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Informativa urgente del Governo sugli sviluppi relativi alla vicenda del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori afgani (ore 11,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sugli sviluppi relativi alla vicenda del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori afgani.Pag. 2
Secondo quanto stabilito a seguito della Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri, dopo l'intervento del Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema, avranno luogo gli interventi dei rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per dieci minuti ciascuno.
Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
(Intervento del Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema.
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, signori deputati, le modalità di questo dibattito non consentono, purtroppo, un dialogo e, quindi, un approfondimento di singoli aspetti o la risposta a singoli interrogativi.
Pertanto, io dovrò dare a questa mia informativa - e me ne scuso - un carattere, probabilmente piuttosto noioso, di ricostruzione fattuale e in ordine cronologico delle circostanze relative al sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi due accompagnatori afgani. Il che sarà piuttosto lungo, piuttosto noioso e, forse, in parte mi costringerà a ripercorrere avvenimenti noti.
D'altro canto, si è scelta questa modalità di discussione e il Governo ha obbligo di aprirla con una informazione la più ampia e dettagliata possibile.
Vorrei innanzitutto esprimere, unendomi alle parole del Presidente della Camera, il cordoglio e lo sgomento, mio personale e del Governo, per le vittime, per chi, nel corso di questa complessa e drammatica vicenda, ha perduto la vita, per l'autista Sayed Agha, per l'interprete Adjmal Nashkbandi, uccisi barbaramente dai loro rapitori talebani.
Si è trattato di un esito doloroso che il Governo italiano, nella misura di ciò che concretamente poteva fare (e non era molto, come cercherò di spiegare), aveva cercato di prevenire fin dall'inizio, ma che non siamo riusciti ad impedire.
Dunque, la salvezza di Daniele Mastrogiacomo non compensa certo il dolore per la perdita di due giovani vite afgane, anche se riteniamo che l'avere salvato la vita di un nostro concittadino in un contesto così tragico e feroce è stato, comunque, un risultato positivo a cui abbiamo dedicato il nostro impegno nei giorni del rapimento.
Negli ultimi due anni e mezzo, ossia dall'inizio del 2005, le persone rapite in Afghanistan sono state sedici. Dodici sono state uccise, in diversi casi anche dopo trattative e pagamento di riscatto. Questo dà l'idea del contesto estremamente feroce in cui è avvenuto il rapimento di Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori, dell'estrema difficoltà di un'operazione di salvataggio che si presentava, fin dall'inizio, come un'operazione estremamente problematica e dall'esito incerto.
Di fronte a quest'ennesimo sequestro (ennesimo, se si considerano i diversi scenari di crisi, ovviamente, non soltanto l'Afghanistan, ma anche l'Iraq e la Nigeria), ci siamo mossi sulla base di un criterio che è stato quello di dare priorità alle ragioni umanitarie ovvero alla salvezza della vita degli ostaggi. Questo criterio, in verità, non è stato deciso dal Governo Prodi. È un criterio consolidato che è stato costantemente seguito negli anni da diversi Governi italiani e che, regolarmente, è stato sostenuto dall'insieme delle forze politiche parlamentari.
Anche di fronte al sequestro Mastrogiacomo, da ogni parte si è levato l'invito al Governo ad agire con ogni mezzo («avete carta bianca», fu detto), per cercare di salvare le vite umane.
È del tutto evidente che dare priorità alle ragioni umanitarie, ovvero alla salvezza della vita degli ostaggi, comporta, come conseguenza inevitabile, la ricerca della trattativa per raggiungere questo obiettivo, prassi che è stata costante, prassi che viene seguita, in realtà, anche da molti Pag. 3altri Governi occidentali, sebbene con modalità che variano di caso in caso e con esiti che possono essere più o meno positivi.
Fatta questa premessa, passo alla ricostruzione dei fatti.
La sera del 5 marzo scorso un giornalista del quotidiano la Repubblica, Vincenzo Nigro, ha informato il capo dell'Unità di crisi del Ministero degli esteri che, dal giorno 4 marzo, erano interrotte le comunicazioni con l'inviato Daniele Mastrogiacomo.
Mastrogiacomo, nell'ultima conversazione telefonica dall'Afghanistan con la redazione, aveva annunciato di avere in programma di recarsi nella provincia meridionale di Helmand per un'intervista ad un capo dei talebani.
Sottolineo che, da lungo tempo, l'Unità di crisi della Farnesina, l'ambasciata a Kabul ed il SISMI avevano segnalato l'elevato rischio di sequestri di persona in Afghanistan e nelle province meridionali. In particolare, tale rischio era stato reso pubblico insieme all'invito per i connazionali ad evitare le zone più esposte del paese. Nella regione, peraltro, era stata avviata appena un'importante operazione militare della coalizione, denominata Achille, con conseguente elevamento del rischio per chiunque si trovasse ad operare, a lavorare ed a transitare nella regione.
Fin da subito la notizia del rapimento di Mastrogiacomo è stata portata a conoscenza del Presidente del Consiglio e dei servizi di informazione ed il caso è stato seguito con la massima attenzione - come avviene normalmente - dall'Unità di crisi della Farnesina.
Inoltre, la dottoressa Belloni, responsabile dell'Unità di crisi, ha immediatamente informato - come da prassi - del possibile rapimento di Daniele Mastrogiacomo il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma e capo del pool antiterrorismo, dottor Franco Ionta, per le vie brevi subito e, successivamente, con comunicazione formale.
Gli organi di stampa hanno in un primo tempo dato notizia del sequestro di un giornalista britannico e di due accompagnatori afgani, tutti accusati di spionaggio. I nomi dei due afgani coincidevano con quello dell'autista e dell'interprete di Mastrogiacomo. In effetti, Mastrogiacomo e i suoi assistenti afgani vennero accusati di spionaggio a favore delle forze inglesi, anche dopo che la vera identità del giornalista italiano diventò chiara. Bisogna anche dire che le modalità della cattura - sono stati catturati pressoché subito - hanno dato la sensazione che il gruppo fosse atteso sulla base di previe segnalazioni, atteso e valutato come un gruppo con finalità non giornalistiche, ma di natura spionistica.
Avuta la certezza del rapimento, si stabiliva la necessaria concertazione tra Presidenza del Consiglio, Ministero degli esteri, servizi di informazione e Difesa. Tale concertazione sarebbe rimasta operativa fino alla conclusione della vicenda. Uno stretto raccordo operativo veniva anche attivato con il quotidiano la Repubblica e con i familiari del Mastrogiacomo, puntualmente informati di tutti gli sviluppi del caso.
Avuta conferma del rapimento, a partire dal 6 marzo, il Governo italiano chiedeva la collaborazione del Governo afgano per assicurare una rapida e contemporanea liberazione dei tre ostaggi e perché venissero messe in atto tutte le possibili misure per assicurare la loro incolumità. L'ambasciatore a Kabul incontrava a questo fine il ministro degli esteri afgano, che assicurava il massimo impegno delle autorità. In modo conseguente il Governo afgano ha in effetti garantito piena collaborazione all'Italia in tutto il periodo, fino ovviamente alla liberazione dell'ostaggio Daniele Mastrogiacomo.
Sempre il 6 marzo, il SISMI informava il Governo di aver acquisito indicazioni precise dai servizi collegati circa la localizzazione degli ostaggi. Nelle ore immediatamente successive al sequestro il gruppo dei rapitori si era apparentemente spostato insieme agli ostaggi nella località Nadali, verso sud, a ridosso del confine con il Pakistan.Pag. 4
Nelle ore successive il SISMI segnalava inoltre la possibilità, offerta dalle forze della coalizione ISAF, di effettuare, previa autorizzazione da parte del Governo italiano, un'azione di forza con la partecipazione di forze speciali, anche del nostro paese, per tentare la liberazione dei rapiti prima che i sequestratori potessero, come si temeva, sconfinare in territorio pakistano.
Tale possibilità non veniva scartata del tutto dal Governo e, dunque, veniva anche predisposta successivamente. Tuttavia, in linea con la prassi seguita nei casi precedenti, si preferivano esplorare, intanto, gli spazi per una soluzione negoziale, così da non esporre a rischio la vita degli ostaggi. Il ricorso all'uso della forza sarebbe stato considerato solo in caso di fallimento o impossibilità di trattative. Allo stesso tempo, il Governo escludeva la via di trattative fino a quando non fossero state acquisite prove certe dell'esistenza in vita degli ostaggi, chiedendo agli organi di informazione di astenersi dal diramare notizie non accertate nel merito e nell'attendibilità delle fonti.
Dalle informazioni più attendibili raccolte, incluse rivendicazioni di portavoce dei talebani riprese dalla BBC, il sequestro sembrava riconducibile al gruppo facente capo al mullah Dadullah, responsabile delle operazioni militari dei talebani nelle province a sud-ovest dell'Afghanistan. Le informazioni indicavano che si trattava di un gruppo particolarmente determinato e addestrato in tecniche di guerriglia e combattimento, praticate in passato con particolare efferatezza. Il mullah Dadullah, nato nel 1966 e attivo fin dagli anni Ottanta, già prima del 2001 era una delle dieci personalità più importanti tra i talebani, ritenuto responsabile di numerose esecuzioni e capace di un uso spregiudicato dei mezzi di informazione.
Il 7 marzo, mentre il Governo cominciava a sondare con attenzione la possibilità di trattativa, avvalendosi della già citata rete del SISMI, emergevano canali in grado di stabilire contatti diretti con questo gruppo di talebani. Da una parte, l'organizzazione non governativa Emergency, che si dichiarava disponibile a mettere a disposizione, attraverso il personale operante presso l'ospedale di Lashkar-Gah, un canale utile ad avviare una trattativa per il rilascio degli ostaggi. Sondato dal Governo, Gino Strada assicurava il massimo impegno della sua struttura per la liberazione dei rapiti, pur esprimendo preoccupazioni per il rischio di interferenze da parte di attori locali o italiani. Dall'altra parte, la redazione de la Repubblica comunicava che attraverso canali giornalistici esisteva la possibilità di un'altra via di contatto con i rapitori. Questo canale è stato operante nel corso di tutta la vicenda e, dunque, contatti si sono svolti attraverso una pluralità di canali, anche allo scopo di controllare le informazioni, di controllarne la fondatezza, lavoro che è stato fatto, ovviamente, dall'Unità di crisi della Farnesina, ma con la presenza e la responsabilità del SISMI, che ha affiancato i canali esistenti in loco con proprie strutture e propri funzionari e tale affiancamento si è protratto fino al giorno del rilascio di Mastrogiacomo. Questi canali sono stati usati in modo costantemente complementare.
La prima richiesta dei talebani veniva resa nota proprio attraverso il canale alternativo a quello di Emergency: ci si informava da Kandahar che il portavoce Yusuf aveva richiesto per il rilascio degli ostaggi la liberazione di quindici detenuti, fra i quali tre definiti portavoce dei talebani. Il Governo replicava, per il medesimo tramite, che nessuna rivendicazione sarebbe stata presa in considerazione senza la prova dell'esistenza in vita degli ostaggi. Sia il canale di Emergency sia gli altri entravano in possesso di elementi sulla sopravvivenza degli ostaggi: ciò è avvenuto il 10 marzo. Alle condizioni inizialmente avanzate dai talebani per il rilascio degli ostaggi si aggiungevano, però, la richiesta del ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan e l'annuncio di un ultimatum.
Dopo le prime richieste dei talebani, il 13 marzo mi sono recato personalmente alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, dove ho incontrato il procuratore capo Ferrara e il sostituto Pag. 5procuratore Ionta, per informarli sugli sviluppi degli avvenimenti, per conoscere il mandato che era stato affidato, nel frattempo, ai carabinieri del ROS a Kabul, in relazione al rapimento in corso, e per sottolineare la necessità di un coordinamento dell'azione istituzionale, in particolare delle azioni istituzionali che si svolgevano all'estero, e cioè in Afghanistan.
La procura assicurava ampia collaborazione.
Il 14 marzo Emergency riceveva e recapitava un video di Mastrogiacomo e del suo interprete Adjmal, risalente al 12 marzo, ampiamente poi diffuso dagli organi di stampa. A quel punto il canale Emergency sembrava disporre dei contatti indispensabili per una mediazione sul rilascio, anche data la rete di conoscenze maturate dalla ONG nell'area per la sua opera umanitaria, nonché la collaborazione prestata in occasione del rapimento del reporter Torsello. Indubbiamente Emergency, essendo l'organizzazione che gestisce un importante ospedale nella periferia di Lashkargah, senza il minimo dubbio dispone dell'insediamento più significativo nell'area in cui si svolgevano i fatti e di collegamenti più ramificati, anche in ragione dell'opera assistenziale che viene svolta in quella provincia.
Restava parallelamente aperto il canale alternativo, utile a verificare via via le informazioni e a potere esercitare un controllo sullo sviluppo degli avvenimenti. La ricerca di una soluzione che garantisse la vita degli ostaggi finiva insomma per imporre come scelta preferenziale l'utilizzo del canale umanitario, come del resto era avvenuto in casi analoghi nel passato.
Il 15 marzo l'agenzia di stampa afghana Pajhwok diffondeva un messaggio audio, in cui Mastrogiacomo confermava l'esistenza di un ultimatum con scadenza dopo due giorni. Lo stesso 15 marzo il direttore de la Repubblica, Ezio Mauro, rivolgeva un appello ai rapitori, affinché venisse concesso tempo adeguato. Il giorno successivo poi io stesso ho rivolto pubblicamente un analogo appello.
Da diverse fonti intanto venivano resi noti tre nominativi di detenuti talebani, anziché i quindici originariamente richiesti. Nel frattempo la richiesta del ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan era caduta, richiesta peraltro che non avrebbe potuto essere considerata ricevibile, come da subito fu chiarito da parte nostra. Dunque si veniva precisando una base più realistica per un possibile negoziato.
Era nel frattempo continuato, attraverso l'ambasciata d'Italia a Kabul, il dialogo con le autorità afgane circa la disponibilità a collaborare per il rilascio degli ostaggi. I contatti con il Governo, con le autorità locali e con i servizi di sicurezza afgani, anche ad opera del SISMI, hanno coinvolto lo stesso Presidente del Consiglio, il quale ha più volte parlato con il Presidente Karzai, anche nel corso del viaggio di quest'ultimo a Berlino e a Parigi, che si è svolto tra il 17 e il 19 marzo. In tale contesto, l'ammiraglio Branciforte, direttore del SISMI, si era dimostrato fiducioso circa la possibilità di sensibilizzare anche il Presidente della Camera bassa del Parlamento afgano, Yunus Kanouni. Il 15 marzo, in occasione di una visita in Italia di una delegazione del Parlamento afgano, guidata dallo stesso Kanouni, io stesso, insieme al direttore del SISMI, in un incontro ristretto alla Farnesina, abbiamo chiesto il suo impegno e il suo interessamento per una soluzione positiva: impegno ed interessamento che ci sono stati garantiti e che vi sono stati.
A quel punto - ed è il passaggio che desidero sottolineare - il Governo ha dovuto compiere una scelta. Si trattava di scegliere se chiudere ogni spazio di mediazione o se trasferire al Governo afgano, quale unico potere legittimo in grado di decidere in merito alla scarcerazione di detenuti in Afganistan, la richiesta fatta pervenire dai talebani attraverso il canale umanitario. Ed è quello che noi abbiamo scelto di fare: trasferire al Governo afgano tali richieste, perché esse potessero essere valutate.
La situazione diveniva ancora più palesemente drammatica al momento in cui, il 16 marzo, un portavoce di Dadullah, Atal, attraverso l'agenzia pakistana Pajhwok annunciava Pag. 6la notizia della barbara uccisione, da parte dei talebani, dell'autista Sayed Agha, accusato di spionaggio.
