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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1318-A)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, faccio seguito agli interventi di Donato Bruno e di Fabrizio Cicchitto per il gruppo di Forza Italia, per illustrare ulteriormente la nostra posizione, già evidenziata durante il lungo lavoro in Commissione, attraverso interventi, emendamenti, subemendamenti, i quali hanno fatto comprendere chiaramente la medesima.
Purtroppo, abbiamo visto peggiorare il testo attraverso emendamenti di alcune forze della maggioranza di talché, mentre il testo Franceschini rispetto al primo testo del relatore era un testo negativo, oggi quello che l'Assemblea sta esaminando, vale a dire il lavoro definitivo della Commissione, risulta a nostro avviso ancora più deteriore del testo Franceschini, ma soprattutto più deteriore rispetto al testo inizialmente proposto dal presidente e relatore, onorevole Luciano Violante, al quale va tutto il nostro rispetto per il lavoro svolto. Comprendiamo, tuttavia, come determinate istanze, soprattutto di carattere politico, abbiano finito per rendere difficile - non voglio dire condizionare - il suo lavoro.
Oggi dobbiamo discutere sul testo pervenuto in Assemblea, e coloro che per primi intervengono nella discussione generale sono come quei tiratori degli eserciti napoleonici che preparavano lo scontro, mentre le truppe già schierate si apprestavano ad andare avanti o a resistere, a seconda dei momenti. Pertanto, i nostri interventi, in parte tecnici, in parte politici, preparano la discussione più ampia che vedrà coinvolti quasi tutti i parlamentari di Forza Italia e, credo, quasi tutti i parlamentari dell'opposizione, per cercare di dimostrare al Governo, ai colleghi della maggioranza e al Paese che questa legge è ingiusta e che, in quanto tale, non deve essere approvata.
È già stato ricordato molto bene dal collega Donato Bruno come la legge Frattini ha inteso regolarizzare il conflitto di interessi sulla base degli atti posti in essere. Se un atto compiuto lede determinate ragioni di tutela del pubblico ufficio è possibile intervenire. Ciò con una serie di garanzie affinché non ci siano possibilità di interpretare in modo sbagliato le posizioni dei membri del Governo, in relazione a determinate situazioni.
Riteniamo che questa legge tuttora vigente, a soli tre anni dall'entrata in vigore, sia ancora la legge più valida, anche alla luce degli aggiustamenti che in sede di interpretazione hanno introdotto le Autorità competenti, e che, quindi, se si voleva modificare tale normativa, lo si doveva fare soltanto tenendo conto delle proposizioni delle authority, senza andare a studiare una nuova legge che cambia ex novo le logiche della legge Frattini e va ad abrogarla integralmente. Abbiamo tentato di sostenere questa posizione attraverso argomentazioni e anche attraverso la presentazione di emendamenti soppressivi di ciascun articolo del testo presentato,Pag. 45perché mediante lo strumento dell'emendamento soppressivo vogliamo manifestare la nostra volontà di non modificare la legge Frattini. Ci rendiamo conto che la volontà della maggioranza è diversa, ma vogliamo che rimanga ferma la nostra posizione.
Abbiamo inoltre proposto un testo alternativo che, andando un po' su questa linea nuova, che è quella non del conflitto rispetto agli atti, ma del conflitto rispetto alle potenzialità degli atti - e quindi è estremamente discutibile perché estremamente eterea -, passasse non attraverso il blind trust ma attraverso una figura del nostro diritto vigente che è il mandato irrevocabile. Nella sostanza il titolare della carica di governo dà un mandato irrevocabile ad una persona o ad una società per la gestione di determinati aspetti del proprio patrimonio, ma conserva quel tanto di possibilità di intervento che si deve garantire ad ogni proprietario titolare di impresa, ove non si voglia che questa impresa vada in perdita o addirittura in rovina. L'onorevole Bruno ha svolto una critica analitica degli aspetti di fondo della normativa oggetto della proposta esaminata dalla I Commissione, su cui si sta discutendo.
Vorrei intervenire, spero rapidamente anche se i tempi dovrebbero essere ben più lunghi dei miei quattordici minuti, su aspetti specifici. Ho sintetizzato in un breve lavoro alcuni passaggi di cui darò conto a lei, signor sottosegretario - che tanto bene ha lavorato -, a lei, signor Presidente, e ai colleghi presenti.
Quando all'articolo 1 si regolamenta la situazione dei titolari di una carica di governo e si individuano i loro obblighi ci troviamo di fronte a molte genericità. La prima genericità consiste nell'identificazione degli elementi che dovrebbero fondare l'obbligo di astensione in relazione al quale c'è anche un coordinamento discutibile con gli articoli successivi che parlano di tale obbligo. Concetti quali «soggetti a loro legati da rapporti di interesse» - categoria del tutto sconosciuta al diritto privato - «vantaggio economico rilevante e differenziato», «specificamente incidere sulla situazione patrimoniale» sono del tutto indeterminati soprattutto perché manca ogni indicazione della contrarietà del vantaggio, che costituisce elemento positivo del conflitto, con l'interesse pubblico, che dovrebbe costituire l'elemento negativo del conflitto. Questo è il passaggio giuridico fondamentale che permette di dire, a nostro avviso fondatamente, che già all'articolo 1 ci troviamo di fronte a concetti indeterminati e non si capisce bene quale sia il concetto di conflitto di interessi, che tanto meno viene esplicato in termini soddisfacenti all'articolo 2, dove nella rubrica e nel testo si parla espressamente di esso.
La proposta del relatore di individuare l'interesse pubblico leso nel regolare funzionamento dei rapporti di concorrenza nel mercato è suggestiva, intelligente, ma, a nostro avviso, del tutto incongrua. L'alterazione delle regole della concorrenza non potrebbe derivare dalla mera esistenza di interessi economici privati in capo al titolare di cariche di governo, ma soltanto da specifici atti di esercizio dei poteri inerenti a tali cariche, secondo il modello di cui alla legge Frattini.
La lesione della concorrenza è una figura dinamica, non statica. Essa deriva dalla condotta delle imprese e dei soggetti pubblici, non dalla mera composizione di patrimoni privati o dall'identità di chi governa. In effetti, un generale obbligo di astensione dalle decisioni rispetto a cui chi governa, o soggetti a lui vicini, abbia un interesse patrimoniale diretto e specifico potrebbe essere sufficiente allo scopo di assicurare l'effettività del principio in termini di obbligo di astensione; tale obbligo infatti, a nostro avviso, potrebbe già di per sé essere sufficiente a garantire tali tutele.
In ordine all'articolo 2 del provvedimento in esame non è dato comprendere quando l'interesse privato condizioni l'esercizio delle pubbliche funzioni e quando, invece, ciò non avvenga. Peraltro, non è neppure chiaro, se le ipotesi tipiche di conflitto di interessi, previste dagli articoli 12 e 13 della proposta in esame, siano tassative oppure se l'Autorità possa individuarne altre, in maniera del tuttoPag. 46discrezionale, con applicazione del criterio, che riteniamo inconsistente, di cui all'articolo 2.
Non si comprende, soprattutto, come si possano coinvolgere in tali vicende le persone stabilmente conviventi - categoria dai contorni vaghi - né quale sorte debbano subire gli interessi privati facenti capo alle persone stabilmente conviventi e ai parenti. Qualora, per ipotesi, fossero applicabili ai parenti gli articoli 11 e 12 ne deriverebbe un risultato gravemente ingiusto: i soggetti colpiti dovrebbero essere spogliati dei loro beni soltanto a causa del loro legame con chi governa. Tali soggetti, in alternativa, potrebbero condurre il loro congiunto alla decadenza dalla carica di governo, omettendo di conformarsi agli obblighi di legge o alle prescrizioni dell'Autorità.
Quindi ci troveremmo in una situazione in cui la posizione del coniuge, dei figli conviventi, dei parenti, degli affini entro il secondo grado, o di coloro che hanno degli interessi convergenti determinerebbe una sanzione o nei loro confronti o nei confronti dei titolari delle cariche di governo. Riteniamo che il testo non arrivi a ciò e che, in ordine agli obblighi di dichiarazione dei parenti, degli affini e delle persone vicine, ci si riferisca soltanto all'obbligo di astensione.
Credo che il Presidente relatore sia della stessa opinione. Il passaggio, infatti, non è chiaro: si invoca la dichiarazione di tali soggetti ma non si comprende la loro finalità agli effetti degli articoli che riguardano la separazione degli interessi e di quelli omologhi. Ritengo necessario, quindi, chiarire tale questione.
All'articolo 10, comma 3, riscontriamo come al conflitto di interessi si ponga rimedio soltanto privando chi governa della titolarità dei beni di impresa. Nella stessa disposizione troviamo la controprova, e cioè che in materia di impresa individuale si può ricorrere a un institore, seppure in alternativa con l'istituzione di un trust. Allora noi chiediamo - e questa è stata una delle piccole battaglie che abbiamo condotto...
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Boscetto.
GABRIELE BOSCETTO. ...quella per gli imprenditori individuali e per i piccoli imprenditori: se si può giungere alla nomina di un institore con riferimento alle imprese individuali, perché non si è ritenuto di utilizzare la medesima figura dell'institore o del mandatario come linea conduttrice di tutto il provvedimento e si è fatto ricorso, invece, al blind trust, un istituto estero che non ha in alcun modo possibilità di serio recepimento nel nostro ordinamento?
PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, concluda. Lei sottrae del tempo ai deputati del suo gruppo che devono intervenire.
