Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 2201-A)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Il secondo decreto Bersani, allo stesso modo del primo - definiti entrambi come due «lenzuolate» -, manca di coperta, manca di materasso perché, in realtà, si tratta di due provvedimenti all'acqua di rose nell'ambito di una pressione fiscale che è arrivata al 42,3 per cento. Quindi, da un lato, si vorrebbe favorire i consumatori ma, dall'altro, li si penalizza come contribuenti. Tra l'altro, a marzo si registreranno i primi risultati dell'aumento delle addizionali IRPEF deliberate dai comuni, così la pressione fiscale sarà certificata nel suo aumento.
Dunque, il ministro Bersani continua - come, del resto, ha fatto con il primo decreto - a prendere di petto molte categorie di lavoratori autonomi (benzinai, acconciatori, pulitori, guide turistiche, titolari di autoscuola) per le quali non vige la sindacalizzazione e dove i vincoli crescenti possono portare solo a chiusure di aziende e a perdita di occupazione, dimenticando il problema, più volte sottolineato da parte della Casa delle libertà, riguardante la detassazione degli utili portati a riserva indivisibile delle cooperative, che, tra l'altro, nel settore della grande distribuzione sono caratterizzate dai grandi ipermercati e centri commerciali della lega delle cooperative. Questi ultimi dovrebbero essere in concorrenza con le catene private, che pagano sugli utili tutte le loro tasse.
Queste cooperative sono di dimensioni molto consistenti, come dimostrato dal fatto che il fatturato della lega delle cooperative nella grande distribuzione ormai raggiunge e forse supera i 10 miliardi di euro l'anno. Quindi, siamo di fronte ad un settore facilitato e guai se qualcuna delle catene private si azzarda a chiedere la localizzazione di propri centri commerciali o ipermercati nelle regioni rosse e nei comuni controllati dalla sinistra! Infatti, in questo caso non godrebbe di tali concessioni.
Il ministro Bersani, visto che si vuole favorire la riduzione del prezzo della benzina e in genere dei carburanti, dimentica inoltre che l'accisa e l'IVA in termini di gettito crescono ogni volta che il prezzo del greggio determinato dall'OPEC cresce. Basterebbe - come del resto fu fatto da qualche Governo del centrosinistra nella XIII legislatura - restituire ai contribuenti una parte dell'accisa, senza chiaramente toccare l'IVA che costituisce un'imposta comunitaria. Pertanto, basterebbe un meccanismo di questo tipo per favorire i consumatori.
Ma, al di là di questo aspetto, il ministro Bersani dimentica di intervenire su molti servizi a tariffa prodotti dagli enti locali che o sono eccessivamente onerosi per gli utenti oppure sono generatori di disavanzi che gli enti locali coprono sempre a carico degli utenti, in quanto contribuenti delle imposte locali e anche di quelle nazionali, attraverso l'aumento di aliquote o l'incremento di addizionali nel caso di tributi statali.
Inoltre, il decreto Bersani ha uno strano concetto del suo scopo di favorire il cosiddetto cittadino-consumatore. Infatti, gli concede qualche apparente regalino - come l'eliminazione dei costi fissi sulle ricariche dei cellulari che, com'è stato dimostrato dai colleghi che mi hanno preceduto, non darà veri vantaggi -, dimenticando tuttavia il vero stimolo al reddito spendibile, che costituisce il vero problema del consumatore.
Naturalmente, il reddito spendibile, già ridotto dalla pressione fiscale molto elevata, non viene incentivato dal secondo decreto Bersani che, invece, poteva benissimo recare misure su questo fronte; considerato, peraltro, che il primo decreto Bersani era a firma Bersani-Visco non si comprende per quale ragione il viceministro Visco non abbia recato il suo contributo alla predisposizione di questo secondo provvedimento al fine di ridurre la pressione fiscale. Al riguardo, ad esempio, una proposta di legge firmata da tutti i parlamentari del gruppo di Alleanza Nazionale alla Camera prevede l'introduzione di talune misure fiscali quali l'imposizione personale sul reddito in base al principio del quoziente familiare, la detraibilità dell'intera ICI sulla prima casa, la detrazione delle spese scolastiche e sanitarie sostenute per le persone a carico; si tratta di interventi che, tra l'altro, potrebbero attivare un contrasto di interessi che potrebbe giovare anche alla riduzione dell'evasione fiscale.