Il 17 marzo, il Governo Karzai decideva il rilascio di due dei tre talebani di cui era stata chiesta la scarcerazione, i quali venivano consegnati direttamente dai servizi afgani al personale di Emergency, a Lashkargah. Il terzo risultava già essere libero e, probabilmente, in Pakistan, secondo quanto riferito dal capo dei servizi di informazione, mentre un altro detenuto, chiesto in sua sostituzione, si opponeva al provvedimento di liberazione, avendo pressoché ultimato il periodo di carcerazione ed essendo probabilmente preoccupato per la sua incolumità, in relazione alla collaborazione offerta alle autorità afgane.
Bisogna dire che la collaborazione del Governo afgano, che è stata pronta nel corso di tutta questa vicenda, è anche legata ad una valutazione circa la limitata pericolosità dei detenuti di cui si era chiesta la liberazione, diversi dei quali presentati come portavoce e non come forze combattenti del movimento talebano. Comunque, non spettava a noi - né avremmo avuto la possibilità di farlo - compiere tali valutazioni, che sono state effettuate dal Governo afgano. È apparso chiaro fin dal primo momento che le richieste non incontravano particolari difficoltà o problemi. Ciò appare chiaro da tutte le comunicazioni tra i Governi italiano e afgano, che sono, d'altro canto, ampiamente documentate.
Il 18 marzo, Gino Strada comunicava che da parte dei rapitori era stata avanzata la richiesta di liberare altri tre detenuti. Si innescava, così, un rischiosissimo gioco al rialzo. Il Presidente Prodi ne informava Karzai, il quale ritenne accettabile un ulteriore rilascio. A quel punto, tuttavia, il Governo italiano chiedeva a Gino Strada che la consegna effettiva dei tre rilasciati avvenisse, questa volta, in cambio della liberazione effettiva e contestuale dei due ostaggi - di entrambi, lo ripeto - ancora nelle mani dei rapitori. Parallelamente, il Ministero degli affari esteri chiedeva il silenzio stampa per non mettere in pericolo l'esito finale della liberazione.
Gino Strada comunicava, il 19 marzo, che gli ostaggi erano stati liberati e che sarebbero stati trasferiti all'ospedale di Emergency, a Lashkargah. Il rientro di Mastrogiacomo da Lashkargah a Kabul - dove, prima di essere consegnato all'ambasciatore italiano, avrebbe dovuto partecipare ad una conferenza stampa organizzata dallo stesso Strada - sarebbe dovuto avvenire a cura di Emergency per il tramite di un aereo messo a disposizione dalla ONG.
Nella prima mattinata del 20 marzo, l'ambasciata a Kabul informava di aver appreso dallo stesso Strada che l'aereo di Emergency non avrebbe potuto atterrare a Lashkargah. Il Governo riteneva di non poter attendere i tempi che la gestione da parte di Emergency avrebbe comportato, tempi quanto mai incerti anche a causa dell'assenza di voli civili che coprissero la tratta Lashkargah-Kabul e dei crescenti pericoli. Si chiedeva, pertanto, al SISMI di chiedere l'assistenza dei servizi collegati afgani ed alleati per organizzare, con mezzi militari, il trasferimento a Kabul dei due ostaggi appena liberati. Il SISMI, con la collaborazione delle forze armate britanniche, ne organizzava il trasporto in elicottero dal PRT inglese all'aeroporto Isaf sotto il comando britannico di Camp Bastion e di qui a Kabul con un C 130 dell'aeronautica militare italiana. A Kabul, Mastrogiacomo veniva imbarcato su un volo della Presidenza del Consiglio per Roma, dove giungeva a tarda sera.
Secondo quanto riferito dallo stesso Mastrogiacomo, al momento della sua liberazione era stato messo in libertà anche l'interprete Nashkbandi. Infatti, il giornalista de la Repubblica aveva dichiarato di avere personalmente visto i rapitori scioglierlo dalle catene e lasciarlo andare via. Solo successivamente emergeva che il Nashkbandi non solo non era stato condotto all'ospedale di Emergency, a Lashkargah, ma non aveva neppure fatto rientro dai propri familiari, come si era pensato in un primo momento.Pag. 7
Nei giorni successivi, si è fatto sempre più fondato il sospetto, poi confermato dalle stesse autorità afgane e dai familiari, che il rilascio dell'interprete fosse stato un falso rilascio o che egli sia stato successivamente catturato dallo stesso o da un altro gruppo. Il nostro ambasciatore a Kabul aveva successivamente appreso, nei frequenti contatti intrattenuti con i familiari di Nashkbandi, che l'interprete avrebbe fatto loro una telefonata, dichiarando di essere ancora nelle mani dei rapitori - ma questo dopo due giorni dagli avvenimenti che sto descrivendo - e chiedendo il massimo impegno per un suo rapido rilascio.
Questa vicenda appare, quindi, per il modo in cui si è svolta, abbastanza confusa e misteriosa, né noi abbiamo elementi per chiarirne l'effettiva dinamica, e cioè cosa sia accaduto dal momento in cui i due ostaggi sono stati formalmente liberati al momento in cui si è riscontrato - ripeto, dopo un periodo non di ore, ma di due giorni - che, invece, effettivamente l'interprete di Mastrogiacomo era ancora nelle mani di un gruppo talebano.
Tengo qui a ribadire che, in ogni momento di questa delicatissima vicenda, la liberazione dell'interprete afgano era considerata da parte nostra, così come da parte del Governo Karzai, elemento integrante della trattativa di Emergency con i talebani.
Il Governo italiano veniva poi a conoscenza dell'arresto da parte dei servizi segreti afgani, sempre nella mattinata del 20 marzo, del dipendente di Emergency, Rahmatullah Hanefi, del quale Strada si era avvalso per i contatti con il capi talebani. Per il tramite dell'ambasciata a Kabul, è stato da allora chiesto di conoscere i motivi della detenzione e le condizioni di salute del detenuto, su cui si erano diffuse notizie allarmanti. In varie occasioni, l'ambasciatore Sequi ha chiesto di poter visitare Hanefi, oltre ad elementi sulle motivazioni dell'arresto.
Pur nel rispetto della responsabilità primaria del Governo afgano nei confronti dei propri cittadini e della consapevolezza della delicatezza della situazione, in tutti questi giorni, da parte italiana, si è continuato a chiedere un chiarimento sulle ragioni che hanno condotto all'arresto del dipendente di Emergency, Rahmatullah Hanefi. In data 1o aprile, a seguito delle nostre pressioni, un rappresentante della Croce rossa internazionale ha ottenuto l'autorizzazione a visitare tra Rahmatullah in carcere. L'incontro si è svolto, come confermato dal rappresentante della Croce Rossa allo stesso ambasciatore italiano, nel pieno rispetto degli standard internazionali della Croce Rossa.
Siamo arrivati così agli sviluppi, anch'essi tragici, di questi ultimi giorni. Il 6 aprile, i talebani hanno fissato un ultimatum nei confronti del Governo Karzai per il rilascio di altri prigionieri, in cambio della liberazione di Adjmal Nashkbandi, con scadenza lunedì 9 aprile. La minaccia è stata ribadita l'8 aprile e, nel corso della stessa giornata, è stata diffusa dal portavoce del comandante talebano Dadullah, che si chiama Shahabuddin Atal, la notizia dell'esecuzione dell'interprete nel distretto di Garmsir, nella provincia di Helmand, prima della scadenza dell'ultimatum fissato dai talebani stessi.
Il Governo italiano ha appreso, con angoscia, la notizia della barbara uccisione dell'interprete. L'esecuzione è avvenuta prima della scadenza dell'ultimatum che i talebani avevano fissato e nonostante il fatto che, nelle intese raggiunte per la liberazione di Mastrogiacomo, fosse prevista ed accettata anche dal comandante Dadullah la liberazione dell'interprete. Il Presidente del Consiglio, inoltre, ha espresso, come sapete, alla famiglia dell'interprete e al popolo afgano la vicinanza del Governo e del popolo italiano.
Il 10 aprile, organi di informazione hanno ripreso nuove e pesanti accuse del capo dei servizi afgani, Amrullah Saleh, sia verso Rahmatullah Hanefi, sia verso la stessa Emergency, asserendone la complicità con i talebani.
Ieri, 11 aprile, il personale italiano di Emergency ha lasciato temporaneamente l'Afghanistan e Gino Strada ha reso noto, sia all'ambasciatore a Kabul che al capo dell'Unità di crisi, che il provvedimento di Pag. 8trasferire il personale internazionale fuori dal territorio afgano è al momento una misura temporanea e che la strategia dell'organizzazione, per quanto concerne le attività che svolge in Afghanistan, verrà definita nelle prossime ore.
Noi siamo ben consapevoli dell'opera preziosa svolta da Emergency in un contesto molto difficile ed anche pericoloso. Non possiamo che auspicare che possano presto ristabilirsi le condizioni per la ripresa della sua attività in territorio afgano. Nello stesso tempo, assicuro che il Governo italiano continuerà ad insistere - questo possiamo fare - perché siano rese note, in modo trasparente, le accuse rivolte a Ramatullah Anefi e perché egli possa essere giudicato, se sarà necessario, nel modo più rapido e con le garanzie previste in casi di questo tipo.
Questo può sostanzialmente fare il Governo italiano e non può certamente liberare Ramatullah Anefi, il quale è accusato dalle autorità del suo paese di reati. Tuttavia quello che potevamo fare, vale a dire assistere dal punto di vista umanitario, garantire che il detenuto fosse incontrato e visitato dalla Croce rossa internazionale, insistere perché contro di lui, se sarà necessario, si proceda con tutte le garanzie previste, lo abbiamo fatto con assoluta puntualità e direi anche con qualche, sia pure limitato, risultato.
Lasciatemi concludere con tre punti importanti. Il primo è il seguente: abbiamo agito in continuità con la scelta umanitaria prevalsa in casi analoghi nel passato. È vero che ogni vicenda delicata che riguarda gli ostaggi fa, in un certo senso, storia a sé e non esistono standard ottimali, ma oggi come ieri il Governo è stato guidato dalla volontà di salvare delle vite umane.
Fin dall'inizio il nostro Governo è stato consapevole dei costi che avremmo in ogni caso pagato. Lo abbiamo fatto oggi come i Governi precedenti lo hanno fatto ieri.
Quando si trova di fronte a passaggi del genere, un paese dovrebbe mostrarsi unito e solidale.
Confesso una certa «invidia» verso quei paesi nei quali, alla vigilia della liberazione di ostaggi, ne vengono liberati altri, allo scopo di favorire la liberazione di questi ostaggi, ma non vi è alcuna polemica o protesta; anzi, tutti sostengono che si tratta di una coincidenza casuale. Sono paesi che dimostrano un certo nerbo ed, infatti, sono anche paesi rispettati.
D'altra parte, è indubbio - questa è la mia seconda conclusione - il legame sempre più stretto fra missioni di pacificazione all'estero e problema degli ostaggi. Lo abbiamo riscontrato in Iraq ed in Afghanistan, ma le stesse criticità potrebbero riprodursi altrove dove operano missioni internazionali.
Credo sia evidente a tutti che siamo di fronte ad un problema di tale delicatezza e sensibilità per le opinioni pubbliche nazionali che non è in alcun modo immaginabile pensare, ogni qualvolta si propone un caso di rapimento, di privare del tutto gli Stati nazionali delle loro prerogative sovrane in questa materia.
Tuttavia, credo sia venuto il momento di esplorare la possibilità di guide lines condivise a livello internazionale, di codici di comportamento comuni: penso alla possibilità di discutere di questo tema sia in sede Nazioni Unite sia in sede Nato. Penso ad esempio, nel caso dell'Afghanistan, ad una discussione nella Nato. Abbiamo sollevato, in seno all'Alleanza, l'opportunità di cominciare a discutere di regole comuni su questa delicata materia. Lo stesso Segretario generale della Nato si è impegnato a predisporre nelle prossime settimane un suo documento di riflessione, perché possa essere esaminato dai paesi alleati.
Infine, non vi è dubbio che sia indispensabile una maggiore responsabilizzazione dei connazionali che operano a vario titolo nelle aree di crisi.
La Farnesina non cessa di mettere in guardia, anche attraverso warnings ufficiali, sui rischi esistenti, aumentati in questo caso da una esposizione mediatica senza precedenti.
È evidente ormai come il rapimento di un nostro cittadino in certe aree possa comportare costi a danno dell'intero paese ed è bene dunque che le scelte di ciascuno (singolo, azienda, testata giornalistica) tengano Pag. 9conto sempre degli interessi generali di tutti. Credo che su questo punto, come su tutti i punti, sia utile sviluppare un confronto politico. Certamente sarà prezioso il contributo del Parlamento, e lo sarà tanto più in quanto si muoverà su un terreno oggettivo e non su quello di polemiche, spesso a mio giudizio scarsamente motivate e pretestuose. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Italia dei Valori, La Rosa nel Pugno, Comunisti Italiani, Verdi e Popolari-Udeur).
(Interventi)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mattarella. Ne ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, noi ringraziamo il Governo per la disponibilità manifestata anche in quest'occasione. Inoltre, lo ringraziamo per il merito delle comunicazioni, che apprezziamo interamente.
Condividiamo lo stato d'animo espresso poc'anzi dal ministro degli esteri. Il sentimento di grande soddisfazione per la liberazione di Mastrogiacomo era venato di tristezza per la morte dell'autista, Sayed Agha. A quel sentimento oggi si accompagna l'ulteriore dolore per il brutale assassinio del suo interprete, Adjmal Nashkbandi.
Il Governo ha confermato che la sua richiesta era volta al rilascio di tutti e tre gli ostaggi e, dopo l'assassinio dell'autista, al rilascio di Mastrogiacomo e del suo interprete. Il Governo ha poc'anzi ricordato la parte collaborativa svolta da Gino Strada e da Emergency, che vanno ringraziati sia per questo sia per l'attività umanitaria svolta in momenti ed in posti difficili. Il ministro ha ricordato la parte rilevante svolta dal SISMI, che va sottolineata con riconoscenza, e ciò che il Governo ha fatto e sta facendo nel seguire la situazione del dipendente di Emergency. Egli ha sottolineato come l'interlocutore del nostro Governo sia stato il Governo afgano, che ha assunto le decisioni definitive e decisive per il rilascio di Mastrogiacomo. Vorrei aggiungere senza alcuna polemica che ciò è avvenuto a differenza di altri casi, in cui l'interlocutore era soltanto uno sceicco o un esponente di altro genere, che viveva ai margini ed in contatto con i gruppi terroristici. Allora non si poteva fare diversamente ed anche allora fu bene far così.
A differenza di alcuni giudizi, vorrei ricordare in questa sede, come ha fatto poc'anzi il ministro degli esteri, che l'Italia ha sempre scelto, con qualunque Governo, di trattare con i rapitori per salvare la vita degli ostaggi. Qualche altro paese non lo fa o, per essere più esatti, afferma di non farlo. L'Italia lo ha sempre fatto. Se qualcuno pensa che non si debba fare, lo dica con chiarezza, senza rifugiarsi in distinguo inverosimili.
Colleghi, basta rileggere il resoconto del dibattito svoltosi presso questa Camera il 6 marzo scorso. L'obiettivo condiviso da tutte le parti parlamentari era la liberazione di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori. Al Governo questo è stato chiesto e questo il Governo ha fatto. Per questo scopo il Governo ha operato, muovendosi con responsabilità, senza finzioni e con senso di umanità. La realtà di questi giorni - mi duole dirlo, ma va detto - è che più di un esponente dell'opposizione ha perduto il senso della misura, lasciandosi andare ad attacchi al Governo sconcertanti e strumentali, per fini di politica interna.
Naturalmente, abbiamo apprezzato, doverosamente e volentieri, nell'opposizione settori ed esponenti che hanno avuto ed hanno manifestato senso di responsabilità. Tra questi siamo lieti di individuare in questa occasione importante l'onorevole Berlusconi, che ha definito queste polemiche sterili e prive di costrutto. Ma non si può tacere, colleghi, che a molti è mancato il senso della misura, il buon gusto e il senso di responsabilità.
Negli anni precedenti, negli anni del Governo di centrodestra, mai dalla nostra parte si è tentato di mettere in difficoltà il Governo Berlusconi nella difficile gestione dei sequestri. Mai noi, allora gruppi di opposizione, abbiamo fatto mancare la Pag. 10solidarietà al Governo chiamato ad operare per salvare vite umane, né durante i sequestri né dopo la loro conclusione. Mai! Neppure quando il responsabile della Croce rossa, Maurizio Scelli, si lasciò andare, nel febbraio del 2006, ad imbarazzanti affermazioni, della cui attendibilità non so nulla e su cui non mi pronunzio, come quella di avere curato spesso, presso ospedali italiani, terroristi iracheni o di aver speso fino a un milione di dollari al mese nei contatti con quegli ambienti iracheni, soldi del Governo italiano. Al contrario, abbiamo sempre espresso e confermiamo l'apprezzamento per la sobrietà e il senso di umanità manifestati in quelle circostanze dal dottor Gianni Letta.
Colleghi dell'opposizione - lo dico sommessamente -, il nostro non può divenire il paese dei paradossi in cui chi si proclama sostenitore delle missioni militari all'estero vota contro di esse in Parlamento, come è avvenuto in Senato pochi giorni addietro da parte della Casa delle libertà, o un paese in cui chi tuona contro le trattative per salvare Mastrogiacomo e i suoi collaboratori faceva parte di Governi che hanno trattato in occasione di sequestri precedenti in Iraq e in Afghanistan.
Signor ministro degli affari esteri, il fenomeno dei sequestri si va diffondendo nei teatri in cui si svolgono le missioni; lei poc'anzi lo ha richiamato. Ne va preso atto. È una buona posizione quella, che ella ha manifestato, di regole internazionali comuni di comportamento; così come quella, che anche lei ha indicato, di suggerire ai nostri connazionali di adottare criteri di comportamento di maggiore prudenza. Non si possono imporre proibizioni, ma va rivolto un appello a tutti perché, rispetto a pericoli fortemente aumentati, vi sia un'accresciuta prudenza e un accresciuto senso di responsabilità.
Signor Presidente, nei giorni scorsi in TV è stato mostrato il video dell'assassinio efferato dell'autista di Mastrogiacomo. Una scena orribile che motiva, più di tanti altri argomenti, perché il nostro paese è impegnato nel portare aiuto all'Afghanistan. Aiuti militari e aiuti civili per la ricostruzione e lo sviluppo di quel paese in una condizione che però non va migliorando ma, al contrario, si aggrava sempre di più e che richiede sforzi e strategie nuove. Quanto avvenuto ieri in Algeria ci richiama alla drammaticità della condizione che vive la comunità internazionale e alla difficoltà e agli impegni nella lotta al terrorismo.
Prendendo spunto da quel video, ancora ieri, da parte dell'opposizione, qualche esponente ha affermato che non ci si siede ad uno stesso tavolo con i «tagliagole». Non v'è dubbio, è così! Lo dico con fermezza: non si può fare e nessuno pensa di farlo! Vorrei suggerire però, se qualcuno ne avesse intenzione, di non riprendere anche qui stamattina l'argomento che l'onorevole Fassino ha proposto di aprire un dialogo con i talebani per la pace in Afghanistan. Colleghi, non è Fassino che l'ha proposto: venerdì scorso il capo del Governo afgano, Karzai, nel corso di una conferenza stampa ha affermato di avere da tempo, lui e il suo Governo, contatti con i talebani per trovare soluzioni di pace per il suo paese. La verità è che Karzai, che distingue tra i talebani con cui dialogare e gli irriducibili seguaci del mullah Omar - quelli appunto che possiamo definire tagliagole -, non è così grossolanamente superficiale da pensare che tutto ciò che si oppone al suo Governo, anche con la forza, sia uguale. E non si tratta soltanto di Karzai, ma anche negli Stati Uniti è in corso questo dibattito. Basta vedere come, a questo annunzio di Karzai, titolavano sabato scorso The New York Times e The Washington Post o come faceva rilevare venerdì scorso la CNN. Annunzio che trova un precedente illustre nell'ex ministro degli affari esteri americano, il Segretario di Stato Colin Powell, il quale tempo addietro, in un documento pubblicato poco tempo fa dal dipartimento di Stato, auspicava e progettava un dialogo con i talebani, in particolare con quella parte dei talebani con cui fosse possibile dialogare. Non è un capriccio: si tratta del ministro degli esteri americano e del Capo del governo dell'Afghanistan, quello che la Pag. 11NATO sorregge e sostiene, che ipotizzano un dialogo che possa agevolare la pace in quel paese.
La verità è, signor Presidente e colleghi, che questi problemi devono essere affrontati con saggezza e con senso della misura, con senso dello Stato, quelli che per l'appunto qui, questa mattina, ha manifestato adeguatamente il Governo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Comunisti Italiani, Verdi, Italia dei Valori e Popolari-Udeur - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Elio Vito. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, la discussione di oggi, che noi abbiamo voluto, comporta per tutte le forze politiche presenti in Parlamento un dovere particolare di serietà, di sobrietà e di compostezza. È un dovere morale ed istituzionale che abbiamo prima di tutto nei confronti dei due collaboratori di Daniele Mastrogiacomo, barbaramente massacrati in Afghanistan. Le tragiche immagini che abbiamo visto martedì sera al TG1 hanno spento definitivamente la gioia, pure condivisa, per il ritorno a casa del giornalista di Repubblica. È un dovere che abbiamo anche verso l'intera popolazione di quel paese, colpita da decenni da una guerra crudele, vessata dall'integralismo fanatico, straziata da un terrorismo insensato. È un dovere, infine, verso i nostri soldati, che rischiano la vita in condizioni difficilissime per difendere la popolazione afghana, per contribuire alla rinascita di quel paese e per tutelare così i principi e i valori universali di libertà e di dignità umana dei quali l'Italia è portatrice.
Lo ha ricordato a tutti lunedì scorso, quando la polemica si era fatta troppo aspra, il Presidente Berlusconi, che ha giustamente richiamato gli esponenti di tutte le parti politiche al dovere della responsabilità e della misura, convinto che questo imponga il prestigio ed il buon nome dell'Italia nel mondo. Di fronte a tutto questo, le ragioni della polemica politica - pur legittime - devono farsi da parte.
Tutto ci divide dal Governo Prodi, che ci auguriamo possa essere sostituito al più presto, ma quando sono in gioco come questa volta la sicurezza del Paese e l'incolumità dei cittadini italiani, nonché la dignità della nazione, sappiamo qual è il nostro dovere: far prevalere il senso dello Stato sulle logiche di parte. Così abbiamo fatto in passato, onorevole D'Alema, e così continueremo a fare.
Sappiamo bene, d'altronde, quanto sia difficile la condizione nella quale deve operare chi ha responsabilità di Governo in situazioni così delicate. Anche il nostro Governo si è trovato a dover compiere scelte difficili e sofferte in circostanze come queste. Non sempre, da parte di tutti gli esponenti dell'allora opposizione, onorevole Mattarella, ci fu questo senso di responsabilità. Occorre in questi casi tenere conto di esigenze e di valori che possono sembrare - a volte possono persino essere - in contraddizione tra loro: la vita umana, la dignità nazionale, la fermezza nella lotta al terrorismo.
Sono momenti difficili per il Paese, nei quali è importante essere uniti ed è doveroso che l'opposizione offra collaborazione e solidarietà e che il Governo la coinvolga e la informi. Così abbiamo fatto noi in passato e così anche voi oggi - almeno in parte - avete fatto. Proprio questa consapevolezza e questo senso di responsabilità ci hanno indotto, onorevole Mattarella, a non sollevare, fino alla conclusione del caso, le perplessità che pure questa volta sono giustificate dalla conduzione della trattativa. Affidare la mediazione esclusivamente a Gino Strada e alla sua organizzazione, Emergency, per esempio, non si è rivelata una scelta felice.
Lo diciamo con serenità, senza farci condizionare dalle posizioni politiche che lo stesso Strada ha espresso più di una volta: posizioni che giudichiamo aberranti, per quanto accompagnate da un impegno umanitario del quale pure riconosciamo il valore. Se Emergency fosse stato l'interlocutore più adatto per risolvere il problema, saremmo stati i primi a chiedere Pag. 12che venisse coinvolto. Ma in questo caso, tale organizzazione non governativa si è trovata a gestire un ruolo improprio: dover garantire la trattativa degli accordi, senza averne gli strumenti.
Non possiamo nascondere, signor ministro, la sensazione che, questa volta, si sia peccato di superficialità e di tatticismo. Il risultato finale? L'uccisione di due ostaggi su tre e la liberazione di alcuni pericolosi terroristi. La difficoltà di rapporti con il Governo Kharzai certamente non è considerata neanche dal suo Governo, signor ministro, un successo. Le immagini orribili dell'uccisione del collaboratore di Mastrogiacomo rimarranno come l'emblema doloroso di questa vicenda. E i rappresentanti di queste bande feroci sono gli stessi che qualcuno, in modo improvvido, voleva pure invitare al tavolo della conferenza di pace!
Materia sulla quale discutere e polemizzare ve ne sarebbe, dunque, tanta; ma non è questa la sede né la circostanza adatta. Oggi è il giorno del dolore e del cordoglio, ma anche della tutela della dignità e della sicurezza del nostro Paese: dignità e sicurezza che passano anche - lo sappiamo - attraverso la giusta riservatezza, la necessità di non scoprire e mettere a repentaglio la vita di chi ha collaborato, in Afghanistan, per la soluzione del caso.
Anche per questo non ci siamo associati alla richiesta, pur comprensibile, di istituire una Commissione d'inchiesta. Il Parlamento ha il dovere del controllo democratico su questi episodi - dovere al quale non possiamo e non dobbiamo rinunciare -, ma esiste già una sede istituzionalmente preposta, il Copaco (il Comitato parlamentare di controllo), attraverso il quale le Camere sono nella condizione di svolgere i giusti e necessari approfondimenti, garantendo nello stesso tempo la doverosa discrezione. Noi non vogliamo fare, signori del Governo, speculazioni, processi al passato o alle intenzioni. La qualità di una classe politica si misura dalla compostezza con la quale sa rispondere a situazioni difficili o dolorose, ma anche dalla capacità di saperne trarre insegnamenti per il futuro.
Per questo, signor ministro, Forza Italia vorrebbe che dal dibattito di oggi nascesse un'indicazione condivisa, quella di costruire insieme un codice di comportamento comune da adottare in situazioni come queste, valido per il Governo del Paese, qualunque esso sia: così l'Italia si regolerà d'ora in avanti, chiunque abbia la responsabilità del Governo.
Purtroppo, l'evoluzione dello scenario internazionale, le tensioni che caratterizzano il vicino Oriente, il diffondersi del terrorismo, lo stesso impegno del nostro Paese in scenari difficili rendono altamente probabile che episodi simili possano ripetersi. È necessario, dunque, non arrivarvi impreparati. È necessario affrontare queste situazioni difficili con elasticità, ma in un quadro di regole certe e condivise: questo restituirà serenità a tutti, servirà a prevenire polemiche tra le forze politiche e consentirà al paese di affrontare davvero unito una difficile sfida.
Parliamo di regole volte ad affrontare i rapimenti, ma anche a prevenirli, a regolamentare in base a criteri di prudenza e di ragionevole sicurezza le presenze dei nostri connazionali in aree di crisi, soprattutto le presenze di civili - spesso non necessarie, spesso non concordate con le autorità italiane -, particolarmente esposti, proprio per questo, al rischio di diventare vittime di un sequestro e di un ricatto nei confronti dell'intera nazione.
Tutto questo, signor Presidente, signori del Governo - e concludo -, servirà ad evitare il sacrificio di qualche vita umana e certamente servirà a garantire la tutela della dignità delle istituzioni e la compattezza del nostro Paese nei momenti difficili. E questo è interesse di tutti: di un Governo serio e di un'opposizione responsabile. Noi siamo pronti a fare la nostra parte (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale e del deputato Ranieri - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gianfranco Fini. Ne ha facoltà.
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GIANFRANCO FINI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, anche da parte mia vi è una doverosa, ma sincera valutazione iniziale relativa al ringraziamento che Alleanza Nazionale rivolge al Governo - in modo non ipocrita, in modo sincero - per avere accettato la richiesta che da parte di tutta l'opposizione è giunta affinché esso riferisse in quest'aula in relazione alle ultime tragiche vicende che hanno accompagnato il sequestro, e poi la liberazione, del nostro connazionale Mastrogiacomo.
È un ringraziamento che, al di là, onorevole Mattarella, delle reciproche piccole intenzioni di dare bon ton parlamentare, spero venga apprezzato, anche in ragione di quello che dirò successivamente, non per amore di polemica bensì per una valutazione oggettivamente diversa circa quello che è accaduto.
Non vi è ombra di dubbio, onorevole D'Alema, che anche da parte nostra agire per tentare di salvare una vita umana rappresenta sempre un dovere; e proprio perché è un dovere - l'onorevole Bertinotti ha precisato al di là, come è naturale, di ogni appartenenza linguistica, di razza, di etnìa - salvare una vita umana, è meritorio il comportamento di chi si adopera per tentare di salvare una vita umana, al di là di quello che è l'esito del tentativo.
Ma proprio per questi motivi, e proprio perché non ho alcuna difficoltà, per le responsabilità pregresse che ho ricoperto, a dire che il ministro D'Alema ha ragione quando dice che è una priorità condivisa al di là del Governo di centrodestra o di centrosinistra - la priorità non può che essere, in caso di sequestro, fare tutto quello che si può per salvare il nostro connazionale -, proprio perché vi è una continuità tra l'azione di questo Governo con quella dei Governi precedenti, proprio per questo credo che sia apprezzabile e sincero ribadire che la gioia per la liberazione di Mastrogiacomo è per noi pari al dolore della morte dei due cittadini afgani.
Tuttavia, proprio perché l'esito di questa drammatica tragica vicenda non è stato fausto al cento per cento, proprio perché è stato doloroso per una quota consistente che sarebbe stupido quantificare, è doveroso chiedersi cosa sia accaduto senza strumentalizzazioni: onorevole Mattarella, le strumentalizzazioni ci sono state, vi è stata qualche polemica eccessiva, ma non lei doveva guardare soltanto verso i banchi del centrodestra, poteva guardare anche verso quelli della componente più radicale della sua maggioranza.
Se è giusto tentare di chiedersi che cosa sia successo senza strumentalizzazioni, lo è altrettanto chiedere da parte dell'opposizione che il Governo si rapporti con il Parlamento, e quindi con la pubblica opinione, senza reticenze, senza omissioni; e credo, onorevole D'Alema, che qualche reticenza nella sua relazione vi sia stata.
Il ministro D'Alema ha detto - e gli credo - che il Governo Prodi si è fin dal primo momento mobilitato per ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi: sarebbe un processo alle intenzioni affermare il contrario! «Tutti gli ostaggi» perché del resto è dovere umano, prioritario tentare di salvare la vita di chiunque sia sequestrato al di là della nazionalità; e il ministro D'Alema ha anche detto che, di fronte ad un sequestro, l'unica via che deve essere presa in considerazione, almeno all'inizio, è quella della trattativa - come egli ha sostenuto - in continuità con quello che è accaduto nel passato. Non ho alcuna difficoltà a dire «in continuità con quello che è accaduto nel passato», anche perché l'onorevole D'Alema ha parlato correttamente della trattativa come via iniziale, senza però escludere a priori l'ipotesi di blitz militare.
Le cronache giornalistiche hanno riportato, con dovizia di particolari, vicende relative ad altri sequestri in cui l'allora Governo aveva fatto esattamente quello che oggi D'Alema ha rivendicato per il Governo Prodi: la trattativa come via principale ma al tempo stesso l'ipotesi di intervento militare, un'ipotesi che veniva esclusa nel passato, e che è stata esclusa in questa occasione, qualora avesse comportato seri rischi di vita per gli ostaggi.
Anche da questo punto di vista, quindi, non vi sono sostanziali motivi di discontinuità; Pag. 14ma, proprio perché di una trattativa si è trattato, proprio perché il negoziato ha rappresentato in qualche modo la via concreta per dare corso ad una trattativa, vi è da chiedersi - e questo è, onorevole D'Alema e colleghi, il punto di dissonanza radicale tra la sua analisi e le nostre valutazioni - da chi e con chi la trattativa sia stata condotta: non sono domande retoriche.
La trattativa è stata condotta principalmente - anche qui D'Alema è stato chiaro, tutt'altro che noioso - da un medico, Gino Strada, responsabile di una ONG, che ha un ruolo importante in Afghanistan. Sarebbe stupido negare la sua conoscenza di quel territorio e i rapporti che vi ha da tempo; egli è stato chiamato in altre occasioni ad assumersi delle responsabilità.
È stata certamente una scelta del Governo italiano quella di affidare in via principale a Gino Strada per i suoi contatti diretti - uso le parole di D'Alema - il compito di condurre la trattativa.
La trattativa è stata condotta da Strada: non ha senso dire se lo abbia fatto esautorando i servizi o meno. Il ministro D'Alema ha detto testualmente: Gino Strada rivendicava contatti diretti - sappiamo che li ha - e chiedeva che non vi fossero interferenze, che egli fosse in qualche modo il principale attore.
Anche alla luce di pregresse esperienze, credo di poter dire che si è trattato non di un intermediario, ma dell'unico interlocutore della trattativa. La trattativa è stata condotta da Gino Strada. E con chi? Onorevole Mattarella, qui c'è la differenza di fondo con il pregresso e con altre vicende. La trattativa è stata condotta con i talebani, ma - D'Alema lo ha detto molto chiaramente - è stata in qualche modo delegata al Governo afgano. Infatti, rispetto ad altre vicende, il prezzo della trattativa era elevato. E non era un prezzo in denaro, bensì un prezzo politico: era la liberazione di terroristi; liberazione di terroristi che era nella esclusiva competenza dell'autorità afgana. Le autorità afgane potevano o meno accettare la richiesta che i terroristi avevano avanzato tramite Gino Strada di scambiare prigionieri politici. Quindi, una trattativa condotta da Gino Strada con i talebani e con le autorità afgane.
Il Governo si è in qualche modo mosso all'interno di questo triangolo obbligato: da un lato, non un facilitatore, ma l'unico intermediario; dall'altro lato, i talebani; terzo e certamente principale soggetto del triangolo le autorità afgane.
Le autorità afgane - lo dico, in particolar modo, a qualche collega della sinistra radicale - non possono essere liquidate - come ha fatto l'onorevole Rizzo - con l'espressione «il Governo fantoccio di Karzai». Karzai è il Presidente di un paese che democraticamente e liberamente lo ha scelto come massima autorità. Del resto - anche qui D'Alema è stato chiaro - non poteva essere diversamente: non si poteva che delegare al Governo afgano la possibilità di rispondere positivamente o negativamente alla richiesta. Ciò perché la richiesta - lo ripeto - era di tipo politico: lo scambio di prigionieri. Non potevamo fare altro che chiedere al Governo afgano se fosse disponibile o meno ad accogliere la richiesta dei talebani; richiesta presentata al Governo italiano tramite Gino Strada e dal Governo italiano girata al Governo afgano.
In altre parole, solo Kabul poteva disporre o meno il rilascio dei terroristi, al di là di quanti fossero e del ruolo ricoperto nell'organizzazione talebana, perché si trattava di terroristi detenuti nelle carceri afgane.
Onorevole Mattarella, lei ha ricordato, secondo verità, che il Governo Karzai, proprio perché non è un Governo fantoccio, in più di un'occasione - a livello internazionale e, per quel che può contare, anche nei contatti diretti con chi all'epoca era ministro degli affari esteri - ha detto di essere disposto, nel clima della pacificazione nazionale che in Afghanistan è il valore cui tendere, ad avviare una discussione con i talebani, ma ha posto una condizione evidente. Mi riferisco alla condizione che sempre si pone, da parte di un Governo legittimo, nei confronti di chi ha preso le armi per contrastare quel Governo, Pag. 15vale a dire deporre le armi, proclamare una stregua, riconoscere il superamento di una fase, avviare attraverso la conferenza di pace un percorso per la pacificazione. Non mi risulta che il Governo Karzai abbia mai detto di essere pronto a discutere con i terroristi nel momento in cui i terroristi chiedono uno scambio tra prigionieri.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIANFRANCO FINI. Onorevole D'Alema, concludo. A noi risulta - ed ecco perché ho parlato di reticenze e di omissioni - che il Governo Karzai non fosse disponibile ad accogliere le richieste che i terroristi talebani avevano presentato tramite Gino Strada e tramite il nostro ambasciatore a quelle autorità.
Signor Presidente, Karzai lo ha detto chiaramente. Egli ha detto chiaramente: ho subito delle pressioni dal Presidente Prodi; ho subito delle pressioni da un Governo amico, da un Governo che ha i suoi uomini impegnati in Afghanistan per tentare di garantire la pace.
In conclusione, signor Presidente, credo di dire una cosa alla sua intelligenza politica che ha un certo rilievo. La mia conclusione è che, nel momento stesso in cui Karzai ha ceduto, nel momento stesso in cui Karzai si è piegato alla richiesta del Presidente Prodi, nel momento stesso in cui - mia malizia, onorevole D'Alema, che lei però non può liquidare con un'alzata di spalle - Karzai ha detto...
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Non è vero! Sono in grado di documentare che non è vero!
GIANFRANCO FINI. Mi faccia finire! Potrà replicare dopo, se vorrà.
PRESIDENTE. Deve finire anche lei, però! La prego.
GIANFRANCO FINI. La semplice circostanza che mi abbia interrotto è già la dimostrazione del fatto che, forse, colpisco nel segno!
Se, come a noi risulta, Karzai ha manifestato il suo accordo perché Prodi ha vagheggiato l'ipotesi del ritiro - e so quello che dico! -, beh, non ci si può poi lamentare se subito dopo Karzai afferma la linea della fermezza. La fermezza e l'arresto...
PRESIDENTE. La prego, deve concludere! Il tempo a sua disposizione è scaduto da oltre un minuto (Commenti dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
GIANFRANCO FINI. ... Grazie ...
La fermezza - unitamente all'arresto di Hanefi, il quale, a tutti coloro che conoscono l'Afghanistan, risulta essere l'anello di congiunzione tra Emergency ed i talebani -, ebbene, tale fermezza emerge dalla reiezione dell'ultimatum che i talebani hanno rivolto alle autorità afgane...
PRESIDENTE. Ma la prego, deve concludere (Commenti dei deputati del gruppo Alleanza nazionale)!
GIANFRANCO FINI. ... per la liberazione di altri terroristi quale condizione per garantire la scarcerazione dell'interprete di Mastrogiacomo.
Ecco perché, assumendomene la responsabilità, parlo di omissioni: non vi accusiamo di non aver fatto tutto quello che era in vostro potere per salvare gli ostaggi; vi accusiamo di non avere detto che le autorità afgane non erano disponibili a rilasciare degli ostaggi per liberare coloro che erano prigionieri dei talebani (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) - Congratulazioni - Commenti del deputato Fabris).
PRESIDENTE. Rispetto alle proteste che ho testé constatato, devo però a mia volta protestare perché il Presidente si è visto costretto più volte a far notare che i tempi erano scaduti [Commenti dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici Pag. 16Cristiani e dei Democratici di Centro)]... No, no, le regole valgono per tutti, mi dispiace!
Il deputato Gianfranco Fini sa bene che lo ascolto con il rispetto che porto ad ogni altro deputato, assolutamente! E so anche valutare l'autorevolezza con cui si interviene nel dibattito. Tuttavia, dinanzi a chi, invece, scompostamente fa notare che il Presidente semplicemente fa rilevare lo scadere dei tempi, protesto!
Ha chiesto di parlare il deputato Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, signor ministro degli affari esteri, colleghi e colleghe, il minuto di silenzio che abbiamo osservato poc'anzi è per noi anche un atto di protesta contro gli inqualificabili terroristi e i «tagliagole» che hanno ucciso due uomini innocenti per motivi che nessuno, da nessun punto di vista, in questa Assemblea come in questo paese, può condividere.
Proprio perché ritengo che tale giudizio su costoro sia condiviso, posso aggiungere che le nostre critiche ai sei anni di guerra in Afghanistan, alla strategia militarista dei Governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti ed alla stessa logica che presiede la missione ISAF sono fondate sulla necessità di raggiungere l'efficacia necessaria per combattere questi terroristi tagliagole e criminali e non su una diversa valutazione di queste formazioni. Mi riferisco ad Al Qaeda ed ai gruppi talebani che perseguono l'obiettivo di restaurare in Afghanistan una teocrazia ingiustificabile ed insopportabile sotto tutti i profili.
Ma, signor ministro degli affari esteri, è proprio per questo, proprio perché costoro sono così, che si è reso necessario trattare. Non sono forze che agiscono secondo le Convenzioni di Ginevra; non sono forze che combattono lealmente: proprio per questo bisogna trattare, per salvare delle vite umane.
Del resto, forze irregolari, asimmetriche, che hanno prodotto atti di terrorismo, sono sempre state interlocutrici di scambi umanitari. Così si chiamano, scambi umanitari, e non scambi di prigionieri di guerra.
Naturalmente, ogni situazione è specifica ed ogni trattativa ha, per l'appunto, la sua specificità; però, signor ministro degli affari esteri, voglio dirle con estrema chiarezza che ritengo necessario - su ciò, siamo d'accordo - discutere delle regole e dei comportamenti da seguire in queste circostanze.
Voglio dirle, però, che la sede opportuna per fare questo sono le Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza e le Agenzie delle Nazioni Unite che sono preposti ad occuparsi di questi problemi. Capisco che possano verificarsi degli scambi di opinioni o anche che possano essere prese delle decisioni circa una linea di condotta da tenere fra alleati, ma ciò non può pregiudicare e mettere in discussione una linea che i diversi Governi italiani hanno mantenuto in tutti questi anni: considerare prioritario salvare le vite umane, soprattutto quelle di civili, di giornalisti, di operatori umanitari inermi nelle mani di bande terroristiche. Poiché vi sono altri paesi che pensano che queste vite umane non valgano quasi nulla, rivendico che il nostro paese ha sempre fatto bene, sia con il Governo Berlusconi sia con il Governo Prodi, a tentare di salvare queste vite umane, e penso che non si possa derogare da questo principio.
Il Governo ha agito, come è stato spiegato bene dal ministro degli affari esteri, per salvare delle vite umane e ha fatto bene; coloro i quali contestano, in modo chiaramente strumentale, i canali utilizzati, quelli reali, disponibili e migliori per poter raggiungere questo obiettivo dovrebbero essere coerenti e dire che sarebbe stato meglio far finta di salvare quella vita umana e lasciare che anche Mastrogiacomo venisse ucciso, perché, a posteriori, se avessero trovato spazio, prima che questi fatti si sviluppassero, le critiche che avanzano ora le opposizioni avrebbero prodotto anche la morte di Mastrogiacomo. La nostra solidarietà, quindi, è totale nei confronti del Governo e del ministro degli affari esteri, per gli Pag. 17attacchi che, anche se in modo diverso, sono stati portati dai due interventi che mi hanno preceduto.
Gli attacchi ad Emergency sono totalmente ingiustificati. Emergency è un'organizzazione non governativa, che, come tutti questi tipi di organizzazioni che agiscono in territorio di guerra, deve avere lo status di organizzazione neutrale. Le speculazione fatte sono irricevibile e anche qui va la nostra solidarietà all'organizzazione per gli attacchi che le sono stati portati tanto dai servizi afgani quanto in questa aula dalle parole degli esponenti dell'opposizione.
Signor ministro degli affari esteri, noi non abbiamo da eccepire sulla sua ricostruzione dei fatti; voglio aggiungere, però, una riflessione di carattere politico. Certamente, la reazione del Governo degli Stati Uniti, all'indomani della liberazione di Mastrogiacomo, non ha contribuito a creare un clima favorevole alla prosecuzione della trattativa per salvare la vita umana dell'ostaggio che ancora si trovava nelle mani dei terroristi e, sicuramente, data l'influenza del Governo degli Stati Uniti sul Governo Karzai, ha contribuito a far sì che quest'ultimo colpisse colui il quale è stato impegnato dal Governo italiano in un'opera di intermediazione. Non è ammissibile, lo dico per il futuro, per la credibilità del nostro Governo, che quando una persona viene impegnata con un mandato da parte del nostro Governo a condurre, per conto del Governo stesso, una trattativa, non è ammissibile - lo ripeto - che questa persona venga sottoposta ad un sequestro, ad un arresto illegale, esattamente per i motivi per i quali è stato impegnato in quella operazione. Chi deve fare da intermediario deve avere contatti con la parte avversa; non è possibile che si faccia intermediazione senza avere questo requisito e poiché i servizi afgani - e vedremo in seguito cosa succederà -, allo stato accusano esattamente di questo Hanefi, è assolutamente intollerabile che egli si trovi nelle condizioni di privazione della libertà personale.
Il Governo italiano non può limitarsi semplicemente ad insistere, ma deve chiedere con fermezza, ed ottenere, che si eviti che una persona, da esso impegnata in questa difficile missione, subisca conseguenze per conto di altri!
Non è accettabile infine, signor ministro, che detta persona sia detenuta nelle condizioni in cui attualmente si trova. È vero che la Croce rossa internazionale ha avuto modo di visitarla, ma è altrettanto vero che essa si è impegnata a mantenere il segreto sulle sue condizioni di salute, nonché sullo stato della sua detenzione: quindi, noi sappiamo solo che questo incontro è avvenuto.
Forse il Governo avrà informazioni riservate, ma noi non ne disponiamo: pertanto, chiediamo che una delegazione dell'Esecutivo - ed in caso non si agisse in tal senso, preannuncio che sarà assunta un'iniziativa, da parte di parlamentari appartenenti a diversi gruppi, affinché ciò sia fatto - incontri Hanefi, accerti le sue reali condizioni di detenzione ed operi per la sua liberazione, non per un processo che, come sempre avviene in questi casi, sarebbe da considerarsi assolutamente illegittimo!
Da ultimo, signor ministro, signori del Governo, colleghe e colleghi, vorrei aggiungere un'ulteriore considerazione. L'Afghanistan si trova in una situazione ogni giorno più grave: la Conferenza internazionale di pace, quindi, deve rimanere l'obiettivo da perseguire, affinché quel paese sia pacificato ed anche i criminali che hanno ucciso i due collaboratori di Mastrogiacomo siano assicurati ad una vera e legittima giustizia (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, L'Ulivo, Comunisti Italiani e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli ministri, ieri i servizi segreti italiani hanno consegnato al Parlamento un rapporto molto preoccupante. Il pericolo del terrorismo islamico è alle porte - sarebbe meglio dire che è tra noi - ed è rivolto verso le nostre truppe, presenti nei teatri di guerra in Libano e in Afghanistan.Pag. 18
L'Italia è da tempo un obiettivo dell'offensiva, i cui propositi sono concreti, misurabili e non generici. Non è da sottovalutare la contemporanea presenza e riorganizzazione di gruppi islamici e delle brigate rosse, nonché i possibili obiettivi comuni tra «tagliagole» ed omicidi comunisti.
Nei giorni scorsi, in Marocco e in Algeria (vale a dire, sotto il balcone di casa nostra), diversi attentati sono stati compiuti da gruppi associati ad Al Qaeda, a riprova di un'offensiva su larga scala del terrorismo sanguinario di matrice islamica. Siamo in guerra, signori, nonostante la nostra volontà: siamo in guerra dall'11 settembre 2001!
Su tali premesse e su questo contesto è partita e permane la nostra azione in Afghanistan, a supporto della stabilizzazione e della ricostruzione, nonché dello sviluppo democratico di quel paese. Il rigurgito di attentati e le rinnovate minacce di questi giorni avvengono in un periodo cruciale, vale a dire quel 2007 in cui è partita e si svilupperà l'offensiva talebana e la conseguente azione dell'ISAF.
È interesse di tutti, in tali circostanze, salvaguardare l'unità della NATO e del Governo di Kabul, se si vuole difendere la sopravvivenza di speranze in tutta l'Asia centrale. Si tratta di un'azione militare alla quale si è adeguata anche l'Italia, con l'importante riunione del Consiglio supremo di difesa del 2 aprile scorso.
In Afghanistan non ci staremmo per qualche mese ancora. È più probabile che la nostra permanenza sia di lungo periodo ed autorevoli esponenti del Governo affermano, giustamente, che, dopo l'affaire Mastrogiacomo, dobbiamo ricostruire i nostri rapporti con tutti i paesi della grande alleanza presente in Afghanistan: Olanda, Germania, Francia ed Inghilterra, oltre a Stati Uniti e Canada. Abbiamo, cioè, dinanzi a noi la necessità e la volontà di dimostrare un'espressione forte di unità del paese, sia a fronte del pericolo di attentati, sia per la ricostruzione dei rapporti di amicizia con gli alleati europei ed atlantici.
Ministro D'Alema, noi non torniamo indietro: abbiamo dato «carta bianca» al Governo per la liberazione degli ostaggi fin dal primo momento. Non siamo gamberi e lo rifaremmo anche oggi. La linea da seguire da parte dell'attuale Governo, sia riguardo alle missioni militari di pace sia nei confronti dell'impegno per la liberazione degli ostaggi, deve essere, però, di assoluta continuità con i governi precedenti.
In questo caso, purtroppo, la continuità è stata un po' annacquata. In particolare, è stata errata la scelta di delegare per le trattative, in via esclusiva, Gino Strada e la sua organizzazione: che questa scelta sia stata un errore, lo dimostrano i fatti. La vita di Mastrogiacomo è stata salvata, ma purtroppo sono mancati i più stretti collaboratori del giornalista, acuendo l'idea di un'odiosa discriminazione tra l'ostaggio italiano e quelli afgani. Ma - si dirà - questo esito fa parte del gioco. È vero, ma non può far parte del gioco l'idea che l'uomo, cui il Governo italiano affida trattative così delicate e riservate, riveli particolari in ordine al pagamento del riscatto e ad altre modalità sui rapporti intercorsi tra il Governo italiano e quello di Kabul. Evidentemente, l'interlocutore non è affidabile, oppure è accecato da un'ideologia che gli consente addirittura di attaccare, a testa bassa, il Governo afgano - con cui lei, ministro D'Alema, ha ricordato l'ottima collaborazione - e lo stesso Presidente del Consiglio italiano. In questo caso, non ci interessa del signor Prodi, ma siamo preoccupati del fatto che il Presidente Prodi, oggi, rappresenti il Governo italiano; un grave pasticcio in cui solo il senso di responsabilità nazionale mi impone di non indulgere oltre.
Certo, nella sua coalizione, ministro D'Alema, qualcuno le rimprovererà tale continuità, ma una politica estera seria ed autorevole non si deve curare del pacifismo ad oltranza. La politica estera di un paese adulto è condivisa, viaggia nel solco della continuità e non può essere - come invece molti speravano in quest'aula - frutto di strappi e di urla. La politica estera è un bene prezioso, non da sotterrare, Pag. 19ma nemmeno da dissipare inutilmente. È logico che vi sia una zona grigia nelle trattative, nelle operazioni che portano alla liberazione degli ostaggi. Tale area di riservatezza deve rimanere tale; così accade, tra l'altro, in tutte le democrazie occidentali.
Un blitz salvò tre dei quattro bodyguard nel 2004, in Iraq, e ancora oggi ricordiamo con commozione la dignità del povero Quattrocchi. Ma in tutti gli altri casi, dalle due Simone, il 7 settembre dello stesso anno, alla vicenda Sgrena con la morte del povero Calipari, nel febbraio 2005 in Afghanistan, ai 23 giorni di Torsello fino all'affaire Mastrogiacomo si agì utilizzando canali diversi: si ottenne il rilascio attraverso una trattativa, a volte pagando, a volte pagando e curando. Tutto, assolutamente normale.
Noi non mettiamo in discussione un Governo che salva vite umane. Come mai, però, questa volta, il risultato è stato così limitato? Perché di tre ostaggi se ne è salvato solo uno? È stato saggio affidarsi solo ad Emergency ed esautorare, di fatto, i nostri servizi segreti? Non è forse per via della scelta di esclusiva che i talebani hanno potuto violare i patti per la liberazione di Adjmal? Come mai, per la prima volta, si è ceduto alla richiesta, di cambio di ostaggi? A chi sono stati affidati gli ostaggi liberati? Si è insistito a sufficienza sul divieto ai giornalisti di recarsi ancora in Afghanistan?
Alcune affermazioni pubbliche di Gino Strada degli ultimi giorni lasciano sconcertati e aumentano le perplessità sulla modalità della liberazione e della trattativa; tra l'altro, rivelano particolari, ci sembra, coperti dal segreto di Stato, come nel caso Torsello. Chiedere, inoltre, che sia liberato un sospetto agente dei terroristi, che il Governo legittimo di Karzai ha il dovere di trattenere, francamente è demenziale.
Certo, il Governo italiano ha il dovere di verificare le condizioni e la regolarità dell'eventuale processo e dello stato delle indagini, ma nulla più. L'Afghanistan è uno Stato sovrano.
Ministro D'Alema, qui non ci sono rimproveri per l'azione di liberazione di Mastrogiacomo. Ci sono perplessità sulle modalità attraverso le quali si è pervenuti a tale risultato. La confusione delle diverse e, a volte, contrastanti dichiarazioni di esponenti del Governo, della maggioranza, delle ONG non hanno fatto altro che accrescere le perplessità e le preoccupazioni nel leggere che l'esonero sostanziale dei nostri servizi segreti da alcuni è inteso come la vittoria della diplomazia dei movimenti; vittoria magra, visto il numero delle vittime.
In politica estera le ragioni di coalizione vengono dopo quelle dello Stato. In una situazione di gravi pericoli interni e di attentati verso le truppe all'estero nemmeno regge il paragone tra la sicurezza degli italiani e del paese e la tenuta di una coalizione.
Al di là delle benemerenze di alcuni, questa vicenda insegna molte cose: è indispensabile maggiore concertazione con i paesi dell'ISAF e una comune modalità di comportamenti; è necessaria una forte ed autorevole presenza operativa dei nostri servizi segreti nelle zone di guerra e un loro fattivo coinvolgimento in fasi delicate; è doverosa una forte coerenza nella nostra politica estera e di difesa per recuperare piena sintonia e credibilità nel rapporto con i paesi europei ed atlantici, impegnati come noi nella lotta al terrorismo.
I pericoli sono alle porte, anzi sono all'interno del territorio della nazione Italia. Abbiamo a che fare con tagliagola sanguinari, terroristi barbari, fondamentalisti islamici, tutti lanciati nella guerra santa. Evitiamo di farci prendere da giochini irresponsabili o da immagini caricaturali del pericolo sovversivo interno e terrorista internazionale; altro che avventurarsi in conferenze di pace con i tagliagola del Mullah Omar! Sono idee che si commentano da sole!
Siamo certi che delle nostre preoccupazioni, delle nostre perplessità sulle modalità della trattativa lei, signor ministro, farà tesoro ed è bene che delle notizie più approfondite della zona grigia venga informato il Copaco.Pag. 20
Si faccia tesoro del risultato, ma ancor più si traggano utili motivi per un rinnovato impegno in Afghanistan e per una rafforzata collaborazione nell'alleanza a fianco del Governo Karzai. Occorre essere seri, composti, coerenti ed uniti, solo così onoreremo la politica del nostro paese; si tratta di un dovere che riguarda tutti, per questo siamo determinati a svolgere la nostra parte (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Maroni. Ne ha facoltà.
ROBERTO MARONI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare il ministro D'Alema per essere venuto oggi in questa sede ad esporre i fatti. Una presenza importante, la sua, e immagino anche il suo imbarazzo nel venire a riferire su questa vicenda a causa del modo in cui la stessa si è svolta. Apprezzo pertanto il fatto che il ministro sia voluto intervenire, anche se devo esprimere rammarico per quanto ha affermato. Siamo rimasti delusi dalla sua relazione, signor ministro...
Se non intende ascoltare, la prego almeno di leggere poi il resoconto del mio intervento. Grazie.
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Ma io l'ascolto: non deve sottovalutare le mie capacità!
ROBERTO MARONI. Dicevo che apprezziamo il fatto che lei sia venuto a riferire in questa sede, anche se devo esprimere rammarico e delusione per quanto ha affermato o, meglio, per ciò che non ha detto. Infatti, signor ministro, lei non ha chiarito i numerosi punti oscuri di questa vicenda, il ruolo dei servizi italiani e di quelli afgani, il ruolo di Emergency e quello svolto dal Governo afgano. Non ha avuto il coraggio - che in altre occasioni le abbiamo sempre riconosciuto - di ammettere gli evidenti errori commessi nella gestione di questa vicenda (e le parole del ministro Parisi, riportate da tutti i giornali, ne sono una chiara denuncia) e non ha avuto neppure l'onestà di ammettere il parziale fallimento della gestione di tale crisi.
È vero - e ne siamo tutti felici: lo abbiamo detto esplicitamente -, si è ottenuta la liberazione del giornalista de la Repubblica, ma il risultato complessivo segna sulla colonna delle negatività due vittime innocenti massacrate dai talebani.
I soldi pagati, che probabilmente saranno utilizzati per acquistare armi, i cinque terroristi liberati, una tensione nei rapporti con gli Stati Uniti, una crisi diplomatica con il Governo di Karzai e la messa in pericolo dell'attività umanitaria di Emergency in Afghanistan costituiscono i risultati di una gestione sbagliata e approssimativa di questa crisi, che hanno indotto una persona come Magdi Allam, che non si può certo accusare di simpatie o di antipatie sul piano politico, a esprimere sulla prima pagina del Corriere della sera un giudizio francamente molto negativo e sorprendente nei confronti dell'Italia. «Ormai l'Italia si contraddistingue come il paese occidentale che, più di altri, è pronto a cedere al ricatto»: al ricatto, ha usato questa parola. Non si tratta, quindi, di trattative per liberare gli ostaggi. Tutta la gestione della crisi ha portato a questa conclusione: l'Italia è il paese che cede ai ricatti!
Siamo delusi perché ora, dopo il suo intervento, ministro D'Alema, siamo di fronte a troppe verità diverse. Vi è la sua verità, raccontata minuziosamente nei fatti, che contrasta, però, con quella espressa da un collega del suo Governo, il ministro Parisi: «Grave errore far trattare Gino Strada». Ciò lo dice non l'opposizione, ma un membro del suo Governo! È una verità, la sua, signor ministro, che contrasta con quella del Governo afgano, non solo con quella del capo dei servizi, Saleh, ma con quella del presidente Karzai: «Liberai i talebani per salvare Prodi» - ha dichiarato quest'ultimo - «Ci siamo mossi su precisa richiesta italiana. Era Pag. 21una situazione difficile. Il Governo italiano poteva cadere in qualsiasi momento. Pur sapendo quali sarebbero state le conseguenze» - dice Karzai - «abbiamo concesso la liberazione di alcuni prigionieri talebani e permesso la liberazione dell'italiano». È un fatto così eccezionale e così grave che lo stesso Karzai si affretta a ribadire che tali trattative sono state eccezionali e non si ripeteranno in nessun caso, con nessun'altra persona e con nessun altro paese, a dimostrazione che quella presunta collaborazione o unità di intenti tra il Governo italiano e il Governo afgano che lei, signor ministro, ha citato non è la verità.
Vi è, infine, l'altra verità, ossia quella di Gino Strada, che dice, in sostanza: sono stato incaricato dal Governo italiano di svolgere le trattative, non solo come intermediario; ho avuto l'incarico da parte del Governo italiano e quindi chiedo, anzi pretendo, che il Governo italiano intervenga contro l'illegittimo governo afgano per ristabilire la verità e per liberare l'intermediario che è stato arrestato dal governo afgano. Questo è il risultato di una gestione poco trasparente, approssimativa, pasticciata, che non può continuare. È per questo motivo che noi abbiamo presentato una proposta di legge, depositata ieri, per chiedere l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta, non su questo fatto, ma su tutti i sequestri di cittadini italiani avvenuti in aree di tensione e di conflitto in territorio straniero dal 1o gennaio 2001. Quindi, non si tratterebbe di un «tribunale» nei confronti del Governo in carica.
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Condivido quest'ipotesi, non sono ad essa contrario! I contrari sono lì, in quei settori (Il ministro D'Alema indica i settori centrali dei banchi dell'opposizione)!
ROBERTO MARONI. Abbiamo adottato, proprio perché tale proposta non fosse interpretata come un'iniziativa volta ad usare strumentalmente la vicenda in esame contro il Governo Prodi, il testo presentato al Senato da un suo collega di partito, ossia dal senatore Massimo Brutti, che ha, appunto, presentato contemporaneamente a me la suddetta proposta. Spero che il Parlamento la approvi rapidamente. Non è un «tribunale», come ho detto, ma uno strumento di informazione del Parlamento, perché è necessario, dopo questa vicenda, che il Parlamento stesso dia a questo Governo ed a tutti i Governi futuri direttive chiare, precise e trasparenti su cosa il Governo possa fare e su cosa non debba fare in presenza di situazioni di crisi come quella che abbiamo vissuto in questi giorni.
Mi auguro davvero, e concludo, che il Parlamento approvi rapidamente questa proposta di legge. Nella prossima riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo - mi rivolgo al Presidente - chiederò che venga immediatamente inserita nel calendario dei lavori. Un'identica iniziativa, lo ripeto, ha preso il Senato. Spero e mi auguro che da questa brutta vicenda possa almeno scaturire un'iniziativa del Parlamento, che è l'organo sovrano della democrazia italiana, per dare al Governo quelle direttive che lo stesso ministro D'Alema ha sollecitato, chiedendole alla Nato ed alle Nazioni Unite.
Io mi accontenterei che fosse il Parlamento italiano a darle, avendo come interlocutore il Governo, per evitare che in futuro possano verificarsi situazioni ed episodi come quello cui, purtroppo, abbiamo assistito in queste settimane (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Donadi. Ne ha facoltà.
MASSIMO DONADI. Signor Vicepresidente del Consiglio, credo che la sua presenza oggi in quest'aula ed il fatto che il Governo abbia ritenuto di accogliere le richieste che venivano dall'opposizione di riferire al Parlamento sulla vicenda del sequestro Mastrogiacomo rappresentino un atto non solo di grande trasparenza politica, ma quasi una forzatura istituzionale. Se vogliamo essere chiari, io credo Pag. 22che il Governo non fosse nemmeno tenuto a venire in questa sede, perché altra e competente era la sede in cui questi chiarimenti avrebbero dovuto essere dati: il Copaco.
Il fatto che si sia ritenuto di venire qui e di svolgere un dibattito pubblico è sicuramente un segno di forza e di grande responsabilità da parte dell'Esecutivo. È senz'altro la dimostrazione che questo Governo non ha nulla da temere, perché ha agito con chiarezza e con grande senso di responsabilità. Da parte nostra viene un ringraziamento serio e sincero al lavoro del Governo, che ha agito mettendo davanti a tutto un grande senso di responsabilità e di spirito umanitario. Ha lavorato per salvare vite umane. Il bilancio, purtroppo, lascia qualche amarezza, ma nessuno non può non riconoscere quale sia la situazione di particolare difficoltà e di particolare tensione che caratterizza oggi lo scenario afghano.
Detto questo, apro una piccola parentesi, uscendo dal discorso che sto facendo, per notare come dai banchi dell'opposizione, dove più volte si è rivendicata e pretesa l'attenzione sia del Governo sia dei gruppi parlamentari, conclusi gli interventi, se ne siano andati tutti. Evidentemente non hanno particolare interesse, se non quello di comunicare al Paese la loro posizione, ma non di sentire le posizioni diverse dalle loro. Credo sia doveroso stigmatizzarlo, ma detto ciò riprendo con la mia esposizione. Non c'è dubbio, l'Esecutivo ha agito salvaguardando un valore, che nel corso dei decenni ha sempre caratterizzato la linea di tutti i nostri Governi, la linea del Paese, la linea dell'Italia: quello di mettere davanti a tutto la vita e la salvezza delle persone.
D'altra parte, bisogna parlarsi con chiarezza. Il ministro lo ha detto in modo inequivoco: i nostri servizi non avevano contatti né canali per aprire una trattativa. Le alternative quindi erano due: o nessuna trattativa oppure una trattativa attraverso Emergency. Io credo che la scelta sia stata giusta e che non ci fossero alternative, proprio sulla base della prassi, dell'azione e delle scelte del nostro Paese.
Quello che invece trovo veramente difficile da comprendere, ma ancor più trovo impossibile da accettare, è il fatto che da parte del centrodestra, nei giorni successivi al rapimento, sia arrivato soltanto ed esclusivamente un fuoco di fila di attacchi e di critiche, che non avevano altra ragione di essere se non quella di uno strabismo, che con un occhio guardava all'Afghanistan, ma con l'altro, molto più attento e presente, guardava sempre e solo alla politica interna. Un'opposizione che ha dato ancora una volta, chiara e forte, la dimostrazione di non avere a cuore, come elemento primario, il valore del senso dello Stato, il valore dell'unità del Paese, il valore di una rappresentanza unitaria del nostro Paese nei confronti del resto del mondo.
Tardive - avrei detto al collega Elio Vito, se non se ne fosse già andato - sono state le resipiscenze del centrodestra; tardiva è stata la presa di posizione di Berlusconi; tardive sono state anche oggi, da parte dello stesso onorevole Vito, le attestazioni di rispetto e di riconoscimento di una coerenza nell'agire del Governo italiano.
Quello che, soprattutto, trovo difficile da accettare - ed è stato ribadito anche oggi, in questa Assemblea - è che, nel momento in cui è in gioco la linea politica di un Paese, la sua chiarezza e la sua autorevolezza di fronte ai propri interlocutori stranieri, tutto ciò che siamo capaci di fare, di dire e di produrre, anche in quest'aula, sono sempre e solo sterili polemiche. Avrei ribadito all'onorevole Fini - se fosse stato presente e se non si fosse già allontanato - che, se in quest'Assemblea, oggi, c'è stata reticenza, tale reticenza è soltanto la sua, perché non si può costruire un dibattito parlamentare sulla base di illazioni giornalistiche: o non sapeva di che cosa stesse parlando oppure, se lo sapeva, avrebbe dovuto spiegarlo a tutti noi. Ne sono risultate soltanto affermazioni strumentali, da parte sua come da parte di tutti gli altri esponenti del centrodestra.
Ancora una volta, noi riconfermiamo al Governo il nostro pieno apprezzamento. È Pag. 23stato fatto tutto quanto si potesse fare. Ci conforta sapere - il ministro degli affari esteri ha già dato indicazioni in tal senso - che il Governo italiano farà qualcosa che noi riteniamo assolutamente fondamentale. Ad oggi, infatti, un mediatore, il collaboratore di Emergency, Hanefi, è trattenuto dal legittimo Governo afgano. Sicuramente, le accuse ci sono e dovranno essere verificate. Tuttavia, credo che da parte del nostro Governo sussista un dovere nei confronti di chi ha aiutato il nostro Paese, in più di una occasione e coinvolgendo direttamente la propria vita e la propria sicurezza. Il Governo italiano, cioè, ha il dovere di chiedere al Governo afgano che, pur nel rispetto delle sue leggi e dell'accertamento della verità, siano eseguite indagini chiare, con garanzie certe, e che tali indagini si concludano il più rapidamente possibile, affinché quella persona, se innocente, possa tornare in libertà e riprendere la propria attività (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, ministro D'Alema, non c'era e non c'è alcun mistero da svelare attorno al dramma che abbiamo vissuto con il sequestro ed il rilascio del giornalista de la Repubblica, Mastrogiacomo, e con l'uccisione del suo autista e del suo interprete. Se ne è avuta conferma, oggi, con l'informativa prontamente fornita dal ministro degli affari esteri, D'Alema. Osservo soltanto che siamo, forse, l'unico paese nel quale anche le questioni più delicate e degne di rimanere riservate, per ragioni di sicurezza nazionale, sono messe sulla pubblica piazza. Sconsiglio di perseguire questa via con l'istituzione di una commissione d'inchiesta, come suggerito dal collega Maroni, su tutti i sequestri e su tutte le trattative. È assolutamente evidente, dalla ricostruzione meticolosa e scrupolosa compiuta dal ministro degli affari esteri, che c'è stata una trattativa con i rapitori allo scopo evidente di salvare la vita agli ostaggi, a tutti gli ostaggi. Infatti, non si può fare differenza di nazionalità quando è in gioco la vita di una persona. In questi casi, possono essere compiuti alcuni errori e qualche errore non sarà mancato neppure in questa occasione. L'intento, però, è comunque volto ad evitare epiloghi tragici.
In ben altra situazione, in occasione del rapimento e del rilascio di Giuliana Sgrena, morì, come un eroe, Calipari. A nessuno venne in mente di affermare che non erano state adottate le necessarie precauzioni per evitare che si consumasse quella tragedia. Mi ha davvero sorpreso che da parte degli esponenti dell'opposizione non si sia osservata neppure una pausa, per raccogliersi tutti nel dolore dopo l'uccisione dell'interprete, e che si sia sferrato subito un attacco al Governo al limite dello sciacallaggio. Invece, ho apprezzato gli inviti alla moderazione che sono stati rivolti da Berlusconi, il quale ha corretto il tiro e ha gettato acqua sul fuoco.
Mi ha sorpreso, tuttavia, oggi l'intervento dell'onorevole Fini, che ha accusato il Presidente Prodi di aver minacciato il Governo Karzai di ritirare le truppe italiane dall'Afghanistan, se non fossero stati rilasciati i prigionieri richiesti dai talebani. Questa è un'accusa fatta in Parlamento, alla Camera dei deputati. Mi chiedo come si possa pensare che il Governo italiano arrivi ad una simile determinazione, contraddicendo tutto ciò è stato detto pubblicamente, anche in quest'aula. Si tratta soltanto di un clamoroso falso, di cui non deve rispondere il Governo, ma l'allora ministro Fini, che deve personalmente rispondere per le cose che ha detto qui in Parlamento e che non corrispondono alla verità dei fatti.
Mi stupisco molto che, neppure in queste situazioni di emergenza, così delicate, non si riesca a creare una situazione di collaborazione tra maggioranza e opposizione. Dobbiamo recuperare tutto il senso dell'unità nazionale, il che non significa appiattire il confronto e sottacere le critiche. È necessario trovare una misura Pag. 24giusta che riesca a mettere insieme cooperazione nazionale e competizione politica.
Molti sono stati gli aspetti, in questa vicenda, che meritano di essere discussi, così come si fa in un paese democratico. Tra di essi, l'accento è andato soprattutto al ruolo di Emergency e del suo principale animatore. Si può comprendere che, allo scopo di salvare vite umane, si utilizzino i mediatori che si riescono a trovare, i quali possono svolgere questo ruolo. Talvolta, questi mediatori sono molto più imbarazzanti di quello che può essere stato Gino Strada, con le sue posizioni politiche, dalle quali siamo ben distanti.
Può, comunque, capitare che, in organizzazioni umanitarie, si annidino quinte colonne, ma, da qui ad accusare Emergency di essere stata una centrale spionistica dei talebani, ce ne corre! La posizione politica di Strada è ambigua e non condivisibile e può essere stata all'origine dell'ostilità di Karzai, ma a pagare il prezzo del ritiro, speriamo temporaneo, come ha detto il ministro degli esteri, di Emergency dall'Afghanistan sarà soprattutto il popolo afgano, che non avrà più questo importante sostegno umanitario. E lo diciamo con una netta distinzione dalle posizioni politiche che sono state espresse da Strada, che è apparsa, come ha notato il viceministro Intini, una persona esasperata.
La nostra impostazione è nota: noi abbiamo sempre abbracciato, nel caso dei sequestri, una linea umanitaria, come avvenne anche all'interno delle questioni nazionali, nel caso Moro, pur sapendo che tale impostazione comporta dei rischi e delle conseguenze per il futuro. L'abbiamo fatto ogni qualvolta il Governo italiano ha trattato per il rilascio di ostaggi. Questo nostro convincimento nasce dal primato che diamo alla vita umana.
La Camera ha discusso oggi sulla linea di condotta del Governo. Le opposizioni possono avere una diversa visione delle cose e valutare in maniera differente quanto è stato fatto. Tuttavia, dobbiamo evitare una demonizzazione reciproca. Un paese che si divide, in questi momenti così drammatici, dimostra tutta la sua debolezza.
Avere il senso dello Stato significa essere consapevoli di appartenere ad una medesima comunità nazionale e mantenere un atteggiamento responsabile, al di fuori di qualsiasi speculazione politica. È ciò che ci si deve attendere da tutti, Governo ed opposizione, per dimostrare che l'Italia è un paese molto migliore di quanto viene descritto dai nostri detrattori e che gli italiani - e la principale dimostrazione deve darla proprio la Camera dei deputati - non si dividono, ma sono uniti e forti nei momenti di lutto e di dolore.
Ci dispiace veramente che in questa vicenda sia stata scritta una pagina che non è tra le migliori della nostra storia politica e parlamentare. C'è sempre tempo per riflettere - e lo dico rivolto in particolare ai banchi dell'opposizione - e per pensare che qualche volta - questa è sicuramente l'occasione - bisogna essere uniti, perché ad essere uniti non si fa l'interesse di una parte, ma si persegue l'interesse nazionale (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, a nome del mio gruppo, voglio ringraziare il Vicepresidente D'Alema per l'importante, argomentata e precisa relazione letta al Parlamento. Come il ministro degli esteri sa, noi non avremmo chiesto, come gruppo parlamentare, questo dibattito, nel mezzo di una vicenda complessa e terribile, che tuttavia deve ancora concludersi con la liberazione di Rahmatullah Hanefi, dirigente di Emergency, oggi prigioniero del Governo Karzai. Non avremmo chiesto questo dibattito, ma non abbiamo alcun timore di affrontarlo, forti delle nostre opinioni e dei fatti, descritti in modo molto dettagliato dal nostro Governo. Quindi, vogliamo approfittare dell'occasione per fare finalmente chiarezza e respinge al mittente lo sciacallaggio tentato dalla destra.Pag. 25
Su quanto accaduto durante e dopo il rapimento, sappiamo ormai tutto. Pertanto, i fatti ci consentono di ricostruire il quadro di ciò che oggi sta accadendo. In Afghanistan c'era un giornalista italiano coraggioso, che voleva documentare direttamente ciò che gli altri descrivono basandosi solo sulle fonti militari. Mastrogiacomo è stato rapito - come è accaduto a tanti altri, da Baldoni a Giuliana Sgrena - per impedire alla stampa indipendente di poter documentare la realtà sul campo e di fornire a tutti noi le informazioni necessarie per poter formare la nostra libera opinione. È evidente ormai che sia i talebani che il Governo Karzai vedono come fumo negli occhi la presenza di giornalisti che potrebbero documentare gli errori, ma anche gli orrori e le bugie che ognuno di loro sparge a pieni mani.
Questa vicenda ci ricorda però anche che, oltre ai combattenti, in Afghanistan ci sono persone che vogliono una vita normale, che vogliono fare gli autisti, gli interpreti, i giornalisti, i dirigenti di ospedale. Queste persone, gli afgani, sono oggi i veri ostaggi di una guerra importata e sporca, dove è molto difficile capire il vero confine tra amici e nemici.
In Afghanistan c'era però anche una struttura umanitaria. C'era, perché purtroppo le decisioni degli ultimi giorni sono state quelle di dover abbandonare quel paese. Si tratta di una struttura umanitaria, un'organizzazione non governativa, al punto di rifiutare per principio i soldi e la protezione del suo stesso paese, l'Italia. Emergency stava in Afghanistan da ben prima della caduta del governo del mullah Omar ed era là perché, prima che Bush e soci accendessero i riflettori su questo paese, aveva capito che gli afgani avevano un disperato bisogno di aiuto. Emergency non cura combattenti e non guarda al colore dei turbanti o della pelle; non chiede ai bambini, esplosi sulle mine, a quale tribù appartengano. Emergency cura uomini e donne che non hanno nulla. Per questo Emergency è stata ed è un vero canale umanitario, il solo che poteva garantire la piena neutralità e quindi la possibilità di salvare gli ostaggi.
Il nostro Governo ha fatto bene, quindi, a chiedere a Gino Strada di attivarsi per la liberazione di Mastrogiacomo e lo ha fatto con il consenso di tutte le forze politiche e parlamentari, con l'accordo del Governo Karzai che ha consentito la liberazione di alcuni detenuti.
Abbiamo fatto benissimo, invece, a rifiutare l'idea di un'azione militare e non solo per l'incolumità degli ostaggi. L'azione militare sarebbe stata assurda, dal momento che l'Italia dichiara di essere in Afghanistan non per guerra, ma per pace.
Dopo il successo straordinario della liberazione di Mastrogiacomo si sono però verificati fatti gravissimi che oggi dobbiamo affrontare. Subito dopo la liberazione di Mastrogiacomo, il Governo Karzai prendeva il suo ostaggio, catturando senza accuse e senza garanzie Hanefi. Poche ore dopo, il Governo degli Stati Uniti attaccava l'Italia, usando questa volta modi apparentemente meno cruenti di quelli utilizzati in occasione della liberazione di Giuliana Sgrena. I talebani poi uccidevano barbaramente l'interprete di Mastrogiacomo, dopo averne già decapitato il suo autista.
Queste terribili uccisioni sotto i riflettori sono un messaggio chiaro e terroristico agli afgani ed a tutto il mondo. Nessuno deve farsi intimidire, ma tutti dobbiamo cercare i mezzi efficaci per sconfiggere questi talebani e tra i mezzi efficaci non vi è certo la guerra, dato che sei anni di occupazione e combattimenti non hanno risolto nulla, tranne che restituire agli occhi di una parte non marginale del popolo afgano legittimità a questi assassini. Il cosiddetto Governo legittimo, infine, diretto da un ex funzionario delle multinazionali, ha immediatamente sventolato come una bandiera, sotto le pressioni degli Usa, tentando di scaricare sull'Italia le responsabilità che Karzai si era autonomamente preso.
Se Karzai vuol essere un presidente autorevole, deve assumersi le proprie responsabilità personali e quelle delle strutture che controlla. E Karzai deve rispondere all'Italia delle gravissime dichiarazioni del capo dei cosiddetti servizi di Pag. 26sicurezza afgani che si è permesso addirittura di accusare Emergency di essere al soldo di terroristi.
Purtroppo, con buona pace del sottosegretario Vernetti che farebbe meglio a sentire cosa ne pensa il suo ministro prima di parlare, Karzai non è il presidente di un paese, ma, al massimo, il capo di una piccola tribù e noi ci chiediamo con sempre maggiore angoscia perché i nostri soldati dovrebbero rischiare di morire per Karzai.
Signor Presidente, noi Comunisti Italiani chiediamo poche, ma chiare cose al nostro Governo. La prima è di fare di tutto per ottenere l'immediata scarcerazione del dirigente di Emergency, catturato dal Governo Karzai. Noi siamo in Afghanistan per contribuire a realizzare un sistema giudiziario - dovremo ricordarcelo - e dovremmo forse spiegare con maggiore determinazione al Governo afgano che la detenzione senza accuse e la tortura non sono proprio le caratteristiche di uno Stato di diritto. Dobbiamo ottenere la liberazione di Hanefi, perché ha fatto da mediatore per conto anche del nostro Governo e per questo motivo deve essere tutelato nella sua azione.
La seconda cosa che chiediamo al Governo è di protestare duramente con il Governo Karzai per le infamanti accuse rivolte ad Emergency; folli accuse che hanno provocato il ritiro di Emergency dall'Afghanistan. Far rimanere Emergency in Afghanistan è un obiettivo fondamentale, dato che questa organizzazione è una delle pochissime strutture di cooperazione di aiuto presenti, ad ulteriore dimostrazione dell'inutilità dell'intervento militare.
La terza cosa che chiediamo al nostro Governo è di non cadere nell'illusione che, per garantire la sicurezza dei nostri soldati, servano più armi, più mezzi e più libertà di sparare. In Iraq gli americani hanno tutte le armi del mondo, ma non riescono ad uscire dal pantano.
Ai nostri militari, al nostro paese, ai nostri straordinari operatori umanitari servirebbe il ritiro immediato delle truppe.
Lavoriamo per questo e per questo chiediamo al Governo uno sforzo straordinario per ottenere la conferenza di pace, la fine dell'illusione militarista ed un approccio multilaterale che chiuda con la missione NATO e riconsegni davvero la questione in sede ONU (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Desidero innanzitutto ringraziare il signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri, onorevole D'Alema, per la sua dettagliata esposizione, che è stata un vero sforzo di trasparenza e di lealtà nei confronti del Parlamento. Ricordo però, a tutti noi, che la crisi che è iniziata con il sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei due suoi collaboratori e drammaticamente continuata con la morte di questi ultimi non è ancora conclusa. Lo dimostra la decisione presa l'altro ieri di Emergency di ritirare tutti i suoi operatori stranieri dall'Afghanistan. Questa decisione è un colpo durissimo per la popolazione afgana; si calcola che un milione e mezzo di afgani abbiano beneficiato delle cure gratuite offerte dagli operatori di Emergency in situazioni dove non sono presenti altre strutture sanitarie. Tale decisione è il risultato di pressioni inaccettabili di cui essi sono stati oggetto.
In un momento molto delicato per il nostro paese, che il signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri ci ha descritto, ci saremmo aspettati un linguaggio misurato da parte di tutti e volto a quell'unità che lo stesso Vicepresidente D'Alema ha invocato. Mi hanno pertanto spiacevolmente sorpreso le accuse, assolutamente infondate e sicuramente indimostrabili, rivolte dall'onorevole Fini in questa sede. È necessaria da parte di tutti assoluta lealtà anche nei confronti di quelli che ci hanno aiutato, in particolar modo gli operatori di Emergency.
Dopo il sequestro, il Governo in questa sede ha ricevuto un mandato unanime da tutte le forze politiche di fare tutto il necessario affinché Daniele Mastrogiacomo potesse tornare vivo. Mi sembra, pertanto, davvero strano che ora al suo Pag. 27operato si muovano critiche, che trovo un po' speciose. Data l'enorme pericolosità della situazione in Afghanistan, che il signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri ci ha illustrato e che è stata drammaticamente mostrata anche da un video mandato in onda su RAI 1 l'altra sera, il fatto che Daniele Mastrogiacomo sia ritornato vivo è da considerarsi quasi un miracolo, sebbene il prezzo pagato sia stato alto, troppo alto: erano partiti in tre, ma uno solo è ritornato! A questo proposito, desidero ringraziare il Presidente della Camera, onorevole Bertinotti, per il minuto di silenzio che ci ha invitato ad osservare in onore di queste due vittime innocenti.
La crisi ha provocato difficoltà - lo sappiamo - sia per il nostro Governo sia anche per quello afgano. C'è poi questo capitolo tuttora drammaticamente aperto: la scomparsa, all'inizio misteriosa perché non si sapeva dove si trovasse, di Rahmatullah Hanefi, direttore dell'ospedale di Emergency a Lashkargah.
Ricordo - nessuno ne ha parlato - che in Afghanistan vi sono ancora dei sequestri in corso. Faccio riferimento agli operatori sanitari francesi (tuttora nelle mani dei sequestratori) sequestrati nella zona sotto comando italiano, di cui non sappiamo nulla.
In questa situazione, ritengo opportuno che si faccia chiarezza su due aspetti. Il primo di essi riguarda Emergency. Considero infelice, se non irresponsabile, sostenere oggi che scegliere loro come canale di intermediazione sia stata una scelta sbagliata. È stato scelto un canale umanitario, l'unico presente in quella zona del paese. Faccio osservare, infatti, che la Croce rossa internazionale dovette ritirarsi dal sud dell'Afghanistan e non è potuta ancora ritornarvi. Non solo, ma Emergency osserva con grande attenzione un codice di assoluta neutralità, quello delle organizzazioni umanitarie impegnate in zone di guerra e di tutte le ONG. Parlare di ambiguità è assolutamente fuori luogo: quelle regole sono le stesse di quelle della Croce rossa.
Pertanto, sono contenta che il ministro D'Alema abbia ringraziato Emergency. Tuttavia, io credo che dobbiamo fare di più, e il di più è sperare che Emergency possa tornare in Afghanistan. Innanzitutto, dobbiamo chiedere al Governo afgano di ritirare quella infamante accusa rivolta a Emergency dal direttore dei servizi di sicurezza Amrullah Saleh. Io credo che ciò necessiti di un passo diplomatico preciso, una protesta, ma soprattutto la richiesta di un chiarimento. Per quanto riguarda Hanifi, sappiamo dal Governo italiano che fu quello ad interessarsi della vicenda e non il contrario; non ci fu volontà di protagonismo da parte di quella organizzazione.
Dice la signora Teresa Strada, presidente di Emergency, che Hanefi non voleva, ma lo fece proprio per salvare una vita italiana. Il ministro ci ha detto oggi che Hanefi è accusato dalle autorità del suo paese di reati. Io voglio ricordare a quest'Assemblea che qualunque cosa Hanefi abbia fatto in questi frangenti, lo ha fatto per una precisa richiesta del nostro Governo. Gino Strada lo ha chiarito: lui fu un tramite, cioè portò avanti e indietro le richieste delle rispettive parti. Pertanto, noi abbiamo una precisa responsabilità: avendo egli salvato la vita di un italiano, noi italiani dobbiamo far sì che Hanefi sia liberato. Io credo che non sia sufficiente un interessamento umanitario per seguire le vicende di Hanefi. Possiamo e dobbiamo fare di più: dobbiamo chiedere la sua liberazione!
Due parole sui giornalisti, una categoria di cui ho fatto parte per diversi anni. La loro presenza in Afghanistan è preziosa: sono i nostri occhi, sono i testimoni e i controllori dell'azione svolta anche dalla comunità internazionale, oltre che dal Governo afgano. Tuttavia, io credo che la richiesta di maggiore responsabilità, o almeno di una riflessione, debba essere accolta anche dagli stessi giornalisti, nella sede appropriata. Poi, dobbiamo anche pensare di aiutare i giornalisti afgani: di quella categoria faceva parte anche il giornalista Adjmal.
So che è stato creata, su iniziativa della corrispondente della RAI, una fondazione Pag. 28in sua memoria. Badate, fare il giornalista in Afghanistan è estremamente pericoloso e non solo per le minacce poste dai talebani. Sono ancora in atto politiche di censura che, forse, non corrispondono ad uno Stato di diritto.
Ricordo anche che la vicenda di Hanefi è un banco di prova per noi, che siamo in prima linea nella collaborazione. Su questo, abbiamo impegnato 50 milioni di euro. Hanefi ha diritto di essere trattato secondo i canoni della legge. Noi siamo i consulenti del Governo afghano su questo punto e dobbiamo essere sicuri che quello che succede a quella persona sia veramente degno di uno Stato di diritto. Ne va della nostra credibilità (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Popolari-Udeur)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rocco Pignataro. Ne ha facoltà.
ROCCO PIGNATARO. Signor Presidente, signor ministro, colleghi deputati, nel Talmud, il testo sacro ebraico, è scritto: «Chi salva una vita, salva il mondo intero». Il senso di questa frase è pienamente condivisibile soprattutto quando la vita in pericolo è quella di un connazionale, un giornalista che, da una terra lontana e martoriata come l'Afghanistan, compie il suo lavoro di cronista alla ricerca della verità, benchè sia vero il fatto che sarebbe stata necessaria un poco più di prudenza e di attenzione in considerazione dei rischi che si corrono in prima persona e che si fanno correre al proprio Paese.
Signor ministro, la sua relazione, che ci soddisfa in pieno, è apprezzabile per la chiarezza, la precisione e la trasparenza dei contenuti e per la lealtà con la quale lei onora questa Camera.
L'opera di strumentalizzazione di alcune forze politiche dell'opposizione è veramente censurabile, soprattutto quando si tenta di coinvolgere l'operato del Governo nei tristi ed inaccettabili assassinii dell'interprete afgano e dell'autista di Mastrogiacomo. In un momento così delicato, il dovere dell'opposizione avrebbe dovuto essere quello di non alimentare polemiche, di non mettere in difficoltà il Governo, ponendo al primo posto le ragioni umanitarie e, insieme, il prestigio ed il buon nome dell'Italia. Le polemiche a posteriori sono sempre strumentali e prive di costrutto, anzi dannose; in questo caso, potrebbero essere un boomerang per chi le ha alimentate. A tale proposito, per onestà intellettuale, dobbiamo apprezzare l'intervento del Presidente Berlusconi, il quale, alcuni giorni fa, ha invitato i suoi alleati ad abbassare i toni della polemica.
Il lavoro di alta diplomazia svolto dal Presidente Prodi e dalla sua persona, signor ministro, è lodevole e non presenta lati oscuri. Il successo dell'operazione, almeno per quanto riguarda la liberazione del giornalista, richiesta a gran voce e ad ogni costo, in quei momenti concitati, sia da tutte le forze politiche sia dall'opinione pubblica, è il frutto della credibilità di questo Esecutivo e della sua capacità di incidere sulle decisioni di un Governo amico quale quello presieduto dal Premier Kharzai. Ci dispiace per chi sperava di cogliere in fallo questo Governo: ciò non è accaduto e non accadrà e la liberazione di Daniele Mastrogiacomo, come quella di Gabriele Torsello, rimangono esempi di efficienza diplomatica dell'Esecutivo in carica in uno scenario complesso come quello afgano. L'opposizione, dunque, ha perso una buona occasione per distinguersi in termini positivi e per dimostrare senso di responsabilità, di coesione e di maturità. Il modus operandi dei nostri Governi in zone di guerra, sia stato Premier Berlusconi o Prodi, è sempre stato finalizzato ad ottenere la liberazione degli ostaggi, a salvare una vita, prima di tutto. Quindi, si è sempre scelta la strada umanitaria della trattativa. Dunque, siamo indignati e contestiamo le dichiarazioni rese da alcuni esponenti dell'opposizione, a partire da quelli vicini all'ex ministro Fini, fino ad arrivare a quelle con le quali è stato addirittura chiesto l'impeachment del Presidente Prodi.
Ricordo a noi tutti che, durante il Governo Berlusconi, in situazioni analoghe in cui erano a rischio vite umane di connazionali, il centrosinistra ha sempre Pag. 29dimostrato spirito di collaborazione e di solidarietà nelle scelte e nelle decisioni prese, sebbene i dettagli ed i particolari di alcune operazioni di liberazione siano stati di sicuro meno trasparenti. Ad ogni modo, mai il centrosinistra ha strumentalizzato tali situazioni, anche quando, come nel caso del rilascio di Giuliana Sgrena, è stato ucciso, ad opera degli alleati americani, un eroico servitore dello Stato italiano come Nicola Calipari.
Ben venga, allora, per porre fine a polemiche strumentali e pretestuose, l'istituzione, come lei ha proposto, signor ministro, di una Commissione d'inchiesta su tutti i sequestri avvenuti in Afghanistan ed in Iraq, di un organismo parlamentare che verifichi tutte le procedure seguite nei rapimenti che, dal 2001 ad oggi, gli italiani hanno dovuto affrontare: penso al rapimento, in Iraq, di Salvatore Stefio, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Fabrizio Quattrocchi, che vide quest'ultimo trucidato barbaramente; penso al sequestro, sempre in Iraq, del giornalista Enzo Baldoni, anche lui ucciso nonostante la trattativa condotta dal Governo Berlusconi e dal commissario della Croce rossa, Maurizio Scelli; ancora, penso, infine, ai sequestri di Simona Pari e Simona Torretta, quando fu la Croce rossa, non lo Stato, ad intervenire, di Clementina Cantoni, di Giuliana Sgrena e di Gabriele Torsello. In tutti questi casi, l'obiettivo delle trattative è stato lo stesso: fare di tutto pur di salvare la vita di un nostro connazionale.
Per questo - lo ribadisco - le polemiche a posteriori sono inutili, come inutile è la pretesa, insistente e strumentale, che il Governo venga a riferire alla Camera, pretesa che non è stata esercitata dalle opposizioni parlamentari in altri paesi nostri alleati alle prese con casi analoghi.
Anche le accuse giunte all'indomani dell'uccisione del povero interprete di Mastrogiacomo - evento incontrollabile da parte del Governo italiano e indipendente rispetto alle condizioni del negoziato per il rilascio del giornalista - evidenziano la debolezza e la fragilità degli argomenti di critica dell'opposizione, visto che se il Governo italiano avesse condotto un negoziato indipendente per il rilascio dell'interprete avrebbe compiuto, a nostro parere, una ingerenza nella sovranità del governo afgano.
