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In ricordo di Beniamino Andreatta (ore 12,05).
PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo). Signore e signori deputati, lunedì 26 marzo 2007 è scomparso a Bologna Beniamino Andreatta. Si è così concluso il lungo periodo di silenzio impostogli da un male improvviso, che lo ha colto proprio in questa aula più di sette anni or sono. Alla signora Giana ed ai figli Tommaso, Filippo, Eleonora ed Erica l'Assemblea della Camera dei deputati rinnova i sentimenti del più profondo ed intenso cordoglio, ma anche della sincera ed ammirata gratitudine per il coraggio esemplare, Pag. 35la discrezione e la sobrietà con cui hanno affrontato un percorso tanto aspro e doloroso.
L'impegno pubblico di Beniamino Andreatta ha onorato il nostro paese e ha offerto una lezione alta della politica e di ciò che ne costituisce il proprio: la costante attitudine a mettersi in relazione con la società, a scrutarne i mutamenti, ad orientare il percorso sulla base di un'idea di convivenza che non si chiude alla trasformazione ed alle dinamiche della storia.
Questa visione così esigente si è tradotta nella concretezza di un'attività accademica e scientifica intensa, innovativa, segnata da una costante propensione a mettersi in gioco, a rischiare, a superare gli schemi dati, ad affrontare dure contese intellettuali e politiche.
Ne danno conto, tra le tante altre, le iniziative legate alla Facoltà di scienze politiche a Bologna, alla Facoltà di sociologia a Trento, sua città natale, e all'avvio dell'Università della Calabria, espressione di un meridionalismo che - forte della lezione di Pasquale Saraceno - vede nel divario tra Nord e Sud del paese una questione culturale, etico-politica, prima ancora che economica, che investe le stesse basi morali della comunità nazionale.
Di questa capacità di ideazione e di proposta recano impresso un segno incancellabile i tanti suoi allievi, che si sono formati attorno alle istituzioni di analisi e ricerca economica da lui ispirate e guidate con l'autorevolezza e il rigore del maestro, ma anche con un tratto peculiare di umanità schiva e trattenuta e, al tempo stesso, grande e generosa.
Andreatta è stato uomo di ricerca intellettuale e di Governo. Due volte Ministro del tesoro e due volte del bilancio, ha dato prova del suo coraggio e del suo assoluto disinteresse contribuendo a realizzare la piena autonomia della Banca centrale rispetto all'Esecutivo, presupposto strategico per la stabilità finanziaria del paese.
Come Ministro degli esteri e quindi della difesa, ha professato con la chiarezza di ogni sua scelta l'adesione alla prospettiva atlantica, rivendicando peraltro il ruolo insostituibile di un'Europa unita - più forte e più consapevole della propria funzione storica - per orientare il ponte tra le due sponde dell'oceano nella direzione della pace tra i popoli e le nazioni. Un ponte che egli ha sempre iscritto nel quadro di un multilateralismo avanzato, che trova nelle Nazioni Unite e nei suoi metodi di azione il proprio centro di gravità. (Il deputato Dussin è colto da malore)...
Per favore, chiamate un medico. Sospendo per qualche minuto la seduta.
La seduta, sospesa alle 12,10, è ripresa alle 12,20.
PRESIDENTE. La seduta è ripresa.
I medici ci dicono che non dovrebbe esservi alcun elemento di preoccupazione per le condizioni del collega Guido Dussin, il quale dovrebbe quindi essere nelle condizioni di rimettersi rapidamente. In ogni caso gli formuliamo i più vivi auguri affinché possa ritornare prestissimo tra di noi (Generali applausi).
Riprendendo ora la commemorazione del deputato Beniamino Andreatta, credo sia giusto ricordare, qui in particolare, come egli sia stato anche - e da protagonista - uomo del Parlamento.
