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Discussione della proposta di legge: Franceschini ed altri: Norme in materia di conflitti di interessi dei titolari di cariche di Governo. Delega al Governo per l'emanazione di norme in materia di conflitti di interessi di amministratori locali, dei presidenti di regione e dei membri delle giunte regionali (A.C. 1318-A) (ore 10,10).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1318-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia e L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, Presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Violante.
LUCIANO VIOLANTE, Relatore. Signor Presidente, colleghi, il tema del conflitto di interessi è uno dei capitoli più significativi della «democrazia dei moderni». Mi spiego: nella connotazione classica della democrazia europea, vi è una distinzione fra società politica e società civile e tra Stato e mercato. La politica è gestita da chi opera nello Stato, con una netta separazione dal mercato.
Questa è una concezione europea, poiché in Europa lo Stato si forma per un peso crescente di dinastie che impongono l'unità di territori.
Diversa è la situazione dell'origine dello Stato in un Paese come gli Stati Uniti, dove in realtà è un patto tra pari a creare il potere politico ed il potere pubblico.
Da ciò derivano la lentezza dell'Europa nell'affrontare la questione del conflitto di interessi e, d'altra parte, una certa tempestività che ha segnato la storia e l'esperienza degli Stati Uniti. Quando in Europa è stata superata la barriera tra Stato e mercato, tra politica e società, allora si è posta la questione di affrontare questa dimensione della democrazia non solo distinguendo i poteri pubblici ma anche tenendoli separati dai poteri privati.
Il tema del conflitto di interessi è il problema della separazione tra poteri pubblici e poteri privati; di ciò si tratta. In Italia vige una legge approvata nella scorsa legislatura, la quale ha una caratteristica di fondo che la differenzia rispetto alla proposta ora all'esame dell'Assemblea. La legge, che porta il nome del ministro che sostenne questo intervento legislativo, il collega Frattini, reca una normativa che dispone un intervento successivo, ovvero in termini sanzionatori, dopo che il conflitto si è manifestato.
La proposta che noi poniamo all'attenzione dell'Assemblea è invece di carattere preventivo; come in tutti i Paesi che prevedono questo tipo di misure, si tende a prevenire l'insorgere del conflitto di interessi.
Le ragioni di questo nuovo intervento si devono alla circostanza che le due Autorità che, sulla base della cosiddetta legge Frattini, hanno il governo della materia - l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - nel corso della loro relazioni semestrali al Parlamento hanno segnalato complessivamente, se non ricordo male, diciannove punti deboli della legge, che la rendevano sostanzialmente inefficace.
Si tratta, in particolare, dei seguenti profili: l'inapplicabilità della legge agli assessori regionali e al governo regionale; non era prevista la possibilità che un ministro compisse un atto a vantaggio di un altro ministro, ipotesi che, verificatasi nella scorsa legislatura, fu appunto segnalata dalle due Autorità; inoltre, la legge Frattini considera rilevante l'atto adottato in conflitto di interessi solo se ha recato un danno all'interesse pubblico, il che è naturalmente difficilmente valutabile in modo separato dal conflitto di interessi stesso.
Un altro punto molto significativo è quello che impediva alle due Autorità di accertare il vero stato patrimoniale dei titolari delle cariche di governo. Il regime sanzionatorio inoltre, hanno avvertito le due Autorità, è inefficace perché il massimo delle sanzioni per le imprese favorite è pari al vantaggio ricavato. Sostanzialmente, quindi, non vi è alcuna sanzione; se qualcuno viene sanzionato, al massimo deve restituire ciò che ha preso. Mancano disposizioni in materia di pubblicità delle decisioni; il coniuge, i parenti ed i destinatari non incorrono in alcuna sanzione se non forniscono gli elementi richiesti sulla situazione patrimoniale, e così via.
Siamo partiti quindi dalla valutazione dei diciannove punti deboli del provvedimento per presentare, come dicevo, un nuovo testo.
Gli istituti ai quali fa riferimento la proposta all'esame dell'Assemblea sono tre: l'astensione, l'incompatibilità e il trust cieco o blind trust.
La proposta prevede quattro doveri a carico del titolare della carica di governo: il dovere di informazione nei confronti di una apposita Autorità - sulla quale mi soffermerò tra breve -, il dovere di astensione in presenza di determinate situazioni,Pag. 3il dovere di opzione, quando si versa in situazioni di incompatibilità, il dovere di separazione del proprio patrimonio qualora si versi in altre posizioni specificamente determinate.
La proposta di legge si applica non soltanto alle cariche di Governo nazionali ma estende il proprio ambito anche a quelle regionali e locali.
Da tale punto di vista, sottopongo all'attenzione dei colleghi il seguente profilo problematico. La proposta prevede che rientrino nell'ambito di operatività della legge anche i comuni con un numero di abitanti superiore a 15 mila. Nella discussione che si è svolta in seguito, anche sui mezzi d'informazione, è emerso che la soglia di 15 mila abitanti è troppo bassa. Mi chiedo - e sottopongo la questione all'attenzione dei colleghi - se non sia meglio pensare di applicare la proposta di legge in esame, almeno in una prima fase, soltanto ai governi delle aree metropolitane, delle città metropolitane e delle province che insistano su tali aree, perché, francamente, dalla discussione è emerso che la soglia di 15 mila abitanti è eccessivamente bassa.
Perché la proposta di legge si estende anche alle cariche di governo regionali e locali? Perché, se ci si riferisce alle grandi regioni ed alle grandi città, un assessore di tali enti, molto spesso, ha una capacità di spesa (specie con riferimento ad alcune competenze specifiche all'interno della struttura di governo) e di intervento sul mercato molto superiori a quelle di un ministro o di un sottosegretario.
Quanto al dovere di informazione, esso è a carico della persona che ricopre l'incarico di governo, dei parenti ed affini entro il secondo grado e delle persone stabilmente conviventi non per lavoro domestico. Sono previsti dei termini entro i quali la dichiarazione deve essere presentata; se tali termini non sono rispettati è previsto un sollecito da parte dell'Autorità; se, nonostante il sollecito, la dichiarazione non viene ancora presentata si applica una sanzione e comunque, in ogni caso, l'Autorità può accertare autonomamente lo stato patrimoniale del titolare della carica di governo, dei suoi parenti e degli affini.
Passando quindi all'obbligo di astensione, sono previste due ipotesi: l'astensione da provvedimenti che recano vantaggi differenziati al titolare della carica di Governo o al collega di Governo rispetto alla generalità dei cittadini; l'astensione dall'assumere provvedimenti che attribuiscano un vantaggio economicamente rilevante qualora il provvedimento stesso sia destinato ad una ristretta cerchia di persone. Pertanto, quando il provvedimento è erga omnes scatta il dovere di astensione quando il vantaggio è differenziato per il titolare della carica di governo rispetto agli altri; qualora invece il provvedimento sia destinato ad una ristretta cerchia di persone, l'obbligo di astensione scatta nel momento in cui il vantaggio è economicamente rilevante.
È previsto, naturalmente, che nei casi di dubbio il titolare della carica di governo possa rivolgersi all'Autorità per ricevere un indirizzo su come condursi nella propria azione. Si tratta di una misura che abbiamo preso dal sistema statunitense: l'Autorità non è solo un «guardiano» ma è anche un «consigliere» che aiuta il titolare della carica di governo a decidere.
Quanto al dovere di opzione, esso appartiene al tema della incompatibilità. Il testo alla nostra attenzione fa riferimento a due categorie di incompatibilità: la prima, che può definirsi «incompatibilità professionale», e la seconda, che può definirsi «incompatibilità patrimoniale».
L'incompatibilità professionale fa riferimento ad uffici pubblici, che non possono essere ricoperti, e a determinate professioni private. Approfitto per fissare un punto che ricorrerà anche in seguito. Abbiamo sempre fatto riferimento alla specifica carica di Governo, per cui non si possono esercitare professioni che abbiano un rapporto con la carica di Governo specifica ( ad esempio, se faccio il Ministro della giustizia non posso esercitare la professione di avvocato, ma se faccio il medico posso farlo). Con il testo in esamePag. 4abbiamo cercato di pervenire ad una determinazione più chiara delle incompatibilità.
Più delicata e più interessante è la questione concernente le incompatibilità di carattere patrimoniale. Si fa riferimento ad un patrimonio di valore superiore a 15 milioni di euro (con esclusione dei contratti concernenti titoli di Stato). Vorrei precisare subito un concetto che non è stato colto dai colleghi intervenuti nel dibattito pubblico su questa materia: si deve trattare di un patrimonio la cui natura, in relazione alle specifiche funzioni di Governo attribuite, configuri un conflitto; quindi, non ogni patrimonio superiore a 15 milioni di euro. Se per esempio possiedo una serie di aziende farmaceutiche, non posso ricoprire la carica di ministro della sanità. Sussiste pertanto una incompatibilità in relazione al tipo di funzione specifica di Governo, non in generale con la carica di governo in quanto tale. Sottolineo tale aspetto, dal momento che alcuni colleghi hanno criticato questo punto senza conoscere il testo.
Il secondo dato, con riferimento alle incompatibilità, riguarda la proprietà e il controllo di impresa che svolga la propria attività in regime di autorizzazione o di concessione rilasciata dallo Stato, tranne che si tratti di piccoli imprenditori. Anche in questo caso anticipo una considerazione, dal momento che qualche autorevole collega del centrodestra ha sostenuto che la proposta di legge in esame farebbe «saltare» tutti i piccoli imprenditori, cui, viceversa, essa espressamente non si applica. Si tratta pertanto di un altro caso in cui sono stati espressi giudizi senza conoscere il testo. Non è l'unico, anzi ce ne sono molti.
Nel caso di incompatibilità, l'onere dell'opzione cade sul titolare della carica di governo. Non è l'Autorità che decide; è invece il titolare della carica di governo che valuta se optare per la carica pubblica, e in tal caso risolvere il problema dell'incompatibilità, oppure per l'attività privata. A tal proposito, ci siamo posti la questione molto delicata di cosa succeda se l'opzione non venga esercitata. Abbiamo ritenuto - ma è un altro dei temi da discutere - che l'effetto non possa essere la decadenza, trattandosi, per quanto riguarda i ministri, di un tema assai delicato. Ci troveremmo infatti innanzi alla decadenza da una carica nel cui processo di costituzione entra il Capo dello Stato, firmando il decreto di nomina. È quindi chiaro che si tratta di una situazione abbastanza complessa. Abbiamo pertanto deciso di optare per una soluzione diversa: tutti gli atti compiuti dal ministro dopo che il termine sia scaduto senza che l'opzione sia stata esercitata sono nulli ed inefficaci; abbiamo ritenuto che una sanzione di questo tipo potesse risolvere il problema,
Il progetto di legge della XIII legislatura, sul quale era relatore l'onorevole Frattini, prevedeva la decadenza dell'autorità di governo che non avesse esercitato l'opzione nei termini stabiliti. Credo sarebbe utile che in questa Assemblea si svolgesse un dibattito su questo tema, anche perché sul punto la dottrina costituzionalistica è divisa. Prima di presentare una soluzione che può esporsi a critiche di costituzionalità, credo che sarebbe utile discuterne con i colleghi per poi decidere, avendo attentamente valutato i pro e i contro delle singole soluzioni. Con la soluzione assunta, ovvero l'inefficacia degli atti, è stato dato un significato al silenzio. La mancanza di opzione significa, pertanto, che il soggetto ha optato per la carica di carattere privato. Da quel momento, se continua a fare il ministro, scatta l'inefficacia e la nullità degli atti.
Il dovere di separazione, ovvero l'istituzione del blind trust, rappresenta il terzo tipo di obbligo e scatta in due ipotesi. La prima ricorre quando il titolare della carica di governo possieda, anche per interposta persona o tramite società fiduciarie, partecipazioni rilevanti (e si rinvia al codice civile per la determinazione del concetto di partecipazione rilevante) in settori sensibili, ovvero difesa, credito, energia, opere pubbliche di preminente interesse nazionale, comunicazioni di rilevanza nazionale, servizi pubblici erogati in concessione o autorizzazione, nonché imprese operanti nel settore pubblicitario. La secondaPag. 5ipotesi si ha quando la concentrazione di interessi patrimoniali e finanziari del titolare della carica di governo nel medesimo settore di mercato, superiore a dieci milioni di euro, sia tale da configurare il rischio di turbative della concorrenza o di condizionamento dell'attività di governo. Queste sono le due ipotesi per le quali scatta il blind trust.
A questo proposito debbo dire che alcuni colleghi hanno osservato che il blind trust sarebbe una novità nel nostro ordinamento. Non è così e cito alcuni dati per nostra chiarezza. La Convenzione de L'Aja del 1o luglio 1985 ha riconosciuto il blind trust a livello internazionale. Tale Convenzione è stata resa esecutiva in Italia con la legge n. 364 del 1989, entrata in vigore il 1o gennaio 1992. Da tale data il blind trust è un istituto anche dell'ordinamento italiano. Aggiungo che la legge finanziaria per il 2007 lo ha riconosciuto e che il testo unico delle imposte sul reddito prevede, all'articolo 74 (se non ricordo male), un particolare trattamento fiscale proprio per il trust.
Devo poi informare che tale istituto è utilizzato oggi dai giudici delegati, dai giudici tutelari e dai giudici della famiglia nei casi in cui sia necessario stabilire separazione del patrimonio da determinate persone e funzioni.
Ci sono sessanta decisioni di diverse autorità giudiziarie italiane che riconoscono il trust. Questo lo dico per nostra chiarezza. Lo stesso articolo 12 relativo alla separazione dei beni, a cui ho fatto riferimento prima, prevede la vendita dei beni solamente come ultima ratio.
A questo proposito voglio sottolineare che anche coloro che sono stati più duramente contrari all'ipotesi della vendita, peraltro l'hanno considerata percorribile come ultima istanza. Mi riferisco, ad esempio, al professor Caianello che, rispondendo nella scorsa legislatura ad una domanda dell'onorevole Boato, in una seduta del 28 gennaio 2002 della Commissione affari costituzionali, precisò che la vendita era prevedibile soltanto come ultima ratio, come abbiamo qui indicato. Egli afferma espressamente: il soggetto in conflitto di interessi può sapere che la prima volta viene applicata una sanzione pecuniaria di 100 miliardi, la seconda volta gli si sospende l'amministratore, la terza volta riceve una sanzione interdittiva dall'esercizio dell'attività, fino a giungere a misure che potrebbero essere di privazione della proprietà quando si dovessero sforare gli ultimi capisaldi come - il professor Caianello usa un paragone calcistico - il cartellino giallo e il cartellino rosso nel calcio. In sostanza, anche coloro che sono stati i più strenui difensori del principio di tutela assoluta della proprietà privata riconoscono che, in alcuni casi, come riconosciamo anche noi in questo testo, può esservi la necessità della vendita.
Passo ora alla questione dell'Autorità. Abbiamo ritenuto che il governo di queste situazioni debba essere affidato ad una specifica autorità. L'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni hanno esercitato in modo assolutamente rigoroso, serio ed efficace le loro funzioni; però sussiste un profilo che pongo all'attenzione dei colleghi. L'Autorità antitrust è il regolatore del mercato: si può dare allo stesso soggetto la funzione di regolatore anche della politica? In altre parole, può esserci un solo soggetto a mantenere il monopolio delle regole del mercato e della politica? Pongo tale questione perché mi sembra un potere eccessivo, non coerente con i sistemi europei che si reggono sul criterio dei checks and balances, i pesi e i contrappesi, al fine di determinare equilibri nell'esercizio di poteri particolarmente incidenti sulla vita dei cittadini. A me sembra che il regolatore del mercato non possa essere il regolatore anche della politica. Anche questo è un tema che affido all'attenzione dei colleghi per poter decidere insieme nel migliore dei modi.
In relazione ai modelli che esistono in altri Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti e la Spagna, preciso che proponiamo di abolire l'Autorità anticorruzione, prevista da una legge approvata - se non erro - nella scorsa legislatura, e di attribuire le sue funzioni alla nuova Autorità. Lo facciamoPag. 6per due ragioni: anzitutto perché si vuole evitare la proliferazione di Autorità; in secondo luogo, perché in molti altri Paesi la prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione è strettamente legata anche alla gestione e al governo del conflitto di interesse.
Un'ultima questione riguarda il sostegno privilegiato. Sulla base di due decisioni del TAR di Roma, abbiamo ritenuto di individuare due ipotesi di sostegno privilegiato: quella che si svolge durante la campagna elettorale, con la violazione dei principi della par condicio; e quella che si svolge al di fuori della campagna elettorale, durante la vita ordinaria del paese. Dico questo perché il TAR di Roma in due diverse pronunce ha fissato il principio, che mi sembra assolutamente auspicabile, secondo il quale l'equità e l'equilibrio dell'informazione sono un valore costituzionale che non può essere osservato soltanto nella campagna elettorale, ma deve essere osservato sempre. Da questo punto di vista, si è ritenuto opportuno individuare due ipotesi di sostegno privilegiato: quella che fa espresso riferimento alla campagna elettorale e quella, invece, che fa riferimento più in generale a tutti i momenti della vita del Paese.
Infine, intendo replicare a tre argomenti che sono stati posti nel corso del dibattito. Il primo lo ha posto il professor Sartori osservando, sostanzialmente, che sarebbe un errore fissare tutta l'attenzione sul blind trust anziché sulle incompatibilità. Anche in tal caso, forse, il testo era sfuggito, perché in realtà il provvedimento pone al proprio centro il principio dell'incompatibilità, mentre il blind trust costituisce un istituto residuale.
Come ho accennato prima, un collega ha fatto riferimento alla penalizzazione dei piccoli imprenditori. Non è così, perché al piccolo imprenditore non si applica questa proposta di legge. Infine, un altro collega ha fatto riferimento ad agevolazioni fiscali eccessive che sarebbero previste in questo provvedimento. Anche in tal caso si sbaglia: è prevista la neutralità fiscale del passaggio al trust e della restituzione dei beni. Ci mancherebbe che una persona non solo fosse obbligata al trust ma dovesse anche pagare le imposte!
Invece, le imposte si pagano normalmente con i criteri delle persone fisiche, perché il titolare della carica di Governo è persona fisica, in ordine ai guadagni della gestione del trust. Le minusvalenze e le plusvalenze non assumono rilevanza all'interno di questa legge.
Questo è il quadro sintetico del provvedimento. Credo che su una proposta di legge così complessa nessuno debba avere l'ambizione di ritenere che il testo sia intoccabile; soltanto la discussione che potremmo fare in questa Assemblea potrà portarci ad un testo che corrisponda al sentire della maggior parte degli appartenenti a questa Camera - io spero di una larghissima maggioranza - o comunque di un numero considerevole di colleghi. Lo dico perché la materia è molto difficile, complessa e vi sono anche elementi contraddittori. Essa investe, inoltre, un tema fondamentale della democrazia dei moderni e sarebbe utile affrontarla in questa dimensione: come rendere più completa la nostra democrazia attraverso la separazione degli interessi privati dagli interessi pubblici.
Questo è il quadro che sottopongo alla vostra attenzione e, naturalmente, l'intera Commissione sarà molto attenta nel valutare i suggerimenti che emergeranno dal dibattito (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, signori deputati, da oltre un decennio il tema del conflitto di interessi alimenta polemiche e tensioni e attende di essere regolato con equilibrio e saggezza per colmare una grave lacuna presente nel nostro Paese. Esso non riguarda affatto una singola persona, ma coinvolge uomini di Governo e rappresentanti delle istituzioni ai vari livelli, fino ai sindaci deiPag. 7comuni con popolazione, allo stato, superiore ai quindicimila abitanti.
È un tema nuovo e molto delicato, che investe diversi aspetti della stessa vita democratica del Paese, delle regole e delle garanzie che devono assicurare il suo trasparente e corretto svolgimento. Il tema costituisce uno dei punti qualificanti del programma dell'Unione sul quale si sono espressi, attraverso il voto, i cittadini elettori. Da qui l'ineludibile esigenza di mettere mano ad una riscrittura di una legge, introducendo in Italia sistemi effettivi di prevenzione e di risoluzione dei conflitti di interessi, anche al fine di garantire maggiore trasparenza e imparzialità all'azione di Governo e per restituire ai cittadini certezza e fiducia nella politica.