GABRIELE BOSCETTO. Con questa domanda concludo, riservandomi, nel corso degli ulteriori interventi nelle diverse sedi, di completare il mio pensiero e quello del mio gruppo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, altri colleghi del gruppo Italia dei Valori hanno già specificato nella parte antimeridiana della seduta i punti tecnici di insoddisfazione relativamente al testo oggi all'esame dell'Assemblea. Altri colleghi ancora lo faranno dopo di me.
L'Italia dei Valori, d'altra parte, aveva già preannunciato la propria posizione nelle Commissioni in sede consultiva, quando ha lealmente esplicitato e motivato l'astensione del gruppo. Mi riservo uno spazio, per così dire, più politico, per sostenere che a nostro avviso il testo in esame si discosta in punti rilevanti tanto dal programma dell'Unione quanto dalla proposta che aveva come primo firmatario il collega Franceschini, sottoscritta anche dal Presidente del gruppo Italia dei Valori Donadi.
Ci sembra che il testo scaturito sia divenuto complicato, in gran parte blandoPag. 47e forse anche poco efficace. Possiamo anche pensare che esso potesse essere considerato rivolto ad un tentativo di mediazione e quindi idoneo a ricevere il consenso anche della Casa delle libertà. Era già avvenuto per l'indulto, ma così non è: lo abbiamo sentito anche in questi interventi.
Il centrodestra lo contrasta e non lo vuole, ma poiché Italia dei Valori non vuole essere schiacciata sulle posizioni della minoranza, mi preme analizzare le ragioni della contestuale ma opposta insoddisfazione. Teniamo subito a dire che contrastiamo il testo - o non ne siamo pienamente soddisfatti - per motivi del tutto contrari a quelli prospettati dalla Casa delle libertà: lo consideriamo, infatti, tutto sommato blando; loro, invece, lo considerano duro e punitivo.
Ebbene, riteniamo del tutto pretestuosa la posizione della minoranza, che, pur sapendo benissimo che il testo non è completamente efficace, gioca il gioco delle parti, fa finta che esso sia pesante e vessatorio per ridurre il danno e, comunque, punta a conseguire un risultato politico: tenere sulla graticola l'Unione, accampando una pretesa volontà persecutoria verso il capo dell'opposizione, pur sapendo che in realtà così non è. È un sottile gioco politico al quale vogliamo sottrarci: diciamo subito che l'Unione sbaglierebbe a cadere nella trappola. Una disciplina sul conflitto di interessi non può valere per molti e far sfuggire quei pochi che esprimono i casi veramente più gravi e macroscopici di conflitto. La disciplina deve essere calibrata sui casi più gravi e non su quelli meno gravi. Nessuno può sfuggire alle maglie della rete, chiunque esso sia. In tal senso rifiutiamo l'accusa che questa sia una legge contra personam, anzi ribattiamo con veemenza che questa sarebbe una legge, l'ennesima, ad personam, se fosse capace di perseguire i piccoli ed inefficace verso i grandi o i grandissimi.
È inaccettabile la pretesa che una legge si applichi a tutti meno che al capo dell'opposizione, solo perché tale. Diciamo ciò anche a chi, pur facendo parte dell'Unione, afferma di non voler votare il testo perché troppo punitivo, proprio come sostiene il centrodestra. State attenti, io dico loro, perché il vostro voto, questo sì, e non la nostra posizione, darebbe fiato alle trombe della Casa delle libertà. Confidiamo che voi non lo vogliate. Non possiamo, inoltre, accettare il testo Frattini, perché esso è centrato sull'atto e non sulla situazione di conflitto, che è invece ciò che influisce pesantemente sulla complessiva azione di Governo.
Riteniamo, invece, che, come giustamente prevede il testo in itinere, occorra eliminare alla radice le ragioni del conflitto, prima dell'accesso alle cariche di Governo o di amministrazione, altrimenti tutto il resto è «aria fresca», incapace di scalfire minimamente la realtà conflittuale.
Temiamo che, se questo provvedimento fosse approvato così com'è, si potrebbe correre un rischio tanto più serio se si considera la crescente capacità di influenza dell'imprenditore più potente di tutti sui mezzi d'informazione, sulla libera articolazione del mercato, sulla formazione democratica del consenso e persino sulle strategie aziendali del servizio pubblico radiotelevisivo, al quale viene apportato un ulteriore pesante colpo con il controllo di Endemol, passata nelle mani di Mediaset.
Il gruppo dell'Italia dei Valori non vuole aggiungere la propria posizione critica al voto contrario della destra. Non ci tiene proprio. Chiediamo, invece, una disciplina più rigorosa e sappiamo di non essere i soli a volerla all'interno dell'Unione. Chiediamo ai nostri alleati, a cominciare dall'Ulivo, di metterci in condizione di votare il testo. Questo risultato può essere ottenuto, in parte, applicando il programma dell'Unione per quanto riguarda la cessione obbligatoria dei beni in modo che affluisca al trust il denaro da gestire; per altra parte, ripristinando il testo Franceschini nelle disposizioni che se ne sono discostate in maniera rilevante, integrando il programma in parti non previste, per quanto riguarda l'aggiunta dei regimi dell'ineleggibilità, per chi si trova in condizione di conflitto, e dell'inaccessibilitàPag. 48alle cariche di Governo per chi si trovi nelle medesime condizioni e in quelle di cui all'articolo 58 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267). Inoltre, dovrebbe essere prevista l'eliminazione dei benefici fiscali per il trust.
L'Unione non può lasciare all'opposizione la duplice - per essa positiva - eventualità di avere un testo blando o, tanto meno, della bocciatura della legge. A questo punto, l'Unione deve serrare le fila e cercare un nuovo accordo per portare tutti i partiti dell'Unione a votare il testo. Ciò si può realizzare con il voto sugli emendamenti - l'Italia dei Valori ne ha presentati molti, dei quali si possono discutere i più importanti - ovvero rinviando il testo in Commissione, ove si potrebbero riprenderne le fila in un senso condiviso da tutta l'Unione.
L'Italia dei Valori ha già dimostrato di voler collaborare al miglioramento dei testi di legge. L'ha già fatto, ad esempio, con quello in materia di Commissione sui diritti umani...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
FEDERICO PALOMBA. ...avendo segnalato - mi avvio alla conclusione, Presidente - alcune imperfezioni, poi corrette. Lo strumento del rinvio in Commissione si è dimostrato efficace a questo fine, con la supervisione del presidente Violante.
L'ultima cosa che vorremmo sarebbe fare un piacere ad un'opposizione che non lo merita, perché vorrebbe continuare a sfruttare l'enorme vantaggio che la posizione più che dominante del suo capo le assicura, ma che stride con elementari esigenze di governo della cosa pubblica, senza conflitto tra gli interessi privati e quelli della collettività (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bondi. Ne ha facoltà.
SANDRO BONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione di questo provvedimento costituisce per me l'occasione per rivolgermi al Governo, al presidente della Commissione, onorevole Violante, e alle forze politiche che sostengono questo Esecutivo.
È arrivato il momento, a mio avviso, di parlare chiaro, di parlarci apertamente, di parlare di noi e, soprattutto, del futuro del nostro Paese e di farlo qui in Parlamento. È il Parlamento, infatti, il luogo in cui aprire, promuovere e soprattutto tenere acceso un confronto politico all'altezza delle nostre responsabilità e delle attese dei cittadini.
Altre volte, in momenti certamente più drammatici della vita politica dell'Italia, segnati da profonde divisioni e contrapposizioni di carattere ideologico, il confronto politico ha saputo trovare - proprio attraverso l'ascolto delle ragioni degli avversari - soluzioni in grado di far progredire il nostro Paese, di rafforzare la nostra democrazia e di favorire il bene comune. Anche oggi ci troviamo di fronte a scelte, come quella di cui stiamo discutendo in quest'Assemblea, da cui credo dipenderà, in gran parte, il nostro futuro e l'evoluzione della situazione politica del Paese.
Siamo, come in altri momenti politici, di fronte ad un bivio. Oggi abbiamo la possibilità - che è nelle nostre mani, della maggioranza e dell'opposizione - di avviare a soluzione, finalmente, la lunga, travagliata, apparentemente infinita transizione verso una democrazia normale, con un nuovo rapporto tra maggioranza e opposizione, a partire dalla discussione della proposta di legge in esame e anche dal confronto - che è aperto - sulla legge elettorale. Oppure possiamo lasciare che questo Paese scivoli lentamente verso una disfida permanente, verso una contrapposizione e uno scontro politico permanente, come una sorta di coazione a ripetere, che nessuno di noi riesce a fermare. Una contrapposizione e una lacerazione politica che, alla lunga - come è evidente a tutti - sfibrano e logorano la nostra democrazia e il nostro Paese. Alla fine,Pag. 49credo, non vi sarebbe neppure stavolta alcun vincitore, ma un unico perdente: l'Italia e gli italiani.
Non possiamo, io credo, ripetere ancora gli stessi fotogrammi, gli stessi errori della storia di questi ultimi dodici anni, da Tangentopoli fino alle ultime elezioni dell'aprile scorso. Dopo dodici anni non vi sono stati e non vi sono vincitori.
Le sfide sono sempre le stesse e sono di fronte a tutti noi, alla maggioranza e all'opposizione: la sfida di modernizzare l'Italia e quella di realizzare la pace politica nel Paese. Sono sfide che impegnano tutti, che mettono tutti alla prova, che non ammettono scorciatoie, che presuppongono soprattutto una coesione nazionale ed anche un confronto e una competizione, ma sul terreno delle riforme, sul terreno delle proposte più innovative, sul piano dell'innovazione e della modernizzazione del Paese. Non, quindi, un confronto e una competizione sul solito terreno dello scontro ideologico e politico sul quale non nascerà mai in questo Paese un bipolarismo autentico e una democrazia normale.