Ne ricordiamo le battaglie, condotte soprattutto da presidente della Commissione bilancio del Senato, per il rispetto dell'obbligo costituzionale della copertura delle leggi di spesa; la prefigurazione del rischio di un Parlamento che riduce alla gestione di interessi di settore il suo ruolo naturale di guida e di orientamento delle grandi scelte del Paese; il contributo assicurato alla Camera, come presidente del gruppo del Partito popolare italiano tra il 1994 ed il 1996, in una fase importante della storia del Parlamento, segnata dal primo profilarsi di un sistema bipolare.
La Camera dei deputati, di cui egli ha fatto parte per tre legislature, conserva la memoria della sua intransigenza, della sua austerità, della sua idea del mandato parlamentare come servizio, che trova nella Pag. 36cura degli interessi di tutti - e non del privilegio di alcuni - il fondamento della sua dignità.
Questo rigore, che affonda le sue radici nel magistero di Aldo Moro, è stato praticato da Andreatta con coerenza, anche a prezzo di costi politici e personali. In questo stesso rigore ritroviamo oggi uno dei suoi insegnamenti più duraturi.
Per una comunità politica - e direi per ogni comunità - i contrasti cui conduce il libero, aperto e democratico confronto delle idee e delle opinioni non rappresentano un elemento di freno o di disgregazione, ma sono uno dei fattori determinanti per la crescita morale e civile di tutti coloro che la compongono.
Richiamandosi ad Aristotele, Beniamino Andreatta ha affermato che «la politica c'è solo dove c'è la differenza e dove si tratta di trovare un metodo per comporre le differenze attraverso una regola di civiltà».
In un tempo in cui avvertiamo con particolare intensità i rischi dell'omologazione culturale, del conformismo ideale, di una politica senza sostanza - che tende a rifiutare la durezza del confronto, ma ne perde la ricchezza e la capacità di rinnovamento - la testimonianza di Beniamino Andreatta rappresenta un riferimento da preservare con cura e da diffondere presso le generazioni che ci seguiranno.
Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio - Generali applausi). Grazie.
Ha chiesto di parlare il presidente del gruppo L'Ulivo, Dario Franceschini. Ne ha facoltà.
DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, dopo le parole insieme così solenni e così sincere del Presidente della Camera, non è facile ricordare in poco tempo cosa è stato Beniamino Andreatta per noi.
È stato scritto molto bene in questi giorni del suo ruolo determinante nella nascita faticosa del bipolarismo italiano di cui, senza incertezze, potrà e dovrà essere ricordato tra i padri.
È stato giustamente sottolineato, in particolare, il suo ruolo decisivo nella nascita dell'Ulivo. Non credo sia giusto e corretto attribuire oggi ad Andreatta la condivisione o meno del processo politico che stiamo cercando di costruire in questi mesi. Troppo alto, troppo libero era il suo pensiero per consentire a chiunque di noi di cercare di appropriarsene. Penso solo - me lo consentirete - che sarebbe molto contento di vedere qui, su questi banchi attorno al suo, tutti noi, così mescolati, con l'orgoglio delle nostre storie incrociate, con le nostre diversità, ma tutti insieme nel gruppo parlamentare dell'Ulivo.
Nel lungo e faticoso cammino del sistema politico italiano molte volte è comparsa la distinzione tra politici e tecnici, talvolta anche perché, nel frastuono della lunga e faticosa transizione che stiamo ancora attraversando, i secondi sono stati chiamati a coprire le debolezze e le colpe dei primi.
Qualcuno ha pensato che anche Andreatta potesse essere catalogato tra i tecnici prestati alla politica: ha sbagliato, non è così. Andreatta è stato sicuramente un intellettuale, un professore, un economista straordinario. Ma è stato anche un leader politico nel senso più puro e autentico del termine, e non solo per la sua capacità di vedere lontano, ben oltre la cronaca, o di capire i cambiamenti prima che accadessero, quell'essere avanti che spesso non viene capito da chi si attarda o proprio non vuole vedere. Una volta è capitato anche a me di non capirlo, di non capire che aveva ragione e di usare parole sbagliate ed ingiuste con lui; parole per cui provo ancora dolore, dolore per non aver avuto il tempo di chiedergli scusa, guardandolo negli occhi e dicendogli che aveva ragione lui.
