi europei, senza porsi il problema di un ingresso di questi studenti nel mondo del lavoro, che non sia soltanto finalizzato ad una conoscenza di base della cosiddetta cultura tecnica, ma che sia accompagnato da una competenza in altri settori che garantiscano ai nostri studenti la possibilità di andare oltre determinati obiettivi fissati nella scuola secondaria superiore, non depone sicuramente a favore di questo provvedimento affrettato, incongruo, privo del necessario confronto in Commissione e, in ultima analisi, superato dall'evoluzione della nostra società.
Tutto ciò mi fa venire in mente la distinzione, presente nella scuola media, fra scuola media e scuola di avviamento professionale. Sembra un paradosso, ma è proprio così: il Governo di sinistra-centro reintroduce la vecchia distinzione a livello di scuola secondaria superiore fra licei e istituti tecnici, quando una passata riforma della scuola media investì il sistema della scuola dell'obbligo, unificando la scuola media e la scuola di avviamento professionale. Non mi pare che sia una buona conclusione. È questa anche una delle ragioni di fondo della nostra contrapposizione e della nostra contrarietà ad un provvedimento privo di ogni logica, privo di una sua intima natura che possa essere percepita dagli utenti e dai diretti destinatari e che soprattutto non qualifica questo decreto-legge come un progetto volto alla liberalizzazione (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leo. Ne ha facoltà.
MAURIZIO LEO. Grazie, Presidente. Definire il decreto-legge in esame un provvedimento sulle liberalizzazioni è un eufemismo, perché le vere liberalizzazioni, come hanno ricordato i colleghi che mi hanno preceduto, riguardano altri comparti. Esse riguardano il comparto dell'energia ed il comparto dei servizi pubblici locali. È proprio in quel settore che bisogna liberalizzare e privatizzare, come insegnano gli economisti.
Sui servizi pubblici locali va ricordato che la spesa pubblica generale - si tratta di dati ricavabili da quotidiani specializzati - si attesta al 48,5 per cento del prodotto interno lordo. Quindi, la ricetta consigliata dagli economisti è quella di intervenire per migliorare il rapporto qualità-prezzo nella fornitura di servizi in modo da far crescere la competitività delle imprese e, contestualmente, del sistema paese. Tuttavia sul settore dei servizi pubblici locali nulla è stato fatto.
Alleanza Nazionale aveva proposto di far confluire nel decreto Bersani-bis anche il disegno di legge Lanzillotta, nel quale sono contenute una serie di misure che Pag. 75avrebbero sicuramente dato un segnale diverso al mondo dei consumatori, ma così non si è fatto. Addirittura, è stato ritenuto inammissibile far confluire queste disposizioni nel provvedimento al nostro esame.
Ritornando sul punto, vale a dire i servizi pubblici locali, teniamo presente che la spesa ormai è fuori controllo. Se ci riferiamo ad un articolo comparso su Il Sole-24 Ore dello scorso 25 gennaio, rileviamo che la spesa degli enti pubblici centrali e territoriali si attesta a 39 miliardi di euro. La maggior parte di questa cifra, che rappresenta circa l'86 per cento della spesa pubblica complessiva, finanzia i trasporti. Inoltre, si hanno 3,7 miliardi di euro ed infine, sui servizi pubblici, 4 miliardi di euro. Ci sono poi i contributi alle Ferrovie dello Stato per 2 miliardi di euro e alle municipalizzate per 7,5 miliardi di euro.
Alcuni centri studi, in particolare quello di Confartigianato e l'Istat, hanno quantificato in circa 1 miliardo l'anno il risparmio per i privati consumatori conseguente ad un'attenta ed adeguata politica di liberalizzazione.
Un ulteriore, ingente freno per la crescita del paese è rappresentato... Presidente, rilevo che al banco del Governo non è presente...
PRESIDENTE. Ha ragione...
MAURIZIO LEO. Ecco, me ne compiaccio. Un ulteriore, ingente freno per la crescita del paese è rappresentato dai costi dell'energia. Nel settore l'ENI e l'ENEL la fanno da padroni, praticando prezzi da monopolisti, vale a dire più alti che in un regime di libera concorrenza. Su tali questioni la «lenzuolata» del ministro Bersani non sortisce alcun effetto, non intervenendo sugli aspetti nevralgici delle liberalizzazioni.
Come si interviene invece con questo provvedimento? Innanzitutto sui costi fissi per la ricarica dei telefonini. A ben vedere, su queste tematiche Alleanza Nazionale ha svolto una proficua azione: con un'interrogazione parlamentare ha apposto all'attenzione questi aspetti e ha anche messo in evidenza che la misura adottata è in qualche modo volta a depotenziare, a commissariare la competente autorità, l'Agenzia per le comunicazioni, alla quale spetta il compito di regolare il mercato. Poi, bisogna vedere se questa misura sui costi fissi di ricarica avrà un effetto sulla riduzione del prezzo, per quanto attiene ai consumatori. Infatti, in buona sostanza, questi costi fissi non più applicabili si scaricheranno sulle tariffe. Questa non è una considerazione che fanno i parlamentari di Alleanza Nazionale o della maggioranza, ma è una considerazione che emerge dalle rilevazioni del Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Commissione bilancio.
Altrettanto significativo è l'intervento sulle tariffe aeree. La loro trasparenza è auspicata da tutti ma, in buona sostanza, questa misura è già contenuta nella normativa sulla pubblicità ingannevole.