Non vi sono alternative - come sappiamo tutti - alla necessità di modernizzare l'Italia e di raggiungere una pace politica. Vi sono soltanto la nostra sconfitta - intendo quella dell'intera classe politica di questo Paese - e la decadenza dell'Italia.
Per questo vi chiedo e vi chiediamo di riflettere, prima di decidere di proseguire su questa strada dell'approvazione di una legge che sapete, voi per primi, essere ingiusta, infondata e finalizzata a colpire il leader dell'opposizione e che per colpirlo si rischia di colpire tutti in maniera indiscriminata, come hanno detto questa mattina il presidente, Donato Bruno, e l'onorevole Fabrizio Cicchitto.
Si tratta oltretutto di una proposta di legge combinata con un'altra proposta di legge del Governo, quella sulla riforma del sistema televisivo italiano, che rendono ancora più grave l'iniziativa e la posizione del Governo nei confronti dell'opposizione. Per molto meno, io credo, voi, colleghi del Governo e della maggioranza, avreste gridato all'attentato ai principi fondamentali della democrazia se vi foste trovati a parti rovesciate.
Non fate errori che ricadrebbero sul Paese e, alla fine, anche su di voi, intendo dire sulla vostra scelta di divenire da un lato una sinistra riformista, oppure, dall'altro, sulle forze che si dichiarano comuniste, ma che non dovrebbero essere dimentiche dello stile e della tradizione di responsabilità della storia del comunismo nel nostro Paese. Non ripetete gli errori compiuti con Tangentopoli, quando avete pensato di poter imboccare una facile scorciatoia alla conquista del potere. In quegli anni avreste conquistato il potere non per meriti vostri ma perché, di fronte alla «gioiosa macchina da guerra» della sinistra, non vi erano più quegli avversari rappresentati dalle forze politiche democratiche della cosiddetta Prima Repubblica che erano stati spazzati via dai fenomeni Mani pulite e Tangentopoli.
Onorevole Violante, quell'errore è costato caro anche alla sinistra, perché la sinistra di quegli anni - gli anni di Tangentopoli - si è illusa, un'altra volta, di poter evitare di fare i conti fino in fondo con la propria storia, visto che esisteva una strada più comoda e più facile per raggiungere il potere. Non commettete un'altra volta questo errore! Da Tangentopoli in poi, con l'uso politico della magistratura, con l'accanimento contro Berlusconi, che cosa avete ottenuto? Nulla! Avete ottenuto la sofferenza certamente di Silvio Berlusconi e della sua famiglia, ma dal punto di vista politico oggi Berlusconi è ancora più forte, è ancora in campo ed è ancora più forte di prima, mentre voi paradossalmente siete ancora più deboli, siete ancora meno riformisti di quanto non foste prima.
Non ripetete l'errore compiuto dopo la tornata elettorale di aprile dell'anno scorso, quando non avete colto il significato politico di quelle elezioni. Il significato politico di quelle elezioni era che l'Italia era un Paese diviso esattamente in due parti uguali in cui non c'erano vincitori, né vinti. Non avete colto, non avete voluto cogliere, lo ripeto, il significatoPag. 50politico di quelle elezioni; forse l'intera classe politica italiana non ha saputo cogliere il significato politico di quelle elezioni. Se in Italia vi fosse stata una classe politica degna di questo nome, forse essa avrebbe ricercato dopo l'esito di quelle elezioni delle formule, delle soluzioni politiche e istituzionali, capaci di rispettare e di rappresentare l'esito e il significato più profondo di quel voto. Avete fatto, invece, esattamente il contrario di quello che sarebbe stato necessario. Invece di riconoscere che l'Italia era un Paese diviso in due parti uguali, avete occupato sistematicamente tutte le maggiori cariche dello Stato ed avete cominciato ad abolire e cancellare tutte le riforme approvate dal Governo precedente.
Mi chiedo se pensate davvero di ignorare quel voto e di impedire al capo dell'opposizione di ritornare a presiedere il Governo di questo Paese e di distruggere le sue aziende. Fissare un limite al fatturato di un'azienda quotata in Borsa, come è Mediaset, significa esattamente questo, cioè la sua distruzione. Voi sapete perfettamente che le altre aziende televisive italiane possono mantenersi sul mercato grazie al canone ed alla pubblicità (la RAI), mentre Sky lo fa tramite i contratti privati e la pubblicità. Mediaset, invece, può mantenersi sul mercato solo attraverso la pubblicità. Conseguentemente, se voi ponete, lo ripeto, un limite al fatturato di un'azienda, il che è considerato illegittimo dalla stessa Unione europea, voi volete sostanzialmente distruggere un'azienda, in particolare l'azienda a cui ha dato vita il leader dell'opposizione nel corso di un'intera vita di lavoro. Se voi pensate davvero di fare questo, vuol dire che avete perso il contatto con il Paese reale e avete, altresì, smarrito le ragioni più profonde del vostro ruolo e del vostro impegno politico.
Confidiamo, ancora una volta e nonostante tutto, nelle ragioni della politica. Confidiamo, altresì, nel prevalere del senso di responsabilità di tutte le forze politiche e nella ricerca, che so essere faticosa, di una soluzione condivisa, che metta al riparo l'Italia da una nuova epoca di scontri e di lacerazioni politiche, di cui non sentiamo il bisogno.
Noi ci comporteremo come si comporta una grande forza politica, quella di maggioranza relativa in questo Paese, parlando al Paese e rivolgendoci anche a voi, come stiamo facendo in Parlamento, con le buone ragioni che dovrebbero convincervi e che certamente convinceranno la maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, intervengo in questo dibattito dopo aver ascoltato, questa mattina, la significativa relazione del presidente Violante che, con tono equilibrato e con un'efficacia di argomenti molto elevata, ha inquadrato il problema su cui stiamo discutendo.
Il mio compito naturalmente è quello di continuare sulla linea tracciata dal collega Marone il quale stamani ha sostenuto, con toni che condivido, che una proposta di legge di questo tipo va al di là della sede stessa nella quale viene discussa e si ricollega a simboli aventi carattere più generale. Il nostro compito è soprattutto quello di essere aderenti al significato delle norme che stiamo ponendo con questo intervento normativo.
Credo che noi stiamo elaborando una legge che si inscrive in quel percorso di attuazione del dettato costituzionale, nel quale si possono inscrivere molte norme che rientrano nella competenza della I Commissione. Tale aspetto di attuazione del dettato costituzionale è particolarmente importante e denota la complessità dell'intervento normativo in esame, ove per complessità deve intendersi la soluzione di delicati problemi di bilanciamento costituzionale. In altre parole, qui non è in gioco una sola norma, pur importante, ovverosia quella di cui all'articolo 41 della Costituzione in materia d'impresa, oppure quella relativa all'articolo 42 in materia diPag. 51proprietà. Qui sono in discussione anche altre norme costituzionali ugualmente importanti. Si ricorda spesso, ad esempio, ma non la si legge integralmente, la norma di cui all'articolo 51 della Costituzione, ove si fa riferimento all'accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici (si tratta di una categoria molto ampia) in condizioni di uguaglianza e secondo i requisiti posti dalla legge. Tali requisiti sono molto importanti ma a volte sono trascurati.
Oppure l'articolo 54, che afferma significativamente che i cittadini, cui sono affidate funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Inoltre, come molti autori hanno voluto sottolineare, l'articolo 54 si collega agli articoli 97 e 98 della Costituzione dove si enuncia un concetto che è fondamentale, il buon andamento della pubblica amministrazione, ma anche, naturalmente, a maggior ragione, di chi amministra la pubblica amministrazione, il Governo. Si richiama, poi, in quelle disposizioni un principio molto importante che è l'imparzialità.
Che significato hanno tali indicazioni, quando si fa riferimento ai requisiti, alla disciplina e all'onore, nonché all'imparzialità? Per capirne il significato, vorrei riferirmi al fondamento del sistema democratico, vale a dire al fatto che chi amministra le cariche pubbliche, gli uffici pubblici, deve essere in grado di svolgere questa funzione, senza che vi sia un intreccio, per così dire, pericoloso, tra interessi pubblici e interessi privati e personali di chi amministra la cosa pubblica (ciò non perché non possa effettuare delle scelte, ci mancherebbe altro! Un soggetto governa per esercitare delle scelte). Allora, da questo punto di vista, è bene richiamare la distinzione molto importante (si tratta di una delle categorie fondamentali) tra obblighi ed oneri. Ho sentito frequentemente parlare del fatto che un soggetto potrebbe essere obbligato a scegliere in certe condizioni tra il mantenere una determinata situazione personale o uscirne. Gli obblighi sono una cosa e devono essere calibrati rispetto alle singole norme costituzionali, ma gli oneri, secondo la logica costituzionale, hanno alla base delle scelte e chi governa, chi assume una carica o una responsabilità di governo deve far fronte ad un onere. Io non sono obbligato in assoluto a svolgere una certa attività, ma se intendo svolgerla o se voglio governare il Paese, devo mettermi in condizione di rispettare le leggi che dettano a volte l'ineleggibilità e a volte l'incompatibilità.
Le linee portanti di questo disegno normativo prendono le mosse da una presa d'atto che non facciamo noi, bensì le autorità preposte all'applicazione della cosiddetta legge Frattini, le quali, in una serie di casi, hanno, per così dire, certificato l'inefficacia di quello strumento normativo.