Nell'attuale legislatura è stata presentata dai presidenti dei gruppi della maggioranza della Camera la proposta di legge n. 1318: il testo, chiaro negli obiettivi che si prefiggeva, è stato una buona base di partenza per il lavoro via via sviluppato dalla Commissione affari costituzionali che, oggi, propone all'Assemblea un lavoro serio, approfondito e prezioso, conseguito con il contributo di tutte le forze politiche, pur nella diversità delle opinioni. Vi è stata, dunque, una proficua ed intensa attività di studio della I Commissione che, insieme all'equilibrata e tenace direzione del presidente, Luciano Violante, ha portato a sintesi un lavoro egregio, attraverso un'analisi puntuale dei diversi istituti e passaggi, procedurali e sostanziali, che coinvolgono il mosaico normativo in tema di conflitto di interessi. Si è così pervenuti a licenziare per l'Assemblea il testo oggi in esame che, sotto diversi punti di vista, rappresenta un grande passo in avanti verso il raggiungimento di una regolamentazione completa e condivisibile.
Il Governo, nel corso di questo articolato iter elaborativo, non ha fatto mancare la sua attiva presenza rappresentando alla Commissione, anche attraverso la presentazione di talune proposte emendative, l'esigenza di aggiungere alcune previsioni e di articolarne meglio altre, sempre in un'ottica di positiva collaborazione, resa possibile anche grazie all'attenzione e alla disponibilità dell'onorevole relatore, che ha svolto davvero un eccellente lavoro, e di questo lo ringrazio.
Peraltro, sin dall'inizio del dibattito parlamentare, l'atteggiamento del Governo è stato improntato al massimo rispetto per le autonome scelte della Commissione, sul condiviso presupposto che una materia come quella che stiamo trattando, così importante e delicata, non debba tanto essere il frutto dell'indirizzo politico governativo ma, piuttosto, il risultato di un ampio dialogo e confronto fra tutte le forze politiche presenti in Parlamento.
In particolare, il Governo sottolinea con soddisfazione che il testo portato in Assemblea dal relatore costituisce un'importante sintesi tra le diverse esigenze che sono emerse in ordine alla problematicità del conflitto di interessi e che molto egregiamente il presidente Violante ha rappresentato poco fa nella sua completezza.
Tali esigenze sono costituite dalla necessità di un'adeguata tutela dell'individuo, nel suo diritto di proprietà e nella sua libertà di iniziativa economica, e del pubblico interesse affinché il complesso delle attività di natura economica e patrimoniale facenti capo al singolo titolare della carica di governo non ne condizioni le scelte e non ne mini alla base l'imparzialità e l'esclusivo servizio al bene del Paese, così come prescritto dall'articolo 97 della Costituzione.
È necessario regolamentare la materia al fine di evitare che l'uso improprio della ricchezza influisca in modo distorsivo sulla formazione della volontà politica e che, nelle decisioni in materia di pubblico interesse, non incidano in modo aberrante gli interessi economici, personali e privati, di chi è chiamato a decidere in nome e per conto dell'interesse collettivo, concorrendo a determinare o determinando le scelte pubbliche.
Il progetto di legge in discussione si articola su un complesso di misure che l'ordinamento mette a disposizione degli organi e dei soggetti interessati al fine di eliminare il conflitto di interessi, che l'articolo 2 configura come una situazione di mero pericolo.Pag. 8
La disciplina prevista, innanzitutto, muove dall'esigenza che chi intende assumere una carica di governo, in un'ottica di massima trasparenza (anche nei confronti della pubblica opinione), debba dichiarare la propria situazione patrimoniale e il complesso delle attività economiche esercitate. L'istituenda Autorità di garanzia sarà chiamata a esaminare tale dichiarazione e a stabilire se, in astratto, da essa risulti il pericolo che il soggetto si trovi in situazione di conflitto di interesse.
Sottolineo, per la tranquillità di tutti, che la dichiarazione dell'Autorità non causa effetti immediati, ma avvia un procedimento nel quale sono assicurate all'interessato le più ampie facoltà di interlocuzione e di proposizione, fino anche a consentirgli di proporre all'Autorità i mezzi e i modi attraverso i quali intende uscire dalla situazione di conflitto.
Gli strumenti tipici attraverso cui il provvedimento risolve il conflitto di interessi sono, oltre al più generale obbligo di astensione, l'incompatibilità e la separazione di interessi, attraverso il cosiddetto trust cieco. In via residuale, inoltre, è ferma la scelta dell'interessato di ricorrere alla vendita di parte del patrimonio e ciò si pone come extrema ratio rimessa alla scelta dell'interessato. Dunque, al titolare della carica di governo è lasciata un'ampia possibilità di opzione tra soluzioni alternative.
Da tale punto di vista, assume un significato del tutto speciale l'intera fase lasciata all'individuazione di una soluzione concordata tra soggetto interessato e autorità preposta.
In ordine ai timori da più parti avanzati sulla costituzione del blind trust, occorre aver presente che si tratta di un istituto ampiamente utilizzato nelle democrazie occidentali, anche in modo specifico, per risolvere le situazioni di conflitto di interessi. Peraltro, il trust cieco è un istituto che non va demonizzato, poiché si risolve in una gestione fiduciaria del patrimonio con la peculiarità del divieto di ingerenza del titolare al fine di garantire la separazione degli interessi.
Il progetto di legge in esame - lo ricordavo all'inizio - lungi dal colpire una persona sola, coinvolge, invece, uomini di governo e rappresentanti delle istituzioni ai vari livelli, fino ai sindaci, rinviando, inoltre, alla legislazione regionale concorrente per l'applicazione di tali regole ai componenti degli organi di governo regionali.
Il Governo, pertanto, non può che manifestare il suo apprezzamento per il proficuo ed appassionato lavoro svolto dalla I Commissione e per l'opera compiuta, esprimendo la sua gratitudine a tutte le forze politiche, anche a quelle di opposizione, che con i loro suggerimenti e le loro proposte hanno consentito di giungere ad un testo più equilibrato rispetto alle diverse proposte in campo. Il testo in esame è frutto di questo clima di sereno confronto ed è tale clima che il Governo si augura venga mantenuto anche nella discussione in Assemblea.
Il Governo intende seguire con rispetto ed attenzione il dialogo con le forze politiche di maggioranza e tra queste ultime e le forze politiche di opposizione, fidando nella capacità del Parlamento di provvedere in tempi rapidi al varo di una legge giusta ed efficace. L'avvio della discussione di oggi è, dunque, una preziosa occasione per riflettere ulteriormente insieme e approfondire specifici profili, contemperando al meglio le diverse esigenze e proposte.
Del resto, nel tempo, tutte le forze politiche hanno espresso l'esigenza di giungere ad una regolamentazione della materia attraverso regole e garanzie che, più o meno condivise, colmino un'esigenza generalmente avvertita e che negli anni è stata, appunto, fonte di polemiche anche molto accese e di equivoci che hanno coinvolto molto la pubblica opinione. A mio parere, anzi, le incomprensioni sono state, in passato, anche molto più radicali per una diversità di fondo, in primo luogo sul piano culturale, sulle modalità con le quali affrontare un tema così delicato e come misurarsi con esso.
Come, però, l'ampio e approfondito dibattito fin qui svolto dimostra, oggi lePag. 9maggiori diversità riguardano solo le violazioni delle modalità di regolamentazione: mi sembra, al di là delle legittime diversità di opinione, un grande passo in avanti per contribuire fortemente alla crescita democratica del nostro Paese.
Ora ci attende un impegnativo lavoro in Assemblea, che spero avvenga nello stesso spirito e nello stesso clima che hanno contraddistinto fin qui il lavoro svolto, in modo da permetterci di conseguire il positivo risultato di licenziare una legge che, al di là delle contingenti differenziazioni politiche legate alla fase in atto, in un futuro prossimo possa riscuotere quell'apprezzamento e quella condivisione più larga che oggi sembrano non esserci.
Il Governo, anche nei prossimi giorni, non mancherà di assicurare il più positivo contributo per giungere alla definizione di un testo coerente, rigoroso, efficace e non inutilmente vessatorio, nel rispetto dello spirito e della lettera della Costituzione italiana (Applausi di deputati dei gruppi L'Ulivo e Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bruno. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO. Signor Presidente, ringrazio il Governo e il relatore, ma nel mio breve intervento - atteso che altri colleghi della mia parte politica interverranno sull'argomento - non posso esimermi dal porre l'attenzione su taluni punti - credo fondamentali - che marcano quanta divisione vi sia tra la nostra impostazione e quella che ora abbiamo ascoltato dal relatore, il presidente Violante.
Invero, il provvedimento in esame poggia il suo principale impianto argomentativo partendo da una visione e da una filosofia diverse rispetto a quelle che hanno ispirato la legge cosiddetta Frattini sul conflitto di interessi, la quale - voglio ricordarlo a tutti - è vigente, ha spiegato i suoi effetti nei confronti dei membri del Governo che ci ha preceduto e spiega i suoi effetti anche nei confronti dei membri del Governo in carica.
Parlavo di una diversa filosofia in quanto, in quella sede, ponemmo alla base del conflitto di interessi l'atto, mentre questa volta si è voluto ragionare sui soggetti: è facile dedurre, quindi, come da un conflitto di interessi reale siamo passati ad un conflitto di interessi eventuale e preventivo, che è un po' la filosofia della sinistra, non solo italiana, ma internazionale.
Già questo dato di partenza non ci trova d'accordo, perché ci porterà, come avrò modo succintamente di dire, a conseguenze che riteniamo disastrose per il sistema, perché sappiamo benissimo qual è il soggetto al quale si intende inibire l'attività di governo, ma nel farlo, probabilmente, si va oltre le intenzioni: quindi, serve un po' di coraggio se la finalità è quella, oppure un po' di coscienza e di scienza se la finalità è un'altra.
A me sembra, appunto, che il provvedimento voglia colpire tutti coloro che, nella propria esistenza, hanno dimostrato di valere nelle professioni, nelle imprese e nel lavoro, che sono e rimangono il nerbo e il perno della società civile, economica e politica del Paese.
Infatti, se non ci fossimo incamminati in questo percorso schizofrenico e intimidatorio, si sarebbe dovuto lavorare sulla legge Frattini per migliorare quelle parti che, in sede di vigenza e di attuazione, hanno prestato il fianco a qualche critica, come è stato giustamente detto e come i presidenti delle due Authority hanno evidenziato in sede di audizione.
Invece, si è voluto intraprendere questo cammino tortuoso, difficoltoso, a tratti incomprensibile e - credo - altamente punitivo. Si tratta, però, di una punizione gratuita, perché non possiamo pensare neppure per un momento che il provvedimento in esame possa arrivare alla fine dell'iter legislativo per colpire solo ed esclusivamente un soggetto.
Dagli interventi in Commissione, abbiamo registrato che, da parte di taluni in particolare, vi era proprio un «fuoco», che pervade in qualche modo tutta l'odierna compagine del centrosinistra. Siamo altrettanto consci, però, che, se tutti ci fermassimo un attimo a riflettere, dovremmo convenire che non possiamo conPag. 10dividere un provvedimento come quello portato all'esame dell'Assemblea che, a nostro parere, offende i più elementari diritti costituzionali che sono alla base del nostro vivere in una comunità ove valgono le regole condivise e l'osservanza delle stesse.
Mi auguro che, come ha suggerito il presidente Violante, una più ampia riflessione (che certamente non può essere svolta in Assemblea, ma probabilmente rinviando il testo in Commissione) possa riportare nel giusto alveo la materia, che - su questo aspetto concordo - è di difficile soluzione. Credo, quindi, che occorra uno sforzo di intelligenza da parte di tutti.
Passando al testo, a mio avviso, il provvedimento sottoposto all'attenzione di tutti i colleghi presenta dei vizi di sistema, che mi permetto di sintetizzare. Ho già accennato alla diversa ispirazione, che corrisponde ad una concezione preventiva del conflitto di interessi, che finisce per imporre limiti arbitrari alla possibilità dei cittadini di accedere a cariche di governo. Si tratta di limiti incentrati sull'entità e sulla composizione del patrimonio, della cui compatibilità con il principio di uguaglianza vi è un ampio spazio per dubitare.
Il conflitto di interessi, così come è stato proposto, resta non definito nella sua componente negativa, che costituisce l'elemento che dovrebbe giustificarne l'antigiuridicità, la quale non può che consistere, come è ovvio, nella lesione di un interesse pubblico giudicato meritevole di tutela. D'altro canto, l'interesse pubblico protetto non potrebbe identificarsi nella mera imparzialità dell'azione di governo, poiché, in tal caso, resterebbe comunque indimostrato il nesso tra questo e l'entità e la composizione del patrimonio di chi governa, che costituisce il perno di tale provvedimento.
Difettando l'identificazione dell'interesse pubblico tutelato, resta priva di giustificazione la previsione di incompatibilità rispetto a cariche di governo posta a carico di taluni soggetti.
Sbaglia, pertanto, il relatore quando afferma che, con un suo emendamento, vorrebbe identificare l'interesse pubblico tutelato nel corretto funzionamento del mercato.
Conseguentemente, gli elementi che dovrebbero determinare l'incompatibilità sono individuati in maniera arbitraria, senza alcuna dimostrazione del nesso tra gli stessi e la presunta, in modo assoluto, non idoneità a governare.
Tale arbitrio costituisce, forse, la prova più evidente delle finalità contra hominem del provvedimento. È emblematica, in proposito, la parte che rende inconciliabile con l'attività di governo la titolarità di «imprese operanti nel settore pubblicitario». Il carattere quasi provvedimentale e la palese irragionevolezza del provvedimento costituiscono, a mio parere, ulteriori sintomi di incostituzionalità.
Il testo introduce, inoltre, altre ipotesi incostituzionali di decadenza da cariche di Governo - pur sotto le mentite spoglie, presidente Violante -, di tacito esercizio di opzione dell'interessato per cariche non compatibili o per il mantenimento di beni che dovrebbero essere alienati o fatti oggetto di trust cieco.
La decadenza conseguirebbe soprattutto a valutazioni dell'istituenda Autorità. In tal modo, il provvedimento in esame interferisce con prerogative costituzionali del Parlamento ed indirettamente dell'elettorato, che sono gli unici soggetti competenti ad esprimere giudizi politici sull'operato del Governo, mediante lo strumento della mozione di sfiducia individuale o collettiva.
Vi è un ulteriore aspetto di incostituzionalità, sempre nel punto che precede, e che ritengo sia ancor più grave, ove si rilevi che le valutazioni demandate all'Autorità sono anche politiche, non soltanto tecniche. È sufficiente considerare la parte ove si richiede all'Autorità - e alle altre autorità amministrative indipendenti ivi citate - di valutare l'idoneità del patrimonio di chi governa «a condizionare l'attività di Governo» (questo è un suo emendamento). Si tratta di un giudizio sull'idoneità del prescelto a governare che spetta agli elettori e quindi al Parlamento, in sede di voto di fiducia.Pag. 11
Si prevede poi che l'Autorità debba essere comunque un organo di nomina parlamentare, benché composto di soggetti che abbiano specifiche qualità tecniche. Dunque, essa potrebbe costituire espressione della maggioranza, o comunque rispecchierebbe nella sua composizione i rapporti tra le forze parlamentari. Ciò conferma che non vi è alcuna necessità di attribuire il giudizio politico su chi governa a soggetti diversi dalla maggioranza parlamentare, contrariamente a quanto, in Commissione, è stato affermato dai deputati di maggioranza, contro la proposta di Forza Italia di istituire una Commissione parlamentare per la prevenzione dei conflitti di interesse. L'origine parlamentare dell'ipotizzata nuova Autorità ne dimostra al tempo stesso la superfluità.
Poiché la durata della carica dei componenti l'Autorità è superiore rispetto a quella della legislatura, esiste il forte rischio che, in caso di cambio di maggioranza all'esito delle elezioni politiche, l'Autorità compia valutazioni pregiudizialmente avverse alla nuova maggioranza, in maniera che potrebbe sovvertire le scelte dell'elettorato o comunque interferire su di esse.
Gli strumenti ipotizzati per la rimozione del conflitto di interesse appaiono anch'essi profondamente criticabili. Si prevedono i due rimedi, anche cumulabili, dell'alienazione forzata - secondo un emendamento del relatore eseguibile anche direttamente dall'Autorità, in caso di inerzia dell'interessato - e del trust cieco. Si tratta di due mostruosità giuridiche generate dal pregiudizio secondo cui la mera perdita della facoltà di gestione, da parte del titolare di cariche di governo, non sarebbe sufficiente a garantirne l'imparzialità. Il tributo che il provvedimento in esame vorrebbe fosse pagato a questo pregiudizio è il grave rischio di impoverimento di chi governa, ma anche e soprattutto di affidamento della titolarità della gestione di importanti cespiti di impresa a soggetti non idonei, perché scelti dall'Autorità, o da questa condizionati in maniera impropria, con il conseguente grave danno per l'interesse pubblico e l'economia nazionale.
Il ricorso al trust cieco, imperniato sul richiamo alla Convenzione de L'Aia sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, impone che un rapporto di grande importanza per la vita istituzionale del Paese - che coinvolgerebbe comunque rilevanti interessi economici - sia affidato a un diritto straniero. Peraltro, tale diritto subirebbe l'ibridazione derivante dalla generica verifica di compatibilità con l'ordinamento interno e con la nuova disciplina prevista in una parte del provvedimento in esame, nonché dai penetranti poteri attribuiti all'Autorità, con le prevedibili difficoltà di funzionamento dell'istituto che ne deriverebbero. Credo che si tratti di un caso senza precedenti nella storia legislativa del mondo.
Il provvedimento in esame è infedele anche rispetto al declamato modello di origine, rappresentato dal blind trust statunitense. La norma statunitense di riferimento sanziona la condotta di chi partecipi all'adozione di provvedimenti rispetto a cui egli, o soggetti a lui vicini, posseggono «financial interesta». La norma è accompagnata da un generale obbligo di disclosure degli interessi patrimoniali di chi ricopre cariche o utilizza fondi pubblici, funzionale all'esercizio di un giudizio di responsabilità politica od amministrativa, che segue comunque le regole ordinarie.
Il blind trust non è un obbligo volto ad impedire l'accesso di alcuni soggetti a cariche di governo, come nel provvedimento in esame, bensì è uno strumento che può essere utilizzato per realizzare una netta separazione tra chi governa ed alcuni interessi patrimoniali che potrebbero facilmente esporlo a giudizi politici negativi o a responsabilità amministrativa. Si tratta di un ausilio per chi governa o aspira a governare, non di una sanzione.
Debbo evidenziare, infine, che il provvedimento compie un ulteriore uso improprio dello strumento della sanzione amministrativa, che dovrebbe colpire atti di governo, inclusi atti di indirizzo politico,Pag. 12sulla base di mere valutazioni discrezionali o di opportunità dell'Autorità. La minaccia di sanzioni pecuniarie costituirebbe un grave, quanto evidentemente incostituzionale, strumento di pressione sull'attività del Governo che ne potrebbe compromettere in modo importante l'autonomia.
Cari colleghi, caro Presidente e signor rappresentante del Governo, mi avvio alla conclusione, Se veramente - e lo abbiamo dimostrato in Commissione, con la nostra presenza e con la nostra collaborazione - abbiamo a cuore l'esigenza di dotare il sistema ordinamentale italiano di una legge sul conflitto di interessi, che sia diversa o vada sulla falsariga di quella che ha ispirato la cosiddetta legge Frattini, noi siamo pronti e a disposizione per un confronto serio e sereno, come abbiamo fatto fino ad oggi. Se invece l'elemento primario deve e continua ad essere solo quello punitivo, ritengo che l'atteggiamento che dobbiamo, per coscienza, assumere in questa Assemblea e fuori, è un atteggiamento di grande rottura, perché non credo che sia possibile che una parte del Parlamento, possa, passando dalla porta o dalla finestra, decidere le sorti della democrazia di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Rivolgo, anche a nome dell'Assemblea, un saluto ai docenti e agli studenti dell'Istituto comprensivo «Arcoleo» di Caltagirone, che sono in visita alla Camera (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.
ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, in un sistema economico moderno ed efficace, la certezza delle regole rappresenta uno dei pilastri fondamentali. Allo stesso tempo, è importante che ci sia una distinzione chiara tra la politica e l'economia: l'una deve disegnare il quadro di regole entro il quale l'intero sistema deve muoversi liberamente; l'economia, poi, in piena armonia tra la libera concorrenza e l'efficacia sociale, può e deve suggerire come e quando il quadro di regole deve subire modificazioni ed aggiornamenti. Il nostro Paese per lunghi anni ha vissuto anomalie in riferimento a tutto ciò. Vi è stata una mancanza di netta autonomia tra la politica e l'economia. Le stesse istituzioni deputate a distinguere i ruoli sono a volte risultate mortificate da una velocità di eventi che hanno spinto l'economia oltre e troppo «in avanti» rispetto alla politica. Questo è certamente un bene per lo sviluppo della ricchezza, ma non è detto che sia un bene per lo sviluppo della società, dei rapporti e per il futuro del Paese.