Infine, un altro tema sul quale occorre porre attenzione è quello delle assicurazioni. In proposito si ritorna alla possibilità da parte dell'agente di non avere più l'esclusiva con una compagnia di assicurazione: da oggi, questa figura può presentare diversi prodotti assicurativi. In merito a questo tipo di intervento capiamo bene che l'agente di assicurazioni promuoverà il prodotto assicurativo che è per lui più remunerativo e dal quale conseguirà maggiori provvigioni.
Vorrei focalizzare la mia attenzione su un tema che secondo me è fondamentale: lo start-up e l'avvio delle attività imprenditoriali. Nel provvedimento si dice che vengono introdotte una serie di misure volte ad agevolare l'avvio di attività imprenditoriali. Tuttavia, è da notare che il Governo non sa quello che ha fatto qualche mese fa, nella legge finanziaria e nel cosiddetto decreto Visco-Bersani. Infatti, sulla base di questi due provvedimenti le imprese di nuova costituzione devono essere penalizzate. Dunque, da una parte si parla di semplificazione, mentre, dall'altra, con provvedimenti adottati qualche mese fa si prevedono penalizzazioni. Di cosa stiamo parlando?Pag. 76
Si tratta di penalizzazioni sul versante fiscale, perché l'impresa di nuova costituzione deve essere sottoposta a controlli IVA molto più puntuali. Inoltre, è previsto un aspetto a dir poco esilarante perché l'impresa che si va a costituire deve essere sottoposta ad un accertamento e ad un controllo particolari sulla base di determinati indicatori di normalità economica. Pertanto, un'impresa che inizia a svolgere la sua attività rischia di essere immediatamente sottoposta ad accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza perché non ha rispettato determinati parametri ed indicatori di normalità economica.
Voglio leggere un passo della relazione ministeriale sulla legge finanziaria, a dir poco esilarante. Si parla di imprese di nuova costituzione, quindi di imprese che in qualche modo si vogliono tutelare con il decreto sulle liberalizzazioni. Nella relazione di accompagnamento alla legge finanziaria viene evidenziato che la previsione di nuovi indicatori per le imprese di nuova costituzione, quelle che si avviano all'attività, si giustifica per il fatto che una quota significativa di esse risulta inattiva dopo meno di un anno dall'inizio dell'attività stessa. Inviterei allora il Governo a riflettere su quanto scrive. È possibile pensare che l'impresa appena costituita possa conseguire subito ricavi? Proprio nella fase di start up esiste un momento in cui i costi prevalgono rispetto ai ricavi. Invece, secondo la legge finanziaria bisogna subito conseguire ricavi. Pertanto, l'imprenditore, non appena stipulato l'atto costitutivo di società davanti al notaio, deve contabilizzare e dichiarare nei registri contabili centinaia di migliaia di euro.
Tuttavia, l'aspetto ancora più divertente è quanto continua ad essere scritto nella relazione ministeriale. Sempre per le imprese di nuova costituzione si precisa che esse dichiarano sovente livelli di ricavi relativamente inferiori a quelli medi dichiarati dalle società appartenenti a settori economicamente omogenei, che sono operative da lunghi periodi. Se una società inizia la propria attività, è chiaro che avrà meno ricavi rispetto ad un'altra che la svolge già da un lungo lasso di tempo. Sono queste le considerazioni contenute nella relazione ministeriale di accompagnamento alla legge finanziaria. Come si conciliano con quanto contenuto nel decreto Bersani?
Ho fatto solo brevi cenni sul contenuto di questo provvedimento. Norme ancora più gravi sono previste nell'altro disegno di legge che di qui a poco esamineremo. Mi riferisco all'ulteriore disegno di legge sulle liberalizzazioni, dove addirittura si scrive che il ruolo dei mediatori immobiliari non esisterà più e che bisogna abolirlo. Come si possono conciliare queste affermazioni con quanto contenuto nel decreto Visco-Bersani e nella legge finanziaria, dove è scritto che gli atti di compravendita immobiliare non possono essere stipulati o che ad essi - se stipulati - si applicano imposte maggiorate, laddove intervenga un mediatore immobiliare non qualificato e non iscritto nell'albo? Anche in questo caso la mano destra non sa quello che fa la sinistra.
Ci troviamo in un momento legislativo in cui vi è totale confusione. Questo ci amareggia e ci dispiace perché l'obiettivo è quello di tutelare i consumatori. Quindi, non si può parlare tanto di «lenzuolate», quanto di «sceneggiate». Questi sono i provvedimenti all'esame e sono delle vere e proprie sceneggiate. Si tratta di una sorta di «effetto placebo» che si vuole somministrare ai consumatori per dimostrare loro che si vogliono ridurre i costi e le spese. Tuttavia, in buona sostanza si rende loro ancora più complicata la vita e non si aiutano né le imprese né i consumatori stessi (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Osvaldo Napoli. Ne ha facoltà.
OSVALDO NAPOLI. Signor Presidente, il mio intervento è pieno di amarezza e di grande delusione per un'altra occasione perduta. Mi rivolgo ai colleghi perché dobbiamo ricordare quando è nato il primo provvedimento, il cosiddetto Visco-Pag. 77Bersani. Esso è nato di notte, quasi ad opera di una loggia di carbonari. Si tratta di un decreto-legge scritto di notte per paura del confronto istituzionale con le categorie interessate ed anche con gli enti locali.
