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Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Presunte disparità nel sistema dei crediti formativi e scolastici derivanti dall'ordinanza ministeriale n. 26 del 2007 - n. 2-00597)
PRESIDENTE. L'onorevole Dato ha facoltà di illustrare l'interpellanza urgente Fiano n. 2-00597 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5), di cui è cofirmataria.
CINZIA DATO. Signor sottosegretario, come lei sa, con la nostra interpellanza ci riferiamo all'ordinanza ministeriale n. 26 che, all'articolo 8, commi 13 e 14, introduce una palese discriminazione tra chi si avvale dell'insegnamento della religione cattolica e chi no, in relazione all'attribuzione del credito scolastico negli scrutini di ammissione alla maturità.
Si dirà che ormai gli scrutini sono conclusi e che i commi incriminati dall'ordinanza hanno esaurito i loro effetti. Tuttavia, lei si renderà conto che stiamo parlando di principi - in particolare dei principi di una istituzione fondamentale di un Paese qual è la scuola - e sui principi non si può transigere.
La formulazione dell'ordinanza ministeriale appare ambigua, perché, pur riprendendo il contenuto di ordinanze precedenti, non contiene nelle disposizioni generali - come invece quelle facevano - il richiamo esplicito dell'articolo 309, comma 4, del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione e del decreto del Presidente della Repubblica 23 giugno 1990, n. 202, nel quale è ben chiarito che il voto dell'insegnante di religione cattolica in sede di deliberazioni del consiglio di classe non può essere determinante.
Inoltre, l'ordinanza ministeriale introduce una nuova discriminazione, con l'idea che coloro che non scelgono né insegnamento di religione cattolica né materie alternative che, come lei sa, spesso non vengono di fatto rese disponibili per gli studenti dagli istituti scolastici per tutta una serie di ragioni - ma noi genitori sappiamo bene che non esistono, nella maggior parte dei casi, reali alternative all'insegnamento di religione -, coloro, ripeto, che, appunto, non scelgono di fatto l'unico insegnamento disponibile nella maggior parte delle scuole, quello della religione cattolica, avrebbero dovuto, per conseguire analoghi benefici, cercare a posteriori improbabili certificazioni di attività utili per i crediti formativi.
Ciò, nonostante il fatto che la Costituzione, il nuovo Concordato, le intese con le altre religioni e il decreto legislativo n. 297 del 1994 ripetano costantemente, sebbene inutilmente, che la scelta di avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica non possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione. In questo modo, nonostante il fatto che la Corte costituzionale abbia stabilito, una volta per tutte, che chi non si avvale dell'insegnamento della religione cattolica non ha alcun obbligo a farlo, e quindi non è penalizzato in alcun modo - altrimenti ciò equivarrebbe ad imporre in qualche misura l'obbligatorietà della scelta -, di nuovo si introduce una differenza tra chi ha seguito l'insegnamento della religione cattolica e chi non lo ha seguito, aggiungendo la discriminazione tra i pochi fortunati che abbiano a disposizione materie alternative interessanti e credibili e coloro che in quell'ora abbiano legittimamente scelto di uscire dalla scuola.
Nell'ordinanza ministeriale n. 26 del 2007, sei confessioni religiose non cattoliche e numerose associazioni hanno percepito la grave discriminazione e hanno promosso un ricorso al TAR ottenendo la sospensiva dei due commi dell'articolo 8.
Il Ministro, invece di comprendere le ragioni di chi si è sentito discriminato e di correggere rapidamente l'ordinanza ministeriale che, lo ripeto, mancava dell'accenno sopra riportato, è ricorso al Consiglio di Stato con una motivazione poco convincente perché, pur ammettendo che l'insegnamento della religione non può essere valutato ai fini dell'attribuzione del credito scolastico, insiste nel dire che chi segue l'insegnamento della religione cattolica con profitto (o di una materia alternativa che, però, come abbiamo detto, inPag. 87pratica non esiste nella gran parte gli istituti) deve in qualche modo essere premiato.
Apprendiamo, dopo aver depositato l'interpellanza, che il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Ministro, tra l'altro perché non si rinvengono i profili di pregiudizio grave e irreparabile in capo agli originali ricorrenti, mentre significativi pregiudizi possono patire i destinatari delle norme impugnate.
Ora, è veramente imbarazzante che la sentenza del Consiglio di Stato arrivi due giorni dopo gli scrutini, a guaio già combinato, che seppur probabilmente minimo nei suoi effetti, attiene a dei principi, alla cittadinanza e alla coesione di un Paese.
Si ammette, quindi, che l'ordinanza ministeriale n. 26 del 2007 avrebbe potuto dare diritto ad un sospirato punto in più di credito scolastico solo a chi si fosse avvalso dell'insegnamento della religione cattolica e di materie alternative (nel frattempo non disponibili) e non agli altri.
