Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Si riprende la discussione.
(Ripresa dichiarazioni di voto finale - A.C. 1005)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.
GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, sarebbe stato sufficiente inserire nel provvedimento «milleproroghe», appena approvato dal Senato, anche il testo in esame e forse avremmo risolto il problema, trattandosi di proroga di termini di pagamento.
In ogni caso, al fine di giustificare il nostro orientamento contrario sul presente decreto-legge - avendo precisato più volte che nella scorsa occasione anche noi avevamo risolto la questione prorogando i termini -, ci chiediamo per quale motivo, sussistendo già una norma che imponeva il pagamento entro un termine, sia sorta la necessità di prorogarlo.
La novità è costituita dal fatto che le famose sei regioni - oggi sono cinque -, negli ultimi giorni, hanno cercato di dimostrare che nei loro confronti non era applicabile la maggiorazione dell'1 per cento. Pertanto, non è possibile far riferimento alla più volte citata sentenza della Corte di giustizia europea per quanto riguarda la compatibilità dell'IRAP con le norme comunitarie.
La maggioranza, in ordine alla scadenza del 20 giugno per il versamento dell'acconto IRAP, era stata inamovibile: occorreva pagare. Dopo la scadenza di tale termine, la stessa maggioranza ha cambiato atteggiamento; quindi, una volta incassate le somme dei contribuenti onesti, di quelli che rispondono agli obblighi tributari, prevede una proroga al 20 luglio, senza applicare alcuna sanzione, alcun onere aggiuntivo. Ciò è ingiusto e sbagliato!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17,50)
GIOACCHINO ALFANO. Se la maggioranza aveva questa intenzione, bastava utilizzare altri strumenti, senza farsi distrarre da questioni meno importanti. Tra l'altro, il 20 giugno non è una scadenza sorta all'improvviso, essendo un termine che si ripete negli anni.
Per quanto riguarda i canoni demaniali marittimi, in questo caso, al contrario, la norma prevede il pagamento di un onere,Pag. 82per il quale è stata prevista una proroga del termine, potendo sussistere una potenziale evasione da parte degli obbligati, poiché il meccanismo automatico dell'aumento del 300 per cento dei canoni non è giusto.
Allora, in che modo bisogna immaginare la modifica della norma? Nei prossimi mesi estivi, quelli che interessano maggiormente ai concessionari, dovremmo immaginare una campagna di sensibilizzazione per l'obbligo al pagamento, oppure un impegno da parte della maggioranza a modificare la norma? In altri termini, noi avevamo pensato di fissare il termine per il versamento al 15 dicembre. Tuttavia, in Commissione, si pensava ad una proroga per convincere gli obbligati al pagamento, oppure ad una proroga volta a consentire la modifica della norma, e quindi la riduzione o l'eliminazione di questi oneri? Siamo contrari anche a questa parte del provvedimento, perché la maggioranza non ha fatto altro che utilizzare un termine di mediazione - il 31 ottobre - che non consente di capire se essa intenda eliminare questa imposta o farla pagare.
Se si applica la norma e, quindi, si fa pagare l'imposta, allora automaticamente i contribuenti - in questo caso i concessionari - dovranno attrezzarsi per ricorrere ad una serie di operazioni, tra cui quella che l'onorevole Buontempo ha proposto nel suo ordine del giorno. Infatti, si devono recuperare le imposte dovute nell'arco di tre anni: una scelta del genere non riguarda solo il 2006, ma anche il 2005 ed il 2004.
Allora, in sintesi, avrei preferito un atteggiamento fermo da parte della maggioranza. Avrei preferito che la maggioranza mantenesse fermo il termine del 20 giugno, senza ricorrere all'esonero dello 0,40 per cento previsto per il 20 luglio. Ciò avrebbe avuto più senso ed avrebbe risposto meglio ai proclami che la maggioranza ha reso in campagna elettorale. Infatti, nel corso della campagna elettorale, la maggioranza, tra l'altro, ha ripetuto sempre due cose: ha affermato che le norme devono essere certe e giuste. Com'è possibile che, nel primo provvedimento che la maggioranza tenta di approvare senza ricorrere al voto di fiducia, si ledano proprio questi due principi? In merito alla certezza, si fa riferimento ad un periodo assai confuso e, per quanto riguarda l'applicazione delle aliquote IRAP, la maggioranza ha affermato prima una cosa e, dopo pochi giorni, un'altra. In merito alla giustizia, come è possibile distinguere il comportamento dei contribuenti che hanno pagato entro il termine, come stabiliva la norma, e poi tenere un atteggiamento differente rispetto a quei contribuenti che, senza motivazioni, hanno rinviato il pagamento al 20 luglio?
Se il Governo, ricorrendo all'esonero dello 0,40 per cento, ritiene che i contribuenti che non hanno pagato lo hanno fatto giustamente, per quale motivo non ha concesso prima tale beneficio?
Allora, il nostro voto contrario riguarda questo metodo. Molti parlamentari di minoranza hanno cercato di spiegare la validità dell'IRAP e dei canoni demaniali marittimi. Io l'ho già detto prima e lo ripeto. Non parliamo di un provvedimento che riguarda il merito delle questioni poste. Quindi, non mi soffermo su questo aspetto, anche se la tentazione è tanta, sia per quanto riguarda l'IRAP sia per quanto riguarda i canoni demaniali marittimi.
Però, è fondamentale dire agli italiani, in sede di dichiarazione di voto, che la maggioranza nei confronti di questo provvedimento di proroga - che ha l'esclusivo compito di confermare, da una parte, e di prorogare, dall'altra, i termini di pagamento, compito che nasce dal momento particolare che queste imposte stanno vivendo - assume un atteggiamento non solo difforme da quanto già proclamato in campagna elettorale e contrastante con due principi assoluti, quali la certezza e la giustizia delle norme, ma tiene un comportamento che cambia nel giro di dieci giorni e che si inserisce in un momento particolare quale l'approvazione del cosiddetto provvedimento milleproroghe.Pag. 83
Per questi motivi, che sono indispensabili per avere un rapporto onesto con i contribuenti, il nostro giudizio sul provvedimento rimane negativo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.
MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, credo sia importante che tutti i soggetti interessati a questo provvedimento e, nel caso di specie, tutti i soggetti interessati al pagamento dell'IRAP e dei canoni demaniali marittimi, sappiano quale assurda situazione si sta determinando in questo momento nell'aula della Camera dei deputati.
In particolare, per quanto concerne l'IRAP, credo sia opportuno ribadire che non sono state accolte quelle istanze volte a garantire tutti i soggetti che, nella difficoltà di interpretazione normativa, attesa la posizione della Corte di giustizia europea circa la dubbia applicabilità e legittimità dell'IRAP, non abbiano pagato e vi provvedano successivamente.
Ancor più paradossale è che con questo provvedimento non si sia posta mano a tutta la vicenda di quei professionisti senza struttura, che sono di per sé esonerati dall'IRAP e che, invece, sono assoggettati ad essa, o, comunque, che non si sia fatta chiarezza su questo argomento.
Inoltre, che cosa accadrà quando entrerà in vigore la sentenza della Corte di giustizia europea, la quale - ci è molto chiaro - dichiarerà l'illegittimità dell'IRAP? Quali saranno le modalità di restituzione? Nell'ipotesi di restituzione, con quale decorrenza e relativamente a quali periodi essa avverrà?
Ancora più aberrante è ciò che sta accadendo con i pretesi tutori o difensori dei gestori degli stabilimenti balneari. Si assume in fatto - e ciò è alla base del provvedimento in ordine alla proroga degli aumenti del canone di concessione demaniale - che le norme prorogate fin dalla data di efficacia (dal 2003 al 2006), andrebbero oggi prorogate sino al 15 settembre 2006, nel presupposto di ottenere, in questo modo, i tempi necessari ed utili per dirimere la controversia su una loro più puntuale applicazione.
Sappiamo benissimo noi che siamo stati al Governo fino a pochi mesi fa e sa benissimo il nuovo Governo che si è insediato che le contestazioni provenute dagli operatori risalgano ad una normativa molto vecchia negli anni, che fece l'errore di classificare queste tre categorie di concessioni in tre categorie: A, B e C.
Sappiamo tutti in quest'aula, tutti quelli che c'erano, in qualsivoglia veste, nella scorsa legislatura, quali siano state le difficoltà operative per arrivare ad una diversa definizione degli incrementi dei canoni di concessione demaniale. È noto a molti che in tanti casi stiamo parlando di 1.200 euro a metro quadro, e che, in altri casi, l'applicazione del 300 per cento darebbe origine, invece, a situazioni estremamente vessatorie. Ebbene, sappiamo quale sia stata e quale sia oggi la difficoltà di arrivare ad una determinazione di aumento dei canoni che non faccia perdere il gettito atteso di 140 milioni di euro.
Questa volta, avevate con voi, a sostegno del vostro decreto, quello che noi, quando eravamo al Governo, non abbiamo mai avuto. Avreste avuto tutta l'opposizione ferma con voi nello stabilire un termine ulteriore, ma tassativo, entro il quale rendere efficace questa norma; e l'avete rifiutato, sapendo bene - lo devono sapere i gestori degli stabilimenti balneari, ai quali rappresenterete situazioni diverse - che questo sarà un ennesimo motivo per creare confusione in coloro che appostano o non appostano queste forme al bilancio e in quale misura sono tenute a pagarle.
Ebbene, mi fa specie che, in un momento così particolare, ancor più nel momento in cui è occupata l'aula del Senato perché non avete i numeri per darvi la maggioranza, una proposta dell'opposizione che tutela gli identici interessi che voi volete tutelare sia così fermamente respinta. È questa la ragione per cui voterete voi questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, vorrei impiegare i miei dieci minuti per far comprendere all'Assemblea un principio che sarà valido, probabilmente, anche per i prossimi provvedimenti legislativi.
Ad ogni inizio di legislatura vi è la tendenza, da parte della maggioranza e dell'opposizione, a scaricarsi la responsabilità sui provvedimenti in votazione. Questo è sbagliato per tutti i provvedimenti, lo è in particolare per i provvedimenti che hanno portata fiscale, cioè che aumentano le imposte, come quello oggi in esame. Esiste un idioma inglese molto semplice che dice: no taxation without representation, cioè non deve esservi una nuova tassa senza che vi sia un responsabile. Ho paura che su questo provvedimento stiamo creando, invece, le condizioni affinché si aumenti un'imposizione senza che nessuno se ne voglia assumere la responsabilità.
Questo provvedimento è formato da due parti. Una parte è la riproposizione di provvedimenti già emanati negli ultimi due anni e sulla quale concorda la stragrande maggioranza dei miei colleghi, sia di opposizione, sia di maggioranza, secondo la quale, visto che bisogna salvare il gettito IRAP messo a rischio da una pendenza che abbiamo alla Corte di giustizia europea, bisogna impedire che il contribuente ricorra al ravvedimento operoso, altrimenti non verserebbe oggi aspettando di conoscere la decisione della citata Corte di giustizia. Quindi, si impedisce al contribuente di accedere al suddetto istituto, e su questo nulla quaestio: lo abbiamo fatto anche negli ultimi due anni.
Una seconda parte del provvedimento riguarda i canoni demaniali, e sono d'accordo con quanto diceva il mio collega Gioacchino Alfano: con questo provvedimento non facciamo altro che posticipare il problema al 31 ottobre. Avrei preferito un termine più differito, ma credo che non sia una condizione determinante per la discussione di oggi.
La sfortuna ha voluto che, nel frattempo, si aprisse anche un'altra questione, quella cruciale del provvedimento, che nulla ha a che fare con i provvedimenti che il Parlamento aveva adottato nelle ultime due legislature, è completamente nuova: quella relativa alle regioni che sono in disavanzo sanitario. Per tali regioni, la legge finanziaria dell'anno scorso stabiliva che le aliquote IRAP ed IRPEF sarebbero state fissate al massimo se non si rispettavano determinati vincoli: così è avvenuto per almeno cinque regioni. Dal momento che non è solo una questione di sostanza, di aumento dell'imposizione, ma anche una questione di forma, qui viene fuori la responsabilità del nuovo Governo, che ha voluto imporre tale aumento non, come noi avevamo proposto all'inizio, a partire dal secondo acconto IRAP, cioè dal 20 novembre, ma da subito. Quindi, ha fatto decorrere tale aumento dell'IRAP immediatamente, chiedendo ai contribuenti di tali regioni, il 18-20 giugno, di versare, lo stesso giorno o il giorno dopo, un'aliquota maggiorata di un punto. È chiaro che ciò ha messo a soqquadro il sistema fiscale italiano per quanto riguarda l'IRAP, perché vi è un'indecisione che, soprattutto nel campo fiscale, è intollerabile.
Dunque, qui vi è una prima responsabilità - così cominciamo a chiarire - da parte della maggioranza e del Governo, che hanno voluto applicare il suddetto aumento dell'IRAP non da novembre ma immediatamente. Attenzione: quando arriveremo a novembre, a mio avviso, ci renderemo conto che, forse non tutte, ma alcune regioni avranno recuperato quel disavanzo; tanto è vero che abbiamo dovuto stabilire, con un ordine del giorno, che quell'1 per cento che si è versato in più verrà scomputato a titolo di credito d'imposta per altri tributi.