Il Governo Berlusconi per cinque anni è stato accusato di mancanza di metodo e di concertazione. Ricordo che Bersani, ancora oggi ministro, che ha anche ricoperto la funzione di presidente della regione Emilia-Romagna, affermò testualmente: «Le regole non si concertano»
Devo dire agli amministratori, specialmente a quelli presenti tra i banchi del centrosinistra, che è vero che la concertazione avviene con le categorie a ciò preposte, con i sindacati, avviene con la Confindustria, ma non avviene con le istituzioni periferiche. Le istituzioni periferiche, però, onorevoli colleghi, hanno una partecipazione diretta nell'iter di una legge, perché sono parte integrante delle istituzioni stesse e debbono dare i giusti consigli affinché le leggi vengano fatte bene. Vi è una grande differenziazione e certo è preoccupante se oggi il sindaco Dominici afferma testualmente, nei confronti di Padoa Schioppa - cui se chiedo quale sia la differenza tra una delibera e del determina certamente non saprebbe rispondermi - che con il Ministero dell'economia, ad esempio, ha avuto la sensazione di un rapporto gerarchico.
Ebbene, c'è da chiedersi: forse i taxi non riguardavano gli enti locali? Forse le farmacie non riguardavano gli enti locali? Forse i panificatori non riguardavano gli enti locali? Forse i parrucchieri - il lunedì, il martedì, il venerdì - non riguardavano gli enti locali? E, poi, permettetemi un altro esempio: la benzina. Non sono di quelli contrari perché la distribuzione della benzina vada anche ai grandi supermercati - certamente favorendo la Coop, va bene anche questo -, ma c'è un discorso molto chiaro da fare in merito: perché nei grandi supermercati la benzina dovrebbe costare 15 centesimi in meno rispetto agli altri distributori? Una persona che abita a quaranta chilometri di distanza da un grande supermercato, che vive spesso in situazioni disagiate, in montagna, farebbe quaranta chilometri per fare il pieno perché costa di meno? Ma qual è la differenziazione nel comprare a 15 centesimi in più? Ma quale rispetto avete voi nei confronti di chi vive in tali zone, in maniera disagiata? Perché fate una differenziazione, se non vi sono interessi ben precisi? Ebbene, onorevoli colleghi, voglio fare un altro riferimento: quest'oggi sento parlare di immigrazione, di mutamento della normativa.
Onorevoli colleghi, io sono uno che si chiama Napoli, i miei genitori sono arrivati nel 1938 a Torino, non avevano nemmeno le borse, avevano i sacchi e, quindi, sono comprensivo e più che mai aperto al discorso dell'immigrazione, ma voglio fare un certo tipo di ragionamento: se voi non concordate la nuova legge con gli enti locali periferici, di cosa si faranno carico gli stessi enti locali periferici? Dei buoni mensa? Dei buoni scuola? Dei buoni trasporto? Delle aule per le scuole materne? Delle aule per gli asili nido? Della spesa sociale per il ricongiungimento? Delle abitazioni?
Ci vuole, anche su questo provvedimento, la partecipazione degli enti locali periferici, altrimenti si corre il rischio di penalizzare e di fare in modo che i comuni aumentino l'imposizione fiscale. Crediamo, infatti, che non sia più rinviabile affrontare temi quali la semplificazione dei livelli di Governo, i costi della politica, l'attuazione delle riforme istituzionali e del federalismo fiscale.
Onorevoli colleghi, per capire la bontà delle misure contenute in questo provvedimento occorre considerare quanto è successo al primo decreto Bersani, ossia a quella normativa che prevedeva la liberalizzazione dei farmaci, delle professioni, dei taxi. Un dossier realizzato dal Governo parla di tante belle iniziative, ma non di un dato concreto, non di un risultato positivo. Per quanto riguarda i taxi, vi sono stati molti protocolli di intesa nelle grandi città, molte delibere di programmazione, ma, come affermato dallo stesso ministro, nel corso di una conferenza Pag. 78stampa, un paio di mesi fa, sull'attuazione del primo «pacchetto» di liberalizzazioni, nulla, men che meno! È colpa di questo Governo, che non ha il coraggio di fare liberalizzazioni vere, quelle che modernizzano il paese.
Veniamo ora alla «lenzuolata» di Bersani, che tenta di far passare la linea dello sviluppo e della crescita economica con un provvedimento demagogico e pressoché inutile. Cari colleghi, non si governa con gli spot demagogici: si governa con le politiche di sviluppo serie, con misure strutturali che sappiano rilanciare l'economia e non mi pare che tali misure siano contenute in questo secondo «pacchetto» Bersani. Le liberalizzazioni sono sempre positive, ma quelle proposte sono quelle giuste? Sono l'apertura il lunedì dei barbieri o degli estetisti, la liberalizzazione delle imprese di pulizia, le incentivazioni sulla rottamazione degli autoveicoli le liberalizzazioni di cui ha bisogno il paese? Il nostro gruppo ritiene che il paese abbia bisogno di semplificazione, di concorrenza vera del mercato, di infrastrutture, di liberare risorse per gli investimenti delle imprese. Questo Governo, invece, aumenta la tassazione, disunendo la libertà di iniziativa economica di individui e di imprese.
Se fosse davvero un Governo liberalizzatore, allora dovrebbe accelerare il percorso del disegno di legge sulla liberalizzazione dei servizi pubblici. Come diceva bene il collega Leo, occorre aumentare la concorrenza, garantendo in ogni caso gli investimenti fatti dai comuni in questi anni nel settore delle pubbliche utility.