Si ricorda, peraltro, che parliamo di un punto in più nel giudizio di ammissione consapevoli del fatto che esso possa influire sul giudizio finale e lei sa, signor sottosegretario, che tale giudizio ha un valore determinante per i concorsi e per l'ammissione all'università. Ciò crea davvero imbarazzo, in un Paese come il nostro, da parte di un Governo che io sostengo, appassionatamente, ma del quale non capisco alcune posizioni come questa.
Non posso non farmi voce dell'accorato desiderio di riconoscersi nelle decisioni del Governo da parte dei rappresentanti di molte delle associazioni citate che si trovano in un momento di difficile comprensione del senso di alcune scelte.
A questo punto i danni sono fatti, ma probabilmente ammettere l'errore - credo - sarebbe un atto doveroso e indispensabile per ricreare un clima di serena collaborazione tra credenti e non credenti, tra cattolici ed appartenenti ad altre religioni, tanto più che il clima che si è creato spingerà gli interessati a proseguire per le vie giurisdizionali.
Tali argomenti non dovrebbero, invece, essere oggetto di contese giudiziarie, ma costituiscono una importante domanda di appartenenza, di cittadinanza, di diritti civili e fondamentali, lo ripeto, per la coesione sociale.
Il Governo dovrebbe, pertanto, prendere l'iniziativa per chiarire cosa sia successo e quali provvedimenti intenda assumere, in quanto la scelta di avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica non dia più luogo ad alcuna forma di discriminazione, che, peraltro, non è coerente con i principi che ispirano la religione cattolica stessa.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione, Maria Letizia De Torre, ha facoltà di rispondere.
MARIA LETIZIA DE TORRE, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Signor Presidente, prima di rispondere ai diversi quesiti posti nell'interpellanza in discussione, ricordo che, sulla questione, è già stato riferito in quest'aula il 31 maggio scorso. In quell'occasione, ho già affermato che questi temi non possono dividere il Paese e vorrei anche aggiungere che, forse, è necessario ritornare allo spirito del concordato, per cui l'ora di religione cattolica non doveva vertere sul catechismo della religione cattolica stessa, ma rappresentare un momento dedicato a una cultura che appartiene ad una parte della cultura di questo Paese.
In merito al primo punto dell'interpellanza, ricordo che l'insegnamento della religione cattolica trova la sua disciplina nella legge 25 maggio 1985 n. 121, che ha ratificato e reso esecutivo l'accordo addizionale del 18 febbraio 1984 - con il quale è stato modificato il Concordato lateranense - e nelle successive specifiche Intese stipulate tra lo Stato e la CEI, rese esecutive con i decreti del Presidente della Repubblica del 16 dicembre 1985, n. 751 e del 13 giugno 1990, n. 202.
In particolare, l'articolo 9 della suddetta legge prevede che debba essere assicurato, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica agli allievi che ne facciano richiesta, che debba essere garantito a ciascuno ilPag. 88diritto di scegliere se avvalersi o meno di detto insegnamento e che l'esercizio di tale diritto non debba dare luogo ad alcuna forma di discriminazione.
In forza delle norme dell'Accordo e delle successive Intese, l'insegnamento della religione cattolica si colloca nel quadro delle finalità della scuola ed ha dignità formativa e culturale pari a quelle delle altre discipline.
Quanto alla partecipazione dei docenti di religione all'attività degli organi collegiali della scuola, la stessa è prevista al punto 2.7 dell'Intesa - resa esecutiva con il decreto del Presidente della Repubblica n. 202 del 1990 - la quale stabilisce che gli insegnanti di religione cattolica fanno parte della componente docente degli organi scolastici con gli stessi diritti e gli stessi doveri degli altri insegnanti. Tuttavia, essi partecipano alle valutazioni periodiche finali soltanto per gli allievi che si sono avvalsi di tale insegnamento, fermo restando quanto previsto dalla normativa statale in ordine al profitto e alla valutazione di tale insegnamento.
Il medesimo disposto precisa anche che nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una delibera da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall'insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale. Infatti, a norma dell'articolo 309, comma 4, del testo unico in materia di istruzione - decreto legislativo n. 297 del 1994 - l'insegnante di religione per la valutazione del profitto della sua disciplina non dà un voto, ma esprime un giudizio. La circostanza che, per gli alunni che se ne avvalgano, la comunicazione del profitto avvenga mediante una speciale nota, anziché nel contesto delle altre discipline, assume un rilievo ininfluente, in quanto attiene esclusivamente alle modalità di comunicazione e non a quelle di svolgimento dell'insegnamento della religione cattolica.