Quindi, abbiamo creato solo un aggravio di burocrazia, generando confusione per il contribuente: esattamente quanto in campo fiscale non bisogna fare. Dunque, se vi è una responsabilità - così cominciamo a «sistemare» la vicenda -, questa è da imputarsi a chi ha applicato male una norma che già esisteva, e l'ha fatto inPag. 85maniera scorretta e confusa dando al sistema tributario italiano un forte «scossone». Badate che, quando si compiono queste operazioni, non si trova subito una definizione delle stesse, perché tali modifiche continuano a determinare confusione su confusione.
Non è stata applicata bene neanche la previsione di un punto percentuale di aumento dell'aliquota, poiché la reiezione, stamattina, di una proposta emendativa specifica - ho già avuto modo di sostenere tale argomento in fase di discussione degli emendamenti - fa sì che le ONLUS e le cooperative sociali saranno gravate da tale aumento del tributo. Ebbene, continuo a sostenere che ciò è scorretto perché si colpiscono particolarmente i soggetti più deboli; peraltro, in alcune fasi, ho anche apprezzato quei parlamentari che si sono battuti perché i comuni continuassero ad avere un livello di servizi elevato. Ma voglio aggiungere, perché conosco bene, come molti di voi, la finanza dei bilanci comunali, che questo aumento si rifletterà, alla fine del suo percorso, in una diminuzione delle ore di assistenza domiciliare rese, ad esempio, dai comuni. Infatti, le ONLUS, le associazioni di volontariato e le cooperative sociali che saranno chiamate a pagare più IRAP avranno meno risorse, e quindi dovranno aumentare la quota oraria corrisposta dai comuni per il servizio di assistenza domiciliare sicché, conseguentemente, i comuni acquisteranno meno ore di assistenza domiciliare. Avremo meno posti all'asilo nido: certo, non è catastrofico, ma diamo un tale segnale, mentre evitarlo, in termini di gettito, sarebbe costato realmente poco.
Dunque, le ragioni di questo provvedimento in parte sono quelle del passato - e noi le condividiamo -, ma per una parte nuova sono da cercarsi nelle scelte di questa maggioranza, che noi contestiamo. Si tratta di uno di quei casi nei quali la responsabilità è chiara ed è a carico di una parte.
Mi permetto di fare un'ultima osservazione. Ho sentito in questi mesi da parte del sottosegretario Grandi e da parte del ministro Lanzillotta una difesa molto forte dell'IRAP. Capisco che è quasi impossibile difendere un'imposta; in via generale, l'imposta è scomoda di per sé stessa e non piace ai cittadini. Ma difendere l'IRAP è ancora più difficile perché è un tributo naturalmente sbagliato, che vuole essere sul reddito ma che, invece, non colpisce il reddito in quanto chiama a pagare anche i contribuenti che sono strutturalmente in perdita. Vi sono aziende in perdita che pagano un'imposta sul reddito: basterebbe ciò per provare che l'IRAP è un'imposta che non può essere mantenuta perché fonda la sua base imponibile non sul reddito, ma sul lavoro. È anche logico che sia così perché, quando Prodi l'ha introdotta, ha sostituito la SSN, che colpiva il lavoro; quindi, è un'imposta non sul reddito ma sul lavoro.
Sarebbe, inoltre, un errore, anche nella prospettiva del prossimo federalismo fiscale, continuare a basare la fiscalità italiana sull'IRAP; tale imposta ha, infatti, un altro aspetto sconveniente. Se non un'anima, le imposte hanno però una natura, e l'IRAP ha una sua natura, quella di colpire il lavoro. Ebbene, nella loro esistenza, le imposte devono soddisfare alcune regole; una delle principali è la correlazione: il gettito deve essere correlato alla spesa che lo Stato o il comune ne fanno. Ma nel caso dell'IRAP questa correlazione manca completamente perché la si riscuote su base nazionale e dal lavoro, ma solo da certuni perché la si preleva dalle attività produttive organizzate. Viceversa, se ne impiega il gettito per finanziare il Servizio sanitario nazionale, e quindi si ha la generalità che è di competenza della regione, sicché l'imposta non corrisponde ad una delle regole principali del diritto tributario.
Ritengo siano queste le motivazioni che oggi ci spingono a votare contro l'approvazione di questo disegno di legge, con un rammarico, perché era possibile, questa volta, fare qualcosa, davvero, non per soddisfare le esigenze dell'opposizione, ma per soddisfare quelle dei contribuenti italiani (Applausi dei deputati dei gruppi delPag. 86l'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leo. Ne ha facoltà.
MAURIZIO LEO. Signor Presidente, questa mattina, nel corso del mio intervento sul complesso degli emendamenti, ho messo in evidenza le difficoltà e le contraddizioni che presenta l'imposta regionale sulle attività produttive.
Sin dal 1997, quando questa imposta venne istituita, ci si doveva far carico dei problemi che avrebbe generato. Basti pensare, come ricordavo oggi, che colpisce il costo del lavoro; non si è mai visto, infatti, che un'impresa che impiega forza lavoro non possa dedurre dalla base imponibile del tributo i lavoratori che portano a crescere il valore della produzione. Si tratta di una imposta completamente insensata. Essa, tra l'altro, ha anche una difficile collocazione nell'ambito delle imposte sui consumi o delle imposte sui redditi, in quanto non rientra in nessuna delle due categorie. Opportunamente, quindi, la Corte di giustizia europea, per il tramite degli avvocati generali - Jacobs nel 2005, poi Stix Hackl nel 2006 -, ha ritenuto che sostanzialmente è un duplicato dell'IVA e, poiché a livello comunitario ci può essere una sola imposta sulla cifra d'affari, si tratta di un'imposta che contraddice i principi fondamentali del sistema comunitario e che, quindi, deve essere eliminata dall'ordinamento giuridico.
Si tratta di stabilire a partire da quando tale imposta dovrà essere eliminata, se immediatamente o a partire dal 2007; la Corte di giustizia, per il tramite degli avvocati generali, si sta orientando a far decorrere gli effetti dal 2007. Intanto, ci troviamo in questa situazione di incertezza, con i contribuenti che non sanno come e quando pagare l'imposta.
Il provvedimento che stiamo esaminando, che riproduce nella sua architettura generale un provvedimento del precedente Governo di centrodestra, nei lineamenti non è da osteggiare, ma anzi è condivisibile. Il vero problema si è determinato per l'azione che ha posto in essere il Governo con riferimento all'ipotesi per cui in certe regioni si è «sforata» la spesa sanitaria. Se ripercorriamo bene i passaggi della questione, dobbiamo ricordare che con la legge finanziaria del 2006 il Governo allora in carica stabilì, opportunamente, che di fronte ad una sforamento della spesa sanitaria aumentavano automaticamente sia l'acconto dell'IRAP per il 2006 sia l'addizionale regionale all'IRPEF. Tuttavia, chi elaborò quelle norme non avrebbe mai potuto immaginare che il Governo avrebbe intavolato una trattativa con le regioni per vedere se in alcuni casi per le stesse fosse possibile rientrare dallo sforamento, lasciando in balia delle onde il povero contribuente. È questo che noi contestiamo!
È possibile che in un momento topico per gli adempimenti tributari, come il mese di giugno, il contribuente non sia in grado di sapere quanto deve pagare per le imposte? Non bisogna scomodare Luigi Einaudi, che pose tra i principi fondamentali del sistema tributario la semplicità e la gestione facile dei tributi. Se noi non sappiamo come pagare le imposte, come possiamo credere nello Stato? Se non sappiamo come ed in che modo adempiere agli obblighi comunitari, come possiamo avere fiducia nei nostri governanti? Questo è l'interrogativo che dobbiamo porci.
Noi imputiamo all'attuale Governo di aver generato un'enorme confusione nel pagamento dei tributi; per questo abbiamo chiesto, nel caso di un mancato chiarimento ufficiale da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di consentire di versare questa maggiorazione dell'IRAP entro il 20 di luglio, inserita, però, in un quadro ben definito ed organico. Purtroppo, questo invito non ha ricevuto una risposta coerente da parte del Governo. I contribuenti solo oggi vengono a sapere, ma non dai canali ufficiali, che possono versare l'acconto IRAP relativo al 2006Pag. 87entro il 20 luglio anziché entro il 20 giugno, senza che ciò comporti la maggiorazione dello 0,4 per cento.
E quei contribuenti che hanno pagato? Ci vogliamo mettere nei panni di tanta gente che ha pagato sulla base delle affermazioni fatte dal Governo? Peraltro, ribadisco che, se andiamo a leggere la Gazzetta Ufficiale, ci accorgiamo che non è codificato, che non è scritto in alcun provvedimento che i contribuenti erano tenuti alla maggiorazione. Orbene, ai contribuenti che, affidandosi alla stampa specializzata, hanno pagato in più vogliamo consentire di recuperare immediatamente le somme non dovute?
Grazie ad un ordine del giorno del centrodestra, siamo riusciti ad impegnare il Governo a chiarire che l'eventuale eccedenza può essere utilizzata in compensazione immediatamente; altrimenti, il Governo avrebbe atteso fino a novembre del 2006 e soltanto a tale data avrebbe consentito di recuperare quanto indebitamente riscosso.
Questa è l'ulteriore riprova che, in materia tributaria, il Governo di centrosinistra non ha le idee chiare. Che non abbia le idee chiare il Governo l'ha dimostrato nel corso della campagna elettorale: chi non ricorda le affermazioni del professor Prodi, il quale sostenne che sarebbe stata reintrodotta l'imposta sulle successioni e che, in tal modo, sarebbero stati colpiti i patrimoni di «parecchi» miliardi? «Parecchio» è un aggettivo indefinito: bisognerà pur dire in quale misura si vogliono assoggettare a tassazione le successioni!
A tale proposito, desidero porre al Governo la seguente domanda: ci si è fatti carico di pensare che i soggetti che ereditano patrimoni di «parecchi» miliardi hanno la possibilità di non pagare le imposte in Italia? Tenendo conto di come è strutturato il sistema tributario, è consentito a tali soggetti di costituire trust all'estero e, quindi, di non assoggettare a tassazione in Italia alcunché! Questi sono i dubbi che dobbiamo sottoporre al Governo.
Oltre che dell'imposta sulle successioni, si è parlato di tassazione delle rendite finanziarie. Ebbene, aspetto di capire come si vorrà attuare la tassazione delle rendite finanziarie. Se saranno assoggettati a tassazione soltanto i proventi relativi alle nuove emissioni, sarà difficile realizzare gettito significativo da utilizzare per la riduzione del cuneo fiscale.
Insomma, parlare di materia tributaria significa farlo a ragion veduta, conoscere i temi di cui si discute. Sicuramente, il tema fiscale è centrale nella politica economica e nella politica in genere. Pertanto, è auspicabile che se ne parli a ragion veduta; in caso contrario, si creeranno grossi problemi al sistema paese ed ai contribuenti e si genereranno difficoltà che riporteranno l'Italia molto indietro nella graduatoria dei paesi più avanzati e non le daranno il rilievo che essa merita.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Garavaglia. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ribadiamo la nostra contrarietà al provvedimento in esame, per svariati motivi.
Partiamo dal presupposto che, com'è stato giustamente rilevato nell'ultimo intervento, le tasse, per essere pagate bene e da tutti, devono essere chiare, semplici e certe. In questo caso, si è riusciti a creare più caos del necessario ed a peggiorare una situazione già complicata.
L'incertezza dei contribuenti è relativa al fatto che, probabilmente, l'imposta sarà cancellata già a valere dall'anno venturo. Giustamente, le aziende si erano già organizzate, prevedendo di non pagare e, eventualmente, di ricorrere al ravvedimento operoso. Intervenire impedendo tale operazione è, di fatto, una bella «fregatura» per le nostre aziende (che non ne hanno assolutamente bisogno in un momento di difficoltà in cui avrebbero bisogno, invece, di una boccata d'ossigeno)!
Oltretutto - ed è paradossale -, si va ad aggiungere l'ulteriore incertezza e l'ulteriore confusione derivanti dal meccanismoPag. 88di copertura delle spese delle regioni che hanno superato il tetto di spesa in campo sanitario. Innanzitutto, bisogna ribadire che si tratta di regioni amministrate (quasi tutte) dal centrosinistra. In secondo luogo, a casa nostra, ci hanno insegnato che dobbiamo stare attenti a come spendiamo i soldi per non produrre un «buco» e che, se lo creiamo, dobbiamo pensare noi a coprirlo con i nostri soldi.
Adesso che i cittadini devono ancora intervenire per «tappare i buchi», non è chiaramente correttissimo, però è giusto farlo. Il problema non è tanto questo, perché è giusto che chi ha «sforato» paghi, ma piuttosto è come farlo, ed anche su tale aspetto si è fatta confusione: mah, paghiamo con l'acconto, poi, semmai, se le regioni rientrano, vi sarà il conguaglio. Ancora caos, ancora confusione! Ora, di ciò assolutamente non ve n'è bisogno. Il ministro Turco ha dichiarato che per queste regioni è previsto un nuovo grande patto con cui si andrà a ridiscutere un piano di rientro della spesa su - addirittura - un orizzonte triennale. Li conosciamo, questi patti di carattere triennale e pluriennale: non si avverano mai e purtroppo la sensazione è che, al solito, pagherà Pantalone ed il nord, come è già successo mille altre volte! Oltretutto, tale sensazione è avvalorata dal fatto che si prevede l'istituzione di un fondo per coprire proprio le inefficienze delle regioni che hanno difficoltà. Quindi, più sei inefficiente e più...tanto pagano gli altri!
