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Seguito della discussione del disegno di legge: S. 1411 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario (Approvato dal Senato) (A.C. 2534-A) (ore 9,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario.
Ricordo che nella seduta di ieri sono iniziati gli interventi sul complesso degli emendamenti e che, ai sensi dell'articolo 36, comma 1, del Regolamento devono essere ancora svolti ventidue interventi.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 2534-A)
PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 2534 sezione 1), modificato dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 2534 sezione 2), nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 2534 sezione 3).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 2534 sezione 4).
Ha chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti il deputato Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, desidero illustrare l'emendamento Leone 1.202, che è un emendamento soppressivo.
Perché riteniamo di sostenere fortemente tale emendamento soppressivo? Perché, come è stato detto già da tanti colleghi, il provvedimento in esame è privo di alcuni fondamentali requisiti costituzionali.
La prima argomentazione che vorrei svolgere riguarda i presupposti di necessità e urgenza. Sappiamo come la Costituzione stabilisca che, in casi straordinari di necessità ed urgenza, il Governo adotta sotto la sua responsabilità provvedimenti provvisori con forza di legge. La dizione dell'articolo 77 della Costituzione, che ho testè citato, vede sottolineati non solo concetti quali quelli di necessità ed urgenza dei casi, ma anche di straordinarietà. Diventa, quindi, necessario capire cosa si sia voluto fare, in questo frangente, da parte del Governo.
Come motiva il Governo la decisione di non ricorrere ad una legge o, meglio, ad un progetto di legge ordinario, ma ad un decreto-legge? Nel modo seguente: «Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione» - e questa è solo l'invocazione di una formula - «ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di consentire il risanamento strutturale e selettivo dei servizi sanitari regionali in disavanzo e di conseguire gli obiettivi della manovra finanziaria prevista dalla legge finanziaria del 2007 (...) emana il seguente decreto-legge».
Dal momento che il provvedimento riguarda un ripianamento che è relativo ad anni precedenti, come si fa a sostenere la straordinaria necessità ed urgenza di consentire il risanamento strutturale e selettivo dei servizi sanitari e regionali in disavanzo? Questo tipo di logica, ammesso che si tratti effettivamente di quella sottesa al testo, doveva trovare la sede opportuna in una proposta di legge o in un disegno di legge governativo che potesse essere discusso nei modi ordinari, senza tutte le difficoltà - mi riferisco soprattutto a quella del rispetto del termine di sessanta giorni - connesse al peculiare iter dei decreti-legge.
Abbiamo già criticato in moltissime occasioni il vostro comportamento sistematico e abbiamo anche detto, provocatoriamente, che, se volete continuare ad Pag. 3«usare» in questo modo l'articolo 77 della Costituzione, lo dovete modificare: proponete una riforma costituzionale che preveda l'eliminazione dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza e stabilite che, quando il Governo lo ritiene, adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge! Si porrebbe fine, in tal modo, all'ipocrisia di invocare un testo normativo fondamentale qual è l'articolo 77 della Costituzione senza rispettarlo. Abbiamo constatato che il termine di sessanta giorni di cui al comma 3 del predetto articolo pregiudica costantemente la possibilità di intervento almeno di una delle due Camere; infatti, la pendenza di tale termine iugulatorio costringe a trasmettere ad una Camera - quasi sempre alla Camera dei deputati - testi che non si ha più il tempo di modificare e di ritrasmettere all'altro ramo del Parlamento. Di conseguenza, un'intera Camera, nel nostro caso 630 deputati, non possono intervenire ed essere al servizio di coloro che li hanno eletti.
Allora, nella riforma costituzionale che vi ho invitato a proporre potreste introdurre una norma ai sensi della quale i decreti-legge perdono efficacia se non convertiti in legge entro novanta giorni dalla pubblicazione. Il termine sarà più lungo, ma consentirà alle Camere il pieno esercizio delle loro funzioni, senza che il sistema della «navetta» finisca per far perimere il decreto-legge.
Non siamo riusciti a comprendere, né ci è stato spiegato dal Governo, perché, ancora una volta, si sia fatto ricorso al provvedimento d'urgenza! Ci piacerebbe sentire una risposta tecnica, ma anche di merito, da parte del Governo, e ci auguriamo che essa venga data.
Ma altri sono i punti di incompatibilità, sotto il profilo costituzionale, del provvedimento al nostro esame.
Ve ne è uno, a mio parere, che è fondamentale e che è stato già denunciato in tanti interventi. Vediamolo, però, in modo più preciso e più specifico.
Il parere reso dalla I Commissione recita tra l'altro: «considerato che, per quanto attiene al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, il provvedimento è riconducibile in primo luogo all'articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato le materie concernenti il "sistema tributario e contabile dello Stato" e la "perequazione delle risorse finanziarie"; in secondo luogo all'ambito di cui alla lettera m) del comma citato, che attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale"; ed in terzo luogo all'ambito della "tutela della salute", che l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione elenca tra le materie di legislazione concorrente di Stato e regioni».
Esaminando criticamente questa parte del parere della I Commissione, ritengo non si possano mettere in gioco termini di esclusività della competenza statuale, in quanto le norme delle quali stiamo discutendo non concernono il «sistema tributario e contabile dello Stato», né la «perequazione delle risorse finanziarie» - ove questo concetto venga correttamente inteso secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale -, neppure e tanto meno la lettera m), ossia la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Infatti, questo tipo di garanzia non può porsi in essere attraverso una norma che attribuisce alle regioni 3 miliardi di euro dicendo in qualche modo: «Voi regioni che siete state inadempienti abbiate questo contributo e poi imponete della fiscalità per vedere come restituirlo». Qui non si provvede ad equalizzare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale, ma si compie una operazione - discutibilissima anche sul piano della compatibilità con l'articolo 3 della Costituzione - che, in violazione dell'articolo 97 della Costituzione che sancisce il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, premia regioni che sono state poco abili in termini Pag. 4di gestione delle proprie risorse, a scapito di altre che invece questa abilità hanno dimostrato, soprattutto mettendo a carico dei cittadini delle regioni che si sono ben comportate imposizioni che permettono di destinare i citati 3 miliardi di euro alle regioni che invece hanno male agito. Ciò lo abbiamo definito immorale, ma ancora una volta lo vogliamo denunciare in termini di non compatibilità con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.
L'argomento più forte, tuttavia, riguarda la legislazione concorrente ed il regime di attribuzione di finanziamenti a destinazione vincolata dallo Stato alle regioni. Sappiamo come nel nuovo assetto costituzionale - mi riferisco alla riforma del Titolo V - si ritenga preclusa per lo Stato la possibilità di attribuire alle regioni, in una materia di legislazione concorrente, finanziamenti a destinazione vincolata, come sono i 3 miliardi di euro di questo provvedimento.
La Corte costituzionale ha affermato questi principi attraverso varie sentenze. Penso, in particolare, alla n. 423 del 29 dicembre 2004, in cui si legge: «Non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge regionale, siano esse rientranti nella competenza esclusiva delle regioni ovvero» - tale è il caso in esame - «in quella concorrente, pur nel rispetto, per quest'ultima, dei principi fondamentali fissati con legge statale (...) ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria competenza». Il concetto espresso dalla Corte costituzionale nella sua giurisprudenza e, in particolare, in questa sentenza, mi pare molto chiaro: si vuole evitare che l'intervento dello Stato in materie di legislazione concorrente finisca per limitare le prerogative delle regioni, venendo così a configurare una ingerenza. Né si può osservare che non si può parlare di ingerenza in quanto il provvedimento non farebbe che attribuire poste attive alle regioni (che, a prima vista, ne risulterebbero dunque avvantaggiate): costante giurisprudenza afferma, infatti, che si ha ingerenza anche in questo caso.
Come si pensa, dunque, di poter superare questo formidabile problema costituzionale, che potrebbe spingere la Corte, invocata in giudizio in sede di conflitto fra regioni e Stato, a riaffermare - come tante volte ha già fatto nel recente passato - l'incostituzionalità di norme del genere di quella in esame? Se ciò accadesse, il provvedimento cesserebbe di avere efficacia, insieme a tutto ciò che ad esso è collegato, con i danni che possiamo facilmente immaginare.
La Commissione Affari costituzionali ha compreso bene che questo è il punto nodale...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Boscetto.
GABRIELE BOSCETTO. ... ed ha cercato così di affermare nel suo parere che, ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 98 del 21 marzo 2007, «lo speciale contributo finanziario dello Stato (...) ben può essere subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o più efficiente funzionamento del complessivo servizio sanitario, tale da riservare in ogni caso alle regioni un adeguato spazio di esercizio delle proprie competenze nella materia della tutela della salute». Occorre, però, sottolineare che queste condizioni non si realizzano nel caso in esame: il provvedimento, infatti, non garantisce affatto alle regioni la possibilità...
PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, concluda.
GABRIELE BOSCETTO. ... di avere uno spazio operativo positivo nella materia della sanità, ma soltanto di recepire del denaro in un modo costituzionalmente illegittimo.
Pag. 5PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Filippi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FILIPPI. Signor Presidente, come direbbe Giovan Battista Vico, ci troviamo nuovamente di fronte ai corsi e ricorsi della storia; in modo meno aulico, meno preciso, meno tecnico, a me verrebbe da commentare: siamo alle solite! Ancora una volta siamo, infatti, di fronte ad un provvedimento che premia chi non è virtuoso e chi spreca, mentre non solo non premia, ma addirittura ridicolizza ed offende chi si comporta in modo corretto e da buon padre di famiglia.
In buona sostanza, con il provvedimento che la maggioranza intende proporci si intende elargire, per così dire, regalare 3 miliardi di euro per ripianare il disavanzo sanitario di quelle regioni che non sono state virtuose. Quali sono le regioni non virtuose? Qual è la classifica dei non virtuosi, di coloro, cioè, incapaci di gestire i quattrini della collettività e le ormai poche risorse dei contribuenti? Il Lazio, la Campania, l'Abruzzo e la Liguria. Il Lazio, ad onor del vero, fa la parte del leone, anche se nominare il leone, per un veneto «doc» come me, lasciatemelo dire, è qualcosa che tocca il cuore e, quindi, è preferibile dire che fa la parte non del leone, ma, piuttosto, della pecora nera, il che rende meglio l'idea.
Dei 3 miliardi di euro il Lazio ha deciso di portarsene a casa 2,3, dal momento che li ha già messi nelle poste di bilancio a fronte di un provvedimento che il Parlamento non ha ancora approvato. Quindi, il Lazio, o meglio, i suoi governanti, oltre a non essere virtuosi, dimostrano anche di possedere un altro difetto: l'arroganza.
Il nord, di fronte a questo provvedimento, non ci sta, chiedendo provvedimenti per la propria tutela, per una sana gestione, per la difesa di principi ed in particolare del valore della meritocrazia! Riteniamo infatti - ed avremo modo di spiegarlo anche nelle prossime ore e nei prossimi giorni - che questo provvedimento non sia corretto né nella forma né, tanto meno, nella sostanza. Nonostante la nostra ferma contrarietà, proveremo comunque, con una serie di emendamenti, a renderlo meno disastroso.
Va evidenziato che chi voterà a favore del provvedimento in discussione si esprimerà, comunque, contro il principio della meritocrazia. I bravi governanti che hanno saputo ben gestire, nel rispetto delle competenze riconosciute anche dal decreto legislativo n. 56 del 2000, dalla contestuale riforma del Titolo V della Costituzione e da provvedimenti successivi (in conseguenza ed in linea con i principi evidenziati, che definiscono e regolano oneri e responsabilità delle regioni in materia sanitaria), o comunque - come è accaduto per il mio Veneto - hanno chiesto, con responsabilità, un contributo oggettivo ai propri cittadini, ebbene, costoro oggi si chiederanno a cosa sia servito essere stati virtuosi.
Chi, invece, ha mal gestito oggi viene premiato da questa maggioranza, e, considerato che siamo nel mezzo di campagne elettorali per il rinnovo di alcune province e comuni, proprio gli amministratori non virtuosi probabilmente faranno una campagna elettorale «vendendosi» sul territorio, come si suol dire, non l'abilità di aver ben gestito ed amministrato - come dovrebbe essere -, ma quella di aver reperito risorse dallo Stato centrale.
Allora ci si chiede: continuando di questo passo, quale sarà il risultato finale? Potrà essere soltanto il collasso, il fallimento economico ed etico.
Inoltre, signor Presidente, i 3 miliardi che la maggioranza sta decidendo di erogare alle regioni non virtuose, da dove vengono reperiti? È chiara la loro provenienza; si tratta di quella che noi chiamiamo la gallina dalle uova d'oro. Di essa si parla da ben venticinque anni, signor Presidente, ed è costituita dalle tante persone che lavorano, che producono il PIL e che pagano le tasse, permettendo così al Paese di andare avanti.
È, quindi, inevitabile, rivolgendomi a quei colleghi eletti - come me - al nord, che fanno parte di questa maggioranza, chiedersi in che modo, con quale faccia, con quale coerenza, esprimeranno nelle prossime ore un voto favorevole sul provvedimento Pag. 6in esame, che insulta i bravi amministratori che sono al loro fianco nelle regioni settentrionali, mentre premia, come continueremo a sottolineare, gli incapaci.
Perciò chiedo inevitabilmente un atto di coerenza anche a quei colleghi che, provenendo dal nord ed intervenendo in nome e per conto dei cittadini del nord, voteranno, nelle prossime ore, a favore di questo disegno di legge. Chiedo un atto di coerenza, la stessa che dovrebbero avere quei governanti incapaci che hanno generato il deficit sanitario.