I servizi pubblici locali registrano un fatturato di 22 miliardi di euro l'anno, un prodotto interno lordo che incide sul prodotto per 1,80 per cento, un numero di addetti pari a 160 mila con un investimento annuo di 5 miliardi di euro, ma nulla è stato fatto su questo versante.
Così si assiste all'assurdo. La liberalizzazione del gas è ferma e, nel frattempo, il ministro Bersani dà il via alla borsa del gas; non è tutto un po' assurdo? Evidentemente, ci voleva un altro Governo!
Leggevo oggi le dichiarazioni del sindaco Chiamparino che, con un duro attacco al Governo - sia attraverso il comportamento dello stesso Esecutivo in termini amministrativi e di finanza locale, sia in termini politici -, attacca Prodi.
Devo fornire una risposta all'amico Chiamparino: il Governo non governa! Privo com'è di una maggioranza, Prodi non può affrontare i problemi, perché qualunque risposta ad essi metterebbe a rischio la maggioranza! Il Governo può solo rincorrere i problemi e in modo affannoso.
Gli amministratori locali si sentono trascurati, ridotti al ruolo di intendenza, chiedono a Prodi di essere ascoltati, ma non possono ignorare che Prodi i voti li prende in Parlamento. Torino, che è anche la mia città, ha subito un taglio di 120 milioni di euro e gli enti locali periferici da questa finanziaria hanno subito una taglio di 2 miliardi 600 milioni di euro. E poi lo stesso Governo, attraverso il ministro Visco, ha accusato i comuni periferici in riferimento all'IRPEF che è stata introdotta in finanziaria (proposta da questo Governo) per sopperire alla differenziazione di trasferimento agli enti locali.
Tutto viene giustificato con la necessità di procedere ad una grande redistribuzione dei redditi, che non c'è stata, come ha riconosciuto lo stesso segretario della CGIL, Epifani, quando ha lamentato la decurtazione delle buste paga di lavoratori che guadagnano appena 1.200-1.300 euro.
Prodi ha avvelenato i pozzi durante la campagna elettorale promettendo di tutto e di più e, ora che ritorna sui suoi passi, è costretto ad attingere acqua da quegli stessi pozzi. È la fine di un apprendista stregone che rimane vittima del suo stesso sortilegio. Prodi ha un solo motto: durare tutto, governare niente!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Presidente, questa sera siamo deputati... Magari, se fosse Pag. 79stato un altro giorno, saremmo stati onorevoli; si cambia di giorno in giorno!
Al di là di ciò, mi dispiace che non sia più presente il ministro Bersani - che, oltre che essere emiliano, è anche un uomo di mondo -, il quale avrebbe convenuto con me e con molti altri colleghi che questa è non una «lenzuolata», ma al massimo è un fazzoletto. Eppure, in questo fazzoletto riusciamo ad inserire tante cose che, a mio avviso, fanno disastri. Non lo dico io, ma le associazioni di categoria, che hanno avuto modo di notare ciò anche meglio di noi.
Signor Presidente, vorrei segnalare che già da due legislature esiste il Comitato per la legislazione che, con riferimento al presente decreto-legge, ha formulato 18 osservazioni di merito, sostenendo che è scritto - mi scusi il termine - da cani. Mi chiedo a cosa serva istituire un organo come il Comitato per la legislazione se poi non ne vengono assolutamente osservati i suggerimenti.
Non solo. Che questo decreto-legge sia fatto male lo dicono anche le Commissioni: la II Commissione ha predisposto sei osservazioni al provvedimento; la V Commissione ne ha evidenziata una; la VI Commissione cinque; la VII Commissione nove; l'VIII Commissione quattro; l'XI Commissione cinque; la XIII e la XIV Commissione ne hanno presentata una ciascuna. Dunque, le Commissioni di merito prendono atto che questo decreto-legge, che doveva essere un lenzuolo ma è solo un fazzoletto, non sta in piedi; anche perché non ho mai visto arrivare la rivoluzione delle liberalizzazioni attraverso l'apertura il lunedì dei saloni delle estetiste!
Ma, al di là di questo, vorrei continuare a trattare argomenti abbastanza concreti. Osservo che vi sono alcune questioni di fondo ancora irrisolte, anche per responsabilità di questa Presidenza della Camera. Mi si dica, infatti, quali sono, in base al dettato costituzionale, i presupposti di straordinarietà ed urgenza del decreto-legge in esame, poiché non vi è contenuto alcun intervento straordinario ed urgente!
Come mai, ad esempio, non sono state ascoltate le regioni, dal momento che quasi tutte le misure interessano le loro competenze? La Conferenza Stato-regioni si è riunita ed ha protestato per questa esclusione, ma poiché bisognava assolutamente giungere all'esame dell'Assemblea, si è varato lo stesso il provvedimento!
Ma quali sono i suoi contenuti? Ricordo che vi sono misure che non c'entrano nulla con la decretazione d'urgenza. Mi riferisco, ad esempio, all'articolo 12, con il quale vengono revocate le concessioni per l'alta velocità ferroviaria. Ci rendiamo conto delle conseguenze che potrà produrre un atto come questo? Quanti ricorsi saranno proposti? Con quale ritardo queste opere pubbliche saranno portate a compimento? Quanto costeranno di più? Qualcuno deve assumersi tale responsabilità, dopo avere affermato che da quindici anni non si realizzano più tratte dell'alta velocità!