Spesso si può essere ricchi, ma sottosviluppati; a volte è meglio essere poveri, ma sviluppati. Voglio dire che in questa situazione la certezza delle regole è stata sacrificata dalla velocità degli eventi economici; la politica a volte è risultata balbettante, insicura, incerta. Proprio per dare risposta a tutto ciò, il sistema sociale moderno ha bisogno di regole certe e semplici, di ruoli chiari e distinti.
Troppe volte, nel nostro Paese, il confine tra finanziatore e beneficiari dei finanziamenti, tra controllore e controllati, tra promotore e destinatari, è diventato come quelle linee prodotte dalle onde sulle spiagge, che si forma e scompare ad ogni ondata.
Troppe volte vi sono stati impegni a risolvere i conflitti di interesse, ma spesso i cittadini hanno percepito, piuttosto, un interesse per i conflitti. Oggi sembra quasi che l'intera società sia permeata da svariate situazioni di incompatibilità, e risulta difficile la comprensione dei ruoli di ognuno.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ANTONIO RAZZI. Tutto sembra sfidare la certezza dei ruoli, contando sul fatto che vi è una confusione di regole: le regole sono un valore fondamentale di una società civile!
La situazione di confusione tra la guida di grandi gruppi economici e le scelte generali del Governo del nostro Paese ha costituito una vera e propria «unione di fatto» tra economia e politica, un'anomaliaPag. 13del tutto italiana, e tutto ciò si è per anni trascinato, come un modello, nell'immaginario collettivo.
Oggi, bisogna rimettere le cose al proprio posto, e ricostruire la normalità nel nostro Paese, e il sistema di regole democratiche...
PRESIDENTE. Onorevole, ha concluso il tempo a sua disposizione.
ANTONIO RAZZI. Concludo, Signor Presidente.
Ma è necessario dirlo e farlo in maniera chiara e con il più largo consenso possibile. La situazione riguarda i grandi, ma anche i piccoli casi, i generali ma anche i soldati: la legge è uguale per tutti!
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, anzitutto ringrazio l'onorevole Violante per il lavoro intenso, e intellettualmente altamente qualificato, che ha svolto in Commissione, consentendoci di giungere finalmente alla discussione di un testo equilibrato e capace di risolvere il conflitto di interessi. Lo ringrazio altresì non solo per la relazione scritta, alla quale immediatamente mi richiamerò, ma anche per l'accenno verbale che qui ha voluto ripetere, per rispondere immediatamente (anzi, in anticipo) a quanto l'onorevole Bruno, di Forza Italia, ha voluto dirci ancora una volta - dopo averlo fatto in Commissione - vale a dire che la legge sul conflitto di interessi sarebbe una legge ad personam, rivolta contro un singolo individuo, e con la quale non si intenderebbe risolvere una situazione generale, bensì impedire ad un singolo (non lo ha nominato, ma è l'onorevole Berlusconi) l'accesso alle cariche di governo.
Il presidente Violante ha giustamente ricordato - vorrei sviluppare proprio tale aspetto nella prima parte del mio intervento - che il problema del conflitto di interessi, in altre parole i problemi che sorgono nel rapporto tra potere economico e quello politico, sono tanto antichi quanto è antico lo Stato moderno.
Mi permetto di ricordare in questa Assemblea che già agli albori dello Stato moderno una personalità come Machiavelli ebbe a dire che «la ragione è facile a intendersi», del rapporto difficile tra ricchezza e potere, perché «non il bene particulare», come si esprimeva il segretario fiorentino, «ma il bene comune è quello che fa grandi le città. E senza dubbio questo bene comune non è osservato se non nelle repubbliche. Al contrario», dice Machiavelli, «interviene quando vi è uno principe; dove il più delle volte quello che fa per lui, offende la città; e quello che far per la città, offende lui. Dimodoché, subito che nasce una tirannide, sopra uno vivere libero».
Al di là dello stile un po' antico, il segretario fiorentino è molto penetrante nell'individuare un conflitto tra potere politico e ricchezza. Si potrebbe certamente obiettare che questo scritto, tratto dai discorsi di Machiavelli, sia il portato del suo moralismo e del suo amore per le repubbliche antiche, in particolare quella romana, dove appunto il dovere civico era al di sopra di qualsiasi altro impegno ed interesse.
Invece, penso che queste parole di Machiavelli, come il presidente Violante, senza citarlo, ci ricordava, sono alla base della nascita, della strutturazione, della costruzione dello Stato moderno, perché è agli inizi dello Stato moderno che si pone il problema della separazione tra il patrimonio del principe, il patrimonio del re e il patrimonio pubblico; è all'inizio dello Stato moderno che si afferma la necessità di distinguere la ricchezza privata dalla ricchezza pubblica, ed è solo questa distinzione che consente di fare emergere all'interno della storia dello Stato moderno, che è durata secoli, lo Stato come organo, lo Stato come personalità. SenzaPag. 14questa distinzione originaria non avremmo avuto la distinzione tra il re come persona, il re come persona possidente, e il re come funzione pubblica, il re come capo dello Stato.
Quindi, un problema di separazione della ricchezza privata dalla ricchezza pubblica si è subito immediatamente posto. Certo, si potrebbe dire che si è posto semplicemente nella storia dell'Europa continentale, dell'Europa al di qua della Manica, laddove si è sperimentata la costruzione dello Stato moderno come espressione dello Stato assoluto. Invece, vorrei dirvi che questa stessa tematica, sia pure in un versante liberale, si è presentata anche nella grande rivoluzione inglese, la prima rivoluzione liberale: nella discussione che si ebbe a Putney, tra i livellatori e Ireton e Cromwell, venne immediatamente alla luce il problema della ricchezza, nella formula che vide contrapposti i livellatori, che pretendevano che la ricchezza non fosse la qualità, la caratteristica, la misura necessaria per poter accedere alle elezioni e quindi alla rappresentanza, e quelli che passarono come repubblicani avanzati, Cromwell e Ireton, che sostennero invece la necessità di legare il diritto di voto, la franchigia, come si diceva allora, e la proprietà.
Il tema di legare il diritto di voto alla proprietà, ad un certo livello di pagamento delle tasse, è un tema che ha attraversato la costruzione degli Stati rappresentativi e non solo degli Stati assoluti e anzi ha fatto di questo legame, proprietà-diritto di voto, un punto di forza nella costruzione dello Stato liberale, perché ha legato la capacità di essere istruiti, la capacità di essere parte dell'opinione pubblica illuminata, alla proprietà e alla ricchezza. Non solo nell'Inghilterra di Cromwell e di Ireton, ma anche nella Repubblica federale americana, si legò sempre il diritto di voto alla ricchezza, con l'argomentazione che la ricchezza, la possibilità di esercitare un'intrapresa, sia piccola sia grande, legava l'interesse del proprietario all'interesse della nazione. Dunque, i non proprietari, i poveri, non avendo interessi materiali di ricchezza che li legavano all'organizzazione della società, erano esclusi dal diritto di voto. Sul diritto di voto, per interrompere il suo legame con la ricchezza, si svolsero manifestazioni e rivoluzioni: ricordo quella del 1789 in Francia, che pure ribadì il legame tra proprietà e ricchezza, se non nella Costituzione del 1793, mai entrata in vigore; ricordo inoltre i movimenti cartisti e le riforme degli anni Trenta dell'Ottocento in Inghilterra. Insomma, il tema rappresentanza-ricchezza si è sempre presentato nella storia degli Stati moderni e contemporanei, fino al punto che solo dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale abbiamo avuto il suffragio universale, dapprima maschile e dopo femminile. Solo il suffragio universale interrompe il rapporto tra ricchezza e diritto di voto, anzi per la prima volta solo con il suffragio universale il voto non viene più inteso come una funzione pubblica, da esercitarsi da parte dei ceti proprietari, ma invece viene vissuto come un diritto.
Quindi, onorevole Bruno, il problema ricchezza-rappresentanza politica, il problema potere economico-sfera pubblica si è sempre posto. Secondo me, ha fatto bene l'onorevole Violante, soprattutto nella sua relazione scritta, a richiamare queste tematiche.
La rivoluzione borghese - come ricordava l'onorevole Violante - nasce come distinzione tra la società civile e la sfera pubblica. Quest'ultima, infatti, dovrebbe essere affidata a persone che, in quanto portatori di interessi pubblici, non abbiano interessi privati da difendere. Questo è il tema del contendere! La questione dei conflitti tra potere economico e potere politico, che oggi ci apprestiamo ad affrontare e, speriamo, a risolvere, non rappresenta soltanto un fatto storico. Essa va oltre le vicende politiche attuali del nostro Paese e sorge, con maggiore drammaticità e forza, in relazione ad una questione che desidero richiamare e di cui voglio dare atto all'onorevole Bruno e a tutti i colleghi di Forza Italia. Mi riferisco alla crisi dello Stato dei partiti, tema presente anche nell'interessante relazione - la cui letturaPag. 15consiglio a tutti - dell'onorevole Violante, il quale cita la terminologia gergale tedesca Parteienstaat.
La crisi dei partiti contemporanei, incapaci di selezionare e convogliare le domande sociali nella sfera pubblica, in Italia coincide con il biennio 1992-1993, in cui si assiste al cosiddetto crollo della prima Repubblica o, sarebbe meglio dire, al crollo dei partiti che hanno portato sulle loro spalle la prima Repubblica. I colleghi di Forza Italia, in particolare l'onorevole Bruno ma ne sentiremo anche altri, hanno sempre sostenuto che Forza Italia ha avuto il merito di elevare, dalla società civile alla sfera politica, nuove figure sociali e professionali come gli imprenditori e i grandi professionisti. Rispetto ai partiti tradizionali, Forza Italia sostiene di aver aperto il circuito della rappresentanza e del potere governativo a nuove figure, «rompendo» con i professionisti della politica. Quest'ultimo è il tema vero che Forza Italia dovrebbe sviluppare, invece di appellarsi ad una presunta vendetta nei confronti dell'onorevole Berlusconi ed esso sarebbe un argomento degno di discussione e riflessione, al fine di valutare come si possa effettivamente garantire a nuove forze l'accesso alla rappresentanza e alle cariche di governo, al di là della selezione che i partiti politici fanno attraverso le vie del corridoio, delle gerarchie e degli scambi di potere interno.
Dobbiamo, tuttavia, sempre tener conto, onorevole Bruno, dell'articolo 3 della Costituzione, il quale recepisce la distinzione tra il potere economico e quelle figure che sono espressione di tale potere - i lavoratori e le lavoratrici - affidando alle istituzioni pubbliche il compito di garantire l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori, i quali soffrono di un handicap di partenza: la loro incapacità di esercitare influenza sociale, dato il loro ruolo di lavoratori dipendenti.
Al di là di questa notazione, tuttavia, non dobbiamo mettere tutte le figure sociali sullo stesso piano. Accetto il confronto nel momento in cui si prevede che figure impegnate nel mercato, nella società civile, con un'influenza sociale notevole e considerevole, possano accedere alle cariche di governo. Il provvedimento in esame, infatti, non si occupa dei problemi della rappresentanza o della eleggibilità, ma intende sanare situazioni di conflitto di interessi. Non si vuole, quindi, onorevole Bruno, impedire a chi è ricco di accedere al governo, ma si vuole semplicemente sanare un conflitto di interessi, nel momento in cui si è chiamati a ricoprire una carica di governo. Questo è il nodo e il cuore della proposta di legge al nostro esame.
Rovescio l'argomentazione portata dall'onorevole Bruno e dai colleghi di Forza Italia. Vi sono nuove figure sociali che accedono alle cariche di governo forti del loro potere economico in quanto fanno parte della business community (mi si conceda l'espressione inglese). Benissimo! Che accedano alle cariche di governo, anche con forme nuove che rompono con i confini e i limiti dei partiti! Tuttavia, proprio per questo motivo, Forza Italia e tutti coloro che sostengono questa tesi dovrebbero chiedere che si provveda immediatamente con una legge che regoli il conflitto di interessi. Se faranno parte del governo figure forti del potere economico, il problema che si porrebbe non è quello di impedire loro l'accesso - la proposta di legge in esame non lo fa - bensì, al contrario, di sanare e prevenire il conflitto di interessi. Questo è il cuore del provvedimento. Questa esigenza non è sentita né da Forza Italia né dai colleghi dell'opposizione. Costoro, da un lato vogliono farsi garanti dell'accesso alle cariche di governo di queste nuove figure sociali, dall'altro non vogliono provvedere a prevenire il conflitto di interessi.
Se questo è il problema, mi sembra che anche la soluzione prospettata questa mattina dall'onorevole Bruno, non funzioni. Perché non funziona? Perché il collega in questione sostiene che l'intenzione di Forza Italia è quella di sanare il conflitto di interessi e per questo motivo, nella scorsa legislatura, è stata approvata la cosiddetta legge Frattini. Quest'ultimo provvedimento, tuttavia, non previene il conflitto di interessi ma interviene ex post,Pag. 16quando il danno è già stato recato all'interesse pubblico. Vengono sempre citate le authority, che noi abbiamo audito in Commissione. Si rileggano, allora, quanto i rappresentanti di queste hanno sostenuto in relazione all'accertamento del danno e su come sia difficile accertare il danno all'interesse pubblico, e ci si accorgerà che occorre intraprendere la strada della prevenzione del conflitto di interessi.
Veniamo ora alla sostanza della proposta avanzata da Forza Italia e illustrata dall'onorevole Bruno. Il collega in questione ha manifestato la volontà che si intervenga mediante una Commissione parlamentare, mettendo in moto il cosiddetto circuito politico, a sanzionare il conflitto di interessi, qualora esso si concretizzi. Egli ritiene, inoltre, che si debba temere che l'Autorità, che si prevede di istituire e che durerebbe in carica sette anni, seppure votata dalla maggioranza potrebbe compiere azioni contro la stessa maggioranza di governo. A questo proposito, mi si consenta la parentesi, faccio rilevare che i membri di queste Autorità saranno eletti con voto limitato; conseguentemente, le minoranze e le opposizioni saranno sempre presenti al loro interno con loro rappresentanti.
Onorevole Bruno, anche queste sue considerazioni testimoniano la debolezza delle proposte avanzate da Forza Italia. Qual è la debolezza di tali proposte? Se con la proposta di legge in esame si vuole interrompere l'intervento delle forze politiche presenti in Parlamento e, in generale, della politica, nella questione del conflitto di interessi, affinché essa non sia strumentalizzata, e a questo fine si prevede di istituire un'Autorità terza che operi secondo i dettami della legge, il ragionamento portato avanti dall'onorevole Bruno mi sembra presenti una falla enorme data dal fatto che si vuole fare intervenire le forze politiche di maggioranza per sanzionare un conflitto di interessi. Onorevole Bruno, le rivolgo una domanda molto semplice: si è mai vista una maggioranza sanzionare un conflitto di interessi del proprio Presidente del Consiglio o di un ministro al quale la stessa ha dato la fiducia? È mai possibile che essa possa esporsi al ludibrio pubblico dicendo di essersi sbagliata, non essendosi accorta dell'esistenza di un conflitto di interessi e di doverlo successivamente sanzionare? Ciò non avverrà mai, se non in casi estremi in cui sia stato commesso un reato. Per tale motivo, è necessario interrompere il circuito politico nel sanare e nel sancire l'esistenza di un conflitto di interessi, affidandolo ad un'Autorità terza che intervenga per legge.
In proposito vorrei fare una seconda considerazione, sempre rivolta all'onorevole Bruno ed ai deputati ed alle deputate di Forza Italia. Il nucleo di fondo dello Stato di diritto, quello che gli inglesi chiamano rule of law, consiste semplicemente nel fatto che alcuni campi di decisione, di sanzione, determinati conflitti, vengono sottratti al circuito politico ed affidati dalla legge ad un'autorità terza. Seguiamo, quindi, i principi di fondo dello Stato di diritto istituendo questa Autorità.
Certo, si potrebbe obiettare - ma non è stato fatto - perché tale compito non sia stato affidato, allora, all'organo che ha per vocazione la terzietà: la magistratura. Il motivo è semplice: perché in tal modo conferiremmo alla magistratura un potere di intervento sulla politica. A ciò si aggiungono le considerazioni di ordine nazionale riguardanti il fatto che, negli ultimi decenni, la magistratura è stata chiamata a sanare molte situazioni che la politica non è stata in grado di sanare, a cominciare dalla crisi del 1992-1993, quando i partiti della cosiddetta prima Repubblica vennero messi «sotto naftalina» attraverso i referendum prima e la legge elettorale poi.
L'autorità terza prevista da questa proposta di legge, che speriamo sia approvata dal Parlamento, non applica sanzioni (anche sotto tale profilo l'onorevole Bruno è stato troppo corrivo, mi si consenta, nel parlare di sanzione): in questo caso, nel conflitto di interessi non c'è nessuna sanzione. Si constata, piuttosto, attraverso fattispecie determinate dalla legge, un'incompatibilità e si ricorre al rimedio della separazione degli interessi. Non è previstaPag. 17alcuna sanzione, tranne per coloro che non ottemperano all'obbligo di dichiarazione, come peraltro previsto nella stessa cosiddetta legge Frattini; quindi chi dice che il provvedimento in esame contiene delle sanzioni o che sanziona per impedire l'accesso alle cariche di governo, secondo me, dice una cosa non vera, non rispondente né alla lettera, né allo spirito della proposta di legge in oggetto.
Il provvedimento in esame mira, per un verso, a garantire l'astensione nel momento in cui il titolare di una carica di governo voglia prender parte ad una decisione: c'è un obbligo di astensione generale e l'Autorità ha anche, a sua volta, il potere di indicare, al limite su richiesta dello stesso interessato, i campi in cui si possono verificare i conflitti di interesse, prevendosi, appunto, un obbligo di sanzione.
Le due fattispecie, già illustrate dal presidente Violante, sono la separazione degli interessi e l'incompatibilità. Le due fattispecie di incompatibilità legate, appunto, alla specificità dell'esercizio di una carica di governo sono: quella relativa alla proprietà di un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro e quella relativa alla titolarità o alla gestione di un'impresa in regime di concessione. Quelli appena citati sono i casi di incompatibilità specifica.
C'è poi la separazione degli interessi e solo in questo caso interviene, eventualmente, il blind trust. Comunque, mi pare che questa proposta di legge sia uno strumento per garantire - non per impedire - che chi acceda alle cariche di governo non porti con sé un conflitto di interessi e che l'interesse pubblico sia predominante, sia la cura fondamentale dei titolari di cariche di governo.
L'imparzialità citata nell'articolo 97 della nostra Carta costituzionale - altro accenno fatto dall'onorevole Bruno - significa, secondo la lettura che ne do, non solo giudicare dei casi in maniera equa, ma anche non subire un condizionamento di interessi, non essere di parte, appunto. Dobbiamo fare modo che, chi è portatore di interessi economici forti, perché di questo tratta la proposta di legge in esame, chi assume cariche di governo, non sia condizionato dalla parzialità dei suoi interessi.
Il provvedimento in esame si può migliorare. Come Rifondazione Comunista faremo sforzi per introdurre quelli che, a nostro avviso, sono dei miglioramenti; ma li vedremo articolo per articolo, emendamento per emendamento.
C'è da risolvere, poi, il problema dell'incompatibilità e della decadenza dalla carica, cui accennava, ancora una volta, il presidente Violante, su cui stiamo riflettendo. Nei prossimi giorni avremo modo di valutare su come introdurre una clausola di decadenza nel rispetto della Costituzione.
C'è il problema dei comuni, su cui abbiamo già discusso. Ma certo - voglio dirlo apertamente in questa sede - noi di Rifondazione comunista-Sinistra europea, e mi avvio a concludere, non abbiamo cercato i clamori della stampa, dicendo dei «no» o introducendo degli argomenti, come l'ineleggibilità, per avere una citazione sugli organi di stampa e sui mass media, per dire che c'è qualcuno che si oppone. Noi abbiamo svolto un lavoro costante all'interno della Commissione, perché abbiamo ritenuto giusta l'impostazione che ci veniva proposta e a cui collaboravamo in prima persona. Ci sembravano e ci sembrano convincenti le soluzioni che abbiamo adottato; nulla è perfetto al mondo, ma certo si colpiscono i casi che abbiamo vissuto nel nostro Paese.