Il Lazio, signor Presidente, costringe a reperire oggi 2,3 miliardi di euro. Una buona soluzione potrebbe essere quella di usare come copertura per questo provvedimento, anche in riferimento ad una quota di quelle risorse che dovrebbero essere attribuite al Lazio, i fondi destinati a Roma capitale. Si responsabilizzi il Lazio e si faccia pagare chi ha scelto i cattivi amministratori, ovvero si rendano responsabili gli stessi cittadini del Lazio, chiedendo una copertura almeno parziale del «buco» tramite un'applicazione o un eventuale incremento dei ticket sulle prestazioni sanitarie di questa regione.
Signor Presidente, vorrei citare un esempio che può servire per focalizzare ed evidenziare i danni che questo provvedimento, se approvato, potrebbe arrecare e come la pensa la gente comune (è quella che conta realmente in questo Paese). Mia nonna è nata nel 1915; un mese fa si è fratturata la spalla ed inoltre soffre di osteoporosi; se io raccontassi a mia nonna quanto si spende per la sanità nel Lazio, sono certo, conoscendola, che ella, usando il buonsenso di una volta, quel buonsenso che regna ancora dalle mie parti, farà semplicemente uno più uno e mi chiederà subito di farsi curare a Roma.
Mi sembra, signor Presidente, di sentirla mentre mi dice (vorrei usare una frase nella lingua veneta, come è ormai consuetudine nell'Assemblea): «Con tutti sti schei, ghe sarà ospedali chi pare Las Vegas e dotori che anca da tuto el mondo i riva per farse curare in Lazio o in Campania».
Invece, il buonsenso di una persona anziana dovrà fare i conti con la realtà; leggendo i giornali, accendendo la televisione, ascoltando i telegiornali (più o meno satirici), si renderà conto che la realtà è un'altra. La realtà è la seguente: nonostante tutti gli sperperi e tutti i quattrini utilizzati, la sanità del Lazio non rappresenta certo un fiore all'occhiello! Questa è la realtà che fa «schiumare» di rabbia il nord!
Il provvedimento in esame deve essere fortemente criticato, oltre che nella sostanza, anche nella forma. Si tratta di un provvedimento in buona sostanza incostituzionale. Innanzitutto, essendo un decreto-legge, manca del fondamentale requisito di necessità e di urgenza prescritto dall'articolo 77 della Costituzione (come è stato ripetuto anche nei giorni scorsi). Inoltre, esso viola ben cinque articoli della Costituzione: l'articolo 117 sul riparto della potestà legislativa, l'articolo 97 sul principio del buon andamento della pubblica amministrazione, l'articolo 77 (come già ricordato) sui requisiti di necessità ed urgenza, l'articolo 3 sul principio di uguaglianza tra i cittadini (sul quale mi soffermerò nel seguito del mio intervento) e l'articolo 32 sul diritto alla salute.
Signor Presidente, l'articolo 3 della Costituzione garantisce il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini, ma, ancora una volta, con il provvedimento in esame tale principio non viene rispettato. Si palesa, infatti, che in questo Paese esistono cittadini di serie «a» e cittadini che vengono considerati «servi della gleba», buoni solo per fare gli schiavi, senza uguali diritti, ma con molti più doveri, cittadini neppure di serie «b» ma di serie «c»!
Signor Presidente, tutto ciò può essere sintetizzato con una sola parola...
PRESIDENTE. La invito a concludere!
ALBERTO FILIPPI. ... una parola che mette i brividi: razzismo! I provvedimenti che contengono, invece del principio della meritocrazia, quello della disuguaglianza e del razzismo non devono essere approvati.Pag. 7
Concludo, rilevando che ogni Stato, ogni comunità, come anche ogni azienda o regola economica, perché funzioni, si deve basare sul principio della meritocrazia. Alcune aziende, alcuni Stati hanno basato la loro gestione prescindendo da tale principio. Uno di questi Stati si chiamava «Unione Sovietica»! Oggi, nel mondo, a pensarla in tal modo, cioè prescindendo dall'agire in base al principio della meritocrazia, sembra che sia rimasta soltanto questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zorzato. Ne ha facoltà.
MARINO ZORZATO. Signor Presidente, il provvedimento in esame è preoccupante, se solo leggiamo il titolo: «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario». Se ci riferiamo agli anni 2001-2005, dovremmo capire dove sia l'urgenza dopo sei anni di ritardo. Inoltre, tali disavanzi sono riferiti solo ad alcune regioni e anche questo ci preoccupa un po'. D'altra parte, nel titolo si utilizza la parola «selettivo» e coprire selettivamente il disavanzo di alcuni, a nostro avviso, penalizza certamente altri.
L'articolo 1 prevede il concorso dello Stato con uno stanziamento di 3 miliardi di euro per il ripiano dei deficit di alcune regioni, in deroga, secondo quanto sancito dal testo del decreto-legge, alla normativa vigente. Già quando si parla di deroga alla normativa vigente, «gatta ci cova», qualcosa non va. Tale deroga, infatti, prevede il ripiano di tali disavanzi a carico delle regioni; ciò significa che qualche regione ha sforato, ma che dovranno ripianarne il passivo tutti i cittadini di altri territori. Ma perché si è passati da un sistema di controllo e contenimento degli obiettivi - come avevamo previsto nelle leggi finanziarie della scorsa legislatura con il Governo Berlusconi e con il ministro Tremonti, quando avevamo introdotto i meccanismi sanzionatori in caso di mancato raggiungimento di obiettivi e risultati ed i meccanismi premiali per il raggiungimento di tali obiettivi - ad un sistema di condono mascherato?
Utilizzo la parola «condono», su cui tornerò più avanti, perché ho l'impressione che il provvedimento in esame non sia altro che un condono mascherato. Avete sempre criminalizzato tale termine, accusandoci, in qualche circostanza, di aver utilizzato questo strumento. Il decreto-legge in esame, viceversa, dà un segnale contrario, in quanto penalizza le regioni virtuose. Chi si impegna ad amministrare bene ed a contenere la spesa, siglando un patto con i propri cittadini, con la promessa di una buona gestione delle fiscalità per la realizzazione di una buona sanità, è in questo caso penalizzato. Vengono, invece, incentivate le regioni «spendaccione» che nel patto con i cittadini li invitano a non preoccuparsi, perché tanto qualcuno pagherà.
Fossero poi regioni che hanno una sanità efficiente! È vero che la sanità italiana è tra le migliori d'Europa e del mondo, ma come media e non nel suo complesso. Le regioni che stanno sforando pesantemente i conti dello Stato e che chiedono a tutti noi di pagare i loro debiti sono quelle che hanno una cattiva sanità. I loro cittadini, infatti, vanno poi a curarsi nelle strutture sanitarie delle regioni virtuose.
Signor Presidente, c'è qualcosa che non va: questo Governo deve preoccuparsi non di ripianare tali debiti, ma di chiudere qualche struttura sanitaria che produce costi senza fornire servizi sanitari! La contraddizione di questo Governo verso se stesso è mastodontica. Chi leggeva il DPEF presentato nel luglio 2006 e le prime dichiarazioni del ministro Padoa Schioppa notava tra gli obiettivi primari il contenimento della spesa sanitaria mediante riforme strutturali. Viceversa, il primo provvedimento assunto è stato quello di spendere parte del famoso «tesoretto» - questa è la realtà vera - per pagare i debiti di regioni che hanno votato per Prodi.
Infatti, parliamoci chiaro, il ripiano in esame non è per tutte le regioni, ma per quelle che vi hanno dato i voti per vincere. Oggi state quindi pagando un debito elettorale, Pag. 8incentivando gli altri cittadini d'Italia a non credere più in voi, e non c'è niente di peggio che insinuare nel cittadino il dubbio che, forse, sarebbe opportuno modificare comportamenti virtuosi, inducendolo in qualche modo a fregarsene di uno Stato che non rispetta il cittadino stesso.
L'unico principio di fondo del decreto-legge in esame è premiare le regioni e gli amministratori che non hanno svolto il loro dovere e non hanno saputo amministrare bene. Sembra, anzi, che tale decreto-legge inviti i governatori a non preoccuparsi nel contrarre debiti. È come se gli venisse detto: quanto più create una voragine e siete inefficienti, tanto più lo Stato interverrà, perché tanto ci avete votato!
Bisogna chiedersi il motivo per cui il Governo, dopo aver sottoscritto un patto per la salute con tutte le regioni per gli anni 2007, 2008 e 2009, nel quale si è stabilita l'entità delle risorse disponibili e la loro distribuzione, dopo qualche mese, trova, nasconde e mette da parte un flusso netto di circa 3 miliardi di euro, destinandolo solamente ad alcune regioni. Mi pare un comportamento radicalmente diverso dall'impostazione seguita nei nostri cinque anni di Governo.
Nel precedente Governo, infatti, il ministro Tremonti, affrontando con coraggio molte critiche, nell'obiettivo di ripianare i debiti dello Stato e rendere più efficiente la pubblica amministrazione, emanò un decreto esemplare; contestualmente, inviò, nel giugno del 2002, una lettera alla Corte dei conti e alle banche con la quale queste ultime venivano diffidate, in forza dell'articolo 119 della Costituzione, dal concedere crediti ad amministrazioni pubbliche a copertura di deficit di gestione. È quindi evidente la differenza tra i due comportamenti, il nostro e il vostro.
Voglio ricordare ai colleghi e al Governo che le regioni Veneto e Lombardia hanno presentato un ricorso alla Corte costituzionale avverso questo decreto, sollevando una questione di costituzionalità. Oltre alla mancanza di trasparenza, i due governatori lamentano che è stato disatteso l'accordo raggiunto in sede di Conferenza Stato-regioni.
Siamo d'accordo che lo Stato interviene a posteriori per sanare i debiti nascosti di regioni poco virtuose; tuttavia, che senso ha che alcune regioni virtuose, come il Veneto o la Lombardia, tassino i propri cittadini per garantirsi una sanità efficiente? Che senso ha che stipulino patti con i loro cittadini - con i quali si espongono anche sul piano elettorale (tenendo conto, peraltro, che, quando si aumenta la pressione fiscale, non c'è sempre un ritorno elettorale positivo) - quando poi altre regioni seguono comportamenti diversi? Che senso ha, ancora, mantenere in alcune regioni una sanità efficiente, dando vita al fenomeno dei cosiddetti «pellegrinaggi della salute» (sono 100 mila le persone che vengono a curarsi in Veneto da altre parti d'Italia), quando poi dobbiamo sostenere spese aggiuntive a causa di una sanità mal gestita in altre regioni? Inoltre, che senso ha garantire le cosiddette «corriere della salute» e contemporaneamente dover pagare per la cattiva gestione sanitaria delle altre regioni? C'è qualcosa che non va, ovvero un diverso comportamento del Governo e dello Stato nei confronti dei cittadini delle varie regioni.
Il ministro Turco, peraltro, afferma che questo provvedimento sottrae sovranità alle regioni poco virtuose e centralizza il controllo. Ma come, le regioni spendono, contraendo debiti, e l'unico potere che sottraiamo loro è proprio la responsabilità di pagare i debiti? In altri termini, paghiamo i loro debiti? Mi sembra che c'è qualcosa che non va e che, come si dice dalle nostre parti, ci stiamo prendendo per i fondelli!
L'articolo 119 della Costituzione esclude ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti dagli enti territoriali per le spese correnti. In questo caso, però, non solo garantiamo, ma paghiamo; quindi, facciamo addirittura di peggio! Gli stessi colleghi dell'opposizione in diversi interventi svolti nelle Commissioni riunite hanno sollevato obiezioni sulla conversione di questo decreto-legge. Ricordo, a Pag. 9tale proposito, la collega Zanella dei Verdi, che, di certo, non è sospettabile di essere di parte, la quale ha sostenuto che non ha senso che il Veneto aumenti l'imposizione fiscale per rendere migliore la sanità a carico dei suoi cittadini quando poi alla fine tutti noi paghiamo i debiti delle regioni che non seguono questo comportamento.
Inoltre, stiamo parlando di un provvedimento che, oltre a ripianare i debiti, non si preoccupa di chi li ha contratti: gli amministratori, i politici o i tecnici. Se il decreto-legge ripianasse i debiti colpevolizzando chi li ha contratti, mettendoli alla gogna - intendo dire, Presidente, una gogna politica -, sospendendoli dalle loro funzioni, rimuovendoli dalle funzioni dirigenziali esercitate negli ospedali dove sono stati contratti questi debiti e mandandoli finalmente a casa, allora si potrebbe sostenere che si tratterrebbe di un provvedimento «tampone». Un provvedimento che, pur pagando i debiti, punisce i mal governanti e, in tal caso, ci si potrebbe, per così dire, anche turare il naso. Invece, non è così: paghiamo i debiti, ci teniamo quei politici e quegli amministratori in quelle regioni che li votano. Signor Presidente, c'è qualcosa che non va!
Ci avete accusato, per anni, di condonare per fare cassa per lo Stato, mentre tutti i cittadini pagavano. Il vostro primo provvedimento vero è volto però anch'esso a fare condoni, per le «vostre» regioni: spendete il cosiddetto «tesoretto», spendete la cassa di tutti noi per pagare i debiti contratti da voi. Altri due provvedimenti come questo e il «tesoretto» sparirà! Da voi, chi sbaglia viene premiato, mentre chi paga (i cittadini) e ben governa le regioni viene penalizzato. Da voi, chi sbaglia, ovvero gli amministratori e i gestori di queste aziende, non paga.