Il problema è di confusione e di mancanza di una prospettiva di ampio respiro. Noi, onestamente, ci aspettavamo molto di più dal ministro Padoa Schioppa, l'unico rappresentante del Governo non politico, quindi ministro di peso, con una profonda esperienza, che come primo provvedimento ci porta questo piccolo, piccolo provvedimentino, mirato unicamente a «fare cassa». Ora, dov'è la grande politica economica del centrosinistra, dei primi cento giorni? Dov'è? Giustamente, si parlava sempre di certezza per i contribuenti: i contribuenti sono preoccupati, non sanno cosa succederà relativamente alle tassazioni dei BOT, alla tassazione delle imposte di successione, all'IVA (in proposito, si parla di incrementi dell'IVA).
Bene, in tutta questa confusione se ne va ad aggiungere altra. E, poi, si riesce a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte: da una parte facciamo un po' di cassa e dall'altra andiamo a prorogare il termine per l'incremento dei canoni di concessione demaniali! Anche qui non se ne vede la necessità. La scusa che è stata trovata per questa proroga è quella di evitare l'incremento dei costi dei lettini e degli ombrelloni per questa estate. Ma questa è una baggianata grossa come una casa! Infatti, gli operatori hanno già ampiamente scontato questi incrementi nei loro canoni, che sono già esposti, perché la stagione ovviamente è già iniziata e, quindi, ovviamente non vi sarà alcun effetto di tal tipo. Oltretutto, la sinistra ha dichiarato in mille salse che il problema dell'incremento e dell'inflazione, che vi è stato e che vi è, non è dovuto alla sciagurata scelta dell'euro, che ci ha rapinato del 30-40 per cento degli stipendi e delle pensioni, ma al mancato controllo da parte del Governo. Ebbene, il Governo vada e controlli anche gli stabilimenti balneari, che problema c'è?
Detto questo, siamo di fronte ad un piccolo provvedimento, che va ad incrementare la confusione e l'inefficienza del sistema. Diventerà molto più difficile, poi, mettere in campo una seria battaglia contro l'evasione fiscale.
Concludo, quindi, dicendo che si è persa una grande occasione. La grande occasione era di eliminare da subito l'IRAP. Vi era la possibilità di farlo. Tutti sono d'accordo che è una tassa iniqua; Visco l'ha introdotta; quindi, come l'ha introdotta, così il medesimo la può anche togliere. Eliminarla da subito, oltretutto, avrebbe dato ampio respiro alle aziende, soprattutto a quelle dei settori più esposti alla concorrenza dei mercati esteri, perché gravate da una forte componente di costo del lavoro. Ora, quando si è inserita questa sciagurata tassa - l'IRAP -, si pensava di farlo per sistemare il nostro settore produttivo, orientando gli investimenti versoPag. 89settori a capitali intensi e disincentivando, di fatto, i settori a lavori intensi. Non si è tenuto conto del fatto che la realtà del nostro sistema paese è fatta di una miriade di piccole e medie imprese - che sono quelle che tengono in piedi la baracca, che sono quelle che pagano le tasse, che sono quelle che danno lavoro! - e queste aziende, soprattutto nei settori del tessile, hanno enormi difficoltà, per la sciagurata apertura, fatta - anche questa -, a suo tempo, dall'attuale presidente del Consiglio, Prodi, quando era Presidente della Commissione europea.
Questa sciagurata apertura senza freni ha messo le nostre imprese in seria difficoltà. Il Governo aveva l'occasione per porre un po' il freno a questa situazione che sta portando alla chiusura, giorno dopo giorno, numerose aziende, ma non ha fatto nulla. Il problema è di prospettiva. Ormai che i cento giorni del Governo cominciano a passare, noi ci troviamo di fronte, oltre che ad un nulla di fatto su quelli che sono i grandi temi, i grandi e roboanti slogan sciorinati durante la campagna elettorale e anche dopo, ad una serie di tante piccole dichiarazioni in libertà dei vari ministri, che si divertono a giocare a chi la spara più grossa. Penso all'ultima sulla cannabis, dove il ministro Turco, che ha anticipato un'iniziativa del ministro Ferrero, ha proposto l'adozione di un atto amministrativo per incrementare la quantità di cannabis che il singolo può detenere.
La via degli atti amministrativi sembra essere quella che questo Governo intende percorrere, da un lato per risolvere le difficoltà evidenti esistenti al Senato, ed oggi di ciò abbiamo avuto un'ulteriore conferma, dall'altro perché agendo in questo modo si evita una discussione sia nelle Commissioni che sono deputate a svolgere queste riflessioni, sia nell'ambito delle Assemblee, nonché probabilmente in seno al Governo stesso.
La sensazione è quella di una mancanza di una visione e di una prospettiva comuni, evidente soprattutto in materia di politica economica, e si risponde con una sorta di movimentismo senza freni dove ogni ministro, come dicevo prima, si diverte a spararla più grossa. Questa serie ininterrotta di proposte, anche dirompenti, presentano, tra l'altro, anche una scarsa copertura finanziaria. Pertanto, si tenta di fare fumo, del gran bel fumo, facendo vedere che si fa, sebbene poi, in realtà, non si fa un bel niente. E quando si va a fare qualcosa, come in questo caso, la si fa male e unicamente per «fare cassa», come avviene con l'intervento operato sull'IRAP, dimenticandosi però delle difficoltà cui andranno incontro, ad esempio, le cooperative sociali, che rappresentano una delle realtà che riescono a far quadrare i conti e i bilanci comunali; penso a tutti gli interventi che queste cooperative sociali svolgono in campo socio-sanitario e soprattutto nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
PRESIDENTE. Onorevole Garavaglia, concluda.
MASSIMO GARAVAGLIA. Concludo, Presidente. Non si è fatto nulla se non creare ulteriore confusione e difficoltà in campo fiscale. Si è adottato invece un provvedimento come quello in esame, che riteniamo assolutamente inutile anche dal punto di vista economico, magari solo per poter dire che gli ombrelloni quest'estate costano poco. Ci sembra veramente poco per un Governo che aveva grandi ambizioni (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, prima di soffermarmi sul cuore dell'argomento che ci occupa desidero esternarvi qualcosa che ho notato nel corso della precedente discussione.
Come sapete, il referendum appena tenutosi si è concluso con la vittoria del «no». Con esso, tra l'altro, è stato riaffermato il bicameralismo perfetto tra Camera e Senato. Non comprendo, quindi,Pag. 90come si concili questa posizione di bicameralismo perfetto con gli interventi che ho ascoltato poc'anzi in merito alla possibilità di continuare i lavori dell'Assemblea di uno dei due rami del Parlamento.
D'altro canto, sono molte le cose che non riesco a comprendere, probabilmente per colpa mia. Una di queste riguarda proprio questo provvedimento sull'IRAP.
Si tratta di un provvedimento iniquo, assolutamente iniquo, un provvedimento che riguarda un tributo da abrogare, come bene è stato esposto dai colleghi che mi hanno preceduto. D'altro canto, potete consultare il resoconto stenografico degli interventi svolti in questa Assemblea nel 1997. Come ricorderete, al Governo c'era l'attuale maggioranza e la Casa delle libertà si era opposta con assoluta determinazione a questo provvedimento, dichiarato iniquo allora e dichiarato iniquo oggi. D'altro canto, se vogliamo avere ciò che negli Stati Uniti è definito come la prova della pistola fumante (the smoking gun evidence) della vostra contradditorietà, basta esaminare questo tributo che volete reintrodurre a tutti i costi. Non avevate svolto la campagna elettorale inneggiando ad una diminuzione delle tasse, del cuneo fiscale e dell'IRAP? Allora, dove sono andati a finire i buoni propositi? Sono andati a finire nel limbo delle pie intenzioni, dato che comunque siete riusciti ad avere - si fa per dire - la maggioranza. Perciò, avete iniziato quella politica di inasprimento delle tasse e di reintroduzione di tasse che avrebbero dovuto essere cancellate. Se avessimo vinto noi, l'IRAP non sarebbe più un tributo da corrispondere. Del resto, ormai avete portato a casa il risultato elettorale. Tuttavia, non è un bel modo di procedere, cari colleghi! Non è un bel modo di procedere perché dovete - tutti noi dobbiamo - pensare a che cosa significhi approvare un provvedimento di legge.
La legge, vedete, non è soltanto qualcosa che noi dobbiamo rispettare (quando parlo di «noi», intendo noi cittadini e non noi parlamentari); non si tratta di una facoltà che viene data nell'ambito di una norma, come se la norma ci appartenesse. In altri termini, la legge non è una facoltà di agire all'interno della legge medesima. La legge è la facoltà che tutti i cittadini hanno - quel popolo italiano che vi ha dato l'esigua maggioranza - di esigere che il proprio comportamento sia codificato in norma. Questa è la legge, questo è il modo corretto di intendere la potestà legislativa che ci spetta. Vi prego: risparmiatemi il commento che il mandato imperativo non esiste! Lo sappiamo bene. Tuttavia, dopo aver presentato un programma elettorale che prevedeva, tra l'altro, l'abolizione dell'IRAP, terminate le consultazioni, l'IRAP riappare, nonostante l'accoglimento da parte del Governo degli unici due segnali positivi in questo provvedimento, ossia gli emendamenti presentati dagli onorevoli Leo e Gioacchino Alfano. D'altro canto, non bastano due emendamenti per rimettere in sesto un tributo iniquo. Mi riferisco non soltanto ad una valutazione interna, nazionale, ma anche a quanto è stato affermato in sede di Unione europea. Forse, il primo ministro non sa che cosa accade in quella Unione europea la cui Commissione ha presieduto nell'ultimo periodo? Non posso proprio crederlo! D'altro canto, sappiamo che dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea vi è proprio un giudizio pendente riguardo alla compatibilità di questa imposta regionale sulle attività produttive con il divieto, posto agli Stati membri dalla direttiva n. 388 del 1977, di fissare imposte su cifre di affari diverse dall'IVA.
La verità è che questa è una vera imposta sul lavoro per la quale, tra l'altro, l'avvocato generale presso la Corte di giustizia europea, il 14 marzo 2006, ha depositato nuove conclusioni che considerano nuove ipotesi di illegittimità di questo tributo e in cui si afferma che l'IRAP è incompatibile con la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, in quanto essa cadrebbe nel divieto previsto dall'articolo 33 della direttiva 77/388 che ho appena citato. È la stessa direttiva, come ben ricorda l'onorevole Migliori, che vieta altri tributi nazionali che abbiano caratteristiche di imposta sulla cifra di affari. Quindi l'IRAP è al tramonto, ma a tutti i costiPag. 91volete imporre quest'ulteriore balzello per le tasche del contribuente, non preoccupandovi assolutamente del fatto che questo aumento dell'anticipo IRAP colpisce oltre un milione di contribuenti e che a pochi giorni dalla scadenza non sono ancora state fornite le regole fondamentali per adeguarsi.
Per chi poteva essere esente da questa disposizione regionale, cosa accade dunque? Non vi importa, così come non vi interessa di reintrodurre un tributo iniquo; non vi interessa di rispettare quella volontà dei cittadini che vi ho testé enunciato; non vi interessa di essere coerenti col vostro programma elettorale. Vi interessa soltanto governare, trattando i cittadini come se fossero sudditi, come se il potere non vi derivasse dai cittadini bensì da una sorta di grazia ricevuta! Ma con questo modo di andare avanti, cari colleghi, la strada sarà costellata di intralci: si chiameranno IRAP, si chiameranno imposte sulle rendite finanziarie, si chiameranno in tanti modi diversi, ma con una sola dizione si può concretizzare la vostra azione di Governo: incoerenza! Voi siete incoerenti, avete gettato la maschera subito dopo le elezioni. Proseguite su questa strada e sarà per voi corta e costellata di buche.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.
DAVIDE CAPARINI. Grazie, Presidente. Parli di centrosinistra, parli delle sinistre e la parte produttiva del paese, come riflesso incondizionato, mette la mano al portafoglio per controllare se è ancora al suo posto.
È un dato di fatto, ormai c'è una continuità rispetto al passato che noi abbiamo denunciato e abbiamo paventato agli elettori che hanno scelto un'altra maggioranza alle urne. Essi hanno votato - i numeri questo ci confermano - il centrodestra; poi, grazie alle vostre fraudolente liste «pacca», siete riusciti a costruire una maggioranza artificiale in questo Parlamento. Tuttavia gli elettori, già in campagna elettorale, avevano capito (glielo abbiamo ricordato noi ed è stato facile, vi assicuro) che centrosinistra vuol dire più tasse e meno libertà. In effetti, i dati sulla libertà economica nel nostro paese ci vedono in una posizione di assoluta retroguardia. La ricerca dell'Heritage Foundation, in collaborazione con il Wall Street Journal, conferma una posizione del nostro paese, nel 2005, per quanto riguarda la libertà economica, al 134o posto. Pensate colleghi, ci stiamo (Una voce dai banchi dei deputati del gruppo de l'Ulivo: Grazie a te!) contendendo questa posizione con l'Uganda o con Cuba, la Cuba che voi tanto amate.