Ciò è stato deciso soltanto perché, come sempre, bisogna tenersi buona una parte della maggioranza: mi riferisco ai Verdi, che non vogliono l'alta velocità e fanno perdere altro tempo. Ricordo, al riguardo, che se non verrà realizzata l'alta velocità ferroviaria in Piemonte, a settembre si perderanno i contributi dell'Unione europea!
Forse bisognerebbe raccontare tutto ciò alla gente! Infatti, quei pochi che seguono le vicende parlamentari si illudono che quello in esame sia il decreto-legge che elimina i 5 euro della ricarica dei telefonini! Non so se i colleghi della maggioranza leggano le e-mail spedite dai cittadini, perché, se le leggessero, scoprirebbero quante sono, in questi giorni, le persone incavolate - mi si passi il termine - che denunciano i trucchi che sono stati adoperati dalle società telefoniche!
Tali società, infatti, in pochi giorni hanno aumentato i costi delle telefonate, dal momento che, con la scusa di eliminare i famosi 5 euro di ricarica, hanno cambiato i propri piani tariffari, sovente senza che neanche i cittadini lo sapessero!
Imputo al precedente Governo di centrodestra la colpa di non avere varato Pag. 80liberalizzazioni sufficienti; tuttavia, non venite a raccontarci che quelle in esame sono vere liberalizzazioni, perché ciò significa prenderci in giro a vicenda! A prenderci in giro io non ci sto, come ha detto un mio conterraneo molto più famoso di me; vedremo, poi, se continuerà a starci il senatore, nonché Presidente emerito della Repubblica, Scàlfaro, con certe votazioni sui Dico al Senato (volevo dirlo anche se non c'entra niente, e chiudo qui la parentesi)!
Vorrei poi evidenziare un aspetto veramente rilevante relativo alla questione degli artigiani, i quali, di fatto, sono abbastanza «sul piede di guerra». Ricordo che ho seguito le loro vicende anche in qualità di amministratore locale: attualmente, infatti, sono previste distanze minime per poter aprire, ad esempio, laboratori di estetista.
Tenete presente che, negli ultimi cinque anni, le imprese in tale settore sono aumentate in misura maggiore rispetto alla media complessiva. Infatti, dal 2000 le nuove imprese sono aumentate di circa il 14,5 per cento: quindi, non si può dire che si impedisca di aprire nuove attività.
Detto ciò, vorrei far presente che, saltando tutte le imprese composte da un basso numero di dipendenti, verranno costituiti grandi gruppi, i quali, all'interno dei centri commerciali, apriranno grandi esercizi (come solarium e via dicendo). Ciò comporterà una diminuzione dell'occupazione nel settore, perché, ovviamente, andranno in crisi tutte quelle piccole imprese che, teoricamente, la sinistra vuole difendere, ma che, nei fatti, non tutela!
Vorrei ricordare che, nell'ambito dei precedenti decreti Bersani della XIII legislatura, erano previste misure per accompagnare i lavoratori che perdevano il posto; questa volta, tuttavia, non è contemplato nulla, come sottolineato dalle associazioni di categoria. Ciò nonostante, il provvedimento in esame produce, alla fine, più danni che vantaggi. Vorrei infatti osservare che, se oggi qualcuno desidera intraprendere un'attività da estetista, non incontra grosse difficoltà, perché basta iscriversi nel registro delle imprese ed aprire l'esercizio!
Giungo rapidamente alle conclusioni, signor Presidente, perché non voglio sottrarre tempo ai colleghi e l'ora è ormai tarda. Vorrei rappresentare che rimango veramente esterrefatto quando sento parlare, sulla stampa o nelle televisioni, delle liberalizzazioni introdotte dal decreto-legge in esame. Sei mesi fa, nel cosiddetto primo decreto Bersani erano effettivamente contenuti alcuni aspetti contestabili; questa volta, invece, affermare che si tratta di una «lenzuolata» di liberalizzazioni è veramente prendersi in giro!
Allora, in questo caso non è importante starci o meno, poiché si stanno sicuramente imbrogliando gli italiani! Infatti, il decreto-legge in esame non possiede i presupposti di necessità ed urgenza e la Presidenza della Camera avrebbe dovuto intervenire per sottolineare che il Presidente della Repubblica non può far passare in silenzio queste cose; altrimenti, si possono varare provvedimenti d'urgenza su tutto soltanto per espropriare il Parlamento! Se poi il Parlamento discute per due giorni, dal momento che il decreto-legge rischia di decadere, qualcuno magari porrà la questione di fiducia!
Ritengo che non sia un modo appropriato di legiferare, e ricordo che lo ha scritto lo stesso Comitato per la legislazione! Il Governo, dunque, dia delle risposte, perché questo comunque, anche tecnicamente, è un testo legislativo che rappresenta un obbrobrio e che non rispetta i regolamenti parlamentari (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Constato l'assenza della deputata Castellani, che aveva chiesto di parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare il deputato Consolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, leggendo il titolo del disegno di legge in questione, apprendiamo Pag. 81che si tratta di una conversione in legge del decreto-legge recante misure «urgenti» - udite, udite! - per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese.
