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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi (A.C. 1005) (ore 10,05).
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1005)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Fincato.
LAURA FINCATO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti gli intervenuti hanno correttamente voluto sottolineare che questo provvedimento, con i suoi due articoli, ha una storia lunga. C'è chi si è soffermato a tracciare il percorso dell'IRAP dal momento della sua creazione ai suoi effetti, esprimendo attese e giudizi rispetto alle prossime valutazioni europee sul testo.
La relatrice non intende ripercorrere, perché è già stato fatto e perché, probabilmente, questo non è il luogo, il ragionamento sulla genesi e sul fatto che l'IRAP ha portato alla scomparsa di altre forme di tassazione.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 12)
LAURA FINCATO, Relatore. Non voglio entrare in un discorso di ordine accademico, politico o economico riguardo al Pag. 24fatto che questa legge ha visto il suo protrarsi anche nel corso dei cinque anni di Governo precedenti. La battuta ai colleghi dell'attuale opposizione sarebbe facile: ciò che viene suggerito adesso avrebbe potuto essere fatto negli anni precedenti.
Ma fuor di polemica, perché questo non è stato l'intendimento in Commissione, né lo è in aula adesso, questo provvedimento, come veniva sottolineato da molti degli intervenuti, semplicemente è dovuto alla necessità di essere chiari e trasparenti e, possibilmente, tempestivi.
Forse non ci è riuscito fino in fondo, forse ci riuscirà di più presentando gli emendamenti annunciati e che verranno prodotti al Comitato dei nove. Probabilmente, tali emendamenti all'articolo 1 ed all'articolo 2 renderanno più chiaro l'atteggiamento nei confronti del contribuente.
Soprattutto per quanto riguarda l'articolo 2 le considerazioni svolte in quest'aula da molti degli intervenuti devono sicuramente essere ricomprese in un ragionamento attinente ai rapporti tra lo Stato e le regioni, in una riflessione globale, in un accertamento non solo tecnico di entità economica ma di qualità di quello che è stato definito il confine d'Italia: lo era nel tempo passato, oggi può essere un confine di qualità rispetto alle intraprese.
Signor Presidente, l'appuntamento è per il momento in cui verranno presentati gli emendamenti. Ora il relatore, sulla base di quanto ha ascoltato, interpreta il pensiero della maggioranza dei colleghi come favorevole alla conversione in legge del decreto-legge e, quindi, questa raccomanda.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, vorrei distinguere, innanzitutto, la natura del decreto-legge dall'oggetto di cui si è ragionato, in parte, con gli interventi dei deputati. Il decreto-legge non fa altro che riprendere un provvedimento adottato già il 17 giugno 2005 dal precedente Governo e, quindi, dalla precedente maggioranza con l'obiettivo di evitare che il versamento dell'IVA si trovasse in una condizione di difficoltà, cioè i contribuenti fossero nell'incertezza se versare o non versare, sulla base di una vulgata secondo cui tale versamento sarebbe stato non possibile per la presunta sentenza della Corte di giustizia, cui è stato fatto cenno anche nel dibattito di questa mattina. In ogni caso, se sentenza dovesse esserci, non sarebbe mai una sentenza sul passato, ma una sentenza sul futuro. Quindi, il pagamento a leggi vigenti non potrebbe che essere un atto dovuto e ha fatto bene il Governo precedente a garantirsi che non vi fosse confusione tra i desiderata e la realtà. Credo che noi abbiamo fatto altrettanto bene ad evitare che potesse esservi confusione tra quello che il contribuente può perfino legittimamente sperare e la realtà dei fatti: in ogni caso questa è una legge in vigore e, come tale, va rispettata.