Ma vi rendete conto che alcune parti d'Italia chiedono più di altre il federalismo fiscale? E lo chiedono da anni! Alcune parti d'Italia più di altre soffrono queste ingiustizie. Leggendo la stampa - ed è ormai stampa nazionale -, si apprende che alcune popolazioni del nord, strette tra tali ingiustizie del Governo centrale (quella di oggi è palese) ed il perdurare dell'antistorico stato di privilegio delle regioni a Statuto speciale, stanno facendo esplodere il loro malcontento con referendum separatisti. Tali popolazioni non ci ascoltano più, non ci credono più, stanno seguendo il denaro e gli interessi. Hanno ragione perché non riusciamo più a difenderle, non c'è uno Stato giusto, non c'è giustizia fra popolazioni italiane. Stiamo oggi inducendo questi popoli a ritenere di non potersi fidare dello Stato!
Rispetto al tema del federalismo fiscale, che tutti noi vorremmo - ma alcuni solo a parole -, voi pretendete di costituire, nell'ambito dell'accordo Stato-regioni, un fondo di perequazione a favore delle regioni più deboli. Si tratta di un fondo sociale su cui tutti concordiamo; voi volete, però, che tale fondo sia gestito da questo Stato: non, quindi, con un accordo tra le regioni, secondo un principio di compartecipazione alla spesa e di verifica dei conti. Costituite il fondo sociale e il fondo perequativo ritenendo che le solite regioni lo finanzino e lo costituiscano e che le solite altre regioni ne usino come previsto nel decreto-legge in esame. Ma chi decide le modalità? Lo Stato, questo Stato, che dà i soldi, non controlla come si spendono e sembra quasi dire: spendeteli tutti, spendetene di più, tanto i debiti, come si dice da noi, li paga Pantalon!
Qualche giorno fa il Governo, nella persona di un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, si è recato in Veneto per verificare il malessere sociale di questi territori che stanno organizzando, giorno per giorno, il referendum per appartenere al Trentino, dove si pagano le tasse ma si usano gli introiti relativi a quella regione. I veneti, invece, pagano le tasse ma il gettito finisce a Roma. Poi, vediamo come lo usate!
Il Governo ha predicato bene promettendo di essere attento a tali esigenze e riconoscendo che il tema è serio, dato l'obiettivo di giungere al federalismo fiscale e quindi alla permanenza sul territorio del gettito delle tasse. Il Governo, insomma, ha fatto bei discorsi, ma lo Pag. 10stesso Esecutivo, nella persona del sottosegretario Letta, mentre appunto in Veneto predica bene, a Roma oggi legifera in maniera tale che si può sostenere che invece razzoli male.
Peraltro, i ragionamenti che risultano dalla stampa li nascondete bene. La gente però è stanca dell'ipocrisia e delle bugie. Mi riferisco al nord, da cui provengo, ma osservo che tutti gli italiani sono stanchi del malgoverno e del fatto che qualcuno paghi le tasse e qualcuno no e della circostanza che taluno spenda bene i soldi e talaltro no. Soprattutto, quanto non è accettabile è che, in qualche regione virtuosa, i cittadini paghino - e poi controllino (ma anche in tali luoghi li si rende, per così dire, «arrabbiati») - ricevendo tuttavia dei servizi discreti mentre da qualche altra parte si paga meno, si ottiene di più, si fa pagare i debiti e si ricevono anche servizi scadenti.
Presidente, uno Stato serio, che consideri le regioni e i suoi cittadini tutti uguali, si preoccupa di migliorare i servizi e di penalizzare gli amministratori e i dirigenti....
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARINO ZORZATO. Termino, Presidente. Il tema non è pagare i debiti, ma rimuovere coloro che li hanno causati; il tema è convincere i loro cittadini che potranno essere governati meglio. Andando avanti così, a mio avviso, saranno sempre governati male (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Alessandri. Ne ha facoltà.
ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, onorevoli deputati, il provvedimento che da ieri stiamo esaminando - sotto vari aspetti, anche perché la materia è piuttosto complessa - è una sorta di sanatoria per alcune regioni «clandestine», ovvero un condono. Alla faccia di quelli che non volevano fare i condoni! Sono previsti 3 miliardi di euro, ossia circa 6 mila miliardi delle vecchie lire, per ripianare il disavanzo sanitario accumulato da alcune regioni, fondamentalmente quattro, a partire dal 2002 fino al 2005: esse accedono già al fondo transitorio, istituito dalla legge finanziaria per il 2007 e hanno applicato - o dovrebbero averlo fatto - i massimi livelli di addizionale IRPEF ed IRAP e dispongono, inoltre, di ulteriori strumenti di prelievo diretto.
Ci si chiede, pertanto, perché nel nostro Paese ci siano regioni alle quali è concesso di continuare a creare «buchi» che continuiamo a coprire e perché ci siano, invece, regioni che, cercando di essere responsabili, non provocano «buchi» e non chiedono di coprirli. Forse, la risposta vera è quella che da parecchi anni la Lega, in quest'Assemblea, sta sostenendo: l'Italia, una e indivisibile, così come voi la intendete e così come ritenete che sia, non esiste. Quell'Italia non esiste! Esistono invece sette, otto o, forse, quindici Italie diverse: ci sono regioni autonome che, per fortuna loro, hanno modo di prelevare alla fonte, trattenere i loro soldi e reinvestirli per i loro cittadini. Ci sono regioni virtuose che, dovendo rispettare il patto di stabilità, compiono sforzi adeguati per rispettarlo; ci sono, invece, le cosiddette «regioni furbe» che considerano «carta straccia» i patti di stabilità stessi perché consapevoli del fatto che, di fronte ad uno Stato debole e ad un Governo ancora più debole, basta fare «buchi» di bilancio, tanto qualcuno li ripiana.
Ma se c'è la «banda Bassolino» - e mi ricordo che c'è anche «nonno Bassotto» -, una domanda dobbiamo porcela: con riferimento a quanto succede in Campania con la questione dei rifiuti, io, da uomo del nord, da «nordista», mi sento preso in giro almeno dagli ultimi sette o otto anni di gestione. Continuiamo ad assistere tutti gli anni all'emergenza rifiuti creata apposta perché poi i Governi creano l'emergenza, portano soldi e attorno a quei soldi qualcuno «mangia» e qualcun altro si «foraggia» la campagna politica. Non si può andare avanti così, perché ci sono regioni che invece devono costruire gli impianti di smaltimento e fare i conti con i loro elettori. Addirittura, ci sono comuni Pag. 11nella provincia di Treviso che, spendendo tanti soldi e non facendo business, effettuano, unici esempi in tutto il Paese, una raccolta porta a porta, che è premiante; loro sì che sono più virtuosi. Ma perché, se è vero che tutti dovrebbero agire così, ci sono regioni e province che non lo fanno?
Anche per quanto riguarda la sanità, ritroviamo come esempio la Campania e credo che al riguardo stia passando un concetto pericoloso. Dianzi mi riferivo alle regioni autonome; ebbene, non lamentatevi (sicuramente io non lo farò) se in alcuni enti territoriali - per adesso si tratta di comuni, ma poi si tratterà di province, come quella di Rovigo, o di regioni o, addirittura, di macro-regioni, come la Padania -, ad un certo punto, la gente si stanca di sentire continuamente chiacchiere, promesse di federalismo, cambiamenti, riforme mentre poi, alla fine, tutto ciò non arriva mai. Se Asiago o Lamon, con qualche altro comune, cominciano a chiedere di passare in Trentino una ragione ci sarà ed è la stessa per cui dieci anni fa - esattamente oggi è la ricorrenza - alcuni veneti decisero di lanciare un messaggio, un grido d'allarme: lo fecero in maniera un po' naif, artigianale, ma per quanto mi riguarda fu un grande segnale, un grande momento di rivalsa di un popolo che non ne poteva più. Salirono sul campanile di San Marco e furono soggetti ad un tentativo di repressione statale, che credo abbia portato solo danni e non benefici allo Stato. Qualcosa, infatti, non funziona nel nostro Paese se, mentre i criminali vengono portati in carcere e rilasciati con l'indulto dopo due mesi, si fa fare più di un anno di isolamento in carcere ad un gruppo di persone che ha voluto solo rivendicare la propria identità veneta, salendo con la bandiera veneta su un campanile. Questo è anche uno dei motivi per cui continuo a sostenere, lo ribadisco per la seconda volta, che l'Italia non esiste. Esistono tante Italie e dovrebbero forse esistere tanti Governi. Per quanto mi riguarda, infatti, stando alla legittimazione conferita dal voto popolare, non esiste neanche questo Governo. L'ho detto il primo giorno che sono intervenuto: siete illegittimi! Finché non verranno effettuati i calcoli reali, tenendo conto anche di quanto successo con le schede in Emilia-Romagna, per me Prodi è Presidente del Consiglio sub iudice, così come il Presidente della Repubblica Napolitano, in quanto eletto da queste Camere.
Bisogna cercare di fare chiarezza su questa vicenda, in quanto ci sono sicuramente passaggi poco trasparenti e perequazioni poco logiche. Se, infatti, confrontate gli introiti derivanti dal prelievo sul territorio e poi valutate le risorse a disposizione delle varie regioni dopo la perequazione poco logica e trasparente dello Stato nazionale scoprite che le regioni che avevano più soldi pro capite da spendere in sanità per i loro cittadini risultano essere agli ultimi posti. Si rovescia completamente il rapporto.
Se andassimo a verificare la situazione anche in base ai parametri dell'evasione regione per regione, che sono difficili da poter accertare, vedreste che le regioni che meno pagano hanno più soldi pro capite per i propri cittadini, mentre quelle che di fatto sono più regolari ne hanno meno.
Queste ultime, tuttavia, riescono, ciò malgrado, a mantenere una sanità in ordine ed a fare in modo che i cittadini delle altre regioni del Paese vengano a curarsi al nord. Ciò in quanto, nonostante tali grandi buchi, evidentemente la sanità in Campania o in Sicilia, dove è difficile anche determinare il deficit reale, non funziona. Torna, quindi, per la terza volta, l'argomento, quasi uno spettro - so infatti che vi dà fastidio, ma è anche uno dei motivi per cui siedo in Parlamento - che l'Italia non esiste. Se, quindi, l'Italia non esiste, mentre esistono tre regioni che detengono il 63 per cento del deficit che oggi si intende ripianare con i 3 miliardi di euro stanziati dal provvedimento, ben capite che qualcosa in questo Paese non funziona.
Con riferimento agli argomenti ascoltati ieri, e che vengono spesso svolti in questa Assemblea, occorre una puntualizzazione: Pag. 12si chiama sempre FF, ma non è il federalismo fiscale, bensì la «fregatura fiscale» di questo Governo.
Posso accettare tutto, di dialogare o discutere all'infinito sulle riforme possibili anche in materia fiscale, ma non sono più disposto ad accettare che si spacci per federalismo fiscale ciò che federalismo fiscale non è. Non so se questo Governo abbia mai approfondito, se l'abbia mai fatto in maniera seria e concreta, come funzioni uno Stato federale. In uno Stato federale, vi è un foedus, che vuol dire patto-unione, che si stipula tra entità divise. Uno Stato federale nasce così! Entità divise che si siedono attorno ad un tavolo e decidono di unirsi in base a un patto nel quale lo Stato centrale non è mai colui che comanda. Sono invece le singole entità del patto federale che insieme decidono. Questo è uno dei grandi principi di democrazia. Perdemmo il grande treno, nel diciannovesimo secolo, con buona parte della classe politica - da Cattaneo a Proudhon a Ferrari - che ci aveva avvertito della necessità di unire ciò che era diviso non dall'alto, in maniera centralista, applicando poi magari il regime prefettizio di Napoleone, ma invece partendo dai popoli, partendo dalle realtà, dalle diversità che costituiscono un grande valore aggiunto.
Qui oggi stiamo ragionando esattamente in maniera opposta. Il danno fu fatto allora e dal 1861 ad oggi di tempo ne è passato. Stiamo ora cercando di ragionare per fare un passo indietro e ciò riguarda in particolar modo proprio la sanità. Lo ricordo perché abbiamo perso una grandissima occasione quasi un anno fa, con il referendum sulla devolution. Credo che questa sinistra abbia fatto votare contro solo ed esclusivamente perché altrimenti il Governo Prodi sarebbe caduto. Invece, secondo me, abbiamo perso un grande treno.
Prodi promise che, se non fosse passato il referendum, entro pochi mesi avrebbe iniziato lui a fare le riforme, ma è passato un anno e di riforme neanche abbiamo cominciato a parlarne seriamente. Questo è un Paese che ha bisogno di cambiare in maniera veloce, altrimenti non lamentatevi se c'è qualcuno che pensa di andare in Trentino o se qualcuno sventola la propria bandiera rischiando anche il carcere: la gente quando è veramente stanca e non vede un segnale di cambiamento da parte dello Stato, legittimamente cerca di dimostrare in tutti i modi che il cambiamento, se nessuno glielo regala, cerca di prenderselo.
Lo Stato deve cercare di evitare ciò, deve cercare di intervenire prima. Se uno Stato federale non c'è ed occorre compiere un passo all'incontrario, allora facciamolo questo passo! Realizziamo il decentramento, la devolution!
Dove sta la «fregatura fiscale» che state compiendo? Esattamente nel fatto che, se fossimo in uno Stato federale, vi sarebbero venti regioni, tipo il Trentino-Alto Adige, dove i soldi vengono chiesti ai cittadini (il 90 per cento delle tasse, il 75 per cento dell'IVA ed accise regionali e provinciali). Questi soldi, però, arrivano e si fermano a Trento ed essi saranno spesi per i cittadini residenti nei comuni e nel territorio di Trento. Non bisogna dunque elemosinare allo Stato, perché ciò che a quest'ultimo serve già glielo diamo, per il resto, si pensa alla gente.