Voglio citare il caso più vistoso che chiunque è in grado di percepire. Il Governo Berlusconi ha approvato una legge importante che porta il nome del ministro Gasparri e che ha dettato una certa disciplina in materia di regole antitrust, elevando la soglia antitrust rispetto a quella precedente. All'indomani dell'approvazione di questa legge, i titoli di quella società, il cui tetto è stato elevato, sono saliti in Borsa in maniera sicura; qualcuno ha parlato di un miliardo di euro, qualcun altro di un miliardo e mezzo, mi pare che lo stesso amministratore di quella società abbia parlato di un valore di questo tipo. È difficile pensare che una legge di questo genere, vale a dire approvata da un Governo, al vertice del quale si pone un soggetto che non è amministratore, ma è titolare di questi interessi, non si ponga in potenziale conflitto, visto che quella legge non favorisce tutti, ma alcuni in particolare. Il caso dei decoder, la vicenda che ha accompagnato il Ministro Lunardi, quella del Ministro Moratti per altre situazioni particolari che sono state denunciate - adesso non voglio ripercorrerle - non sono arrivati al vaglio di quella legge. Allora, ci si deve interrogare se quella legge sia stata efficace o meno.
Le autorità hanno elencato una quindicina di limiti di quella legge; pertanto,Pag. 52era necessario passare ad un'impostazione nuova. Non si trattava più di individuare una situazione di conflitto sugli atti, che si rivelava problematico e difficile, ma uno strumento dal carattere preventivo che avesse lo scopo di prevenire questa situazione di conflitto e sciogliere l'intreccio fra interessi pubblici e quelli privati.
La legge si ispira ad un percorso chiaro (che certamente deve essere letto e credo che siamo tutti in grado di leggere!) e che comprende quattro diversi aspetti: in primo luogo, l'obbligo di informare l'Autorità. Si tratta di dichiarazioni rinforzate rispetto a quelle previste dalla legge attuale; qualcuno afferma che tali dichiarazioni già sono previste per i parlamentari, ma nel caso dei titolari di cariche di Governo - ciò è molto importante - si mette in piedi un meccanismo ispirato alla trasparenza per permettere all'opinione pubblica di conoscere le effettive situazioni patrimoniali di quel soggetto che si accinge a ricoprire tali cariche.
Il secondo aspetto riguarda il dovere di astensione: sono previste un'astensione generale, che riguarda tutti i soggetti che ricoprono cariche pubbliche, ed astensioni mirate, dettate dall'Autorità con riferimento alle singole cariche e accompagnate da sanzioni.
Il terzo aspetto riguarda l'incompatibilità. A tale riguardo, avendo anche ascoltato la posizione di alcuni colleghi che hanno parlato di ineleggibilità, è stata operata una scelta travagliata. L'ineleggibilità tocca la rappresentanza, mentre l'incompatibilità attiene alle cariche di governo; pertanto, lavoreremo ad un provvedimento per mettere ordine finalmente in una materia - quale l'ineleggibilità - che, come ha ben affermato Marone questa mattina, è complessa e farraginosa, e va quindi discussa insieme affinché risulti equilibrata nella sua disciplina.
Le incompatibilità individuate nei due articoli del provvedimento in esame sono precise e assolute, cioè non superabili: individuano, infatti, situazioni assolutamente incompatibili con l'attività di governo. Esse sono molto importanti, perché sono individuate in maniera preventiva: ciascun soggetto, infatti, le conosce prima ancora di partecipare alla competizione che lo porterà ad assumere incarichi di governo.
Sono poi previste alcune situazioni di incompatibilità (potremmo anche non utilizzare tale termine), relative, anch'esse molto importanti, che possono essere superate attraverso la separazione degli interessi. La ratio a ciò sottesa, il connotato comune si rinviene in una posizione economicamente molto rilevante e variamente articolata. In quest'aula, e anche altrove, ho sentito dire che in questo modo si impedisce ai ricchi di partecipare alla politica ed all'attività di Governo. Credo che ciò sia anche legittimo, nel corso di un dibattito «forzato» che si svolge in momenti come questi, ma trovo che vi sia una certa correlazione, se non immediata, significativa, relativamente ai dati sul reddito delle persone fisiche (credo si tratti di una fonte ISTAT): in particolare, lo 0,14 della popolazione italiana rientra oltre i 200 mila euro, lo 0,12 oltre i 150 mila. È chiaro, mi si potrà obiettare...
DONATO BRUNO. Ma che c'entra?
ROBERTO ZACCARIA. Sì, lo so, parliamo di reddito, non di patrimonio, mentre il provvedimento in esame tiene conto del patrimonio; si riferisce, comunque, ad una situazione che, secondo le categorie previste dalla legge, è sempre di tipo sintomatico. Ad esempio, molto significativa è la previsione, secondo la quale la proprietà, in certi settori, di un patrimonio di valore superiore a 15 milioni di euro in beni configura una situazione di conflitto diretto con specifiche funzioni di Governo (se possiedo farmacie, case di cura o altro non posso assumere la carica di Ministro della salute). Nessuno lo mette in discussione! Si può uscire da questa incompatibilità, optando per un'altra carica di Governo, cioè per un altro ministero. Vi sono situazioni dalle quali si può certamente uscire, ad esempio con il trust: mi riferisco alla concentrazione di oltre dieci milioni di euro di valori, beni, titoli, insomma di qualsiasi cosa che costituisca laPag. 53ricchezza di un cittadino, ma in un settore particolare. Oppure mi riferisco al caso dei cosiddetti settori sensibili, di partecipazioni rilevanti in comparti strategici indicati nella legge.
Onorevole Bondi, ho ascoltato il suo intervento, ma in questo caso non è posto un limite di fatturato per le imprese - anche se ritengo lei lo possa utilizzare legittimamente - bensì un'indicazione di situazioni aziendali molto specifiche che, in qualche modo, possono venire in conflitto con l'azione di Governo. Da queste situazioni non deriva l'impedimento di esercitare l'azione di Governo.
Lei, che è un lettore attento di queste cose, avrà constatato che si estrapolano i beni personali. Pertanto, chi è titolare del famoso palazzo a Roma o di titoli di Stato non rientra in queste categorie (ne è esentato). Inoltre, sono esentati l'imprenditore individuale e certamente il piccolo imprenditore, in considerazione delle dimensioni economiche.
Pertanto, leggendo il provvedimento nel suo complesso, non si rinviene un limite di fatturato per l'esercizio dell'attività politica. Ritengo, inoltre, sia logico che in questi casi si richieda la separazione degli interessi. Di conseguenza, non vi è alcuna impostazione pregiudizialmente ablativa, ma si tende ad una situazione di chiarezza, di trasparenza, con l'astensione e, in certi casi, la separazione degli interessi.
Ritengo che si presenteranno alcune questioni. Personalmente, credo si debba discutere circa l'applicazione del provvedimento ai piccoli o ai grandi comuni nel senso che, in una prima fase, il progetto di legge dovrebbe essere applicato alle regioni e ai grandi comuni). Tuttavia, ritengo che, su questo punto, si debba trovare un ampio consenso in questa aula.
Inoltre, ritengo si possa introdurre - mi sembra che il relatore abbia dimostrato una certa apertura su questo punto - una specifica decadenza per il soggetto che non intenda optare e lasci decorrere il tempo previsto per l'opzione. Questa misura può rappresentare una sanzione, la quale, del resto, è già contenuta nello spirito della legge. Con ciò vorrei attribuire all'incompatibilità un valore chiaro anche nei confronti di chi ha altre impostazioni.
Il progetto di legge in discussione, che arriva all'esame dell'Assemblea dopo un lavoro abbastanza impegnativo svolto in Commissione, si colloca in un percorso dalle caratteristiche nuove che si iscrivono in un regime assolutamente liberale. Infatti, la possibilità di scegliere e stabilire, in alcuni casi estremi che non sono quelli dei grandi proprietari o grandi controllori di aziende, alcune incompatibilità precise aiuta la politica a fare il suo mestiere (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bocchino. Ne ha facoltà.
ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo ad affrontare un grandissimo tema nelle moderne democrazie, ma - mi dispiace dirlo - lo stiamo facendo nel peggiore di modi. Ho ascoltato con grande interesse le argomentazioni del collega Zaccaria, che sono sicuramente raffinate, ma che risentono, purtroppo, della difficoltà di chi deve difendere un provvedimento che, al momento, non è sorretto da ragioni giuridiche, bensì soprattutto politiche. Sicuramente, nel momento in cui il rapporto tra politica e campagna elettorale, mezzi di comunicazione e risorse necessarie per raggiungere il risultato varia in tutto il mondo occidentale, vi è da porsi il problema di quali siano i limiti che devono sussistere rispetto alla contaminazione di due mondi: l'imprenditoria da una parte e la politica dall'altra. Tuttavia, onorevole collega Zaccaria, una cosa è interrogarsi su questo argomento, altra cosa è porre in essere una proposta di legge come quella che oggi è da voi sottoposta all'esame del Parlamento.
In un sistema autenticamente liberale si punta su due obiettivi: la trasparenza e la pubblicità. Deve sussistere una condizione di trasparenza: non è un problema cosa si possiede, ma bisogna sapere cosa si possiede ed avere la certezza che gli strumentiPag. 54siano resi pubblici e siano utilizzati nel migliore dei modi; se si utilizzano in maniera distorta vi è un solo giudice che può essere chiamato a decidere se la posizione assunta sia condizionata dall'interesse personale o se, invece, sia condizionata solo ed esclusivamente dall'interesse generale, in base al mandato ricevuto dagli elettori. Questo giudice, caro collega Zaccaria, è il corpo elettorale! Non esiste altro giudice! Può esistere un soggetto che verifica la trasparenza, la pubblicità, l'esattezza della denuncia che il singolo membro del Governo presenta, ma non può esistere un giudice diverso dall'elettorato che decide se si possa far parte o meno di un Governo.