Riguardo al secondo punto che richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 203 del 1989 e n. 13 del 1991, faccio presente che la normativa vigente è conforme alle richiamate sentenze della Corte costituzionale in quanto assicura parità di trattamento agli alunni che non intendano avvalersi della regione cattolica, sia attraverso l'offerta da parte delle scuole di attività alternative (certamente c'è da augurarsi che tali attività ci siano, e comunque, per quanto ne sono a conoscenza, so che ci sono tante offerte formative all'interno degli istituti scolastici), sia attraverso la possibilità concessa allo studente di svolgere studi individuali, sia anche - come a suo tempo chiarito con circolare n. 122 del 1991, a seguito della richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 13 del 1991 - di optare di allontanarsi dalla scuola durante l'ora dell'insegnamento della religione.
Relativamente al terzo punto, circa la presunta violazione da parte dell'ordinanza in questione delle norme dell'articolo 309, quarto comma, del decreto legislativo n. 297 del 1994, valgono le considerazioni già espresse con riguardo al primo punto dell'interpellanza.
In ordine alla risposta fornita alla interpellanza urgente numero 2-00561 dell'onorevole Poretti in data 31 maggio 2007, confermo che l'insegnamento della religione non può non essere valutato ai fini dell'attribuzione del credito scolastico, dal momento che il regolamento (decreto del Presidente della Repubblica n. 323 del 1998) formalmente riconosce, ai fini della valutazione del credito, il grado di preparazione complessiva raggiunta da ciascun alunno nell'anno scolastico in corso, con riguardo al profitto e tenendo in considerazione anche l'assiduità della frequenza scolastica, ivi compresa, per gli istituti dov'è prevista, la frequenza alle aree di progetto, l'interesse e l'impegno nella partecipazione al dialogo educativo, alle attività complementari e integrative, ed eventuali crediti formativi.
Preciso, al riguardo, che nella prima stesura del resoconto stenografico della seduta del 31 maggio scorso, relativa alla discussione della succitata interpellanza urgente, per mero errore materiale nella trascrizione della frase è stato omesso un «non». Tuttavia, dal contesto del discorso, si rileva che il significato è quello chePag. 89l'insegnamento della religione cattolica viene valutato ai fini dell'attribuzione del credito scolastico. L'errore è già stato corretto nella versione Internet, per la versione cartacea seguirà l'errata corrige.
Per quanto riguarda il quinto punto dell'interpellanza faccio presente che l'istituto del credito scolastico è stato introdotto dalla legge n. 425 del 10 dicembre 1997, recante disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, e disciplinato nel successivo regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323 e che le disposizioni contenute nell'ordinanza ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007 nulla innovano, in quanto richiamano espressamente il citato regolamento n. 323.
Ai sensi della normativa succitata è credito scolastico: il giudizio espresso dal docente di religione per gli allievi che si avvalgono dell'insegnamento della religione e dai docenti delle attività alternative per quelli che si avvalgono di tale attività, la certificazione della scuola per altre attività, ivi compreso lo studio individuale. Per gli allievi che hanno scelto di assentarsi dalla scuola, l'arricchimento conseguito attraverso l'eventuale partecipazione ad iniziative formative rese note alla scuola stessa viene valutato come credito formativo.
Nell'ipotesi in cui non fosse riconosciuta la partecipazione del singolo discente all'attività didattica svolta dal docente di religione, si finirebbe per alterare il sistema attuale che impone all'amministrazione scolastica di valutare e riconoscere come credito l'impegno in ciascuna delle attività svolte di cui si compone la complessiva offerta dell'istituto e i risultati conseguiti sul piano formativo; in tal caso la religione cattolica non verrebbe valutata né come credito scolastico né come credito formativo.
Infine, con riguardo all'ordinanza del tribunale amministrativo del Lazio che ha sospeso l'efficacia dell'ordinanza ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007, contenente istruzioni e modalità organizzative ed operative per lo svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio della scuola secondaria superiore, nella parte in cui, all'articolo 8, punti 13-14, prevede l'attribuzione del credito scolastico agli alunni che si sono avvalsi dell'insegnamento della religione cattolica, il Consiglio di Stato, a seguito dell'appello proposto dal Ministero, ne ha sospeso l'esecutività, ripristinando l'efficacia dell'ordinanza ministeriale.
Evidentemente, il Consiglio di Stato, nel concedere la sospensione dell'esecutività dell'ordinanza del TAR, non ha ravvisato alcuna lesione attuale e concreta degli interessi delle organizzazioni che hanno avanzato ricorso, né dei discenti - ed in particolare dei due appellanti - che non hanno optato per l'insegnamento della religione cattolica, ovvero per le attività alternative, tenuto conto che nulla viene tolto ai fini della loro personale valutazione, sicché restano per i medesimi integre le possibilità di conseguire il massimo del credito, tanto più che non si versa in ambito concorsuale, con la conseguenza che, in definitiva, i risultati raggiunti dagli altri non assumono rilievo alcuno. Diversamente, si sarebbe corso il rischio di pregiudicare la maggioranza dei discenti destinatari delle norme impugnate, che avevano optato per l'insegnamento della religione cattolica o per le attività alternative, e che, dunque, vantavano una legittima aspettativa affinché tali attività fossero riconosciute in sede di attribuzione del credito scolastico. L'amministrazione ha avuto ora notizia che l'appello al Consiglio di Stato è stato accolto nella camera di consiglio del 12 giugno - come ricordato - e che, pertanto, la sospensiva del TAR Lazio è stata definitivamente annullata, con conseguente conferma dell'ordinanza ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007, oggetto di contestazione nella parte riguardante l'articolo 8, punti 13 e 14.