Andreatta è stato un leader politico anche per la sua ammaliante capacità di ragionare ad alta voce, di trascinare con i suoi discorsi pungenti e pieni di geniali e imprevedibili lampi di luce. Forse, è la parte meno ricordata di lui, ma non può dimenticarlo chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo - mi verrebbe quasi da dire «di vederlo» - nei suoi interventi in aula, in Pag. 37campagna elettorale, nei grandi congressi di partito, nei convegni di Chianciano della sinistra DC in cui noi giovani di allora aspettavamo di ascoltarlo in quella irripetibile sfilata di talenti: lui, Granelli, Zaccagnini e tanti altri che, per fortuna, sono ancora con noi.
Nino Andreatta è stato, dunque, molte cose insieme, ma soprattutto è stato un uomo di Stato nel rigore e nel coraggio delle sue scelte: al Governo come ministro e in Parlamento come presidente di gruppo, sempre pensando solo all'interesse del paese, anche quando confliggeva con l'interesse della sua parte o con la ricerca del consenso.
Uomo di Stato nella sua difesa del sacro principio della laicità dello Stato, mai gridato o rivendicato, ma sempre coerentemente e silenziosamente praticato, senza esitazioni. Molto ci ha insegnato con la sua scelta di fede così salda eppure mai ostentata. Molto ci ha fatto riflettere con la sua voglia di ascoltare e di capire con curiosità umana e curiosità intellettuale le ragioni di chi la pensava diversamente da lui. Mai verità da sbattere in faccia, ma piuttosto la categoria del dubbio imparata da Aldo Moro in mezzo a troppe, tanto facili e tanto fragili certezze. In fondo, anche con gli ultimi sette anni della sua vita, ci ha spinto a riflettere sul mistero della vita stessa, a interrogarci, ad ascoltarci, lui con il suo silenzio e sua moglie Giana con parole bellissime.
Non dobbiamo forse chiederci tutti, anche nel nostro dibattito di questi mesi, se sia possibile che di fronte a temi così enormi, così profondi, che scendono fino alle radici stesse della nostra esistenza, ci si possa dividere tra laici e cattolici o, peggio, tra partiti e schieramenti senza almeno provare ad ascoltarci e a capirci? Non sarebbe più onesto confessarci i nostri dubbi, le nostre paure, le nostre incertezze, le nostre speranze di saper scegliere la strada giusta nel nostro lavoro di legislatori?
Infine, è stato uomo di Stato nel rigore e nella pulizia dei suoi comportamenti: la politica e gli incarichi nelle istituzioni come servizio al paese, quella qualità divenuta troppo rara, anche tra di noi, nella classe dirigente, ma così attesa, così cercata, così pretesa giustamente da chi ci offre il suo voto, con l'essere testimoni autentici delle proprie idee, che tutti capiscono e sentono sotto la loro pelle senza bisogno delle parole, quel vivere con amore e rispetto questo nostro lavoro, così nobile, così difficile, così carico di responsabilità ma anche di tentazione, il potere, i privilegi, la superbia, l'arroganza.
Andreatta ha seminato tutta la vita. L'Italia è piena dei suoi allievi e delle sue idee nella professione, nello studio, nella politica e molte pubblicazioni e convegni presto lo dimostreranno. Vengono in mente le parole bellissime con cui solo un sindaco così unico e così inimitabile come Giorgio La Pira poteva pensare di ricordare un suo giovane assessore, Nicola Pistelli, troppo presto e tragicamente scomparso. Coprì tutti i muri di Firenze con un manifesto di lutto in cui stava soltanto scritto: «Da quel chicco di frumento, nasceranno tante spighe di grano nuovo».
Ecco, dalle idee e dalla vita di Beniamino Andreatta continueranno a nascere, per decenni, tante spighe di grano nuovo (Generali applausi)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi. Ne ha facoltà.