Il problema di fondo è che state affrontando tale problematica sprovvisti di una cultura liberale, vale a dire con una cultura che, da una parte, risente del passato di alcuni settori della vostra maggioranza e, dall'altra - mi dispiace dirlo - di un odio nei confronti della ricchezza. La ricchezza non è un fattore di demerito; tra l'altro, nel caso specifico, non si tratta di una ricchezza dinastica che può anche generare un'invidia sociale (perché lui è nato figlio di plurimiliardario e io no?). Stiamo parlando di una ricchezza costruita, vale a dire di soggetti che costruiscono un risultato e che dovrebbero essere premiati da una società liberale, non colpiti per il solo fatto di aver ottenuto tale risultato!
La cosiddetta legge Frattini, oggi in vigore, ha una sua validità, se esaminata attentamente; il fatto è che voi non la valutate relativamente al problema del sistema politico italiano, poiché pensate a quale legge possa risolvere il «problema Berlusconi» e ciò, da un punto di vista politico e parlamentare, vi devia.
Nella vita faccio anche l'editore e so che, se dovessi assumere un incarico di Governo, dovrei lasciare le cariche sociali che ricopro all'interno dei miei giornali, come prescritto dalla legge Frattini e ciò mi sembra giusto. Quindi, il limite c'è! Certo, non mi potete chiedere di rinunciare alle quote sociali che ho comprato con i frutti del mio lavoro e di affidarle ad un perfetto sconosciuto, anche perché una cosa è il blind trust in quelle realtà culturali ed economiche in cui si è abituati alla terzietà del management, altra cosa è l'applicazione di questo istituto alla cultura italiana.
Abbiamo visto come le aziende di qualcuno sono state gestite da altri; mi riferisco alla nomina dei commissari liquidatori e dei commissari da parte dei tribunali. Nel 90 per cento dei casi vengono sottratte ai proprietari: questo è il precedente della storia economica italiana! Quando un'azienda viene tolta, anche temporaneamente, al proprietario per ragioni legate soprattutto al diritto fallimentare, gli viene restituita depauperata. Pertanto voi, anziché risolvere il problema, lo rendete ancora più grave, anche perché Berlusconi è uno e, come tutti noi, è di passaggio.
Avete creato una rottura con la cultura liberale di un Paese che, invece, dovrebbe essere tale, determinando un vulnus che resterà all'interno del nostro sistema.
La questione non è quanti strumenti si hanno a disposizione, ma come vengono utilizzati; qualora siano utilizzati in maniera anomala rispetto a quanto previsto dalla normativa e dal buon gusto, deve essere istituita un'Autorità che intervenga. Ciò è affermato dalla legge Frattini; se si usa uno strumento in maniera distorta rispetto a quanto prescritto dalla norma, l'attuale legge sul conflitto di interessi prevede l'intervento di un'Autorità indipendente eletta dal Parlamento che commini delle sanzioni che possono giungere addirittura all'oscuramento di una televisione concessionaria. È già previsto! Voi volete andare oltre per colpire un simbolo politico!
Di quante televisioni è proprietario Sarkozy in Francia? Eppure dalla sua parte si sono schierati gli editori di giornali, compreso quello di Le Monde, giornale tradizionalmente di sinistra, che nell'editoriale del direttore dell'ultima settimana si era schierato a favore di Ségolène Royal. Ha avuto gli strumenti a disposizione, ma li ha avuti perché era proprietario di un patrimonio superiore a 15Pag. 55milioni di euro o perché poteva contare su una serie di rapporti d'amicizia non illegittimi e su un progetto politico condiviso da alcuni settori economici della Francia? Il punto è proprio che non possiede un patrimonio di 15 milioni di euro, eppure si è parlato di «berlusconizzazione» della campagna elettorale francese.
Ciò dimostra che il problema non riguarda il patrimonio, ma piuttosto la forza di un soggetto nel saper utilizzare, nei rapporti personali e nella capacità comunicativa, i mezzi che riescono ad orientare il consenso.
È questo il vero problema, non quanto patrimonio si possiede. Lo sappiamo tutti che Berlusconi è un'anomalia del sistema politico italiano, ma è un'anomalia figlia della debolezza di tale sistema, che, ad un certo punto, ha lasciato un vuoto tale da spingere alcuni soggetti ad entrare in campo politicamente: Berlusconi da una parte e Prodi dall'altra. Perché anche Prodi è, come Berlusconi, l'altra faccia di una medaglia; solo che, anziché aver costruito un impero con il proprio lavoro, ha gestito, perché qualcuno di voi ha così voluto, l'impero fatto con i soldi dei contribuenti. Questa è la differenza tra i due soggetti! Allora dovremmo dire che Zaccaria, quale ex presidente della RAI, non si deve candidare perché in RAI ci sono direttori di telegiornali e di testate che lui ha assunto e che gli possono essere riconoscenti? O che Prodi non si deve candidare perché è stato l'azionista della televisione di Stato e proseguire in questo modo? Sbagliamo l'argomento: dobbiamo sanzionare i comportamenti che violano un sistema di regole che ci dobbiamo dare. Se vogliamo irrigidire il sistema di regole, facciamolo pure: interveniamo sulla legge Frattini, ma non cambiamo l'obiettivo per colpire un soggetto.
Un paese che deve competere con la crescita economia della Cina, dell'India, dei paesi dell'area BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), con gli altri paesi europei, con la Spagna che cresce in un certo modo, con la Germania, con la Francia, con gli Stati Uniti d'America, dovrebbe augurarsi di incrementare velocemente il proprio prodotto interno lordo e per farlo ci vorrebbero molti soggetti con un patrimonio da 15 milioni di euro. Questo bisogna augurarsi che avvenga in un paese! Noi, invece, dovremmo espellere dal sistema politico l'unico soggetto del genere che abbiamo in politica!
Vorrei sapere dai colleghi del centrosinistra se oggi siano contenti e orgogliosi per aver letto sui giornali che un gruppo imprenditoriale italiano ha comprato la Endemol, uno dei più grandi gruppi mondiali del suo settore. Dovremmo essere orgogliosi, perché quando leggiamo che vengono dall'estero a comprare le nostre aziende, ci piangiamo addosso, affermando che è in gioco l'interesse nazionale, che depauperiamo il patrimonio dell'impresa nazionale ed altro. Poi, un'azienda italiana compra un colosso straniero e noi non solo non siamo contenti, ma anzi diciamo a chi lo ha comprato: «Fai attenzione, perché tra poco ti dichiareremo cittadino "di serie B" nel Paese. È molto grave che tu abbia fatto questa operazione».
Non so se qualcuno di voi si renda conto che l'Italia è sostanzialmente il primo mercato nell'uso della telefonia mobile, è un paese dove non c'è un produttore di telefonini, è un paese che ha un gestore telefonico di proprietà, oggi, spagnola, un gestore di proprietà egiziana, uno di proprietà cinese - Fastweb sta per essere venduta agli svizzeri - ed un gestore di proprietà inglese. Questa è la situazione!
Penso che se Berlusconi non fosse entrato in politica, oggi sarebbe tra i leader mondiali della telefonia; probabilmente competerebbe con la Nokia per venderci i telefonini, probabilmente avrebbe potuto competere con tutti gli altri imprenditori del settore per acquistare i grandi gestori di telefonia mobile. Questa è la penalizzazione che l'imprenditore Berlusconi ha ottenuto con la sua discesa in campo in politica, dunque ha già ottenuto la penalizzazione, perché non ha potuto perseguire un progetto, ma ha dovuto semplicemente gestire ciò che aveva nel momento in cui è entrato in politica. ViPag. 56dovete rendere conto che la penalizzazione dovuta all'ingresso in politica già c'è stata ed è nell'impossibilità di sviluppare un progetto imprenditoriale. Voi volete, invece, punire ciò che è stato costruito dal punto di vista imprenditoriale precedentemente al suo ingresso in politica. L'altro difetto dell'operazione, quindi, è che l'abito è «su misura»; la legge Frattini può anche non piacervi, ma potevate modificarla con criteri più omogenei e più adatti al Parlamento italiano.
Se intendete varare una legge che, in maniera evidente, colpisce un soggetto del sistema politico italiano, è evidente che è difficile che essa possa essere apprezzata, non solo dall'opposizione, ma anche - a mio giudizio - dagli opinionisti e dall'elettorato. Voi non vi state occupando del conflitto di interessi, ma vi state preoccupando del conflitto tra la vostra voglia di governare il Paese e l'impedimento che è stato generato nel 1994 da un imprenditore che è sceso in campo e vi ha messo i bastoni tra le ruote. Questo è il problema che voi affrontate con questo provvedimento.