Altrettanto inutile è gettare ombre sulla figura di Gino Strada e di una organizzazione non governativa come quella di Emergency, che ha svolto fino ad ora un'opera meritoria in tutte le parti del mondo dove si soffre.
Nel caso della liberazione di Mastrogiacomo il ruolo di Gino Strada e dei suoi collaboratori è stato fondamentale, anche grazie alla sua conoscenza profonda del territorio e dei costumi del popolo afghano. Noi però contestiamo Emergency quando ritiene che il nostro Governo sia corresponsabile del mancato rilascio del loro collaboratore, perché la liberazione di un cittadino afghano, arrestato ad opera dei servizi segreti afghani, non è una decisione che è nelle disponibilità del Governo italiano. Possiamo solo auspicare che venga fatto tutto il possibile affinché ciò avvenga.
Noi Popolari-Udeur vogliamo chiedere oggi che in futuro, nella malaugurata ipotesi di rapimenti di nostri connazionali, le trattative per la liberazione degli ostaggi siano condotte esclusivamente dai servizi segreti, per non prestare il fianco ad equivoci spiacevoli e per non creare successivi protagonismi dannosi per l'immagine e la credibilità del nostro Paese. Non dimentichiamoci le drammatiche immagini mandate in onda dal TG1 sulla morte dell'autista di Mastrogiacomo e del grave allarme lanciato dai nostri servizi segreti sulle possibili minacce di attentati alle nostre truppe, specialmente in Afghanistan e in Libano.
Quindi, in futuro - lo ribadiamo -, bisognerà affidarsi al lavoro dell'intelligence che ha sempre dato ottima prova di sé e, ancora meglio, se, come da lei suggerito, signor ministro, ci sarà sintonia con l'ONU per stabilire comportamenti e codici comuni a livello internazionale.
Alla luce di quanto oggi lei ci ha riferito, signor ministro, dobbiamo essere tutti solidali ed evidenziare proprio in queste occasioni collaborazione e unità Pag. 30di intenti, anche perché la politica estera coinvolge gli interessi di tutto il Paese e non di un solo schieramento politico. In occasioni future - e speriamo che non ve ne siano - non dovremo farci cogliere indeboliti e divisi, ma coesi e determinati.
Concludo con un appello, affinché in questo Parlamento in politica estera sull'etica del convincimento, quell'etica che differenzia gli schieramenti politici e fisiologicamente ne alimenta le contrapposizioni, prevalga l'etica della responsabilità, che ci ricorda che siamo il Parlamento italiano che ha deciso di assumersi le responsabilità d'intervento per favorire la pace nello scenario internazionale; etica della responsabilità che ci ricorda che siamo il Parlamento di una grande democrazia e di un grande Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur, L'Ulivo e Rifondazione Comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevole ministro degli esteri, onorevoli colleghi, a parlare troppo, talvolta, si finisce per combinare dei pasticci e lei, signor ministro, oggi ha parlato troppo ed è troppo intelligente per credere veramente a quello che ci ha raccontato.
Certo, l'eccessiva enfasi con cui il Presidente Prodi e lei, signor ministro degli esteri, hanno voluto, da un lato, festeggiare il successo della liberazione del giornalista de la Repubblica e, dall'altro, enfatizzare l'accoglienza non ostile ricevuta da Washington ha finito per provocare la reazione di sbugiardamento di tutti i governi impegnati nella missione afgana e tutti, in modo più o meno diretto, hanno dichiarato che non vi è alcuna armonia con questo Governo italiano riguardo ad una questione centrale, quale è quella della lotta contro il terrorismo.
Va detto subito che la questione del riscatto politico (e non) pagato per il giornalista de la Repubblica è estremamente incresciosa per una serie di motivi: innanzitutto, perché si è delegato ad una organizzazione privata di gestire in proprio e in esclusiva l'intera operazione, con un pasticcio incredibile che ha spento tutti i toni trionfalistici della prima ora. Sotto questo profilo, la nostra simpatia va tutta alla posizione del silenzioso dissenso assunta da subito dal ministro della difesa, Parisi.
In secondo luogo, abbiamo dimostrato non solo che i nostri soldati non sono in grado di controllare e gestire la missione della lotta contro il terrorismo con tutta la loro capacità professionale e logistica, ma addirittura che i nostri alleati rischiano, combattono e prendono prigionieri che poi gli italiani, che non possono combattere e che non possono nemmeno prendere prigionieri, liberano per avere indietro il proprio giornalista.
Per quanto riguarda la domanda: «allora, dovevamo o no salvare una vita italiana?», dovrebbe essere chiaro a quest'Assemblea che il tema in discussione non è centrato sulla sacralità della vita umana e sul dovere che lo Stato ha di difenderla.
Noi socialisti siamo i primi ad essere consapevoli che una delle priorità fondamentali e più definite dell'essere umano è la vita. L'uomo è homo vivens: egli è umano finché è vivo. Ogni aspetto della vita è caratterizzato dall'incessante idea della salvezza, della conservazione della vita: si lotta, si mangia, ci si riposa, si pratica sport, si lavora, si prega per la vita, non solo la nostra, ma anche quella di altri che magari lavorano per noi; e questa è un'altra nota dolens.
Hominum causa omne ius constitutum est: tutto il diritto è stato fatto per essere al servizio dell'uomo. Esiste, quindi, una verità sull'uomo e sul valore della sua vita che si pone al di là delle barriere di lingue e culture diverse e che rappresenta il fondamento di qualsiasi Stato che voglia dirsi laico e civile.
Naturalmente, ho ribadito questi aspetti per un semplice motivo, ossia perché oggi non sono in discussione i principi che appartengono alle radici della nostra civiltà, ma i metodi con cui, nella Pag. 31vicenda di Mastrogiacomo o, meglio ancora, di Ezio Mauro, direttore de la Repubblica, il Governo ha cercato di affermare questi principi.
Quindi, termini come «sciacallaggio» o espressioni come «noi siamo per salvare la vita umana» e tante altre usate dalla maggioranza che sostiene la parte avuta dal Governo, in realtà, lasciano il tempo che trovano. Sono ovvietà mediatiche, non impressionano nessuno, non convincono gli italiani e, soprattutto, eludono i veri quesiti: il metodo usato in questa vicenda è stato quello giusto? Le conseguenze sono o non sono state politicamente corrette? E, soprattutto, non si sono lesi i diritti di altre vite?
In questa vicenda ci sono due cadaveri di troppo e non è possibile tacere ed occultare. Li abbiamo abbandonati per strada, come si fa con i cani quando pensiamo che non possono più servirci adeguatamente. Ce li siamo dimenticati per un dilettantismo in mezzo alla polvere, perché «adesso vi faccio vedere come si salva un italiano».
Sarà un caso, ma Emergency per cinque anni si è inserita senza problemi in mezzo mondo, Afghanistan e Iraq compresi, con la discreta e attenta protezione degli uomini del SISMI e del generale Pollari. Poi, grazie ai magistrati della procura di Milano - iattura per l'Italia e gli italiani! - il generale è stato coinvolto con grave danno per l'interesse nazionale. Sono parole della stessa Avvocatura dello Stato nel fantomatico caso Abu Omar: questa è veramente una vergogna! Da quel momento la situazione sul campo è precipitata tra diffidenze e sospetti degli alleati e dei loro servizi.
Non giudico i meriti umanitari di Strada, che sono grandi, e riconosco la difficoltà ambigua di vivere in certe aree di confine tra bene e male. Ma, certo, è un dilettante per quello che riguarda il grande gioco dell'intelligence.
Sia chiaro: sappiamo benissimo per esperienze già provate in passato con il Governo Berlusconi (si veda la morte di Calipari e di Quattrocchi) che certe situazioni sono maledettamente complicate. Trattò Berlusconi ed ha trattato Prodi: quella di trattare è, del resto, una scelta italiana, un sentimento che nasce dal senso comune della nostra gente che spesso non riflette mai sulle conseguenze future. Ovviamente - e mi rivolgo all'onorevole Mattarella, che ha svolto il suo intervento con 29 anni di ritardo - su Aldo Moro non si è voluto trattare. Bloccare i beni dei rapiti in Italia va bene; pagare con i soldi pubblici per i giornalisti rapiti in luoghi dove chi vi si reca lo fa a suo rischio e pericolo va altrettanto bene.
Soffermiamoci un attimo sul mediatore di Emergency, Rahmatullah Hanefi: egli sarebbe ritenuto un complice dei talebani, addirittura accusato di aver venduto Mastrogiacomo ai talebani. La domanda ovvia è la seguente: il giornalista Mastrogiacomo e il suo direttore Ezio Mauro quale grado di conoscenza e di informazione avevano su quel maledetto scoop giornalistico mondiale che dovevano fare nell'Afghanistan del sud? Ci devono dire la verità e, allora, capiremo perché l'interprete e l'autista sono stati sgozzati e cinque terroristi liberati, perché forse è stato pagato il riscatto e perché il giornalista de la Repubblica - se Dio vuole! - è stato rilasciato illeso.
Soprattutto, Ezio Mauro ci deve raccontare come, e su sollecitazione di chi, Mastrogiacomo e, in generale, il giornale la Repubblica siano stati indotti a ritenere di essere in grado di ottenere uno scoop giornalistico di valore mondiale e di grande ritorno economico in modo da rappresentare forse, senza ovviamente volerlo, la merce di scambio per la liberazione di assai ambiti prigionieri talebani in mani afgane.
Lo spirito, invocato da Berlusconi, di avere a cuore l'amore e l'onore dell'Italia è responsabile e saggio; tuttavia, è certo che Berlusconi, quando era Presidente del Consiglio, ebbe, per così dire, dalla sua il grande apporto del SISMI e di Pollari, una rete di donne e uomini di valore riconosciuta all'estero e da tutti gli alleati.
Con Prodi e con lei, signor ministro degli affari esteri, l'Italia ha perso prestigio Pag. 32internazionale; quanta nostalgia abbiamo, noi socialisti, di Bettino Craxi Presidente del Consiglio e di Gianni De Michelis ministro degli affari esteri! Sicuramente, l'avrebbero giocata meglio, questa partita!
La trattativa è stata influenzata e demandata a Strada e a tutto un sotterraneo movimento estremista che ha, di fatto, indebolito le nostre legittime istituzioni e la nostra credibilità estera, la nostra intelligence. Si è avuto un duro confronto con l'alleato principale, gli Stati Uniti, vi sono state tensioni con la Merkel in Germania, e ora anche con i francesi, a loro volta coinvolti nella terribile guerra dei rapimenti. Un disastro su tutta la linea, di cui il Governo dovrà dare conto.
Basta guardare le immagini del servizio presentato dal TG1 - di cui, tanto per cambiare, il ministro degli affari esteri non sapeva niente: non sa mai niente, niente su Karzai; quando poi sa, viene contraddetto entro un'ora, come nel caso della Rice - per capire una volta per tutte che l'idea di Fassino di far sedere al tavolo della pace questa gente era davvero una colossale sciocchezza!
Abbiamo la sensazione che Prodi sia una sorta di Tom Hanks, l'attore ingabbiato nel suo terminal senza potersi allontanare, prigioniero cioè della propria politica interna dalla quale non può e non riesce proprio ad uscire.
Del resto, la stesso Karzai ha scritto l'epitaffio della politica estera di questo Governo; mai più trattative con i talebani: è stata fatta una eccezione per Prodi e per salvare il suo Governo; non accadrà più.
Prodi è inaccettabile come capo di un Governo che rischia di perdere ogni giorno di più la sua credibilità politica ed internazionale in balia di eventi più grandi di lui...
PRESIDENTE. Deve concludere...
LUCIO BARANI. ...che non è in grado di gestire se non con sotterfugi, crogiolandosi nei meandri infiniti della propria demagogia e costantemente sull'orlo del pasticcio politico. Essere presi per i fondelli non piace a nessuno, tanto meno agli alleati.
In conclusione, stando ai fatti, è ancora più paradossale che siamo nelle mani di Gino Strada dopo che il Governo ha messo fuori uso...
PRESIDENTE. Deve concludere...
LUCIO BARANI. ...i nostri servizi segreti. In pratica - ho concluso, signor Presidente -, a questo punto sarebbe davvero opportuno riflettere sul senso della nostra missione in Afghanistan per non rischiare alla fine di diventare complici di una pagliacciata che sta durando anche troppo (Applausi dei deputati dei gruppi DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI e Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Nucara. Ne ha facoltà, per tre minuti.
FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, signor ministro, siamo tutti consapevoli della necessità di salvare le vite umane quando è possibile e tutti avvertono il bisogno di mostrare un'alta coesione nazionale di fronte alla minaccia del terrorismo. Ma, a volte, abbiamo il dubbio che nella maggioranza non si comprenda a fondo, da parte di tutti i suoi esponenti, quale sia davvero la posta in gioco in frangenti tanto drammatici e che altresì non si comprenda come, se abbiamo salvato la vita di Mastrogiacomo - e ne siamo felici! -, non possiamo tuttavia salvare la vita del suo interprete, del suo autista e di altri cittadini afgani che il terrorismo talebano continuerà a colpire finché non sarà estinto.
Per quanto riguarda le modalità della liberazione del giornalista Mastrogiacomo, riteniamo indispensabile che il paese sappia quale sia l'insieme delle condizioni che i talebani hanno posto per il rilascio del giornalista italiano in quanto, sulla base della seguente dichiarazione resa dal rappresentante del Governo alla Camera all'indomani della liberazione: «noi abbiamo Pag. 33adempiuto a tutte le condizioni dei talebani», viene da pensare che tra le condizioni non ci fosse, certo, solo quella della liberazione dei prigionieri talebani. Ci chiediamo quali fossero, allora, tutte le condizioni per il rilascio di Mastrogiacomo e se fra queste ve ne fosse anche una relativa alla richiesta di un riconoscimento politico: la proposta di un'eventuale futura iniziativa di pace rivolta al gruppo fondamentalista in questione.
Dobbiamo dire che, per un partito forgiatosi nell'antifascismo, signor Presidente, onorevoli colleghi della sinistra, non si può istituire una Conferenza di pace con i talebani; con i talebani si istituisce un processo di Norimberga.
L'onorevole D'Alema ha detto che la decisione di liberare i talebani è stata una decisione autonoma del Governo Karzai e che il Governo italiano non ha avuto contatti diretti con i talebani. Sulla base delle dichiarazioni rese dallo stesso Karzai dovremmo credere invece che non sia andata affatto così e, cioè, che, al contrario di quanto affermato dall'onorevole D'Alema, le pressioni del Governo italiano siano state tali da indurre il Governo afgano a liberare i prigionieri talebani, perché come Karzai ha appunto dichiarato venerdì scorso, se il Governo afgano fosse stato davvero autonomo nelle sue decisioni, consapevole dei rischi a cui si sarebbe esposto, mai avrebbe liberato i prigionieri talebani. Se sostenere la tesi di un collegamento tra Emergency e i talebani è un madornale errore del Governo afgano, la decisione del Governo italiano di appoggiarsi ad una struttura come Emergency è stata peggiore di questo madornale errore.
Signor Presidente, concludo cogliendo l'occasione di questo dibattito per ricordare alla Camera dei deputati che Israele non è un luogo dello spirito, ma una democrazia reale in una regione dominata da dittature e fondamentalismi (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori e DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta fino alle 14,30.
La seduta, sospesa alle 14,15, è ripresa alle 14,30.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI