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Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Iniziative conseguenti alla dichiarazione conclusiva dell'Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita svoltasi nel mese di marzo 2007 - n. 2-00434)
PRESIDENTE. La deputata Poretti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00434 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, tengo a ricordare come, lo scorso 17 marzo, sia stata resa nota la dichiarazione conclusiva dell'Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita. Successivamente, organi di stampa hanno pubblicato l'appello delle gerarchie ecclesiastiche, nel quale si invitava al «doveroso esercizio» di una «coraggiosa obiezione di coscienza i medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari, ed Pag. 34altre figure professionali direttamente coinvolte nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo».
Tali pubbliche dichiarazioni potrebbero integrare il reato previsto e punito dal codice penale all'articolo 414, in quanto istigazione alla commissione di uno o più reati e, in particolare, quello previsto e punito dall'articolo 328 dello stesso codice (rifiuto e omissione d'atti d'ufficio).
L'istigazione pare tanto più grave in quanto è rivolta ad una categoria di pubblici ufficiali e funzionari quali i magistrati, soggetti, per il dettato dell'articolo 101 della Costituzione, esclusivamente alla legge.
La Corte costituzionale, del resto, ha chiarito, in più occasioni, che l'obiezione di coscienza dei giudici è in netto contrasto con la tutela dell'ordine giuridico. Pare evidente che una disobbedienza civile degli organi dello Stato, deputati proprio a far rispettare quella legge a cui disobbediscono, si tradurrebbe nella morte dello Stato di diritto e della legalità.
Ciò considerato anche che invitare i magistrati a disapplicare la legge italiana quando in contrasto con i principi della fede cattolica, così come affermato dallo Stato del Vaticano, costituisce una violazione del Concordato lateranense fra la Repubblica italiana e la Chiesa cattolica (legge 20 marzo 1985, n. 121) e, in particolare, proprio del suo primo articolo, il quale recita: «La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del paese».
Con tali esortazioni - quelle formulate, per l'appunto, dalla Pontificia accademia per la vita -, lo Stato del Vaticano non ha semplicemente espresso un'opinione su norme che non condivide (cosa assolutamente legittima), ma si è adoperato affinché la legge - e, quindi, «l'ordine» prima richiamato nel Concordato - della Repubblica italiana fosse trasgredita. Tutt'altro che un esempio di quel «pieno rispetto» per l'ordine, l'indipendenza e la sovranità dell'Italia previsto dal citato Concordato!
Tali dichiarazioni costituirebbero, anche in assenza di un patto concordatario, una grave offesa alla sovranità dello Stato italiano. Se ad invitare i magistrati italiani a non applicare la legge fosse stato un qualsivoglia altro paese, si sarebbe immediatamente aperta una grave e duratura crisi diplomatica.
Ebbene, chiedo se, a fronte di quella che si palesa come una chiara ed evidente violazione del Concordato, il Governo italiano non ritenga di poter ravvisare in essa gli estremi per un sostanziale superamento del Concordato stesso, in riaffermazione di una piena indipendenza e sovranità della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Ricordo preliminarmente (lo accennava poc'anzi anche l'onorevole Poretti) che in Italia i rapporti tra Stato e Chiese sono regolati anzitutto dagli articoli 7 e 8 della Costituzione.
L'articolo 7, primo comma, della Costituzione, che la Santa Sede ha riconosciuto, firmando, nel 1984, l'Accordo di revisione del Concordato lateranense, sancisce il principio secondo il quale lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani, separando espressamente l'ordine dello Stato e l'ordine della Chiesa. Principio, questo, ripetuto anche nelle intese stipulate con diverse confessioni religiose, a reciproca garanzia delle parti.
Con l'articolo 8, primo comma, si è stabilito che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Queste disposizioni hanno permesso, nel corso di decenni di storia repubblicana, di mantenere distinti i due piani, temporale e spirituale, e contemporaneamente Pag. 35hanno consentito un fecondo dialogo tra lo Stato, la Chiesa cattolica e le altre Chiese e confessioni religiose.
In questo contesto di pluralismo religioso e di libertà, le autorità della Chiesa cattolica e delle altre religioni presenti nel paese sono pienamente libere di manifestare il proprio pensiero e di fornire insegnamenti ai loro fedeli che, ovviamente, non possono essere vincolanti nell'ordine dello Stato.
In particolare, per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica, con la revisione del Concordato lateranense del 1984 è stato riaffermato e concretamente articolato il principio costituzionale dell'assoluta distinzione, indipendenza e autonomia dei due ordini della Chiesa e dello Stato, che si impegnano ad una reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e del bene del paese.
A questo si aggiunge, nel protocollo addizionale, il venir meno del principio originariamente richiamato dai Patti lateranensi della religione cattolica come religione dello Stato, in conformità al dettato della Costituzione, ispirata al principio supremo di laicità dello Stato.
L'azione del Governo si è costantemente attenuta, di fronte al libero esplicarsi del fenomeno religioso, a tale principio, alla luce dell'interpretazione data dalla Corte costituzionale, la quale afferma che la laicità dello Stato implica non indifferenza nei confronti della religione, ma garanzia dello Stato stesso per la tutela della libertà religiosa in un regime di pluralismo confessionale e culturale.