Insomma, quando si tratta di mettere le mani nelle tasche dei cittadini, voi sapete come fare! Lo state dimostrando anche oggi, attraverso un provvedimento che utilizza una tassa a voi molto cara, come l'IRAP. Ricordo che ho avuto l'onore di rappresentare la mia gente in questo Parlamento nel momento in cui voi, nel 1997, quando eravate al Governo, l'avete introdotta. Allora conducemmo una durissima opposizione, consci del fatto che un'imposta così ingiusta, iniqua e vessatoria avrebbe creato gravissime difficoltà alle nostre imprese, come purtroppo si è poi verificato.
Almeno 320 mila aziende hanno dovuto aspettare la Casa delle libertà per essere liberate dal giogo dell'IRAP: il Governo Berlusconi, infatti, si era ripromesso di abolirla attraverso una riduzione graduale, sulla base delle scarse risorse finanziarie che ci avevate lasciato dopo quattro esecutivi scellerati. Nonostante enormi difficoltà dal punto di vista economico e finanziario, siamo tuttavia riusciti, durante il nostro Governo, ad eliminare tale vessazione per 320 mila imprese, che hanno potuto respirare, finalmente, la libertà dal punto di vista impositivo.
Ovviamente, siamo riusciti ad iniziare a fare ciò che voi avevate promesso di fare, e tutti noi vorremmo verificare la vostra capacità di attuare il vostro programma elettorale, vale a dire ridurre il cuneo fiscale. Ricordo, a tale proposito, che il Governo Berlusconi è riuscito a ridurloPag. 92dell'1 per cento, e che il nostro programma elettorale, che intendeva proseguire lungo quella direzione, era sì ambizioso, ma anche realizzabile.
L'esito delle elezioni, purtroppo, ha consegnato il paese nelle vostre mani, ed ora ci ritroviamo la solita, miope visione dello Stato centralista. Mi riferisco allo Stato che rastrella dove può farlo, tra i ceti produttivi, vale a dire coloro che sostengono con sempre maggiore fatica e difficoltà la nostra economia.
Vorrei segnalare che stiamo discutendo di un'imposta che la Corte di giustizia delle Comunità europee sicuramente decreterà essere illegale: pertanto, una volta verificata la sua incompatibilità con la normativa comunitaria, ci ritroveremo, in questa Assemblea, di fronte a nuovi provvedimenti che mireranno sempre ad un unico scopo: vessare i cittadini e «fare cassa». Si tratta, a mio avviso, di una visione di corto respiro.
Credo che leggeremo ciò nel vostro Documento di programmazione economico-finanziaria e che ciò sarà anticipato nella manovra correttiva di metà anno. Quest'ultima è un costume tipico dei Governi di sinistra: ricordo, infatti, che sono stato eletto per la prima volta in Parlamento nel 1996, ed il primo provvedimento che mi sono trovato a contrastare era, per l'appunto, una manovra correttiva. Voi la definivate «manovrina», così come chiamate quella che presenterete «correzione» ma, agli effetti pratici, si tratta di veri e propri salassi per i ceti produttivi.
Ma è inutile che continuiamo a girare intorno alla questione: qui servono riforme strutturali! Abbiamo concluso da poco una campagna referendaria in cui si è discusso di numerosi argomenti. Voi avete fatto la solita demagogia, avete affrontato con ipocrisia il tema delle riforme ed avete demonizzato ciò che abbiamo realizzato in cinque anni, tra cui quello che andrebbe discusso, in Parlamento, con estrema urgenza: mi riferisco al federalismo fiscale.
Nella nostra riforma, infatti, avevamo semplicemente previsto che il Parlamento avrebbe dovuto approvare, entro un termine di tre anni, una legge ordinaria per attuare il federalismo fiscale ad invarianza di carico impositivo su tutti i cittadini.
La nostra preoccupazione, che è anche la preoccupazione dei cittadini, è quella di non vedere aumentare ulteriormente il carico impositivo. Purtroppo, abbiamo verificato come ciò non sarà possibile con il vostro Governo. Noi culliamo un progetto, un sogno che, ovviamente, diventerà realtà nel momento in cui il paese aprirà gli occhi di fronte alle ipocrisie della sinistra e sceglierà di cambiare: il nostro sogno è quello di avere un tetto impositivo massimo oltre il quale moralmente lo Stato non può andare. Quel tetto - lo abbiamo sempre detto - che deve essere un terzo di ciò che una persona guadagna. Oltre, lo Stato non può e non deve andare.
Dunque, nell'ambito di quel terzo, attraverso una redistribuzione delle competenze ed un criterio di sussidiarietà, le regioni, le province e i comuni potranno avere - allora sì - una dotazione certa di risorse in base ai servizi che effettivamente si erogano ai cittadini. Purtroppo, oggi, non è così.
Viviamo in una situazione di grandissima indeterminatezza, di grandissima confusione, in una situazione in cui, purtroppo, il cittadino (ma non solo lui, anche noi, da questo osservatorio privilegiato) non ha la possibilità né gli strumenti per incidere sui centri di costo. Purtroppo, vige la deresponsabilizzazione di una classe politica, sia quella centralista, quella romana, sia quella regionale, che porta ad una spirale negativa dei costi, alle conseguenze che oggi tentate, in modo così patetico, di arginare, ed è il caso dello sforamento di ciò che avete definito «le regioni canaglia». Semplicemente, userei l'espressione «governatori canaglia», in quanto le regioni e i cittadini non hanno responsabilità, se non quella di avere degli amministratori incapaci e di non aver mai avuto la possibilità di scegliere tra reali alternative di Governo.
Siamo di fronte all'ennesimo sforamento dei conti della sanità e invece di chiedervi come arginare questo fenomenoPag. 93sistematico, rincorrete gli eventi, proponete (noi ovviamente casseremo la proposta) l'ennesimo intervento tampone che nulla farà, se non aggravare il carico impositivo sui cittadini.
PRESIDENTE. Onorevole Caparini, la invito a concludere, perché ha superato il tempo a sua disposizione.
DAVIDE CAPARINI. Presidente, mi avvio alla conclusione.
La ricetta per un malato molto grave, come il nostro sistema paese, non è certo quella di applicare qua e là qualche cerotto. La cura l'abbiamo identificata e si chiama «riforme», le riforme che abbiamo sottoposto all'attenzione del paese e sulle quali abbiamo lavorato e continueremo a lavorare, perché l'unica cura, l'unica medicina per i nostri mali si chiama federalismo.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Berruti, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: si intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, ricordo come un incubo nella XIII legislatura l'introduzione dell'IRAP, che venne poi analizzata ed approfondita da una Commissione bicamerale di cui ebbi l'onore di far parte. Nelle conclusioni dei lavori di quella Commissione emersero molte osservazioni critiche (ricordo che l'IRAP era la risultante dell'abolizione di tutta una serie di contributi fra cui l'ILOR, l'imposta locale sui redditi, che esentava le libere professioni a seguito di una sentenza della Corte costituzionale).
Ebbene, la base imponibile dell'IRAP cancellò completamente l'ILOR e, quindi, inserì anche questa categoria nell'arco della tassazione con la nuova imposta.
Il grosso delle osservazioni critiche, che del resto abbiamo ascoltato largamente in quest'aula anche oggi, riguarda il meccanismo della base imponibile di questa imposta, un meccanismo che costringe di fatto le imprese a fare tre bilanci: il bilancio civilistico, il bilancio fiscale e il bilancio dell'IRAP. Infatti, la base imponibile dell'IRAP è basata sul valore della produzione e, quindi, comprende il costo del lavoro e gli interessi passivi, due elementi che, evidentemente, nella epurazione del reddito vengono considerati costi (quindi, detraibili).
Ovviamente, gli effetti dell'introduzione di questa imposta sono stati fortemente negativi dal punto di vista dell'occupazione, in particolare proprio nell'ambito del lavoro autonomo, che si è sentito colpito improvvisamente dall'abolizione dell'ILOR e che ha dovuto smantellare molte strutture; tant'è vero che una serie di sentenze successive delle commissioni tributarie e anche interventi interpretativi del Ministero delle finanze hanno poi portato a chiarire alcuni aspetti discutibili dal punto di vista della formulazione originaria della legge o perlomeno non chiari. Faccio riferimento, in particolare, alle strutture degli studi professionali, fossero esse stabili o meno.
L'imposta ha comunque determinato una risultanza in termini di gettito molto consistente, 36 miliardi di euro nel bilancio 2005, e da qui è derivata la difficoltà di smantellarla. Tra l'altro, il ministro Visco la introdusse accanto alla Dual income tax, la Dit e la Super Dit, che, voi ricorderete, erano formule tributarie che favorivano soprattutto le grandi imprese. Quindi, a fronte della Dit e della Super Dit, che favorivano le grandi imprese che avevano una grossa capitalizzazione, si colpivano le piccole imprese, che, essendo a bassa capitalizzazione e a forte indebitamento, avevano un onere maggiore dal punto di vista della tassazione sul valore della produzione, che comprendeva anche gli interessi passivi, oltre al costo del lavoro.
Naturalmente, la Commissione dell'Unione europea ha subito messo sotto accusa questo tributo. L'iter, come voi sapete, è molto complesso: c'è una prima valutazione della Commissione; successivamente, vi è l'apertura della procedura di infrazione e poi si passa alla Corte di giustizia. Quest'ultima,Pag. 94attraverso le pronunce degli avvocati generali, non più tardi del marzo scorso, ha fornito una indicazione precisa: praticamente, l'IRAP è considerata un doppione dell'IVA e, quindi, in base ad una direttiva comunitaria, la n. 77/388/CEE, deve essere eliminata.
La stessa Unione europea, conoscendo la difficoltà dei nostri conti economici, in particolare dei conti della nostra finanza pubblica, si è preoccupata delle possibili conseguenze negative derivanti dall'eliminazione di questa imposta e ha, in un certo senso, rallentato la procedura di avvio alla sentenza definitiva per far coincidere la nuova realtà, in cui l'IRAP verrà eliminata, con l'inizio dell'esercizio finanziario 2007.
Tuttavia, il Governo, di fronte allo sforamento dei tetti della spesa sanitaria di sei regioni, è intervenuto, tra l'altro con strumenti molto discutibili che mettono in discussione lo statuto del contribuente ed il ravvedimento operoso, per acquisire un gettito che si calcola intorno ad un miliardo e mezzo circa, a fronte di uno sforamento del tetto sanitario da parte delle sei regioni di quattro miliardi e mezzo di euro, quindi non sufficiente a coprire interamente il buco.
La violazione di questi principi rappresenta un elemento molto grave, perché nel momento in cui si approva per legge lo statuto del contribuente, che prevede un determinato periodo di tempo prima che entrino in funzione nuove imposte, per consentire ai contribuenti di adeguarsi, o quando si mette in discussione una norma come quella relativa al ravvedimento operoso che consente, fra l'altro, al fisco di recuperare gettito, si crea sconcerto. Infatti, uno degli elementi del decreto-legge in esame è quello di blindare il gettito dell'IRAP per evitare che, di fronte all'incertezza per il futuro dell'imposta, qualche contribuente sia portato a rinviare il pagamento, a fronte di molte contestazioni presso le commissioni tributarie che riguardano situazioni pregresse.
Ci troviamo di fronte ad un «provvedimento tampone», che non ha alcun riflesso strutturale sul sistema tributario italiano, ma che perpetua il meccanismo di questa imposta che, prima o poi (del resto il programma dell'Unione già ne prevedeva l'abolizione), dovrà essere modificato, per tornare a quella tassazione sul reddito netto d'impresa che è la base del principio della capacità contributiva previsto dalla Costituzione.
L'opposizione tutta dovrà schierarsi contro il provvedimento in esame perché non risolve i problemi delle sei regioni incriminate dal punto di vista del buco sanitario e, contemporaneamente, determina sconcerto, incertezza e disaffezione verso lo Stato da parte dei contribuenti, a fronte di un sistema di imprese per il quale si prevedeva, con la vittoria dell'Unione, la riduzione di cinque punti in un anno del cuneo fiscale e che si vede, invece, rinviato nel tempo.
Questa è una delle tante ragioni che militano per votare in maniera ferma contro il decreto-legge.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brancher. Ne ha facoltà.
ALDO BRANCHER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tra gli elementi fondanti del gruppo di Forza Italia vi sono quelli di uno Stato «leggero» e di una riduzione delle tasse per chi lavora e crea lavoro. Per tale motivo, la nostra opposizione all'IRAP è stata da sempre ferma e indiscutibile.
Abbiamo sempre considerato l'IRAP come l'imposta di rapina, vale a dire una tassa iniqua che colpisce soprattutto chi rischia in proprio: i lavoratori autonomi, i commercianti, gli artigiani, i professionisti, aumentando le loro difficoltà in un momento difficile dell'economia. Si tratta di una tassa sulle tasse, in quanto non è deducibile.
Le critiche rivolte all'IRAP hanno trovato immediata conferma nei più vari ambienti tecnici ed economici ed anche i rappresentanti del Fondo monetario internazionale hanno espresso sulla stessa un parere negativo, ritenendo colpite da un carico fiscale aggiuntivo, in particolare, le imprese più indebitate, quelle ad altoPag. 95contenuto di lavoro, traducendosi l'intervento in un incentivo a trasferire all'estero segmenti del processo produttivo delle imprese italiane.
Sono note le difficoltà incontrate, sin dal 2001, dal precedente Governo nel sopprimere un'imposta con gettito da 30 miliardi di euro, destinato al finanziamento della sanità regionale e, contemporaneamente, lanciare una politica di sviluppo, di infrastrutture e di riduzione fiscale.