Potremmo avere venti regioni così se fosse un'Italia e se non fosse vero l'assioma che ho citato all'inizio del mio intervento, cioè che l'Italia non esiste. Se tutto ciò fosse vero, avremmo venti regioni, tipo il Trentino, ed avremmo uno Stato federale e sarebbe vero quanto il Ministro Chiti, pochi giorni fa, pochi mesi fa, ha sostenuto a Reggio Emilia in tema di riforme, vale a dire che ci vuole un Parlamento più snello e più giovane e con meno parlamentari e che occorre ripensare al ruolo del Senato, magari ad un Senato delle regioni. Signori, ciò è esattamente la devolution! Voi l'avete voluta bocciare e adesso state cercando di farla voi, con il guaio e il rischio di perdere almeno cinque o dieci anni di tempo, mentre se l'avessimo approvata prima, dato che sarebbe entrata in vigore nel 2011, si sarebbe potuta aggiustare se non vi piaceva, ma intanto le riforme sarebbero passate e sarebbe iniziato un grande Pag. 13percorso di cambiamento nel Paese. Abbiamo perso una grande occasione, di cui siete pienamente responsabili.
Noi siamo ancora qua e, rappresentando la gente del nord, che è stanca, sentiamo il dovere di non mollare e di continuare a pungolare perché tali riforme siano realizzate. Siamo ancora qua a spingere questo benedetto Parlamento affinché le compia.
Con il provvedimento in esame voi fate esattamente il contrario. Qui non c'è federalismo fiscale. Nella legge finanziaria avete detto: lo Stato prende cento e cento ci teniamo; anzi, poiché avete aumentato le tasse, prelevate 130 e ve li tenete tutti. Alla gente, a livello comunale, provinciale e regionale, non date nulla. Questo non è federalismo, questo è un centralismo bieco! Avete fatto, però, la «furbata», che dura finché c'è qualcuno che vi crede. Dopo, al momento di presentare la dichiarazione dei redditi o di pagare l'ICI, la gente comincerà forse a rendersene conto. Voi avete attribuito facoltà a sindaci, province e regioni di aumentare alcune tasse, ma questo non è federalismo fiscale, questo è semplicemente un aumento indiscriminato e criminale, dal punto di vista politico, delle tasse. Il federalismo fiscale è un'altra cosa: cento di tasse, non si aumentano, ma cinquanta non sono destinate più a Roma in quanto rimangono direttamente sul territorio.
Non possiamo, una volta che abbiamo dato cento, che diventano centotrenta, venire a elemosinarvi ogni volta le briciole e vedere che i panettoni, non le briciole, vanno a coprire i soliti «buchi» dei soliti amici della banda «Bassotti-Bassolino». Ricordo che quest'ultimo fu invitato dalla sinistra reggiana, a Reggio Emilia, a spiegare a noi reggiani come si risolve il problema dei rifiuti. Credo che ci voglia faccia tosta, ipocrisia e anche un po' di malafede.
Non so cosa aspettiate a procedere ad un commissariamento della regione Campania, che sarebbe quanto mai indispensabile visto che questi patti di stabilità e le regole non vengono rispettate. A tale riguardo, lo ricordo, ho anche presentato un'interrogazione parlamentare, la cui risposta rimetto alla vostra bontà, dato che finora non mi è pervenuta. Dico ciò, in particolare, al sottosegretario dei Verdi, onorevole Cento, oggi presente in aula, il quale dovrebbe essere attento a queste tematiche. Voi, al contrario, preferite la spazzatura per strada, l'emergenza continua, una sanità che continua a chiudere buchi. È questa una politica ambientalista o comunque di responsabilità di sinistra riformatrice? No, questa è una politica da democristiani; è una politica da mantenimento di prebende, di appalti, di soldi, di gestione politica, che penso nulla abbia a che fare con il nostro Paese!
Il nord non ci sta, l'Italia non esiste! Concludo, con una frase di un politico francese, che da oggi in poi cercherò di utilizzare spesso - Gambetta -, facendo però una parafrasi: guardate, tra questo schifo di Paese e la Padania libera, il Governo Prodi è solo un ponte, e noi ci cammineremo sopra (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Verro. Ne ha facoltà.
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Intervengo su questo provvedimento per esprimere il giudizio fortemente negativo del mio gruppo, elencando alcune ragioni relative al pregiudizio di costituzionalità dello stesso, che appare inopportuno nei modi di applicazione e che ha l'obiettivo, come è noto, del risanamento o del presunto risanamento, strutturale dei servizi sanitari regionali sistematicamente in disavanzo. Mi riferisco in via preliminare all'articolo 1, in particolare al «mostruoso» comma 3, che prevede testualmente: «Nelle regioni interessate dal presente decreto, per garantire il puntuale pagamento dei debiti accertati (....), per un periodo di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive relativamente ai debiti sanitari di cui al presente decreto nei confronti dei soggetti debitori ed i pignoramenti eventualmente Pag. 14eseguiti non vincolano gli enti debitori ed i tesorieri». Il Governo si rende conto della incostituzionalità di questo comma che ostacola palesemente la realizzabilità del diritto all'effettiva tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita? A fronte di un diritto fondamentalmente riconosciuto e garantito dalla nostra Repubblica, quello di consentire a tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, con la conseguente sancita inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, si rende così vulnerabile il dettato costituzionale. Ciò grazie ad un meccanismo ingiustificato né giustificabile, che vorrebbe sospendere per dodici mesi ogni possibilità di agire esecutivamente per i crediti maturati nel quinquennio 2001-2005, riconosciuti giudizialmente ed oggetto di provvedimenti e sentenze di condanna delle ASL. Tra l'altro, non vi siete limitati a comprimere per dodici mesi il diritto difensivo, ma siete intervenuti retroattivamente su diritti sostanziali accertati giudizialmente. Questa è l'intenzione del Governo in spregio dei fondamentali diritti e dei principi che reggono il nostro ordinamento, il quale implica certezza di diritto, la sua realizzazione e la sua eguaglianza, quali condizioni primarie intimamente legate all'essenza stessa dello Stato, garantito dai tribunali che costituiscono le fondamenta sulle quali lo Stato di diritto si basa. A questo voi contrapponete il mero arbitrio dei poteri statali.
Se ci mettessimo nei panni dei magistrati ci sentiremmo frustrati se entrasse in vigore questo provvedimento, in quanto sminuirebbe l'operato di chi, facendo il proprio dovere, applica le leggi. Non sottacciamo, inoltre, la palese violazione della norma comunitaria, in particolare la direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita dallo Stato italiano con il decreto legislativo del 9 ottobre 2002, n. 231, in tema di contratti tra imprese e pubblica amministrazione, con il dichiarato obiettivo di contrastare i ritardi di pagamento nel mercato interno.
Il provvedimento che vi accingete ad approvare viaggia in direzione diametralmente opposta ai principi ispiratori della direttiva comunitaria e della stessa legge di recepimento. Create, infatti, i presupposti di instabilità del sistema sanitario mettendo in crisi i fornitori del sistema stesso che, proprio per garantire la continuità delle proprie prestazioni, sono stati indotti dalla pubblica inadempienza a ricorrere sistematicamente al credito loro concesso, non solo sulla base delle rispettive e personali affidabilità, ma anche e soprattutto sulla base della convinzione della corretta applicazione delle norme vigenti e quindi sulla vigenza di uno Stato di diritto.
Appare opportuno quantomeno un chiarimento da parte del Governo in ordine ai possibili profili di incompatibilità della sospensione delle procedure esecutive rispetto alla disciplina comunitaria in materia di transazioni commerciali; profili che, qualora riconosciuti come sussistenti, potrebbero comunque determinare nuovi e maggiori oneri non previsti.
Ribadisco che, l'attivazione di procedure di infrazione nei confronti dello Stato italiano, potrebbe determinare riflessi finanziari non previsti in termini di sanzioni, spese legali e interessi.
Voglio poi sottolineare come siffatta situazione di deficit di disavanzo, è stata già prevista dal legislatore con la legge 30 dicembre 2004, n. 311, che al comma 174 prevede che le regioni, ove si prospetti sulla base di un monitoraggio trimestrale una situazione di squilibrio, adottino i provvedimenti necessari a pena di un loro commissariamento.
Prima di scaricare l'onere sui privati, perché non si utilizzano gli strumenti legislativi già presenti? Non è forse vero che qualche mese fa con la legge finanziaria si è già provveduto con un fondo straordinario a sostenere le regioni in deficit strutturale? Scoprire oggi, a pochi mesi di distanza, che in il «buco» esiste e persiste, ci lascia veramente sgomenti. Ancora più perplessi ci lascia la soluzione adottata dal Governo per recuperare la copertura dell'onere derivante dalla riduzione del ticket, andando a colpire, quasi Pag. 15in modo indiscriminato, alcune autorizzazioni di spesa, le risorse del Fondo per le politiche per la famiglia, quelle del Fondo per le non autosufficienze, quelle del Fondo per le politiche giovanili e quelle del Fondo unico per lo spettacolo, quasi si trattasse di «figli di un Dio un minore». D'altronde, a me pare che a questo Governo non interessano le politiche sociali a sostegno dei cittadini contribuenti. Anche qui, mi sembra opportuno che il Governo confermi che il loro utilizzo non pregiudica la realizzazione di interventi già previsti a legislazione vigente a valere sulle suddette risorse.
Vorrei segnalare ancora che la clausola di copertura non appare, sotto il profilo formale, formulata in modo corretto, in modo particolare laddove non richiama le autorizzazioni di spesa nell'entità stabilita dalla tabella C allegata alla legge finanziaria per l'anno 2007, neppure laddove fa un generico riferimento alla riduzione dell'autorizzazione di spesa, anziché all'utilizzo delle risorse previste quando si hanno ad oggetto fondi.
Vorrei poi sottolineare quanto sia negativo - su questo tema si è soffermato molto bene il collega Zorzato - e controproducente l'effetto di incentivo a comportamenti non virtuosi che scaturisce da questo provvedimento, che produce profili di profonda iniquità e di ingiustizia, nonché disparità di trattamento tra regioni virtuose e regioni invece che non hanno saputo o voluto gestire con criteri di razionalità ed efficienza la spesa sanitaria.
Paradossalmente, si finisce così per favorire le regioni nella quali le spesa sanitaria non è stata tenuta sotto controllo, finendo per fornire indicazioni, alle regioni più attente ai profili finanziari, che in futuro potrebbero rivelarsi devastanti per il bilancio dello Stato.
Vorrei spendere poche parole sull'annoso problema del ricorso allo strumento dei decreti-legge. Qui la forzatura è evidente e bene ha detto l'altro giorno il collega Garavaglia quando ha affermato che il Presidente della Repubblica non potrà firmare questo «mostro giuridico», in quanto con questo provvedimento andato a sanare un «buco», generato nel periodo 2001-2005 dalle regioni non virtuose per le quali, come dicevo prima, pochi mesi fa con la finanziaria avete previsto un sostegno con un fondo straordinario.
Siamo profondamente convinti che non vi era bisogno alcuno di intervento, peraltro a mio modo di vedere non risolutivo, da parte dello Stato. A maggior ragione laddove, riguardo al provvedimento d'urgenza, si sia agito in palese violazione di diritti e principi fondamentali a scapito, in primo luogo, dello stesso Servizio sanitario nazionale che pure rientra tra le primarie garanzie di cui lo Stato si è fatto carico, conseguentemente a scapito dei fruitori di questi servizi, cioè i cittadini utenti, in particolare quelli delle regioni oggetto di questo provvedimento, sempre più in balia, purtroppo, dei disservizi sanitari acuiti ancor di più dai recenti fatti di cronaca degli ultimi giorni, che sono purtroppo la foto di un Servizio sanitario che in alcune regioni sembra proprio al collasso e figlio di un caos organizzativo e programmatico veramente spaventoso.
Per tali motivi, che aggiungo a quelli che hanno fornito i miei colleghi, preannuncio che il voto del gruppo di Forza Italia su tale provvedimento sarà contrario (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, il Governo forse farebbe meglio a rispondere alle eccezioni che gli vengono continuamente mosse perché esse meritano oggettivamente una risposta. In tal modo avrebbe a disposizione armi meno spuntate nei confronti del nostro atteggiamento, da qualcuno definito ostruzionistico, ma che certamente non è tale. Il Governo non può, con un'operazione che a dir poco potrebbe essere definita ardita, non replicare alle elementari eccezioni procedurali che sono state avanzate.
Prima di entrare nel merito delle questioni, ritengo che bisogna sottoporre all'attenzione Pag. 16del Governo e dell'Assemblea l'eccezione di natura costituzionale relativa al provvedimento in esame. Innanzitutto, consideriamo, sempre riguardo a questo provvedimento, che la forma è anche sostanza. Riguardo a tale aspetto sarebbe anche interessante una pronuncia della Presidenza in tema di procedibilità. Il provvedimento in esame, lo ricordo, è stato emanato dal Presidente della Repubblica che ne ha rilevato i requisiti di necessità e urgenza. La Costituzione, se non ricordo male, indica che i requisiti di urgenza e necessità siano rilevati non dal Presidente della Repubblica, ma dal Governo. Quindi, è il Governo a dover rilevare che ricorrono i requisiti di necessità ed urgenza, non già, lo ripeto, il Presidente della Repubblica. Questo è un meccanismo già di per sé strano.
A nulla rileva, inoltre, il fatto che esista una prassi costante indirizzata in tal senso secondo il principio amicus sum magistris sed magis vera amica est veritas. In altre parole, il maestro è la prassi consolidata di un organo istituzionale, quale la Camera, quando propone determinate proposizioni normative; ma la vera maestra è la verità, cioè maestra è la Costituzione ed essa prevede quanto ho appena affermato.
