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DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO MARIA CRISTINA PERUGIA SUL DOC. III, N. 1.
MARIA CRISTINA PERUGIA. Signor Presidente, colleghi deputati, i casi oggi all'attenzione dell'Assemblea, dopo lunghe e approfondite discussioni, prima nel Comitato per le incompatibilità, ineleggibilità e decadenze, poi in sede di Giunta plenaria e, infine, nel corso dell'audizione pubblica e della camera di consiglio, riguardano l'ineleggibilità dei sindaci di comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti ed i termini previsti per le dimissioni da dare al fine di rimuovere la causa di ineleggibilità.
A questo proposito, vorrei fare alcune riflessioni su cui è utile che anche l'Assemblea si soffermi.
Dal nostro lavoro, infatti, è emersa la incongruità della legge che regola le ineleggibilità e le incompatibilità, non solo ePag. 99non tanto in relazione all'avvenuta modifica della legge elettorale, quanto piuttosto alla disomogeneità dei casi presi in esame ed alla lacunosità nella definizione delle posizioni predominanti nelle candidature al Parlamento.
La legge, infatti, come da dettato costituzionale, ha sempre disciplinato i casi di ineleggibilità con l'obiettivo di rimuovere eventuali posizioni di favore di alcuni candidati ed alcune candidate così da avere una competizione elettorale «paritaria» tra tutti i concorrenti e le concorrenti. Non sono, però, convinta che questa norma avesse una sua ragion d'essere soltanto con il sistema maggioritario (ad esempio, i collegi uninominali); penso, cioè, che il «favore» determinato dalla posizione di un sindaco, con l'attuale legge elettorale a liste bloccate, sussista, ma vada a premiare la lista di appartenenza, anziché il singolo. Non è un caso che la norma sia stata espressamente reiterata con l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 1 del 2006: si tratta di una disposizione transitoria, con riferimento alle elezioni politiche successive all'entrata in vigore del decreto-legge, che ha stabilito che anche nel caso in cui lo scioglimento anticipato delle Camere ne avesse anticipato la scadenza per un periodo pari o inferiore a centoventi giorni, come effettivamente avvenuto, le cause di ineleggibilità, di cui all'articolo 7 del testo unico n. 361 del 1957, non avrebbero avuto effetto se le funzioni esercitate fossero cessate entro i sette giorni successivi all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, avvenuta, nel nostro caso, il 29 gennaio 2006, da cui si fa discendere quella del 5 febbraio 2006 come data ultima entro la quale dare le dimissioni. Quindi una ratio che vive e che, tendendo ad eliminare forme di disparità, è condivisibile e andrebbe, forse, rafforzata. C'è, però, da chiedersi se, ad esempio, i sindaci di comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti, piuttosto che quanti hanno incarichi esecutivi a livello regionale, oggi soggetti solo a incompatibilità (cioè con la possibilità di concorrere e optare per uno dei due incarichi solo dopo essere stati eletti), non siano da annoverare tra quanti possono esercitare, sull'elettorato, una captatio benevolentiae in virtù della loro funzione. E non si intenda questa come fatto puramente nominativo o astrattamente di posizione, poiché riguarda molto concretamente gli atti che si possono compiere nell'esercizio della propria funzione.
Ancora, la norma contempla, tra i casi di ineleggibilità, posizioni non di favore nel momento della candidatura, ma incompatibili con la funzione di parlamentare, e si potrebbe continuare.
Credo, perciò, necessario ed urgente mettere mano alla disciplina che regola le incompatibilità e le ineleggibilità, ma penso lo si debba fare attraverso una legge, indipendente dal sistema elettorale, che disciplini questa materia con chiarezza e, per così dire, a monte della campagna elettorale, stabilendo un automatismo basato su precisi requisiti richiesti ai candidati ed alle candidate. Infatti, le disparità che si sono verificate dal momento in cui molti sindaci, in base alla normativa vigente, non si sono candidati o si sono dimessi nei tempi previsti non sono oggi sanabili.
La Giunta delle elezioni dovrebbe essere chiamata a giudicare della correttezza delle elezioni o delle irregolarità sopraggiunte a carico dei deputati, ma non della legittimità delle candidature, come qui stiamo facendo.