Nel marzo 2005, si è aperta in sede comunitaria la vertenza contro l'IRAP, della quale attendiamo la definizione entro quest'anno, sulla base della sua eccessiva somiglianza con l'IVA. Da quel momento le iniziative del Governo Berlusconi si sono moltiplicate; l'idea di base era quella di reperire almeno 12 miliardi di euro per tagliare l'IRAP sulle aziende in un triennio, mediante un intervento sul costo del lavoro.
La mancanza di una copertura condivisa e certa, oltre alle difficoltà di finanza pubblica, hanno impedito l'avvio della manovra, che si è ridotta all'ipotesi fruttuosa, ma certo non complessiva, di legare il taglio dell'imposta agli investimenti effettivamente realizzati in ricerca o innovazione e dotazione tecnologica, oltre all'introduzione del premio di concentrazione per le piccole e medie imprese.
La situazione di tensione verificatasi in questi giorni tra gli imprenditori e i rischi di confusione fiscale, con ricorsi annunciati da intere regioni, non possono essere imputati alla Casa delle libertà, ma al peccato originale commesso dal centrosinistra nel 1997.
Vorremmo discutere dei modi di copertura del buco sanitario e delle proposte degli imprenditori, che chiedono un credito d'imposta pari al 10 per cento delle spese totali in ricerca da parte delle imprese per dieci anni, un credito d'imposta del 50 per cento per la ricerca dei privati con l'università, il finanziamento di grandi progetti tra i quali i settori biotecnologico e farmaceutico, il sostegno alle Startap innovative, esonerando gli oneri sociali per il personale per un periodo non minore di tre anni, con una spesa per lo Stato di circa 1,5 miliardi di euro l'anno, ma con effetti moltiplicativi sulla spesa privata.
Per tali ragioni, il provvedimento sull'IRAP predisposto dal Governo è estraneo al nostro modo di vedere e lo consideriamo del tutto inadatto a risolvere le problematiche generali e specifiche oggi sul tappeto (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Antonio Pepe. Ne ha facoltà.
ANTONIO PEPE. Signor Presidente, esprimerò un voto contrario sul disegno di legge di conversione in esame, che prevede che, per il versamento degli acconti e per il saldo per il 2006, non trovi applicazione l'istituto del cosiddetto ravvedimento operoso. Si esclude, quindi, l'applicazione delle riduzioni delle sanzioni.
Esprimerò un voto contrario, perché ritengo che questo decreto-legge contrasti con lo statuto del contribuente e, quindi, con il testo contenente i principi generali dell'ordinamento tributario. Esso contrasta con lo statuto del contribuente per i motivi che tra poco indicherò.
Tuttavia, vorrei innanzitutto parlare dell'IRAP, un'imposta definita iniqua da chi mi ha preceduto. È sicuramente un'imposta iniqua - come ricordammo anche noi nel 1997 - perché considera come base imponibile anche gli interessi passivi ed il costo del lavoro. Nel 1997 sostenemmo l'incostituzionalità di tale imposta. L'IRAP, infatti, nacque come un'imposta che raccoglieva più imposte, tra cui l'ILOR. La Corte costituzionale aveva già precisato come l'IRAP davesse gravare solo sulle imprese e, quindi, non potesse colpire i liberi professionisti. Con sentenza del 2001, la stessa Corte costituzionale ha ribadito che l'ILOR è incostituzionale e non può trovare applicazione nei confronti di quei lavoratori autonomi privi di un'autonoma struttura organizzativa.
Oggi, molti lavoratori autonomi si chiedono ancora se devono o meno pagare l'IRAP, perché non sanno se si trovano oPag. 96meno nelle condizioni previste dalla sentenza del 2001 della Corte costituzionale. Noi, allora, sostenemmo che l'IRAP si poneva in contrasto con le norme comunitarie e - come è stato già ricordato da chi mi ha preceduto - è pendente dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea un procedimento sulla compatibilità comunitaria del tributo.
Si sostiene che questo tributo è incompatibile con la normativa sull'IVA. Inoltre, contrariamente a quanto detto questa mattina dal sottosegretario Grandi, ricordo che l'Avvocato generale dello Stato, nel marzo 2006, ha ribadito come questo tributo contrasti con la direttiva comunitaria n. 77/388 e, sicuramente, non potrà più trovare applicazione.
Vorrei anche ricordare ciò che il Governo di centrodestra ha fatto nella scorsa legislatura, nonostante le grandi difficoltà economiche, per superare i problemi che l'imposta IRAP sollevava. Questa mattina il sottosegretario Grandi ha affermato che non è stato fatto niente per ridurre l'imponibile IRAP. Non è così, perché - come è stato già ricordato da chi mi ha preceduto - nella scorsa legislatura è stata abbattuta la base imponibile IRAP con riferimento agli investimenti nella ricerca ed alle nuove assunzioni nelle aree svantaggiate.
Ricordo ancora a me stesso che, anche quando approvammo la delega fiscale (che poi non ha potuto avere applicazione per i noti motivi di natura economica a livello europeo), prevedemmo che dalla base imponibile dovessero essere dedotti il costo del lavoro e gli interessi passivi.
Come ho detto all'inizio, a mio avviso, questo provvedimento contrasta anche con lo Statuto del contribuente e, in particolare, con l'articolo 10, che, al terzo comma, prevede che le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria.
Onorevoli colleghi, è vero che l'anno scorso, nel giugno 2005, questo articolo è stato modificato ed è stata aggiunta la norma secondo cui, in ogni caso, non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria. Tuttavia noi riteniamo che tale incertezza non nasca, in questo caso, dal giudizio pendente dinanzi alla Corte europea. Certo, ciò determina incertezza, ma essa non contrasta con lo statuto del contribuente. L'incertezza nasce dal fatto che, con la sentenza della Corte costituzionale del 2001, è stato ribadito che questo tributo non può trovare applicazione nei confronti di quei professionisti privi di un'autonoma struttura organizzativa: ma non sappiamo ancora cosa si intenda per «autonoma struttura organizzativa». Quindi, oggi molti professionisti o non pagano l'IRAP e, quindi, rischiano sanzioni; oppure pagano l'IRAP e, poi, dovranno chiedere il rimborso.
Ma vi è un'incertezza maggiore che riguarda quei contribuenti che operano nelle regioni che hanno sforato nel campo della sanità e che dovranno pagare l'IRAP nella sua aliquota massima.
Vi è molta incertezza perché non si sa cosa si deve pagare. Penso, soprattutto, al settore agricolo, in cui non si sa se si deve pagare l'imposta dell'1,9 per cento o del 2,9 per cento.
Non sappiamo cosa avverrà se queste regioni, com'è probabile, entro l'anno riusciranno a mettere in ordine il loro conto nel settore della sanità, nel qual caso il pagamento di oggi sarebbe effettuato inutilmente. È vero che, quando pagheranno il saldo, i contribuenti potranno scomputare ciò che hanno versato in eccesso oggi, ma, certamente, non potranno ricevere indietro gli interessi su quelle somme. Vi è incertezza per questi contribuenti e ciò è in contrasto con lo Statuto che ho dianzi richiamato.
Ma è tutta la politica fiscale del centrosinistra che ci preoccupa, cari colleghi! Questo è il primo provvedimento in campo fiscale di questo Governo, ma, durante la campagna elettorale, abbiamo visto che già vi era molta incertezza. Un giorno dicevano che le imposte sulle successioni e sulle donazioni sarebbero state reintrodotte; un altro giorno che ciò non eraPag. 97vero; il giorno dopo dicevano che quelle imposte sarebbero state reintrodotte soltanto per i patrimoni che superavano una determinata cifra; poi, ogni giorno tale cifra cambiava, così come anche l'intera politica fiscale relativa alle imposte sui redditi, che non è mai stata chiara durante la campagna elettorale e non lo è ancora oggi. Un giorno si parla di aumentare le rendite catastali e un altro giorno si prevedono nuovi tributi. Vi è incertezza nei contribuenti e questa incertezza non fa sicuramente bene al nostro paese.
Quindi, in campo fiscale vi è stato un pessimo battesimo per il centrosinistra con questo decreto, che sicuramente non ci piace. Lo stesso articolo 2, che affronta la proroga dei canoni demaniali, sicuramente è necessario, ma voglio ricordare che, probabilmente, si tratta di una proroga troppo breve. Era troppo ravvicinato il termine del 30 settembre e lo è quello del 31 ottobre, il nuovo termine approvato questa mattina grazie all'emendamento dell'onorevole Buontempo. Non penso, infatti, che entro il 31 ottobre potrà essere approvata, dalla commissione istituita ad hoc, la relazione sulle valutazioni necessarie per vedere dove, come e quando dovranno essere aumentati i canoni demaniali. Peraltro, ritengo - parlando a titolo personale - che un aumento indiscriminato del 300 per cento di tutti i canoni demaniali, senza tener conto delle varie realtà territoriali, probabilmente, sia eccessivo.
Per queste ragioni, il nostro voto è contrario. È un voto convinto, sperando che il Parlamento, invece, possa porre mano seriamente alla modifica dell'IRAP, abolendo questa imposta che contrasta con la normativa europea e che noi sostenemmo, già dieci anni fa, essere incostituzionale ed iniqua (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo lunghe ore di ascolto degli interventi che si sono susseguiti per l'intera giornata, vorrei fare una semplice considerazione, anche se può risultare banale: sotto il sole, nulla di nuovo!
Il provvedimento che ci apprestiamo a votare costituisce un sintomo della politica della maggioranza, che non ha esitato e non esiterà ad intervenire in termini drastici per modificare la struttura e la natura di un decreto su una materia di rilevante importanza di carattere economico e fiscale.
Ricordo ancora - forse è una ripetizione, perché tanti lo hanno già detto - come la prospettiva del centrodestra e, in modo particolare, della Lega nord fosse quella di arrivare all'abolizione dell'IRAP, introdotta dall'ex ministro Visco nel 1997. Ricordiamo cosa successe, quali furono le reazioni negative a questa nuova imposizione, in modo particolare, nel Nord d'Italia e, in modo particolarissimo, nella regione Lombardia. Tale provvedimento fa a pugni con l'idea di sviluppo e di rilancio delle imprese, che anche in questi giorni sentiamo sbandierare dai rappresentanti del Governo.
Del resto, come dicevo prima, ascoltando gli interventi dei colleghi della maggioranza si avverte quella impostazione di fondo che mira a costruire una politica fiscale fortemente punitiva dei ceti produttivi e della miriade di piccole e medie aziende.
Gli imprenditori, poi, ci vengono a chiedere conto, soprattutto al nord, di come si possa saldare il paese se non si sostiene, non dico si assiste, il loro impegno a misurarsi sul mercato internazionale.
Inoltre, voglio rimarcare come da più parti si sia creata una certa incertezza e confusione su tempi ed aliquote, come si può facilmente evincere anche solo dando un'occhiata alla pubblicistica di carattere economico. La bocciatura degli emendamenti è la prova che non ci può essere più di tanto dialogo neppure sulle proposte concrete. Ciò perché il centrosinistra ha da sempre un atteggiamento chiuso ed attestato su posizioni rigide: voi governate, voi siete la maggioranza, voi decidete cosa fare.Pag. 98Abbiamo ascoltato in questi giorni, sempre negli ambienti della maggioranza, parlare di questione settentrionale ed assicurare che verranno studiate fino in fondo le dinamiche che hanno portato il centrodestra a prevalere nel nord Italia alle elezioni politiche ed il «sì» referendario ad affermarsi in Lombardia ed in Veneto.
Credo che con questo provvedimento si riparta con il piede sbagliato, ci si allontani dal cuore e dal motore del paese. Il nostro mondo imprenditoriale ha ragione a chiedere interventi di sostegno e di non essere vessato da una fiscalità assolutamente insopportabile.
Voglio ricordare brevemente anche come quando si parla di bilanci negli enti locali, nei comuni, nelle province, nelle regioni, qualsiasi sia la maggioranza e qualsiasi sia l'opposizione, a fatica e difficilmente si riesce a far quadrare i conti e si è sempre costretti a ritoccare aliquote e tasse per garantire i servizi essenziali. Naturalmente, la parola d'ordine è «rigore» quando si fanno i bilanci di previsione e tagli degli sprechi, cosa che non vediamo in questi primi due mesi di Governo del centrosinistra. Penso che l'occasione per far finire tutte queste difficoltà sia stata sprecata la scorsa domenica, ma tant'è: vedremo, andando avanti, cosa succederà.
Per un paese solidale - e concludo - occorre che il nord marci a pieno regime e favorisca lo sviluppo del sud. Senza questa ricetta, l'Italia faticherà ad uscire dalla situazione di malattia che i provvedimenti come quello di oggi rischiano di far diventare cronica. È in questo senso e che con viva preoccupazione che esprimo il nostro dissenso sul provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ceroni. Ne ha facoltà.
REMIGIO CERONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo alla fase finale della discussione per convertire in legge il decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi. Il dibattito di ieri e di oggi ha confermato l'inutilità, l'approssimazione e la superficialità che il Governo ha avuto nell'adottare questo provvedimento che è sbagliato nella forma e nella sostanza.