Perché il conflitto di interessi riguarda i soggetti che hanno 15 milioni di euro di patrimonio e non deve riguardare sistemi economici che fanno riferimento alla vostra parte politica? Vogliamo parlare di ciò che sono oggi, di come turbano il mercato le società municipalizzate, le società miste, gestite dai «vostri» comuni, che servono ad elargire prebende, consulenze, posti nei consigli d'amministrazione, a sprecare denaro pubblico. Questo è il vero problema, con politici che siedono nei consigli di amministrazione, o con le cooperative, con il sistema cooperativistico che diventa una vera e propria holding. Ciò interviene soprattutto nel vero conflitto di interessi: vale a dire la situazione per cui io sono eletto sindaco grazie ad un partito, istituisco la società municipalizzata per la nettezza urbana, chiamo una cooperativa «rossa», la metto all'interno del comune; poi la cooperativa «rossa» guadagna grazie a quanto gli ho elargito come sindaco e versa soldi formalmente alle feste dell'Unità e al partito durante la campagna elettorale. Tutto è regolare: il versamento è regolare - lo prevede la legge -, la società mista è regolare, la ricerca del partner è regolare. Invece, in tale situazione si annida il conflitto di interessi, perché si turba la democrazia quando si fanno assunzioni dirette con meccanismi clientelari, specialmente in alcune parti d'Italia.
Oggi nella mia regione, la Campania, si aggira la legge sul pubblico impiego, perché sono presenti cinquanta società miste della regione, spesso con partner che fanno riferimento alla vostra parte politica, che assumono poi 3-4 mila persone sotto campagna elettorale per chiamata diretta. Si fanno assunzioni dirette con soldi pubblici, per fare campagna elettorale. È questo o no il conflitto di interessi? O esso riguarda, invece, un soggetto che deve essere obbligato o a vendere o ad affidarsi a terzi? È in ciò la distorsione.
L'invito che vi rivolgiamo, e sappiamo purtroppo che resterà inascoltato, è di evitare di bloccare la vostra attività, che dovrebbe essere attenta ad argomenti molto più importanti che interessano il Paese, sull'odio nei confronti di una sola persona. Ciò, secondo noi, vi farebbe onore, ed eviterebbe soprattutto di dar vita ad una legge che riguarda solo una persona e che non fa onore al nostro sistema politico e al nostro Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Licandro. Ne ha facoltà.
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi finalmente si comincia a discutere con serietà su un tema enorme, quello del conflitto di interessi, che ha attraversato, continua ad attraversare e attraverserà la vita politica italiana.
In questi anni, la politica, le istituzioni, i partiti hanno sofferto - e ciò è sotto gli occhi di tutti - l'avvelenamento dovuto al perverso intreccio della politica con gli affari, con la ricerca smodata dell'arricchimento. In Italia, tutti - intendo l'opinionePag. 57pubblica generale - hanno avvertito l'indebolimento delle cariche pubbliche, senza alcuna distinzione se di Governo o meno, circa la loro funzione democratica di strumenti per il perseguimento degli interessi pubblici, degli interessi generali, anziché di quelli privati. È una questione - lo dico senza diplomatismi, con grande pacatezza - che non riguarda, in verità, soltanto l'onorevole Berlusconi, anche se egli, nel Paese, nella vita democratica e politica della nostra Repubblica, ne è il massimo interprete, ma concerne più largamente tutte le situazioni di conflitto di interessi che ormai capillarmente proliferano a qualunque livello e costituiscono - se vogliamo essere onesti e non ipocriti - la metastasi del cancro, di cui parlavo in precedenza, che sta uccidendo la democrazia italiana.
Oggi, dunque, cominciamo l'esame di una nuova regolamentazione del conflitto di interessi, con l'auspicio che si possa giungere davvero a dare al problema risposte serie, adeguate e rigorose, tenendoci lontani da radicalità, estremismi, colpi di mano e da quelle espressioni piuttosto folcloristiche che ho avuto la ventura di ascoltare come sono uscite dalla bocca di alcuni esponenti della Casa delle libertà.
La nuova disciplina - che dovrebbe porre rimedio alle debolezze, lacune ed insufficienze della legge attualmente in vigore, che porta il nome di Franco Frattini - è tutta incentrata sul tema dell'incompatibilità per chi detiene una carica di governo. Ciò ci spinge ad esaminare innanzitutto la questione di cosa esattamente sia il conflitto di interessi. Il conflitto di interessi riguarda soltanto chi è al Governo? Certamente sì. Esso riguarda l'utilizzazione delle cariche pubbliche e, ancor più, di quelle di Governo, per il perseguimento di interessi privati, invece di quelli pubblici? Certamente sì. Ma noi siamo assolutamente convinti che si tratta di un problema che, ancor di più, investe l'essenza stessa della democrazia nel nostro Paese, e che, dunque, vada considerato nella sua interezza, con un occhio attento a qualunque carica pubblica, sia essa di governo o no.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 16,45)
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Del resto, è una questione che non riguarda affatto solo le democrazie moderne. È legittimo porre l'interrogativo ricordato, poiché ad esso molti sono convinti di dover dare una risposta positiva. Davvero crediamo che si tratti di un problema esclusivo della modernità, frutto della rivoluzione tecnologica e dell'invasione massiccia degli strumenti di comunicazione nella vita politica e democratica? E non crediamo invece che la commistione fra interessi privati, affari e vita politica, sia una questione che riguarda il funzionamento stesso della democrazia in quanto tale?
Se consideriamo la nostra storia, emerge che, in realtà, il problema ha radici antiche, che affondano sino al III secolo avanti Cristo, quando, nel 218 avanti Cristo, con un plebiscito, la democrazia militare repubblicana romana vietò ai senatori di possedere navi da trasporto che superassero una certa stazza. Non si tratta di un richiamo erudito e non vuole affatto esserlo. Ci troviamo di fronte alla dimostrazione evidente, signor Presidente, di come una classe dirigente seria e rigorosa avverta la pericolosità del problema in esame e, dunque, della necessità di porre argini e limiti insuperabili a chi, ricoprendo importanti cariche pubbliche, intenda continuare a svolgere attività imprenditoriali su larga scala (nella fattispecie, nel terzo secolo avanti Cristo, il commercio transmarino). Ma se questo è vero, si può davvero affermare, come qualcuno ha detto, che quella in esame è una proposta di legge maoista? Mi pare difficile poterlo sostenere.
Si può credere, così come si è espresso il senatore Malan che, all'indomani dell'approvazione di una seria legge sul conflitto di interessi, la nostra Repubblica sarà diretta e governata da «sfigati e nullatenenti»? Era allora il Senato romano composto di «sfigati e nullatenenti»? Credo proprio di no. Forse, al senatorePag. 58Malan che, guarda caso, siede proprio nell'altro ramo del Parlamento, in Senato, l'approfondimento di un po' di storia antica non farebbe male.
Ma noi vogliamo ragionare nel merito della proposta di legge in discussione, che, tuttavia, non ci convince, per il fatto che è incentrata - lo ricordavo in precedenza e vi tornerò successivamente - sulla incompatibilità per le cariche di governo, e mostra subito alcune debolezze.
Riteniamo che uno dei punti deboli della nuova disciplina che, a nostro avviso, deve essere corretta ed approvata, sia il profilo della ineleggibilità, previsione da noi stimata necessaria. Dal dibattito che si è già svolto, spesso in Commissione, ma anche attraverso la stampa e i mezzi di comunicazione, sono giunte soltanto obiezioni deboli, molto deboli, presidente Violante.
L'idea e l'intento di stralciare il profilo dell'ineleggibilità, per farne oggetto di un apposito provvedimento che possa ridisciplinare l'intera materia dell'ineleggibilità, sono, in astratto, finalità apprezzabili, che il Paese meriterebbe di perseguire, ma che oggi significherebbero soltanto il raggiungimento di un obiettivo che certamente non è dei Comunisti Italiani, e che non dovrebbe essere dell'Unione e, soprattutto, non è della maggioranza degli italiani che ha votato per questo Governo e per questa maggioranza: cioè, di non approvarla mai.
Chiediamo: si è mai posto in discussione il fondamento della legge del 1957, che prevedeva, appunto, l'ineleggibilità per i titolari di concessioni da parte dello Stato? Come mai tale legge, ancora in vigore, è stata superata soltanto attraverso una capziosa interpretazione della Giunta delle elezioni della Camera, nel momento in cui il problema stesso si poneva per il nostro Paese?
Sartori, noto politologo, con un editoriale apparso pochi giorni fa sul Corriere della sera, ha considerato «confusa» la proposta di legge al nostro esame. Noi non riteniamo «confusa» questa proposta di legge: essa, anzi, è molto chiara, ma lo è nella sua insufficienza.
Presidente Violante, ho appreso sulla stampa della sua intenzione di rassegnare le dimissioni nel caso si fosse registrato un voto contrario - circostanza scongiurata - da parte della Commissione. Francamente, non ne ho compresa sino in fondo la ragione. Il Governo e la sua maggioranza hanno un programma ed hanno ricevuto un mandato preciso dagli elettori, circa la soluzione di questo problema. Per questo motivo, le chiediamo di lavorare ancora, con l'energia di cui è capace e di cui ha dato dimostrazione al Paese nei decenni precedenti e ancora oggi, in Parlamento - ma non devo essere io a riconoscerlo -, per migliorare la proposta di legge al nostro esame.
Sull'incompatibilità per le cariche di Governo, cos'altro aggiungere? L'impianto, l'architettura della proposta di legge, sono, in generale, da valutarsi positivamente; ma subito dopo, ancora una volta, si nota la debolezza del provvedimento, poiché per rendere effettivi ed efficaci, questo impianto e questa architettura, occorre molto semplicemente che il regime dell'incompatibilità preveda espressamente ciò che manca, ovverossia l'istituto della decadenza.