PRESIDENTE. L'onorevole Dato ha facoltà di replicare.
CINZIA DATO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la risposta maPag. 90non posso dichiararmi soddisfatta perché sono certa che questa risposta del Governo non sia sufficiente a soddisfare le richieste, i sentimenti e i diritti di coloro che si ritengono penalizzati da simili criteri. Peraltro, io ricordo, sottosegretario, che lei stessa ha affermato che l'insegnamento della religione non può essere valutato ai fini dell'attribuzione del credito scolastico; e, mi perdoni se semplifico, quella tra credito scolastico e credito formativo è una differenza che corre tra un criterio quantitativo e un criterio qualitativo.
Che il giovane che riesce ad impegnarsi in più opportunità di crescita e di maturazione, venga considerato positivamente, alla luce di questo suo impegno, è un dato comprensivo e giusto, ma lei capisce che se noi mettessimo a parità di condizioni i giovani che svolgono attività extrascolastiche, di volontariato, sportive e di apprendimento delle lingue (a parte il fatto che spesso le attività extrascolastiche che si svolgono dipendono anche dalle possibilità complessivamente considerate della famiglia di appartenenza, e, quindi, tali attività andrebbero valutate a prescindere dal reddito della famiglia di appartenenza), troveremmo comunque una diversità di valutazione tra i giovani che, o perché sono fortunati e usufruiscono di un insegnamento molto interessante della religione cattolica che, dunque, diviene per loro naturale seguire, o perché sono credenti, verrebbero di fatto privilegiati rispetto a coloro che, in ipotesi, appartenessero ad altre religioni o che, viceversa, non ne avessero alcuna.
MARIA LETIZIA DE TORRE, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Ma non è così! Possono fare anche lo studio individuale.
CINZIA DATO. Non si può ammettere in alcun caso che vi sia una diversità, nel senso che l'appartenere o meno ad una religione non ha alcuna relazione con i valori in cui ci si riconosce, né con il percorso di maturazione filosofica, concettuale ed etica che ciascuno di noi ha, perché possiamo avere tutti quanti gli stessi valori e, peraltro, nella vita, sotto questo profilo, le nostre condizioni cambiano e si evolvono. L'appartenere ad una religione o meno cambia soltanto il titolo di legittimazione che si dà: gli uni possono credere a dei valori per la rivelazione, gli altri possono credere perché li attribuiscono all'umanità; e, sottosegretario, non credo che introdurre diversità di questo genere aiuti il dialogo che bisogna costruire nel nostro Paese, nonché il senso di coesione e di identità, al di là delle forme specifiche in cui questo si concretizza.
La scuola italiana offre la possibilità dell'insegnamento di religione, e questa è una buona opportunità, ma che ciò si traduca in un fattore percepito come possibile discriminazione per i giovani, ritengo non sia davvero un bene per il nostro Paese. Perché non si ascoltano almeno le religione che hanno firmato intese con lo Stato, prima di fare ordinanze simili? E perché non si ascoltano anche le associazioni, per esempio, dei non credenti, che portano contributi importanti al nostro Paese e alla riflessione sulla difesa dei diritti di tutti e di ciascuno?
Che ci si consideri cattolici o meno, è importante pensare che non sia vero che la libertà di ciascuno di noi comincia dove finisce la libertà dell'altro o finisce dove comincia la libertà dell'altro: sarebbe bello che la libertà di ciascuno di noi cominciasse dove comincia la libertà di ciascuno degli altri.
MARIA LETIZIA DE TORRE, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Ma stiamo confondendo i piani!
CINZIA DATO. Mi auguro, sottosegretario, che il Governo possa davvero intavolare un dialogo aperto con tutti coloro che, a seguito di decisioni simili, hanno difficoltà a identificarsi nell'azione di un Governo, che tutti giudichiamo positiva e che sosteniamo.
Le chiedo di aprire un dialogo diretto con i portatori di sentimenti profondi e di grande dignità perché non mi sembra un buon mezzo affidare a querelle giuridiche un dialogo costitutivo della nostra coesionePag. 91sociale, come quello che pongono i rappresentanti delle associazioni che hanno promosso il ricorso e sensibilizzato il nostro impegno.