In primo luogo, dopo una campagna elettorale cruenta, senza esclusione di colpi e con promesse elettorali incredibili, la prima preoccupazione del Governo avrebbe dovuto essere quella di proporre soluzioni serie e meditate ai problemi del paese. Si tratta di problemi che vi eravate impegnati a risolvere, ma che con la vostra vittoria sono improvvisamente scomparsi dal panorama politico italiano: adesso tutti arrivano a fine mese, i giovani trovano occupazione, le aziende ed i lavoratori hanno visto ridursi il cuneo fiscale. Purtroppo, non è così perché fino ad ora l'unica cosa che siete riusciti a fare è aumentare i costi della politica con le 103 poltrone, record nella storia d'Italia, con le quali avete formato il Governo.
Alla luce di ciò, adottare un provvedimento dal sapore vessatorio ed autoritario che per qualche spicciolo in più mette in discussione diritti dei cittadini basati su istituti consolidati come il ravvedimento operoso e lo statuto del contribuente è veramente un atto scriteriato e privo di raziocinio. Altro, invece, è affrontare e discutere il delicato problema del costo del Servizio sanitario; il precedente Governo Berlusconi ha fatto uno sforzo notevole per aumentare le risorse per il funzionamento del Servizio sanitario nazionale portando il relativo fondo da 64 a 93 miliardi di euro, con un aumento di oltre il 40 per cento. Tale aumento però non è stato ritenuto sufficiente dalle regioni governate dal centrosinistra, specialmente dopo il 2005. Infatti, hanno gridato è urlato a gran voce: il fondo sanitario nazionale è sottostimato, per cui siamo costretti ad accumulare deficit; tutta colpa di Berlusconi! Oggi, per fortuna, i signori governatori non hanno più scusanti perché al Governo sono Prodi ed il centrosinistra; ma non mi sembra che il Presidente Prodi voglia conferire maggiori risorse: anzi, obbliga i presidenti delle regioni ad aumentare le tasse.Pag. 99
Finalmente, la verità emerge; nelle condizioni economiche e sanitarie nelle quali versa il nostro paese non è possibile aumentare oltre il 6 ovvero il 6,2 per cento la quota di PIL destinata alla sanità: vedremo se il Governo Prodi sarà in grado di aumentare di un altro punto percentuale la frazione di PIL - portandola, perciò, al 7 per cento - da destinare alla Sanità, come, nella passata legislatura, senza mettere le mani nelle tasche degli italiani, ha fatto il Governo Berlusconi.
Ritengo, però, che il 6 o 6,2 per cento di PIL destinato alla sanità rappresenti, comunque, una quantità di risorse adeguate tenuto conto delle condizioni economiche in cui versa il nostro paese (non dimentichiamo che è il terzo paese più indebitato al mondo).
Si pone, invece, un'altra questione: come vengono utilizzate le risorse che lo Stato assegna alle regioni per gestire questo Servizio? La gestione del Servizio sanitario nelle regioni è un campionario di spreco di risorse pubbliche: consulenze inutili; incarichi legali non necessari - la regione Marche potrebbe essere presa ad esempio, considerato che un avvocato, l'anno scorso, ha preso una parcella di 5 miliardi per prestare la propria assistenza legale: con gli avvocati delle ASL che vogliono lavorare, perché debbono essere conferiti incarichi esterni? -; ritardi nei pagamenti che costano milioni di interessi; assunzioni inutili. A tale ultimo riguardo, in alcune regioni il Servizio sanitario è un ufficio di collocamento per assumere «amici», «amici degli amici», collaboratori che si sono impegnati nelle campagne elettorali.
I vostri errori hanno pure contribuito a fare lievitare i costi del Servizio sanitario; mi riferisco, per esempio, alla soppressione dei ticket operata, nel 2001, dal Governo Amato in chiave preelettorale. Un'operazione che ha fatto aumentare i costi della farmaceutica del 50 per cento; si aggiunge poi il mantenimento in esercizio di strutture inutili ed inadeguate. Troppe inefficienze fanno lievitare a dismisura i costi di un Servizio la cui qualità, poi, non è omogenea in tutto il territorio nazionale.
Mentre i costi aumentano ogni anno a dismisura, noi siamo inerti e gridiamo che servono più soldi. Ecco, allora, che aumentare dell'1 per cento l'aliquota dell'IRAP è inutile se non si interviene su chi è protagonista di incredibili sprechi di denaro pubblico; si finisce per far pagare le aziende, che non hanno alcuna responsabilità nella gestione del Servizio sanitario e che vengono ulteriormente penalizzate perché, nel momento in cui è più dura la competizione internazionale, hanno bisogno di maggiori risorse.
Signor Presidente, cari colleghi, tocca al Governo intervenire sulle regioni, verificare puntualmente e con precisione i loro bilanci, sanzionare gli sprechi e mettere in atto tutte quelle misure per far tornare i bilanci in pareggio. Allora, l'1 per cento di aumento dell'aliquota IRAP non serve a nessuno; significa, invece, procrastinare le carenze della gestione del Servizio sanitario nelle regioni. Anzi, a mio avviso, è necessario anche che iniziate a pensare ad un'imposta sostitutiva dell'IRAP, più equa e più giusta, meno penalizzante per un sistema produttivo manifatturiero come quello italiano. È, infatti, chiaro che nel 2007 la Corte di giustizia europea dichiarerà illegittima l'imposta e bisognerà inventare qualcos'altro.
So che questo non vi fa paura, perché in passato avete dimostrato una buona fantasia nel produrre e nell'inventare tasse: non dimentichiamo che l'IRAP copre un terzo del costo del Servizio sanitario nazionale.
Concludo ribadendo che avreste fatto molto meglio ad evitare questo provvedimento e ad utilizzare questo tempo per trovare soluzioni più adeguate e più ponderate alle esigenze delle nostro paese. Per queste e mille altre ragioni, il nostro voto, nonostante lo sforzo che avete fatto per rendere presentabile questo provvedimento, resta contrario (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Gianfranco Conte e Taglialatela, che avevano chiesto di parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.Pag. 100
Ha chiesto di parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Presidente, in realtà noi ci aspettavamo che nei primi cento giorni del nuovo Governo e della nuova maggioranza ci saremmo trovati a discutere il provvedimento di natura fiscale annunciato dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, l'unico provvedimento di una certa importanza preannunciato in campagna elettorale, che non a caso non era inserito nel programma, cioè il taglio di cinque punti del cuneo fiscale entro il primo anno di Governo.
Ci troviamo, invece, a discutere un provvedimento di urgenza che cerca di mettere qualche tampone alla situazione di gestione dell'IRAP. Voglio partire proprio da alcune considerazioni sulla questione del cuneo fiscale, anche perché, probabilmente, sarebbe stato meglio ed avrebbe sortito maggiore efficacia intervenire sull'IRAP in termini di riduzione degli oneri fiscali per le imprese, piuttosto che avventurarsi in un taglio del cuneo fiscale di quell'entità.
Credo che la misura preannunciata da Prodi, che già comincia ad incontrare qualche difficoltà - peraltro erano presenti sin da subito - sia una misura sostanzialmente sbagliata e controproducente che, certo, risponde all'esigenza politica di cementare un patto corporativo, tutto all'interno dei produttori, tra Confindustria e sindacati, che, ovviamente, dal loro punto di vista, hanno salutato con grande favore questa proposta. Essa, però, per come è stata proposta, rischia di essere una misura sbagliata e controproducente. Ciò innanzitutto perché una riduzione di cinque punti degli oneri fiscali e contributivi, pagati in prevalenza dalle imprese sul lavoro, rischia di provocare due possibili sbocchi. Se, come è stato proposto da qualcuno, si arrivasse ad un taglio selettivo in cui il Governo o chi per lui sceglie quali sono i settori, quali le imprese, destinatari del provvedimento, ci troveremmo in una situazione in cui sta al Governo scegliere quali comparti privilegiare dal punto di vista fiscale, presumibilmente basandosi sul fatto che il Governo stesso ed i burocrati dei ministeri, gli analisti, persino i professori universitari, possano e sappiano scegliere molto meglio di quanto accade nelle dinamiche di mercato i settori più promettenti per lo sviluppo economico del paese e per l'occupazione. Credo che questa sarebbe una presunzione fatale da cui è bene tenersi accuratamente lontani, come dimostrano i fatti economici più importanti di questi ultimi anni.
Pensiamo, ad esempio, a quello che è successo alla FIAT, azienda che versava in una gravissima crisi già nella seconda metà degli anni Novanta, la cui crisi peggiorò a seguito delle misure prese da un Governo interventista e statalista (quale fu il primo Governo Prodi) che scelse la via delle rottamazioni, dell'intervento diretto e distorsivo sul mercato dell'automobile. La FIAT, credendo che quella boccata d'ossigeno potesse esserle utile per superare la crisi, andò avanti per alcuni anni senza operare la ristrutturazione. Si arriva, così, alla crisi recente ed alla scelta del Governo Berlusconi di non intervenire. A quel punto, la FIAT comincia a preoccuparsi di costruire macchine decenti e vendibili e, in qualche modo, esce dalla crisi, o comunque comincia ad intravedere la possibilità di uscirne.
È chiaro che, quando si devono operare scelte, si possono individuare settori da privilegiare (anche se è difficile prevedere quali settori possano davvero rappresentare il futuro dell'economia italiana). Viceversa, se si scegliesse di intervenire sul cuneo fiscale senza pensare ad alcuna azione selettiva - come si dovrebbe fare -, si creerebbe una selezione avversa all'interno dei settori industriali, si finirebbe per privilegiare, senza ragioni evidenti, settori caratterizzati da un elevato impiego di manodopera, labour-intensive, e per penalizzare, invece, settori od imprese che abbiano scelto di puntare sull'investimento tecnologico e, quindi, sulla riduzione di manodopera (nelle quali il costo del lavoro per unità di prodotto risulterebbe necessariamente inferiore). Da questo dilemma non si esce.Pag. 101
Questa è una delle ragioni per cui è bene tenersi lontani dalla riduzione del cuneo fiscale, che non vanta giustificazioni in termini di ripresa competitiva dell'economia italiana rispetto alle economie dei paesi concorrenti. Infatti, il cuneo fiscale e contributivo italiano, già ridotto negli ultimi anni grazie alla riduzione delle aliquote dell'imposta sui redditi, non è fuori dalla norma se si ha riguardo ai paesi europei ed ai grandi paesi industrializzati. Vi sono paesi in cui il cuneo è leggermente superiore a quello italiano ed altri in cui è leggermente inferiore, ma sicuramente non è lì che si gioca la sfida competitiva dell'industria e delle imprese italiane.
Due possibili distorsioni e, poi, il capitolo ancora più spinoso del finanziamento della riduzione del cuneo fiscale. Innanzitutto, un dato che non viene menzionato - ma che è nell'ordine delle cose - è che il peso vero del cuneo fiscale e contributivo italiano sul lavoro ha un solo nome: aliquota previdenziale. Se non avessimo, come abbiamo, l'aliquota previdenziale probabilmente più alta al mondo (essa raggiunge quasi il 33 per cento), non avremmo il problema del cuneo fiscale. Ridurre il cuneo fiscale di cinque punti, come si proponeva e, forse, come ancora si propone Prodi (non so se egli abbia già riconsiderato o ritrattato l'unica proposta vera fatta in campagna elettorale...), significa, nella sostanza, trasferire parte del finanziamento della spesa previdenziale sulla fiscalità generale. Tale scelta sarebbe pericolosissima e rischierebbe di aprire un varco che potrebbe non richiudersi più: quello del lento e progressivo trasferimento sulla fiscalità generale del finanziamento della spesa previdenziale.
Se, poi, si dovesse arrivare a scegliere interventi così distorsivi, ancorché politicamente chiari del desiderio di fare e saldare un patto corporativo tra sindacato e Confindustria, se la scelta fosse quella di tassare il risparmio degli italiani attraverso l'operazione cosiddetta di armonizzazione delle aliquote, ricadremmo in una ulteriore stortura, quella di colpire pesantemente una parte vitale dell'economia italiana con un aumento drastico delle aliquote fiscali sul risparmio, immediato per finanziare quella riduzione, quel patto tra produttori, quel patto corporativo e consociativo tra Confindustria e sindacato.
Anziché discutere di cuneo fiscale, ci troviamo oggi a discutere di una misura tampone sull'IRAP, pasticciata, che rischia di creare ai contribuenti grandi - e, in alcuni casi, insormontabili - difficoltà.
Bene, forse sarebbe stato meglio, signor Presidente, onorevoli colleghi, prendere spunto dall'intervento sull'IRAP per mettere in discussione l'IRAP stessa, in quanto tale a partire...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Della Vedova.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo, signor Presidente. Sarebbe stato meglio - dicevo - mettere in discussione l'IRAP, a partire dall'incidenza sulla base imponibile della parte che le imprese spendono per il costo del personale. Si sarebbe potuto incidere su tale aspetto, alleviando in tal modo il carico fiscale delle imprese, certo insistendo con una misura di favore per le imprese labour intensive, molto meno distorsiva di quella che si intende intraprendere con la riduzione del cuneo fiscale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, iniziamo col dire che noi possiamo definirci fortunati all'interno di questo ramo del Parlamento. Possiamo definirci fortunati perché ancora possiamo parlare, possiamo esprimere le nostre opinioni sui provvedimenti che il Governo presenta, possiamo ancora discutere e portare avanti le nostre istanze. Infatti, osservando ciò che sta avvenendo al Senato in questi giorni - e non ho le notizie degli ultimi minuti -, sembra che da parte del Governo vi sia il tentativo di esautorare i diritti dei due rami del Parlamento - in questo momento al Senato - e «saltare» il Parlamento stesso, per arrivarePag. 102a decisioni che sembra quasi vengano prese o all'esterno del Parlamento, direttamente a Palazzo Chigi, o comunque, se vengono portate all'interno del Parlamento, lo sono in maniera forzata, come sta accadendo al Senato, dove si tenta di non far discutere sui provvedimenti i parlamentari.