Signor Presidente, le obiezioni a cui ho avuto modo di replicare anche in Commissione non erano, anche in questo caso, molto convincenti o, comunque, tali da superare le nostre critiche. La circostanza che l'istituto della decadenza non sia previsto dalla Costituzione non è un argomento insuperabile. Quanti istituti non sono espressamente previsti dalla nostra Carta costituzionale e quanto è giusto che essi non siano presi in considerazione? E ciò che non è previsto non può considerarsi vietato dalla Carta costituzionale! Non è il risultato dell'azione di questo Parlamento l'aver congegnato, appena qualche anno fa, uno strumento che non esisteva e che, anzi, si sarebbe posto fortemente in contrasto con il dettato costituzionale: l'istituto della sfiducia individuale dei ministri? Esso non era previsto dalla Costituzione, eppure adesso nessuno lo mette in discussione, perché questi avanzamenti, queste precisazioni,Pag. 59queste estensioni sono l'essenza di una Carta costituzionale come la nostra. Tuttavia, noi andiamo oltre, affermando che esiste comunque una logica di sistema. Perché, allora, non prevedere la decadenza di colui che, sollecitato dall'autorità e versando in una situazione di conflitto di interessi, perciò di incompatibilità, mantenga una posizione di inerzia, tenendo - come è proprio del costume italico - un comportamento furbesco? Perché non stabilire, secondo una logica di sistema, la revoca dalla carica da parte del Presidente della Repubblica, a cui è rimesso il potere di nomina dei ministri e che, dunque, costituisce la fonte di legittimazione degli stessi?
Comunque, per principio generale, la decadenza non è comminata da un'autorità. L'autorità verifica la situazione di incompatibilità e ne prende atto, mentre la decadenza è sancita ex lege, deriva direttamente dalla legge, da quella che è per eccellenza l'espressione della sovranità popolare ovviamente attraverso una deliberazione del Parlamento.
Diversamente, non riusciremmo a comprendere fino in fondo il funzionamento di questa proposta di legge, giungendosi all'aberrante soluzione di un limbo in cui verrebbe a trovarsi l'interessato - Presidente del Consiglio o ministro - che versi in una condizione di conflitto di interessi. Egli non potrebbe porre in essere alcun atto, ma nessuno potrebbe rimuoverlo dall'ufficio, né la legge né la più alta carica dello Stato; dunque, un vero e proprio «limbo giuridico», nonostante l'abolizione teologica del limbo religioso.
Perciò, sosteniamo, in alternativa a quanto proposto, che rispetto alle imprese che operano in regime di concessione o di autorizzazione dello Stato, nell'inerzia dell'interessato, si proceda alla revoca della concessione o dell'autorizzazione. Non richiamiamo ora né coinvolgiamo assetti costituzionali e principi primari; tuttavia, riteniamo che sia quanto meno necessario che dinanzi all'inerzia voluta, ricercata e consapevole di chi versa in una situazione di conflitto di interessi e dunque di incompatibilità, almeno per le imprese che operano in regime di concessione o di autorizzazione dello Stato, si preveda la revoca delle stesse.
Non ci fermiamo qui, signor Presidente, ma andiamo oltre. Riteniamo, infatti, di dover dare un serio, reale ed efficace contributo finalizzato al miglioramento della disciplina, perché quella di cui stiamo discutendo possa essere ancora meglio precisata, limata, resa rigorosa e limpida.
Qualora non volessimo più parlare di ineleggibilità, riteniamo necessario prevedere l'incompatibilità anche per le cariche parlamentari. Oggi, versa in una situazione di incompatibilità, per esempio, chi è presidente di una regione e viene eletto al Senato o alla Camera dei deputati. Intendiamo, dunque, estendere, in modo analogo, tali incompatibilità (ovviamente superabili con l'eventuale opzione) anche alle cariche parlamentari perché riteniamo che chi svolge la funzione legislativa non possa essere considerato estraneo a quelle che oggettivamente possono essere situazioni di conflitto di interessi.
Tentiamo dunque, anche in questa sede, di risolvere il problema con una previsione diversa, se si preferisce meno radicale, ma di rigore. La ragione è semplice ed è sufficiente guardare, ancora una volta, alle nostre spalle (non alla storia antica, ma a quella contemporanea, molto recente), ricordando la sequela impressionante e vergognosa delle leggi ad personam.
Ci sono settori attraverso i quali, in ogni caso, passa oggi un segmento importante della nostra vita democratica. Tale segmento, di fondamentale importanza, non può consentire alcuna ambiguità. Ci riferiamo ai settori dell'editoria, dell'informazione, della telefonia, dell'informatica, nonché al settore delle telecomunicazioni in generale, rispetto al quale non ci dovrebbe essere alcuna commistione tra politica e affari.
I mesi che abbiamo alle spalle, gli scandali, le novità che oggi apprendiamo, credo che rendano insuperabile la questione che stiamo ponendo. Pertanto, giudichiamo del tutto inutile il blind trustPag. 60come misura per la soluzione del conflitto di interessi in relazione ai settori - li ripeto, Presidente - che riguardano l'editoria, l'informazione, la telefonia, l'informatica e le telecomunicazioni. Proponiamo, in tali casi, l'alienazione o la rinuncia alla concessione.
L'onorevole Silvio Berlusconi, tuttora leader dell'opposizione, nei giorni scorsi, ha chiuso la campagna elettorale per le elezioni amministrative in Sicilia all'insegna del «colpo di mano», del Governo dei comunisti, dell'attentato alla democrazia, ponendosi come leader dell'opposizione democratica.
Abbiamo ascoltato le dichiarazioni perentorie, a volte dai toni minacciosi, dell'onorevole Bondi, replichiamo soltanto col ricordare i successi di Mediaset durante i Governi dei comunisti: dal risanamento finanziario in cui versava il gruppo nel quinquennio 1996-2001, quando erano in carica prima il Governo dell'Ulivo e poi del centrosinistra, all'espansione del successivo quinquennio del 2001-2006 (straordinario!) in cui era Presidente del Consiglio proprio il capo di Mediaset e, infine, ai formidabili successi di un quinquennio appena iniziato, dal tentativo di acquisire il controllo di Telecom all'acquisto di Endemol, con un micidiale gioco di holding, di società, di quote di controllo che fa di Mediaset un vero e proprio colosso internazionale.
Alcuni si sono dichiarati soddisfatti, anche autorevoli esponenti di Governo, perché finalmente un gruppo italiano sta acquistando dimensioni internazionali di questo genere. Possiamo dichiararci soddisfatti anche noi; tuttavia, sosteniamo con altrettanta nettezza che il capo di quel gruppo non può essere titolare di cariche pubbliche, e non c'è nessuno scandalo in questa pretesa. Così, infatti, funzionano le democrazie liberali e gli Stati Uniti d'America di George Bush tanto amati da Silvio Berlusconi.
La vicenda di Endemol sembra quasi un gioco del destino, essendosi verificata in concomitanza con l'avvio di questo importante dibattito. Dimostra, tuttavia, quanto tale conflitto di interessi sia perverso, pericoloso, ammorbante e rappresenti - tradotto in un linguaggio comprensibile all'opinione pubblica - il perverso intreccio tra politica e affari che sta avvelenando le istituzioni democratiche. Le ripercussioni di questa straordinaria operazione finanziaria e societaria dimostrano quanto, senza un tempestivo intervento, sia alle porte il declino irreversibile della RAI. Veniamo, infatti, da almeno un decennio di aggressioni micidiali alla televisione pubblica, di smantellamento sistematico della stessa, di risorse pubblicitarie depredate a favore di un gruppo privato, dal proprietario di tale gruppo, che ha continuato dalle postazioni di Governo a favorire il medesimo gruppo di sua proprietà. La televisione pubblica ha visto, inoltre, umiliata la sua funzione di servizio pubblico, di informazione e formazione dell'opinione pubblica democratica.
Corriamo oggi il rischio terrificante di una strisciante privatizzazione della RAI. Forse, siamo dinanzi alla realizzazione di un altro segmento del famigerato programma di rinascita democratica della P2? Non mi stupirei se, nei prossimi giorni, avremo modo di leggere un'altra intervista di Licio Gelli, analoga a quella di appena qualche anno fa, quando, gongolante, dichiarò che tutti i suoi ragazzi si trovavano al Governo del Paese.
Signor Presidente, rappresentanti del Governo, un anno fa abbiamo vinto le elezioni. La maggioranza degli italiani, in fin dei conti, ci ha chiesto di rimediare ai guasti della destra, di introdurre forti anticorpi democratici contro un populismo mediatico pericolosissimo. Abbiamo un disperato bisogno di riforme vere - non di pseudo-riforme brumose - e di difendere e rafforzare la nostra democrazia. Questo sarà anche il senso dell'impegno e del contributo del gruppo Comunisti italiani nel dibattito parlamentare sul conflitto di interessi (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.
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ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, prendo la parola dopo che già altri due miei colleghi sono intervenuti: mi riferisco all'onorevole Costantini questa mattina e all'onorevole Palomba nel pomeriggio, che hanno rappresentato l'insoddisfazione del gruppo dell'Italia dei valori per la formulazione attuale del progetto di legge in esame. Ciò significa che noi lavoreremo per migliorarne il contenuto durante l'iter in Assemblea, anche se è evidente che quello che noi definiamo un miglioramento rappresenta un assoluto peggioramento per l'opposizione e per l'onorevole Bondi, che è intervenuto in precedenza.
Sono interessato alla questione del conflitto di interessi in quanto tale, non perché riguardi singole persone o singoli imprenditori, grandi o piccoli che siano. Personalmente, non nutro atteggiamenti né di ripugnanza verso la ricchezza, né di invidia verso chi è ricco e possiede ingenti patrimoni. Osservo però, quotidianamente, che il conflitto di interessi costituisce qualcosa di molto più vasto nella nostra vita sociale e politica.