Il secondo problema è inerente al principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, secondo il quale tutti i cittadini hanno pari dignità e pari condizioni personali. Ciò detto, mi chiedo e chiedo una risposta specifica su questo punto. Come si può pensare che un cittadino sia pari ad un altro quando si determinano le seguenti due situazioni diverse: un cittadino di una regione investe dei soldi in tasse e ad esso viene fornito un livello di assistenza sanitaria minima che però viene pagata anche dal cittadino di un'altra regione. Si tratta di una disuguaglianza grande quanto una casa: i cittadini di una regione si pagano i loro consumi, così come fanno i cittadini di un'altra regione; però, i consumi della prima sono a carico anche della seconda regione. Sostanzialmente si tolgono delle risorse ad una regione per darle ad un'altra. Siccome presuppongo che le risorse non sono rubate ma investite in attività amministrative a favore dei cittadini, ciò significa che sottraiamo risorse a taluni cittadini per darle ad altri, incidendo così sul diritto di uguaglianza dei cittadini. Trovo che ciò sia grave e mi aspetto una risposta in merito del Governo.
L'Esecutivo deve spiegarci come può emanare una norma di questo tipo a fronte della eccezione che ho appena sollevato. Il Governo ci deve dire se è tutelato il diritto di uguaglianza dei cittadini, ma non lo fa.
La seconda questione che intendo sollevare - cercherò di fare in fretta per non far perdere tempo all'Assemblea - è relativa alla difformità del contenuto del provvedimento in esame rispetto all'articolo 77 della Costituzione, con riferimento alla straordinaria urgenza.
Siamo di fronte alla stessa situazione in cui ci trovammo riguardo al provvedimento sulla città di Napoli in merito allo stato del decoro urbano. È evidente, perché problemi di tale sorta non nascono da un giorno all'altro, che non esisteva il requisito di urgenza per quanto riguarda la città di Napoli.
Nel caso del provvedimento in esame non ci troviamo di fronte a una città piena di spazzatura, ma a regioni che devono pagare i loro debiti. Quale straordinaria urgenza c'è nel pagare i debiti, nel pagarli prima o nel pagarli dopo? Se ci fossero delle cause in corso, delle pendenze, dei soggetti che minacciano di sospendere l'attività di assistenza sanitaria ai cittadini, forse potrebbe essere rilevata una qualche urgenza. Dal momento che non è così - non esiste cioè alcuna minaccia alla salute fisica dei cittadini -, l'urgenza dove sta, se non nel voler scegliere una via più breve e nel sottrarre al dibattito parlamentare il meccanismo di uscita da questo vicolo cieco?
Purtroppo - o per fortuna, non lo so - il procedimento fallimentare non può essere applicato alle regioni: la regione non può essere dichiarata fallita, e perciò continua ad andare avanti anche quando è evidente lo stato fallimentare. Non ho Pag. 17alcuna intenzione di dire, come alcuni miei colleghi, che il governatore debba andarsene a casa, perché magari egli ha ereditato i suoi problemi da quello precedente. Voglio semplicemente dire che occorre trovare un meccanismo che dia delle risposte a questi problemi. Altrimenti, è evidente che, se fossi il governatore di una regione e volessi fare propaganda elettorale o, comunque, catturare un consenso rispetto al mio predecessore - che è stato ligio a spendere quello che aveva e non di più - non dovrei fare nient'altro che dare la possibilità a tutti di ricoverarsi gratuitamente in clinica per sottoporsi ad operazioni chirurgiche. In altre parole, si garantirebbero sistemi di assistenza dispendiosissimi, tanto qualcun altro pagherebbe e, comunque, io non potrei essere sanzionato.
Torniamo al principio di uguaglianza, perché gli abitanti di alcune regioni avranno delle prestazioni che altri non hanno. Si dice che ricorre il requisito di urgenza. Ma dov'è l'urgenza? Tali questioni dovevano essere affrontate per tempo e il Parlamento avrebbe dovuto dibattere su di esse. Non si tratta certo di mettere il taccone al «buco» (c'è un «buco», andiamo a tacconarlo), quanto, di trovare un meccanismo tale per cui il «buco» non si crei più.
In questi giorni ho sentito più volte ricorrere la parola «virtuoso». Chiamiamolo così, diciamo che occorre trovare un meccanismo virtuoso per cui le regioni pagano e amministrano i propri denari nell'ambito delle risorse che hanno, e quando non le hanno, si dovrà ricorrere a una sanzione, che deve essere individuata (si potrà trattare di commissariamento o di decadenza).
Vorrei fare un esempio. Nel 1994 ricoprivo la carica di senatore durante il primo Governo Berlusconi. Relativamente alla regione Calabria si disse: questa è l'ultima volta che noi rinnoviamo il provvedimento relativo a 11 mila forestali. Sono passati governi di sinistra, di destra, del sud, certo non del nord: cosa hanno fatto? Hanno continuato più volte a rinnovare questo tipo di provvedimento, per un motivo estremamente semplice, perché voi capite bene che chi a livello di assistenzialismo ha in mano 11 mila posti di lavoro in Calabria, comanda. In un luogo dove non c'è lavoro, 11 mila posti di lavoro - vale a dire 11 mila famiglie che avranno mogli, figli, cugini e parenti - significano che, nel momento in cui vi fosse una competizione elettorale in Calabria, se si presentasse lo stesso Romano Prodi, perderebbe sulle preferenze personali nei confronti di chi ha 11 mila voti individuali in mano.
Ma è questo il modo di fare politica? Perché, poi, alla fine, tutti i nodi vengono al pettine: infatti, giochiamo finché vogliamo, ma quando avevamo una moneta, la lira, che poteva essere svalutata, si poteva fare quello che si voleva; invece, in una situazione europea dove l'euro italiano conta esattamente quanto quello francese e, soprattutto, quello tedesco, è evidente che queste cose non ce le possiamo permettere.
Dunque, questo problema deve essere discusso nell'ambito di un dibattito parlamentare, dove ognuno può dire la sua, e non nell'ambito di un procedimento di urgenza dove tutte le bocche sono necessariamente tappate. Possiamo intervenire sul complesso degli emendamenti, possiamo parlare, dall'altra parte tuttavia non ci sarà nessuno che ci sta a sentire. Si può instaurare solo un rapporto di forza, cosicché noi diciamo che il provvedimento non deve essere approvato e dall'altra parte dicono che deve passare, ma il risultato quale sarà? Non c'è un dibattito dal quale, con un po' di buona volontà, possa scaturire una soluzione al problema. C'è un problema che interessa gli italiani e, quindi, interesserà tutti i parlamentari, perché essi sono i rappresentanti degni di coloro che li hanno eletti (e qualora non fossero degni, è perché chi li ha eletti non è degno). Quindi, sono evidentemente frutto del popolo italiano e qui, in Parlamento, si discute per trovare una soluzione...
Signor Presidente non ho fretta.
PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Cancrini di consentire al sottosegretario di ascoltare.
MATTEO BRIGANDÌ. No, vi prego, lasciatelo stare...!
PRESIDENTE. Onorevole Cancrini...
MATTEO BRIGANDÌ. Presidente, in tutta onestà, non ho fretta...!
MARIO LETTIERI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Chiedo scusa, onorevole Brigandì.
MATTEO BRIGANDÌ. Non c'è bisogno di scuse, se vuole continuare...
PRESIDENTE. Prosegua pure, onorevole Brigandì.
MATTEO BRIGANDÌ. Ero rimasto all'articolo 77 della Costituzione. Dunque, il Governo ci deve dire perché è stato attivato un meccanismo di urgenza, perché il 9 maggio 2007 sussiste il problema del 2001, quando non c'era neanche il Governo di sinistra. Quindi, era chiaro che il problema - ammesso che il Governo di sinistra sia stato indolente - sussisteva il 27 aprile dello scorso anno; da quel giorno ad oggi, con la vostra schiacciante maggioranza, ben potevate presentare un disegno di legge che risolvesse definitivamente la questione, con norme primarie e norme secondarie, con precetti e sanzioni. Non si può dire: «qui c'è il pesce, qui c'è la rete, andate a pescare». Allora, se è così, perché non è stato fatto? Nulla succede a caso in generale - questo ce lo dicono i fisici - ma io sono convinto che nulla succeda a caso neanche in politica. Sono convinto che si è aspettato apposta un momento di crisi per potere intervenire d'urgenza. Però mentre l'immondizia a Napoli era una cosa visibile e la crisi, c'era o non c'era, comunque era preannunciata, qui cosa accade se le regioni non pagano?
L'istanza di fallimento non si può presentare. Probabilmente accadrà che gli elettori cercheranno di votare in un altro modo.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MATTEO BRIGANDÌ. Sono stato brevissimo, avevo ancora delle altre eccezioni procedurali che il tempo tiranno, ahimè, non mi consente di formulare. Vorrei concludere sottoponendo all'attenzione del Governo, insieme alle altre questioni, i problemi che ho descritto, per i quali credo sarebbe una questione di lealtà e di decenza avere una risposta (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, prendo la parola per esprimere la mia contrarietà al decreto in esame, che - come diceva ieri il mio amico Crosetto nel suo appassionato intervento - viola la Costituzione in ben cinque articoli.
È un momento non facile per la sanità italiana, che vive una continua emergenza. Stamattina, mentre stiamo discutendo, sono state effettuate le autopsie sui corpi di Cosima Ancona, 73 anni, e Pasquale Mazzone, 83 anni, due degli otto morti di Castellaneta. Ma quello di Castellaneta è solo l'ultimo dei casi di malasanità. Pochi giorni fa è morta una persona anziana cadendo da una barella, dove era stata alloggiata perché nel reparto, all'ospedale di Napoli, mancavano i posti letto. E come non ricordare il Policlinico Umberto I, questo «mostro a due teste», dove convivono centri di eccellenza e il più nero degrado; questo moloch che mangia miliardi, con i suoi quattrocento primari, molti dei quali sono inutili, e che la giunta di sinistra in carica non ha riformato.
La Campania e il Lazio sono le principali regioni beneficiarie del decreto in esame. In Campania l'assessore regionale alla sanità gestisce il suo assessorato come un viceré, con metodi clientelari biechi. Pag. 19Presso l'ospedale di Battipaglia ha previsto tre posti di primario per un unico reparto. A proposito, a Battipaglia il 27 e il 28 maggio si vota per le elezioni amministrative e suo figlio, candidato al consiglio comunale di Napoli, è stato eletto a furor di popolo, ha preso 8 mila preferenze. Gli è bastato fare il giro degli ospedali della città, andare dai primari e portare «i saluti di papà». E lo stesso assessore, «viceré» della Campania, proprio mentre stiamo ripianando i suoi debiti, ha recentemente dato mille euro di aumento ai «miniprimari», in vista delle elezioni amministrative.
Intanto, in queste due regioni continuano a vivere gli «ospedali-scatoletta», ospedali che vivono in agonia, in carenza cronica di mezzi. Se voi fate una passeggiata ai Castelli romani, nell'arco di pochi chilometri quadrati sono presenti sette ospedali che non hanno infermieri - voi sapete che gli infermieri sono un'emergenza nazionale - che non hanno mezzi, che sono ovviamente costretti a ridurre la qualità dei servizi. Ma ancora non si è fatto nulla.
Vorrei ribadire che il decreto in esame ci riporta indietro, a un periodo buio della nostra Repubblica: il periodo in cui lo Stato pagava i debiti delle ASL a piè di lista; il periodo in cui c'è stata una follia legislativa che ha generato uno spaventoso debito pubblico, il quale pesa come un macigno sul futuro del Paese. Il Governo non ha imparato la lezione del passato. Diceva Tocqueville che quando il passato non rischiara l'avvenire, lo spirito brancola nel buio. Questo Governo sta brancolando nel buio e porterà il Paese verso un nuovo declino. Per tali motivi, negheremo il voto favorevole al provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mancuso. Ne ha facoltà.
GIANNI MANCUSO. Signor Presidente, le disposizioni in oggetto sono relative all'applicazione automatica dell'innalzamento dell'addizionale IRPEF e della maggiorazione dell'aliquota IRAP. A tal fine è autorizzata, a titolo di regolazione debitoria, la spesa di 3 miliardi di euro per il 2007, che verrà ripartita tra le regioni interessate sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005.
Nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione il Senato ha introdotto due nuove previsioni. Con la prima è stato disposto il divieto per i creditori, nei dodici mesi successivi all'entrata in vigore della legge di conversione, di intraprendere o proseguire azioni esecutive relative ai debiti sanitari nelle regioni interessate. Con la seconda è stata disposta la riduzione da 10 a 3,5 euro, limitatamente al 2007, della quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica e ambulatoriale introdotta dalla legge finanziaria vigente.
Per quanto concerne i profili di copertura, il comma 2 dell'articolo 1-bis del decreto-legge, sempre introdotto dal Senato, prevede che all'onere derivante dall'attuazione dell'articolo, pari a 350 milioni di euro, si provveda mediante la riduzione di diversi fondi - e qui il tasto dolente - quali il Fondo per i paesi in via di sviluppo, il Fondo per la famiglia e il Fondo per le non autosufficienze. Non mi occuperò del primo, che forse porterebbe un po' troppo lontano nella discussione, comunque certamente non ci stupisce che sia proprio il Fondo per la famiglia a venire intaccato visti i gravi problemi interni alla coalizione di centrosinistra. Basta pensare ai Dico, scomparsi dall'agenda politica, e al Family Day che incombe ed a tutte le altre note difficoltà.