Quanto, però, desta veramente scandalo è l'articolo 12 del provvedimento. Nella precedente legislatura sono stato presidente, indegnamente, della VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici e devo dire che, francamente, questo articolo 12, per così dire, grida vendetta. Tra l'altro, si dimentica che già in passato, nella XIII legislatura, il centrosinistra cercò di 'cassare' le concessioni dei primi tre consorzi della TAV; naturalmente, poi, il Governo di centrodestra, quando si insediò, dovette reintrodurre tali concessioni. Basterebbe oggi percorrere l'Autostrada del sole per accorgersi della linea di cantieri per l'alta velocità dovuta proprio a questa nostra scelta.
Oggi, con l'articolo 12, si interviene sulle concessioni - concessioni cui peraltro ancora non è seguita l'apertura dei cantieri, essendo ancora in discussione taluni profili inerenti alla progettazione - relative alla realizzazione delle tratte Milano-Verona, Verona-Padova e Milano-Genova. Ebbene, si intende rimettere a gara l'affidamento di tali concessioni revocandole ai precedenti concessionari; naturalmente, ciò aprirà contenziosi facendo arricchire avvocati amministrativisti con parcelle consistenti e probabilmente lo Stato, se perderà le cause, dovrà rimborsare questi concessionari pagando loro i danni. Si ritiene, comunque, di dover revocare le concessioni perché i costi sarebbero eccessivi, ma bisognerebbe anche capire per quale ragione questi costi siano diventati eccessivi, considerando al riguardo la lunghezza delle procedure di realizzazione dei progetti e, altresì, gli ostacoli frapposti dagli enti locali per quanto concerne la cosiddetta compatibilità ambientale. Quando ero presidente della VIII Commissione nella precedente legislatura, andai a vedere le realizzazioni della TAV nel tratto iniziale dell'Appennino; ebbene, in quella zona, si offrirono ampie compensazioni ai comuni della Toscana e dell'Emilia: l'aumento dei costi deriva anche da tali situazioni.
La questione, in realtà, mi sembra porsi soprattutto in termini di maggiori costi. Prima di revocare le attuali concessioni e di rimetterle a gara, si dovrebbe, infatti, operare un confronto tra i maggiori costi (dei quali andrebbero analizzate le ragioni) che verrebbero a cadere sugli enti appaltanti in conseguenza delle attuali concessioni ed il costo per l'intera collettività del rinvio sine die della realizzazione di queste tratte dell'alta velocità, con il rischio, tra l'altro, di perdere anche i contributi comunitari. Come sapete, infatti, tali tratte fanno parte dei due corridoi transeuropei, il n. 5 e quello che collega il nord Europa con Milano, Genova ed il Mediterraneo. In realtà, dunque, bisogna mettere a confronto i maggiori costi sopportati dallo Stato con il maggiore costo che deriverebbe dal fatto di rinviare sine die la realizzazione di queste opere.
Agli ambientalisti, che dovrebbero in teoria sostenere il trasferimento del traffico merci e di quello passeggeri dalla strada alla rotaia, fa comodo rinviare il problema essendo la maggioranza divisa su questi temi.
È sufficiente, infatti, vedere ciò che avviene per la Lione-Torino, in merito alla quale vi è stato, recentemente, un incontro tra il ministro italiano Di Pietro e quello francese in cui si è detto che, entro settembre prossimo, verrà realizzato il progetto e che i cantieri apriranno nel 2010. Ma, nel 2010, bisognerà vedere quanta polizia dovremo mettere in Val di Susa, per consentire l'apertura dei cantieri e in che misura sarà possibile realizzare il progetto, a meno che non si voglia, come è stato detto da qualcuno con un'immagine pittoresca, tornare agli elefanti di Annibale per scavalcare il Rocciamelone e scendere nelle valli francesi.
In realtà, il problema è, ancora una volta, il rinvio delle concessioni per risolvere il contrasto di posizioni e di ideologie all'interno di questa «slabbrata» maggioranza, tra coloro che vorrebbero tutto, forse anche tornare all'aratro al chiodo, e bloccare lo sviluppo del paese e altri che, in teoria, affermano che l'Italia è una piattaforma logistica in mezzo al Mediterraneo e che è necessario realizzare tutte le infrastrutture necessarie per valorizzarla (ma solo a chiacchiere, perché in realtà non si realizza nulla).
Anche le opere della legge obiettivo sono in ritardo, sebbene sia stato realizzato il fondo per le infrastrutture, cui partecipa con il 15 per cento la Cassa depositi e prestiti, e nell'azionariato siano presenti consistenti azionisti privati, fondazioni ed altri. Ebbene, nonostante ciò il finanziamento delle infrastrutture non procede, se non altro con il project financing.
Inoltre, non si spiega per quale ragione sia stato introdotto un decreto di urgenza per definire l'orario dei parrucchieri, degli acconciatori o dei pulitori. L'urgenza è necessaria perché si devono bloccare, con l'articolo 12, le concessioni attualmente assegnate e, magari, rimetterle a gara per favorire gli amici degli amici. Tutto ciò serve a realizzare un sistema di norme marginali o addirittura negative, che con l'ultima finanziaria ha portato ad una pressione fiscale crescente.
Questo è il contenuto di un decreto-legge che dimostra l'inefficienza della maggioranza e la pochezza dell'attuale Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto tecnico commerciale statale Luzzatti di Treviso, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, il mio intervento riguarderà l'articolo 12, riprendendo i tanti argomenti già sviluppati in precedenza e, da ultimo, dal collega di Alleanza Nazionale che mi ha appena preceduto.
Riguardo all'articolo 12, negli emendamenti presentati se ne suggerisce, in primo luogo , la soppressione. Questa norma, per le ragioni che abbiamo già visto e per quelle che vedremo, è da espungere, in quanto con essa si vuole evitare di costruire tratti ferroviari di alta velocità importantissimi per il nostro paese, senza sostituirli con alcunché non tenendo presente ciò che negli anni si è progettato e realizzato sulla base di alcuni presupposti giuridici e tecnici.
Conosco meno bene la tratta Milano-Verona ma conosco molto bene la Genova-Milano. In quanto ligure - rappresento la Liguria in questo ramo del Parlamento - ritengo che il collegamento ad alta velocità tra Genova e Milano e, più in generale, tra il nord Italia e il nord Europa sia strategico non solo per Genova ma per l'Italia intera. Genova ha il più grande porto italiano e del Mediterraneo e necessita di diventare sempre più il recettore di traffici importanti. Questi traffici, però, devono poter proseguire velocemente verso Milano, verso il nord Italia e verso il nord Europa. Interrompere la realizzazione di questa importantissima tratta è qualcosa di estremamente negativo e, direi, addirittura di inconcepibile.
Bisogna continuare ad aumentare i finanziamenti per la realizzazione di questa linea ferroviaria e bisogna accettare le proposte dei privati, delle banche e delle fondazioni che intendano collaborare, eventualmente mediante il project financing o ricorrendo ad altri strumenti giuridico-economici. Non si può approvare una norma che - lo ribadisco - tende a bloccare tutto, a revocare quanto accaduto Pag. 12in precedenza e che si riferisce ad un futuro del tutto generico che, come tale - mi si perdoni il bisticcio -, non avrà futuro. Basta leggere la norma, perché siamo sufficientemente avvertiti da poter capire, semplicemente dal modo in cui è redatta, quale sia la filosofia che la ispira.
All'articolo 12 del decreto-legge in esame, infatti, alla parte normativa vera e propria è stato premesso il seguente, inutile «cappello»: «Al fine di consentire che la realizzazione del sistema alta velocità avvenga tramite affidamenti e modalità competitivi conformi alla normativa vigente a livello nazionale e comunitario, nonché in tempi e con limiti di spesa compatibili con le priorità ed i programmi di investimento delle infrastrutture ferroviarie, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari imposti dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, al gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale e degli impegni assunti dallo Stato nei confronti dell'Unione europea in merito alla riduzione del disavanzo e del debito pubblico (...)». Queste frasi possono essere inserite nella relazione di accompagnamento al testo, non nel testo normativo. Si tratta di critiche che abbiamo già formulato (purtroppo non è presente il collega Franco Russo, presidente del Comitato per la legislazione). Quando si ritiene di inserire, come elemento integrante la norma, una serie di programmazioni di questo genere, che si richiamano all'Unione europea, al bilancio dello Stato e a quant'altro, significa che si è perplessi; si danno inutili spiegazioni, essendo intimamente convinti che quella disposizione non andrà mai a regime per realizzare le opere che, oggi, si cancellano o si revocano. Questa filosofia, come ripeto, l'abbiamo riscontrata anche in altri provvedimenti normativi rispetto ai quali la perplessità del legislatore si evinceva dall'inserimento di queste logiche programmatiche, che non c'entrano alcunché.
Cosa si intende fare con questo articolo? Si vuole revocare le concessioni rilasciate alla TAV Spa il 7 agosto 1991, limitatamente - lo sottolineo - alla tratta Milano-Verona e alla sub-tratta Verona-Padova, comprensive delle relative interconnessioni, e la concessione rilasciata il 16 marzo 1992 relativa alla linea Milano-Genova, comprensiva delle relative interconnessioni, e loro successive integrazioni e modificazioni. Conseguentemente si revoca l'autorizzazione rilasciata al concessionario della rete ferroviaria italiana all'articolo 5 del decreto del ministro dei trasporti 31 ottobre 2000, n. 138 T, nella parte in cui consente di proseguire nei rapporti dei quali stiamo parlando.
Gli effetti delle revoche si estendono a tutti i rapporti convenzionali da esse derivanti o collegati stipulati da TAV Spa con i general contractor. In questo modo si mette in crisi l'istituto dei general contractor relativamente a queste linee, i cui rapporti convenzionali sono stati stipulati addirittura in data 15 ottobre 1991 e 16 marzo 1992.
Una logica di questo genere, come ricordava l'oratore che ha parlato prima di me, era già stata oggetto di una norma nella finanziaria 2001, poi abrogata perché aveva creato un contenzioso imponente. L'abrogazione aveva comportato, come è logico, giusto e corretto, la prosecuzione dell'iter in atto, che era datato, come abbiamo visto, 1991-1992.
Ora, invece, si vuole nuovamente tornare indietro, senza rendersi conto di ciò che potrà accadere in termini di costi a carico dello Stato per danni. Nella relazione si sostiene che il minor costo degli appalti andrà a coprire gli eventuali esborsi per danni erariali, ma ciò è affermato in modo del tutto labiale, perché non c'è possibilità di una relazione tecnica che possa prevedere i costi e l'entità dei danni.
Quindi, tutto ciò si regge malamente sul piano economico, mentre abbiamo una certezza, derivante anche da ciò che è successo in passato e che ricordavo prima: nascerà un contenzioso formidabile e costosissimo, perché pacta sunt servanda. Quando si pongono in essere rapporti così complessi con privati, che in parte hanno Pag. 13già avuto esecuzione, devono essere rispettati. Non si può tornare indietro, limitando addirittura le forme di rimborso.
Il legislatore ha scritto questa norma, ha pensato a quali potessero essere i costi derivanti da eventuali contenziosi per danni e ha previsto quanto segue: Ferrovie dello Stato Spa provvede direttamente o tramite società del gruppo all'accertamento e al rimborso, anche in deroga alla normativa vigente - questo è un concetto generico che non può essere contenuto in una norma, come sottolineato anche dal Comitato per la legislazione - secondo la disciplina di cui al successivo comma 4, degli oneri delle attività progettuali e preliminari ai lavori di costruzione oggetto di revoca nei limiti dei soli costi effettivamente sostenuti, adeguatamente documentati.
Qui si interviene su contratti già stipulati ed efficaci, limitando la forma di rimborso. Inoltre - ritenendo questa iniziativa insufficiente - si modifica l'articolo 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 in tema di atti amministrativi, aggiungendo, dopo il comma 1, il comma 1-bis. Si cerca di rendere generale il principio della limitazione del danno in relazione a questa specifica norma! Questo è un trucco, un artifizio mal riuscito!
Peraltro, l'articolo 1-bis fa riferimento alla revoca di atti amministrativi ad efficacia durevole o istantanea, mentre l'articolo 21-quinquies, comma 1, della legge n. 241 del 1990 parla solo di rapporti ad efficacia durevole. Quindi, introdurre il concetto di rapporto ad efficacia istantanea esula dal paradigma normativo e da ogni costruzione dogmatica. Soprattutto, non si capisce perché, in un contesto concernente l'atto amministrativo ad efficacia durevole, fra capo e collo, si inserisca questo riferimento all'atto ad efficacia istantanea che non sarebbe neppure utile per i pessimi fini della specifica norma che critichiamo.
Ma vi è di più: quando la revoca incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente (già questo sarà motivo di contenzioso) e tiene conto (qui siamo all'assurdo giuridico!) sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico. Ma questa è una probatio diabolica! Chi impegnerà i privati che andranno in giudizio a dichiarare l'eventuale conoscenza della contrarietà dell'atto all'interesse pubblico o ad ammettere l'eventuale presenza di concorrenti che abbiano indotto all'erronea valutazione della compatibilità dell'atto con l'interesse pubblico?
Qui sono stati stipulati contratti sulla base di leggi, sulla base di concessioni, di atti amministrativi perfetti! Questi poveri privati - che oggi dovrebbero essere messi in un angolo e vedersi revocato tutto quanto concesso dal 1991 - dovrebbero probabilmente anche dare la probatio diabolica di non essere stati a conoscenza di eventuali contrasti dell'atto con l'interesse pubblico. Peraltro, non si capisce bene da chi dovrebbe essere valutato tale contrasto.
Questa norma dà a tutti coloro che si rivolgeranno all'autorità giudiziaria la certezza di uscire vincenti dal contenzioso che si instaurerà.
In sintesi, le norme contenute in questo articolo sono contrarie all'interesse pubblico. Da una parte, si stabilisce che bisogna tutelare l'interesse pubblico; dall'altra, si dice che, forse, non è stato tutelato in precedenza ed occorre indagarne le cause, anche attraverso i giochi probatori di cui ho parlato.
PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, la prego di concludere.
GABRIELE BOSCETTO. Non ci si rende, invece, conto che questa norma peserà fortemente sui conti dello Stato e precluderà definitivamente la possibilità di costruire queste importantissime tratte ferroviarie. Quindi la logica soppressiva deve essere quella prevalente nel Governo, Pag. 14per cui questo dovrebbe presentare un emendamento soppressivo dell'articolo 12, quanto meno del comma 4.
PRESIDENTE. Assiste ai nostri lavori una classe dell'Istituto professionale, commerciale, turistico e sociale G. Remondini di Bassano del Grappa e una classe della scuola elementare Stella Maris di Acilia, in provincia di Roma. La Presidenza e l'Assemblea vi salutano (Applausi).