La caduta di valori alla quale abbiamo assistito in questi anni, oltre a svariati esempi di impunibilità, hanno condotto ad una più ampia diffusione di tale fenomeno. Esso è riscontrabile anche nei comuni piccoli, dove sindaci e assessori, che nella vita sono imprenditori, professionisti o progettisti, hanno interessi più o meno diretti nei piani regolatori e nelle delibere che assumono; per cui, al mattino deliberano e al pomeriggio utilizzano in qualche modo, più o meno direttamente, quelle delibere per il loro lavoro.
Si tratta, pertanto, di una questione molto più ampia che va affrontata nella sua complessità. D'altronde, non si capisce perché la politica dovrebbe restare al di fuori di un tema che invece, sotto il profilo degli interessi privati, è regolamentato in vario modo anche nel nostro ordinamento. È inutile che io stia qui a ricordare che le ipotesi di conflitto di interesse sono regolamentate nei campi del diritto societario e in quello del diritto di famiglia. Si possono citare, ad esempio, l'articolo 320, sesto comma, del codice civile, l'articolo 1394 del codice civile, che prevede l'annullabilità dei contratti in determinate situazioni, nonché gli articoli 2373 e 2631 del codice civile, che impongono al socio di astenersi dal voto e prevedono l'annullabilità della delibera assembleare nel caso in cui non sia osservato tale obbligo. Un esempio ancora più eclatante è quello dell'articolo 2391 del codice civile che impone all'amministratore di denunciare il suo stato di conflitto di interesse agli altri amministratori e di astenersi dal partecipare alla delibera, prevedendo, in caso di inosservanza, addirittura una serie di sanzioni di natura penale.
Pertanto, non si capisce il motivo per cui, mentre nel campo del diritto privato il conflitto di interesse è regolamentato, nel campo della politica, invece, è assente oppure costituisce una parvenza, come nel caso della cosiddetta legge Frattini, la quale certamente tutto fa fuorché affrontare il problema alla radice. Se la funzione del diritto è quella di prevenire, allora anche la legge sul conflitto di interessi deve prevenire i conflitti.
Da tutto ciò deriva il motivo per cui, per il gruppo dell'Italia dei Valori, quella dell'ineleggibilità è una questione aperta. Essa è stata stralciata, ma riteniamo che attraverso l'istituto della ineleggibilità sia possibile migliorare la proposta di legge in esame. Non si comprende il motivo per cui, qualora si sia stati condannati per alcuni reati gravi contro la pubblica amministrazione, come la corruzione, non si possa essere eletti consiglieri comunali e provinciali, mentre nelle stesse ipotesi sia possibile l'elezione in Parlamento. Per quale motivo l'amministratore di una società comunale è obbligato a dimettersi, se vuole candidarsi? Si tratta, evidentemente, di un'ipotesi di conflitto di interessi, poiché, mantenendo la sua posizione, vi è la possibilità che, in qualche modo, favorisca sé stesso!
Ecco anche dove sta il conflitto di interessi! Allora l'ineleggibilità ha un senso perché non possiamo accettare che il «capo dei ladri» possa diventare il capoPag. 62della polizia! Dobbiamo evitare che questo avvenga e non possiamo intervenire a posteriori. D'altronde, come ha rilevato anche il collega che mi ha preceduto, l'ineleggibilità è presente nel nostro ordinamento: la legge del 1957 dispone infatti l'ineleggibilità di coloro che sono concessionari di un pubblico servizio.
In verità, il problema è che non può esistere democrazia se non vi è un nucleo di garanzie che possa regolare e prevenire il conflitto di interessi ed è evidente che all'estero questa regolamentazione c'è dappertutto, salvo nel Regno Unito, dove esiste però un codice di deontologia che nessuno si sognerebbe di violare. La regolamentazione esiste negli Stati Uniti non soltanto con il blind trust, ma con il qualified blind trust e con tutta una serie di misure che possono arrivare alla vendita. A tal proposito, ricordo il caso di Bloomberg, attuale sindaco di New York, che è stato costretto a vendere una parte delle sue partecipazioni perché relative ad un settore particolarmente sensibile come quello dell'informazione. Vi sono discipline di regolamentazione negli Stati Uniti, ma anche in Spagna, in Francia, in Germania e spesso, peraltro, non è necessario ricorrere all'applicazione di tali atti normativi.
Voglio ricordare proprio gli Stati Uniti che vengono citati spesso - a sproposito in qualche caso - dove ad esempio Paul O'Neil, Segretario di Stato dell'amministrazione Bush, prima ancora che qualcuno glielo chiedesse, ha venduto il suo pacchetto di azioni e opzioni dell'Alcoa, la più grande industria dell'alluminio nel mondo di cui era stato presidente dal 1987 al 2000; non ha aspettato che qualcuno glielo imponesse, ha sentito il dovere di farlo prima e ha detto che avrebbe investito il ricavato in fondi indicizzati che non costituiranno un problema per nessuno.
È certo che esiste un diritto anche dei ricchi di fare politica ma, dato che non è il medico che ha ordinato ad un imprenditore ricco di fare politica, deve essere una scelta consapevole, e se è tale deve sapere di dover rinunciare a qualcosa se vuole perseguire nella sua vita il desiderio di svolgere attività politica. Penso a Colin Powell, che è stato Segretario di Stato e pare abbia perso metà del suo patrimonio nel momento in cui ha deciso di entrare in politica; penso a Donald Rumsfeld, Segretario alla difesa, che pure ha concluso la sua attività politica con una perdita patrimoniale che aveva messo in conto e si dice che lo stesso George Bush abbia avuto un risultato simile.
Di fronte a questa situazione faccio fatica ad accettare i richiami che sono venuti dall'onorevole Bocchino il quale afferma che c'è solo un giudice: l'elettore. No, signori! Forse l'elettore americano è meno importante, ha minore capacità critica dell'elettore italiano o forse quest'ultimo ha più capacità critica di quello francese, tedesco o inglese? No! Siamo noi che dobbiamo regolamentare il conflitto di interessi. E mi preme ricordare che il Parlamento europeo definisce il conflitto di interessi come una violazione grave del Trattato costitutivo dell'Unione europea proprio perché è un attentato all'esistenza stessa dell'Europa e alle ragioni che sono a fondamento tanto del mercato comune che della stessa Costituzione europea.
Vorrei, inoltre, ricordare che il decalogo presentato dall'Italia dei Valori, che leggo rapidamente, stabilisce: definizione del conflitto di interessi come situazione nella quale un soggetto può favorire i propri interessi privati; portata costituzionale del conflitto di interessi italiano come lesione grave dei principi fondamentali dei primi 11 articoli della Carta costituzionale; incostituzionalità manifesta delle leggi in cui il soggetto titolare di funzioni di governo autoregoli le proprie situazioni di conflitto; presunzione di incostituzionalità dei provvedimenti normativi approvati in conflitto di interessi; sanzioni di invalidità delle nomine dei provvedimenti in conflitto di interessi; ineleggibilità.
Ricordo, a tale proposito, che il conflitto di interessi nel programma della coalizione - è un richiamo ai colleghi della maggioranza - è regolamentato in modo molto dettagliato, distinguendo tra partecipazioni rilevanti e non rilevanti,Pag. 63prevedendo solo per queste ultime il ricorso al blind trust. È evidente, infatti, che se si affidano dei titoli o delle azioni a un blind trust non sorge alcun problema, ma se si è in presenza di partecipazioni rilevanti, tali da non poter «scomparire» né in un blind trust né in un blind trust «mondiale», è necessario agire in modo diverso.
Il programma dell'Unione, di conseguenza, ha previsto in modo specifico e disciplinato tale ipotesi e non possiamo rispettare il programma solo quando ci conviene.
In conclusione, gli ultimi tre punti del decalogo presentato dall'Italia dei Valori sono: sanzione del conflitto di interessi anche come freno allo sviluppo dei mercati internazionali; consapevolezza della dimensione transnazionale del conflitto di interessi e, infine, altri due elementi che proponevano il potenziamento delle Autorità antitrust ed altro.
Sono consapevole che in una coalizione è necessario, comunque, giungere ad una mediazione, quindi non mi aspetto che tutti questi elementi possano essere accettati. Credo, tuttavia, che si possa migliorare. A tal proposito abbiamo presentato una serie di emendamenti, proprio perché non possiamo trascurare il fatto che il conflitto di interessi è presente anche nei piccoli comuni.
Una proposta emendativa, ad esempio, è di estendere l'articolo 2391 del codice civile anche agli amministratori pubblici affinchè dichiarino, in modo trasparente, il loro stato di conflitto di interessi, si astengano dal partecipare a quelle delibere e, in caso di inadempienza, scattino anche per loro delle sanzioni penali. Nell'ordinamento sono presenti queste ed altre norme.
In merito a quanto ho detto sull'ineleggibilità, ribadisco che non possiamo chiedere ai consiglieri comunali e a quelli provinciali di non candidarsi se sono stati condannati, mentre accettiamo che ciò avvenga per i parlamentari. È un problema di etica molto più generale, ma è un problema concreto.
Mi auguro che, prima di giungere al voto finale, molte delle proposte del gruppo dell'Italia dei Valori, presentate attraverso emendamenti, possano essere accolte dall'Assemblea affinché il conflitto di interessi sia risolto alla radice e non sia «rincorso» quando gli atti e i danni si sono già compiuti (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).