Quindi, considerando il numero di coloro che hanno chiesto di parlare su questo provvedimento - oltre duecento deputati -, possiamo dire che c'è una volontà di democrazia; hanno detto, tali deputati, parliamo oggi, perché forse successivamente non parleremo mai più in Parlamento. Questa sembra essere, infatti, l'intenzione del Governo: mettere a tacere le opposizioni e decidere al di fuori dei due rami del Parlamento i provvedimenti da adottare. Lo diciamo oggi, mentre stiamo discutendo su un provvedimento, quello sull'IRAP, che come abbiamo già rilevato in sede di discussione sulle linee generali, e come molti colleghi hanno già sottolineato in quest'aula, è uno tra i primi provvedimenti di politica fiscale ed economica di questo Governo. Siamo soliti dire che nei primi cento giorni di un Governo si dovrebbe vedere la «spina dorsale», si dovrebbe vedere la forza di un Governo, si dovrebbe vedere la direzione che un Governo vuole imprimere al paese ed alla propria maggioranza.
Si è parlato di modernizzare il paese e della volontà con cui lo stesso Governo vuole modernizzare il paese. Invece, sono passate diverse settimane e siamo in questa sede a discutere di provvedimenti minimali, quale quello che oggi stiamo esaminando, un provvedimento nella sostanza certo dovuto, ma pur sempre minimale, ripeto, dopo che sono trascorse diverse settimane ed il paese attende risposte. Il paese attende risposte su molte tematiche che voi, in campagna elettorale, avete «cavalcato», su molte problematiche che voi, sempre in campagna elettorale, avete affermato esservi. Dunque, o le problematiche non vi sono più, perché voi siete al Governo, o non avete la forza di arrivare in Parlamento e proporre i vostri programmi. Altrimenti, se dopo 50-60 giorni - se non di più - dall'insediamento delle Camere, arrivano questi provvedimenti all'esame dell'Assemblea vuol dire che non avete la forza né le idee chiare per portare provvedimenti chiari, atti a dare risposte alle problematiche del paese.
Solitamente - dicevamo - questi sono i giorni in cui un Governo dovrebbe mostrare la propria forza, quella forza che oggi non vediamo, se non nella sostanza di questo provvedimento, un provvedimento che punta ad incassare; è, infatti, un provvedimento che punta a «fare cassa», per non dare la possibilità ai contribuenti di usufruire del cosiddetto ravvedimento operoso, ossia la possibilità di prorogare i pagamenti dell'IRAP.
Questo è vero, ed era stato già fatto dal precedente Governo, il quale però non aveva la caratteristica di fondo che ha l'attuale, cioè quella di puntare a mettere le mani nelle tasche degli italiani. Oggi, infatti, ci troviamo a discutere il primo provvedimento di politica fiscale, che mette appunto le mani nelle tasche degli italiani. Da quanto abbiamo letto sugli organi di stampa e da quanto abbiamo appreso dalle dichiarazioni televisive e dalle parole pronunciate in libertà da tanti ministri e sottosegretari, ci sembra di capire che la volontà dell'attuale Governo è quella di tornare, lo ripeto, a mettere le mani nelle tasche degli italiani. Cosa questa che il Governo Berlusconi in cinque anni non ha mai fatto; anni, quelli, in cui si è verificata una crisi economica internazionale con il prodotto interno lordo che, a livello nazionale e mondiale, ha mostrato difficoltà a crescere. In quegli anni l'Italia non è stata certo la Cina, cresciuta ad un tasso del 9 per cento annuo, eppure il Governo Berlusconi, ripeto, le mani nelle tasche degli italiani non le ha mai messe, nonostante la situazione esistente in quegli anni fosse molto diversa da quella attuale.
Ricordiamoci che cosa era l'Italia e che cosa era l'Europa nel 2001. A quell'epoca non sapevamo che cosa avrebbe comportato l'adozione dell'euro e, in particolare, quanto questa moneta avrebbe intaccato il potere di acquisto dei cittadini italiani: iPag. 103famosi due milioni di lire che si guadagnavano allora valevano, non sono certo i novecento e i mille euro di oggi. Non sapevamo, inoltre, cosa avrebbe comportato la crescita della Cina, la quale è entrata a far parte dell'Organizzazione mondiale del commercio in quel periodo, e non sapevamo che cosa fosse la concorrenza sleale portata dalla Cina. Non sapevamo, altresì, cosa avrebbe significato un prezzo del petrolio di oltre sessanta dollari al barile (il petrolio oscillava tra i 27 e i 30 dollari al barile quando si è insediato il Governo Berlusconi) e quanto esso avrebbe influito sulla politica energetica, sul costo dell'energia, dei carburanti e dei combustibili. Eppure quel Governo, nonostante la crisi economica internazionale, non ha aumentato le tasse di un euro, anzi le ha diminuite.
Ora, di fronte ad una ripresa economica che molti economisti prevedono, l'attuale Governo non ha ancora presentato in Assemblea un provvedimento di politica economica. È vero che nel corso delle prossime settimane sarà presentato ed esaminato il DPEF, però volevamo vedere qualcosa di più, qualcosa di più sostanzioso. Ascoltiamo, invece, soltanto parole in libertà dei vari ministri e sottosegretari che dicono che verrà aumentata l'imposta sul valore aggiunto, che la tassa di successione sarà reintrodotta, che saranno rivisti gli estimi catastali e le ritenute sui titoli di Stato. Ci danno, insomma, tante notizie che presentano una sola caratterizzazione di fondo: quella di tornare a mettere le mani nelle tasche degli italiani. E tutto ciò condito dalla tematica sull'abbattimento di cinque punti percentuali del cuneo fiscale, rispetto al quale attendiamo di vedere come saranno reperite le risorse per realizzarlo. A questo proposito, già da qualche parte si paventa l'idea che le risorse saranno trovate aumentando i contributi per i lavoratori autonomi: in pratica, da una parte si abbassa e dall'altra si innalza, finendo per colpire sempre le solite categorie produttive, cioè quelle dei lavoratori autonomi.
Al momento, questo Parlamento si è riunito per un numero di sedute pari a circa la metà di quello precedente. Questo, quindi, è un Parlamento che finora non ha lavorato. Sono passati più di due mesi dalle elezioni e questo Parlamento ancora non ha, lo ripeto, lavorato. Con il provvedimento in esame è la prima volta che realmente si comincia a lavorare. Riflettiamo su questo aspetto perché fuori c'è un paese che lavora. Se noi diciamo che il Parlamento ha lavorato finora poco più della metà di quanto ha lavorato cinque anni fa durante il Governo Berlusconi, la gente non capisce. La realtà è però questa.
La realtà è quella di un Governo che non ha la volontà di portare i provvedimenti in Assemblea perché, da una parte, manca di un vero programma e, dall'altra, non dispone dei numeri, al Senato, per attuarlo. Quindi, è un Governo che, giorno per giorno, tira a campare.
Quanto al provvedimento in esame, noi sappiamo che la Corte di giustizia europea, nei prossimi mesi, emetterà una sentenza sulla legittimità o meno dell'IRAP. Conseguentemente, la finalità di questo provvedimento è quella di obbligare i contribuenti, oggi, di fronte ad una possibile sentenza di illegittimità dell'IRAP, a pagare, in modo che non usufruiscano dell'istituto del ravvedimento operoso. In altri termini, li costringiamo a pagare, altrimenti, ove la Corte di giustizia affermasse che l'IRAP è illegittima, usufruendo dell'istituto del ravvedimento operoso potrebbero non pagare. Se la Corte bocciasse l'IRAP, essi non andrebbero a pagare. Questa è la sostanza del provvedimento che, come ripeto, già era stato adottato dal Governo Berlusconi.
In sede di Commissione si è discusso di questo disegno di legge, al quale si è collegato il problema della maggiorazione dell'1 per cento dell'IRAP per le regioni che non sono state in linea con le spese sanitarie. Quindi, si è creata confusione tra i contribuenti di quelle regioni, che il 20 giugno si sono trovati nel dubbio se dovere o non dovere pagare, se fossero di fronte ad un giusto obbligo di pagamento oppure se avrebbero dovuto effettuarlo più avanti, cioè il 20 luglio.
PRESIDENTE. Onorevole Fugatti, la prego di concludere.
MAURIZIO FUGATTI. A nostro parere, il Governo non è stato chiaro con i contribuenti. Non lo è stato neanche oggi, quando ci ha detto che non intende dare la possibilità di applicare lo 0,40 per cento in più sul versamento dell'IRAP solo a quelle regioni che hanno sforato i conti sanitari. In questo modo ha creato, secondo noi, una disparità con le altre regioni. Di fronte alle caratteristiche di questo provvedimento, alla disparità che si crea tra le regioni ed alla confusione che si è determinata tra i contribuenti, noi annunciamo il nostro voto contrario.
Mi scusi, signor Presidente, se ho impiegato un tempo superiore a quello a mia disposizione (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Jannone e Miccichè, che avevano chiesto di parlare per dichiarazioni di voto: s'intende che vi abbiano rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Osvaldo Napoli. Ne ha facoltà.
OSVALDO NAPOLI. Signor Presidente, fin dalla sua istituzione, nel 1997, Forza Italia ha posto il problema della illegittimità dell'IRAP e delle difficoltà ed anomalie nella sua applicazione, in particolare per quel che riguarda la definizione della base imponibile, che non risulta di agevole quantificazione, essendo determinata in base al valore della produzione. Il meccanismo distorto dell'IRAP prevede un calcolo, oltre che sull'utile, anche sul costo dei dipendenti, sugli interessi e altri oneri finanziari, determinando una percentuale complessiva di tasse superiore al 50 per cento dell'utile lordo delle società e deprimendo i risultati economici delle imprese italiane. Peccati originali che paradossalmente si sono acuiti proprio con il decreto-legge in esame, qualificato semplicisticamente come atto di mantenimento del gettito, mentre pone in rilevanti difficoltà finanziarie ed in gravissime difficoltà burocratiche le imprese di sei regioni. Il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, parla di danno oltre alla beffa, perché le imprese pagano il conto di una gestione pubblica inefficace. Ma non si tratta solo di questo.
Infatti, si aumenta l'anticipo IRAP per oltre un milione di contribuenti e, a pochi giorni dalla scadenza, non si forniscono neppure le regole fondamentali per potersi adeguare. Che cosa accade a chi era esente per disposizione regionale? Che cosa deve fare chi ha un esercizio contabile che non coincide con l'anno solare? Per l'agricoltura, l'aliquota passa al 2,9 per cento, resta all'1,9 per cento o, addirittura, passa al 5,25 per cento? Sorprende la circostanza che nei comunicati ministeriali non si faccia alcun riferimento al settore agricolo, generando la speranza che esso sia escluso dalla maggiorazione.
Infine, vogliamo considerare costi e tempi necessari per i ricalcoli con riferimento a chi ha già versato nella situazione delle imprese con sedi in più regioni? I professionisti del settore fiscale segnalano come non siano ancora disponibili gli strumenti in grado di effettuare i nuovi conteggi, con la conseguente condanna per le imprese a pagare alla scadenza del 20 luglio. Così, per molti l'incremento non sarà dell'1 per cento bensì dell'1,40 per cento. Tutto ciò in palese contrasto con lo Statuto del contribuente, nel quale si prevede che tutte le manovre correttive riguardanti le imposte devono essere realizzate nel rispetto dei tempi prestabiliti e con un lasso di tempo sufficiente a permettere al contribuente - forse, sarebbe più corretto chiamarlo suddito - di recepire le modifiche promulgate.
Questo Governo non si è neanche insediato ed è già alta l'attenzione tra i professionisti e le categorie produttive. Non si imputino alla Casa della Libertà le decisioni relative alla copertura degli sforamenti della spesa sanitaria! In realtà, siamo di fronte ad una decreto improvvido, ultima eredità di un vero errore genetico del Governo dell'Ulivo del 1997. Errore che è anche difficile rimediare, sePag. 105si considera che l'IRAP nel 2005 ha generato un gettito pari a circa 36 miliardi di euro, mentre con gli aumenti previsti dal decreto in esame avremo maggiori entrate per 1,2 e 1,4 miliardi di euro, a fronte di un buco sanitario pari a 4,3 miliardi. Ebbene, l'Unione mantiene gli impegni aumentando le tasse. L'esito del monitoraggio della spesa sanitaria è stato infausto: il Governo Berlusconi ha aumentato di 2 miliardi di euro le risorse per il 2005 (89 miliardi in totale), ma le regioni governate dal centrosinistra - sono ben 16! - hanno sforato il budget per 5,6 miliardi di euro, scesi a 4,3 per il rientro dell'Abruzzo e della Liguria. Ebbene, colleghi, Prodi è certamente uomo di parola, e se ha promesso tasse, terrà fede al suo impegno: tasse sono!
Sono curioso adesso di vedere come comuni, province e regioni reagiranno anche solo a questa ipotesi di intervento; i comuni, le province e le regioni che hanno puntato sempre i fucili contro il Governo Berlusconi, accusato di ridurre le tasse centrali per scaricare il risanamento sulla finanza locale, dimenticando il taglio di 40 mila miliardi di trasferimenti che hanno dovuto subire dal Governo Prodi per entrare nei parametri di Maastricht.