ROMANO PRODI, Presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli parlamentari, il 26 marzo del 2007 si è spento a Bologna, tra l'affetto dei suoi familiari, il professor Beniamino Andreatta. Economista, uomo politico, più volte ministro, esponente di primo piano della Democrazia Cristiana, tra i fondatori del Partito Popolare e dell'Ulivo, era da molti anni ricoverato presso il reparto di rianimazione dell'ospedale di Sant'Orsola, dopo che un malore lo aveva colpito, il 15 dicembre del 1999, proprio in quest'aula, durante la discussione della legge finanziaria.
Beniamino Andreatta era nato a Trento, l'11 agosto del 1928, ma a Bologna Pag. 38si è svolta gran parte della sua lunga carriera accademica. Si era laureato in giurisprudenza a Padova, dove nel 1950 aveva ricevuto il premio come miglior laureato dell'anno. Negli anni dell'università, in quegli anni, si accosta all'esperienza di Cronache sociali di Dossetti, Lazzati, La Pira e Glisenti. Qui viene in contatto con i grandi problemi dell'immediato dopoguerra, partecipando ad analisi e dibattiti insieme ad economisti come Caffè e Saraceno e a politici come Dossetti e La Pira. È poi assistente presso l'università Cattolica e visiting professor presso l'università di Cambridge. Nel 1962, a soli trentaquattro anni, vince il concorso alla cattedra di politica economica dopo aver passato un anno a Nuova Delhi presso la Planning commission del Governo di Nehru con un gruppo di esperti del Massachusetts institute of technology.
Il legame con l'università è stato il filo conduttore della sua vita, nell'insegnamento, nella fondazione di nuove strutture accademiche come l'università di Trento e, soprattutto, l'università di Calabria, a cui ha dedicato, insieme a Paolo Sylos Labini, grandi energie e grandi sacrifici. «È stato il mio servizio civile» usava dire parlando di questa sua intensa esperienza. Ed è certo che in Calabria, con tenacia e lungimiranza, è stata vinta da Andreatta una grande battaglia per l'apertura culturale e lo sviluppo civile del Mezzogiorno.
Si deve ancora alla sua iniziativa la fondazione della nuova facoltà di scienze politiche dell'università di Bologna, facoltà che è stata a lungo un punto di riferimento degli studiosi di economia e di politica di tutto il paese; un'attività intellettuale vasta e profonda anche al di fuori della scienza economica, attività che lo porta ad essere tra i protagonisti de Il Mulino a Bologna e fondatore dell'AREL a Roma.
È un accademico atipico, con una straordinaria vastità di orizzonti, ma soprattutto con una apertura mentale ed una curiosità intellettuale che hanno permesso e promosso dibattiti assolutamente liberi da ogni condizionamento e hanno saputo attrarre energie intellettuali appartenenti a molte discipline. E tanti di coloro che sono cresciuti attorno a lui appartenevano ed appartengono a diverse scuole di pensiero e a diversi orientamenti politici.
Nino Andreatta era un uomo profondamente calato nella complessa realtà del suo tempo, ma ne andava talmente oltre da apparire - per chi non era capace di visione - quasi come fuori dal tempo.
Le sue proposte, che a molti suonavano come provocatorie e a volte certamente irriverenti rispetto al pensiero dominante, erano frutto di quella dissennatezza dei competenti che traeva ispirazione dalla sua complessa cultura, dalla sua insaziabile curiosità su ogni anche minimo aspetto della nostra società, ma derivavano anche dal suo costante confronto fra gli avvenimenti quotidiani e i grandi principi dell'etica e della politica. Da qui, la sua capacità di leggere il divenire dei processi sociali ed economici molto prima di quando sarebbero divenuti patrimonio comune. Il fatto che molti degli antagonisti politici o accademici di un tempo siano divenuti suoi grandi estimatori ne è la conferma e insieme il più significativo omaggio alla sua intelligenza.
Non vi è modo più efficace di render conto della sofferta insofferente lungimiranza di Nino Andreatta che richiamare alcuni suoi lontani scritti. Tra i molti, voglio riprendere un tema a lui caro e, ancora oggi, al centro del dibattito politico: il rapporto tra Stato e mercato.