Ebbene, Presidente, colleghi, devo denunciare nuovamente, con fermezza, la palese violazione che questo Governo sta ponendo in essere dell'articolo 77 della Costituzione. Se, infatti, si considera quanto prevede la nostra Carta fondamentale ci si rende conto che il decreto-legge può essere adottato soltanto in casi di effettiva urgenza; l'esempio fatto sui libri di scuola è quello di una calamità naturale, occorrenza nella quale, non essendoci tempo per legiferare in via ordinaria, si ricorre allo strumento in esame. Ma dove, in questo caso, si può ravvisare l'urgenza, atteso che si «colpiscono» i parrucchieri, le estetiste, i tassisti (peraltro, già colpiti)?
Il collega Zacchera ha sottolineato le incongruenze del decreto, inspiegabilmente trascurate, poi, anche nelle fasi dell'iter di conversione.
Inoltre, signor Presidente, si tratta di un decreto scritto veramente male; se prendiamo in considerazione l'articolo 8, che prevede la portabilità del mutuo, ci accorgiamo che chiunque si rechi in banca nell'87 per cento dei casi non potrà avvantaggiarsi (come ha osservato il collega della Lega dianzi intervenuto) di tale prevista portabilità, vale a dire, non potrà trasferire il suo contratto ad un altro istituto; ma cosa succede all'istituto che in tal caso avrà rifiutato quanto previsto legittimamente da un decreto? Niente. Infatti, nel provvedimento in esame, ci si è dimenticati di prevedere la sanzione: ma vi sembra serio tutto ciò?
E poi, queste liberalizzazioni! Questo è un Governo che ha poca memoria, e un Governo che ha poca memoria fa poca strada: è sicuro! Ricordate il Governo Amato? Mi riferisco non all'Esecutivo del 2000-2001 - allora, peraltro, sostituiste persino Amato, oggi titolare di uno dei dicasteri più importanti - ma al Governo del 21 giugno 1992, che rimase in carica fino al 28 aprile del 1993. Ebbene, quel Governo Amato varò un colossale provvedimento di privatizzazione; ma si trattò - come poi dichiarò non Giuseppe Consolo, ma il giudice delle leggi - di un provvedimento assolutamente vuoto di contenuti, tanto è vero che fu coniato, dalla Consulta, con la famosa sentenza del dicembre 1993 - era allora presidente della Corte il professore Baldassarre -, il termine di privatizzazione 'formale' e non sostanziale. Cosa aveva fatto il Governo Amato? Aveva messo un vestito, un guscio, un gheriglio, un'uniforme, una corazza a taluni enti pubblici, dichiarando che da quel momento, divenuti società per azioni, sarebbero stati privati.
Ma ci rendiamo conto di quanto fasulle fossero quelle privatizzazioni? Naturalmente, uno degli organi preposti al controllo - mi riferisco alla Corte dei conti - sollevò conflitto di attribuzioni perché, trattandosi di enti ormai privatizzati, non era stata più prevista, ai sensi dell'articolo 100 della Costituzione, la presenza del magistrato contabile negli organi di amministrazione delle nuove Spa.
In realtà non vi è nulla di privato. È sufficiente pensare all'Alitalia, all'Enel, all'ENI, tutte società formalmente private, ma sostanzialmente pubbliche. Ciò che si sta realizzando, ora, con le liberalizzazioni è lo stesso. Perché, se si vogliono realizzare «vere» liberalizzazioni, non si liberalizzano le aziende municipalizzate, le aziende produttrici di energia elettrica, settori che hanno dietro interessi forti? Questo non è un Governo di sinistra ma un Governo «sinistro», che non riesce ad affrontare con serietà i problemi del paese, ma sa soltanto inasprire la pressione fiscale e se la prende con il cittadino medio, che non fa parte delle cooperative.
Vi sarebbe molto altro da dire, come ciò che è stato compiuto in tema di assicurazioni, settore in cui hanno creduto di risolvere il problema, mentre sono rimaste uguali le tariffe, come sono rimasti uguali il costo della benzina e quello dei telefonini, dove anzi è previsto un aumento, «in barba» alle liberalizzazioni, che hanno come scopo quello di rendere libero il mercato e tutelare i consumatori Pag. 82per arrivare ad una riduzione dei prezzi. Il prezzo è il punto di incontro tra domanda ed offerta e più l'offerta è alta più, la domanda è bassa, più il prezzo diminuisce.
Per rendere appetibile il mercato e proteggere i consumatori bisogna, quindi, effettuare una sana politica di contenimento dei prezzi. Ma, tutto ciò è trascurato dal provvedimento, un decreto-legge che, secondo il ministro proponente, avrebbe dovuto costituire una sorta di «palla di neve» che, muovendosi, diventava sempre più grande, portando ad una liberalizzazione completa. Questa «palla di neve» (sarà per il clima diverso dal solito, sarà perché è partita male) si sta sciogliendo e il gruppo di Alleanza Nazionale contribuirà, con il proprio voto, a scioglierla sempre di più, finché gli italiani vi manderanno a casa (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Ulivi. Ne ha facoltà.
ROBERTO ULIVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che il decreto-legge in esame si occupi di tante cose, di cui alcune «ereditate» anche da proposte di Alleanza Nazionale - ricordo l'interrogazione presentata sull'eliminazione delle tariffe di ricarica del cellulare - ma non si occupa di nodi importanti come quello dei servizi pubblici, che abbiamo sempre ritenuto un campo fondamentale da regolamentare e, anzi, da innovare.