Vi è anche una ragione politica che non posso sottacere rispetto alle difficoltà di fronte a cui si è trovato prima il Governo di centrodestra, attualmente il Governo di centrosinistra. Probabilmente con qualche leggerezza - ancora questa mattina un onorevole deputato ne ha fatto cenno - si è parlato di sentenza della Corte di giustizia. Può essere, perché fin tanto che la sentenza non sarà depositata è sempre possibile che sentenza arrivi, però intanto i dati che a noi risultano sono leggermente diversi. Ciò ci risulta, ad esempio, in ordine all'elemento di analisi tecnico-finanziaria che la magistratura europea ha utilizzato per capire se questo fosse o meno un tributo simile all'IVA ed in quale misura è stato un confronto tra i risultati dei due meccanismi: tali risultati indicano con chiarezza un diagramma divergente, che rende molto difficile sostenere che IRAP ed IVA siano la stessa cosa.
Non solo: il nostro Governo, contrariamente a quello precedente, ha ancora memoria del fatto che tale tributo - che, come ha ricordato correttamente anche l'onorevole Mungo, sostituisce i vecchi Pag. 25contributi sulla busta paga dei lavoratori dipendenti ed altri tributi - prima di essere introdotto fu esaminato con l'Unione europea da chi in quel momento era al Governo.
Quel tributo entrò allora in vigore in Italia sulla base di un «via libera» sostanziale preliminare dell'Unione europea; dopodiché, è sempre possibile che il contribuente lo contesti e che la Corte di giustizia giudichi diversamente in merito. Ma prima di dare per scontato il contenuto della sentenza, sarebbe bene osservare una qualche forma di prudenza. Ciò, anche per evitare di cadere nella situazione contraddittoria in cui si sono trovati il Governo e la maggioranza precedenti; non noi, che non abbiamo in questo momento un orientamento volto a demonizzare l'IRAP così come, invece, si è ora fatto. Al contrario, siamo aperti ad un perfezionamento del tributo; infatti, tra le ipotesi possibili di cui si ragiona, una prevede di agire sul costo del lavoro utilizzando lo strumento di un intervento sull'IRAP per ottenere degli sgravi in questa direzione. Cito al riguardo un dato che può interessare gli onorevoli colleghi: la percentuale complessiva del costo del lavoro sulla base imponibile dell'IRAP è del 67,9 per cento, anche se quella sui privati è solo del 56,6 per cento perché, per la parte pubblica amministrazione, praticamente la voce lavoro è il 100 per cento.
Quindi, tale dato conferma che modifiche della composizione e dell'incidenza dell'IRAP sono del tutto possibili e sono all'attenzione non solo dei colleghi ma anche del Governo, pur mancando, oggi, un orientamento in merito. Ma risistemare la base imponibile, con una rimodulazione per obiettivi di politica economica è misura radicalmente diversa da un intervento di pura e semplice abolizione. Anzi, avere raccolto l'idea di una abolizione, quanto meno un po' frettolosa, venuta da certi settori ha portato la maggioranza di centrodestra ed il Governo precedente ad una contraddizione palese: dire che l'IRAP era il demonio - IRAP che, nel 2005, vale 35 miliardi 995 milioni di euro - e scoprire poi di dover varare precipitosamente un decreto-legge per indurre i contribuenti a pagare il tributo. Noi abbiamo dovuto compiere in una certa misura un'azione simile perché in campagna elettorale si è riproposta la questione e di nuovo si è creata confusione al riguardo, sicché ci siamo trovati nell'esigenza di intervenire.
Ma - e mi rivolgo anche all'onorevole Borghesi, che aveva chiesto questo dato in Commissione: oggi sono in grado di darlo - il dato relativo al 2005 è che l'IRAP vale 35 miliardi 995 milioni di euro, una parte molto rilevante del finanziamento del sistema sanitario regionale. Consideriamo, invece, quanto valgono gli interventi di sgravio IRAP; al riguardo, ricordo che il documento presentato dal ministro Tremonti, all'inizio della scorsa legislatura, nel 2001, dichiarava che obiettivo del centrodestra era l'eliminazione del tributo. Ebbene, in cinque anni, gli interventi sull'IRAP - tributo il cui gettito è già calcolato in 35 miliardi 995 milioni di euro nel 2005 - ammontano, sempre nel 2005, ad 1,2 miliardi di euro. Il gettito dell'IRAP sarebbe stato, nel 2005, sostanzialmente di 37,2 miliardi mentre, praticamente, è di 36 miliardi. Questo demonio è stato, perciò, appena appena limato nelle unghie; francamente, l'obiettivo di eliminazione si è realizzato in questa formula, con una percentuale di riduzione che si attesta ad un trentesimo circa del complesso della tassa.