Le imprese in regime di concessione ricadono nell'incompatibilità speciale. Non siamo d'accordo - ma siamo stati gli unici a presentare un provvedimento a questo proposito - a introdurre ipotesi di ineleggibilità con riferimento alle cariche di governo: un conto è la rappresentanza, altro conto sono le cariche di governo. Per tale motivo penso che, parallelamente a questa proposta di legge, dovremo anche trattare i casi di ineleggibilità e di incompatibilità in tema di rappresentanze, che è materia su cui il legislatore è intervenuto in maniera fortemente contraddittoria. La materia è complessa in quanto i casi sonoPag. 18molteplici. Dovremo lavorarci - in Commissione c'è un impegno in tal senso -, ma non facciamo appello all'ineleggibilità per dire che questo provvedimento è insufficiente. Quello è un altro argomento!
In conclusione, Rifondazione Comunista si è impegnata a sostenere questa proposta di legge, a cui presenteremo degli emendamenti per migliorarla. Sosterremo fino in fondo lo sforzo che la I Commissione ha fatto per portare in porto questa importante proposta di legge, che finalmente distinguerà gli interessi privati da quelli pubblici, obbligando chi assume cariche di governo a rispettare l'interesse generale del nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, L'Ulivo e Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, credo che purtroppo il destino di questa proposta di legge sia che molti o tantissimi ne discutano senza nemmeno averne letto il testo. Vi può, infatti, essere chi ha interesse a dimostrare che questa sia una legge liberticida o chi vuole dimostrare che essa sia una legge troppo cauta e non liberticida nei confronti di talune persone.
Mi auguro che la pacata e attenta relazione svolta dal presidente Violante e il dibattito che svolgeremo in quest'aula ci consentano di discuterne serenamente e nel merito.
È fuori discussione che quello del conflitto di interessi, delle incompatibilità nelle cariche di governo, sia un tema che interessi qualsiasi democrazia. Anche se qualche persona può sentirsi particolarmente toccata da questo tema, noi non sospenderemo l'iter legislativo di questo provvedimento per non parlarne per un po' di anni, fino al momento in cui saremo nuovamente autorizzati a parlarne. Dobbiamo invece parlarne ed essere capaci - auspico a tal fine un grande equilibrio sia nella maggioranza sia nell'opposizione - di interpretare al meglio il dettato costituzionale e il punto di equilibrio esistente tra il diritto a ricoprire la carica pubblica e la necessità che questa carica non sia influenzata da alcun interesse privato.
Come si vede, il tema è molto complesso. Conseguentemente, sgombrerei il campo dalle discussioni aprioristiche, senza avere letto prima il testo della proposta di legge in esame. Purtroppo, siamo da tempo abituati a fare discussioni sugli organi di stampa sul nulla. Si è discusso qualche mese sulle bozze Calderoli e Chiti in tema di legge elettorale senza che nessuno le avesse mai viste, però ne abbiamo discusso approfonditamente.
Vi invito, invece, a discutere finalmente su un testo.
Il presidente Bruno, nel suo intervento, ci ha parlato della legge Frattini. Ne abbiamo tanto discusso nella scorsa legislatura: noi l'abbiamo molto criticata, mentre egli l'ha molto difesa e ci accusa quasi di voler approvare oggi una legge al di fuori del sistema complessivo.
Credo che se invece analizziamo il problema, arriviamo a comprendere due circostanze. La prima è fuori discussione, ossia l'abilità del consigliere di Stato Frattini, all'epoca ministro, nel costruire una legge che non desse fastidio alle persone che si trovavano in una situazione di conflitto di interessi. Quella legge è stata costruita pezzo per pezzo, stando molto attenti che non intaccasse conflitti reali di interessi, e il ministro Frattini - lo ripeto - è stato molto bravo: gliel'ho detto anche nella scorsa legislatura e, quindi, oggi non può dire che non è presente.
L'altro tema, invece, a mio avviso smentisce esattamente quanto affermava l'onorevole Bruno. Il nostro sistema politico, dal 1948 in poi, è costruito sul conflitto preventivo, ossia su un sistema legislativo che prevenga i conflitti. È la legge Frattini che, semmai, si è collocata al di fuori del sistema del nostro Paese e di oltre sessant'anni di legislazione, disciplinando un conflitto successivo, con tutte le difficoltà che vi sono state per l'inadeguatezza della norma, come ci hanno spiegato le Authority. Dall'analisi svolta dall'Authority, che ci ha mostrato quanto quellaPag. 19legge non sia stata efficace, siamo partiti per redigere il provvedimento in esame.
Il problema, appunto, è che occorre trovare il punto di equilibrio tra il diritto costituzionale a ricoprire cariche pubbliche, sancito dall'articolo 51 della Costituzione, e l'altrettanto rilevante diritto costituzionale, sancito dagli articoli 3 e 97, di buon andamento della pubblica amministrazione in modo che essa non sia influenzata da interessi privati.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,30)
RICCARDO MARONE. Si tratta di un principio che il legislatore ordinario, fin dagli anni Cinquanta, ha recepito attraverso vari sistemi: il sistema della ineleggibilità, per quanto riguardava le cariche elettive, il sistema delle incompatibilità, per quanto riguardava le nomine, il sistema del conflitto di interessi e il sistema dell'astensione. Il sistema ha cercato di prevenire i possibili conflitti di interessi che potavano sussistere per chi si candidava, per quanto riguarda le cariche elettive, oppure per chi ricopriva incarichi di Governo. Solo la legge Frattini, invece, si è inserita nel sistema di cui parlo in una maniera del tutto diversa e, appunto, totalmente inefficace.
La nostra capacità di legislatori deve essere quella di comprendere qual è la graduazione del conflitto, perché solo attraverso la sua comprensione potremo stabilire qual è il regime che si deve applicare, se di incompatibilità assoluta, di incompatibilità relativa o di semplice astensione. Se ci troviamo in presenza di un conflitto stabile ed ineliminabile, è ovvio che dobbiamo prevedere una clausola di incompatibilità assoluta; se ci troviamo di fronte ad una ipotesi di conflitti di carattere settoriale o, comunque, che possano essere disciplinati, possiamo valutare l'ipotesi di conflitti «relativi»; se, infine, il conflitto è del tutto saltuario, ovviamente, opteremo per l'ipotesi dell'astensione. Il problema è teorico, a prescindere dai singoli soggetti e da ciò che posseggono.
Vorrei, inoltre, ben chiarire che il tema della ineleggibilità dei concessionari di servizi pubblici nel nostro Paese è sempre esistito. Da cinquant'anni il concessionario di servizi pubblici è ineleggibile a tutte le cariche, parlamentari, regionali e comunali, e nessuno lo mette in discussione. Nessuno ha mai ritenuto quella norma incostituzionale, perché è un principio dell'ordinamento quello secondo il quale non ci può essere un controllore controllato e nessuno può essere controllore di se stesso.
Il tema che si poneva e che si è sempre posto è se doveva essere ineleggibile chi gestiva la società concessionaria o, viceversa, il proprietario di tale società. Quindi, non veniva messo in discussione, in presenza di concessioni pubbliche, il tema della incompatibilità e dell'ineleggibilità. Voi sostenevate, infatti, che, dal momento in cui il proprietario non esercita influenza sulla gestione della società (ipotesi francamente un poco risibile), doveva essere incompatibile ed ineleggibile solo l'amministratore e non il proprietario stesso.
L'attuale legislazione, così com'è formulata, è stata interpretata in questo senso e, quindi, a mio avviso, in maniera del tutto inadeguata. Questo, però, è un altro tema. Mi interessava sottolineare, infatti, solo che nel nostro ordinamento il principio dell'incompatibilità fra titolarità di concessioni pubbliche e titolarità di cariche di governo esiste da oltre cinquant'anni e non è mai stato messo in discussione, fino a quando non è arrivato qualcheduno che ha messo in discussione tutto.
Ma vi è un ulteriore approfondimento da svolgere: come ha evidenziato l'onorevole Franco Russo - e su ciò sono perfettamente d'accordo - esiste un sistema molto disordinato in materia di ineleggibilità ed incompatibilità, sia perché vi sono varie normative che si sono succedute nel tempo, senza interventi particolarmente organici, sia perché vi sono discipline assai diversificate fra i vari livelli di governo. In generale, la scelta del legislatore è stata quella di applicare ai titolari delle carichePag. 20di governo dei vari livelli le corrispondenti norme sulle ineleggibilità. In particolare, il tema si è posto dagli anni Novanta in poi perché fino a quel momento il problema, relativamente agli enti locali, della distinzione fra i regimi di ineleggibilità ed incompatibilità per le cariche elettive e per le cariche di gestione della cosa pubblica non si è posto, poiché gli assessori erano membri dei consigli comunali. Dunque, agli inizi degli anni Novanta, quando si è cominciato a pensare ad assessori esterni agli enti locali e alle regioni, si è scelta la strada di far coincidere l'incompatibilità con l'ineleggibilità: si è stabilito cioè che a chi ricopre le cariche di assessore negli enti locali e nelle regioni si applicano le cause di ineleggibilità rispettivamente dei consiglieri comunali o provinciali e dei consiglieri regionali. Ciò, però, è dovuto al fatto che la disciplina in materia per quel che riguarda i livelli locali e regionali è estremamente forte, rigorosa ed ampia - anche se, a mio avviso, estremamente vecchia, poiché non tiene conto dell'evoluzione del nostro Paese negli ultimi venti anni - ed è dunque stata ritenuta sufficiente.
Diverso è il caso delle cariche di Governo a livello centrale: in questo caso, infatti, si deve tenere presente che il sistema delle ineleggibilità parlamentari è molto debole (le cause di ineleggibilità sono estremamente ridotte) e davvero molto vecchio, poiché risale a circa cinquant'anni fa. È per questa ragione che si è posto il problema dell'insufficienza della legislazione attuale rispetto al regime dell'incompatibilità delle cariche di governo ed è su questo punto che dobbiamo intervenire, ma dobbiamo farlo in via preventiva, anche perché è evidente che se si interviene in via successiva la forza della politica e di chi governa può essere tanto rilevante da evitare che il conflitto venga eliminato. Perciò bisogna intervenire prima.
Credo, dunque, alla luce di queste considerazioni, che il testo proposto dalla Commissione e dal relatore Violante sia estremamente complesso, ma anche estremamente equilibrato, poiché affronta le varie ipotesi di incompatibilità e di conflitto di interessi e adegua le norme a seconda della gravità del conflitto.
In particolare, comunque, mi preme ribadire che l'articolo 10, laddove sanziona il conflitto rispetto alla titolarità di concessioni pubbliche, non fa altro che riprendere il principio stabilito nel testo unico del 1957. Esso non innova nulla rispetto all'attuale sistema legislativo, salvo che per affermare un elemento ovvio, cioè che il proprietario di una società influenza l'attività dell'amministratore, perché è impensabile che ciò non avvenga. Nell'articolo 12, invece, si prevedono le altre forme di incompatibilità.
Credo, quindi, che la costruzione fatta sia estremamente rigorosa. Per la consuetudine che abbiamo avuto in cinque anni di lavoro, ho grande stima per il presidente Bruno, (anche se in Parlamento lo si dice un po' a tutti e a me non piace dirlo), ma quando si comincia a citare troppe volte l'incostituzionalità delle norme vi è qualcosa che non funziona nel ragionamento. Il tema della incostituzionalità, infatti, è molto delicato e complesso e ciò che non mi ha entusiasmato nell'intervento del presidente Bruno è proprio il numero delle ipotesi di incostituzionalità da lui evidenziate. Evidentemente, anche lui ha qualche perplessità, altrimenti avrebbe concentrato l'attenzione su qualche incostituzionalità, illustrandola, però, con più rigore.
Vorrei concludere con due sole considerazioni, la prima delle quali relativa alla famosa posizione del presidente Caianiello, che già nella scorsa legislatura, per la verità, mi turbò alquanto (e lo dico con grande franchezza). Tutti abbiamo conosciuto la sua capacità di innovare il diritto amministrativo: Caianiello ha rappresentato uno dei pochissimi uomini in Italia capace, in trent'anni di giurisprudenza (prima al TAR del Lazio, poi in Consiglio di Stato e, quindi, come giudice della Corte costituzionale), di modificare radicalmente il diritto amministrativo, sempre in una visione estremamente moderna.
Francamente, non ho mai capito quel suo parere. Nessuno vuole obbligare qualchedunoPag. 21a vendere, sia ben chiaro. Si dice semplicemente che se si vuole ricoprire una carica di governo, non ci si deve trovare in alcune situazioni. Nessuno obbliga qualcheduno a ricoprire la carica di governo. Se si seguisse il ragionamento di Caianiello, tutte le ineleggibilità sarebbero incostituzionali. Nessuno obbliga la gente a candidarsi o a fare l'assessore, ma se si hanno situazioni di incompatibilità, prima di ricoprire una carica pubblica le si devono eliminare; se non le si vogliono eliminare, non si potrà ricoprire la carica pubblica. Da questo punto di vista, quindi, non ho mai condiviso il parere di Caianiello.
Mi fa piacere che il presidente Violante, nella sua relazione, abbia citato l'intervento in Commissione di Caianello, nel quale attutì quel parere poiché, evidentemente, rendendosi conto di aver sostenuto qualcosa di eccessivo, cercò di mitigarlo nel corso dell'audizione in Commissione.
Infine - concludo per non dilungarmi - credo che il blind trust rappresenti una sfida. In questo Paese ne abbiamo fatte tante e abbiamo copiato fin troppo, forse, la legislazione americana, magari copiandola solo parzialmente, dal momento che la legislazione americana, in genere, è rigorosa e presenta un sistema sanzionatorio molto forte, mentre noi italiani, invece, sempre un po' pasticcioni, ci siamo sempre dimenticati di applicare il regime sanzionatorio del diritto americano.
Credo, però, che la scelta di prevedere una norma di questo genere rappresenti una sfida, anche se non so se riuscirà o meno, né come in pratica si realizzerà.
Però - lo ripeto - vedo la questione in maniera esattamente inversa rispetto a qualcun'altro. Noi diamo a chi si trova in alcune situazioni l'opportunità di ricoprire ugualmente cariche pubbliche, conservando le proprie situazioni patrimoniali ed economiche. Quindi, non si tratta affatto di una norma punitiva; anzi, è una misura che va esattamente nel senso contrario, cioè che consente e dà opportunità, a chi si trova in situazione di conflitto di interessi, di ricoprire una carica pubblica, nonostante si trovi in quella situazione.
Badate bene: nel nostro ordinamento, il legislatore non si è mai andato ad occupare delle vicende personali di chi si trovava nelle cause di ineleggibilità o di incompatibilità, ma si è limitato ad individuare le cause di ineleggibilità e le cause di incompatibilità, lasciando a chi ambisce alla vita politica il problema di eliminarle. È la prima volta, invece, che noi diamo una via di uscita a chi, senza voler intaccare la propria posizione patrimoniale ed economica, intende ricoprire una carica pubblica e, quindi, diamo una opportunità. Proviamo, dunque, a considerare la questione in maniera completamente diversa da quanto si dice.
Mi ha divertito quanto sostenuto dall'onorevole Berlusconi, ossia che in Italia la normativa può essere liberticida, mentre negli Stati Uniti vi è il blind trust; in America queste disposizioni non sono liberticide, mentre in Italia lo sono.
Ripeto che il tema che, a mio avviso, va chiarito rispetto a chi vorrà leggere questa legge e non ne vorrà dibattere in maniera aprioristica, nell'un senso o nell'altro, è la efficace graduazione degli interventi rispetto alle possibili situazioni di conflitto di interessi. Questo era il tema difficile e complesso che si andava ad affrontare, anche alla luce delle osservazioni fatte dall'Authority in questi cinque anni, che ha dimostrato quanto la legge Frattini fosse fragile e costruita sul nulla.
Credo che la Commissione e, in particolare, il relatore abbiano fatto un ottimo lavoro e che, quindi, si sia riusciti a costruire un sistema che finalmente, forse, ci consentirà di ottenere che chiunque ricopra cariche pubbliche persegua gli interessi pubblici (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'attesa per un provvedimento che affrontasse con regole chiare la questione fondamentale in democrazia del conflitto di interessi era ed è molto grande.Pag. 22
Su questo tema sappiamo che abbiamo gli occhi puntati addosso, da parte non solo dei nostri elettori, ma anche, in qualche modo, del mondo. Infatti, sono molti gli osservatori internazionali che si chiedono se questa sarà la volta buona. Questa proposta di legge è una prova d'appello: non nascondiamocelo. Il Parlamento è chiamato oggi a compiere quello che, forse, avrebbe dovuto fare molti anni fa ed è per questo che la risposta deve essere all'altezza dei problemi.
Una buona norma sul conflitto di interessi non è solo una garanzia sul buon funzionamento del mercato, questione peraltro di primaria importanza per l'Unione europea. Questa legge deve rispondere ad una duplice esigenza, ovvero non solo quella di tutelare la libera concorrenza con strumenti per la separazione degli interessi privati da quelli pubblici, ma anche, e forse di più, quella di tutelare un vero bene pubblico: il pluralismo dell'informazione, con regole specifiche ed apposite, come avviene nelle legislazioni delle democrazie più evolute.
Non possiamo prescindere dalla storia né nasconderci le difficoltà. Risolvere il problema sarà tanto più arduo perché, da anni, nel nostro Paese prospera e si sviluppa indisturbato il più eclatante, endemico ed invasivo conflitto di interessi che sia mai apparso in una democrazia occidentale, cui consegue una quotidiana mortificazione del pluralismo dell'informazione.
Forse sarebbe meglio non fare nomi, perché i principi trascendono gli individui, ma qui ed oggi il problema investe, in particolare, una persona. Ammettiamolo! La grave anomalia incarnata dalla figura di Silvio Berlusconi, primo editore ed imprenditore del settore radiotelevisivo, oltre che leader politico, è stata solo parzialmente sanata dal passaggio del nostro celeberrimo collega da capo del Governo a capo dell'opposizione. Non possiamo prescindere da questa constatazione.
L'onorevole Fini e molti colleghi dell'opposizione, anche l'onorevole Bruno, questa mattina, si sono scagliati contro il nuovo testo in materia di conflitto di interessi che stiamo discutendo, sostenendo che questa è una legge ad personam, fatta per colpire proprio lui, l'onorevole Berlusconi. Ora, bisogna intenderci. Se l'obiettivo è quello di conservare lo status quo, se si pensa che le cose così come sono vanno bene, queste contestazioni sono legittime e giustificate. Il problema è tutto qui.
La Commissione di Venezia in un suo parere del 2005 fece notare, con argomenti chiari e specifici, che la legge Frattini è inefficace per risolvere il problema del conflitto di interessi, in particolare per quanto riguarda la tutela del pluralismo.
Auspico che di fronte ad un testo articolato, graduato, attento ai diversi gradi di inquinamento potenziale dell'interesse pubblico che possono rappresentare interessi privati, anche i colleghi dell'opposizione, almeno una parte di loro, possano capire che adottare uno strumento serio è un atto dovuto nei confronti della nostra collettività.
Peraltro, riteniamo - questo è stato un punto fermo del programma dell'Unione - che, nel quinquennio del passato Governo, la libertà d'informazione sia stata duramente condizionata dal conflitto di interessi e che la legislazione vigente (la legge Gasparri e la legge Frattini) ha consolidato posizioni dominanti del mercato limitando il pluralismo.
Sono le denunce e i richiami dell'Europa a spingerci a fare sul serio, oltreché ad indicare la strada da percorrere, in particolare per quanto riguarda la tutela del pluralismo. Su questo punto riteniamo, infatti, che forse si possa introdurre qualche integrazione al testo oggi in discussione. Il più recente di tali richiami è una raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa adottata il 31 gennaio 2007 che chiede agli Stati membri di assicurare, nelle loro legislazioni nazionali, una forte tutela delle libertà e del pluralismo dell'informazione. Per garantire il raggiungimento di tale obiettivo si chiede agli Stati di porre una netta e chiara separazione, stabilita per legge, tra l'esercizio del potere politico e la proprietà o la capacità di influenzare i media. SiPag. 23tratta di norme che esistono in quasi tutte le democrazie consolidate; infatti, è inutile parlare di par condicio se un candidato ad una carica politica può concorrere a formare le opinioni e raccogliere il consenso attraverso mezzi di comunicazione di massa di sua proprietà.
Il famoso «campo da gioco in piano» sul quale dovrebbe svolgersi la contesa politica, secondo il detto e la norma anglosassone, rischia di trovarsi, nel nostro Paese, perigliosamente e strutturalmente inquinato, con un giocatore in netto vantaggio. Se poi questo potere mediatico si trasferisce sui banchi del Parlamento o del Governo si genera il più insidioso di tutti i conflitti di interessi: la commistione tra interessi privati e responsabilità politiche. Questo è ciò che è avvenuto in Italia e che ha provocato sconcerto nel mondo intero. Credo che l'inefficacia della legge Frattini sia sotto gli occhi di tutti: essa non ha minimamente alterato il quadro esistente. Ora stiamo provando a rimediare con una legge all'altezza delle più sperimentate norme europee.
I Verdi non ritengono che il ricorso al cosiddetto blind trust sia una soluzione efficace per i media: nel settore delle comunicazioni di massa un fondo di gestione difficilmente risulterebbe cieco. Occorre risolvere il problema alla radice, accettando che vi sono attività semplicemente incompatibili con l'esercizio della responsabilità politica (ciò che la legge, in parte, fa). La regolamentazione di questo delicatissimo settore non può essere rinviata a successive decisioni di un'Autorità (per quanto autorevole), anche perché l'Autorità in questione rischierebbe di deliberare sotto il fuoco incrociato degli stessi mezzi di comunicazione dei titolari dell'incarico sotto inchiesta: uno spettacolo di delegittimazione interessata a cui abbiamo, ahimè, più volte assistito negli anni recenti.
La proposta in discussione è indubbiamente di gran lunga migliore della norma vigente. Il meccanismo proposto sembra, infatti, in grado di risolvere la maggior parte dei casi di conflitto di interessi, in particolare quelli che rischiano di alterare il mercato. Tuttavia, l'istituto proposto non è del tutto adatto a risolvere o a prevenire il ripetersi del più delicato, ma anche del più macroscopico, conflitto di interesse di cui siamo stati testimoni. Come afferma la Commissione di Venezia (organo consultivo del Consiglio d'Europa) nel suo parere negativo sia sulla legge Gasparri, sia sulla legge Frattini, il fatto di dedicarsi alla politica è una libera scelta di ciascun individuo. Comporta certe prerogative e certi doveri. Una carica di governo determina un certo numero di incompatibilità e di limiti purché siano ragionevoli, chiari e prevedibili. La proposta di legge in esame tenta di prevederli.
Questi limiti, onorevoli colleghi, sono gli architravi della democrazia e riteniamo che debbano essere fissati per legge, così come si tenta di fare con la proposta in discussione. Su un punto vorrei però insistere: la specificità dei media e di chi ne detiene il controllo, per quanto riguarda il settore radiofonico, quello televisivo e la carta stampata. È per questo che riteniamo possibile e necessario il ricorso a regole chiare sia per l'incompatibilità tra cariche di governo e controllo dei mezzi di comunicazione di massa, sia per l'ineleggibilità di chi controlla questi stessi mezzi. Riteniamo altresì che il ricorso all'istituto dell'ineleggibilità sia costituzionalmente ammissibile in questo caso, così come lo è in ogni circostanza in cui vi sono elementi sufficienti per ritenere che vi sia la possibilità di distorsione della libera manifestazione di volontà degli elettori per via dell'influenza esercitata da determinati soggetti, posto che è scontato che il potere mediatico sia in grado di influenzare l'opinione pubblica anche per quanto riguarda le scelte politiche.
Sappiamo che l'ineleggibilità è un rimedio forte ed eccezionale, ma in alcuni casi, come questo, si rende necessario ed impone ai detentori di questi interessi una scelta a garanzia di tutti. Queste regole vigono in molti Paesi e non fanno versare lacrime: fanno parte del sistema. So che non si parla di ineleggibilità nella proposta di legge al nostro esame, dal momento che questo punto è stato stralciato. Parlo nuovamentePag. 24di tale aspetto poiché riteniamo che, tra i rimedi ai conflitti di interessi, l'incompatibilità e l'ineleggibilità siano strumenti complementari, almeno finché la nostra forma di governo rimarrà parlamentare. A tal fine, occorrerà ritornare su una norma purtroppo caduta in desuetudine dal 1994, cioé il decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, ove si prevede l'ineleggibilità parlamentare per i titolari di concessione di Stato. Bisogna chiarire in concreto che, qualora il soggetto vincolato con lo Stato da un'autorizzazione o concessione sia una persona giuridica, l'ineleggibilità vada di per sé riferita alla persona fisica o alle persone fisiche che ne detengono direttamente o indirettamente il controllo. Sarebbe una cosa semplice, credo che dovremo tornarci.
Al riguardo, la norma caduta in desuetudine è il risultato di una peculiarità della nostra legislazione, anche costituzionale, che lascia al Parlamento l'interpretazione delle leggi che regolano l'elezione dei suoi componenti. Credo che questa peculiarità - si tratta di una regola che sconsigliamo alle nuove democrazie - andrebbe superata, forse in tempi meno conflittuali, affinché sia un organo terzo a giudicare della legittimità di un'elezione. Spero che un giorno ci arriveremo; intanto, auguro una discussione proficua e costruttiva su una proposta di legge estremamente importante per la saldezza della nostra democrazia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Angelo Piazza. Ne ha facoltà.
ANGELO PIAZZA. Signor Presidente, una proposta di legge che intenda disciplinare il conflitto di interessi e l'incompatibilità tra incarichi di governo e l'esercizio di attività o la titolarità di patrimoni è di per sé, sempre e comunque, delicata e da valutare e ponderare con attenzione. Essa riguarda, infatti, il complesso ambito di rapporti tra le libertà - anche costituzionali, come quella di impresa e il diritto di proprietà - e le esigenze - pure costituzionalmente tutelate - di trasparenza, imparzialità e correttezza nell'esercizio delle funzioni pubbliche. Nel nostro Paese, il tutto è poi ulteriormente complicato dal fatto che l'attuale leader dell'opposizione, in passato Presidente del Consiglio, è un imprenditore per la cui posizione, tante volte e da tante parti, si è invocata la necessità di una normativa. Da ciò deriva il rischio, ma oramai la circostanza si sta dimostrando una realtà, di una discussione sulla proposta di legge sul conflitto di interessi del tutto ideologica.
Da un lato, con i propugnatori della necessità di affrontare un preteso caso di anomalia dell'Italia, o magari di risolvere per via legislativa (forse qualcuno ha avuto questa tentazione) il problema della battaglia politica tra le coalizioni; dall'altro, con durissime proteste rispetto ad una pretesa lesione di diritti democratici o delle libertà che sarebbe perpetrata dalla maggioranza per eliminare il capo dell'opposizione.
Ciò che chiediamo con forza a tutti i gruppi in quest'Assemblea - speriamo non invano - è un approccio non ideologico al nostro dibattito, una valutazione serena e una discussione che consenta di fare una buona legge, assolutamente non contro qualcuno, ma a favore di tutti i cittadini.
Mi pare pacifico che la disciplina attualmente vigente, legge Frattini, sia palesemente insufficiente, essendo interamente impostata su un conflitto potenziale in relazione al caso singolo, senza alcun disegno di carattere generale che consenta un'efficace azione di prevenzione dei conflitti di interesse. Ma è altrettanto evidente l'esistenza di normative, anche rigorose, in grandi Paesi democratici, nei quali nessuno ha inteso gridare allo «scippo» delle libertà fondamentali.
PRESIDENTE. Onorevole Piazza, le chiedo la cortesia di interrompersi, per salutare, prima che si allontani dalle tribune, una delegazione del Parlamento della Malaysia, guidata dal Vicepresidente Lim Si Cheng, (Applausi).
Mi scusi, onorevole Piazza, può riprendere il suo intervento.
ANGELO PIAZZA. Occorre, quindi, una normativa seria ed efficace, applicabile a tutti e nell'interesse di tutti, e non certo intesa a punire o a eliminare qualcuno. Dobbiamo essere chiari su questo aspetto: non abbiamo mai pensato che le battaglie politiche si vincano eliminando gli avversari per via giudiziaria o con attacchi personali o familiari; tanto meno ora vogliamo una legge che sia approvata con il fine di indebolire l'opposizione, colpendone il leader. Dall'entrata in campo nel 1994, del resto, l'onorevole Berlusconi ed il centrodestra hanno vinto due volte le elezioni politiche e due volte le hanno perse. Hanno vinto e perso competizioni regionali e locali, ribaltando, talora a loro svantaggio, talora a loro favore, il risultato elettorale. Eppure in questi anni è stato costante l'apparato imprenditoriale e mediatico dello stesso onorevole Berlusconi. Ciò è segno evidente che questo non è certo, da solo, un elemento che decide le sorti delle competizioni elettorali.
La legge che vogliamo non è, quindi, uno strumento di azione politica a favore della nostra maggioranza, un mezzo per assicurare una vittoria elettorale e la sconfitta degli avversari; sarebbe un'operazione politicamente inefficace, oltre che, ovviamente e ancora prima, contraria al nostro modo di intendere la battaglia politica e ai principi della democrazia liberale nei quali tutti crediamo. Vogliamo, invece, una normativa che consenta una più corretta azione dei Governi, di tutti i Governi, il più possibile al riparo dagli interessi economici più potenti e organizzati e in vista di un'oggettiva valutazione degli interessi e dei beni dei cittadini e del Paese.
Dobbiamo arrivare a questo obiettivo e possiamo riuscirvi solo uscendo dal clima creatosi nel Paese, soprattutto nelle ultime settimane, che potremmo definire da opposti estremismi. L'opposizione non deve rifiutare il dialogo e non deve contestare come antidemocratica ogni ipotesi di modifica della legge Frattini. Ma insieme a ciò, all'interno della nostra maggioranza, si dovranno formulare proposte che non tendano a rendere più rigido e meno accettabile da uno schieramento largo il testo ora all'esame.
Questo testo nel complesso, a nostro avviso, si basa su un impianto accettabile e condivisibile. Viene abbandonato lo schema della legge Frattini, per un approccio più giusto e sistematico alla materia del conflitto di interessi, nello sforzo di costruire una normativa di prevenzione efficace e tendenzialmente equilibrata. Tuttavia, il nostro giudizio favorevole al complesso della proposta, come approvata dalla I Commissione, non esclude di certo taluni rilievi critici, che non mancheremo di formalizzare attraverso specifici emendamenti.
Le nostre osservazioni ruotano tutte intorno all'esigenza fondamentale di approvare una legge adeguata, ma che insieme non sia - e neppure appaia o possa essere intesa - punitiva o discriminatoria nei confronti di nessuno, tanto meno nei confronti del capo dell'opposizione, che noi rispettiamo nella volontà di batterlo e affrontarlo, con le nostre idee e con l'azione di governo, in Parlamento e nel Paese.
Siamo e saremo sempre contrari alla politica fatta con le manette, siamo e saremo contrari anche alla politica fatta con gli espropri. Per tale motivo evidenziamo subito che siamo decisamente e fermamente contrari ad ogni eventuale proposta di estendere la disciplina in esame all'ineleggibilità. Innanzitutto questo è fuori dal programma di Governo, è fuori dalla materia del conflitto di interessi e parlarne, a nostro avviso, è dare a chi non vuole nessuna legge nuova un argomento in più e un argomento anche di forte impatto. Ma soprattutto, l'ineleggibilità riguarda valori costituzionali di assoluto rilievo quali l'elettorato passivo e il diritto del popolo di eleggere i propri rappresentanti; di trattare questo tema in questa sede, colleghi, a nostro avviso, non se ne parla proprio. Vi sono altre proposte di legge sul tema, che verranno esaminate a tempo debito; preannunciamo sin da ora che il nostro orientamento non è favorevole, ma di certo non consentiremo che ilPag. 26dibattito sulla proposta relativa al conflitto di interessi sia inquinato da un tema estraneo e in grado di far saltare ogni equilibrio, che è invece nostro dovere ricercare con impegno.
Non concordiamo neppure sull'ipotesi, sebbene venga prevista dalla proposta in esame in via residuale, della vendita obbligata per i titolari di patrimoni o di attività che danno luogo al sorgere del conflitto di interessi, quando non vi sia altro modo di risolvere la situazione di conflitto. Stiamo creando e intendiamo creare uno strumento giuridico nuovo, il trust, articolato e complesso, e chiediamo che la soluzione sia ricercata all'interno di questo, senza cessioni coattive che - come ha ricordato tra l'altro autorevolmente il presidente della Consob, pochi giorni fa, nel corso di un'audizione presso la I Commissione - si tradurrebbero in discipline normative a fortissimo rischio di incostituzionalità con riguardo agli articoli 41, 42 e 43 della Costituzione.
Neppure ci convince appieno l'istituzione della nuova Autorità dedicata, preposta a vigilare sull'intera materia. Non siamo favorevoli alla creazione di nuove autorità di garanzia, specie se ciò avviene al di fuori di una nuova disciplina organica della materia, qual è quella contenuta in un disegno di legge del Governo presentato al Senato, sicuramente perfettibile ma comunque ottima base di discussione, di cui però mi pare si sia persa traccia, e speriamo non per sempre. La nuova Autorità che si vuole istituire costa, ha una struttura complessa e non sembra neppure indispensabile; più coerente è affidare i compiti all'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, che già ora li svolge con il concorso dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e potrebbe assolverli in via esclusiva avendo capacità e strutture adeguate. Ci si potrebbe obiettare che l'attuale Autorità antitrust avrebbe poteri troppo ampi, unendo ai compiti antitrust tradizionali quelli ora previsti dalla nuova legge sul conflitto di interessi; ma forse tale obiezione non vale anche per la nuova Autorità prevista nel testo in esame, che unirebbe ai nuovi compiti quelli dell'attuale Commissario anticorruzione, così da diventare quasi un «super poliziotto» che vigila su tutti gli apparati pubblici?
Con le riserve che non toccano l'impianto del testo ma che riguardano, a nostro avviso, possibili profili di miglioramento, la legge deve essere approvata ed in tempi non eterni. Contribuiamo, maggioranza ed opposizione insieme, se possibile, a migliorarla: abbiamo sempre detto che le grandi riforme si approvano in Parlamento con ampio consenso. Ma operiamo con spirito costruttivo, ed in questo modo saremo in grado di fare una buona legge e di rendere, con questo, un buon servizio al Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, non possiamo fare a meno di collocare questa discussione nel suo contesto: qualche giorno fa, al congresso della Margherita, l'onorevole Rutelli rivolse delle mani tese all'opposizione. Credo che poi vi sia stato un equivoco sul significato di queste mani tese, perché se oggi dobbiamo giudicare le iniziative che la maggioranza sta conducendo in Parlamento contro l'opposizione, quelle mani tese, più che un atto amichevole, sembrano un tentativo di strangolamento. Dunque, ricordando il contesto, non possiamo non collocare questa discussione tenendo conto di tre punti. Il primo è l'illegale tentativo del Governo di estromettere un membro del consiglio di amministrazione della RAI per impadronirsi totalmente del servizio pubblico.
Il secondo punto è il disegno di legge Gentiloni su cui vorrei soffermarmi citando una fonte assolutamente al di sopra di ogni sospetto, ovvero il senatore Franco Debenedetti che scrive: «Mettere per legge un tetto al fatturato di un'impresa è cosa davvero singolare per chi riconosce nella concorrenza tra le imprese un propulsore della crescita del sistema economico, una garanzia di libertà per gli imprenditori, un vantaggio per i consumatori. Che concorrenza c'è se la si limita ponendo un tettoPag. 27alla crescita? Se poi il tetto è retroattivo e impone di ridurre il proprio fatturato la cosa appare ancora più singolare. È, invece, proprio quanto impone il disegno di legge Gentiloni, un tetto retroattivo al fatturato di Mediaset». Il senatore Debenedetti prosegue sostenendo che: «Le ragioni scientifiche e tecniche possono anche non essere condivise, ma non si può negare che esistano, siano autorevoli e abbiano larga circolazione. Il fatto che vengano del tutto ignorate fa diventare molto più che un sospetto che il rapporto casuale sia in senso inverso e che l'obiettivo di avere un maggior numero di player venga usato al solo scopo di tagliare il fatturato di Mediaset che, vedi caso, è controllata dal capo dell'opposizione. Un provvedimento così illiberale manda segnali negativi ad un sistema economico che ha bisogno, in misura ancora maggiore degli altri Paesi occidentali, di più mercato, di più concorrenza, non certo di interventi costruttivisti, ma produce effetti ancora peggiori nel sistema politico». Il senatore, aggiunge, che i danni maggiori li fa più che al centrodestra, al centrosinistra; la demonizzazione dell'avversario poteva servire quando c'era da compattarsi, ora è un impedimento ad allargarsi.
Il terzo punto di tale trittico è evidentemente il provvedimento in esame. Un provvedimento sul conflitto di interessi che, come ha dimostrato in modo ineccepibile l'onorevole Donato Bruno, poteva avere una doppia strada di componimento. La prima strada era costituita e rappresentata dal lavorare sulla legge precedente facendo i conti con ciò che l'onorevole Violante, nella sua relazione, ha definito una situazione di danno, con interventi ex post ed escludendo la scelta, da voi invece fatta, di cogliere una situazione pregiudiziale di pericolo con un intervento preventivo, che ha caratteristiche dirompenti e palesi, nonostante le interpretazioni beffarde e «alla camomilla» che sono state date poco fa.
La seconda strada, tentata in Commissione da noi e dagli amici dell'UDC, era di non inoltrarsi nel ragionamento del trust e del blind trust, una in quella del mandato fiduciario. Tale strada poteva essere un'ipotesi di componimento, ma essa è stata scartata. Dico ciò sulla base di valutazioni che non sono del sottoscritto - che evidentemente è di parte - ma di una parte della cultura giuridica che si è misurata nei lavori della Commissione affari costituzionali e di cui non si è tenuto conto.
A proposito del mostro che avete costruito con la nuova proposta di authority, cito Mannoni: «Quando leggo di questa Autorità in questo progetto di legge vedo, con piacere, risuscitare una nobile istituzione che è stata il cardine del pensiero politico repubblicano da Machiavelli fino alla Rivoluzione francese, che è quella dell'eforato. L'eforato, nella tradizione politica repubblicana, aveva il compito di salvaguardare la virtù e, attraverso di essa, l'interesse generale contro l'intrusione degli interessi particolari, laddove l'interesse generale e gli interessi particolari erano percepiti come poli opposti antitetici».. Mannoni prosegue e conclude con un giudizio molto interessante nel momento in cui sostiene: «Dico questo perché non considero affatto banale la proposta di legge in esame che, procedendo da un archetipo culturalmente solito nel pensiero politico occidentale, ha una sua dignità. Tuttavia per quanti sforzi si possano fare per iscriverlo nel lessico della Costituzione repubblicana, essi sono destinati a fallire. È un progetto incostituzionale e lo dimostra il fatto che questa sedicente autorità, che io chiamo l'eforato - perché voglio chiamarla con il suo nome, che da Sparta a Machiavelli ha una sua nobiltà - è sottratta al sindacato del giudice amministrativo». Mannoni, aggiunge poi che: «Il senso della legge Frattini, che non è perfetta ma non è neanche una legge arcaica - qual è invece quella del progetto Franceschini, che procede, sì, da un modello augusto, ma non appartiene alla modernità politica - è quello di colpire l'interesse privato, il conflitto di interessi in modo dinamico, quindi non con un intervento ex post».
Il professor Bernardo Mattarella sostiene, inoltre, che: «La via migliore eraPag. 28quella di prevedere altre sanzioni, come quella, menzionata dal testo unico sugli enti locali, dell'illegittimità dell'atto adottato in conflitto di interessi che potrebbe essere fatta valere da qualunque giudice amministrativo, o, se volete essere ancora più severi, la radicale nullità dell'atto. Credo che la norma più efficace possibile che si possa utilizzare per combattere un conflitto di interessi sarebbe una norma semplice che dica che l'atto adottato in conflitto di interessi è nullo e chi lo ha posto in essere risponde dei danni nei confronti dello Stato e dei terzi».
In ordine alla valutazione del trust e del blind trust, ricordo le riflessioni fatte a tale proposito dalla dottoressa Paola Tonelli e dall'avvocato Rossotto. La dottoressa Tonelli ha affermato che il trust può essere soltanto un'esperienza volontaria secondo la Convenzione de l'Aia, ma che tale Convenzione stessa conterrebbe una reiezione nei confronti del trust realizzato per legge. Il professor Rossetto ha affermato che un conto è il trust, un altro conto è il blind trust; quest'ultimo si applica scarsamente ad una realtà che non riguarda un patrimonio costituito da CCT, BOT ed azioni, vale a dire ad un patrimonio costituito da una struttura aziendale.
Su ciò c'è un bel dire. Siccome in questo Paese abbiamo fatto tante follie, allora possiamo anche inoltrarci nella follia di far gestire una grande impresa televisiva o anche di altro tipo con il meccanismo del blind trust, che ha caratteristiche perverse perché, avendo voi costruito l'authority come una sorta di soviet, essa può anche reintervenire sulle regole e sulle leggi, oltre a indicare quali sono le società che possono fare questo tipo di operazione.
Sfido chiunque a trovare in Italia società che possano fare un blind trust non in chiave di distruzione di una struttura industriale e imprenditoriale, ma in chiave di gestione dinamica. Per di più, l'authority alla quale attribuite poteri assolutamente straordinari, specialmente se consideriamo che tali poteri attengono non soltanto alla figura del Presidente del Consiglio, rappresenta un mostro che si «accoppia» con un altro mostro: il mostro dell'authority con quello del blind trust, che deve gestire una grande società, una grande azienda imprenditoriale.
La realtà è quella che, in termini politici, ci ha spiegato - e gliene do atto - l'onorevole Violante nella sua relazione. Si chiude una fase, quella che ha visto la scesa in campo di «pezzi» del mondo imprenditoriale e si ritorna a casa! Si mettono a punto i mezzi blindati e si impedisce in modo scientifico di entrare in campo a chi ha una struttura imprenditoriale che non sia quella della piccola impresa. Voi avete identificato quattro-cinque tipologie di persone che devono essere bloccate, da imprenditori a chi ha un patrimonio di quindici milioni. Una realtà che diviene manipolabile o manipolata e di cui non si conosce chi decide su questa manipolazione, se non la solita autorità!
Mettete in moto un meccanismo perverso. Credo che quella parte di Confindustria che vi ha appoggiato e gli ordini professionali debbano fare i conti con il fatto che, con l'operazione incredibile che state qui conducendo per colpire Berlusconi, mettete in effetti fuori dal gioco ed estromettete dall'attività di governo, anche dagli enti locali, una grossa fetta del mondo professionale e del mondo industriale di questo Paese. Dico ciò perché il provvedimento in esame riguarda anche le regioni e gli enti locali. Questa è l'operazione che si sta svolgendo in quest'aula, saldandola con l'attacco alla RAI e con il disegno di legge Gentiloni, di cui una fonte quale Franco Debenedetti ha giustamente sottolineato la perversione rispetto al mercato.
Aggiungo anche che voi non siete neanche, come dire, abilitati ad insegnare nulla, perché certamente c'è il conflitto di interessi di Berlusconi e di tanti altri imprenditori, ma sono conflitti di interessi che sono visibili a tutti. Nella scorsa legislatura, ogni qual volta Berlusconi toccava una virgola, si discuteva. Non vi è mai stata nessuna forzatura di questo tipo, perché era impossibile realizzare forzaturePag. 29di questo tipo in una situazione di trasparenza. Chi non si trova in una situazione di trasparenza, siete voi della sinistra, perché la sinistra è portatrice non di rapporti formali, ma di rapporti sostanziali. Il primo grande partito-azienda nel nostro Paese è stato il Partito Comunista Italiano ed oggi lo sono i DS, con le derivate delle cooperative rosse, dell'Unipol - ricordate la battuta famosa: «abbiamo una banca?» - e del Monte dei Paschi di Siena.
Ebbene, questa è la realtà. Voi, quindi, non potete venire a farci nessuna lezione e noi, d'altra parte, non dobbiamo avere l'atteggiamento di chi sta sotto schiaffo, visto che il più torbido conflitto di interessi è il vostro. Ciò è dimostrato anche dalle carriere e dalle nomenclature, nel senso che vi è uno scorrimento di carriera da dirigente della Lega delle Cooperative a segretario della federazione e poi, magari, ad amministratore degli enti locali. Si pongono, pertanto, anche problemi per quanto riguarda l'interesse in atti d'ufficio.
PRESIDENTE. Onorevole Cicchitto, la invito a concludere.
FABRIZIO CICCHITTO. Per concludere, in primo luogo, il conflitto di interessi sostanziale è equamente distribuito, ma vi è un conflitto di interessi formale e trasparente ed un conflitto di interessi occulto e non trasparente. In secondo luogo, ed è la ragione per cui siamo radicalmente contrari al provvedimento in esame, voi in effetti ritornate al passato in un modo lucido, come è stato spiegato...
PRESIDENTE. Onorevole Cicchitto, la prego di concludere.
FABRIZIO CICCHITTO. ... - sto proprio concludendo - dall'onorevole Violante. Voi ritornate al passato e, ove tale proposta fosse approvata, non solo Berlusconi, ma una bella fetta di mondo industriale e professionale, con la perversione del blind trust, dovrebbe tornare a casa, perché con tale meccanismo si consegnano le aziende a uno sconosciuto e, quindi, di fatto alla distruzione, per cui nessuno si sottoporrà a questo tipo di legge (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà.
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, il gruppo dell'Italia dei Valori conserva il giudizio di contrarietà rispetto al testo sottoposto all'esame dell'Assemblea, già espresso negli ultimi giorni di lavoro nella Commissione Affari costituzionali. Nel contempo, il gruppo dell'Italia dei Valori conserva anche la propria fiducia nell'operato del relatore e nella sua capacità di comprendere le ragioni di fondo di questa contrarietà e di trasformarla in significativi cambiamenti del testo della proposta di legge in esame.
Per chiarire le ragioni di questa nostra contrarietà, potrei riferirmi all'intervento del collega Bruno, di Forza Italia, ma anche all'intervento del collega Cicchitto, secondo i quali questo testo determinerebbe un esproprio della proprietà o alternativamente un tentativo di rendere inaccessibili le cariche di governo ad una persona ben definita, e precisare che il nostro giudizio sul testo è esattamente all'opposto del giudizio dei colleghi di Forza Italia.
Crediamo che quella in esame sia una proposta di legge destinata a produrre effetti nei confronti non di un cittadino, ma di alcune migliaia di cittadini; essa istituisce una nuova authority con tutto ciò che ne consegue anche sul piano dei costi di funzionamento, che andranno anch'essi a carico dei contribuenti. È una proposta di legge che misura il grado di civiltà di un Paese, prima ancora che il rispetto equilibrato dei valori costituzionali in campo, ponendo giustamente il problema del conflitto di interessi in una fase antecedente all'adozione del singolo provvedimento, perché quest'ultimo rappresenta il momento in cui tale conflitto si è già consumato. Una proposta di legge così impegnativa per la complessità degli interessi in gioco deve poter funzionare, deve poterPag. 30esprimere le più ampie garanzie in ordine agli obiettivi perseguiti, deve soprattutto trasferire al Paese un messaggio chiaro e incontrovertibile: stiamo facendo sul serio, stiamo elaborando una norma che non consentirà vie di fuga, stiamo affermando dei principi che tutti dovranno rispettare: dal professionista che dovrà cancellarsi dal proprio albo, al dipendente che dovrà collocarsi in aspettativa, al titolare di interessi patrimoniali e finanziari talmente grandi da configurare il rischio evidente di turbative della concorrenza o di condizionamento dell'attività di governo, che dovrà anch'egli risolvere il suo problema e liberarsi di tali disponibilità, conferendo il ricavato in una gestione cieca.
Qualsiasi cittadino italiano sarà tenuto ad organizzare la propria situazione personale - di tipo professionale, lavorativo o imprenditoriale - in modo tale da assicurare, in via preventiva, che l'esercizio della funzione pubblica non sia condizionato da interessi diversi.
Tale indicazione, a nostro avviso, non emerge con sufficiente chiarezza, o quanto meno non emerge con la puntualità ed il rigore che avevamo rappresentato nel programma di Governo dell'Unione. È questa la ragione per cui riteniamo che la situazione sia esattamente opposta rispetto a quella rappresentata dall'opposizione, ed in particolare dai colleghi Bruno e Cicchitto del gruppo Forza Italia. Non vi è alcun obbligo di alienazione, nell'ipotesi di concentrazione di interessi patrimoniali tale da condizionare mercato e concorrenza, ma vi è - contrariamente a quanto previsto nel programma dell'Unione e perfettamente in linea, credo, con gli auspici anche di Forza Italia - la possibilità di conferire il patrimonio direttamente nel trust. Inoltre, il trustee - rispetto alle previsioni dell'originaria proposta di legge n. 1318, che ne prevedeva la nomina da parte dell'Autorità - è invece nominato direttamente dal titolare della carica di governo in conflitto di interessi. È come se all'avvocato - per il quale è previsto il regime dell'incompatibilità, con obbligo di cancellazione o di sospensione dal proprio albo professionale - la legge dicesse: scegliti pure liberamente un avvocato che ti sostituisce nei processi, trasferiscigli ogni tuo fascicolo e conferiscigli liberamente tutti gli incarichi e le opportunità che potrai conferirgli nell'esercizio della carica di governo, perché tanto poi, una volta cessato dalla carica, potrai riprendere il vecchio e il nuovo, ciò che avevi e ciò che avrai incrementato grazie all'esercizio della carica di governo. Oppure, ancora, è come se consentissimo che il soggetto delegato al controllo della separazione degli interessi - pertanto il controllore di questo vincolo - fosse nominato e pagato dal controllato, cioè dal titolare della carica di governo in conflitto di interessi.
In buona sostanza, il meccanismo non sembra fornire le necessarie garanzie di funzionamento. In tale contesto, noi del gruppo dell'Italia dei Valori, nella scelta tra l'approvare una legge rigorosa con le situazioni di conflitto di interesse marginali e generosa con le situazioni più eclatanti - per la straordinaria potenza economica dei soggetti interessati - e il non approvare alcuna legge, preferiamo la seconda opzione, preferiamo non approvare alcuna legge.
Ovviamente, sono convinto che ciò non accadrà, e sono anche convinto che il confronto sereno e democratico che riusciremo a sviluppare in Assemblea ci consentirà di raggiungere tutti gli obiettivi prefissati ed esplicitati, ma anche - tengo a sottolinearlo - altri obiettivi. Mi riferisco, in particolare, agli emendamenti che il gruppo dell'Italia dei Valori ha presentato e ripresenterà in Assemblea, riguardanti la materia elettorale, ma non solo. Consentire, ad esempio, che un soggetto, per pregresse responsabilità penali, non possa accedere alla carica elettiva in un piccolissimo consiglio comunale, ma abbia libero accesso alle più alte cariche di governo, è questione non attinente alla materia elettorale, che deve essere recepita nel testo.
Per le stesse ragioni riteniamo, inoltre, necessario introdurre pochi principi anche in ordine alla materia elettorale. Infatti, un approccio preventivo al conflitto di interessi non può disinteressarsi alla fasePag. 31che precede l'acquisizione della carica di governo, nella quale il conflitto incide negativamente anche su altri valori, forse ancora più importanti: quelli relativi alle regolarità del procedimento elettorale ed alla conseguente difesa dei principi fondamentali di ogni democrazia. Siamo, quindi, contrari, ma fiduciosi al tempo stesso. Contrari sul testo, ma convinti che, con l'impegno di tutti, il risultato da offrire al Paese sul piano legislativo possa essere di gran lunga migliorato (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il dibattito politico finora svoltosi sul conflitto di interessi mette bene in evidenza la problematicità e la delicatezza della questione. Un provvedimento su questo tema impone, infatti, la ricerca di una complessa sintesi, di un difficile equilibrio fra la garanzia dei diritti e delle libertà sancite dalla nostra Costituzione e l'introduzione di norme volte a sostenere l'affermazione di importanti principi di etica politica.
Non possiamo poi nasconderci che sul conflitto di interessi tale equilibrio è ancora più complesso da ottenere, per le caratteristiche stesse che il problema assume nel nostro Paese. In Italia, infatti, il problema si è presentato in modo rilevante a partire dalla campagna elettorale del 1994, che ha visto la partecipazione di Silvio Berlusconi quale aspirante alla carica di Primo ministro, pur essendo egli titolare di molteplici proprietà sulle quali si sarebbe trovato, appunto, in conflitto di interessi. Una vera e propria anomalia che ha avvelenato la politica italiana negli ultimi anni.
In Italia, in effetti, non era mai accaduto sino a quel momento che, al vertice dell'Esecutivo, accedesse un titolare di grandi aziende e di importanti imprese commerciali. Il rischio, quindi, che si possa nascondere nelle pieghe del percorso che ha portato alla redazione del testo in esame qualche tentativo di instaurare un regime punitivo contro una persona, contro il capo dell'attuale opposizione non è certamente da sottovalutare.
È per tale motivo che vorrei richiamare, stigmatizzando quanto avvenuto nella scorsa legislatura, il caso della cosiddetta legge Frattini che venne approvata a colpi di maggioranza, mentre riteniamo che le regole del gioco (oltre alla questione del conflitto interessi anche la legge elettorale) vadano decise insieme.
Il nostro giudizio sulla legge Frattini è negativo, perché si è dimostrata inadeguata e, in certi passaggi, una vera e propria finzione giuridica. Per cui avremmo molto apprezzato in quest'opera di miglioramento di quella legge che la maggioranza, di cui facciamo parte, avesse scelto un percorso in grado di portare ad una riforma bipartisan condivisa da maggioranza e opposizione. Si tratta dell'unica soluzione per togliere dal campo definitivamente il sospetto che sul conflitto di interessi, a seconda del mutare delle maggioranze, si intervenga a tutela o contro uno o più soggetti politici, di cui si è sostenitori od oppositori. Sarebbe stato certamente un percorso più lungo e tortuoso e non nascondo che, forse, avrebbe contenuto anche il rischio di essere infruttuoso, ma, certo, ne avremmo avuto il tempo, non trovandoci di fronte a un tema, certamente importante, ma non prioritario in questo momento della vita del nostro Paese. Soprattutto avremo dato un'immagine migliore del nostro Parlamento ai nostri concittadini, dimostrando che i temi dell'etica politica non sono oggetto di contrapposizione politica.
La concentrazione del dibattito sulla figura di Silvio Berlusconi ha condotto ad un grave errore, quello cioè di cercare soluzioni al conflitto di interessi attraverso leggi che sono percepite come contra personam, le quali mirerebbero a tagliare fuori dal mondo politico un personaggio ritenuto scomodo, perdendo così di vista quelle problematiche generali connesse alle libertà costituzionali ed all'etica politica a cui accennavo all'inizio. È questo,Pag. 32purtroppo, lo stato del dibattito sul conflitto di interessi presente nel nostro Paese, segnato da polemiche giornalistiche e politiche raramente arricchite da strumenti di analisi giuridica; quasi una sorta di caccia alle streghe piena di avversioni personali e pregiudizi ideologici che rende difficile ogni confronto.
Per tali ragioni, in relazione al testo in esame, approvato da parte della maggioranza nella I Commissione, è oggi particolarmente difficile condurre un serio ed approfondito dibattito sul tema e valutare le soluzioni più opportune, evitando che l'argomento diventi esclusivamente oggetto di battaglie, scontri politico-parlamentari o anche di piazza.
I Popolari-Udeur non possono accettare il fatto che, per l'ennesima volta, il tema sia affrontato nella logica della sola contrapposizione politica e dello scontro tra maggioranza e opposizione, la quale, a nostro avviso, non porterà ad alcun risultato positivo.
Ciò premesso, si spiega l'atteggiamento per cui noi, Popolari-Udeur, abbiamo scelto di non partecipare attivamente ai lavori della Commissione sul provvedimento, constatato che, in particolare da parte della maggioranza, sempre meno si è cercato di adottare un metodo di lavoro e di discussione volto a trovare l'equilibrio, cui mi sono prima riferito, con il coinvolgimento anche dell'opposizione.
La legge sul conflitto di interesse non deve, pertanto, essere diretta ad impedire a chi proviene da un'esperienza di mercato la partecipazione attiva alla vita politica, fatto, a nostro parere, di per sé positivo. Tale legge deve, tuttavia, fare in modo che anche tale partecipazione sia ispirata ai criteri costituzionali dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.
Il problema è essenzialmente quello di configurare condizioni ottimali per l'esercizio dei pubblici poteri, in ossequio ai principi del buon andamento di imparzialità, di cui all'articolo 97 della Costituzione, impedendo che i titolari di cariche di governo si servano dei propri poteri per ottenere vantaggi privati. È il problema dell'etica politica, come dicevo prima, che trova riferimento anche nell'articolo 54 della Costituzione, il quale stabilisce che i cittadini, cui sono affidate funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, intendendosi con ciò il rispetto dei doveri che incombono su chi esercita una determinata funzione pubblica in modo tale da meritare il rispetto dei cittadini. Un ulteriore riferimento si ravvisa nell'articolo 98 della Carta costituzionale, a norma del quale i titolari di cariche pubbliche sono al servizio esclusivo della Nazione.
Tali principi devono conciliarsi con la necessità di garantire a tutti il diritto di elettorato passivo, riconosciuto dall'articolo 51 della Costituzione, senza intaccare, d'altra parte, altri diritti costituzionali, primi fra tutti la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata.
Considerando nello specifico il testo su cui si sta svolgendo il nostro dibattito, non possiamo non rilevare due limiti significativi della proposta del blind trust: si tratta, in primo luogo, di un istituto non normato dalla legislazione italiana che costringerebbe alla bizzarria di doversi assoggettare a normative estere; in secondo luogo, l'imposizione ad un soggetto, indipendentemente alla sua volontà, del trasferimento coattivo dei propri beni e delle proprie aziende, a favore di un soggetto sconosciuto, presenta profili di dubbia costituzionalità alla luce degli articoli 3, 42 e 51 della Costituzione.
Come hanno giustamente evidenziato alcuni commentatori, se appare ragionevole affidare ad un gestore qualificato il proprio patrimonio, composto di denari, azioni e fondi, come è possibile affidare ad un gestore cieco il pacchetto di controllo, ad esempio, di un'azienda come Mediaset?
Non si tratta, in altre parole, di un capitale che può essere gestito burocraticamente, come nel caso di azioni e titoli di Stato, bensì di un colosso delle comunicazioni, le cui decisioni strategiche non possono che essere assunte ragionevolmente solo dal titolare. In tal modo, rimarrebbe al soggetto proprietario la sola possibilità della vendita.Pag. 33
Potevano essere più opportunamente analizzati altri modelli, ad esempio quello della governance societaria - anche alla luce della riforma del diritto societario - la quale offre significative possibilità al fine di realizzare la separazione tra proprietà e management.
La proposta in esame prevede, altresì, l'istituzione di un'apposita Autorità indipendente che mira a prevenire, piuttosto che a reprimere, possibili situazioni di coesistenza tra interesse pubblico ed interessi privati. Si tratta, pertanto, di un'ulteriore Autorità, con i relativi costi, che si aggiungerebbe così a quelle (già troppe) esistenti. Tale Autorità assorbirebbe soprattutto compiti oggi svolti, con competenza e capacità, dall'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato e dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: Autorità già esistenti che avrebbero potuto assolvere ai nuovi compiti stabiliti dalla legge anche mediante un'apposita dotazione di personale.
Ciò avrebbe consentito un significativo contenimento dei costi, in una fase economica del Paese in cui riteniamo che siano ben altre le necessità d'investimento del denaro pubblico.
Inoltre, la nascita di una nuova Autorità avverrebbe mentre ci si avvia ad un riordino della normativa che riguarda i soggetti con tale rango ed è questa una contraddizione di non poco conto che mi auguro venga presa in considerazione.
In conclusione, dopo aver ringraziato l'onorevole Violante per il lavoro svolto con competenza, vorrei esprimere il nostro orientamento rispetto al testo in esame, augurandoci che possa essere migliorato. Il nostro orientamento è di grande cautela, perché riteniamo che alcuni suoi elementi possano essere percepiti, come dicevo prima, contra personam, ed è dunque preferibile che la maggioranza si adoperi affinché il provvedimento definitivo che sarà approvato da quest'Assemblea venga elaborato con il concorso delle opposizioni. Vi è ancora spazio per farlo senza fretta e con ampia riflessione. Ci affidiamo, in particolare, all'autorevolezza dell'onorevole Violante, affinché tale provvedimento possa essere percepito da tutti come una legge istituzionale e non come una norma punitiva contro chicchessia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, illustre rappresentante del Governo, l'onorevole Violante nella sua approfondita e lucida relazione alla proposta di legge oggi in discussione alla Camera dei deputati ha giustamente attribuito l'emergere della necessità di un intervento legislativo in materia di conflitto di interessi alla discesa in campo, a partire dalla campagna elettorale del 1994, di una personalità che non proveniva dai partiti, ma direttamente dal mondo dell'impresa.
Egli però ha omesso di inserire quella improvvisa scelta nel contesto di allora che, a mio giudizio, sarebbe opportuno riprendere in questa sede. Quando Silvio Berlusconi decise di scendere in campo - uso il solito gergo giornalistico coniato da quello calcistico - l'Italia era alle prese con il più delicato e prorompente conflitto di interesse e di poteri della sua storia. Il potere giudiziario, che aveva il compito di controllo del sistema politico, si era fatto esso stesso potere politico. Si era proposto l'obiettivo dichiarato di perseguire una trasformazione profonda di un sistema politico rimasto immobile dopo le grandi trasformazioni europee del 1989. Aveva poi tentato di condizionare con successo la nascita del Governo Ciampi, dopo la votazione sulle richieste di autorizzazione nei confronti di Bettino Craxi, contro il quale la maggioranza dei deputati votò, almeno per quelle più rilevanti, nell'aprile del 1993. Aveva ancora minacciato una sollevazione dopo l'emanazione del decreto Conso che depenalizzava il finanziamento illecito, già depenalizzato, anche con il consenso del PCI, fino al 1989. Continuava, inoltre, a contribuire alla distruzione di interi partiti politici che avevano fatto la storia d'Italia, certo anche approfittando dei loro errori, delle loro contraddizioni ed incertezze.
L'Italia stava attraversando un periodo storico che qualcuno chiamava rivoluzionarioPag. 34e qualche altro di falsa rivoluzione. Indubbiamente, i rivolgimenti politici, che nel nostro Paese erano stati fino ad allora minimi, si accentuarono improvvisamente e si moltiplicarono, con un effetto domino non dissimile da quello prodotto dalla caduta dei regimi comunisti pochi anni prima. In particolare, vennero colpiti i partiti di Governo: la DC, che nel 1993 si trasformò in Partito Popolare, non seppe reggere l'urto e si frantumò lentamente. Più veloce fu la consunzione del PSI, travolto ai massimi livelli dall'iniziativa giudiziaria ed incapace di difendersi, più che per mancanza di volontà, per l'intensità dell'urto al quale venne sottoposto. Si sbriciolarono anche i partiti dell'area laica e socialista: il PRI e il PLI e il PSDI e, a tre mesi dalle elezioni politiche, che il Presidente della Repubblica Scalfaro volle anticipare senza interpellare un Parlamento che appariva allora delegittimato, esisteva solo una gioiosa macchina da guerra di conio «occhettiano» contro la quale nessuno sapeva contrapporsi. Non la DC, bloccata dalla lotta, anche nella versione di Partito Popolare, delle sue due anime storiche; non il PSI, alla ricerca di un impossibile dopo-Craxi; nemmeno l'MSI, ancora ghettizzato e che cominciava a intravedere sullo sfondo l'uscita della sua emarginazione, approfittando proprio delle inchieste giudiziarie. E neppure la Lega, che sapeva imporsi solo in una parte del Paese e di ciò si accontentava, senza pensare a coalizioni con altri partiti che, del resto, intimamente detestava. Su Mario Segni, fautore di referendum, si puntarono gli occhi. Ma il trionfatore del referendum elettorale del giugno 1993 era troppo oscillante tra destra e sinistra per comprendere che il suo momento era scoccato. Per di più, il giacobinismo imperante aveva gridato alla lotta all'untore: apparivano untori non solo gli uomini politici di Governo, ma anche tutti coloro che li avevano appoggiati e frequentati. E si proclamava che lo stesso Berlusconi, in particolare per l'amicizia con Craxi (al quale doveva l'esistenza stessa delle sue televisioni per i due decreti-legge del 1985), avrebbe dovuto pagare le sue colpe.
È in questo contesto, onorevole Violante, che Berlusconi, unendo, forse, disperazione a coraggio, decide di spendersi politicamente e di contrapporre al conflitto di interessi della magistratura e di quello di uomini come Di Pietro (che stava svestendosi della toga per entrare in politica), il suo conflitto di interessi. La fine della politica, caratterizzata dalla presenza di partiti, configurava un nuovo inizio ed una nuova contrapposizione tra le televisioni di Berlusconi e le manette del potere giudiziario, con una sinistra che, di gioioso, non aveva neppure il sorriso sotto i baffi del suo presunto candidato leader! Il partito delle televisioni sconfisse il partito delle manette con le elezioni del 1994 e ritengo sia stato un bene per tutti.
Inoltre, a forza di concepire i politici e i partiti come contenitori di tutti i vizi, la gente vide in Berlusconi l'uomo che proveniva da un altro mondo. Il capolavoro della sinistra fu, dunque, quello di abbinare, in quel momento, giustizialismo e conservazione, e di non comprendere che, sposando acriticamente (ma forse vi fu costretta) la linea della rivoluzione giudiziaria, alla fine ci avrebbe rimesso essa stessa, così pesantemente partitica. Il beneficiario di tali indagini fu proprio Berlusconi, il quale - come disse, in quest'Assemblea, Massimo D'Alema - senza tangentopoli non sarebbe mai diventato Presidente del Consiglio. Egli affidava così alla sua entrata in politica una funzione strettamente legata all'espansione del potere giudiziario, svolgendo un ruolo di supplenza del vuoto conseguente la fine dei partiti di Governo.
Ho voluto richiamare tale contesto sollecitato da lei, onorevole Violante, e ora chiedo a tutti voi: in che misura, oggi, la situazione italiana è cambiata e come possiamo, in questa nuova fase, discutere di un conflitto di interessi? Certo, la lobby giudiziaria ha perso molto potere rispetto a dodici anni fa! Certo, il tintinnio delle manette, usate per ottenere le confessioni dell'indagato, in spregio a qualsiasi legge, sono solo un ricordo. Certo, la maggior parte di quei processi si è conclusa, oggi, con l'assoluzione degli indagati. Su quegliPag. 35anni così turbolenti è nata da tempo, anche a sinistra, una teoria revisionista, della quale lei, onorevole Violante, è uno dei principali artefici. Possiamo dirlo: quella fase è finita e solo sporadiche scosse di assestamento si verificano di quando in quando in Italia. Ma oggi dobbiamo chiederci se possiamo rifondare la politica! Questo è il problema centrale, più del conflitto di interessi di Berlusconi, del quale nessuno può negare l'evidenza. Oggi, la politica vive con partiti fragili e con leadership forti, almeno sulla carta e per la visibilità che è loro riconosciuta. A prescindere dalle primarie, spesso organizzate per mettere fumo negli occhi, conta chi è nelle istituzioni!
La legge per l'elezione diretta dei sindaci ha creato una sorta di podestà, che non risponde di nulla a nessuno! Si sono formate quelle oligarchie che, all'inizio del secolo scorso, il sociologo Robert Michels chiamava «delle élite»: allora, erano riferite a quelle partitocratiche; oggi, invece, potremmo riferirle a quelle del potere istituzionale e, solo in rari casi, a effetti «leaderistici» dei capi carismatici di partito. La selezione dei quadri avviene, così, per cooptazione e non più per consenso conseguito sul campo. I cooptati dal capo, in genere, più che personalità politiche forti, sono personaggi che sanno assicurare lealtà o, meglio, fedeltà.
D'altronde il riconoscimento è una normale attitudine di chi sa di avere ottenuto un vantaggio. Così anche la legge elettorale, non importa se uninominale o proporzionale, ma senza preferenze, o la nomina di uomini di governo o di assessori non eletti, attribuisce al capo il potere di scelta ed i prescelti o gli eletti vengono selezionati preventivamente, in base a rapporti speciali con chi ha il potere decisionale: un sindaco, un governatore, un Presidente del Consiglio o qualche capo carismatico di partito.
Così, cari amici, la democrazia politica è andata a farsi benedire, almeno quella che noi abbiamo conosciuto e frequentato. Si può dire che Berlusconi abbia dato il suo contributo a tutto questo, con il partito di Forza Italia costruito a rovescio, come un'azienda, dove dal centro si nomina la periferia. Tuttavia, un contributo di partenza è stato certamente dato sia dai cosiddetti poteri forti, i quali hanno appoggiato il referendum di Mario Segni, sia dal giustizialismo antipartitico che è prevalso a seguito dell'indagine di «mani pulite», da coloro che hanno criticamente appoggiato questo processo, riconoscendo il proprio errore solo dieci anni dopo e, certamente, anche dagli errori notevoli compiuti dalla vecchia partitocrazia (e su ciò bisogna essere chiari). Se l'emergenza è finita, mi auguro che tornino, sia pur rinnovati, anche nella classe dirigente così bloccata e ossificata solamente in Italia, anche i partiti storici, fondati sulle identità, uscendo dal post-tangentopoli e dall'emergenza governata dai due grandi conflitti di interessi.
Ho ricordato tutto questo in quanto, se il conflitto di interessi è un dato reale, lo è in molte direzioni e non può essere esclusivamente addebitato a Berlusconi. Ad esempio, sarei personalmente favorevole ad una legge che inibisse ai magistrati l'accesso a cariche elettive entro un numero di anni dalla cessazione del loro incarico. A titolo esemplificativo, vorrei ricordare che l'onorevole Di Pietro ha utilizzato, spesso, i verbali dei suoi interrogatori per acquisire consensi in campagna elettorale. Si ritiene che ciò sia compatibile? Non è, invece, un prodotto confliggente di due interessi diversi e di due poteri autonomi? Inoltre, che dire dei molti assessori che nella mia regione, l'Emilia-Romagna, ma non solo, sono funzionari cooperativi in aspettativa e devono decidere gli appalti a cui concorrono le loro stesse cooperative? Una legge che concepisse il conflitto di interessi accentrato esclusivamente su Berlusconi sarebbe un'ennesima legge ad personam, anzi, il che è peggio, contra personam.
L'onorevole Boselli ha affermato che una legge riguardante l'attuale capo dell'opposizione non può essere approvata a maggioranza in quanto, così facendo, si rischia di fare il suo gioco, cioè renderlo vittima dei comunisti, come spesso ama ripetere l'ex Presidente del Consiglio. ConPag. 36divido la notazione di Boselli e ritengo che, se un contendente si trovi in una posizione personale anomala, l'altro non possa legiferare senza che la sua parte venga direttamente coinvolta, a meno che la stessa non neghi l'esistenza del problema. L'onorevole Cicchitto ha richiamato possibili convergenze su una proposta di legge relativa al conflitto di interessi che escluda il trust e che, invece, preveda un mandato fiduciario.
Inoltre, come ricorda il relatore, occorre richiamare l'attenzione sulla circostanza che esiste anche la posizione, per così dire più intransigente, dell'onorevole Di Pietro, del suo partito, del PdCI e dei Verdi, i quali contrappongono ineleggibilità e incompatibilità. Signor rappresentante del Governo, vorrei ricordare che l'esponente dell'Italia dei Valori ha esplicitamente affermato, in quest'aula, che il suo gruppo non voterà a favore del provvedimento in esame e che è preferibile nessuna legge piuttosto che questa. Pertanto, mentre per la parte più moderata Berlusconi non può fare il Presidente del Consiglio, se non accettando le norme relative al trust cieco (di cui parlerò in seguito), o vendendo la sua azienda (e tutti dovrebbero tirare un gran sospiro di sollievo), per costoro non può neppure essere eletto. Si tratta di una posizione gauchiste, che vorrebbe farla finita subito con il «fenomeno Berlusconi», stroncandolo sul nascere una volta per tutte.
Inoltre, il relatore, onorevole Violante, annuncia nella sua relazione di voler presentare emendamenti al provvedimento in esame, senza però precisarne il contenuto. Ciò potrebbe bastare per avanzare dubbi e perplessità sulla natura di una proposta di legge che si presenta contestata o incompleta. Ci si interroga sulle motivazioni che hanno ugualmente spinto i proponenti a chiederne la calendarizzazione in questo ramo del Parlamento, conoscendo i «numeri» al Senato, dove non si riesce ad approvare, senza suscitare patemi d'animo, neppure una legge sull'introduzione nella Costituzione della lingua italiana come lingua ufficiale della nazione. Credo pertanto che appaia a tutti problematico l'iter di un provvedimento da votare a maggioranza e contestato dalla stessa maggioranza.
È vero, ed è inutile nasconderlo, che l'attuale legge sul conflitto di interessi basata sul suo accertamento di fatto e non sul conflitto preventivo può essere discutibile. Forse era anche opportuno tentare di superarla o di emendarla; resta per me difficilmente giustificabile però - ed è la seconda anomalia che registro - il contenuto dell'articolo 10 e, soprattutto, dell'articolo 11 del provvedimento in esame.
Sia ben chiaro: rimpiango gli uomini politici cosiddetti «professionisti», quali De Gasperi, Nenni, Togliatti, Moro, Fanfani, Andreotti, La Malfa, Saragat e Craxi: nessuno di loro era imprenditore. Dichiaro, senza tema di smentita, che i partiti sono stati una grande fucina di quadri e di gruppi dirigenti della nazione, ma oggi non sono più in grado di fornire il quadro dirigente del Paese, se non in misura insufficiente ed insoddisfacente. Questa è la verità, non il mito della cosiddetta società civile, ma lo scoprite adesso? Non sapevate quello che facevate quando davate il vostro «piccone» quale contributo allo smantellamento dei partiti? Non si riconsegna, però, la politica ai professionisti della politica con l'articolo di una legge che sancisce l'incompatibilità generale tra cariche di Governo e qualsiasi attività imprenditoriale, esclusi i piccoli imprenditori, a norma dell'articolo 2083 del codice civile. Se il proposito, onorevoli colleghi, non è quello di colpire Berlusconi vorrà dire che il vero proposito è quello di eliminare Illy!
Non sono in grado di giudicare l'efficacia del cosiddetto trust cieco, cioè dell'affidamento a terzi estranei che non debbono aver avuto alcun rapporto con il conferente, dell'intero patrimonio dell'incompatibile, che deve essere tenuto all'oscuro - per questo motivo «cieco» - di tutta la sua gestione. Il trustee può fornire solo informazioni specifiche relative alla vendita dei beni e informazioni necessarie per motivi fiscali. Si desume, questo istituto, dal modello americano, un modello molto particolare, e anche in ciò ritorna -Pag. 37chissà perché? - il mito d'oltreoceano, forse nascosto da un ultradecennale complesso di colpa verso quel Paese e che certo non può che essere, anche esso, la conseguenza della futura nascita del partito democratico, anche quest'ultimo di origine americana.
Ciò che stupisce poi, e per certi aspetti inquieta - ed è la terza anomalia - è l'articolo 11, comma 1, lettera a), che sancisce le incompatibilità determinate dalla specifica natura del patrimonio del titolare della carica di Governo, in particolare laddove si stabilisce l'incompatibilità con un patrimonio di valore superiore ai 15 milioni di euro. Francamente mi sfuggono, onorevole Violante, le motivazioni di una tale incompatibilità, diciamo così, di censo. Dopo aver sancito la qualità della incompatibilità, si avverte anche l'esigenza di sancirne la quantità: perché? Non vorrei che, anche in questo caso, sia stata richiamata quella volontà di «far piangere i ricchi» che era stata solennemente declamata in un famoso «manifesto» durante la discussione della legge finanziaria, che aveva, invece, fatto piangere un po' tutti. Vorrei sapere in che cosa è incompatibile il proprietario di un patrimonio 15 milioni di euro, regolarmente dichiarato, e perché non lo sarebbe chi, invece, ne dichiara solamente 14: mistero! Non male anche l'idea di promuovere una nuova Autorità con tanto di membri naturalmente pagati dallo Stato. Dopo l'Autorità antitrust e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nascerà dunque «L'Autorità per la prevenzione del conflitto di interessi e delle forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione». Era proprio necessario istituire una specifica autorità per sancire l'incompatibilità di Berlusconi e, per di più, a spese dello Stato?
Resta, certo, il delicato equilibrio democratico in una fase in cui i mezzi di comunicazione determinano la politica; lo diciamo noi che veniamo completamente «oscurati» dalla televisione di Stato e da Mediaset. Per questo motivo ci siamo rivolti alla competente Autorità affinché assicuri una corretta informazione dei lavori parlamentari, e non solo «pastoni» televisivi, in cui pochi secondi di tempo vengono lottizzati dai grandi partiti, cui si sommano, ogni tanto, quelli di qualche raccomandato di turno. Perché la tutela delle minoranze, delle piccole forze politiche, non scomoda l'attenzione di nessuno? Il conflitto di interessi è certo più «arrapante» dell'interesse a non ignorarci, lo so, così il paradosso è che i mezzi di informazione continuano a celebrare i contrapposti equilibri che si scontrano, anche oggi, sulla proposta di legge sul conflitto di interessi e che si incontrano, invece, per monopolizzare tutto lo spazio televisivo a loro uso e consumo.
Nessuno pretende che i piccoli abbiano uguale spazio dei grandi, ma ignorare il contributo che ognuno di noi reca al dibattito parlamentare - faccio appello, su questo aspetto, al Presidente della Camera, perché si muova nella direzione di assicurare a tutti le garanzie previste dalla Costituzione italiana - e, nel contempo, «oscurare», come se fossero defunte, le piccole formazioni politiche, le piccole forze parlamentari, lo ritengo un atto ben peggiore dell'incompatibilità.
Signor Presidente, egregi colleghi, concludo con l'auspicio che nello scontro su questa proposta di legge non vinca nessuno, ma vinca la democrazia politica, il rispetto delle opposizioni, la tutela delle minoranze, la fine di tutte le egemonie e di tutti i monopoli, perché la politica sia sempre meno oggetto dell'interesse dei poteri forti e perché l'Italia possa davvero diventare un paese normale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, credo che la seduta odierna - oggi è il 15 maggio 2007 - sia di grande importanza, proprio perché stiamo avviando, con un dibattito molto ampio e di grande complessità, la delicata materia di una nuova normazione concernente il conflitto di interessi. A questo riguardo, vorrei ringraziare il Governo per l'attenzione e l'interlocuzione che ha sempre rivolto al nostroPag. 38lavoro, anche con l'intervento del suo rappresentante di questa mattina; un ringraziamento del tutto particolare va al Presidente della I Commissione affari costituzionali, che su questa delicatissima materia ha svolto e svolge, anche egregiamente, il ruolo di relatore. Poiché non ho molto tempo a disposizione, per quanto riguarda l'illustrazione delle caratteristiche e delle peculiarità delle norme introdotte con questa proposta di legge mi rifaccio integralmente sia alla relazione scritta, già stampata, sia alla relazione orale che il presidente Violante ha svolto questa mattina, all'inizio dei nostri lavori.
Il problema del conflitto di interessi è un tema che attraversa in particolare, come è già stato detto da molti, le ultime quattro legislature. Sotto questo profilo, il sistema politico e istituzionale italiano continua a costituire - nel suo insieme, non soltanto per una questione specifica - una grande anomalia nel panorama delle democrazie occidentali. La mancanza di una legge rigorosa e incisiva sul conflitto di interessi - quella vigente non lo è - riguarda non soltanto le cariche di Governo dello Stato, ma anche le cariche di governo nelle regioni, nelle province e nei comuni oltre una certa dimensione.
La cosiddetta legge Frattini della scorsa legislatura, approvata dalla maggioranza di centrodestra, è in effetti risultata totalmente inadeguata e inefficace. Nella XIII legislatura, a maggioranza di centrosinistra - una lezione di stile che venne data allora - fu nominato relatore lo stesso Frattini e il testo varato dalla I Commissione venne approvato dalla Camera a larga maggioranza. Quel testo, tuttavia, si arenò al Senato, anche per responsabilità - è bene ricordarlo - di alcuni settori del centrosinistra. Fu un caso esemplare in cui il «meglio» presunto si è dimostrato, purtroppo, nemico del bene: il bene era il testo già approvato dalla Camera. Per i cinque anni successivi ci siamo sentiti rinfacciare questa mancata approvazione, di cui, però, in questo ramo del Parlamento, obiettivamente, non avevamo diretta responsabilità.
Basti inoltre pensare che nella scorsa legislatura presentai, quali emendamenti al testo del centrodestra, presentato dall'allora ministro Frattini, tutti gli articoli del testo Frattini della XIII legislatura. Ebbene, tutti quegli emendamenti furono inesorabilmente respinti e bocciati dalla maggioranza di centrodestra, che li ritenne troppo incisivi e penetranti. Dunque, fu un paradosso: la legge Frattini della XIV legislatura nacque sulle ceneri disconosciute della proposta di legge, relatore Frattini, della XIII legislatura. Miracoli del passaggio dello stesso deputato dall'opposizione alla maggioranza ed al Governo! Ma tutto questo resta documentato negli atti parlamentari.
La proposta di legge oggi al nostro esame arriva in Assemblea dopo otto mesi di esame in sede referente da parte della I Commissione affari costituzionali. Chi da destra parla e ha parlato, anche in questi giorni, di indebita e incomprensibile accelerazione, rasenta, francamente, il senso del ridicolo. Ma anche chi da sinistra ha parlato di «questione abbandonata» rispetto agli impegni elettorali, evidentemente si è dimenticato di leggere gli atti parlamentari di questi otto mesi.
In realtà, la proposta di legge sul conflitto di interessi è stata presentata già il 7 luglio 2006. Essa, a prima firma dell'onorevole Franceschini, venne sottoscritta da tutti i gruppi dell'Unione, è bene ricordarlo in quest'aula: essa reca quali firmatari i colleghi Franceschini, Migliore, Donadi, Villetti, Bonelli, Sgobio, Fabris, Brugger, Sereni, Bressa, Zaccaria, Mascia, Belisario, Angelo Piazza, Boato, Licandro, Adenti e Zeller. Tutti i gruppi dell'Unione, quindi, e anche alleati dell'Unione come le minoranze linguistiche l'hanno condivisa, e nessun'altra proposta di legge è stata presentata, né da parte dei deputati del centrosinistra né da parte, a maggior ragione, dei deputati del centrodestra: è uno dei pochissimi casi di un tema di enorme rilevanza che vede al nostro esame un unico testo di proposta di legge. Alcuni esponenti del centrodestra avevano minacciosamente - non si tratta di una minaccia, sarebbe fisiologia parlamentare - annunciatoPag. 39nelle settimane e nei giorni scorsi la presentazione di un testo alternativo: l'esame in sede referente si è concluso senza che tale testo alternativo venisse presentato.
L'esame in Assemblea comincia dopo meno di un anno dall'insediamento del Governo Prodi. Da parte di alcuni colleghi del centrosinistra si considera - l'abbiamo ascoltato in quest'aula - un limite della proposta di legge in esame il fatto che essa non preveda ipotesi di ineleggibilità (Commenti del deputato Del Bue)... Scusa, Del Bue, io ti ho ascoltato senza disturbarti!
A tale riguardo, del tutto pacatamente e serenamente, credo che sia utile ricordare, però, quattro questioni.
In primo luogo, nella proposta di legge Franceschini, come ho già ricordato, firmata da tutti i presidenti di gruppo dell'Unione, si parla di «Disposizioni in materia di incompatibilità (...)», e non di ineleggibilità. Si parla di ciò fin dal titolo e poi lo si prevede esplicitamente nell'articolo 2.
In secondo luogo, nel programma dell'Unione, che è stato firmato da tutti segretari di partito della coalizione di maggioranza, e con cui la coalizione di Romano Prodi si è presentata agli elettori, non si prevede di affrontare il conflitto di interessi attraverso ipotesi di ineleggibilità. Anche in questo caso è opportuno leggere alcuni passi. Leggo da pagina 19 del programma dell'Unione, presentato da Romano Prodi e, lo ripeto, sottoscritto da tutti i segretari dei partiti politici che vi hanno aderito: «Dobbiamo colmare una profonda lacuna, adeguando l'ordinamento italiano a quello di altre grandi democrazie occidentali attraverso un modello di provata efficacia e di sicuro equilibrio, che mira a prevenire l'insorgere di conflitti di interesse tra incarichi istituzionali, sia nazionali sia locali, e l'esercizio diretto di attività professionali, imprenditoriali o il possesso di attività patrimoniali che possano confliggere con le funzioni di Governo. Gli strumenti» dice sempre il programma «che utilizzeremo sono la revisione del regime delle incompatibilità, l'istituzione di una apposita Autorità garante, l'obbligo di conferire le attività patrimoniali a un blind trust». Mi pare esattamente ciò che stiamo facendo con la proposta di legge in esame. Un programma non è soltanto un «pezzo di carta», perché con la nuova legge elettorale esso viene oltretutto depositato all'atto di presentazione delle candidature collegate nelle coalizioni, quindi ha una sua rilevanza anche di carattere istituzionale.
In terzo luogo, la questione della ineleggibilità riguarda la rappresentanza politica, la rappresentanza in Parlamento, nei consigli regionali, provinciali e comunali, mentre la questione del conflitto di interessi riguarda, come abbiamo detto e ripetuto, le cariche e le responsabilità di Governo, sia a livello nazionale, sia a livello locale.
In quarto, e ultimo, luogo, voglio rilevare che esiste, a tale riguardo, una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale che tende a privilegiare l'istituto della incompatibilità rispetto a quello della ineleggibilità, perché quest'ultima, che esiste come istituto, comprime i diritti politici costituzionalmente garantiti, e quindi bisogna limitarla soltanto a casi assolutamente eccezionali. Comunque - ripeto - stiamo parlando di rappresentanza e non di cariche di Governo.
La proposta di legge al nostro esame, quindi - mi pare - è pienamente rispettosa del dettato costituzionale e con esso coerente: essa colma una lacuna davvero enorme nel nostro sistema istituzionale. Non a caso, del resto, nel corso dell'esame in sede referente in Commissione, siamo partiti dall'ascolto non solo di numerosissimi esponenti della dottrina di tutti gli orientamenti culturali - in quest'aula, ovviamente, ho sentito citarne soltanto alcuni e del tutto parzialmente - ma anche dei Presidenti dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, Antonio Catricalà, e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò. Proprio la segnalazione, anche in base alle loro relazioni semestrali, dei limiti e delle carenze della disciplina attuale in materia, la cosiddetta legge Frattini, è stata uno degli elementi di stimolo per affrontare i moltiPag. 40aspetti e le innovazioni legislative proposte dal relatore Violante e dalla I Commissione.
Suggerisco, inoltre, di leggere con attenzione la proposta di legge al nostro esame - anche se questo testo ha una diversa rilevanza - alla luce delle osservazioni critiche sulla legge Frattini contenute nelle conclusioni del parere n. 309/2004 (datato Strasburgo, 13 giugno 2005) della cosiddetta Commissione di Venezia, cioè la Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (che aveva ricevuto il mandato ad esprimersi sulla legge Gasparri e sulla legge Frattini da parte dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa). Anche in questo caso, credo che sia opportuna una breve citazione. Al punto 24 delle conclusioni, riguardo alla legge Frattini, il parere recita: «La Commissione ritiene che il fatto di dedicarsi alla politica sia una libera scelta di ciascun individuo. Comporta certe prerogative e certi doveri. Una carica governativa determina un certo numero di incompatibilità e di limiti. Purché siano ragionevoli, chiari, prevedibili e non compromettano la possibilità stessa di accesso ad una carica pubblica, ogni individuo è libero di decidere se accettarli a meno. La semplice possibilità di subire una perdita finanziaria non dovrebbe, di per sé, essere una ragione per escludere un'attività dall'elenco delle cariche incompatibili con una funzione di governo». Questo è il testo del parere che la Commissione di Venezia ha espresso nel 2005.
È importante, dunque, che la proposta di legge al nostro esame preveda - com'era del resto nel testo originario, ma in questo caso la formulazione è diversa e, a mio parere, più puntuale e precisa - anche l'istituzione di un'apposita Autorità per la prevenzione dei conflitti di interessi e delle forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione, assorbendo fra l'altro anche i compiti dell'Alto Commissario contro la corruzione.
Ho sentito in proposito parole scandalizzate e scandalistiche: «Un'Autorità che pagherà lo Stato!». Immagino che un'Autorità sia pagata dallo Stato. «Un'Autorità che pagheranno i contribuenti...!»: immagino che, quando vi è un servizio pubblico di altissimo livello com'è questo, esso richieda una copertura finanziaria pubblica. Ma i colleghi che si sono scandalizzati, forse, non si sono accorti che - sia pure con caratteristiche a volte diverse, attinenti anche alla questione etica che, invece, non affrontiamo, poiché, com'è giusto nella logica di uno Stato di diritto, ci basiamo esclusivamente sul riferimento a norme - autorità di questo tipo esistono anche nei paesi anglosassoni: ad esempio in quegli Stati Uniti d'America che, a fasi alterne, un giorno si invocano come esempio, anche con una certa sudditanza, ed un altro giorno si rigettano come situazione totalmente altra ed estranea al nostro ordinamento, a seconda di ciò che fa comodo.
A me pare che sia del tutto pretestuoso proporre, come fa una parte del centrodestra (o tutto: lo vedremo alla luce degli emendamenti presentati), in alternativa all'Autorità addirittura - udite udite! - una Commissione parlamentare. In questo modo, la maggioranza parlamentare avrebbe la responsabilità, attraverso la Commissione, in cui sarebbe ovviamente in maggioranza, di controllare il conflitto di interessi del proprio Governo, che risponde alla propria maggioranza. Si tratterebbe di un pasticcio istituzionale assolutamente impresentabile, che annullerebbe qualunque ipotesi di terzietà, di autonomia e di indipendenza: tutti requisiti assolutamente fondamentali in questo ambito e per questa delicatissima funzione.
Come già ricordato da altri colleghi, qualcuno si è scandalizzato poco fa per il fatto che il collega Violante abbia detto che vi potranno essere emendamenti e correzioni, ma ciò fa assolutamente parte della fisiologia parlamentare: non ho mai visto un testo, fra l'altro complesso come questo, arrivare in un'aula del Parlamento e non essere sottoposto, come è ovvio che accada, ad alcuna correzione o modifica attraverso il dibattito parlamentare, chePag. 41non è una mera registrazione meccanica del lavoro svolto in Commissione, pur preziosissimo.
Quindi, come è ovvio e del tutto fisiologico, la proposta di legge in discussione - nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, a seconda del calendario dei lavori - potrà essere migliorata e perfezionata nel corso dell'esame parlamentare.
Trovo francamente sconcertanti le parole ascoltate nel primo intervento di questa mattina in aula, che cito dal momento che il collega Bruno è stato presidente della Commissione affari costituzionali nella scorsa legislatura: ho sentito parlare di «percorso schizofrenico e intimidatorio» e, ancora, di «un cammino tortuoso, difficoltoso e incomprensibile» il quale, addirittura, «offende i più elementari principi costituzionali» (ho preso appunti mentre ascoltavo, pertanto credo di aver fatto citazioni testuali).
Sinceramente, con tutto il rispetto per il collega Bruno, questo non è un linguaggio accettabile e ha francamente anche un vago sapore - questo sì - intimidatorio nei confronti del Parlamento.
Mi auguro che, anche da parte di tutte le forze politiche del centrosinistra, vi sia il senso di responsabilità di riconoscere la positività del risultato raggiunto con il testo varato dalla I Commissione e oggi al nostro esame, senza ripetere l'errore già ricordato, commesso nella XIII legislatura: errare humanum est, perseverare diabolicum.
Oggi abbiamo al nostro esame un testo equilibrato, rigoroso ed efficace, per il quale dobbiamo riconoscere il buon lavoro compiuto - l'ho già detto - sia dal relatore Violante, sia dall'insieme della I Commissione affari costituzionali, che, attraverso un dibattito e un confronto parlamentare assolutamente aperto, vogliamo, però, ora portare responsabilmente a compimento (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, colleghi, la Lega, durante la discussione in Commissione del testo al nostro esame, è rimasta un po' a guardare, facendo da osservatore. Ciò perché, sinceramente, volevamo vedere se si riusciva a produrre qualche cosa di utile, su una materia così delicata come il conflitto di interessi. La Lega, in questo suo atteggiamento di attesa, anche nel senso di atteggiamento non ostruzionistico, voleva in effetti vedere, per poi, eventualmente, arrecare un apporto costruttivo alla discussione del testo.
Noi pensiamo, infatti, che il problema del conflitto di interessi vada risolto, anche per non dare sistematicamente in mano alla sinistra un'arma che possa essere utilizzata ciclicamente tutte le volte che vi sono campagne elettorali ed elezioni politiche o tutte le volte che qualcuno vince liberamente le elezioni e si vuole poi contestare il risultato delle stesse, come è avvenuto nella passata legislatura.
La Lega, appunto, è disponibile a risolvere il problema del conflitto di interessi e per questo motivo ha atteso. Volevamo vedere se usciva dalla Commissione una proposta di legge non pervasa da furore ideologico, da strumentalizzazioni politiche o dalla voglia spasmodica di colpire qualcuno, come è stato ricordato, con una legge contra personam.
Invece, così non è successo, perché il testo della proposta di legge licenziato dalla Commissione e presentato oggi all'Assemblea è pervaso da furore ideologico.
Lo ha sostenuto, seppur ovviamente, non potendo attaccarlo frontalmente, il presidente della Consob, Lamberto Cardia, allorchè, in sede di audizione dinanzi alla Commissione, ci ha spiegato che questa proposta di legge presenta dei profili di incostituzionalità con riferimento agli articoli 42 e 43 della Costituzione e ha sostenuto chiaramente che questo progetto, così come formulato, è un attacco alla proprietà privata.
È una proposta di legge pervasa dalla strumentalizzazione politica, poiché si presenta come una norma-manifesto, che soddisfa gli appetiti della sinistra più radicale,Pag. 42presentata e calendarizzata nei lavori di quest'Assemblea proprio in prossimità delle elezioni amministrative. Inoltre, riteniamo che sia prevalsa la volontà di colpire l'onorevole Berlusconi.
Tuttavia, è necessario prestare attenzione, perché il vostro atteggiamento, con questo provvedimento, è stato simile a quello di coloro che tirano un colpo e, successivamente, per depistare, ne sparano anche altri a caso; e con questa proposta di legge si colpisce la rappresentanza politica. Infatti, quando si stabilisce che chi possiede un patrimonio di 10 o di 15 milioni di euro nello stesso settore di attività economica è incompatibile non solo con una carica di Governo, ma anche con un ufficio di livello amministrativo - penso ai sindaci, agli assessori provinciali o agli assessori regionali - e che, comunque, la sua posizione è inconciliabile con la carica di amministratore locale (sebbene si rinvii ad un successivo provvedimento del Governo, tuttavia questo principio viene sancito), ciò significa colpire la rappresentanza politica e sancire che gli amministratori locali possono essere soltanto funzionari di partito.
Sapete benissimo - in caso contrario, vi invito a riflettere - che, se si stabilisce che un imprenditore con un patrimonio di 15 milioni di euro è costretto a vendere i propri beni o a costituire un blind trust, ciò implica che questo imprenditore non può svolgere attività politica: con l'intento di colpire Berlusconi, avete colpito soprattutto l'istituto della rappresentanza politica, in particolare della categoria dei piccoli e medi imprenditori. Infatti, chi ha costruito con fatica un'impresa, con il lavoro proprio o, magari, con quello della generazione prima di lui, mai e poi mai venderà la sua azienda per il puro capriccio di fare politica e mai e poi mai deciderà di affidarla ad un trust cieco, perché ciò equivale esattamente ad una espropriazione.
La proposta di legge adottata è pessima, poiché mira appunto a colpire la proprietà privata e la rappresentanza politica, stabilendo il principio che all'attività politica possano partecipare solo i funzionari di partito o, quantomeno, una casta di «politici di professione» (è divenuta una moda usare questo termine, poiché un libro pubblicato recentemente ha posto l'accento sui privilegi dei politici).
A fronte di questa proposta di legge, la Lega ha deciso di intervenire presentando una serie di proposte emendative che si configurano come un progetto alternativo, perché l'impostazione attuale non ci soddisfa.
In quale direzione vogliamo lavorare? Vorremmo avanzare una proposta di legge che risolva il problema del conflitto di interessi, al contempo senza colpire né la proprietà privata, che è garantita dalla nostra Costituzione, né la rappresentanza politica, che non sia pervasa da furore ideologico e che sia ispirata al principio della trasparenza.
Infatti, nel momento in cui si affida ad una Autorità, che si vuole definire imparziale (come una sorta di magistratura), un potere di vita e di morte sulle sorti di un Governo liberamente eletto dai cittadini, è necessario prestare attenzione, perché prevale, come sempre, un'impostazione per cui se il risultato delle elezioni sta bene, tutto può procedere, se, invece, il risultato non sta bene a qualcuno, viene approntato uno strumento ulteriore, cioè quello della magistratura, in un caso, o della magistratura tecnica, nell'altro caso.
Anche questo è un tema che abbiamo affrontato nella nostra proposta di legge. Sosteniamo - e lo spiegheremo in seguito durante l'esame degli emendamenti - che il patrimonio oggetto di attenzione per il conflitto di interessi non possa ammontare a 15 milioni di euro, ma debba essere più elevato: pensiamo a 50 milioni di euro.
Ciò non vuol dire che i politici non siano tenuti a dichiarare i loro beni, perché inseriamo il provvedimento in esame nell'impianto della legge Frattini, che è stata approvata nella scorsa legislatura. Pertanto, tutti i politici hanno l'obbligo di dichiarare i loro beni, ma la soglia rilevante per il conflitto di interessi deve essere di 50 milioni di euro, perché, ovviamente, non possiamo permettere che il piccolo o medio imprenditore si trovi nell'impossibilitàPag. 43di scendere in politica perché lo costringete a vendere i beni che, probabilmente, si è procurato con il lavoro e la fatica di una vita.
Inoltre, una volta individuato il parametro quantitativo, chiediamo che vengano lasciate diverse possibilità. La scelta del trust cieco o della vendita dei beni deve essere rimessa a chi decide di scendere in politica, così come avviene negli Stati Uniti. Ho sentito invocare dalla sinistra il blind trust, ma a sproposito, perché negli Stati Uniti il titolare della carica di Governo sceglie se ricorrere al blind trust e, quindi, non dichiarare i beni, che rientrano nel fondo cieco, oppure se assoggettarsi ad una procedura di trasparenza.
Sosteniamo, pertanto, che debba essere lasciata la possibilità di scelta tra vendere i propri beni, costituire un blind trust o assoggettarsi ad una procedura di trasparenza, predisponendo un programma che, a nostro avviso, però non deve essere sottoposto ad una costituenda autorità, che sarebbe l'ennesimo «carrozzone»! In questa legislatura mi pare che ci si stia distinguendo particolarmente per la creazione di carrozzoni inutili: si è iniziato dal numero dei componenti del Governo (dilatati a centodue), per arrivare all'Autorità garante dei detenuti (per sistemare i non eletti) ed ora si dice che l'Autorità antitrust non basta più ed è necessario costituire un'authority speciale per verificare il conflitto di interessi.
È sufficiente l'antitrust per verificare, in assoluta trasparenza, che chi è titolare di una carica di governo abbia predisposto un piano tale da non entrare in collisione e in conflitto di interessi nell'esercizio dell'attività di governo.
A fronte di ciò, riteniamo che sia possibile un giudizio tecnico da parte dell'Autorità antitrust e, se il conflitto di interessi eventualmente non dovesse essere rimosso, che si debba sottoporre la questione ad un organismo parlamentare, che abbiamo individuato in un collegio di garanzia composto da tre deputati e da tre senatori.
Ho sentito un'argomentazione del collega Boato secondo la quale l'organismo parlamentare sarebbe rimesso alla maggioranza politica del momento. Vorrei sottolineare che la nostra proposta è tanto seria e tanto informata all'equilibrio (tale è la nostra intenzione) che l'organismo da noi proposto dovrebbe essere composto da maggioranza e opposizione in maniera paritetica, sotto la presidenza del Presidente della Camera.
Non è possibile pensare che la convalida del risultato delle elezioni - e, quindi, una decisione così grave quale quella di far decadere, per esempio, un Capo di Governo - possa essere rimessa ad un organismo che non si assume di fronte al Paese anche la responsabilità politica. Tale organismo non deve essere controllato certamente dalla maggioranza di quel momento, ma deve essere composto in modo paritetico e assumersi la responsabilità della decisione che prende.
Se si modificassero le caratteristiche della discussione e se la maggioranza manifestasse la volontà di abbandonare il furore ideologico, la voglia di colpire qualcuno e la proprietà privata - secondo un'impostazione che la sinistra radicale evidentemente ha adottato -, la Lega sarebbe disponibile, partendo ovviamente dal testo che scaturirebbe dai nostri emendamenti.
Ci hanno anticipato che verranno dichiarate ammissibili soltanto le nostre proposte emendative riferite ai singoli articoli «spezzettati» e che non verrà pertanto dichiarato ammissibile - di ciò dibatteremo a tempo debito - l'emendamento unico che propone integralmente un nuovo testo. Se questa notizia è ufficiale, poi ne discuteremo in aula. Vorrei fare presente, al riguardo, che è vero che ci sono i precedenti, tuttavia, quando il Governo presenta un maxiemendamento su cui decide di porre la questione di fiducia, riscrive interamente il testo. Noi abbiamo riscritto interamente il testo in esame proprio perché volevamo fornire a quest'Assemblea, con atteggiamento aperto e trasparente, un contributo di riflessione e di discussione.
PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30.
La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 15,30.