In realtà, mi pare che si cerchi soltanto di dare una nuova regolamentazione ai settori più svariati: telefonia, tariffe aeree, assicurazioni, prodotti alimentari. Anche il metodo utilizzato dalla Camera ci sembra molto particolare, se osserviamo, ad esempio, la mancata disponibilità ad un dibattito sul titolo del decreto. Se guardiamo, inoltre, ai benefici che gli italiani dovrebbero ottenere con l'approvazione del provvedimento, come l'eliminazione delle tariffe della ricarica di cellulari, sono stati lo stesso Ministero dell'economia e la Commissione bilancio ad affermare che non vi sarà riduzione del gettito, perché le compagnie telefoniche assorbiranno nella tariffa telefonica ciò che prima era tariffa unica di ricarica.
L'inutilità della norma sui prodotti alimentari, inoltre, appare evidente, se si pensa che già esiste una normativa che prevede quanto invece si vorrebbe attuare.
Per quanto riguarda le agevolazioni per l'apertura delle nuove imprese, l'incompletezza della normativa potrebbe essere superata con l'articolo aggiuntivo da noi proposto, che la integra in maniera molto più utile.
L'annullamento dei cantieri dell'alta velocità, inoltre, farà compiere salti di gioia alla sinistra radicale che, finalmente, vedrà svanire lo spauracchio della TAV. Sarà eliminato qualcosa di veramente utile per l'Italia, semplicemente chiudendo tutti gli affidamenti dei lavori delle imprese. Non si sarebbe potuto guardare con maggiore attenzione, cantiere per cantiere, almeno ai più indispensabili, risparmiando su quelli meno impellenti? Quali saranno i costi per lo Stato a seguito del pagamento delle penali e dei danni che sicuramente saranno richiesti?
Che cosa dire, poi, della volontà di sopprimere la legge Moratti sull'istruzione, sottraendo la discussione alla Commissione di merito? Pensate che è stata la stessa Conferenza Stato-regioni a protestare, insieme alle regioni governate dal centrosinistra!
Infine, voglio parlare dell'articolo 5 del decreto-legge in esame, riguardante le assicurazioni e, soprattutto, il previsto recesso in caso di polizze assicurative di durata poliennale, riguardanti malattie, responsabilità civili prodotti e malattie professionali. In questo articolo, al comma 4, si prevede la possibilità da parte del contraente di recedere annualmente da un contratto poliennale. Credo che, almeno in molti casi, sia proprio la durata poliennale ad apportare vantaggi al consumatore, in quanto lo garantisce da possibili recessi dell'assicuratore in caso di mancato o ridotto interesse di quest'ultimo al mantenimento del contratto. La poliennalità garantisce anche altro soggetto rispetto al Pag. 83contraente, come avviene, ad esempio, per le polizze fideiussorie. Infatti, se il contratto non fosse poliennale, il contraente dovrebbe pagare una cifra molto maggiore. Infine, la poliennalità consente di calcolare il rischio in misura più favorevole all'assicurato, in quanto il costo è ripartito maggiormente e il premio risulterà più basso rispetto alla valutazione effettuata rispetto al solo anno successivo. Per di più, le modifiche apportate riguardano contratti stipulati anche diversi anni addietro, rendendo in qualche modo retroattiva la norma. Questa retroattività, invece, non sembra sussistere per altri contratti assicurativi stipulati successivamente all'entrata in vigore del presente decreto-legge. Pertanto, anche volendo riconoscere l'ammissibilità del comma 4 citato, si dovrebbe prevedere la sua applicabilità ai contratti stipulati dopo il mese di luglio 2007. Inoltre, modificare la poliennalità dei contratti avrebbe notevoli ripercussioni sulle reti di vendita delle compagnie, che percepiscono le cosiddette provvigioni precontate e su queste basano il sostenimento delle forze di produzione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in politica si può verificare il caso che due schieramenti fortemente contrapposti raggiungano una visione comune su alcuni temi specifici, soprattutto quando riguardino materie di elevato spessore sociale e gli obiettivi da conseguire risultino giusti. Così, se si annunciano interventi diretti ad aumentare le tutele dei cittadini nei confronti delle grandi organizzazioni economiche o misure tese a ridurre l'impatto economico del costo dei servizi essenziali, in linea di principio nessuno di noi può dichiararsi contrario. Certamente, si tratterà di verificare l'effettiva praticabilità degli interventi proposti nonché la loro compatibilità con il quadro giuridico ed economico generale, per evitare contraddizioni ed effetti indesiderati in altri campi e in altri settori e, soprattutto, per evitare che si prendano in giro proprio quei cittadini e quelle famiglie che si dice di voler difendere ed agevolare. I due decreti-legge Bersani - il primo dei quali emanato a luglio ed il secondo attualmente in discussione - sono stati presentati attraverso, una grande operazione mediatica, come interventi di enorme rilevanza e importanza per il cittadino-consumatore. Per la prima volta, infatti, si sarebbero messe in campo misure dirette a rafforzare la tutela e ad aumentare il potere di acquisto del cittadino-consumatore attraverso un processo di liberalizzazione da vincoli e rendite di posizione consentite dalla normativa in vigore a danno degli utilizzatori finali dei servizi.