Ma ciò che risulta ancora più evidente è la riduzione del Fondo per le non autosufficienze. Infatti, in Commissione affari sociali, della quale faccio parte, durante i cinque anni della passata legislatura e ancora in questo primo anno della nuova, dai colleghi del centrosinistra si è sempre sentito ripetere il «ritornello» che i governi, di centrodestra prima e di centrosinistra poi non hanno previsto abbastanza fondi per le non autosufficienze. Gli stessi parlamentari di sinistra si trovano, Pag. 20però, in difficoltà, perché a parole fanno i virtuosi, ma, nei fatti, il loro Governo virtuoso non è.
La spesa sanitaria, come sappiamo, rappresenta circa il 70 per cento dei bilanci regionali. Più volte, la Corte dei conti ha denunciato la sottovalutazione dei costi della sanità negli ultimi anni e l'insufficienza delle misure correttive proposte. Alcune misure di risparmio e di spesa previste dal Governo sono state definite dalla stessa Corte dei conti «irrealistiche». Ad esempio, nel 2005, la metà dei risparmi per la sanità attesi dalla manovra di finanza pubblica doveva essere realizzata con interventi sulla spesa farmaceutica, nonostante la stessa Corte dei conti avesse valutato che, già nel 2004, tale risultato non era stato raggiunto. Questa è la logica conseguenza del voler ottenere dei risultati immediati agendo proprio sulla spesa farmaceutica che, solitamente, produce i suoi effetti un anno per l'altro. Anche nell'ambito farmaceutico, tuttavia, si è chiesto troppo alle aziende farmaceutiche e ai titolari di farmacia e quindi non si può ottenere nulla di più.
Vale la pena di richiamare l'accordo dell'8 agosto 2001, sottoscritto tra Stato e regioni, che introdusse per la prima volta un livello di finanziamento pubblico non più limitato ad un'annualità, ma esteso al successivo quadriennio. Una misura, questa, rilevante, introdotta dal Governo di centrodestra. Tuttavia, nel corso degli anni il sistema è rimasto fortemente sottofinanziato e il debito contratto dalle regioni ha continuato a crescere, così come sono aumentate le distanze tra le regioni virtuose e quelle in difficoltà. La legge finanziaria vigente ha registrato un incremento delle risorse pari a 3,3 miliardi di euro rispetto a quanto finanziato dalle precedenti e prevede l'istituzione di un fondo transitorio destinato alle regioni nelle quali si sia registrato un elevato disavanzo.
Quanto al merito del provvedimento in esame, l'articolo 1 dispone il concorso dello Stato, con il finanziamento di 3 miliardi, al ripiano dei disavanzi regionali nel settore sanitario per il periodo 2001-2005, derogando alla normativa vigente secondo la quale gli oneri di ripiano dei disavanzi in oggetto sono a carico delle regioni.
All'articolo in esame sono state aggiunte, nel corso dell'iter presso l'altro ramo del Parlamento, disposizioni concernenti le azioni esecutive intraprese nei confronti di soggetti pubblici per il pagamento dei debiti accumulati nel settore sanitario, le quali disposizioni prevedono che non si possano iniziare o proseguire azioni esecutive relative ai debiti accumulati nei dodici mesi successivi all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Il provvedimento reca altresì all'articolo 1-bis, introdotto anch'esso al Senato, la previsione della riduzione da 10 euro a 3,5 euro della quota fissa sulle ricette per prestazioni di medicina specialistica ambulatoriale, a partire dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge fino alla fine dell'anno. Nel corso dell'esame congiunto da parte delle Commissioni bilancio e affari sociali della Camera, un emendamento dei relatori ha eliminato del tutto tale ticket.
Devo anche sottolineare alcuni aspetti circa la differenza di atteggiamento nella spesa da parte delle regioni del nord rispetto a quelle del sud. Provengo dalla regione Piemonte e non voglio certo rubare il mestiere ai colleghi della Lega Nord, però è di tutta evidenza che le regioni del nord sono più virtuose: tanto il «mio» Piemonte, governato dalla «zarina» - è il suo nome d'arte - Bresso, quanto Veneto e Lombardia, presiedute da Galan e Formigoni, che hanno deciso di ricorrere alla Corte costituzionale contro questo «decreto salva-debiti della sanità» - come è stato definito -, con delibere delle due giunte su proposta dei citati presidenti Galan e Formigoni.
Sono stati rilevati anche problemi di costituzionalità, nel corso di alcuni interventi che mi hanno preceduto, relativamente all'articolo 119 della Costituzione, improntato al principio della piena responsabilità finanziaria che ciascun ente deve assumere in relazione alle funzioni di Pag. 21cui è titolare. Ugualmente si configura una violazione dell'articolo 117 della Costituzione in quanto viene a determinarsi una pesante interferenza dello Stato nella materia «tutela della salute», che invece appartiene alla competenza delle regioni.
Credo vada citato anche il fatto emblematico che tra le cinque regioni più indebitate non a caso vi è la Campania di Bassolino che - come è stato ricordato negli interventi di molti colleghi che mi hanno preceduto - si è distinta quanto a fantasia nelle spese. Ed è notizia di ieri che anche il consiglio comunale di Napoli ha voluto dotarsi di una serie di benefit «a pioggia» per tutti i consiglieri, fatto che suona come un insulto alla popolazione della Campania che ha tanti problemi di occupazione e soprattutto ambientali, legati alla cattiva gestione dei rifiuti. Non si possono sentire queste cose! Mi ero annotato dall'intervento di un collega che ha parlato ieri che, mentre vi sono problemi sul fronte della gestione dei rifiuti, addirittura è stato messo a disposizione un milione di euro per finanziare i corsi per aspiranti «veline»: anche questo la dice lunga sulla serietà nella gestione dei denari pubblici di quella regione.
È strano poi che queste regioni possano essere giunte ad accumulare debiti così elevati senza che siano stati esercitati meccanismi di controllo, e ve ne sono diversi. Viene allora da chiedersi: i direttori generali non rispondono mai di questi comportamenti? Infatti, la cifra totale è la somma del danno - per così dire - economico creato da tutte le aziende (anche se nella sanità sappiamo bene che è quasi improprio parlare di aziende). Gli obiettivi da raggiungere sono previsti dai contratti triennali o quinquennali che legano, in un rapporto di lavoro, la giunta regionale e questi direttori generali, che con i rispettivi direttori sanitari e amministrativi dovrebbero appunto conseguire - tra gli altri obiettivi - il pareggio di bilancio, essendo una chimera per queste regioni addirittura conseguire un attivo di bilancio. Quindi, quanto meno i direttori generali vanno chiamati, insieme ai governatori delle regioni, a rispondere di culpa in vigilando perché hanno le loro colpe.
Certo i problemi sono molti, e non posso che limitarmi a qualche cenno. Vi sono in primo luogo problemi di organico: in talune regioni, quali la Campania ed il Lazio, gli organici sono indubbiamente gonfiati e - non voglio rubare il lavoro ai colleghi della Lega - grida vendetta il fatto che in Lombardia vi siano meno di 2 dipendenti ogni 1000 abitanti e nel Lazio del presidente Marrazzo ve ne siano 7 o 7,5. È questo, evidentemente, un altro aspetto che certo condiziona pesantemente i conti.
Vi è poi il problema del «pendolarismo» dal sud al nord: molti italiani sono infatti costretti a pendolarismi odiosi, costosi, faticosi per i malati e per le loro famiglie, in parte per l'assenza di strutture, ma altre volte anche per cattiva informazione o per la gestione troppo «baronale» di certi servizi, che pure funzionano. Eppure vi sono regioni, in particolare Lazio e Campania, che sono molto esposte sul fronte economico ma che pure presentano buone - quando non ottime - strutture e certamente anche bravi professionisti.
Si deve poi anche dire che, nonostante le «pie illusioni» del Ministro Bindi e del Ministro Turco, vi è un eccessivo ricorso alle strutture private. Anche su questo aspetto il Governo sarà chiamato ad una prova di capacità nella gestione del rapporto di lavoro fra le aziende ed i medici, dovendo individuare la soluzione fra un rapporto soltanto pubblico o uno misto pubblico-privato. Vedremo in proposito nei prossimi mesi cosa il Governo proporrà all'Assemblea.
Chiudo il mio intervento - molto critico nei confronti del provvedimento in esame, come del resto sono stati quelli di tutti colleghi di Alleanza Nazionale - domandando quali misure strutturali il Governo voglia mettere in campo per risolvere il problema. Infatti, al di là di queste «pezze», che - come usa dire dalle mie parti - sono «più brutte del buco», non si capisce come in un Paese già assai tassato, ed anzi tartassato (come emerge se Pag. 22si fa il confronto con i partner europei), si possa pensar di andare avanti con misure che mirano a salvare dagli eccessivi debiti le regioni non virtuose. Piuttosto, lo Stato ed il Governo centrale, ottemperando al loro ruolo in materia di tutela della sanità (in generale, e senza intromissioni nella gestione e nel coordinamento dei servizi, che sono materia che compete invece alle regioni), dovrebbero su questo problema fornire indicazioni alle regioni ed agli assessori regionali.
Non entro infine nella vicenda del «tesoretto», da cui però credo sarebbe forse opportuno trarre qualche risorsa per intraprendere interventi strutturali veri e seri, che servano anche per il futuro e non solo per il passato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Giudice. Ne ha facoltà.
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a dodici mesi dall'inizio della legislatura, ci ritroviamo a dover convertire l'ennesimo decreto-legge del Governo, in nome di una urgenza che ci insegue ormai da un anno. Ciò mi fa pensare a quel che hanno scritto illustri professori in materia di decretazione d'urgenza (penso in particolare a L'emergenza infinita del professor Simoncini). Al di là comunque di ciò che è stato scritto sull'abuso della decretazione d'urgenza, credo che il continuo utilizzo dello strumento del decreto-legge debba far riflettere l'intero Parlamento: credo infatti che si stia in questo modo creando un vulnus importante, che riduce il Parlamento dal suo ruolo di legislatore ad un ruolo di mera presa d'atto delle decisioni del Governo.
Il provvedimento che oggi ci accingiamo - o quanto meno ci proviamo - a convertire in legge attiene al ripiano dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, in attuazione di quanto recentemente disposto dal comma 796 dell'articolo 1 della legge finanziaria per l'anno 2007.
É un comma che avevamo accolto con estremo interesse perché, nel rispetto della riforma realizzata dal centrosinistra del Titolo V della Costituzione, demandava alle regioni una serie di responsabilità relative all'indebitamento del settore sanitario. Ma già oggi si propone un provvedimento che interviene in deroga all'obbligo delle regioni di ripianare i disavanzi sanitari con oneri interamente a loro carico (ricordo l'articolo 4 del decreto-legge n. 347 del 2001).
Colleghi, ciò può essere comprensibile, poiché non è la prima volta che lo Stato centrale si appropria di un compito a lui non ascritto, e può anche essere considerato normale l'intervento finanziario per aiutare alcune regioni che non riescono a ripianare il proprio disavanzo.
Ciò che sorprende, invece, è che non si intervenga per comprendere i motivi per i quali vicende di questo genere avvengono e che non si voglia indagare fortemente per evitare di ritrovarci, tra alcuni mesi, in situazioni analoghe. L'impressione che trasmettiamo all'esterno con interventi di questo genere - riflettevo oggi, leggendo alcuni giornali - è quella di premiare, assistere ed aiutare coloro che sbagliano, «sbordano» e mal gestiscono, mortificando, invece, coloro che, attraverso una oculata gestione delle risorse dello Stato, rispettano i parametri di correttezza.
È un messaggio sbagliato, e ne consegue che coloro che si sono ben comportati potranno maggiormente allargare i cordoni della borsa, tranquilli e sicuri che alla fine lo Stato interverrà in loro aiuto.
Colleghi, vorrei riferirmi in particolare, almeno per quanto riguarda questo articolo, ad una variazione apportata dal Senato, che, modificando il comma 3 dell'articolo 1, ha disposto il divieto per i creditori, per dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, di intraprendere o proseguire azioni esecutive relativamente ai debiti sanitari nelle regioni interessate, prevedendo altresì che i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano gli enti debitori e i tesorieri e che i relativi debiti insoluti producono esclusivamente interessi legali. Sulla misura aggiunta dal Senato - che ritengo particolarmente grave - credo vada aperta una attenta riflessione. Devo dare atto ad alcuni colleghi della maggioranza Pag. 23di aver anch'essi espresso grandi perplessità sul tema nella discussione che si è sviluppata nelle Commissioni riunite bilancio e affari sociali.
Sin dall'inizio, appena conosciuta la modifica effettuata dal Senato, abbiamo immediatamente lanciato un forte messaggio sulla incostituzionalità della norma in questione, sostenendo che, peraltro, si rischiava l'apertura di una procedura di infrazione dinanzi alla Comunità europea.
La nostra non era una posizione strumentale, tant'è vero che un autorevole studio condotto da un centro studi parlamentari, il cui testo è stato distribuito ai componenti delle Commissioni riunite, ha svolto un'analisi molto attenta su questi aspetti.
Appare subito chiara l'incostituzionalità della norma inserita dal Senato, posto che essa palesa la volontà del legislatore di eradicare temporaneamente la realizzabilità del diritto all'effettività della tutela giurisdizionale richiesta, costituzionalmente garantito dagli articoli 2 e 24 della Costituzione.
A fronte di un diritto fondamentale riconosciuto e garantito dalla Repubblica con l'articolo 2 della Costituzione, quale quello di consentire a tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, con conseguente sancita inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento - rammento l'articolo 24 della Costituzione - con particolare riferimento alla fase processuale più importante, che è per l'appunto quella della concreta soddisfazione del diritto giudizialmente accertato, si prospetta il vulnus di siffatto dettato costituzionale, in virtù di un meccanismo assolutamente ingiustificato, né giustificabile. Tale meccanismo vorrebbe sospendere per dodici mesi ogni possibilità di agire esecutivamente nei confronti dei crediti maturati nel quinquennio 2001-2005, riconosciuti giudizialmente ed oggetto di provvedimento e sentenza di condanna nei confronti delle ASL e delle regioni al relativo immediato pagamento. È un aspetto importante di cui il Parlamento deve prendere atto e che, pur nella sua sovranità, non può ignorare.