Il centrodestra, in realtà, ha dovuto ammettere che, anche volendolo fare, quel tributo non era così facilmente sostituibile come si dichiarava; e di conseguenza è sostanzialmente rimasto un tributo molto importante per finanziare il sistema sanitario regionale e per le entrate della finanza regionale. Questa è la ragione per cui il centrodestra ha dovuto ammettere che non poteva andare oltre e che poteva solo «limare» qualcosa; ma non è andato molto al di là di ciò.
Di conseguenza, abbiamo l'esigenza di confermare il valore del tributo e di considerare la possibilità di una sua evoluzione, sebbene tale evoluzione non sia nell'ordine né dei tempi né delle discussioni che siamo in grado di fare oggi.Pag. 26
Naturalmente, il tema è parte di un ragionamento che va nella direzione proposta anche dall'esito referendario. La bocciatura della riforma costituzionale del centrodestra lascia del tutto aperto, infatti, il problema della piena autonomia finanziaria - del federalismo fiscale, se così si vuole dire - delle regioni e degli enti locali. Il punto è nel programma dell'Unione, del centrosinistra, e se ne ragionerà. Al riguardo, ha ragione l'onorevole Borghesi quando afferma che la questione dell'IRAP fa parte degli strumenti finanziari che possono garantire la piena autonomia finanziaria delle regioni, di quel grande pacchetto che deve garantire l'autonomia finanziaria degli enti locali: avremo tempo e modo di discuterne quando affronteremo l'esame di provvedimenti di diversa ampiezza e portata.
Quindi, sostanzialmente, siamo di fronte ad un decreto-legge di proroga per quanto riguarda l'IRAP. Inoltre, riguardo alla parte che costituisce effetto di un provvedimento legislativo in vigore (la legge finanziaria per il 2006), vorrei ricordare che il problema delle regioni che presentavano un deficit sanitario irrisolto è stato affrontato dapprima con il decreto-legge in esame e, successivamente, con gli emendamenti preannunciati dal relatore, onorevole Fincato - con cui il Governo è totalmente d'accordo -, vale a dire con provvedimenti che, in sostanza, cercano di andare incontro ad una esigenza posta con molto forza da vari settori (quando le esigenze sono giuste, vanno recepite: non vi è alcuna ragione per opporsi).
Ad esempio, nella documentazione che ho raccolto vi sono lettere provenienti da commercialisti, da privati, da singoli, i quali chiedono, da un lato, perché i contribuenti che non hanno capito quanto devono pagare e pagano di meno debbano, di fronte ad una situazione convulsa dell'amministrazione, pagare la maggiorazione dello 0,40 per cento e, dall'altro, quale sia la base giuridica che fissa al 30 giugno la data alla quale le regioni possono tentare di rientrare per non far scattare né gli aumenti dell'IRAP né le addizionali all'IRPEF. Di tali richieste (un quotidiano autorevole come Il Sole 24 Ore si è addirittura fatto promotore di una campagna per l'abolizione della maggiorazione dello 0,40 per cento) noi abbiamo tenuto conto: ne ha tenuto conto il relatore, onorevole Fincato - e noi siamo d'accordo -, predisponendo un emendamento che elimina la maggiorazione.