Rispetto al primo decreto-legge, devo dire senza tema di smentita che francamente attendiamo ancora di verificare qualche esito positivo, al di là di qualche cooperativa che vende medicine e di qualche licenza per il taxi in più, che ha comportato peraltro l'aumento delle tariffe e, forse, ad eccezione di qualche panetteria aperta nelle vicinanze di altre. Visto però che a livello mediatico la prima lenzuolata di liberalizzazioni ha avuto successo - al punto di essere ricordata nell'immaginario collettivo (solo nell'immaginario evidentemente) come l'unico intervento del Governo in nove mesi di attività, come Il Sole 24 Ore ha recentemente molto ben documentato, - e a parte (ma con esito completamente opposto) la legge finanziaria, che ha regalato solo più tasse per tutti - perché non riprovarci? Ecco allora un'altra lenzuolata, accompagnata da un clamore propagandistico ancora più sostenuto, perché si sarebbero finalmente intaccati gli interessi forti, rimuovendo ingiustizie e producendo vantaggi per l'intera collettività.
È proprio questo il punto: fermo restando che intaccare le rendite di posizione, i poteri forti e i contratti capestro ci vedrà sempre d'accordo, occorre domandarsi se le misure adottate vanno realmente nella direzione di un miglioramento economico della vita dei cittadini, o, piuttosto, se alla fine si riveleranno sterili Pag. 84e addirittura controproducenti, come paventano alcuni grandi sindacati, come la CISL e l'UGL.
Bonanni ha protestato anche per il mancato coinvolgimento delle categorie e ha criticato il modo di procedere del Governo a strattonate, che non colpisce i grandi monopoli e che, anzi, privilegia i grandi potentati economici.
In poche parole, nessuno di questi provvedimenti aggredisce quelle strozzature che sono all'origine del gap italiano. Non è da qui che si determinerà lo 0,7-0,8 di crescita in più che il Governo dovrebbe attendersi se vuole almeno pareggiare la frenata che nel 2007 costituirà l'effetto obbligato della maxi stangata fiscale realizzata con la finanziaria.
In questo decreto-legge ricadono misure che con le liberalizzazioni nulla hanno a che vedere, ma tutto questo programma così strombazzato avviene contemporaneamente al varo da parte del Governo di un megafondo di investimenti per le infrastrutture, compartecipato dalla Cassa depositi e prestiti, dalle due maggiori banche italiane e dalle maggiori fondazioni italiane. Il Governo, cioè, mette in piedi un nuovo strumento semipubblico in cui è lo Stato ad indicare i settori in cui investire e le banche e le fondazioni sono pronte a farlo, a tassi inferiori a quelli praticati dal mercato, in cambio di un potere improprio concesso ai poteri bancari italiani, ormai tanto potenti da ribaltare la subalternità che un tempo li legava alla politica.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 19,55)
RICCARDO PEDRIZZI. Evidentemente, lo statalismo e il dirigismo sono duri a morire, e chi ama il mercato deve continuare a combatterli, senza paura di smascherare le liberalizzazioni fasulle.
Da questo punto di vista, anche le misure dettate nel campo delle assicurazioni rappresentano un caso paradigmatico. Naturalmente, in questa Assemblea non c'è nessuno che potrebbe sostenere che i prezzi delle assicurazioni RC auto vanno bene così. Tutti siamo d'accordo sul fatto che i prezzi devono scendere e che devono aumentare la trasparenza e la comprensibilità delle polizze: deve migliorare, insomma, tutto il servizio.
Quello che non si riesce a capire è come ciò potrà avvenire se si adottano misure come quelle che oggi siamo chiamati ad esaminare, che produrranno, invece, effetti completamente opposti a quelli immaginati. Nel corso delle votazioni, signor Presidente, ci esprimeremo sui singoli emendamenti che abbiamo presentato per questo settore e tenteremo di far riflettere Governo e maggioranza per rivedere le proposte presenti nel decreto-legge. La verità è che nel centrosinistra nessuno vuol fare le vere liberalizzazioni perché gli scenari macroeconomici sono cambiati, il deficit è sceso sotto il 3 per cento, il gettito fiscale ha fatto registrare un incremento insperabile, l'economia è in ripresa. Allora, delle due l'una: o i pochi riformisti del Governo si sono detti che con questi numeri ci potrebbe essere crescita economica anche senza bisogno di impegnarsi in logoranti guerre con sindacati massimalisti e lobby per riformare in profondità Stato sociale, pubblica amministrazione e quant'altro (se arriverà la crescita economica, tra questi pseudoriformisti si è detto che i consensi per il centrosinistra potranno tornare a salire senza riforme politicamente costose); oppure, come ha detto Nicola Rossi, il riformismo nel sinistra-centro è una pianta ormai essiccata ed i vari riformisti non esistono più o sono troppo deboli e dispersi per avere voce in capitolo. Per questo gli italiani, che si aspettavano sensibili miglioramenti del loro tenore di vita dal pacchetto Bersani, per ora restano a guardare e sono perplessi e preoccupati. Del resto, le preoccupazioni di tanti sono le stesse del ministro Bersani in persona, il quale è il primo a temere - l'ha detto a Il Sole 24 Ore due domeniche fa - che gran parte della cosiddetta «lenzuolata» si possa arenare fra Camera e Senato. Insomma, è ormai certo che non si tratti di Pag. 85una «lenzuolata», ma tutt'al più di un fazzoletto o, meglio ancora, di un assorbente Tampax.
Per tali motivi, Alleanza Nazionale voterà contro questo provvedimento.
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Ciccioli, Buontempo, Rositani e Salerno, che avevano chiesto di parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.
Alla Presidenza risultano ancora le richieste di intervento sul complesso degli emendamenti degli onorevoli Bodega, Antonio Pepe, Valducci, Armani e Leone. Secondo gli accordi intercorsi tra i gruppi parlamentari, lo svolgimento di tali interventi è rinviato alla seduta di domani.