Per non dire dell'altro aspetto che abbiamo evidenziato con estrema chiarezza, con riferimento alla normativa comunitaria. Infatti, ricordo che è avvenuta recentemente l'approvazione, da parte di questa Assemblea, della legge comunitaria, in cui si è tentato di intervenire nella miriade di infrazioni contestate al nostro Paese, tra cui quella relativa alla direttiva 2000/35/CE del 29 giugno del 2000, entrata in vigore l'8 agosto del 2002, comunque recepita dallo Stato con il decreto-legge n. 231 del 2002, in tema di contratti tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano la consegna di merci e la prestazioni di servizi a fronte del pagamento di un prezzo.
Onorevoli colleghi, non stiamo parlando né di un contrasto legittimo tra la maggioranza e l'opposizione, né di diversità di vedute tra una forza politica ed un'altra, ma di fatti, che dovrebbero indurre sia un Governo serio, sia un Parlamento altrettanto serio, a rendersi conto, in maniera trasversale e bipartisan, che al Senato è stato commesso un errore, non su proposta di Forza Italia o di Alleanza Nazionale, né della Margherita o di Rifondazione Comunista. La consapevolezza che il Senato ha commesso un errore, significa prendere atto che noi ci presentiamo al Paese ponendo sotto i piedi la stessa Costituzione, mettendoci nella condizione di dover difendere il nostro Paese dinanzi all'ennesimo rischio di infrazione rispetto alla Comunità europea.
Non si tratta per i relatori ed il Governo di accogliere l'emendamento di una parte politica o dell'altra, ma di prendere coscienza di aver commesso un errore e di provvedere a stralciare, a sopprimere il terzo, il quarto e il quinto periodo del comma in questione. Ho verificato che la richiesta di soppressione è stata proposta dalla Lega e da tante altre forze politiche, tra cui Forza Italia e Alleanza Nazionale, ma non è questo il problema, che consiste, invece, nel prendere atto di aver fatto una corbelleria e cancellare la modifica apportata Pag. 24dal Senato ristabilendo la dignità del Parlamento con un modo di legiferare più corretto, più giusto e più confacente ad un Paese serio.
Questo è il problema, al di là delle valutazioni condivisibili, che ho avvertito riguardo al riparto dei 3 mila milioni di euro per l'anno 2007 tra le regioni cosiddette «canaglie» e le regioni virtuose.
Chi sbaglia ha un beneficio, mentre chi ha fatto bene ha fatto soltanto il suo dovere. Questi sono gli aspetti certamente più inquietanti relativi all'articolo 1 del provvedimento al nostro esame. Per quanto riguarda l'articolo 1-bis, relativo alla riduzione dell'importo della quota fissa per ricette per prestazioni e assistenza specialistica ambulatoriale (ciò che abbiamo chiamato in questi giorni «l'abolizione del ticket», finalmente!), devo riconoscere che si tratta di una scelta giusta.
Conveniamo sull'opportunità di arrivare all'abolizione del ticket, ma riteniamo che sia stata percorsa una strada tortuosa, complessa, e poco chiara ai cittadini (i fruitori del nostro lavoro e del nostro legiferare). Il Senato, infatti, ha inizialmente ridotto il ticket da 10 euro a 3,5, inventando una copertura «drammatica», che consisteva nella riduzione del ticket a fronte, però, della diminuzione degli stanziamenti per i disabili e la famiglia, inviando al ceto debole il messaggio di guadagnare «mille lire» per una cosa, ma di perderne 1.500 per altre.
Devo dare atto, ringraziandoli, sia all'intera Commissione bilancio, sia al Governo, che, su questo tema, hanno bene operato respingendo tale tipo di copertura e tornando alla copertura originaria, anche se una parte di essa ha trovato collocazione nei debiti pregressi, che ritengo possano creare ancora qualche problema. Forse sarebbe stato più logico e più corretto (abbiamo atteso tanto tempo!) attendere un paio di mesi in più, abolire il ticket, attendere l'assestamento, trovare una copertura più adeguata, anziché una soluzione temporanea. Infatti, abbiamo sentito parlare in questi giorni di abolizione del ticket, ma parlerei piuttosto di sospensione del ticket, dal momento della conversione in legge del decreto-legge in esame sino al 31 dicembre 2007, con l'impegno del Governo di abolire il ticket in occasione della legge finanziaria per l'esercizio 2008. Signori miei, dobbiamo dire la verità...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GASPARE GIUDICE. Di fatto, stiamo «bloccando» i ticket sino al 31 dicembre 2007; nella prossima finanziaria - mi auguro - procederemo alla loro abolizione. A tale proposito, onorevole Lettieri, preannuncio la presentazione di un ordine del giorno volto ad impegnare il Governo ad abolire il ticket nella legge finanziaria anche per il 2008, perchè oggi lo stiamo solo sospendendo.
Gli elementi fondamentali sono i seguenti: la necessità di creare un controllo (e, quindi, istituire una commissione d'inchiesta) per non trovarsi più in situazioni di questo genere; eliminare le norme palesemente incostituzionali; reperire una migliore copertura per i provvedimenti approvati dall'Assemblea. Per questi tre punti non possiamo dare il nostro voto favorevole al provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che il dibattito svoltosi in quest'aula abbia reso palesi non solo alcune incongruenze del provvedimento in esame, ma anche alcune questioni fondamentali che meritano di essere ulteriormente approfondite.
La prima questione, di carattere politico, più che sanitario, è quella relativa alla responsabilità della gestione in ambito sanitario, che sostanzialmente è attribuita in modo totale alle regioni.
Credo che su questo punto il Parlamento debba svolgere una valutazione. Com'è possibile che si affrontino un tema ed un provvedimento come quelli al nostro esame senza chiedersi quali siano le sanzioni, Pag. 25anche politiche, che dovrebbero ricadere su chi ha gestito la sanità nelle regioni oggi oggetto di aiuto attraverso il finanziamento dello Stato e, quindi, dei contribuenti italiani? Difatti, se è vero - come innegabilmente lo è - che questo provvedimento denota una sorta di sperequazione nei confronti dei contribuenti italiani che fanno parte di regioni virtuose e che purtroppo oggi sono chiamati, mediante l'imposizione fiscale, a contribuire al soddisfacimento delle ragioni di amministrazioni regionali che non hanno svolto correttamente i loro compiti, è altrettanto vero che sul piano politico tale responsabilità deve essere in qualche modo evidenziata.
Vi è, in effetti, una questione che va richiamata alla nostra attenzione, relativamente, come è stato detto, ad alcune norme costituzionali. Non vi sono soltanto i principi di buona amministrazione - sui quali sarebbe, in questo caso, opportuno stendere un velo pietoso, per le chiare ed evidenti situazioni in cui versano le amministrazioni regionali sotto il profilo sanitario -, bensì ve ne sono anche altri che non producono apertamente un conflitto evidente nei confronti di alcune norme costituzionali, ma che, sotto il profilo politico, debbono essere evidenziati.
A tale proposito, anche nei pareri espressi dalle Commissioni cui il provvedimento è stato assegnato in sede consultiva vi sono richiami abbastanza singolari, se non addirittura divertenti. Quando si fa riferimento alle «competenze legislative dello Stato», con riguardo al sistema tributario e contabile non si può invocare tale disposizione costituzionale per il provvedimento in esame: non vi è nulla di contabile per quanto concerne lo Stato e non vi è nulla di tributario. Semmai, è l'esatto contrario: c'è stata la violazione aperta di norme legislative che imponevano il ripiano dei deficit e che, quindi, facevano carico direttamente alle amministrazioni regionali e alle responsabilità politiche, oltre che di gestione, dei vari «governatori» e delle loro «congreghe» politiche, così come emerso da alcuni rilievi espressi in quest'aula.
Per quanto riguarda il riferimento alla perequazione delle risorse finanziarie, vorrei ricordare che il principio di perequazione si ha nei confronti di sbilanciamenti derivanti sicuramente da squilibri sociali e territoriali e non dal fatto che una regione abbia aumentato a dismisura il livello di indebitamento, non riuscendo a far fronte alle obbligazioni assunte. Pertanto, anche la prerogativa con cui vengono affrontati questi concetti non è soltanto distorta, ma è politicamente inaccettabile. Infatti, non stiamo parlando di «squilibri territoriali», ma di gestione pessima della cosa pubblica da parte non solo dei «governatori», quanto, in primis, di chi aveva la responsabilità della politica sanitaria nelle ricordate regioni.
Sul piano politico, credo dunque che tali responsabilità vadano restituite al Governo, perché ho ascoltato divertito per cinque anni le accuse - in larga parte, o comunque in parte, corrette - nei confronti della spesa pubblica aumentata dal Governo di centrodestra. Potrei, ad esempio, ricordare come il Servizio sanitario nazionale sia partito da un finanziamento di circa 70 miliardi di euro nei cinque anni precedenti per arrivare a 90 miliardi e ciò è stato fatto da un Governo di centrodestra che tentava di privilegiare, tra le sue azioni politiche, la questione sanitaria. Non è tuttavia pensabile che debba, al contempo, ricordare queste accuse rivolte al Governo di centrodestra e, poi, constatare il ripianamento «a piè di lista» dei debiti causati da dissennate politiche sanitarie.
Inoltre, per essere coerenti, ritengo che, sostenere che questo provvedimento faccia riferimento - è scritto nei pareri - addirittura alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale rappresenti un'altra bugia.
Tutto ciò non è vero, perché i ricordati fondi non sono rivolti, come ho già detto, a riequilibrare i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, ma a pagare i debiti pregressi che, come è emerso più volte nel dibattito, fanno riferimento agli anni dal Pag. 262001 in poi. Quindi, anche sotto questo aspetto, la censura più forte va rivolta nei confronti di chi ha tentato di difendere ciò che non è difendibile, vale a dire il ripiano di gestioni deficitarie e politicamente colpevoli, con conseguenze che pesano, da un lato, sulle regioni male amministrate riguardo alla sanità, dall'altro, sull'intero Stato nazionale e sui contribuenti italiani, che sono chiamati a ripianare tali disavanzi di carattere finanziario.
Ma c'è di più. Come è stato più volte ricordato in quest'Assemblea, le regioni che si trovavano in condizioni difficili sotto il profilo sanitario non erano solo quelle per cui si interviene con il presente provvedimento, ma anche altre: mi riferisco al Piemonte, al Veneto e alla Basilicata. Risulterebbe che tali regioni abbiano adottato, sulla base delle informazioni emerse nel confronto parlamentare, a cominciare da quello in Commissione, piani di finanziamento e di ristrutturazione delle loro situazioni ed avviato un percorso virtuale, con l'aumento dell'imposizione fiscale, con la rivisitazione dei ticket o con ulteriori provvedimenti di gestione di carattere economico e finanziario. Come si spiega che il Governo, a fronte di alcune regioni che hanno posto in essere atteggiamenti virtuosi, faccia finta che non esistano comportamenti responsabili, come quelli che ho richiamato, e corra in soccorso di quelle regioni che, nonostante accordi pregressi (faccio riferimento anche agli anni del Governo di centrodestra), hanno continuamente e ripetutamente disatteso quegli accordi che avevano liberamente sottoscritto, accumulando ulteriori aspetti negativi per quanto riguarda la questione debitoria?
Un'altra questione che reputo divertente riguarda un aspetto, ancora una volta, menzognero. Si fa riferimento ad un intervento che sarebbe dell'ordine di circa 3 miliardi di euro, anche se ho qualche dubbio che sia così. Prendo spunto da quanto emerge dalle convenzioni che sono state sottoscritte, ad esempio, nel Lazio e nella Campania. Quanto alla prima, non posso dimenticare l'immagine dell'attuale presidente al tempo in cui gestiva una trasmissione televisiva e si metteva dalla parte di chi veniva vessato. Desidero ricordare, prima di tutto a me stesso, gli atteggiamenti di critica nei confronti delle istituzioni nel momento in cui non intervenivano secondo principi di solerzia, di economicità e di efficienza. Ebbene, come si legge alla pagina 438 del dossier di documentazione predisposto dagli uffici della Camera dei deputati, il livello del debito verso i fornitori accertato nel 2006 è pari a circa 9.900 milioni di euro. Il debito commerciale assunto dalla regione Lazio ammonta a circa 10 miliardi di euro. Altro che Mi manda Rai Tre! Mandate la Corte dei conti a Marrazzo per capire cosa diavolo hanno combinato in tutti questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e Lega Nord Padania)!
Inoltre, ancora una volta, non si dice apertamente, in quest'Assemblea, che l'intervento dello Stato, oltre ai 3 miliardi di euro, si è già manifestato o si manifesterà, se è vero - come è vero - quanto è scritto a pagina 48 del citato dossier di documentazione, ovvero che lo Stato si impegna ad attivare gli strumenti legislativi ed amministrativi per consentire alla regione il rimborso anticipato, mediante l'erogazione alla regione stessa di una somma a titolo di prestito, a fronte della quale la regione si impegna a versare annualmente per trent'anni, a decorrere dal 2008, allo Stato, a titolo di rimborso, l'importo di 310 milioni di euro. Ciò significa che lo Stato non stanzia solo 3 miliardi, ma interviene per l'estinzione di quei prestiti direttamente e, a fronte di ciò, il bilancio della regione in questione è gravato per trent'anni di 310 milioni di euro l'anno.