Il Presidente della Repubblica Napolitano, nel suo discorso rivolto al Pontefice Benedetto XVI in occasione della sua visita in Vaticano, avvenuta lo scorso novembre, ha riaffermato che in Italia l'armonia dei rapporti tra Stato e Chiesa è garantita dal principio laico di distinzione sancito dalla Costituzione e dall'impegno alla «reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e per il bene del paese».
Il Capo dello Stato ha inoltre sottolineato che, pur se esistono scelte che appartengono alla sfera statale, alla responsabilità e all'autonomia della politica, viene avvertita come esigenza pressante ed essenziale il richiamo al fondamento etico della politica. La libertà della Chiesa cattolica e lo svolgimento della sua missione pastorale, educativa e caritativa di evangelizzazione e di santificazione è riconosciuta dall'articolo 2 dell'Accordo del 1984, che garantisce, inoltre, «ai cattolici e alle loro associazioni ed organizzazioni, la piena libertà di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Apparirebbe pertanto contraddittorio riconoscere la libertà di opinione, di espressione e di manifestazione del pensiero alla Chiesa cattolica e alle altre confessioni religiose se poi volessimo limitare o negare o escludere questa libertà quando il contenuto riguarda atti che sono oggetto di dibattito pubblico. Questi non si sottraggono, anche sui temi eticamente rilevanti, ai giudizi espressi in una prospettiva religiosa, alla quale si può liberamente aderire o con la quale, altrettanto liberamente, si può essere in contrasto.
Nella libertà della Chiesa è quindi compreso il pieno diritto di esprimere valutazioni e formulare giudizi, di parlare alle coscienze dei cittadini e dei politici. Spetta poi a questi ultimi e alla loro coscienza valutare, accogliere, seguire oppure ignorare tali dichiarazioni.
Nell'autonomia dello Stato rientra, ovviamente, il pieno diritto di elaborare norme e leggi sulla base di liberi orientamenti degli organi di Governo e legislativi. Ciò avviene, d'altra parte, in tutti i paesi democratici ad ispirazione laica, dove non mancano le discussioni di carattere etico e religioso.
La Dichiarazione finale della XIII Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita si inserisce nel contesto della diffusione dei risultati del lavoro di studio e di ricerca legato alla Santa Sede e rientra nella libera espressione del magistero e del ministero della Chiesa.
La predetta Dichiarazione è, quindi, un documento di sintesi che serve a presentare i risultati delle sessioni di lavoro e i membri si impegnano ad agire in conformità con il magistero della Chiesa.Pag. 36
D'altro canto, la stessa Pontificia accademia per la vita, nei giorni scorsi, ha formulato precisazioni in merito ad alcune interpretazioni apparse sugli organi di informazione proprio sui contenuti della predetta Dichiarazione, specificando che il documento ha carattere di indirizzo universale e, pertanto, non è rivolto ad una nazione in particolare. Posizione, questa, di cui ha tenuto conto il Consiglio superiore della magistratura che, in una nota, in occasione dell'apertura di un dibattito interno sul delicato tema dell'obiezione di coscienza, ha fatto sapere che «non vi è alcuno scontro fra il Consiglio superiore della magistratura e la Chiesa sull'obiezione di coscienza dei giudici, ma solo una decisione dell'organo di autogoverno di approfondire le tematiche della deontologia professionale».
Pertanto, si può affermare che la libertà religiosa e di coscienza garantita dalla Costituzione, da un lato, assicura alla Chiesa cattolica e alle confessioni religiose la libertà di esprimere in ogni forma il loro insegnamento e, dall'altro, garantisce a ciascun individuo la libertà di agire secondo i dettami della propria coscienza.
Per queste ragioni non c'è motivo per ritenere che una discussione come quella che si sta sviluppando in Italia in questi mesi possa, in qualche modo, mettere in crisi i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, che poggiano su basi solide e sull'idea condivisa dell'applicazione del dettato costituzionale.
PRESIDENTE. La deputata Poretti ha facoltà di replicare.
DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, non mi posso ritenere soddisfatta della risposta.
Lungi da me l'intento di voler limitare la libertà di espressione e ringrazio il sottosegretario per questa piccola lezione riassuntiva del principio della laicità dello Stato e di quello della separazione tra lo Stato e la Chiesa.
In realtà, ci troviamo in un momento politico assai delicato e, per quanto si voglia chiamare coraggiosa disobbedienza civile, l'appello contenuto nel documento della Pontificia accademia per la vita costituisce un'istigazione a violare le leggi. D'altra parte, disobbedienza civile, vuol dire proprio violare le leggi e assumersene pubblicamente la responsabilità penale, civile o amministrativa, anche a fini di lotta politica.
Ricordo per inciso la vicenda della disobbedienza civile posta in essere da un giudice, il dottor Luigi Tosti di Camerino che, proprio appellandosi alla laicità dello Stato, si è rifiutato di svolgere la propria funzione giudicante perché nell'aula di giustizia dove si svolgeva il rito non veniva rimosso un crocifisso appeso al muro. Per tale motivo, il suddetto magistrato è stato condannato dal tribunale dell'Aquila a sette mesi di reclusione per omissione d'atti d'ufficio. Questo vuol dire dar vita ad una disobbedienza civile!
Inoltre, ricordo le disobbedienze civili praticate dai radicali per ottenere l'obiezione di coscienza in caso di servizio militare, alle quali seguì l'arresto dell'allora segretario del partito radicale, Roberto Cicciomessere. Pochi mesi dopo il suo arresto, grazie ad una mobilitazione dell'opinione pubblica promossa dal partito radicale, il Parlamento italiano approvò, il 15 dicembre del 1972, una legge che riconosceva il diritto civile all'obiezione di coscienza nel servizio militare.
Simili iniziative, del resto, sempre da parte dei radicali, furono svolte anche in Belgio dove, Olivier Dupuy, che poi fu segretario del partito radicale transnazionale, fu condannato a due anni di carcere per aver disubbidito alle leggi in materia di leva obbligatoria.
Queste sono obiezioni di coscienza praticate con la disobbedienza civile e, quindi, con l'autodenuncia e con la richiesta di condanna per aver violato una legge ritenuta ingiusta di cui si sollecita una modifica; vi sono poi casi di obiezione di coscienza previsti dalla legge e praticati, perciò, nel pieno rispetto della normativa vigente, come nel caso del servizio civile svolto al posto di quello militare fino a quando la leva era obbligatoria, o, ancora, come nel caso previsto dalla legge n. 194 Pag. 37del 1978 sull'aborto, che costituisce tuttavia reato laddove il medico eserciti la propria disobbedienza al di fuori dai casi tassativamente previsti dalla citata legge.
La disobbedienza cui si riferisce, invece, il documento in questione, che, non a caso, la definisce «coraggiosa», inequivocabilmente non rientra fra i casi tassativamente previsti dalla legge, perché si riferisce anche a categorie professionali che non hanno alcuna possibilità legale di obiettare alla legge secondo la propria coscienza, quali, ad esempio, i magistrati. L'istigazione in questione appare tanto più grave in quanto è rivolta ad una categoria di pubblici ufficiali e funzionari quali i magistrati, soggetti, secondo il dettato dell'articolo 101 della Costituzione, esclusivamente alla legge e la Corte costituzionale ha chiarito in più occasioni che l'obiezione di coscienza dei giudici è in netto contrasto con la tutela dell'ordine giuridico. Appare evidente che una disobbedienza civile degli organi dello Stato deputati proprio a far rispettare la legge cui disobbediscono si tradurrebbe nella morte dello Stato di diritto e della legalità, nonché nell'imposizione della propria scelta «disobbediente» a chi si era, invece, rivolto al magistrato proprio perché agisce in nome del popolo italiano. La forza dell'appello - e sul punto si torna all'appello, signor sottosegretario -, la sua diffusione mediatica, le sue potenzialità, il seguito dello stesso, che derivano dalle indubbie capacità delle gerarchie vaticane di influenzare i cittadini, oltre che una massa generalizzata di persone potenzialmente recettrici dell'istigazione, rendono probabile la sussistenza del reato di istigazione a compiere atti contrari ai doveri del proprio ufficio, così come previsti e imposti dalle leggi vigenti.
Per mio conto, oltre a questo atto di sindacato ispettivo, presentato con il gruppo de La Rosa nel Pugno, con i compagni radicali, con il presidente di gruppo Villetti, ho inviato a quaranta procure un esposto-denuncia in cui chiedo di verificare la sussistenza dei reati di istigazione a delinquere e di violazione del Concordato. Altrettante procure sono state, per il momento, raggiunte da esposti di cittadini che, attraverso il sito dell'associazione per i diritti degli utenti e consumatori - www.adoc.it - hanno scaricato il facsimile e lo hanno inviato alle procure.
In attesa di una risposta dalle aule della giustizia, è urgente una risposta politica. Ogni giorno che passa l'Italia appare sempre più «supina» ed «inginocchiata» alle gerarchie vaticane. I diktat si susseguono con una frequenza ed una veemenza sempre più impressionanti. Dopo la dettatura dell'agenda politica, ormai dal Vaticano arrivano anche dettagliati e puntuali emendamenti alle leggi che il legislatore è in procinto di scrivere, sempre che abbiano superato il veto iniziale. Così: Pacs no, Dico neppure, testamento biologico sì, ma solo a certe condizioni, e così via. Dopo l'esposto alle procure, in attesa che un giudice decida di dar corso alla giustizia e di applicare la legge, rivolgo un appello in quest'aula, signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, a rispettare la nostra Costituzione ed il nostro essere Stato laico. «A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio», che, a mio avviso, è la miglior garanzia per la stessa religione, per i fedeli ed anche per le gerarchie ecclesiastiche, e le scritte che in questi giorni compaiono sui muri delle nostre città ne sono anche la testimonianza: se la Chiesa diventa un attore politico ne subisce anche le peggiori conseguenze.