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INTERVENTO DEL DEPUTATO DAVIDE CAPARINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 15-1752-1964-A
DAVIDE CAPARINI. Dal 1933 la giurisprudenza definisce come pubbliche tutte le acque, sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo ad uso di pubblico e generale interesse: per questo il «bene acqua» ha natura pubblica. Purtroppo il sistema tariffario non tiene conto del risparmio, della possibilità di riutilizzo e di restituzione dell'acqua non inquinata. Questa lacuna normativa ha consentito che in alcune parti del nostro paese, soprattutto nel Meridione, non venissero migliorate e manutenute le infrastrutture di adduzione, distribuzione e smaltimento. Questa incuria ha portato al malfunzionamento degli acquedotti, con perdite dell'acqua addotta su scala nazionale del 27 per cento prima di giungere all'utenza, a cui aggiungere un altro 5 per cento causato dall'inadeguatezza degli impianti domestici.
Nel 1994 è la legge Galli che getta le basi per la gestione integrata dell'intero ciclo idrico. Il ciclo integrato viene affidato ad un unico soggetto con lo scopo di assicurare una gestione razionale dell'acqua riducendo gli sprechi e favorendo il risparmio e il riuso. Stabilisce anche il principio che l'onere della gestione ricada sulla tariffa, elemento regolatore del sistema, trasferendo il costo della gestione della risorsa dalla collettività all'utenza. Questo è il punto fondamentale della legge che si scontra con la nostra realtà di piccoli comuni di montagna. Al centro del sistema di governo pubblico della risorsa acqua ci sono le regioni che hanno istituito gli ambiti territoriali ottimali (ATO) che hanno il compito di scegliere la migliore forma di gestione del servizio idrico integrato (concessione a terzi o affidamento Pag. 112diretto a società miste a maggioranza pubblica). Quindi, la legge Galli segna un'importante evoluzione normativa nella definizione del concetto di gestione di una risorsa che deve essere accessibile a tutti: «le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà».
A complicare il quadro normativo arrivano le direttive europee che impongono la realizzazione di gare internazionali per l'assegnazione della gestione delle reti e l'erogazione dei servizi pubblici locali. Gare che avrebbero fatalmente visto soccombere le nostre aziende a favore delle multinazionali con l'apertura ai privati senza le sufficienti garanzie per la qualità e i costi dei servizi (energia elettrica e metano insegnano). Per correre ai ripari con la finanziaria del 2002 il legislatore stabilisce l'affidamento diretto, senza gara, dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale: tra questi i servizi pubblici di captazione, adduzione, distribuzione della risorsa, di fognatura e di depurazione delle acque. Il provvedimento indica un modello preferenziale di gestione del servizio integrato tramite la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi pubblici in società di capitali controllate da enti pubblici locali e partecipate da aziende private. Un espediente per dare la possibilità ai nostri comuni e alle società municipalizzate di organizzarsi e non farsi divorare dalle potentissime multinazionali francesi o tedesche. Infatti, l'alternativa sarebbe stata la messa in gara internazionale dei servizi pubblici locali con il conseguente depauperamento di una ricchezza della collettività.
L'ultimo capitolo è stata la decisione del Governo Berlusconi con la legge n. 308 del 15 dicembre 2004 di concedere ai comuni di montagna sotto i mille abitanti di scegliere se aderire o meno alla gestione del servizio idrico integrato. L'intento è di far valere il principio che ai piccoli comuni di montagna che riescano a garantire l'efficienza, l'efficacia nonché l'economicità del servizio, grazie al sacrificio dei propri cittadini e amministratori, non deve essere fatta pagare la stessa tariffa applicata in città. L'autorità di bacino potrà continuare a svolgere funzioni di controllo e vigilanza sulla gestione del sistema idrico integrato consentendo ai piccoli comuni di poter gestire in modo autonomo il loro acquedotto come hanno sempre fatto.
Un principio che è necessario estendere anche a quelli sotto i 5.000 abitanti facendo valere il legittimo principio per cui ai piccoli comuni che riescono a garantire l'efficienza, l'efficacia nonché l'economicità del servizio, grazie al sacrificio dei propri cittadini e amministratori, non devono essere scaricati gli oneri impropri dei grandi comuni.
Onorevoli colleghi, questa è l'occasione per un approccio equo e solidale per cui i piccoli comuni possano continuare a ben gestire una risorsa fondamentale come l'acqua, in economia e con responsabilità.