Perché siamo arrivati a questa situazione? Colleghi del centrodestra, alcuni di voi hanno letto oggi - permettetemi la battuta - gli appunti che dovranno leggere in altra sede, in un'altra occasione, tra qualche giorno: con riferimento al provvedimento in esame, quegli appunti sono francamente destituiti di fondamento. Se siamo arrivati ad una situazione di confusione, lo dobbiamo ad una legge in vigore, la finanziaria per il 2006, che è stata approvata dalla maggioranza di centrodestra su proposta del precedente Governo (se non ricordo male, con un voto di fiducia e, quindi, secondo la logica del «prendere o lasciare»). In sostanza, fissando al 31 maggio la verifica relativa al deficit sanitario per il 2005, il precedente Governo ha inevitabilmente fatto cozzare la predetta verifica con il pagamento del 20 giugno.
Dovendo mantenere il valore della scadenza del 20 giugno, noi ci siamo inevitabilmente fatti carico del fatto che molti contribuenti potevano trovarsi in una situazione di confusione. Nel frattempo, una regione è rientrata e c'è sempre l'auspicio che altre regioni possano farlo: evidentemente, se ciò accadrà, i contribuenti avranno il diritto di vedere applicato un principio di razionalità (nelle condizioni date di confusione). Ebbene, il primo principio di razionalità è quello secondo il quale ogni somma versata in più andrà a conguaglio (questo è garantito). In ogni caso, se vi fosse un ritardo nel pagamento, non verrà applicata la sanzione dello 0,40 per cento (e questa mi pare cosa di non poco conto).
Altro punto importante che è stato chiarito è la base su cui vi è l'aumento dell'1 per cento, nonché la conferma delle esenzioni in essere, in modo tale - soprattutto - che settori della società particolarmente Pag. 27impegnati in opere sociali rilevanti non ricevano un gravame da un provvedimento di tale natura.
Si tratta, quindi, di lasciare il tempo ai contribuenti per il pagamento, quando ciò sia dovuto, e non gravare sui contribuenti stessi; ascoltare le osservazioni quando sono ragionevoli e provengono dalla società non è un atto di debolezza, ma di forza da parte del Governo e della maggioranza. Credo, quindi, che possiamo attribuirci un titolo di merito nell'avere avuto la capacità di ascoltare.
Affronto, quale ultimo aspetto, la questione dei canoni demaniali. Si sono svolti, in merito, interventi importanti e di grande interesse, perché alcuni deputati della maggioranza hanno posto in rilievo una difficoltà, che del resto era già stata sollevata in Commissione, in particolare da parlamentari dell'opposizione. Quando si riscontrano punti di convergenza, le diverse posizioni meritano di essere ascoltate. Il problema riguarda essenzialmente la più volte prorogata norma del 2003. Tale proroga reiterata non è casuale: dipende essenzialmente dal fatto che la norma è - diciamo la verità - impraticabile: un aumento del 300 per cento dei canoni si può prevedere in un provvedimento, ma successivamente non si riesce ad applicare. Questa è la triste fine di una norma di detto tipo!
È del tutto evidente che l'intenzione del Governo segnala l'obiettivo di modificare radicalmente la citata norma; prorogarla ad una data successiva non ha la finalità di farla entrare in vigore, ma di avere il tempo di modificarla. Avere il tempo di modificare tale norma - è stato affermato autorevolmente, anche da parlamentari dell'opposizione - non sarà facile, perché la mole di incontri e di lavoro che è stata compiuta da autorevoli esponenti del Governo precedente - segnalo, in particolare l'onorevole Conte, per citare solo un nome - testimonia una difficoltà reale nel mettere d'accordo diversi soggetti. È stato ricordato poc'anzi il ruolo delle regioni; si pensi ad una regione come la Sardegna, il cui territorio ha uno sviluppo costiero molto accentuato e che pertanto, da tale punto di vista, è particolarmente coinvolta. Si tratta di riuscire a risolvere il rapporto tra Governo centrale e regioni, anche dal punto di vista delle risorse, e di risolvere quello tra Governo, regioni ed enti locali, che debbono esprimere le loro valutazioni in materia. Affrontare il problema dei rapporti tra tale insieme istituzionale ed i diversi soggetti che sono interessati alla questione è effettivamente di una certa complessità. Dunque, il Governo è disponibile ad appoggiare l'emendamento presentato dall'onorevole Fincato, volto a prendere un po' di tempo in più, facendo sì che la legge finanziaria lavori, almeno in fase iniziale, «in parallelo» alla proposta di modifica di questo sistema (che non possiamo immaginare entri in funzione) e, di conseguenza, crei le condizioni per giungere ad una soluzione. Se il provvedimento sarà già in grado di essere autonomamente approvato, bene; altrimenti esso potrà essere meglio inserito all'interno del futuro disegno di legge finanziaria.
Ci è stata rivolta la richiesta di conoscere meglio una dinamica non semplice da affrontare, ossia quanto incidono i canoni sull'insieme dei costi e, di conseguenza, i rapporti con i prezzi in tale delicato settore del turismo con l'insieme delle opere che sono a concessione in terreni demaniali. Attualmente non sono in grado di rispondere a tale domanda, ma ritengo che nel lavoro che dovremo svolgere nelle prossime settimane con le competenti Commissioni di merito possiamo tentare di dare una risposta a tale quesito. Ho già chiesto agli uffici centrali di valutare se si riescano ad avere dati in merito, almeno nei primi stati di avanzamento, per rispondere a tale domanda, assolutamente giusta. Non so se si possa affermare, come è stato detto - può darsi che sia vero - che in qualche misura gli aumenti scontano già l'introduzione di tale canone. Riscontriamo effettivamente i dati e osserviamo le dinamiche e ciò costituirà un materiale molto importante per approvare il provvedimento successivo. Questa è Pag. 28la ragione per cui un'ulteriore proroga è probabilmente un atto dovuto e necessario.
Non possiamo andare oltre il 31 dicembre 2006 perché questo vorrebbe dire avere le condizioni per un'immediata copertura della posta di bilancio, anche se debbo dire che la Ragioneria dello Stato è sempre stata molto prudente su questo tema se è vero, come è vero, che nel 2005 - malgrado vi fossero 400 milioni di euro di canone di entrata - in realtà vi erano zero euro nella posta di bilancio relativa; infatti, nessuno ha mai creduto che questa norma potesse realmente entrare in vigore.
Quest'anno vi sono 140 milioni di euro, una cifra che, in qualche modo, deve essere coperta. Un allungamento ulteriore dei tempi per trovare la norma sostitutiva sia di carattere strutturale sia di carattere finanziario non implica il fatto di trovare in questo momento la posta di bilancio; in ogni caso, prevederlo fino al 31 dicembre ci obbligherebbe, per ragioni ovvie, ad operare immediatamente.
Noi abbiamo individuato nel 31 ottobre la data che ci può consentire, lo ripeto, di fare tutto il lavoro preliminare per il nuovo provvedimento e, in ogni caso, di avere la legge finanziaria, la quale può rappresentare la sede in cui eventualmente affrontare e risolvere il problema laddove non avessimo modo di farlo altrimenti. Questa è la ragione per cui dico ai colleghi di maggioranza e di opposizione che il provvedimento di legge che converte il decreto-legge oggi in discussione, se osservato con qualche oggettività e per quello che effettivamente afferma, merita di essere approvato non solo dalla maggioranza, ma anche dall'opposizione. Infatti, il Governo ha sostanzialmente lavorato sul solco di quello che ha fatto - magari bon gré mal gré - il Governo precedente, ragionando sulla base delle osservazioni che sono emerse ad una prima stesura del decreto-legge; di conseguenza, in accordo con il relatore, si è anche pensato ad alcune modifiche che appaiono assolutamente ragionevoli. In ultima analisi l'acconsentire ad una proroga un po' maggiorata rispetto a quella iniziale va incontro anche a richieste dei deputati dell'opposizione, oltre che della maggioranza. Per questo motivo sarebbe bene che il provvedimento in esame venisse approvato da tutta l'Assemblea.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.