Se questo aspetto richiede ulteriori disamine, non per commissariare la regione in questione, considerato che ci sarebbero profili di incostituzionalità, ma per utilizzare a livello economico e finanziario la mano pesante, lo lascio giudicare ai colleghi che ascoltano!
Analoga vicenda riguarda la Campania dove, ammesso che sia vero - lo dicono le convenzioni e non l'onorevole Contento di Alleanza Nazionale -, il debito in questione Pag. 27ammonta a circa 3.500 milioni di euro. Quindi, cosa volete che siano altri 3 miliardi e mezzo?
Cari colleghi e amici della Lega, la questione non attiene al federalismo, ma alla responsabilità della politica. Sono disponibile a sentir dire che, come al solito, il male peggiore della politica sono i privilegi, ma vorrei sapere dal Governo come devono essere pagate le responsabilità politiche di chi amministra le regioni nei confronti dei cittadini. Inoltre, considerate le convenzioni, che sono poca cosa e, per alcuni versi, sono anche divertenti, vorrei sapere cosa il Governo ha preteso nei confronti della gestione delle ricordate regioni. Quasi divertito, mi chiederei se è possibile risparmiare, in quanto le citate convenzioni prevedono il cosiddetto partenariato, ovvero l'affiancamento di una regione più virtuosa rispetto alle altre. Chiediamo al «governatore», dato che si ha il partenariato, di licenziare almeno l'assessore competente! Si registrerebbe un risparmio di pochi euro ma, perlomeno sul piano politico, si avrebbe una reazione che l'opinione pubblica apprezzerebbe o che, quanto meno, le persone soggette a questo tipo di gestione sanitaria dovrebbero apprezzare. Anche sotto questo aspetto il Governo avrebbe potuto, e dovuto, impegnarsi di più, a tutela sia della sua immagine, sia naturalmente di quei cittadini costretti a pagare di più e a vedere aumentata, ancora una volta, la spesa delle amministrazioni pubbliche per un ripiano dissennato di debiti che hanno origine in comportamenti molto chiari e riconducibili, purtroppo, alla gestione politica delle regioni in questione.
Altra vicenda estremamente divertente, se non fosse tragica, è la violazione dei principi costituzionali a tutela dei creditori. La Campania aveva già ottenuto una transazione con molti creditori, ma, ad onta di tutto quel percorso, si stabilisce che le azioni esecutive dei creditori sono sostanzialmente inefficaci. Si tutelano, quindi, (e lo dico tra virgolette) i «mascalzoni» responsabili di aver portato sull'orlo del fallimento, anzi al fallimento inoltrato, la gestione sanitaria, mentre si colpiscono i creditori che hanno assicurato la sopravvivenza delle regioni! Credo che sia un altro esempio di giustizia equa! Con il Ministro della giustizia che abbiamo, del resto, mi sembra perfettamente coerente che le norme assunte in tale campo violino non soltanto le conoscenze normali e consuete ma anche i principi di garanzia posti a favore dei cittadini e delle imprese.
Come si può immaginare che a pagare i costi di tale dissennata politica siano proprio coloro i quali sono stati danneggiati più volte? Come si fa a non garantire il pagamento dei debiti nei confronti di cittadini e delle imprese causati da una politica dissennata?
A mio avviso, la problematica non riguarda solo il ticket. Il ticket più grande, nel Paese, è rappresentato dal Governo di centrosinistra, che spero gli italiani aboliranno presto (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo sul complesso degli emendamenti per evidenziare alcune questioni che ritengo di fondamentale importanza per il buon andamento dell'amministrazione pubblica e delle regioni.
Fatico ad entrare nell'ordine delle idee e nella dimensione della grandezza delle cifre che sono in ballo. Si parla di deficit finanziari, di gestioni disastrose da parte delle pubbliche amministrazioni in un settore alquanto delicato, come quello della sanità. Come abbiamo ascoltato nelle discussioni di questi giorni, le cifre sono molto alte: la regione Lazio ha un bilancio consolidato in deficit nel settore sanitario di circa 11 miliardi di debiti; bisogna vedere, alla fine, quali siano le cifre esatte, perché si fa sempre fatica a comprendere le giuste cifre ed i giusti costi: per il 2006, comunque, è stato registrato un deficit accertato di 1,25 miliardi di debiti. Il decreto-legge in esame prevede un importo complessivo di tre miliardi di euro, quasi Pag. 28tutti destinati alla regione Lazio, in parte alla regione Campania e alla regione Abruzzo; penso che la Liguria abbia colmato il «buco» che aveva.
Siamo in presenza, quindi, di una problematica che, sicuramente, crea disparità di trattamento e differenziazioni politiche all'interno del Paese Italia. La regione Lombardia, ad esempio, era pronta a ridurre il livello dei ticket, ma, ancora una volta, il Governo, nonostante le promesse, non ha mantenuto l'impegno: in forza delle disposizioni della legge finanziaria, infatti, il ticket di 10 euro continua a gravare sulle spalle dei cittadini. La regione Lombardia era pronta ad eliminarlo o a ridurlo, ma non è riuscita nell'intento, perché l'esecutivo non ha ancora cambiato la legge.
A chi aveva manifestato in Lombardia per l'abolizione del ticket, in modo particolare i sindacati ed i politici di centrosinistra, occorre ricordare che l'indirizzo al quale rivolgersi è e rimane Palazzo Chigi. Nel vertice con le regioni, infatti, il Governo ha ammesso di avere gravemente sbagliato, imponendo il ticket di 10 euro e promettendo enfaticamente 350 milioni di euro per la sanità delle regioni. Ad oggi, però, il Governo non ha ancora dato attuazione a tale impegno e, quindi, non ha concluso nulla di operativo, illudendo così i cittadini: esso, infatti, ha ammesso di non poter agire se non con una modifica alla legge finanziaria, il che implica, ovviamente, tempi lunghi ed incerti.
Ad oggi, quindi, nulla è cambiato né per le regioni né per i cittadini. Con le leggi attualmente vigenti le regioni non possono abbassare né abolire i ticket di 10 euro e i cittadini, purtroppo, devono pagarlo, perché la legge vieta di rendere operativo il piano che la regione Lombardia aveva predisposto per la riduzione di quell'odioso balzello.
La regione Lombardia è stata, inoltre, la prima - e per molto tempo l'unica - a denunciare l'iniquità di questa sovrattassa ed è pronta ad eliminare o abbassare il ticket, adeguandolo alla cifra come previsto dallo Stato. Il Governo dovrebbe dare attuazione a ciò, in base a quanto affermato, attraverso l'utilizzo del decreto-legge, quindi, in tempi rapidi e non certo biblici, come avverrebbe se fosse adottato lo strumento della legge. Ma, ancora oggi, non vi è nulla di nuovo sotto il sole, anche se l'esame del provvedimento in discussione sta procedendo speditamente. Allora, non è forse questa una discriminazione, una disparità di trattamento, una disuguaglianza, una differenziazione politica?
Numerosi sono i dubbi che mi fanno pensare ad una violazione di articoli normativi che va oltre il buon senso e il principio di uguaglianza. Lo hanno ricordato in tanti, ma vogliamo ricordarlo sempre e lo ricorderemo quando andremo nelle nostre piazze a spiegarlo alla gente: in particolare, prossimamente allestiremo i nostri gazebo per la raccolta delle firme contro la legge che prevede l'ingresso extracomunitario nel nostro Paese.
Si tratta, quindi, di disposizioni che vanno oltre il buon senso e il principio di uguaglianza. Per quanto riguarda il principio di uguaglianza, lo stesso titolo del decreto-legge in esame, che reca disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi sanitari pregressi, discrimina di fatto le regioni che hanno accumulato disavanzi nel periodo 2002-2005. Tale discriminazione è fondata sul fatto che soltanto alcune regioni, quelle più inefficienti e meno capaci, sono ammesse ad accedere ai finanziamenti straordinari statali. Si assiste, pertanto, ad una doppia violazione dell'articolo 3 della Costituzione: sotto il profilo dell'uguaglianza formale, per cui tutte le regioni sono uguali dinanzi alla legge, e sotto il profilo della ragionevolezza, per cui è manifestamente irragionevole il criterio selettivo utilizzato per regolare l'accesso delle regioni in disavanzo.
Viene violato, inoltre, anche il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione. Le regioni, in quanto pubblici uffici, sono chiamate costituzionalmente ad assicurare il buon andamento dell'amministrazione e tale obbligo assume Pag. 29un peculiare rilievo nel settore sanitario che, come noto, impiega l'80 per cento dei bilanci regionali.
Peraltro, alle responsabilità amministrative - non l'ho sentito ancora dire in quest'aula - dobbiamo sommare anche quelle burocratiche; sono, infatti, d'accordo sul fatto che chi ci amministra debba assumersi forti responsabilità, ma le responsabilità devono essere anche a carico della struttura tecnica, dei funzionari e dei dirigenti, che, a volte, le scaricano da un settore all'altro. A volte la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 12,05).
LORENZO BODEGA. Alla fine, occorre fare sempre una rincorsa contro il tempo, per cercare di dare delle risposte e di erogare quei servizi essenziali ai cittadini che devono essere garantiti a tutti. Come abbiamo visto, le violazioni sono molteplici. Il provvedimento è finalizzato a sanare - tanti hanno parlato di sanatoria - un'inefficienza cronica di alcune regioni e rappresenta un'evidente negazione del principio costituzionale, disincentivando le regioni cosiddette virtuose.
Viene violato, inoltre, anche il principio di autonomia e responsabilità finanziaria regionale, di cui all'articolo 119 della Costituzione, in quanto lo straordinario intervento statale in esame si pone palesemente in contrasto con i principi di autonomia e responsabilità finanziaria di ciascuna regione.
Detto questo, segnalo da ultimo anche la violazione del principio di leale collaborazione tra gli enti territoriali, di cui all'articolo 120 della Costituzione, improntato ad nuovo spirito cooperativo, incentrato sulla stipula periodica di patti di stabilità.
Il collega Cota ieri ricordava con determinazione che, in un paese normale, chi non è in grado di amministrare va a casa, chi non è in grado di spendere il denaro pubblico e lo sperpera viene messo sotto accusa, chi fa politica assistenziale, invece di badare agli interessi dei cittadini, se ne assume le responsabilità. Ma facendo così, nel nostro Paese chi si comporta in tal modo viene premiato. Questo è ciò che si legge tra le righe del provvedimento in esame e che voi state facendo.
La Lega Nord Padania ha sempre sostenuto le battaglie contro l'assistenzialismo, nonché la trasformazione dell'attuale Stato in uno Stato federale, dove tutti si dovrebbero assumere la propria responsabilità.
Ieri, il nostro presidente Maroni, nella riunione del gruppo, ci ha mostrato una vecchia videocassetta in cui il nostro leader Umberto Bossi - era il 1982, se non ricordo male, più di venti anni fa - ripeteva quei canoni che costituivano il fondamento del nostro movimento. Quei principi sono ancora oggi attuali; pertanto, aveva anticipato di decenni ciò che sarebbe successo oggi in Italia.
Mi chiedo, pertanto, perché nel Lazio è avvenuto tutto ciò. Perché oggi dovete ripianare tali debiti? Sicuramente perché abbiamo avuto a che fare con una categoria di amministratori pubblici incapaci, per non dire altro, e aggiungo - come ho già detto - anche le responsabilità della burocrazia, dei dirigenti, dei funzionari, dei direttori di settore, dei primari, degli addetti responsabili del pronto soccorso (non so chi di noi è andato al pronto soccorso ed ha constatato di persona ciò che succede).
Concludo brevemente il mio intervento - che non vuole essere contrario e strumentale a tutti costi, ma vuole essere fortemente critico -, evidenziando che si è criticato ovunque il modello lombardo della sanità, al quale mi riferisco, essendo di Lecco. Tale modello non solo si è rivelato il più efficiente ed efficace, come tra l'altro testimonia la cronaca di questi ultimi mesi, ma ha provveduto da sè ad arginare il deficit esponenziale che ha caratterizzato molte regioni italiane.
Mi pare che si sia tornati alla vecchia logica del «tanto paga Pantalone», perché si parla di un deficit complessivo di miliardi di euro e non si mettono in atto interventi e politiche in grado di arginare Pag. 30la spesa, nella convinzione che, poiché la salute è sacra ed il diritto alle cure è sancito dalla Costituzione, prima o poi lo Stato provvederà.
Siamo di fronte al classico caso di un conflitto di competenze tra le regioni, tra le cui materie di intervento rientra quella della sanità, e lo Stato, che sulla carta formula gli indirizzi generali, ma poi, in realtà, il Governo nazionale tratta le regioni distinguendo tra figlie e figliastre, «rammendando» e coprendo laddove si è sprecato, non si è governato e non si è programmato.
Sullo sfondo di tale tema vi è la questione della qualità della sanità italiana, che, nonostante a mio avviso sia eccellente, ogni giorno viene minata da casi di malasanità, di imperizia, di negligenza che compromettono il profilo della sanità del nostro Paese.
Dobbiamo frenare il passaggio da una regione all'altra in cerca del reparto di eccellenza e del primario «super», quando non ci si reca all'estero con i cosiddetti viaggi della speranza e del miracolo, che fanno torto alla qualità di primo ordine dei nostri medici e delle nostre università, i quali meriterebbero più fondi e più attenzione. Occorre mettere la ricerca nelle condizioni di valorizzare al meglio le nostre intelligenze.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LORENZO BODEGA. Concludo, Presidente, e ringrazio per la pazienza chi ha voluto ascoltarmi, affermando che sul provvedimento in esame non si può che formulare un giudizio fortemente contrario, poiché esso è largamente iniquo nei suoi presupposti e nelle sue conclusioni.