Il dialogo tanto invocato dall'Unione, sul piano centrale come in periferia, non può svilupparsi se non partendo da un'operazione verità. Se invece, colleghi della maggioranza, volete farci credere che è buono oggi quello che ieri era malvagio, allora all'Unione rimane una sola possibilità di dialogo: mettersi davanti allo specchio!
L'aumento delle addizionali regionali sull'IRPEF e delle aliquote IRAP per le imprese rappresentano un'autentica vergogna, in favore di quei governi regionali in mano all'Unione incapaci di adottare provvedimenti ad hoc per rientrare dall'eccessivo disavanzo sanitario. Le regioni più importanti sanzionate dal ministro del tesoro sono governate dal centrosinistra. Ecco i risultati per i cittadini del Lazio e della Campania che, insieme, fanno quasi il 20 per cento della popolazione: dal 1o di giugno pagano alle rispettive regioni un'IRPEF maggiorata e le imprese saranno aggravate da un'IRAP ancora più odiosa ed iniqua di prima. I cittadini che risiedono nel Lazio e in Campania saranno tartassati più degli altri. Uno scandalo, ad esempio, quei manifesti affissi sui muri di Roma che annunciavano la sparizione dei ticket sui farmaci. Certo, tolti i ticket, ecco più IRAP. È una vergogna che la giunta della Campania, nonostante da due anni abbia aumentato le accise sulla benzina, introduca altre tasse!
Ne emerge un bel quadretto di famiglia: il cannibalismo fiscale di Visco ha già contaminato i governi locali dell'Unione!
Permettetemi, colleghe e colleghi del centrosinistra: se è vero ciò che si dice - mi rivolgo a chi è amico dei comuni ed ha fatto l'amministratore locale (il sindaco, l'assessore o il consigliere) -, i comuni hanno presentato 890 richieste per realizzare il cosiddetto contratto di quartiere III, per un importo di 308 milioni di euro. Ebbene, se le voci sono vere, questi 308 milioni di euro saranno bloccati, impedendo l'effettuazione degli investimenti e la riqualificazione di quei comuni che non aspettavano nient'altro che tali somme potessero finire a chi ha progettato bene.
Mi auguro che ciò non corrisponda al vero, perché, se così fosse, mi aspetto che gli amici della maggioranza si oppongano duramente a questa politica di tagli agli enti locali!
Potrei proseguire ancora, tuttavia, avendo ancora qualche minuto a disposizione, voglio evidenziare un'altra questione. Ieri ho partecipato all'audizione del ministro Di Pietro presso la VIII Commissione della Camera dei deputati; ebbene, non ho ascoltato una sola parola che facesse riferimento a questo termine: TAV! Il ministro Di Pietro, infatti, si è rifiutato di parlare della TAV.
Noi assistiamo - vorrei segnalare che ci abito, e che sono stato eletto in quel collegio quando era ancora in vigore il sistema elettorale maggioritario - alle esternazioni del ministro Bianchi, il quale prima afferma che la TAV non si farà mai. In seguito, ascoltiamo il sottosegretario Cento sostenere anch'egli che non si realizzeràPag. 106mai; poi, il ministro Bianchi lo corregge, e afferma che si farà, ma bisognerà aspettare; lo stesso ministro, successivamente, dice che sarà costruita tra due anni, ma che i comuni della Val di Susa non si devono permettere di chiedere compensazioni (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
Ebbene, devo dire che forse il ministro Bianchi ignora le compensazioni che sono andate al comune di Roma per dire «sì» all'alta velocità Roma-Napoli, pari a 62 milioni di euro e a 82 opere: in quel caso, quei soldi andavano bene! Vorrei altresì ricordare i 170 miliardi di vecchie lire assegnati al comune di Fiorenzuola D'Arda, nonché gli altri 170 miliardi andati al comune di Sesto Fiorentino, per dare il proprio assenso all'alta velocità. Si tratta di soldi che quei comuni hanno fatto bene a farsi assegnare, ma forse al ministro Bianchi non vanno bene le somme che, eventualmente, devono andare a titolo di compensazione alla Val di Susa, mentre vanno bene i soldi corrisposti ai comuni del centrosinistra.
Ebbene - e concludo, signor Presidente -, qualora nessuno degli spunti di riflessione, o delle ragionevoli proposte di modifica offerte dall'opposizione venisse accolto, credo sicuramente che non potremmo fare altro che riconfermare il nostro voto contrario, già espresso in sede di Commissione, alla conversione del decreto-legge in esame (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Foti, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: s'intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Casero. Ne ha facoltà.
LUIGI CASERO. Signor Presidente, nell'annunciare, dopo questa lunga giornata di dibattito, il voto contrario del mio gruppo sul decreto-legge in esame, devo preliminarmente affermare che siamo abbastanza delusi dal fatto che, su un provvedimento importante per il nostro paese - trattandosi di una materia, come il fisco, molto sensibile per tutti cittadini -, si sia registrata l'assenza in Assemblea sia del ministro dell'economia e delle finanze Padoa Schioppa, sia del viceministro Visco.
Affermo ciò non perché i sottosegretari presenti in aula non abbiamo seguito bene il dibattito e le votazioni svolte in sede di Commissione: l'onorevole Grandi, infatti, ha sicuramente compiuto un buon lavoro. Tuttavia, quando si discute di IRAP, un'imposta che tutto il paese sa essere stata «inventata» dall'attuale viceministro dell'economia e delle finanze, onorevole Visco, avremmo voluto che lo stesso fosse venuto in Assemblea per trattare e discutere tale argomento.
Infatti, a circa due mesi dallo svolgimento delle elezioni il Governo, Prodi non ha ancora offerto una visione chiara della politica fiscale che intende attuare. Il ministro dell'economia e delle finanze è stato audito presso le Commissioni bilancio di Camera e Senato ed ha rappresentato una situazione dei conti pubblici complessa e ben dettagliata, basata su tre elementi fondamentali: il Governo dovrebbe compiere un'azione di risanamento, di crescita e di equità.
Vedete, in economia è molto difficile unire un'azione di risanamento ad un'azione di crescita: l'azione di risanamento richiede tagli ed una politica fiscale di ampliamento delle entrate. Invece, l'azione di crescita richiede, solitamente, un incremento della spesa per sostenere la spesa stessa. Ma unire questi due termini al termine equità (che vuol dire cercare di intervenire nuovamente nell'azione di redistribuzione del reddito), sicuramente è un'azione molto complessa e difficile e che determina alcuni problemi. Infatti, pensiamo che, in termini di politica fiscale, questo Governo voglia mettere mano pesantemente alle attuali leggi.
In questi giorni, il dibattito si sta svolgendo solo sui giornali e ciò desta in noi un'altra delle preoccupazioni che manifestiamo come parlamentari della minoranza, ma anche come cittadini e contribuenti di questo paese. Oggi, nel corso di un'audizione della Corte dei conti, si è parlato di una manovra entro l'anno diPag. 107circa 40 miliardi di euro. Si è parlato anche di una «manovrina» (il termine «manovrina» mi sembra riduttivo) di circa dieci miliardi di euro da realizzare entro la fine di luglio. Dieci miliardi di euro di manovra: i cittadini devono capire che si tratta o di un'azione di contenimento della spesa o di un intervento di incremento delle entrate; o di un'azione di tagli, quindi, di riduzione della spesa pubblica, o di un'azione di aumento della pressione fiscale, attraverso un intervento sulle entrate. Speriamo che, al più presto, il ministro venga in quest'aula a spiegare cosa intende fare e se queste cifre, che, per ora, sono dichiarate sui giornali, sono vere.
Ma passiamo al provvedimento in questione. Avremmo preferito che fosse presente in aula il viceministro Visco, perché è il padre dell'IRAP. Al momento in cui la Corte di giustizia europea contesta allo Stato italiano una serie di elementi riguardanti l'IRAP, avremmo voluto conoscere gli orientamenti del Governo su questa legge, oltre che su questo intervento tecnico che, come vedremo, va ad alterare i rapporti fra contribuente e Stato.
Riteniamo che si debba intervenire sull'IRAP, poiché tassa il costo del lavoro. È questa la vera debolezza della legge; si tratta di una norma che tassa, oltre agli utili, il costo del lavoro e questo da sempre è l'elemento di vera critica di questa legge.
Nel momento in cui si sviluppa un dibattito nel paese, cui abbiamo tutti contribuito, legato al tema del cuneo fiscale ed al suo abbattimento, per alleggerire il costo del lavoro delle imprese, riteniamo utile che, in questa fase, si possa discutere, sempre nelle more della sentenza della Corte di giustizia europea, anche su un alleggerimento della tassazione del costo del lavoro, quindi dell'IRAP. Se il Governo si fosse presentato con questi orientamenti e avesse aperto in quest'aula una discussione in questi termini, sicuramente saremmo stati più contenti.
Una seconda questione che ci lascia perplessi è che il provvedimento in esame, per evitare che i contribuenti possano rinviare il pagamento dell'IRAP, elimina le agevolazioni sulle sanzioni sul pagamento ritardato dell'IRAP. Questo provoca una chiara alterazione dei rapporti tra i contribuenti e tra il contribuente e lo Stato: il contribuente, che non può pagare l'IRAP in questo momento, perché ha fatto una pianificazione fiscale ignorando l'esistenza di questo provvedimento, e che quindi non dispone delle risorse finanziarie per pagare l'IRAP adesso, pensando di pagarla fra un mese, viene posto sullo stesso livello di un contribuente che, invece, decide di non pagare l'IRAP e di evadere totalmente le imposte, quindi di rinviare il pagamento sine die. Questo altera completamente i rapporti tra il contribuente onesto e il contribuente disonesto e fra lo Stato e il contribuente. Avremmo voluto che tale anomalia non fosse stata inserita in questo provvedimento; ciò ci indurrà a votare negativamente questo provvedimento.
Ultimo tema: ritorno al discorso del cuneo fiscale. Guardate, in campagna elettorale si è discusso molto di questo tema.
Riteniamo che l'aver promesso un abbattimento di cinque punti del cuneo fiscale sia stato eccessivo. La relazione della Corte dei conti, che oggi dichiara che è necessaria una manovra da 40 miliardi, considerando alcuni interventi che dovrebbero essere attuati, tipo quello dell'abbattimento del cuneo fiscale, dimostra come questa promessa sia stata molto forte. Riteniamo che essa non possa essere attuata in questo momento senza alterare i normali equilibri di politica fiscale, cioè senza un intervento volto ad incrementare le entrate su altri versanti.
Vorremmo sapere dove il Governo pensi di intervenire. Vorremmo discutere di questo tema, a fronte di un provvedimento utile per il paese, ossia l'abbattimento del cuneo fiscale (l'abbiamo già fatto in piccola parte nella legge finanziaria per il 2006 con il nostro Governo); vorremmo capire se questo provvedimento non rischi di determinare una serie di anomalie ed alterazioni, trasformandosi da provvedimento positivo in provvedimento negativo.
Speriamo che il Governo e il ministro vengano presto in quest'aula a discutere diPag. 108questi temi, che investono direttamente il cittadino. Riteniamo che l'azione di politica fiscale che è stata condotta negli ultimi anni e che ha portato ad un abbassamento della pressione fiscale complessiva debba continuare, non perché questa sia una moda che noi riteniamo utile, ma perché pensiamo - come ritiene la maggior parte dei commentatori di politica economica - che la morsa fiscale sia ancora troppo forte in questo paese e che non si debba abbandonare questa battaglia. Vorremmo sapere che cosa pensi il Governo di questi discorsi, per poterne discutere insieme.
Ultimo punto. L'IRAP tassa oneri finanziari e costo del lavoro; è una norma che nasce da una filosofia degli anni Novanta, quando si riteneva che le imprese labour intensive potessero competere poco sul mercato mondiale e si pensava che le aziende dovessero essere molto capitalizzate per affrontare la concorrenza dei paesi esteri. Dagli anni Novanta ad oggi la politica industriale del mondo è cambiata ed esiste una situazione completamente diversa: vi sono imprese che sono prettamente artigianali, con tanta intensità ed impegno di lavoro italiano, che competono con le principali imprese al mondo e che vanno salvaguardate.
Riteniamo che questa sia una delle azioni che il Governo deve svolgere. Questo è un altro dei motivi che ci inducono ad esprimere un voto contrario su questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)
ROBERTO MENIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO MENIA. Stanno giungendo sui nostri telefonini delle comunicazioni provenienti dalle segreterie delle Commissioni. Gliene leggo una a caso, quella della segreteria della XIII Commissione: «La Commissione è convocata sul decreto-legge proroga termini domani, 29 giugno, ore 13,30».
Mi risulta che al Senato in questo momento la situazione sia la medesima di alcune ore fa: la seduta è sospesa e questo decreto è tutt'altro che «passato». Vorrei capire in base a quale precedente ed a quale articolo del regolamento ci si permette di «violentare» una volta di più la prassi, compiendo un atto che trovo estremamente grave, signor Presidente: convocare le Commissioni per domani su un decreto che non è stato neanche convertito al Senato, con la situazione che si sta vivendo in quel ramo del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Onorevole Menia, la ringrazio, ma forse lei non dispone di un'informazione precisa. Approfitto del suo intervento per rendere una comunicazione a tutti i colleghi.