Nella sua relazione al convegno di San Pellegrino del 1962, dal significativo titolo «Pluralismo sociale, programmazione e libertà» scriveva: «La distinzione tra potere politico e potere economico è fondamentale in una democrazia moderna come e più della distinzione dei poteri costruita dai teorici dello Stato liberale»; premesse da cui traeva la conclusione che la concorrenza non è un fatto spontaneo, ma è costruita attraverso regole di procedura imposte dall'autorità statale che escludono come illegittimi determinati comportamenti o eliminano determinate concentrazioni di potere. «In questo campo, una corretta e moderna legislazione antimonopolistica Pag. 39dovrà essere introdotta nel nostro paese»: parole pronunciate proprio mentre un'indagine parlamentare di quei tempi giungeva all'opposta, ma condivisa, conclusione - salvo alcune lodevoli eccezioni come quella di Federico Caffè - che il nostro paese non necessitasse di alcuna legislazione a tutela della concorrenza e del controllo dei monopoli.
Dalle riflessioni di San Pellegrino nacque il tentativo di Andreatta di dare all'allora dominante prospettiva della programmazione un ancoraggio liberale, anche attraverso la cosiddetta corrente neoliberista della scuola bolognese, sovente soggetta ad aspre ed ironiche critiche, perché queste erano idee che precorrevano i tempi. Bisognerà infatti attendere circa tre decenni per avere una regolazione antitrust e oltre quattro decenni perché si avviassero, dietro la pressione comunitaria, riforme volte all'abbattimento dei monopoli e alla liberalizzazione dei mercati.
Con questo discorso di San Pellegrino, prende forma visibile la sua lunga collaborazione con Aldo Moro, di cui diviene il principale consigliere di politica economica.
Ho richiamato questa relazione, volta a dare alla programmazione ancoraggio ed un obiettivo legati al mercato, anche per fare chiarezza, una volta per tutte, riguardo a giudizi caricaturali, mossi da pura polemica politica, che non rendono ragione né del pensiero, né dell'azione di Andreatta, né del suo rapporto di stima e di confronto culturale con Giuseppe Dossetti. Un rapporto personale di amicizia, di affetto e di reciproco arricchimento, che si nutriva di simile rigore nella fede religiosa e di simile interpretazione etica della vita politica, ma che non si traduceva in eguali progetti di politica economica, anche perché le priorità di Dossetti non erano certo proiettate verso le soluzioni tecniche dell'analisi del mercato, ma si concentravano, soprattutto, sui problemi di giustizia e di equità, nel quadro della distribuzione delle risorse e dei rapporti di forza tra ricchi e poveri a livello planetario.
È stato autorevolmente ricordato, durante la cerimonia religiosa di San Domenico a Bologna, il 29 marzo scorso, che Nino Andreatta era spirito laico e cristiano e sono state citate le sue parole: «Ciascuno attinge alla sapienza e cerca di tradurre in azioni, senza la sacrilega intenzione di coinvolgere Dio nelle sue scelte». È la lezione di Maritain e di Papa Montini, una lezione che viene dal profondo della tradizione cristiana e che ha trovato nel Concilio Vaticano II, venti anni dopo la fine dell'immane tragedia della guerra, espressioni indimenticabili.
Andreatta ricordava, accanto a queste, la lezione di Don Sturzo, la sua idea di tolleranza, che non è approvazione del male, ma quel rispetto delle persone che rende più facile l'opera di elevazione morale, che è il senso delle proporzioni, anche nello scontro politico, perché le cose non sono mai assolute, appaiono tali, ma non lo sono. In questo sta la laicità, cioè un metodo di approccio alla realtà, la forma più alta di anti-ideologia, di anti-fondamentalismo, di anti-assolutismo. Un metodo è per lui un habitus, non un'altra separata cultura in senso proprio, ma la condizione della convivenza di tutte le culture. La laicità, come migliore condizione, nella quale si possono confrontare opinioni, culture, fedi, valori diversi garantiti dalle regole comuni della nostra Costituzione.
Ricordo ancora personalmente la calda adesione di Andreatta alle parole del Concilio Vaticano II sul valore dell'intelligenza, sulla libertà religiosa e sulla dignità della coscienza morale. Quel che era stato sperato da intere generazioni, veniva ora espresso con parole autorevoli. La coscienza - dice, infatti, la Gaudium et spes - è il nucleo più segreto, è il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria. Nella fedeltà alla coscienza, i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono, tanto nella vita dei singoli, quanto in quella sociale.
Accanto alla sua vita accademica, inizia una lunga attività politica che lo porta sui banchi del Senato nel 1976. A partire dal giugno 1979, è prima ministro del Bilancio Pag. 40e poi degli Affari speciali nei Governi Cossiga e, quindi, ministro del Tesoro, con Forlani e Spadolini. Come ministro del Tesoro, mette in atto quello che viene chiamato divorzio fra Tesoro e Banca d'Italia, operazione coraggiosa ed innovativa che elimina l'obbligo del finanziamento illimitato del disavanzo pubblico da parte della Banca d'Italia. Una decisione necessaria per la stabilizzazione monetaria e per il futuro ingresso della lira nel consorzio monetario europeo.
La politica monetaria era stata, peraltro, sempre oggetto di particolari attenzioni sia nelle sue pubblicazioni scientifiche che nei suoi influenti commenti sui principali quotidiani nazionali: non solo l'analisi scientifica della politica monetaria, ma il rigore monetario come salvaguardia del risparmio e come difesa dall'endemica inflazione italiana.
È inoltre ancora vivo il ricordo di quel tempo per la liquidazione del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, in cui Andreatta ha agito respingendo le pressioni di quanti premevano per l'ennesimo salvataggio a spese del contribuente. La vicenda dell'Ambrosiano, dirà Andreatta in Parlamento, rappresenta la più grave deviazione di un'importante istituzione bancaria rispetto alle regole della professione verificatosi in un grande paese negli ultimi quarant'anni.
È assai probabile che questa battaglia gli sia costata una lunga assenza dal Governo. Andreatta ha tuttavia continuato, come presidente della Commissione bilancio del Senato, la sua lotta contro il partito della spesa e del disavanzo - sono sue parole -, come spesso ripeteva, partito che aveva molti sostenitori anche nel suo partito.
Solo nel 1993 torna ministro con il Governo Amato dove pone la parola fine alla Cassa per il Mezzogiorno e poi ministro degli esteri con il Governo Ciampi, dove prepara la riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU, riforma che, ancora oggi, è il punto di riferimento della posizione italiana per trasformare lo stesso Consiglio di sicurezza in un'organizzazione fedelmente rappresentativa dei grandi cambiamenti della realtà mondiale. Ed in questa funzione di ministro degli esteri esprime al massimo la sua linea politica di fedeltà all'Europa ed all'Alleanza atlantica.
Con l'avvento del Governo Berlusconi, Andreatta divenne il capogruppo del Partito Popolare alla Camera dei deputati ed è protagonista della costruzione dell'Ulivo alla vigilia delle elezioni del 1996.
Nel Governo da me presieduto lo ebbi come straordinario ministro della difesa; in questa funzione, si adoperò per la riforma degli stati maggiori, per la realizzazione della missione «Alba», per una forte spinta alla politica di difesa europea, per l'inizio dell'abolizione della leva militare e per il rilancio del servizio civile.
Permettetemi, onorevoli deputati, anche un ricordo personale che è quello di essermi ritrovato nel banco del Governo con il mio professore, accanto al quale avevo lavorato ed ero vissuto per oltre trent'anni, anche se, proseguendo un antico costume accademico, continuavamo, unici nell'intero Consiglio dei ministri, a darci rigorosamente del «lei». Nel suo inimitabile stile, questo era un segno di particolare familiarità e, certamente, anche di un pizzico di snobismo.
Percorrendo le tappe della sua esistenza, emerge chiaramente come il professor Andreatta sia sempre stato uomo del cambiamento e dell'innovazione. Non ha mai avuto paura dei cambiamenti: ha sempre innovato non solo nel suo impegno politico e di Governo, ma anche nella sua attività di ricerca sia in campo economico che in altri settori.
Da un lato, ha fondato «Prometeia», ancora oggi il centro di ricerca più avanzato nelle previsioni economiche e, dall'altro, è stato protagonista dello sviluppo dell'Istituto per le scienze religiose di Bologna, oggi Fondazione Giovanni XXIII, contribuendo a farne un centro di ricerca unico nel suo genere nel mondo.
Anche nell'impegno politico diretto è stato sempre un innovatore ed ha portato tutto il peso della sua intelligenza per riformare politica ed istituzioni. Basti ricordare il suo contributo decisivo al rinnovamento Pag. 41del partito in cui ha militato, avviando percorsi per modificare gli strumenti stessi della politica. Il referendum sulle preferenze, prima, e la nascita dell'Ulivo, poi, mostrano questo suo continuo lavorare per il futuro.
Andreatta, inoltre, ha sempre pensato in grande; non si accontentava di un realismo appiattito sul presente. Ha sempre cercato la politica come futuro; ha avuto l'ambizione di cambiare il paese, perché era consapevole delle necessità di un significativo contributo dell'Italia nell'incidere sui destini del mondo: cambiarli, facendo appello alle risorse migliori di intelligenza, di cultura, di moralità, mai alimentando i suoi peggiori vizi di egoismo sociale, di disprezzo delle istituzioni, di volgarità.
Non ha mai immaginato la politica come occupazione e spartizione del potere, mai come scambio, come manipolazione delle coscienze. L'ha vissuta come progetto per il futuro, come programma di trasformazione della società. E lo ha fatto costantemente con spirito critico, uno spirito critico che a volte poteva sembrare esasperato, ma che finiva sempre con una ferrea e quasi ingenua fiducia che le cose potessero cambiare radicalmente e rapidamente.
La singolarità e la straordinarietà di Nino Andreatta è stata, quindi, quella di essere, al tempo stesso, un uomo di grande cultura e di grande politica; la cultura, come capacità di cogliere i nodi profondi della società, le sue fragilità, le sue potenzialità; la politica, come azione per offrire nuovi orizzonti al futuro del paese e del mondo.
Non era, quindi, solamente un tecnico e uno studioso dell'economia, ma un lettore acutissimo delle trasformazioni sociali, delle spinte di rinnovamento, dei cambiamenti di mentalità.
Con il suo sguardo, mai provinciale ed angusto, ma largo e penetrante, sapeva attraversare i fenomeni per andare oltre, anticipando il futuro. Egli colse in tutta la sua acutezza la questione morale, quando essa cominciò a definirsi agli inizi degli anni Ottanta. Capì subito che segnava il grande momento della crisi della politica; la stessa democrazia ne veniva violata nei punti decisivi.
Eppure, non scelse mai la via del moralismo, ma della politica coraggiosa, volta a riformare i partiti che ne sono strumento essenziale, senza cedere mai nel populismo e nella demagogia.
Non era solo il discorso dell'economista contro gli sprechi, ma un grido di allarme per il progressivo inquinamento delle istituzioni e del paese.
Per questo, oggi, siamo tutti più orfani e, certamente, lo sono io, nei confronti del professore Andreatta, di cui sono stato, per oltre trent'anni, allievo e amico.
Il paese è orfano della sua intelligenza, della sua generosità e della sua lungimiranza. Per questo motivo, egli è sempre stato presente fra noi anche nei sette anni di dura prova che egli ha vissuto. Grazie (Generali, prolungati applausi - Il Presidente si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo).
PRESIDENTE. Prima di concludere la cerimonia, vorrei ringraziare ancora i familiari di Beniamino Andreatta, la signora Giana e figli, per la loro presenza a questa nostra commemorazione.
La commemorazione di Beniamino Andreatta è così conclusa (Generali, prolungati applausi).
Sospendo per dieci minuti la seduta, che riprenderà con la votazione per schede per l'elezione di componenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti.
La seduta, sospesa alle 12,55, è ripresa alle 13,10.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI